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La dimostrazione per assurdo: un modello per un`analisi cognitiva e
La dimostrazione per assurdo: un modello per
un’analisi cognitiva e didattica
Sommario
A partire da una discussione generale sulla dimostrazione matematica
e da una sua analisi di carattere strutturale, proponiamo un modello per
la descrizione delle dimostrazioni per assurdo. Il modello si rivelerà
uno strumento efficace per l’individuazione, l’analisi e
l’interpretazione di problematiche di carattere cognitivo e didattico, e
per la formulazione di precise ipotesi di ricerca in relazione alle
dimostrazioni per assurdo.
Abstract
After a general discussion on mathematical proof and from a structural
analysis of it, we propose a model to describe proof by contradiction.
The model can be used as an efficient tool to identify, analyze and
explain cognitive and didactical issues, and to formulate precise
research hypotheses regarding proof by contradiction.
Samuele Antonini
Maria Alessandra Mariotti
La dimostrazione per assurdo: un modello per
un’analisi cognitiva e didattica
Samuele Antonini♦, Maria Alessandra Mariotti♣
Il diffuso interesse dei ricercatori in didattica per il tema della
dimostrazione matematica ha portato alla pubblicazione di numerosi
lavori e alla costruzione di quadri teorici estremamente efficaci per
affrontare il problema della dimostrazione in campo educativo (si
vedano, per esempio, Balacheff, 1987, 1988; Duval, 1992-93; Harel et
al., 1998; Garuti et. al., 1996a, 1996b, 1998; Mariotti et. al., 1997;
Pedemonte, 2002). In queste ricerche si identificano e si affrontano
problematiche di natura didattica relative alla dimostrazione da vari
punti di vista, ma solo raramente vengono approfondite le questioni
che emergono dalle specifiche strutture dimostrative. Un certo
interesse è stato dedicato alle dimostrazioni per induzione (si vedano
per esempio, Harel, 2001; Pedemonte, 2002); poco spazio, invece, è
stato riservato alle dimostrazioni per assurdo. E’ di queste ultime che
intendiamo occuparci in questo lavoro.
I lavori presenti in letteratura su questo specifico argomento, come già
accennato, non sono inquadrati in un quadro teorico unitario della
dimostrazione; comunque, pur trattando il tema da punti di vista molto
diversi, concordano su un fatto, ossia che in generale gli studenti
manifestano maggiori difficoltà con le dimostrazioni per assurdo che
con quelle dirette. Molte delle difficoltà incontrate dagli studenti
sembrano inoltre non facili da superare con la pratica scolastica
♦
♣
Dipartimento di Matematica – Università di Pavia
Dipartimento di Scienze Matematiche ed Informatiche – Università di Siena
tradizionale, tanto è vero che anche per laureati in discipline
scientifiche le dimostrazioni per assurdo possono presentare ancora dei
problemi (Bernardi, 2002).
Occorre certamente tener conto che una causa delle difficoltà con
questo tipo di dimostrazioni è riconducibile alla scarsa attenzione
prestata all’argomento nell’insegnamento tradizionale (Thompson,
1996). Ma alcuni ricercatori hanno messo in evidenza come certe
caratteristiche, specifiche della dimostrazione per assurdo, influenzano
pesantemente i processi cognitivi degli studenti. Per esempio, secondo
Leron (1985), è la falsità delle ipotesi di partenza la causa principale
delle difficoltà. Wu Yu et al. (2003) e Antonini (2003a, 2006) hanno
rilevato strette relazioni tra le difficoltà inerenti alla formulazione e
all’interpretazione della negazione e quelle relative alle dimostrazioni
per assurdo. La distinzione, più o meno esplicita, tra le diverse
funzioni che una dimostrazione può assumere per uno studente ha
permesso ad alcuni studiosi sia di interpretare difficoltà (Barbin,
1994), sia di proporre approcci didattici meno tradizionali alle
dimostrazioni per assurdo (Polya, 1967, pp. 163-171). A fronte di tutte
le difficoltà rilevate, alcuni ricercatori hanno però messo in evidenza
l’apparire di argomentazioni spontanee chiaramente riconducibili a
dimostrazioni per assurdo e hanno sostenuto l’importanza per gli
allievi di produrre argomentazioni indirette prima di leggere o di
produrre questo tipo di dimostrazioni (Freudenthal, 1973; Thompson,
1996; Epp 1998; Reid & Dobbin, 1998; Antonini, 2003b).
La frammentarietà e la poca sistematicità degli studi disponibili
sull’argomento lasciano aperti molti interrogativi che al contrario, vista
l’indubbia importanza delle dimostrazioni per assurdo nell’attività
matematica, richiederebbero risposte.
In questa prospettiva si pone il nostro lavoro, che ha avuto come tema
centrale lo studio della dimostrazione per assurdo e le difficoltà
didattiche che tale tema solleva. Al fine di superare alcuni dei limiti
evidenziati negli studi precedenti, abbiamo cercato di fornire un
modello interpretativo che fosse compatibile con un quadro teorico
generale per la dimostrazione, ma che nel contempo permettesse di
rilevare la specificità della dimostrazione per assurdo. Quello che qui
riportiamo è la descrizione del modello insieme ad alcuni risultati che
tale modello ha permesso di mettere in luce e che a nostro avviso ne
mostrano l’efficacia.
1. METODOLOGIA
La ricerca qui esposta ha avuto un duplice obiettivo: da un lato uno
studio sistematico delle difficoltà che gli studenti incontrano nel
trattare le dimostrazioni per assurdo, dall’altro la messa a punto di un
quadro teorico per l’interpretazione di tali difficoltà nel contesto
generale dell’attività di dimostrazione in matematica. Coerentemente,
il nostro lavoro si è sviluppato su due linee principali: da un lato una
ricerca sperimentale, dall’altro una ricerca teorica, che si è avvalsa del
contributo di metodi e costrutti di discipline diverse. La parte
sperimentale ha avuto l’obiettivo di aiutarci ad individuare la chiave di
lettura secondo la quale costruire il quadro teorico; il quadro ha poi
permesso la messa a punto di ulteriori sperimentazioni più precise, in
una continua dialettica tra costruzione di un riferimento teorico e
sperimentazione, tipica di molte ricerche italiane in didattica della
matematica (si veda, per esempio, Arzarello, 1999).
Per la raccolta di dati sperimentali, ci siamo avvalsi di metodologie
diverse: interviste cliniche, test a risposte multiple, questionari con
risposte aperte, registrazioni di discussioni in classe. Abbiamo anche
tenuto conto di alcune discussioni con docenti universitari, insegnanti
di scuola superiore e studenti universitari, e di alcuni elaborati degli
studenti raccolti in occasioni non direttamente legate a questa ricerca.
