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Giovanni Maria Flick* ELOGIO DELLA DIGNITÀ

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Giovanni Maria Flick* ELOGIO DELLA DIGNITÀ
Rivista N°: 4/2014
DATA PUBBLICAZIONE: 21/11/2014
AUTORE: Giovanni Maria Flick*
ELOGIO DELLA DIGNITÀ (SE NON ORA, QUANDO?)**
1. La dignità: perché una riflessione? – 2. Un ponte fra il passato;... – 3. (segue) …il presente e il
futuro. – 4. Dignità e sicurezza oggi. – 5. Il significato della dignità, dall’astratto al concreto. – 6. Il
contributo della giurisprudenza all’elaborazione del concetto. – 7. La dignità in sé, nell’altro e nel
gruppo. – 8. La dignità nella Costituzione: dal richiamo esplicito;… – 9. (segue) …al riferimento
implicito. – 10. La dignità come premessa e condizione di eguaglianza e di diversità;… – 11. (segue)
…come espressione e frutto di solidarietà;… – 12. (segue) …come fondamento e limite di libertà. –
13. La dignità ha ancora un valore ed un ruolo? – 14. Qualche variazione sul tema: negazionismo;… –
15. (segue) …terrorismo;… – 16. (segue) …lavoro e salute.
1. La dignità: perché una riflessione?
Di fronte al binomio dignità–libertà, non occorrono molte parole per richiamare la comune consapevolezza sulla complessità e molteplicità dei problemi evocati dalla nozione di
libertà: libertà da o piuttosto libertà di? Libertà in senso positivo o piuttosto in senso negativo? La libertà o le libertà? per limitarsi a talune fra le numerose domande che solleva questo
nome. D’altronde le costituzioni statali, le carte internazionali dei diritti, i codici penali sono di
solito particolarmente ricchi di enunciazioni, proclamazioni, definizioni e spunti di riflessione
sul tema della libertà e delle libertà: contributi che hanno offerto un amplissimo spazio alla
riflessione su quel tema, tanto nel linguaggio comune che in quello filosofico e giuridico.
Non altrettanto può dirsi per il concetto di dignità, che è molto meno esplorato ed approfondito. In certo qual modo esso è dato quasi per scontato, senza analizzarne troppo il
significato; o ponendo in evidenza più le sue implicazioni negative di indegnità o di indignazione; o sottolineando la pluralità di significati, fra loro diversi quando non contraddittori, che
la dignità può assumere.
*
**
Presidente emerito della Corte costituzionale
Il testo è in corso di pubblicazione su “Politica del diritto”, n. 4, dicembre 2014.
L’Associazione Italiana Costituzionalisti è iscritta al Registro Operatori della Comunicazione dal 9.10.2013 col n. 23897
La Rivista AIC è registrata presso il Tribunale di Roma col n. 339 del 5.8.2010 – Codice ISSN: 2039-8298 (on-line)
Direttore Responsabile: Prof. Antonello D’Atena. – Direttore: Prof. Paola Bilancia – Rivista sottoposta a referaggio
Da ciò il riconoscimento generalizzato della ambiguità e della inevitabile genericità del
significato della dignità; del rischio di sue facili strumentalizzazioni nell’applicazione concreta.
Da ciò la difficoltà di individuare una linea precisa di distinzione tra la dimensione oggettiva,
generale ed astratta e la dimensione soggettiva e concreta di essa; tra la dignità umana e la
dignità dell’uomo; tra quella di tutti e quella di ciascuno; tra la eguaglianza, la diversità e la
libertà, di cui la dignità propone (e deve assicurare) una sintesi equilibrata che non esalti soltanto una di esse a discapito e vanificazione delle altre. Da ciò l’auspicio di taluno alla cautela nell’approccio e nella utilizzazione del parametro della dignità, se non addirittura al suo
abbandono, per i rischi di strumentalizzazione insiti e frequenti in una utilizzazione disinvolta
di quel parametro, nella discussione e nella elaborazione di valori e di regole.
