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La dimostrazione per assurdo: un modello per un`analisi cognitiva e
La dimostrazione per assurdo: un modello per un’analisi cognitiva e didattica Sommario A partire da una discussione generale sulla dimostrazione matematica e da una sua analisi di carattere strutturale, proponiamo un modello per la descrizione delle dimostrazioni per assurdo. Il modello si rivelerà uno strumento efficace per l’individuazione, l’analisi e l’interpretazione di problematiche di carattere cognitivo e didattico, e per la formulazione di precise ipotesi di ricerca in relazione alle dimostrazioni per assurdo. Abstract After a general discussion on mathematical proof and from a structural analysis of it, we propose a model to describe proof by contradiction. The model can be used as an efficient tool to identify, analyze and explain cognitive and didactical issues, and to formulate precise research hypotheses regarding proof by contradiction. Samuele Antonini Maria Alessandra Mariotti La dimostrazione per assurdo: un modello per un’analisi cognitiva e didattica Samuele Antonini♦, Maria Alessandra Mariotti♣ Il diffuso interesse dei ricercatori in didattica per il tema della dimostrazione matematica ha portato alla pubblicazione di numerosi lavori e alla costruzione di quadri teorici estremamente efficaci per affrontare il problema della dimostrazione in campo educativo (si vedano, per esempio, Balacheff, 1987, 1988; Duval, 1992-93; Harel et al., 1998; Garuti et. al., 1996a, 1996b, 1998; Mariotti et. al., 1997; Pedemonte, 2002). In queste ricerche si identificano e si affrontano problematiche di natura didattica relative alla dimostrazione da vari punti di vista, ma solo raramente vengono approfondite le questioni che emergono dalle specifiche strutture dimostrative. Un certo interesse è stato dedicato alle dimostrazioni per induzione (si vedano per esempio, Harel, 2001; Pedemonte, 2002); poco spazio, invece, è stato riservato alle dimostrazioni per assurdo. E’ di queste ultime che intendiamo occuparci in questo lavoro. I lavori presenti in letteratura su questo specifico argomento, come già accennato, non sono inquadrati in un quadro teorico unitario della dimostrazione; comunque, pur trattando il tema da punti di vista molto diversi, concordano su un fatto, ossia che in generale gli studenti manifestano maggiori difficoltà con le dimostrazioni per assurdo che con quelle dirette. Molte delle difficoltà incontrate dagli studenti sembrano inoltre non facili da superare con la pratica scolastica ♦ ♣ Dipartimento di Matematica – Università di Pavia Dipartimento di Scienze Matematiche ed Informatiche – Università di Siena tradizionale, tanto è vero che anche per laureati in discipline scientifiche le dimostrazioni per assurdo possono presentare ancora dei problemi (Bernardi, 2002). Occorre certamente tener conto che una causa delle difficoltà con questo tipo di dimostrazioni è riconducibile alla scarsa attenzione prestata all’argomento nell’insegnamento tradizionale (Thompson, 1996). Ma alcuni ricercatori hanno messo in evidenza come certe caratteristiche, specifiche della dimostrazione per assurdo, influenzano pesantemente i processi cognitivi degli studenti. Per esempio, secondo Leron (1985), è la falsità delle ipotesi di partenza la causa principale delle difficoltà. Wu Yu et al. (2003) e Antonini (2003a, 2006) hanno rilevato strette relazioni tra le difficoltà inerenti alla formulazione e all’interpretazione della negazione e quelle relative alle dimostrazioni per assurdo. La distinzione, più o meno esplicita, tra le diverse funzioni che una dimostrazione può assumere per uno studente ha permesso ad alcuni studiosi sia di interpretare difficoltà (Barbin, 1994), sia di proporre approcci didattici meno tradizionali alle dimostrazioni per assurdo (Polya, 1967, pp. 163-171). A fronte di tutte le difficoltà rilevate, alcuni ricercatori hanno però messo in evidenza l’apparire di argomentazioni spontanee chiaramente riconducibili a dimostrazioni per assurdo e hanno sostenuto l’importanza per gli allievi di produrre argomentazioni indirette prima di leggere o di produrre questo tipo di dimostrazioni (Freudenthal, 1973; Thompson, 1996; Epp 1998; Reid & Dobbin, 1998; Antonini, 2003b). La frammentarietà e la poca sistematicità degli studi disponibili sull’argomento lasciano aperti molti interrogativi che al contrario, vista l’indubbia importanza delle dimostrazioni per assurdo nell’attività matematica, richiederebbero risposte. In questa prospettiva si pone il nostro lavoro, che ha avuto come tema centrale lo studio della dimostrazione per assurdo e le difficoltà didattiche che tale tema solleva. Al fine di superare alcuni dei limiti evidenziati negli studi precedenti, abbiamo cercato di fornire un modello interpretativo che fosse compatibile con un quadro teorico generale per la dimostrazione, ma che nel contempo permettesse di rilevare la specificità della dimostrazione per assurdo. Quello che qui riportiamo è la descrizione del modello insieme ad alcuni risultati che tale modello ha permesso di mettere in luce e che a nostro avviso ne mostrano l’efficacia. 