Per quanto riguarda gli studenti, si tratta sia di universitari,
appartenenti a diversi corsi di laurea (principalmente di matematica,
fisica, biologia, farmacia) sia di studenti della scuola superiore (in
particolare degli ultimi anni dei licei scientifici e classici).
2. PRESENTAZIONE DEL MODELLO
Per elaborare un modello per le dimostrazioni per assurdo siamo partiti
dalla nozione di Teorema introdotta in (Mariotti et al., 1997; Mariotti,
2000). Seguendo Mariotti (2000), un teorema matematico è
caratterizzato da un enunciato, da una dimostrazione e dal fatto che la
relazione tra enunciato e dimostrazione ha senso solo all’interno di un
sistema teorico. Il modello proposto sarà dunque coerente con quello
che vede un teorema come terna composta da enunciato,
dimostrazione e teoria di riferimento (nel seguito useremo la notazione
(E,D,T)).
2.1 Il teorema come terna
L’introduzione della terna (enunciato, dimostrazione, teoria di
riferimento) mette in luce alcuni degli elementi chiave di un teorema:
permette di distinguere tra teorema ed enunciato del teorema e
sottolinea il ruolo fondamentale della teoria: da una parte un teorema
ha una precisa collocazione nella costruzione della teoria; dall’altra, la
validità di una dimostrazione è relativa a una certa teoria matematica,
in altre parole una stessa dimostrazione può essere valida in una teoria
e non valida in un’altra.
Osserviamo che la descrizione del teorema come terna (E,D,T) non
include alcuna caratterizzazione e dunque non implica alcuna
limitazione sul tipo di dimostrazione - in particolare sulla struttura
della dimostrazione - che può essere diretta, per induzione, per
assurdo, eccetera. Inoltre, nella terna (E,D,T) il termine T indica sia la
Teoria matematica - come la Teoria dei numeri naturali o la Teoria
della geometria Euclidea, ecc. - sia la Meta-teoria, ossia le regole di
inferenza che trovano una formalizzazione nella teoria logica delle
derivazioni. Il modello di teorema che intendiamo proporre si basa sul
raffinamento del modello di teorema come terna; in particolare
intendiamo approfondire due aspetti che riteniamo fondamentali in uno
studio sulla dimostrazione per assurdo: la struttura della dimostrazione
e la distinzione tra Teoria e Meta-teoria.
A questo punto, prima di passare alla presentazione del modello ci
sembra opportuno chiarire a cosa ci riferiamo quando parliamo di
dimostrazione per assurdo. Questa precisazione ci sembra doverosa,
vista la confusione spesso riscontrata intorno a tale espressione nei
manuali scolastici, anche nel caso di testi universitari (Bernardi, 2002;
Antonini, 2003a). Se l’enunciato è esprimibile come implicazione1,
con dimostrazione per assurdo di p→q si intende di solito una
dimostrazione di ¬q→¬p (contronominale) oppure di p∧ ¬q→r∧¬r
dove r è una qualsiasi proposizione. In realtà, nel caso della
contronominale non interviene alcuna contraddizione e dunque non
sembra del tutto giustificato parlare di assurdo; ma “d’altro lato, una
caratteristica delle dimostrazioni per assurdo consiste nell’iniziare la
deduzione [...] negando la tesi. Tale atto, iniziale, diventa
psicologicamente più caratterizzante che non il fatto di ottenere una
contraddizione: questo motiva in parte l’erroneo inserimento della
contronominale tra le forme dell’assurdo” (Bellissima et al., 1993,
p.55).
1
Le problematiche relative alla possibilità e alla convenienza di esprimere un
enunciato come implicazione non verranno trattate in questo articolo. Per un
approfondimento di questo tema si veda Bernardi (2002).
Anche se dal punto di vista logico la dimostrazione della
contronominale non è considerata una dimostrazione per assurdo,
abbiamo ritenuto opportuno allinearci a quanto avviene nella pratica
scolastica e in quella degli stessi matematici, dove spesso entrambe le
forme sono considerate dimostrazioni per assurdo. Nella
sperimentazione, abbiamo dovuto tener conto che con il termine “per
assurdo” gli studenti in genere si riferiscono sia alle dimostrazioni con
contraddizione sia a quelle della contronominale. Soprattutto, in
accordo con (Bellissima et al., 1993), riteniamo che un aspetto
psicologicamente rilevante consista proprio nel partire dalla negazione
della tesi e che questo costituisca in molti casi un elemento
determinante nei processi cognitivi soggiacenti alla produzione e alla
interpretazione di entrambi i tipi di dimostrazione.
2.2 Dimostrazione diretta e dimostrazione indiretta
Diciamo dunque che la dimostrazione di un teorema è diretta se tra gli
enunciati della catena deduttiva della dimostrazione non compare la
negazione della tesi. Una dimostrazione sarà indiretta (o per assurdo)
in caso contrario.
Indichiamo con C una dimostrazione diretta e dunque con (E,C,T) un
teorema con dimostrazione diretta. Descriviamo la struttura delle
dimostrazioni che ci interessano a partire da questa definizione base.
L’importanza che diamo alla dimostrazione diretta è giustificata
essenzialmente dal fatto che in ogni dimostrazione si possono
individuare enunciati, che spesso restano impliciti, dimostrati per via
diretta: la dimostrazione diretta può essere considerata un elemento
base nella struttura dimostrativa.
Per chiarire quanto detto, consideriamo due esempi di dimostrazioni
per assurdo.
Esempio 1
Enunciato: sia n un numero naturale. Se n2 è pari allora n pari.
Dimostrazione: supponiamo che n sia un numero naturale dispari.
Allora esiste un numero naturale k tale che n=2k+1. Risulta allora n2
=(2k+1)2=4k2+4k+1 che è un numero dispari.
Si tratta di un esempio di dimostrazione generalmente considerata per
assurdo, che consiste in una dimostrazione diretta dell’enunciato
contronominale. In questo caso, infatti, si passa a dimostrare
l’enunciato seguente:
“sia n un numero naturale; se n è dispari allora n2 è dispari”.
Esempio 2
Enunciato: siano a e b due numeri reali. Se ab=0 allora a=0 oppure
b=0.
Dimostrazione: supponiamo per assurdo che ab=0 e che a≠0 e b≠0.