Proprio per questo può essere opportuno riflettere sulla dignità, per cercare di sottolinearne innanzitutto l’attualità; per coglierne il significato, nel linguaggio comune e in quello
giuridico; per provare ad esplorarne il contenuto; per saggiarne la possibile funzione, segnatamente nel rapporto con i valori di eguaglianza, solidarietà e libertà. È una riflessione tanto
più necessaria, in quanto la dignità è per comune accezione ritenuta il cardine dello stato
democratico costituzionale e del princìpio personalistico su cui esso si fonda.
L’attualità della riflessione sul tema della dignità si desume agevolmente dalla constatazione che quest’ultima – qualunque possa essere il significato da attribuirle – si colloca
come un ponte fra il passato, il presente ed il futuro. Il passato evoca l’angoscia e i ricordi
delle offese arrecate alla dignità. Il presente e il futuro evocano il timore che, accanto ai ricordi degli orrori e degli errori del passato, si affaccino i fantasmi e le inquietudini di nuove,
sempre eguali e sempre diverse offese alla dignità, nel contesto dei nuovi tempi e delle nuove occasioni per tali offese.
2. Un ponte fra il passato...
Il rapporto fra la dignità ed un passato di offese ad essa si coglie con immediatezza in
numerose costituzioni nazionali, soprattutto in quelle di paesi che escono da esperienze di
totalitarismi e di regimi dittatoriali, come ad esempio, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e la
Polonia. In esse è esplicito il riferimento alla dignità delle persone come valore fondante tutti i
diritti e come dato intangibile, da rispettare e tutelare prima di ogni altra cosa.
È emblematico in tal senso l’art. 1 della Costituzione tedesca, secondo cui “La dignità
della persona è intangibile. Al suo rispetto e alla sua protezione è vincolato l’esercizio di ogni
potere statale. Il popolo tedesco riconosce pertanto i diritti umani inviolabili e inalienabili come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo”.
Altrettanto significativo appare il rilievo introduttivo attribuito, tanto nel preambolo che
nel testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – proclamata a Nizza nel
dicembre 2000, confermata nel 2007 e richiamata dal Trattato di Lisbona – alla dignità come
valore preliminare a quelli di libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia, nei
quali si sviluppa la Carta stessa. Anche nella Carta, come nella costituzione tedesca, l’art. 1
esordisce “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
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In entrambi i documenti è agevole collocare l’affermazione esplicita e solenne sulla
dignità in una logica di reazione agli orrori del totalitarismo, della shoah e della guerra. Per
un verso, v’è il riconoscimento e la memoria di ciò che è stato e non può essere negato o
dimenticato, ma deve essere superato, sopratutto in una prospettiva come quella europea. In
essa è importante il nesso fra la dignità e una memoria condivisa e comune, che sappia superare le memorie diverse e contrapposte delle vittime, dei terzi e in qualche misura anche
dei responsabili (se non altro di quelli che, pur sapendo o potendo sapere, non si sono opposti agli orrori).
Per un altro verso, sono fondamentali nella prospettiva europea il rifiuto e l’impegno a
che non possano mai più ripetersi forme di abbrutimento e di diniego della dignità umana,
come quelle così efficacemente descritte, ad esempio, nelle pagine di Primo Levi dedicate al
campo di sterminio, alle molteplici possibilità di offesa alla dignità ed alla personalità, alla riduzione dell’uomo ad oggetto, all’indifferenza e al disprezzo verso la condizione umana.
Perciò la prospettiva europea della dignità è rivolta soprattutto – storicamente, sino
all’avvento della problematica della biotecnologia – al rafforzamento delle garanzie individuali
e delle libertà negative, alla protezione della persona rispetto alle ingerenze esterne.