1. METODOLOGIA La ricerca qui esposta ha avuto un duplice obiettivo: da un lato uno studio sistematico delle difficoltà che gli studenti incontrano nel trattare le dimostrazioni per assurdo, dall’altro la messa a punto di un quadro teorico per l’interpretazione di tali difficoltà nel contesto generale dell’attività di dimostrazione in matematica. Coerentemente, il nostro lavoro si è sviluppato su due linee principali: da un lato una ricerca sperimentale, dall’altro una ricerca teorica, che si è avvalsa del contributo di metodi e costrutti di discipline diverse. La parte sperimentale ha avuto l’obiettivo di aiutarci ad individuare la chiave di lettura secondo la quale costruire il quadro teorico; il quadro ha poi permesso la messa a punto di ulteriori sperimentazioni più precise, in una continua dialettica tra costruzione di un riferimento teorico e sperimentazione, tipica di molte ricerche italiane in didattica della matematica (si veda, per esempio, Arzarello, 1999). Per la raccolta di dati sperimentali, ci siamo avvalsi di metodologie diverse: interviste cliniche, test a risposte multiple, questionari con risposte aperte, registrazioni di discussioni in classe. Abbiamo anche tenuto conto di alcune discussioni con docenti universitari, insegnanti di scuola superiore e studenti universitari, e di alcuni elaborati degli studenti raccolti in occasioni non direttamente legate a questa ricerca. Per quanto riguarda gli studenti, si tratta sia di universitari, appartenenti a diversi corsi di laurea (principalmente di matematica, fisica, biologia, farmacia) sia di studenti della scuola superiore (in particolare degli ultimi anni dei licei scientifici e classici). 2. PRESENTAZIONE DEL MODELLO Per elaborare un modello per le dimostrazioni per assurdo siamo partiti dalla nozione di Teorema introdotta in (Mariotti et al., 1997; Mariotti, 2000). Seguendo Mariotti (2000), un teorema matematico è caratterizzato da un enunciato, da una dimostrazione e dal fatto che la relazione tra enunciato e dimostrazione ha senso solo all’interno di un sistema teorico. Il modello proposto sarà dunque coerente con quello che vede un teorema come terna composta da enunciato, dimostrazione e teoria di riferimento (nel seguito useremo la notazione (E,D,T)). 2.1 Il teorema come terna L’introduzione della terna (enunciato, dimostrazione, teoria di riferimento) mette in luce alcuni degli elementi chiave di un teorema: permette di distinguere tra teorema ed enunciato del teorema e sottolinea il ruolo fondamentale della teoria: da una parte un teorema ha una precisa collocazione nella costruzione della teoria; dall’altra, la validità di una dimostrazione è relativa a una certa teoria matematica, in altre parole una stessa dimostrazione può essere valida in una teoria e non valida in un’altra. Osserviamo che la descrizione del teorema come terna (E,D,T) non include alcuna caratterizzazione e dunque non implica alcuna limitazione sul tipo di dimostrazione - in particolare sulla struttura della dimostrazione - che può essere diretta, per induzione, per assurdo, eccetera. Inoltre, nella terna (E,D,T) il termine T indica sia la Teoria matematica - come la Teoria dei numeri naturali o la Teoria della geometria Euclidea, ecc. - sia la Meta-teoria, ossia le regole di inferenza che trovano una formalizzazione nella teoria logica delle derivazioni. Il modello di teorema che intendiamo proporre si basa sul raffinamento del modello di teorema come terna; in particolare intendiamo approfondire due aspetti che riteniamo fondamentali in uno studio sulla dimostrazione per assurdo: la struttura della dimostrazione e la distinzione tra Teoria e Meta-teoria. A questo punto, prima di passare alla presentazione del modello ci sembra opportuno chiarire a cosa ci riferiamo quando parliamo di dimostrazione per assurdo. Questa precisazione ci sembra doverosa, vista la confusione spesso riscontrata intorno a tale espressione nei manuali scolastici, anche nel caso di testi universitari (Bernardi, 2002; Antonini, 2003a). Se l’enunciato è esprimibile come implicazione1, con dimostrazione per assurdo di p→q si intende di solito una dimostrazione di ¬q→¬p (contronominale) oppure di p∧ ¬q→r∧¬r dove r è una qualsiasi proposizione. In realtà, nel caso della contronominale non interviene alcuna contraddizione e dunque non sembra del tutto giustificato parlare di assurdo; ma “d’altro lato, una caratteristica delle dimostrazioni per assurdo consiste nell’iniziare la deduzione [...] negando la tesi. Tale atto, iniziale, diventa psicologicamente più caratterizzante che non il fatto di ottenere una contraddizione: questo motiva in parte l’erroneo inserimento della contronominale tra le forme dell’assurdo” (Bellissima et al., 1993, p.55). 1 Le problematiche relative alla possibilità e alla convenienza di esprimere un enunciato come implicazione non verranno trattate in questo articolo. Per un approfondimento di questo tema si veda Bernardi (2002). Anche se dal punto di vista logico la dimostrazione della contronominale non è considerata una dimostrazione per assurdo, abbiamo ritenuto opportuno allinearci a quanto avviene nella pratica scolastica e in quella degli stessi matematici, dove spesso entrambe le forme sono considerate dimostrazioni per assurdo. Nella sperimentazione, abbiamo dovuto tener conto che con il termine “per assurdo” gli studenti in genere si riferiscono sia alle dimostrazioni con contraddizione sia a quelle della contronominale. Soprattutto, in accordo con (Bellissima et al., 1993), riteniamo che un aspetto psicologicamente rilevante consista proprio nel partire dalla negazione della tesi e che questo costituisca in molti casi un elemento determinante nei processi cognitivi soggiacenti alla produzione e alla interpretazione di entrambi i tipi di dimostrazione. 2.2 Dimostrazione diretta e dimostrazione indiretta Diciamo dunque che la dimostrazione di un teorema è diretta se tra gli enunciati della catena deduttiva della dimostrazione non compare la negazione della tesi. Una dimostrazione sarà indiretta (o per assurdo) in caso contrario. Indichiamo con C una dimostrazione diretta e dunque con (E,C,T) un teorema con dimostrazione diretta. Descriviamo la struttura delle dimostrazioni che ci interessano a partire da questa definizione base. L’importanza che diamo alla dimostrazione diretta è giustificata essenzialmente dal fatto che in ogni dimostrazione si possono individuare enunciati, che spesso restano impliciti, dimostrati per via diretta: la dimostrazione diretta può essere considerata un elemento base nella struttura dimostrativa. Per chiarire quanto detto, consideriamo due esempi di dimostrazioni per assurdo. Esempio 1 Enunciato: sia n un numero naturale. Se n2 è pari allora n pari. Dimostrazione: supponiamo che n sia un numero naturale dispari. Allora esiste un numero