Allora possiamo dividere entrambi i membri dell’uguaglianza ab=0
per a (perché a≠0) e per b (perché b≠0) ottenendo 1=0.
La dimostrazione consiste nella dimostrazione diretta dell’enunciato:
“siano a e b due numeri reali; se a≠0 e b≠0 e ab=0 allora 1=0”.
In questo caso non si tratta del contronominale, ma di un enunciato che
ha come ipotesi la negazione dell’enunciato da dimostrare (ossia la
congiunzione dell’ipotesi e della negazione della tesi dell’enunciato da
dimostrare), e come tesi una proposizione falsa.
In entrambi i casi si è passati da un enunciato da dimostrare ad un
secondo enunciato. In altri termini, per dimostrare un enunciato, che
chiamiamo enunciato principale ed indichiamo con E, è stato
dimostrato in modo diretto un altro enunciato, che chiamiamo
secondario e indichiamo con E*.
Enunciato principale E
n numero naturale
Enunciato secondario E*
n numero naturale
se n2 è pari allora n pari
a,b numeri reali
se n dispari allora n2 è dispari
a,b numeri reali
Se ab=0 allora a=0 oppure b=0
Se a≠0 e b≠0 e ab=0 allora 1=0
Tabella 1
Enunciato principale ed enunciato secondario in due dimostrazioni per assurdo.
Più in generale, qualora l’enunciato sia espresso come implicazione,
cioè, in simboli E=p→q, è possibile esprimere la struttura
dell’enunciato secondario, che può essere solitamente di due tipi:
E*=¬q→¬p (contronominale) oppure E*=p∧¬q→r∧¬r, dove r indica
una proposizione qualsiasi (nell’esempio 2, r è ”1≠0” e ¬r è ”1=0”, o
viceversa).
Osserviamo che, dal punto di vista logico, dimostrato E*, per
completare la dimostrazione di E, è necessario che risulti valido anche
E*→E; infine, da E* e da E*→E seguirà E per la nota regola logica
del modus ponens.
E’ importante notare che la relazione di implicazione tra E* ed E non
dipende dal contenuto degli enunciati stessi, ovvero la dimostrabilità
dell’implicazione E*→E può essere indipendente dalla Teoria nella
quale sono formulati E e E*. In altre parole, la validità di E*→Ε
dipende dalla teoria logica, o Meta-teoria, rispetto alla quale sono
definite le regole d’inferenza che stabiliscono la validità delle
dimostrazioni stesse. Per esempio, E*→E è un enunciato valido nella
logica classica, ma non è in generale valido nella logica minimale o
nella logica intuizionistica2. Si capisce allora perché è opportuno,
come faremo nel seguito, distinguere la Teoria matematica (come
l’algebra, la geometria Euclidea, ecc.) dalla teoria logica, o Metateoria, rispetto alla quale sono definite le regole d’inferenza.
Dunque è necessario un raffinamento della nozione di Teorema già
introdotta, in cui, relativamente al termine teoria (in corsivo in questo
articolo) si distingua esplicitamente tra Teoria matematica (T) e Metateoria (MT). Questo, per tre ordini di ragioni, uno di carattere logico,
uno di carattere cognitivo, uno di carattere didattico.
1. Dal punto di vista logico, E*→E è un enunciato che si può
dimostrare solo in alcune Meta-teorie; in certe Meta-teorie
E*→Ε non è dimostrabile e le conseguenze sono notevoli: in
queste Meta-teorie la dimostrazione per assurdo non è un
procedimento dimostrativo valido.
2. Dal punto di vista cognitivo, i dati sperimentali mostrano che
per molti studenti i passaggi meta-teorici della dimostrazione
per assurdo (cioè il passaggio dalla dimostrazione di E* alla
dimostrazione di E ed il legame tra queste due dimostrazioni)
non sono naturali.
3. Dal punto di vista didattico, tradizionalmente a scuola non solo
non viene esplicitata in nessuna forma la Meta-teoria, ma non è
nemmeno esplicitato o problematizzato il fatto che certi
procedimenti dimostrativi siano o meno accettabili. Gli aspetti
meta-teorici sono di solito dati per scontati in quanto
2
Per una definizione di logica classica, minimale e intuizionistica e una trattazione
delle rispettive regole di inferenza si veda, per esempio, (Prawitz, 1971).
considerati
ovvi.
I
giudizi
sull’accettabilità
di
un’argomentazione matematica sono considerati naturali e
lasciati al cosiddetto “saper ragionare” così come viene ritenuto
spontaneo il passaggio dall’aver dimostrato E* all’aver
dimostrato E.
Nel paragrafo successivo riassumiamo quanto appena discusso sotto
forma di un modello per la dimostrazione per assurdo che ne descrive
gli aspetti chiave. Tale modello sarà poi utilizzato nell’analisi di alcuni
esempi tratti dai nostri dati sperimentali.
2.3 Il modello di dimostrazione per assurdo
In base all’analisi precedente, in una dimostrazione per assurdo di un
enunciato E è dunque possibile identificare tre enunciati: E, E*,
E*→E. Chiamiamo E enunciato principale, E* enunciato secondario;
chiamiamo E*→E meta-enunciato per sottolineare il suo carattere
meta-teorico. I tre teoremi corrispondenti, con le dimostrazioni e le
rispettive teorie di riferimento sono:
1. un teorema (che chiamiamo sotto-teorema e che indichiamo
con (E*,C,T)) con enunciato E* e dimostrazione diretta C che
si basa su una Teoria matematica T;
2. un meta-teorema (che indichiamo con (ME,MD,MT)), con
meta-enunciato ME=E*→E e meta-dimostrazione MD che si
basa su una Meta-teoria MT;
3. il teorema principale, con enunciato E e dimostrazione per
assurdo di E che si basa sia sulla Teoria T sia sulla Meta-teoria
MT.
Chiamiamo dimostrazione per assurdo di E la coppia costituita dal
sotto-teorema (E*,C,T) e dal meta-teorema (ME,MD,MT); la
dimostrazione per assurdo di un enunciato E sarà quindi indicata con
D=[(E*,C,T),(ME,MD,MT)].
In altri termini, una dimostrazione per assurdo consiste in una
coppia di teoremi di due livelli teorici diversi, il livello della Teoria
T e il livello della Meta-teoria MT.
Figura 1
Il modello di teorema con dimostrazione per assurdo, costruito a partire dal modello
di teorema come enunciato, dimostrazione e teoria di riferimento.