In questa prospettiva, l’affermazione esplicita e prioritaria del valore della dignità assume un significato preciso, impegnativo e vincolante: vedere nella dignità il segno distintivo
della comune appartenenza all’umanità, di un reciproco riconoscimento di quest’ultima, di
una esigenza di tutela della persona in quanto tale. Al rifiuto in negativo della logica del colonialismo, della schiavitù, del totalitarismo, della shoah, dello sterminio, si contrappone in positivo – con l’affermazione esplicita e prioritaria della dignità umana in quanto tale, come valore fondante di tutti gli altri – la visione antropocentrica della persona sia cristiana (come
immagine di Dio) che kantiana (come fine e non già come mezzo).
Da questa concezione si discosta in parte la nozione di dignity della tradizione costituzionale nordamericana: una nozione soggettiva e individualista legata ai concetti di autonomia e libertà; fondata sul raziocinio e fondante il diritto alla privacy ed alle scelte
dell’individuo. In essa prevale l’ottica delle libertà negative e della pretesa ad un comportamento omissivo e non ad un obbligo di intervento attivo dei pubblici poteri per impedire violazioni della dignità o rimuovere ostacoli al riconoscimento di essa.
La concezione europea, invece, pone l’accento più sulla dimensione oggettiva della
dignità; sulla connessione fra diritti e doveri e limiti, nell’esercizio della libertà di autodeterminazione; sulla indivisibilità delle libertà positive e di quelle negative; sulla responsabilità; sul
rapporto fra valori da proteggere e diritti da riconoscere. Peraltro le due dimensioni del princìpio di identità e della dignità, in realtà, sono sempre esistite e continuano (e continueranno)
inevitabilmente a coesistere e a confrontarsi, oltre che a scontrarsi: a rischio, altrimenti, di
comprimere eccessivamente la dimensione individualista o quella sociale della persona.
La visione radicata sulla centralità della persona, sul dialogo e sul rispetto reciproco,
sui diritti fondamentali, caratterizza la storia dell’Europa e la sua identità culturale, nonostante il diniego sistematico e reiterato di questi valori che l’Europa ha sempre vissuto e sofferto
nella sua esperienza storica e concreta, nell’oscillazione del pendolo fra i due estremi
dell’esasperazione soltanto oggettiva e sociale o soltanto soggettiva e individuale della digni-
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tà. Sino ad arrivare alla morte dell’idea di Europa nei campi di sterminio e nei gulag; ma proprio per questo e da questo alla sua rinascita con il progetto ed il percorso dell’unità europea,
avviati dopo la conclusione della seconda guerra mondiale per realizzare la pace attraverso i
diritti ed il mercato.
L’idea di Europa, nel contesto della crisi attuale, rischia nuovamente – se pure in modo diverso – di attenuarsi e decolorarsi oggi in una prospettiva prevalentemente mercantilistica e di interessi; di ridursi alla sola dimensione economica e burocratica, in un contesto di
risveglio dei nazionalismi, degli egoismi e dell’integralismo. Si alimentano così il clima di sfiducia e di rifiuto verso il futuro dell’Europa, nel quale sembra evolversi negativamente la crisi
di identità – prima che economica e finanziaria – dell’Europa stessa. Soprattutto si rischia di
trascurare la prima dimensione della cultura europea e le sue componenti essenziali: la centralità della persona e la sua dignità.
Insomma, la valorizzazione esplicita e preliminare della dignità – come momento di
apertura e di fondazione di un sistema costituzionale – esprime con molta efficacia la sua
considerazione come valore essenziale e ponte rispetto ad un passato che non si vuole soltanto cancellare e dimenticare; ma si vuole rifiutare e rinnegare esplicitamente attraverso
l’impegno a che non possa mai più ritornare. Questa prospettiva è importante sotto un triplice
profilo: ricordare quel passato; farne memoria, che appartiene anche alla sfera del cuore e
non soltanto storia, che appartiene soltanto alla sfera dell’intelletto; avvalersi di quel ricordo
non soltanto come memoria condivisa e componente essenziale della propria identità, sia
individuale che di appartenente a un gruppo (etnico, razziale, religioso, linguistico), ma anche come insegnamento, garanzia ed ammonimento per un presente ed un futuro che si vogliono diversi.