naturale k tale che n=2k+1. Risulta allora n2 =(2k+1)2=4k2+4k+1 che è un numero dispari. Si tratta di un esempio di dimostrazione generalmente considerata per assurdo, che consiste in una dimostrazione diretta dell’enunciato contronominale. In questo caso, infatti, si passa a dimostrare l’enunciato seguente: “sia n un numero naturale; se n è dispari allora n2 è dispari”. Esempio 2 Enunciato: siano a e b due numeri reali. Se ab=0 allora a=0 oppure b=0. Dimostrazione: supponiamo per assurdo che ab=0 e che a≠0 e b≠0. Allora possiamo dividere entrambi i membri dell’uguaglianza ab=0 per a (perché a≠0) e per b (perché b≠0) ottenendo 1=0. La dimostrazione consiste nella dimostrazione diretta dell’enunciato: “siano a e b due numeri reali; se a≠0 e b≠0 e ab=0 allora 1=0”. In questo caso non si tratta del contronominale, ma di un enunciato che ha come ipotesi la negazione dell’enunciato da dimostrare (ossia la congiunzione dell’ipotesi e della negazione della tesi dell’enunciato da dimostrare), e come tesi una proposizione falsa. In entrambi i casi si è passati da un enunciato da dimostrare ad un secondo enunciato. In altri termini, per dimostrare un enunciato, che chiamiamo enunciato principale ed indichiamo con E, è stato dimostrato in modo diretto un altro enunciato, che chiamiamo secondario e indichiamo con E*. Enunciato principale E n numero naturale Enunciato secondario E* n numero naturale se n2 è pari allora n pari a,b numeri reali se n dispari allora n2 è dispari a,b numeri reali Se ab=0 allora a=0 oppure b=0 Se a≠0 e b≠0 e ab=0 allora 1=0 Tabella 1 Enunciato principale ed enunciato secondario in due dimostrazioni per assurdo. Più in generale, qualora l’enunciato sia espresso come implicazione, cioè, in simboli E=p→q, è possibile esprimere la struttura dell’enunciato secondario, che può essere solitamente di due tipi: E*=¬q→¬p (contronominale) oppure E*=p∧¬q→r∧¬r, dove r indica una proposizione qualsiasi (nell’esempio 2, r è ”1≠0” e ¬r è ”1=0”, o viceversa). Osserviamo che, dal punto di vista logico, dimostrato E*, per completare la dimostrazione di E, è necessario che risulti valido anche E*→E; infine, da E* e da E*→E seguirà E per la nota regola logica del modus ponens. E’ importante notare che la relazione di implicazione tra E* ed E non dipende dal contenuto degli enunciati stessi, ovvero la dimostrabilità dell’implicazione E*→E può essere indipendente dalla Teoria nella quale sono formulati E e E*. In altre parole, la validità di E*→Ε dipende dalla teoria logica, o Meta-teoria, rispetto alla quale sono definite le regole d’inferenza che stabiliscono la validità delle dimostrazioni stesse. Per esempio, E*→E è un enunciato valido nella logica classica, ma non è in generale valido nella logica minimale o nella logica intuizionistica2. Si capisce allora perché è opportuno, come faremo nel seguito, distinguere la Teoria matematica (come l’algebra, la geometria Euclidea, ecc.) dalla teoria logica, o Metateoria, rispetto alla quale sono definite le regole d’inferenza. Dunque è necessario un raffinamento della nozione di Teorema già introdotta, in cui, relativamente al termine teoria (in corsivo in questo articolo) si distingua esplicitamente tra Teoria matematica (T) e Metateoria (MT). Questo, per tre ordini di ragioni, uno di carattere logico, uno di carattere cognitivo, uno di carattere didattico. 1. Dal punto di vista logico, E*→E è un enunciato che si può dimostrare solo in alcune Meta-teorie; in certe Meta-teorie E*→Ε non è dimostrabile e le conseguenze sono notevoli: in queste Meta-teorie la dimostrazione per assurdo non è un procedimento dimostrativo valido. 2. Dal punto di vista cognitivo, i dati sperimentali mostrano che per molti studenti i passaggi meta-teorici della dimostrazione per assurdo (cioè il passaggio dalla dimostrazione di E* alla dimostrazione di E ed il legame tra queste due dimostrazioni) non sono naturali. 3. Dal punto di vista didattico, tradizionalmente a scuola non solo non viene esplicitata in nessuna forma la Meta-teoria, ma non è nemmeno esplicitato o problematizzato il fatto che certi procedimenti dimostrativi siano o meno accettabili. Gli aspetti meta-teorici sono di solito dati per scontati in quanto 2 Per una definizione di logica classica, minimale e intuizionistica e una trattazione delle rispettive regole di inferenza si veda, per esempio, (Prawitz, 1971). considerati ovvi. I giudizi sull’accettabilità di un’argomentazione matematica sono considerati naturali e lasciati al cosiddetto “saper ragionare” così come viene ritenuto spontaneo il passaggio dall’aver dimostrato E* all’aver dimostrato E. Nel paragrafo successivo riassumiamo quanto appena discusso sotto forma di un modello per la dimostrazione per assurdo che ne descrive gli aspetti chiave. Tale modello sarà poi utilizzato nell’analisi di alcuni esempi tratti dai nostri dati sperimentali. 2.3 Il modello di dimostrazione per assurdo In base all’analisi precedente, in una dimostrazione per assurdo di un enunciato E è dunque possibile identificare tre enunciati: E, E*, E*→E. Chiamiamo E enunciato principale, E* enunciato secondario; chiamiamo E*→E meta-enunciato per sottolineare il suo carattere meta-teorico. I tre teoremi corrispondenti, con le dimostrazioni e le rispettive teorie di riferimento sono: 1. un teorema (che chiamiamo sotto-teorema e che indichiamo con (E*,C,T)) con enunciato E* e dimostrazione diretta C che si basa su una Teoria matematica T; 2. un meta-teorema (che indichiamo con (ME,MD,MT)), con meta-enunciato ME=E*→E e meta-dimostrazione MD che si basa su una Meta-teoria MT; 3. il teorema principale, con enunciato E e dimostrazione per assurdo di E che si basa sia sulla Teoria T sia sulla Meta-teoria MT. Chiamiamo dimostrazione per assurdo di E la coppia costituita dal sotto-teorema (E*,C,T) e dal meta-teorema (ME,MD,MT); la dimostrazione per assurdo di un enunciato E sarà quindi indicata con D=[(E*,C,T),(ME,MD,MT)]. In altri termini, una dimostrazione per assurdo consiste in una coppia di teoremi