Ricapitolando, in una dimostrazione per assurdo è possibile
individuare tre enunciati e quindi tre dimostrazioni: gli enunciati sono
E, E*, ME, le cui dimostrazioni sono, rispettivamente
[(E*,C,T) , (ME,MD,MT)], C, MD:
• [(E*,C,T) , (ME,MD,MT)] è la dimostrazione (per assurdo) di E.
• C è la dimostrazione (diretta) di E*.
• MD è la meta-dimostrazione di ME.
ENUNCIATO
DIMOSTRAZIONE
LIVELLO TEORICO
E*
C
diretta
Teoria T
E*→E
MD
Meta-teoria (MT)
E
(E*,C,T)+(ME,MD,MT) T+MT
Per assurdo
Teoria e Meta-teoria
Tabella 2
Enunciati, dimostrazioni e livelli teorici in un teorema con dimostrazione per
assurdo. In evidenza gli unici elementi di solito esplicitati.
Infine, in modo coerente con questa analisi è possibile descrivere un
teorema con una dimostrazione per assurdo, con la notazione
(E, [(E*,C,T),(ME,MD,MT)], [T,MT]).
2.4 Analisi logica della dimostrazione per assurdo
Analizziamo (E, [(E*,C,T),(ME,MD,MT)], [T,MT]) dal punto di vista
logico.
(E*,C,T) è un teorema valido nella Teoria T.
Come ben illustrato dall’esempio precedente, è (E*,C,T) ad essere il
vero teorema compiutamente dimostrato nella Teoria, anche se poi sarà
l’enunciato E che resterà come enunciato di ciò che viene
comunemente indicato con il termine teorema. Il teorema (E*,C,T),
seppure in termini logici sia un teorema valido, non ha un ruolo in sè
nella Teoria, ma assume un ruolo solo nella costruzione della
dimostrazione di E. Ad esempio, il teorema il cui enunciato è “siano a
e b due numeri reali; se ab=0, a≠0 e b≠0 allora 1=0 ” non è certo
considerato, né dai matematici né dagli studenti, un teorema
dell’algebra, anche se dal punto di vista logico è un teorema a tutti gli
effetti, in quanto esprime una relazione valida tra due proposizioni (la
proposizione “ab=0 e a≠0 e b≠0 ” e la proposizione “1=0”). Al
contrario, l’enunciato principale “siano a e b due numeri reali; se
ab=0 allora a=0 oppure b=0” è l’enunciato di un teorema che una
volta dimostrato sarà inglobato nella Teoria e all’occorrenza utilizzato.
Questa discrepanza, come vedremo, non presenta problemi dal punto
di vista logico, ma può presentare problemi dal punto di vista
cognitivo, quando sia prevista una distinzione di ruolo tra teoremi.
Particolarmente rilevante per le implicazioni che può presentare dal
punto di vista cognitivo è l’analisi di (E*,C,T) in relazione ai valori di
verità dell’ipotesi e della tesi di E*. E’ importante anzitutto esplicitare
una fondamentale differenza tra due tipi di dimostrazioni per assurdo:
• Sia E=p→q e E*=¬q→¬p. L’enunciato E* ha come ipotesi ¬q, la
negazione della tesi (q) dell’enunciato E. La negazione della tesi
(come la tesi stessa) può essere vera o falsa (nell’esempio 1 di
prima, questo accade a seconda che n sia pari o dispari).
• Sia E=p→q e E*=p∧¬q→r∧¬r. L’enunciato E* ha come ipotesi
p∧¬q, la negazione dell’enunciato E, sicuramente falsa se E è un
enunciato vero.
Questa distinzione ha conseguenze dal punto di vista cognitivo,
quando oltre la struttura logica si tenga conto dell’interpretazione data
agli enunciati.
Concentriamo la nostra attenzione sul secondo tipo di dimostrazione.
Dal punto di vista logico, osserviamo che:
• nonostante la falsità dell’ipotesi e della tesi, l’enunciato E* è ben
formulato. Inoltre, proprio per la falsità dell’ipotesi, coerentemente
con la tavola di verità dell’implicazione3, E* risulta essere vero;
• la dimostrazione C è una dimostrazione valida di E*. Questo
significa qualcosa di più della verità di E*, cioè la possibilità di
costruire una catena deduttiva in una particolare Teoria di
riferimento, nonostante la falsità dell’ipotesi e della tesi
dell’enunciato;
• le deduzioni in una Teoria matematica sono indipendenti
dall’interpretazione degli enunciati in gioco: gli assiomi e i teoremi
di una Teoria Matematica possono essere applicati anche ad oggetti
matematicamente impossibili e quindi assurdi, quali, per esempio,
due numeri reali a e b diversi da zero tali che ab=0, la radice
quadrata razionale di 2, rette parallele che si incontrano, ecc.
Come esempio, consideriamo uno dei teoremi prima esposti e
analizziamo la sua dimostrazione in base a queste osservazioni.
Enunciato (principale): siano a e b due numeri reali. Se ab=0 allora
a=0 oppure b=0.
Dimostrazione: supponiamo per assurdo che ab=0 e che a≠0 e b≠0.
Allora possiamo dividere entrambi i membri dell’uguaglianza ab=0
per a (perché a≠0) e per b (perché b≠0) ottenendo 1=0.
Come già detto, si tratta della dimostrazione diretta dell’enunciato
secondario “siano a e b due numeri reali; se a≠0 e b≠0 e ab=0 allora
1=0”. L’ipotesi di questo enunciato, “a≠0 e b≠0 e ab=0” è falsa in
quanto non esistono due numeri reali a e b tali che a≠0 e b≠0 e ab=0; la
tesi, “1=0”, è falsa perché 1≠0. L’implicazione espressa dall’enunciato
3
Ricordiamo che una implicazione A→Β è falsa se e solo se A è vera e B è falsa.
è vera, in virtù della tavola di verità, e del fatto che l’ipotesi è falsa. La
dimostrazione si basa sulla Teoria dei numeri reali, in particolare sui
due assiomi:
• assioma 1: se a≠0, esiste un inverso moltiplicativo di a;
• assioma 2: se entrambi i membri di un’uguaglianza sono
moltiplicati per lo stesso numero, si ottiene una nuova uguaglianza.
In questa dimostrazione, gli assiomi vengono utilizzati per produrre
deduzioni relative a oggetti matematici impossibili. L’assioma 1 è
infatti applicato a due numeri reali a e b tali che a≠0, b≠0 e ab=0;
l’assioma 2 è applicato all’uguaglianza “ab=0”, formulata con due
numeri reali che non esistono. In conclusione, mentre la verità
dell’enunciato secondario E* dipende dalla tavola di verità
dell’implicazione e dalla falsità della sua ipotesi, la validità della sua
dimostrazione C è basata sulla validità di una catena deduttiva
all’interno di una Teoria T che si applica a oggetti matematicamente
impossibili.