Non è poco, se si pensa che non molto tempo dopo le solenni proclamazioni di rifiuto
delle degenerazioni e degli annichilimenti della dignità, che avevamo sperimentato sul territorio europeo in occasione della seconda guerra mondiale, ci siamo trovati nuovamente a confrontarci con violazioni dei diritti umani su larga scala. Fra di esse, è sufficiente ricordare le
varie forme di pulizia etnica e di lotta di religione, nelle vicende della ex Jugoslavia; o le infinite variazioni sul tema della violazione dei diritti umani, rappresentate dal terrorismo globale
ma anche da talune forme di contrasto ad esso.
Nulla – si può dire – è meno drastico, meno definitivo, più sistematicamente smentito
del “mai più” con cui l’uomo è solito accompagnare solennemente la constatazione e la condanna delle violazioni dei diritti umani e delle offese alla dignità che la rete globale della comunicazione e della conoscenza offre alla nostra attenzione pressoché quotidianamente.
3. (Segue) …il presente e il futuro
La dignità è un ponte dagli orrori, gli errori e le angosce del passato verso i fantasmi,
le inquietudini e le paure del presente e del futuro. Anche questi ultimi – come è stato per il
passato – presentano una serie di insidie e di pericoli per la condizione umana e per le sue
prerogative essenziali e irriducibili che si risolvono nella dignità, come valore ultimo e nucleo
della persona umana.
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Basta pensare agli orizzonti proposti dal progresso scientifico, dall’evoluzione tecnologica, dalle prospettive dello sviluppo. Accanto a soluzioni nuove e largamente positive per il
destino dell’umanità e per le sue condizioni di benessere e di salute, il tema della bioingegneria e delle manipolazioni genetiche apre ad esempio la via a scenari inquietanti per
l’integrità e l’identità individuale. Propone una serie di variazioni e di innovazioni tecnologiche
sui temi della selezione eugenetica, del razzismo e della pulizia etnica, certamente nuove e
più sofisticate rispetto alle atrocità e alle soluzioni più rudimentali del passato.
Di fronte a questa realtà, la dignità rappresenta una fonte di diritti, ma anche di limiti
all’autonomia individuale per il rispetto della dignità umana, della specie e non solo
dell’uomo, della sua struttura costitutiva sulla quale possano incidere la rivoluzione genetica
e le nuove vie aperte dalla scienza. La dignità – è stato detto – rappresenta un punto di riferimento fondamentale per il “biodiritto”: una “religione civile” che propone un valore assoluto
in un contesto di relativismi dei valori e legittima il passaggio dalla prospettiva precedente e
negativa di limite alla ingerenze esterne, a quella nuova e positiva di limite all’autonomia individuale. In questa linea la garanzia della dignità espande il suo ambito dalla vita dell’uomo
(nell’accezione tradizionale) alle sue premesse, potenzialità ed inizi (la cellula, l’embrione, il
feto); nonché alla sua conclusione ed alla sua trasmissione nelle generazioni future (il finevita, il post mortem e la discendenza).
Basta pensare alle dimensioni del mercato; alla illusione circa la sua capacità di autoregolare, di salvaguardare effettivamente, di equilibrare fra loro i diversi e contrapposti interessi che vengono in gioco. Di fronte alla logica preminente del profitto è certamente fondato
– e non mancano gli esempi – il timore di una commercializzazione totale, indiscriminata e
selvaggia del corpo umano e della persona, in tutte le sue componenti materiali e immateriali. É una commercializzazione resa possibile ed agevolata dagli strumenti tecnologici; è disinteressata a qualsiasi pur minimo rispetto della dignità che deve accompagnare quel corpo e
la persona, sia in vita che nelle sue premesse e post mortem.