di due livelli teorici diversi, il livello della Teoria T e il livello della Meta-teoria MT. Figura 1 Il modello di teorema con dimostrazione per assurdo, costruito a partire dal modello di teorema come enunciato, dimostrazione e teoria di riferimento. Ricapitolando, in una dimostrazione per assurdo è possibile individuare tre enunciati e quindi tre dimostrazioni: gli enunciati sono E, E*, ME, le cui dimostrazioni sono, rispettivamente [(E*,C,T) , (ME,MD,MT)], C, MD: • [(E*,C,T) , (ME,MD,MT)] è la dimostrazione (per assurdo) di E. • C è la dimostrazione (diretta) di E*. • MD è la meta-dimostrazione di ME. ENUNCIATO DIMOSTRAZIONE LIVELLO TEORICO E* C diretta Teoria T E*→E MD Meta-teoria (MT) E (E*,C,T)+(ME,MD,MT) T+MT Per assurdo Teoria e Meta-teoria Tabella 2 Enunciati, dimostrazioni e livelli teorici in un teorema con dimostrazione per assurdo. In evidenza gli unici elementi di solito esplicitati. Infine, in modo coerente con questa analisi è possibile descrivere un teorema con una dimostrazione per assurdo, con la notazione (E, [(E*,C,T),(ME,MD,MT)], [T,MT]). 2.4 Analisi logica della dimostrazione per assurdo Analizziamo (E, [(E*,C,T),(ME,MD,MT)], [T,MT]) dal punto di vista logico. (E*,C,T) è un teorema valido nella Teoria T. Come ben illustrato dall’esempio precedente, è (E*,C,T) ad essere il vero teorema compiutamente dimostrato nella Teoria, anche se poi sarà l’enunciato E che resterà come enunciato di ciò che viene comunemente indicato con il termine teorema. Il teorema (E*,C,T), seppure in termini logici sia un teorema valido, non ha un ruolo in sè nella Teoria, ma assume un ruolo solo nella costruzione della dimostrazione di E. Ad esempio, il teorema il cui enunciato è “siano a e b due numeri reali; se ab=0, a≠0 e b≠0 allora 1=0 ” non è certo considerato, né dai matematici né dagli studenti, un teorema dell’algebra, anche se dal punto di vista logico è un teorema a tutti gli effetti, in quanto esprime una relazione valida tra due proposizioni (la proposizione “ab=0 e a≠0 e b≠0 ” e la proposizione “1=0”). Al contrario, l’enunciato principale “siano a e b due numeri reali; se ab=0 allora a=0 oppure b=0” è l’enunciato di un teorema che una volta dimostrato sarà inglobato nella Teoria e all’occorrenza utilizzato. Questa discrepanza, come vedremo, non presenta problemi dal punto di vista logico, ma può presentare problemi dal punto di vista cognitivo, quando sia prevista una distinzione di ruolo tra teoremi. Particolarmente rilevante per le implicazioni che può presentare dal punto di vista cognitivo è l’analisi di (E*,C,T) in relazione ai valori di verità dell’ipotesi e della tesi di E*. E’ importante anzitutto esplicitare una fondamentale differenza tra due tipi di dimostrazioni per assurdo: • Sia E=p→q e E*=¬q→¬p. L’enunciato E* ha come ipotesi ¬q, la negazione della tesi (q) dell’enunciato E. La negazione della tesi (come la tesi stessa) può essere vera o falsa (nell’esempio 1 di prima, questo accade a seconda che n sia pari o dispari). • Sia E=p→q e E*=p∧¬q→r∧¬r. L’enunciato E* ha come ipotesi p∧¬q, la negazione dell’enunciato E, sicuramente falsa se E è un enunciato vero. Questa distinzione ha conseguenze dal punto di vista cognitivo, quando oltre la struttura logica si tenga conto dell’interpretazione data agli enunciati. Concentriamo la nostra attenzione sul secondo tipo di dimostrazione. Dal punto di vista logico, osserviamo che: • nonostante la falsità dell’ipotesi e della tesi, l’enunciato E* è ben formulato. Inoltre, proprio per la falsità dell’ipotesi, coerentemente con la tavola di verità dell’implicazione3, E* risulta essere vero; • la dimostrazione C è una dimostrazione valida di E*. Questo significa qualcosa di più della verità di E*, cioè la possibilità di costruire una catena deduttiva in una particolare Teoria di riferimento, nonostante la falsità dell’ipotesi e della tesi dell’enunciato; • le deduzioni in una Teoria matematica sono indipendenti dall’interpretazione degli enunciati in gioco: gli assiomi e i teoremi di una Teoria Matematica possono essere applicati anche ad oggetti matematicamente impossibili e quindi assurdi, quali, per esempio, due numeri reali a e b diversi da zero tali che ab=0, la radice quadrata razionale di 2, rette parallele che si incontrano, ecc. Come esempio, consideriamo uno dei teoremi prima esposti e analizziamo la sua dimostrazione in base a queste osservazioni. Enunciato (principale): siano a e b due numeri reali. Se ab=0 allora a=0 oppure b=0. Dimostrazione: supponiamo per assurdo che ab=0 e che a≠0 e b≠0. Allora possiamo dividere entrambi i membri dell’uguaglianza ab=0 per a (perché a≠0) e per b (perché b≠0) ottenendo 1=0. Come già detto, si tratta della dimostrazione diretta dell’enunciato secondario “siano a e b due numeri reali; se a≠0 e b≠0 e ab=0 allora 1=0”. L’ipotesi di questo enunciato, “a≠0 e b≠0 e ab=0” è falsa in quanto non esistono due numeri reali a e b tali che a≠0 e b≠0 e ab=0; la tesi, “1=0”, è falsa perché 1≠0. L’implicazione espressa dall’enunciato 3 Ricordiamo che una implicazione A→Β è falsa se e solo se A è vera e B è falsa. è vera, in virtù della tavola di verità, e del fatto che l’ipotesi è falsa. La dimostrazione si basa sulla Teoria dei numeri reali, in particolare sui due assiomi: • assioma 1: se a≠0, esiste un inverso moltiplicativo di a; • assioma 2: se entrambi i membri di un’uguaglianza sono moltiplicati per lo stesso numero, si ottiene una nuova uguaglianza. In questa dimostrazione, gli assiomi vengono utilizzati per produrre deduzioni relative a oggetti matematici impossibili. L’assioma 1 è infatti applicato a due numeri reali a e b tali che a≠0, b≠0 e ab=0; l’assioma 2 è applicato all’uguaglianza “ab=0”, formulata con due numeri reali che non esistono. In conclusione, mentre la verità dell’enunciato secondario E* dipende dalla tavola di verità dell’implicazione e dalla falsità della sua ipotesi, la validità della sua dimostrazione C è basata sulla validità di una catena deduttiva all’interno di una Teoria