(ME,MD,MT) è un meta-teorema valido nella Meta-teoria MT.
La meta-dimostrazione MD si basa sugli assiomi logici della Metateoria MT. Esplicitare MT qui, ha un duplice obiettivo: da un lato
quello di porre l’accento sul fatto che la meta-dimostrazione MD si
basa sugli assiomi logici, dall’altro che, proprio per questo, il teorema
è valido solo all’interno di alcune Meta-teorie4.
[(E*,C,T) , (ME,MD,MT)] è una dimostrazione valida di E.
Questa affermazione è un secondo meta-enunciato: l’enunciato E viene
dimostrato per modus ponens dai due teoremi (E*,C,T) e
(ME,MD,MT): da E*, e E*→E segue E. Il primo è un teorema della
4
Come già osservato, per esempio nella meta-teoria MT della logica minimale o in
quella intuizionistica, l'enunciato ME non è in generale dimostrabile.
Teoria T, il secondo un teorema della Meta-teoria MT. La
dimostrazione per assurdo di E è il risultato dell’articolazione di
teoremi posti su livelli diversi della teoria (come illustrato in figura 1).
2.5 Un esempio: l’irrazionalità di 2
Vediamo adesso di utilizzare il modello per l’analisi di una
dimostrazione per assurdo spesso proposta nei testi, la dimostrazione
dell’irrazionalità di 2 . L’esempio ha l’obiettivo di mostrare come il
modello presentato sia utile quale strumento di analisi descrittiva. La
tabella seguente mette in luce gli elementi strutturali del teorema:
Teorema
Teorema: il numero
2 è
irrazionale.
Dimostrazione. Supponiamo, per
assurdo, che sia
2 =m/n,
essendo m e n interi positivi primi
fra loro.
La relazione
2 =m/n ci dà
subito m2=2n2. Si deduce allora
che m2 è pari: pertanto m è pari.
Posto allora m=2r, si ha 2r2=n2,
da cui si ricava che anche n è pari,
contraddicendo il fatto che m ed n
siano primi tra loro.
Elementi strutturali
1) Esposizione dell’enunciato E
2) Affermazione di apertura:
esposizione dell’ipotesi di E*
3) Sviluppo della dimostrazione C:
Dimostrazione diretta dell’enunciato
secondario
4) Affermazione di chiusura
Tabella 3
Analisi strutturale di un teorema con dimostrazione per assurdo.
Analizziamo in dettaglio i singoli elementi:
1) Viene presentato l’enunciato principale E del teorema: il numero
2 è irrazionale.
2) Affermazione di apertura ed esposizione dell’ipotesi dell’enunciato
E*: Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che sia 2 =m/n,
essendo m ed n interi positivi primi fra loro.
La dimostrazione inizia esponendo le ipotesi da cui si intende partire,
ma attraverso la formula “supponiamo per assurdo...”, che in realtà
significa “ora cambiamo schema dimostrativo”, “dimostriamo un altro
enunciato” del quale viene specificata l’ipotesi: “ 2 è un numero
razionale”. Dunque l’incipit di una dimostrazione per assurdo assolve
la funzione di segnalare il passaggio ad uno schema dimostrativo
particolare, del quale si presuppone la condivisione, in particolare si
presuppone che sia accettato come schema di inferenza.
Per seguire la dimostrazione è necessario che si possa anticipare in che
modo la dimostrazione dell’enunciato secondario porterà alla
dimostrazione dell’enunciato principale. In particolare, è necessario
cogliere che il sotto-teorema (E*,C,T) potrà poi essere usato come
“argomento” per la dimostrazione di E.
3) Sviluppo della catena C: La relazione 2 =m/n ci dà subito
m2=2n2. Si deduce allora che m2 è pari: pertanto m è pari. Posto
allora m=2r, si ha 2r2=n2, da cui si ricava che anche n è pari.
Si tratta della dimostrazione del sotto-teorema (E*,C,T). Da notare che
solo in questo momento è possibile ricostruire l’enunciato secondario
E* nella sua completezza:
enunciato secondario: se 2 è razionale esistono due interi positivi m
e n primi tra loro che non sono primi tra loro.
4) Affermazione di chiusura: contraddicendo il fatto che m ed n siano
primi tra loro.
Si tratta di un’osservazione sul sotto-teorema: si esplicita il fatto che la
proprietà dimostrata è in contraddizione con una delle ipotesi assunte.
In altri termini, secondo quanto era stato annunciato all’inizio e come
dunque il lettore doveva aspettarsi, si è giunti ad una contraddizione
r∧¬r, dove r è la proposizione “m e n sono primi tra loro”.
Di solito a questa dimostrazione non viene aggiunto altro: tutti i
passaggi meta-teorici del meta-teorema, necessari per completare la
dimostrazione dell’enunciato principale E, restano impliciti, evocati
ma mai presentati dall’incipit “supponiamo per assurdo…”.
Come abbiamo visto il modello offre una griglia per distinguere la
dimostrazione per assurdo in parti ed esplicitarne i legami. Questa
organizzazione renderà possibile in primo luogo individuare e
descrivere alcune problematiche e in secondo luogo analizzare ed
interpretare i dati raccolti.
3. IPOTESI E ANALISI DI ALCUNI PROTOCOLLI
Il modello presentato offre elementi chiave per la descrizione e lo
studio dei processi cognitivi di studenti alle prese con dimostrazioni
per assurdo. Suddividere la dimostrazione per assurdo in componenti
più semplici permette infatti di studiare gli errori e le difficoltà in
modo più sistematico, classificandoli a seconda dell’elemento
coinvolto e del livello teorico in cui essi si situano.
Inoltre, il modello permette di formulare in modo preciso molte ipotesi
di ricerca, tra le quali in questo articolo proponiamo le seguenti:
1) il passaggio dalla dimostrazione dell’enunciato principale alla
dimostrazione dell’enunciato secondario può essere problematico;
in particolare il fatto che una dimostrazione dell’enunciato
secondario sia sufficiente come dimostrazione dell’enunciato
principale può non essere riconosciuto o, comunque, accettato
intuitivamente (nel senso di Fischbein, 1987);
2) difficoltà e blocchi possono emergere nella dimostrazione
dell’enunciato secondario, dove a volte si fanno inferenze a partire
da affermazioni palesemente false.