Ancora, basta pensare alla difficile compatibilità fra la logica del mercato e del profitto, del suo ruolo dominante, della legge del più forte in cui essa si risolve, e gli obiettivi e le
esigenze dello sviluppo sostenibile, del rispetto dell’ambiente, del rapporto fra l’uomo e la
natura, dell’equilibrio nell’utilizzo delle risorse. Sono obiettivi ed esigenze in cui vengono in
considerazione – e troppo spesso sono messe in discussione – la eguaglianza e la dignità
umana: sia nell’aspetto individuale e specifico delle sorti dei singoli e dei gruppi; sia
nell’aspetto globale e generale delle differenze e delle ingiustizie nel rapporto fra Nord e Sud
del mondo, nell’utilizzo delle risorse naturali e nel loro sfruttamento, nel rapporto fra l’uomo e
l’ambiente. Anche di fronte a questa realtà (la dilatazione e l’espansione globale del mercato,
delle sue logiche e delle sue regole), la risposta – al pari di quanto si è verificato per la bioingegneria e per il biodiritto – non può che giungere, inevitabilmente, dalla dignità intesa e sviluppatasi come fonte di limitazione all’autonomia, all’autodeterminazione individuale e segnatamente alla libertà contrattuale.
Che in questo contesto sia in gioco la dignità umana è evidente se solo si pensa, ad
esempio, al dramma delle condizioni di vita nei paesi della fame, della sete e della guerra,
oggi dell’ebola; ed al dramma connesso delle migrazioni incessanti verso i paradisi e i ghetti
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dorati del benessere, in condizioni da cui spesso è assente qualsiasi profilo di rispetto della
dignità e della vita, che ne è necessaria premessa. O se si pensa che troppo spesso, al termine di questi viaggi – di speranza e di morte al tempo stesso − l’unico sbocco è rappresentato dall’emarginazione, dallo sfruttamento, dall’ottenimento di condizioni magari di sopravvivenza, ma certo non di dignità (anche se pur sempre preferibili a quelle da cui con la migrazione si cerca di fuggire).
A proposito dell’evoluzione tecnologica, basta pensare ai problemi che per il rispetto
della dignità umana propongono sotto un duplice profilo le nuove tecniche di gestione e trasmissione della conoscenza e dell’informazione: il loro sfruttamento commerciale;
l’annullamento di ogni spazio di privacy. Il secolo appena concluso e quello ad esso precedente erano stati i secoli, rispettivamente, del diritto all’essere (alla libertà) e prima del diritto
all’avere (alla proprietà). Il secolo appena iniziato è certamente quello del diritto alla conoscenza, ma anche degli abusi di essa legati al progresso tecnologico ed alle sue applicazioni
in tutti i campi: dallo sfruttamento delle risorse naturali agli interventi sulla realtà fisica e psichica della persona, alla elaborazione di tecniche di aggressione e di armi di distruzione di
massa.
La conoscenza nel contesto tecnologico attuale è espressione di potere – attraverso il
dominio nella gestione dei beni immateriali – molto più di quanto possa esserlo oggi il dominio di risorse materiali. In effetti, il vero accesso al potere si esprime nell’inclusione, nella
ammissione alla conoscenza e nella sua condivisione: una riproposizione in chiave moderna
ed attuale dell’albero dell’Eden, del frutto proibito della conoscenza del bene e del male. La
vera emarginazione si esprime nella esclusione dalla conoscenza; si pensi alle discriminazioni causate dall’analfabetismo e poi dal digital divide.
Anche con riguardo al tema dell’informazione, la ammirazione per le risorse della
evoluzione tecnologica e per le loro possibili applicazioni si accompagna inevitabilmente al
timore che esse possano imporre un prezzo troppo elevato per il rispetto della dignità umana. Ciò può verificarsi sia attraverso la prevalenza di tecniche di trasparenza globale che
cancellino qualsiasi spazio di intimità e di privacy per il singolo, coessenziale alla sua dignità;
sia attraverso l’uso di tecniche di manipolazione dell’informazione, che riducano o escludano
la capacità di informazione del singolo e quindi di scelta e di autodeterminazione da parte
sua.