T che si applica a oggetti matematicamente impossibili. (ME,MD,MT) è un meta-teorema valido nella Meta-teoria MT. La meta-dimostrazione MD si basa sugli assiomi logici della Metateoria MT. Esplicitare MT qui, ha un duplice obiettivo: da un lato quello di porre l’accento sul fatto che la meta-dimostrazione MD si basa sugli assiomi logici, dall’altro che, proprio per questo, il teorema è valido solo all’interno di alcune Meta-teorie4. [(E*,C,T) , (ME,MD,MT)] è una dimostrazione valida di E. Questa affermazione è un secondo meta-enunciato: l’enunciato E viene dimostrato per modus ponens dai due teoremi (E*,C,T) e (ME,MD,MT): da E*, e E*→E segue E. Il primo è un teorema della 4 Come già osservato, per esempio nella meta-teoria MT della logica minimale o in quella intuizionistica, l'enunciato ME non è in generale dimostrabile. Teoria T, il secondo un teorema della Meta-teoria MT. La dimostrazione per assurdo di E è il risultato dell’articolazione di teoremi posti su livelli diversi della teoria (come illustrato in figura 1). 2.5 Un esempio: l’irrazionalità di 2 Vediamo adesso di utilizzare il modello per l’analisi di una dimostrazione per assurdo spesso proposta nei testi, la dimostrazione dell’irrazionalità di 2 . L’esempio ha l’obiettivo di mostrare come il modello presentato sia utile quale strumento di analisi descrittiva. La tabella seguente mette in luce gli elementi strutturali del teorema: Teorema Teorema: il numero 2 è irrazionale. Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che sia 2 =m/n, essendo m e n interi positivi primi fra loro. La relazione 2 =m/n ci dà subito m2=2n2. Si deduce allora che m2 è pari: pertanto m è pari. Posto allora m=2r, si ha 2r2=n2, da cui si ricava che anche n è pari, contraddicendo il fatto che m ed n siano primi tra loro. Elementi strutturali 1) Esposizione dell’enunciato E 2) Affermazione di apertura: esposizione dell’ipotesi di E* 3) Sviluppo della dimostrazione C: Dimostrazione diretta dell’enunciato secondario 4) Affermazione di chiusura Tabella 3 Analisi strutturale di un teorema con dimostrazione per assurdo. Analizziamo in dettaglio i singoli elementi: 1) Viene presentato l’enunciato principale E del teorema: il numero 2 è irrazionale. 2) Affermazione di apertura ed esposizione dell’ipotesi dell’enunciato E*: Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che sia 2 =m/n, essendo m ed n interi positivi primi fra loro. La dimostrazione inizia esponendo le ipotesi da cui si intende partire, ma attraverso la formula “supponiamo per assurdo...”, che in realtà significa “ora cambiamo schema dimostrativo”, “dimostriamo un altro enunciato” del quale viene specificata l’ipotesi: “ 2 è un numero razionale”. Dunque l’incipit di una dimostrazione per assurdo assolve la funzione di segnalare il passaggio ad uno schema dimostrativo particolare, del quale si presuppone la condivisione, in particolare si presuppone che sia accettato come schema di inferenza. Per seguire la dimostrazione è necessario che si possa anticipare in che modo la dimostrazione dell’enunciato secondario porterà alla dimostrazione dell’enunciato principale. In particolare, è necessario cogliere che il sotto-teorema (E*,C,T) potrà poi essere usato come “argomento” per la dimostrazione di E. 3) Sviluppo della catena C: La relazione 2 =m/n ci dà subito m2=2n2. Si deduce allora che m2 è pari: pertanto m è pari. Posto allora m=2r, si ha 2r2=n2, da cui si ricava che anche n è pari. Si tratta della dimostrazione del sotto-teorema (E*,C,T). Da notare che solo in questo momento è possibile ricostruire l’enunciato secondario E* nella sua completezza: enunciato secondario: se 2 è razionale esistono due interi positivi m e n primi tra loro che non sono primi tra loro. 4) Affermazione di chiusura: contraddicendo il fatto che m ed n siano primi tra loro. Si tratta di un’osservazione sul sotto-teorema: si esplicita il fatto che la proprietà dimostrata è in contraddizione con una delle ipotesi assunte. In altri termini, secondo quanto era stato annunciato all’inizio e come dunque il lettore doveva aspettarsi, si è giunti ad una contraddizione r∧¬r, dove r è la proposizione “m e n sono primi tra loro”. Di solito a questa dimostrazione non viene aggiunto altro: tutti i passaggi meta-teorici del meta-teorema, necessari per completare la dimostrazione dell’enunciato principale E, restano impliciti, evocati ma mai presentati dall’incipit “supponiamo per assurdo…”. Come abbiamo visto il modello offre una griglia per distinguere la dimostrazione per assurdo in parti ed esplicitarne i legami. Questa organizzazione renderà possibile in primo luogo individuare e descrivere alcune problematiche e in secondo luogo analizzare ed interpretare i dati raccolti. 3. IPOTESI E ANALISI DI ALCUNI PROTOCOLLI Il modello presentato offre elementi chiave per la descrizione e lo studio dei processi cognitivi di studenti alle prese con dimostrazioni per assurdo. Suddividere la dimostrazione per assurdo in componenti più semplici permette infatti di studiare gli errori e le difficoltà in modo più sistematico, classificandoli a seconda dell’elemento coinvolto e del livello teorico in cui essi si situano. Inoltre, il modello permette di formulare in modo preciso molte ipotesi di ricerca, tra le quali in questo articolo proponiamo le seguenti: 1) il passaggio dalla dimostrazione dell’enunciato principale alla dimostrazione dell’enunciato secondario può essere problematico; in particolare il fatto che una dimostrazione dell’enunciato secondario sia sufficiente come dimostrazione dell’enunciato principale può non essere riconosciuto o, comunque, accettato intuitivamente (nel senso di Fischbein, 1987); 2) difficoltà e blocchi possono emergere nella dimostrazione dell’enunciato secondario, dove a volte si fanno inferenze a partire da affermazioni palesemente false. In altre parole, il meta-enunciato ME e la dimostrazione C del sottoteorema possono essere fonti di difficoltà e possono bloccare lo studente nel dare un senso, nell’accettare e nel costruire una dimostrazione per assurdo. Utilizzando il modello proposto analizziamo ora due protocolli che convalidano le ipotesi formulate. Nella trascrizione, abbiamo indicato con “I” l’intervistatore e con l’iniziale dello pseudonimo lo studente intervistato; in grassetto abbiamo riportato quelle parti che i soggetti hanno in qualche modo enfatizzato. 