In altre parole, il meta-enunciato ME e la dimostrazione C del sottoteorema possono essere fonti di difficoltà e possono bloccare lo
studente nel dare un senso, nell’accettare e nel costruire una
dimostrazione per assurdo.
Utilizzando il modello proposto analizziamo ora due protocolli che
convalidano le ipotesi formulate. Nella trascrizione, abbiamo indicato
con “I” l’intervistatore e con l’iniziale dello pseudonimo lo studente
intervistato; in grassetto abbiamo riportato quelle parti che i soggetti
hanno in qualche modo enfatizzato.
3.1 Il passaggio dall’enunciato principale all’enunciato secondario
Al soggetto della seguente intervista, Fabio, uno studente del IV anno
del corso di laurea in fisica (vecchio ordinamento), era stato chiesto di
esprimere un giudizio sulla dimostrazione per assurdo.
PROTOCOLLO
F: La dimostrazione per assurdo è
artificiosa: come se ne esce? Va beh,
okay, sei arrivato all’assurdo... e allora?
[...]
ANALISI
Fabio intende che non “vede” il legame
tra E e E*: sembra che sia il metateorema a presentare le maggiori
difficoltà, come, in effetti, emerge anche
dal seguito del protocollo.
Non vedo che quella conclusione è
legata all’altra, manca la scintilla [...]
I: Facciamo un esempio: prendiamo un
numero naturale n, teorema: se n2 è pari
allora n è pari. Dimostro: se n è dispari
lo scrivo n=2k+1, quindi... [I scrive i
passaggi algebrici] n2=2(2k2+2k)+1 è
dispari.
L’intervistatore propone un esempio.
F: Si, beh, lo capisco, è meglio
dimostrare che se n è dispari allora n2 è
dispari.
Fabio riconosce ed esplicita l’enunciato
secondario E*. Osserviamo che il
soggetto mostra anche una certa
consapevolezza del fatto che dimostrare
in questo modo è più semplice (“è meglio
dimostrare che...”).
L’enunciato principale è
E: se n2 è pari allora n è pari.
La dimostrazione proposta è per assurdo:
viene dimostrato per via diretta
l’enunciato E*, che resta implicito:
se n è dispari allora n2 è dispari.
I: E allora quale è il problema?
F: Il problema è che così abbiamo
dimostrato che n dispari implica n2
dispari, e questo mi torna; ma non mi dà
soddisfazione per quell’altro.
Emerge con grande chiarezza il pensiero
di Fabio. Il soggetto individua e tiene
distinti i due enunciati in gioco e
riconosce ed accetta la dimostrazione
presentata, C, come dimostrazione di E*
(“abbiamo dimostrato che n dispari
implica n2 dispari, e questo mi torna ”)
ma non come dimostrazione di E (“non
mi dà soddisfazione per quell’altro”).
I: Sei d’accordo che i numeri naturali
sono pari o dispari e non c’è altro?
F: Ovviamente si... e ora mi dirai: n2 è
pari, n è pari o dispari, ma se fosse
dispari n2 sarebbe dispari e invece era
pari... si va beh, questo lo so, ma... mi
sfugge qualcosa.
Fabio sa riproporre con chiarezza il
modo con cui spesso viene giustificata
una dimostrazione per assurdo, ciò
nonostante, gli “sfugge qualcosa”.
F: Innanzitutto, perché devo partire da n
non pari? Non vedo immediata
conclusione. E poi, alla fine: quindi
non può essere altro che n pari, è un
salto, il salto della conclusione... è un
atto di fede... si, alla fine è un atto di
fede.
Il passaggio dall’aver dimostrato
l’enunciato
secondario
all’aver
dimostrato l’enunciato principale non è
immediato, anzi, come appare evidente
dalle espressioni usate, non è accettato.
F: Si, diciamo che ci sono due salti, un
salto iniziale e un salto finale. Neanche
il salto iniziale mi è comodo: perché
devo partire da qualcosa che non è? [...]
Il salto finale è comunque il peggiore,
[...] è un salto logico, un atto di fede che
devo fare, un sacrificio che faccio. I
salti, i sacrifici, se sono piccoli sono
disposto a farli, se si sommano sono
troppo grandi.
F: Tutto il mio discorso converge verso
il
sacrificio
del
salto
logico
dell’esclusione, assurdo o esclusione,
ciò che non è, non la cosa diretta. Va
tutto bene, ma quando mi devo
ricollegare...
Alla
fine,
con
“esclusione”
probabilmente intende che arrivati
all’assurdo si esclude la possibilità che
l’ipotesi di E* sia vera e quindi, per usare
le sue parole, “non può essere altro che ”
vero E. Colpisce la profondità con cui
Fabio sembra aver compreso il
meccanismo della dimostrazione per
assurdo, pur non accettandola come
dimostrazione.
Nel protocollo appare chiaramente che Fabio individua l’enunciato
principale e quello secondario, riconosce ed accetta la dimostrazione
diretta come dimostrazione dell’enunciato E* ma non accetta il
passaggio dall’aver dimostrato E* all’aver dimostrato l’enunciato
principale E. Possiamo dire che per Fabio il legame logico espresso dal
meta-teorema non rappresenta un’intuizione nel senso di (Fischbein,
1987), come appare evidente dalle espressioni utilizzate nel parlarne:
“non mi dà soddisfazione”, “mi sfugge qualcosa”, “non vedo
immediata conclusione”, “alla fine [c’è] un salto, un atto di fede”, ”va
tutto bene, ma quando mi devo ricollegare...”, “i salti, i sacrifici, se
sono piccoli sono disposto a farli, se si sommano sono troppo grandi”.
Ci sembra anche interessante notare le metafore usate dal soggetto per
descrivere i passaggi tra i due enunciati. I “salti” che lui dovrebbe
compiere per riuscire a “ricollegare” (quindi riferito a qualcosa che è
“scollegato”, “staccato”) esprimono in modo drammatico (parla di
“sacrifici […] troppo grandi ”) la fatica cognitiva, lo sforzo che il
soggetto si trova a dover fare.
3.2 La Teoria nella dimostrazione del sotto-teorema
Riportiamo ora un’intervista che mette in evidenza alcune difficoltà
inerenti la dimostrazione dell’enunciato secondario.
Il soggetto, Maria, studentessa del V anno del corso di laurea in
farmacia, ha difficoltà ad applicare la Teoria matematica in una
situazione nella quale si suppone vero qualcosa che è falso in modo
evidente. Ci sembra un buon esempio che illustra come la difficoltà di
interpretare proposizioni “contro le normali vedute“ ostacoli la
costruzione o la valutazione di una dimostrazione.