Infine, il riferimento alla gestione dell’informazione e della conoscenza apre la via a
molte altre inquietudini per la sorte e per il rispetto della dignità umana, in una prospettiva
non soltanto di trasparenza totale, ma anche di controllo totale dell’informazione; mentre la
libertà di quest’ultima è essenziale per la vita e lo sviluppo della democrazia.
4. Dignità e sicurezza oggi
Il contesto attuale non è soltanto quello di un’economia globale, almeno in apparenza
(perché, in realtà, il mercato è tutt’altro che globale ed è tuttora irto di protezionismi e sbarramenti a favore dei ricchi e a danno dei poveri). Non è soltanto il contesto di
un’informazione globale, anch’essa più apparente che reale se solo si guarda alle sue de-
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formazioni e strumentalizzazioni. È anche, purtroppo, un contesto di guerra, di intolleranza e
di violenza globale; di terrorismo al tempo stesso globale e glocale, dopo l’11 settembre
2001 e dopo tutti gli episodi di terrorismo e di sua degenerazione in una guerra, che a
quell’esordio del nuovo secolo sono seguiti e continuano a seguire, sino alle ultime aberrazioni del califfato islamico.
Proprio la dimensione dei nuovi conflitti – legati all’intolleranza, al fanatismo e al terrorismo globale – propone nuove prospettive per i problemi e le tecniche della sicurezza e del
contrasto alle nuove forme di terrorismo, nonché per il confronto fra dignità e sicurezza.
In tema di contrasto al terrorismo si è affermata e si è evoluta una prospettiva di
intelligence, di infiltrazione, di conoscenza delle comunicazioni e di controllo delle reti, cui le
nuove tecnologie di trasmissione e gestione dei dati offrono risorse pressoché illimitate, soprattutto in un contesto di maggior (almeno all’apparenza) collaborazione internazionale e
sopranazionale. Ma, al tempo stesso – in nome delle esigenze di sicurezza e di emergenza –
si è affermata anche una prospettiva di attenuazione delle tradizionali soglie di tutela dei diritti fondamentali alla vita, alla libertà personale, al silenzio, alla difesa, alla presunzione di non
colpevolezza e così via; soglie di tutela cui eravamo stati abituati dalle nostre culture e dai
nostri sistemi costituzionali.
La prospettiva di trasparenza totale e di cancellazione della privacy e quella di attenuazione della soglia di tutela dei diritti fondamentali e inviolabili si sono sviluppate con
un’evidente sinergia fra di loro, in una duplice direzione: quella, generica e generale, riferibile
a tutti e ciascuno i componenti delle collettività da proteggere; quella, specifica e particolare,
riferibile ai singoli soggetti su cui si indaga o che sono sospettati di coinvolgimento in attività
terroristiche. Entrambe le prospettive aprono scenari e interrogativi inquietanti per la tutela e
per il rispetto della dignità umana.
È sufficiente richiamare i dibattiti, purtroppo ritornati di moda, sulla legittimità o quanto
meno sulla utilizzabilità della tortura; quelli sulla necessità di porre all’uso di essa delle limitazioni, che inevitabilmente finiscono per legittimare le vessazioni e violenze esercitate al di
qua della soglia di tali limitazioni. È sufficiente richiamare le perplessità e gli interrogativi evocati dalle vicende delle renditions (trasferimenti clandestini e coattivi di prigionieri da paesi
“civili” ad altri con una minor soglia di protezione dei diritti fondamentali, per ottenere informazioni). Ovvero le perplessità e gli interrogativi evocati dalle condizioni di carceri come Abu
Grahib in Iraq, Bagram in Afghanistan, Guantanamo a Cuba (ipocritamente fuori, ma sostanzialmente dentro la sfera di gestione e protezione dei diritti e del sistema giudiziario statunitensi).