3.1 Il passaggio dall’enunciato principale all’enunciato secondario Al soggetto della seguente intervista, Fabio, uno studente del IV anno del corso di laurea in fisica (vecchio ordinamento), era stato chiesto di esprimere un giudizio sulla dimostrazione per assurdo. PROTOCOLLO F: La dimostrazione per assurdo è artificiosa: come se ne esce? Va beh, okay, sei arrivato all’assurdo... e allora? [...] ANALISI Fabio intende che non “vede” il legame tra E e E*: sembra che sia il metateorema a presentare le maggiori difficoltà, come, in effetti, emerge anche dal seguito del protocollo. Non vedo che quella conclusione è legata all’altra, manca la scintilla [...] I: Facciamo un esempio: prendiamo un numero naturale n, teorema: se n2 è pari allora n è pari. Dimostro: se n è dispari lo scrivo n=2k+1, quindi... [I scrive i passaggi algebrici] n2=2(2k2+2k)+1 è dispari. L’intervistatore propone un esempio. F: Si, beh, lo capisco, è meglio dimostrare che se n è dispari allora n2 è dispari. Fabio riconosce ed esplicita l’enunciato secondario E*. Osserviamo che il soggetto mostra anche una certa consapevolezza del fatto che dimostrare in questo modo è più semplice (“è meglio dimostrare che...”). L’enunciato principale è E: se n2 è pari allora n è pari. La dimostrazione proposta è per assurdo: viene dimostrato per via diretta l’enunciato E*, che resta implicito: se n è dispari allora n2 è dispari. I: E allora quale è il problema? F: Il problema è che così abbiamo dimostrato che n dispari implica n2 dispari, e questo mi torna; ma non mi dà soddisfazione per quell’altro. Emerge con grande chiarezza il pensiero di Fabio. Il soggetto individua e tiene distinti i due enunciati in gioco e riconosce ed accetta la dimostrazione presentata, C, come dimostrazione di E* (“abbiamo dimostrato che n dispari implica n2 dispari, e questo mi torna ”) ma non come dimostrazione di E (“non mi dà soddisfazione per quell’altro”). I: Sei d’accordo che i numeri naturali sono pari o dispari e non c’è altro? F: Ovviamente si... e ora mi dirai: n2 è pari, n è pari o dispari, ma se fosse dispari n2 sarebbe dispari e invece era pari... si va beh, questo lo so, ma... mi sfugge qualcosa. Fabio sa riproporre con chiarezza il modo con cui spesso viene giustificata una dimostrazione per assurdo, ciò nonostante, gli “sfugge qualcosa”. F: Innanzitutto, perché devo partire da n non pari? Non vedo immediata conclusione. E poi, alla fine: quindi non può essere altro che n pari, è un salto, il salto della conclusione... è un atto di fede... si, alla fine è un atto di fede. Il passaggio dall’aver dimostrato l’enunciato secondario all’aver dimostrato l’enunciato principale non è immediato, anzi, come appare evidente dalle espressioni usate, non è accettato. F: Si, diciamo che ci sono due salti, un salto iniziale e un salto finale. Neanche il salto iniziale mi è comodo: perché devo partire da qualcosa che non è? [...] Il salto finale è comunque il peggiore, [...] è un salto logico, un atto di fede che devo fare, un sacrificio che faccio. I salti, i sacrifici, se sono piccoli sono disposto a farli, se si sommano sono troppo grandi. F: Tutto il mio discorso converge verso il sacrificio del salto logico dell’esclusione, assurdo o esclusione, ciò che non è, non la cosa diretta. Va tutto bene, ma quando mi devo ricollegare... Alla fine, con “esclusione” probabilmente intende che arrivati all’assurdo si esclude la possibilità che l’ipotesi di E* sia vera e quindi, per usare le sue parole, “non può essere altro che ” vero E. Colpisce la profondità con cui Fabio sembra aver compreso il meccanismo della dimostrazione per assurdo, pur non accettandola come dimostrazione. Nel protocollo appare chiaramente che Fabio individua l’enunciato principale e quello secondario, riconosce ed accetta la dimostrazione diretta come dimostrazione dell’enunciato E* ma non accetta il passaggio dall’aver dimostrato E* all’aver dimostrato l’enunciato principale E. Possiamo dire che per Fabio il legame logico espresso dal meta-teorema non rappresenta un’intuizione nel senso di (Fischbein, 1987), come appare evidente dalle espressioni utilizzate nel parlarne: “non mi dà soddisfazione”, “mi sfugge qualcosa”, “non vedo immediata conclusione”, “alla fine [c’è] un salto, un atto di fede”, ”va tutto bene, ma quando mi devo ricollegare...”, “i salti, i sacrifici, se sono piccoli sono disposto a farli, se si sommano sono troppo grandi”. Ci sembra anche interessante notare le metafore usate dal soggetto per descrivere i passaggi tra i due enunciati. I “salti” che lui dovrebbe compiere per riuscire a “ricollegare” (quindi riferito a qualcosa che è “scollegato”, “staccato”) esprimono in modo drammatico (parla di “sacrifici […] troppo grandi ”) la fatica cognitiva, lo sforzo che il soggetto si trova a dover fare. 3.2 La Teoria nella dimostrazione del sotto-teorema Riportiamo ora un’intervista che mette in evidenza alcune difficoltà inerenti la dimostrazione dell’enunciato secondario. Il soggetto, Maria, studentessa del V anno del corso di laurea in farmacia, ha difficoltà ad applicare la Teoria matematica in una situazione nella quale si suppone vero qualcosa che è falso in modo evidente. Ci sembra un buon esempio che illustra come la difficoltà di interpretare proposizioni “contro le normali vedute“ ostacoli la costruzione o la valutazione di una dimostrazione. PROTOCOLLO ANALISI I: Proveresti a dimostrare per assurdo che, se ab=0 allora a=0 oppure b=0? M: [...] dunque, supponiamo ab=0 con a diverso da 0 e b diverso da 0... posso dividere per b... ab/b=0/b... cioè a=0. Non so se questa è una dimostrazione, perché ci possono essere tante