PROTOCOLLO
ANALISI
I: Proveresti a dimostrare per assurdo
che, se ab=0 allora a=0 oppure b=0?
M: [...] dunque, supponiamo ab=0 con a
diverso da 0 e b diverso da 0... posso
dividere per b... ab/b=0/b... cioè a=0.
Non so se questa è una dimostrazione,
perché ci possono essere tante cose che
non ho visto.
L'intervistatore chiede esplicitamente una
dimostrazione per assurdo.
M: E poi, così come ab=0 con a diverso
da 0 e b diverso da 0, che è contro le
mie normali vedute e devo far finta che
sia vero, non so se posso considerare
vero che 0/b=0. Cioè non so cosa è
vero e cosa faccio finta che sia vero.
Emergono le difficoltà del soggetto nella
valutazione della dimostrazione del
sotto-teorema.
Queste
difficoltà
sembrano dovute al fatto che alcune
fondamentali verità sono state sovvertite
al punto che il soggetto stesso dichiara di
non avere più il controllo su ciò che è
vero e su ciò che non lo è.
I: Poniamo di poter usare che 0/b=0.
M: Viene che a=0 e quindi... siamo
tornati nella realtà. Allora è dimostrato
perché... anche nel mondo assurdo viene
fuori una cosa vera; quindi non posso
stare nel mondo assurdo. Il mondo
assurdo ha le sue regole che sono
assurde e se non le rispetta torna
indietro.
Il soggetto chiama “assurdo” il “mondo”
in cui è verificata l’ipotesi falsa
dell’enunciato secondario. Per Maria, le
“regole” (la Teoria) da applicare nella
dimostrazione del sotto-teorema, sono
specifiche di un “mondo assurdo” e
quindi diverse da quelle da applicare
nella costruzione di dimostrazioni in un
“mondo non assurdo”. La difficoltà nasce
dal fatto che Maria non ha il controllo su
tali regole.
I: Chi torna indietro?
M: È come se a, b, ab andassero dal
mondo reale al mondo assurdo, ma le
regole su di loro non funzionano e
Laddove si ha a che fare con qualcosa di
falso, secondo Maria, può succedere di
tutto, anche che 0/b≠0. L’assurdità
dell’ipotesi dell’enunciato secondario
Maria propone una dimostrazione, ma
non è sicura della sua validità.
quindi devono tornare indietro...
M: Ma il mio problema è capire quali
sono le regole del mondo assurdo, sono
quelle del mondo assurdo o del mondo
reale? È per quello che ho problemi a
sapere se 0/b=0, non so se è vero nel
mondo assurdo.
[......]
rende dunque difficile l’applicazione
della Teoria T; Maria pensa addirittura
che vi sia un’altra Teoria T* diversa e
più adatta alla situazione assurda: il
“mondo reale” ha le sue “regole”, il
“mondo assurdo” ne ha altre.
I:
(scrive
la
dimostrazione
dell’irrazionalità di radice di 2). Cosa ne
pensi?
M: In questo caso, mi torna tutto, ma
perché? ... forse nel momento in cui ho
accettato che radice di 2 è una frazione
io ho continuato a stare nel mio mondo,
ho fatto i calcoli come di solito, non mi
sono posta problemi del tipo che un
numero primo in questo mondo non è
più un numero primo o che per assurdo
un numero non è rappresentato dal
prodotto di numeri primi. La differenza
con l’annullamento del prodotto sta nel
fatto che questo è ovvio, mentre che
radice di due è una frazione ci posso
credere che è vero e vado avanti come
se fosse vero. Nell’annullamento del
prodotto non posso far finta così, non
riesco a dirmi una bugia del genere e
a crederci pure.
Maria dichiara di poter seguire la
dimostrazione dell’irrazionalità di
2
perché il fatto che 2 sia un numero
razionale è credibile. Le verità per Maria
fondamentali non sono poste in
discussione: il “mondo assurdo”, cioè il
mondo in cui
2 è razionale, è
“credibile” (“ci posso credere che è vero
e vado avanti come se fosse vero”). In
questo caso, la Teoria T non è posta in
discussione, le “regole” da applicare
sono quelle usuali.
Dal protocollo appare evidente che Maria ha difficoltà nel valutare
l’argomentazione da lei prodotta. Alla radice delle difficoltà di Maria
sembra esserci il fatto che “nel mondo assurdo” vengono sovvertite
alcune relazioni fondamentali da lei considerate vere. Di conseguenza,
Maria non sa più ciò che è vero e ciò che non lo è. L’assunzione di
ipotesi false sembra mandare in cortocircuito il sistema di conoscenze
del soggetto e indurre esitazioni e dubbi sull’argomentazione prodotta.
In termini del modello, la difficoltà più evidente per Maria si situa
dunque al livello del sotto-teorema (E*,C,T) e sembra dipendere dal
fatto che il soggetto non riesce a identificare la Teoria di riferimento
sulla quale basare la dimostrazione. Maria pensa addirittura che vi sia
un’altra Teoria T* diversa e più adatta alla situazione assurda: il
“mondo reale” ha le sue “regole”, il “mondo assurdo” ne ha altre, al
punto che diventa difficile stabilire se 0/b sia uguale o diverso da zero.
Come già osservato nell’analisi logica, è proprio il fatto che si applica
la Teoria di riferimento T a garantire la validità della dimostrazione del
sotto-teorema e di conseguenza di tutta la dimostrazione per assurdo.
Maria sembra non cogliere questo aspetto fondamentale e focalizza la
sua attenzione sulla verità piuttosto che sulla validità.
In altri termini, sembra importante, per accettare una dimostrazione,
partire da ipotesi vere o comunque potenzialmente vere. Nel “mondo
reale” (espressione con la quale probabilmente il soggetto intende
“situazioni non assurde”), o comunque in un mondo che il soggetto
può ritenere “reale” (come quello dove 2 è razionale) potrebbe non
esserci la necessità di spostare il punto di vista dalla verità alla validità;
in quest’ultimo caso il soggetto non mette in discussione la Teoria (le
“regole”) da applicare. Partire da ipotesi false manda invece in crisi un
processo argomentativo che sembra richiedere la verità delle ipotesi
più che la validità delle implicazioni (si veda anche Mariotti &
Antonini).