Il tema del carcere è d’altronde troppo spesso emblematico della violazione della dignità umana anche in condizioni e contesti di “normalità”, senza bisogno di guardare alla lotta contro il terrorismo ed a paesi notoriamente indifferenti alla tutela dei diritti umani. Offrono
un’ampia e documentata conferma di ciò, nonostante la tassatività delle prescrizioni della
nostra Costituzione (art. 27 3° comma: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità…”) le reiterate e recenti condanne dello Stato italiano da parte della
Corte europea dei diritti dell’uomo, per l’offesa arrecata alla dignità dei detenuti a causa del
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sovraffollamento del carcere e delle condizioni di fatto della detenzione, degradanti ed incompatibili con il rispetto della dignità umana.
V’è quanto basta per rendersi conto di come, nel contesto attuale, la dignità umana
possa essere compromessa e posta in discussione; possa trovarsi in pericolo tanto se non
più di quanto lo era in epoche passate, all’apparenza meno civili. Guardare alla dignità umana come ad una ponte tra il passato, il presente e il futuro consente perciò di sottolineare la
perenne attualità della riflessione su di essa, il suo costante divenire e ad un tempo la sua
immutabilità e stabilità.
Il riferimento al passato coglie l’angoscia delle esperienze storiche in cui si è cercato
di annichilire e distruggere la dignità, come nelle vicende emblematiche dei campi di sterminio o della guerra totale. Il riferimento al presente e al futuro coglie l’inquietudine per la riduzione della persona a mezzo, a strumento di altri obiettivi, anziché la considerazione centrale
di essa, secondo un principio personalistico che riflette la concezione antropocentrica tanto
cristiana quanto kantiana.
Il ponte fra passato, presente e futuro è rappresentato dalla persona e dal suo valore,
con le sue caratteristiche peculiari e irrinunciabili di identità e di diversità nell’uguaglianza.
Sono caratteristiche in se immutabili, ma sono calate in una realtà in continua e profonda
evoluzione, che vale a evidenziare sempre nuove e diverse possibilità di offesa, esigenze di
tutela, prospettive di affermazione della dignità: quest’ultima sempre uguale e sempre suscettibile di aggressioni fra loro diverse.
Certamente può cambiare – è ampiamente e rapidamente cambiato; e continua a
cambiare in modo rapido, vorticoso e incessante – il contesto in cui affermare, difendere e
rivendicare la dignità umana. Un tempo anche recente era (ed è tuttora) soprattutto lo Stato
a poterla insidiare con le sue esasperazioni ed assolutizzazioni, attraverso la strumentalizzazione della persona ai propri fini; pur dopo averla affermata e difesa mediante il riconoscimento e la costituzionalizzazione dei diritti fondamentali e inviolabili.
A un certo punto gli eccessi dello statalismo e le insidie da esso derivanti per la dignità sono stati corretti e superati, anche grazie al mercato. Poi, quando si è dissolta l’illusione
che il mercato fosse capace di autoregolarsi in un contesto di globalizzazione senza o con
troppe poche regole, è stato (ed è tuttora) il mercato ad attentare alla dignità umana con il
suo predominio. Ne offre conferma la crisi – prima finanziaria, poi economica, poi sociale e
valoriale – che da alcuni anni segna pesantemente il nostro sviluppo ed i suoi deficit a livello
nazionale, europeo e internazionale.
Ora, accanto agli eccessi del mercato e agli squilibri causati dalle logiche di esso, gli
eccessi dell’intolleranza, del fanatismo, del terrorismo, aprono nuove prospettive di lesione e
nuove esigenze di difesa della dignità umana. Esigenze e prospettive egualmente nuove nascono infine dal progresso scientifico e tecnologico; dalle sue applicazioni alle condizioni della vita umana e sociale nei campi più disparati come la medicina, l’ambiente, la privacy, le
comunicazioni; dai riflessi che possono derivarne per il rispetto della persona e della sua dignità.