cose che non ho visto. L'intervistatore chiede esplicitamente una dimostrazione per assurdo. M: E poi, così come ab=0 con a diverso da 0 e b diverso da 0, che è contro le mie normali vedute e devo far finta che sia vero, non so se posso considerare vero che 0/b=0. Cioè non so cosa è vero e cosa faccio finta che sia vero. Emergono le difficoltà del soggetto nella valutazione della dimostrazione del sotto-teorema. Queste difficoltà sembrano dovute al fatto che alcune fondamentali verità sono state sovvertite al punto che il soggetto stesso dichiara di non avere più il controllo su ciò che è vero e su ciò che non lo è. I: Poniamo di poter usare che 0/b=0. M: Viene che a=0 e quindi... siamo tornati nella realtà. Allora è dimostrato perché... anche nel mondo assurdo viene fuori una cosa vera; quindi non posso stare nel mondo assurdo. Il mondo assurdo ha le sue regole che sono assurde e se non le rispetta torna indietro. Il soggetto chiama “assurdo” il “mondo” in cui è verificata l’ipotesi falsa dell’enunciato secondario. Per Maria, le “regole” (la Teoria) da applicare nella dimostrazione del sotto-teorema, sono specifiche di un “mondo assurdo” e quindi diverse da quelle da applicare nella costruzione di dimostrazioni in un “mondo non assurdo”. La difficoltà nasce dal fatto che Maria non ha il controllo su tali regole. I: Chi torna indietro? M: È come se a, b, ab andassero dal mondo reale al mondo assurdo, ma le regole su di loro non funzionano e Laddove si ha a che fare con qualcosa di falso, secondo Maria, può succedere di tutto, anche che 0/b≠0. L’assurdità dell’ipotesi dell’enunciato secondario Maria propone una dimostrazione, ma non è sicura della sua validità. quindi devono tornare indietro... M: Ma il mio problema è capire quali sono le regole del mondo assurdo, sono quelle del mondo assurdo o del mondo reale? È per quello che ho problemi a sapere se 0/b=0, non so se è vero nel mondo assurdo. [......] rende dunque difficile l’applicazione della Teoria T; Maria pensa addirittura che vi sia un’altra Teoria T* diversa e più adatta alla situazione assurda: il “mondo reale” ha le sue “regole”, il “mondo assurdo” ne ha altre. I: (scrive la dimostrazione dell’irrazionalità di radice di 2). Cosa ne pensi? M: In questo caso, mi torna tutto, ma perché? ... forse nel momento in cui ho accettato che radice di 2 è una frazione io ho continuato a stare nel mio mondo, ho fatto i calcoli come di solito, non mi sono posta problemi del tipo che un numero primo in questo mondo non è più un numero primo o che per assurdo un numero non è rappresentato dal prodotto di numeri primi. La differenza con l’annullamento del prodotto sta nel fatto che questo è ovvio, mentre che radice di due è una frazione ci posso credere che è vero e vado avanti come se fosse vero. Nell’annullamento del prodotto non posso far finta così, non riesco a dirmi una bugia del genere e a crederci pure. Maria dichiara di poter seguire la dimostrazione dell’irrazionalità di 2 perché il fatto che 2 sia un numero razionale è credibile. Le verità per Maria fondamentali non sono poste in discussione: il “mondo assurdo”, cioè il mondo in cui 2 è razionale, è “credibile” (“ci posso credere che è vero e vado avanti come se fosse vero”). In questo caso, la Teoria T non è posta in discussione, le “regole” da applicare sono quelle usuali. Dal protocollo appare evidente che Maria ha difficoltà nel valutare l’argomentazione da lei prodotta. Alla radice delle difficoltà di Maria sembra esserci il fatto che “nel mondo assurdo” vengono sovvertite alcune relazioni fondamentali da lei considerate vere. Di conseguenza, Maria non sa più ciò che è vero e ciò che non lo è. L’assunzione di ipotesi false sembra mandare in cortocircuito il sistema di conoscenze del soggetto e indurre esitazioni e dubbi sull’argomentazione prodotta. In termini del modello, la difficoltà più evidente per Maria si situa dunque al livello del sotto-teorema (E*,C,T) e sembra dipendere dal fatto che il soggetto non riesce a identificare la Teoria di riferimento sulla quale basare la dimostrazione. Maria pensa addirittura che vi sia un’altra Teoria T* diversa e più adatta alla situazione assurda: il “mondo reale” ha le sue “regole”, il “mondo assurdo” ne ha altre, al punto che diventa difficile stabilire se 0/b sia uguale o diverso da zero. Come già osservato nell’analisi logica, è proprio il fatto che si applica la Teoria di riferimento T a garantire la validità della dimostrazione del sotto-teorema e di conseguenza di tutta la dimostrazione per assurdo. Maria sembra non cogliere questo aspetto fondamentale e focalizza la sua attenzione sulla verità piuttosto che sulla validità. In altri termini, sembra importante, per accettare una dimostrazione, partire da ipotesi vere o comunque potenzialmente vere. Nel “mondo reale” (espressione con la quale probabilmente il soggetto intende “situazioni non assurde”), o comunque in un mondo che il soggetto può ritenere “reale” (come quello dove 2 è razionale) potrebbe non esserci la necessità di spostare il punto di vista dalla verità alla validità; in quest’ultimo caso il soggetto non mette in discussione la Teoria (le “regole”) da applicare. Partire da ipotesi false manda invece in crisi un processo argomentativo che sembra richiedere la verità delle ipotesi più che la validità delle implicazioni (si veda anche Mariotti & Antonini). 