4. CONCLUSIONI
L’obiettivo del lavoro qui presentato è stato quello di costruire un
modello che tenesse conto degli aspetti fondamentali della struttura
della dimostrazione per assurdo e che, allo stesso tempo, fornisse un
efficace strumento descrittivo e interpretativo di analisi cognitiva e
didattica.
Il modello proposto evidenzia l’articolazione tra il livello teorico ed il
livello meta-teorico, e descrive il legame logico tra l'enunciato
principale, del quale si intende provare la validità, e l'enunciato
secondario, del quale si produce una dimostrazione, generalmente
diretta. L'individuazione dei diversi enunciati (principale, secondario,
meta-enunciato), e dei diversi teoremi (principale, sotto-teorema,
meta-teorema) ha permesso di distinguere elementi significativi a
livello cognitivo; in particolare, i diversi elementi del modello hanno
permesso di distinguere ed interpretare profonde differenze tra le
difficoltà incontrate dagli studenti con le dimostrazioni per assurdo.
Di fatto, il modello si è rivelato particolarmente efficace per la
descrizione delle dimostrazioni per assurdo, per l’individuazione e
l’analisi delle difficoltà degli studenti, e per la formulazione di precise
ipotesi di ricerca. In questo articolo, abbiamo riportato due prime
ipotesi riguardanti problematiche di natura cognitiva a proposito
dell’accettazione dello schema per assurdo quale metodo dimostrativo
e del ragionamento a partire da ipotesi false.
L’analisi dei protocolli sembra confermare le ipotesi formulate. Per
quanto riguarda la complessità del passaggio dall’enunciato principale
all’enunciato secondario il protocollo di Fabio è estremamente
illuminante. Anche se in grado di descrivere con chiarezza la struttura
della dimostrazione per assurdo, che sembra conoscere nei dettagli,
Fabio esprime con forza la sua difficoltà ad accettare una
dimostrazione dell’enunciato secondario come dimostrazione
dell’enunciato principale.
Molte sono le implicazioni didattiche a questo proposito. Prima di tutto
risulta importante che l’insegnante sia consapevole della complessità
intrinseca di una dimostrazione per assurdo ed in particolare della
possibilità che la dimostrazione fornita non venga accettata come
dimostrazione dell’enunciato principale. Come già stato osservato,
l’insegnamento tradizionale sembra dare poco peso all’aspetto teorico
delle dimostrazioni (Mariotti et al., 1997; Mariotti, 2000), ma ancor
meno spazio sembra essere concesso alla trattazione degli aspetti metateorici, troppo spesso dati per scontati, perché considerati naturali e
intuitivi: è piuttosto diffuso il presupposto, più o meno esplicito, che la
Meta-teoria riguardi il “saper ragionare”, e non ci sia quindi bisogno di
un insegnamento specifico. Può anche accadere che la complessità
meta-teorica descritta sia del tutto ignorata da alcuni insegnanti per i
quali lo schema dimostrativo “per assurdo” potrebbe essere
un’intuizione così forte da essere considerato “naturale”. In questi casi,
può diventare difficile anche solo prendere coscienza dei “salti”
individuati da Fabio nel protocollo proposto.
Inoltre sembra che l’accettazione della dimostrazione non possa essere
data per scontata nemmeno dopo che lo studente sa descrivere o
costruire correttamente una dimostrazione per assurdo, come accade
nel protocollo analizzato. Sembra dunque che il problema
dell’accettazione non possa venir superato con lezioni tradizionali o
con l’insegnamento a parte di un capitolo di logica (situazioni che
Fabio, studente universitario di fisica, ha senz’altro vissuto più volte).
Certamente ulteriori ricerche sono necessarie per studiare le
problematiche relative all’accettabilità dello schema dimostrativo,
ossia, in termini del modello proposto, relative alla accettabilità
(Fischbein, 1987) che una dimostrazione dell’enunciato secondario sia
anche una dimostrazione dell’enunciato principale.
Per quanto riguarda l’ipotesi sulle difficoltà nella dimostrazione di un
enunciato con ipotesi false, interessanti problematiche sono emerse in
modo chiaro dal protocollo di Maria, la cui attenzione alla verità degli
argomenti usati nei singoli passi nella catena deduttiva più che alla
validità della catena stessa causa notevoli difficoltà nella
dimostrazione del sotto-teorema. Il soggetto, in questo caso, non riesce
ad avere il controllo sui passaggi della dimostrazione, in quanto non sa
più ciò che è vero e ciò che non lo è. L’analisi del protocollo conferma
l’ipotesi sulle difficoltà inerenti al sotto-teorema e porta evidenza
sperimentale a quanto asserito da Leron (1985) sulla fatica cognitiva di
un ragionamento in un mondo falso. Il modello ha anche permesso di
mettere in luce come un nodo importante sia la gestione della Teoria di
riferimento nella validazione di enunciati con ipotesi false.
In conclusione, ci sembra che le problematiche evidenziate in questo
articolo richiedano ulteriori ricerche su due fronti intimamente legati.
Da un lato, si tratta di progettare attività didattiche opportune per
favorire il superamento dei blocchi e delle difficoltà. In accordo con
Freudenthal (1973), Thompson (1996) e Epp (1998) riteniamo che
potrebbero essere didatticamente efficaci situazioni in cui gli studenti
producono argomentazioni che hanno una struttura in qualche senso
‘vicina’ a quella di una dimostrazione per assurdo. Su questa linea, e
tenendo presente il suggerimento di Polya (1967) sulla possibilità che
un ragionamento per assurdo fornisca un buon metodo di scoperta, ci
sembra particolarmente adatto il quadro teorico dell’Unità Cognitiva
(Garuti et. al., 1996a; Mariotti et. al., 1997; Pedemonte, 2002), che si
occupa delle relazioni tra la produzione di una congettura, di
un’argomentazione e di una dimostrazione. Per esempio, Antonini
(2003b) ha mostrato che, nella fase della produzione di una congettura,
la costruzione da parte dello studente di un esempio che non soddisfa i
dati del problema può portare ad una argomentazione con la struttura
di una dimostrazione per assurdo.
Si apre dunque la necessità di una ricerca su un altro fronte, ossia
quello dell’analisi fine dei processi cognitivi in situazioni di
produzione di congetture, allo scopo di identificare quei processi che
sembrano portare alla costruzione di un’argomentazione
‘strutturalmente simile’ a una dimostrazione per assurdo. Tale ricerca
richiederà un adeguato studio teorico sull’argomentazione, allo scopo
di definire con maggior precisione continuità e differenze tra le
argomentazioni e la dimostrazione per assurdo e tra i processi cognitivi
che portano alla loro costruzione.
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