4. CONCLUSIONI L’obiettivo del lavoro qui presentato è stato quello di costruire un modello che tenesse conto degli aspetti fondamentali della struttura della dimostrazione per assurdo e che, allo stesso tempo, fornisse un efficace strumento descrittivo e interpretativo di analisi cognitiva e didattica. Il modello proposto evidenzia l’articolazione tra il livello teorico ed il livello meta-teorico, e descrive il legame logico tra l'enunciato principale, del quale si intende provare la validità, e l'enunciato secondario, del quale si produce una dimostrazione, generalmente diretta. L'individuazione dei diversi enunciati (principale, secondario, meta-enunciato), e dei diversi teoremi (principale, sotto-teorema, meta-teorema) ha permesso di distinguere elementi significativi a livello cognitivo; in particolare, i diversi elementi del modello hanno permesso di distinguere ed interpretare profonde differenze tra le difficoltà incontrate dagli studenti con le dimostrazioni per assurdo. Di fatto, il modello si è rivelato particolarmente efficace per la descrizione delle dimostrazioni per assurdo, per l’individuazione e l’analisi delle difficoltà degli studenti, e per la formulazione di precise ipotesi di ricerca. In questo articolo, abbiamo riportato due prime ipotesi riguardanti problematiche di natura cognitiva a proposito dell’accettazione dello schema per assurdo quale metodo dimostrativo e del ragionamento a partire da ipotesi false. L’analisi dei protocolli sembra confermare le ipotesi formulate. Per quanto riguarda la complessità del passaggio dall’enunciato principale all’enunciato secondario il protocollo di Fabio è estremamente illuminante. Anche se in grado di descrivere con chiarezza la struttura della dimostrazione per assurdo, che sembra conoscere nei dettagli, Fabio esprime con forza la sua difficoltà ad accettare una dimostrazione dell’enunciato secondario come dimostrazione dell’enunciato principale. Molte sono le implicazioni didattiche a questo proposito. Prima di tutto risulta importante che l’insegnante sia consapevole della complessità intrinseca di una dimostrazione per assurdo ed in particolare della possibilità che la dimostrazione fornita non venga accettata come dimostrazione dell’enunciato principale. Come già stato osservato, l’insegnamento tradizionale sembra dare poco peso all’aspetto teorico delle dimostrazioni (Mariotti et al., 1997; Mariotti, 2000), ma ancor meno spazio sembra essere concesso alla trattazione degli aspetti metateorici, troppo spesso dati per scontati, perché considerati naturali e intuitivi: è piuttosto diffuso il presupposto, più o meno esplicito, che la Meta-teoria riguardi il “saper ragionare”, e non ci sia quindi bisogno di un insegnamento specifico. Può anche accadere che la complessità meta-teorica descritta sia del tutto ignorata da alcuni insegnanti per i quali lo schema dimostrativo “per assurdo” potrebbe essere un’intuizione così forte da essere considerato “naturale”. In questi casi, può diventare difficile anche solo prendere coscienza dei “salti” individuati da Fabio nel protocollo proposto. Inoltre sembra che l’accettazione della dimostrazione non possa essere data per scontata nemmeno dopo che lo studente sa descrivere o costruire correttamente una dimostrazione per assurdo, come accade nel protocollo analizzato. Sembra dunque che il problema dell’accettazione non possa venir superato con lezioni tradizionali o con l’insegnamento a parte di un capitolo di logica (situazioni che Fabio, studente universitario di fisica, ha senz’altro vissuto più volte). Certamente ulteriori ricerche sono necessarie per studiare le problematiche relative all’accettabilità dello schema dimostrativo, ossia, in termini del modello proposto, relative alla accettabilità (Fischbein, 1987) che una dimostrazione dell’enunciato secondario sia anche una dimostrazione dell’enunciato principale. Per quanto riguarda l’ipotesi sulle difficoltà nella dimostrazione di un enunciato con ipotesi false, interessanti problematiche sono emerse in modo chiaro dal protocollo di Maria, la cui attenzione alla verità degli argomenti usati nei singoli passi nella catena deduttiva più che alla validità della catena stessa causa notevoli difficoltà nella dimostrazione del sotto-teorema. Il soggetto, in questo caso, non riesce ad avere il controllo sui passaggi della dimostrazione, in quanto non sa più ciò che è vero e ciò che non lo è. L’analisi del protocollo conferma l’ipotesi sulle difficoltà inerenti al sotto-teorema e porta evidenza sperimentale a quanto asserito da Leron (1985) sulla fatica cognitiva di un ragionamento in un mondo falso. Il modello ha anche permesso di mettere in luce come un nodo importante sia la gestione della Teoria di riferimento nella validazione di enunciati con ipotesi false. In conclusione, ci sembra che le problematiche evidenziate in questo articolo richiedano ulteriori ricerche su due fronti intimamente legati. Da un lato, si tratta di progettare attività didattiche opportune per favorire il superamento dei blocchi e delle difficoltà. In accordo con Freudenthal (1973), Thompson (1996) e Epp (1998) riteniamo che potrebbero essere didatticamente efficaci situazioni in cui gli studenti producono argomentazioni che hanno una struttura in qualche senso ‘vicina’ a quella di una dimostrazione per assurdo. Su questa linea, e tenendo presente il suggerimento di Polya (1967) sulla possibilità che un ragionamento per assurdo fornisca un buon metodo di scoperta, ci sembra particolarmente adatto il quadro teorico dell’Unità Cognitiva (Garuti et. al., 1996a; Mariotti et. al., 1997; Pedemonte, 2002), che si occupa delle relazioni tra la produzione di una congettura, di un’argomentazione e di una dimostrazione. Per esempio, Antonini (2003b) ha mostrato che, nella fase della produzione di una congettura, la costruzione da parte dello studente di un esempio che non soddisfa i dati del problema può portare ad una argomentazione con la struttura di una dimostrazione per assurdo. Si apre dunque la necessità di una ricerca su un altro fronte, ossia quello dell’analisi fine dei processi cognitivi in situazioni di produzione di congetture, allo scopo di identificare quei processi che sembrano portare alla costruzione di un’argomentazione ‘strutturalmente simile’ a una dimostrazione per assurdo. Tale ricerca richiederà un adeguato studio teorico sull’argomentazione, allo scopo di definire con maggior precisione continuità e differenze tra le argomentazioni e la dimostrazione per assurdo e tra i processi cognitivi che portano alla loro costruzione. 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