Quest’ultima, peraltro, mantiene immutato e costante il suo ruolo e il suo significato,
come punto di riferimento del valore della persona, della sua centralità, del suo ruolo irriduci-
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bile ed immutabile: un ruolo su cui si fondano e si sviluppano sempre nuovi diritti. Sono diritti
nuovi nel modo di essere e di porsi, in relazione alle modifiche del contesto esterno, in cui
devono essere riconosciuti e tutelati; ma sono costanti e immutabili anch’essi, nel loro contenuto di dignità.
5. Il significato della dignità, dall’astratto al concreto
Nel significato comune e letterale del termine, la dignità si presta ad esprimere una
condizione di onorabilità, un rispetto del quale si è meritevoli: o in quanto persona, o per qualità personali, o per la posizione sociale, o per i meriti acquisiti, o per il comportamento tenuto. Il concetto di dignità, in questo senso, vale ad esprimere un giudizio di valore ed un confronto tra la persona cui si riconosce o si nega la dignità ed altri (che possono essere pochi o
molti, o tutti gli uomini in generale); può valere ad esprimere il riconoscimento di un ufficio, di
una carica pubblica, di uno status come quello già tradizionale del “dignitario” (di corte, ecclesiastico e così via…).
Già nell’approccio al significato della dignità nel linguaggio comune e corrente si colgono diversi profili problematici di ambiguità. Può trattarsi dell’alternativa tra eguaglianza e
diseguaglianza, in cui può risolversi la diversità del singolo; può trattarsi della individuazione
delle condizioni che la maggioranza ritiene essenziali per riconoscere dignità al singolo; può
trattarsi della correlazione fra dignità e raggiungimento di certe condizioni o ruoli sociali e/o di
censo, spesso difficilmente accessibili.
Inoltre, v’è la possibilità e il rischio che il riconoscimento della dignità o il suo disconoscimento in un comportamento, in una persona o in un gruppo, si risolvano in spinta al conformismo, in imposizione di schemi o modelli dominanti, in condizionamento della libertà morale e della capacità di autodeterminazione. Sono emblematici a questo fine il richiamo,
nell’esperienza europea, all’evoluzione dalla clausola generale dei buoni costumi al concetto
dell’ordine pubblico, nei suoi diversi significati; ed il richiamo alla sua giuridicizzazione con il
passaggio dall’etica e dalla morale al diritto.
Quel passaggio è stato motivato dalla diffidenza verso il richiamo alla morale; dal timore di un eccesso di discrezionalità; dalle difficoltà di concretizzazione del concetto. È un
passaggio che si è ulteriormente sviluppato con la sostituzione della dignità all’ordine pubblico: non tanto e non solo per la speranza di superare i problemi e gli interrogativi già emersi a
proposito del buon costume, che restavano almeno in parte irrisolti; ma soprattutto per sottolineare emblematicamente la dimensione personale della dignità rispetto a quella collettiva e
comunitaria dell’ordine pubblico.
Proprio la vaghezza e l’ambiguità insite nel concetto di dignità hanno stimolato ad approfondirne i diversi significati nel percorso culturale che si è sviluppato soprattutto in Europa, dalle origini greche e romane alla tradizione cristiana, all’illuminismo, al riconoscimento e
poi alla costituzionalizzazione dei diritti, e da ultimo alla loro internazionalizzazione dopo
l’ultimo (per ora) conflitto mondiale (ammesso che il terzo non sia già in corso, in forma diverse dai precedenti).
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Quella vaghezza e quell’ambiguità hanno consentito la costituzionalizzazione della
dignità in termini fra loro diversi nei vari ordinamenti. Ciò si evidenzia chiaramente nel confronto fra l’art. 1 della Costituzione tedesca e la Costituzione italiana con i suoi riferimenti
molteplici, anche impliciti, alla dignità. Sono termini diversi, ma tutti egualmente impegnativi e
consapevoli del ruolo essenziale della dignità, nel definire la persona umana e i suoi diritti.
Il percorso della dignità, nel passaggio dal significato letterale a quello giuridico del
termine non è agevole. Non lo è non soltanto perché la dignità ha certamente una valenza
più filosofica ed etica, che non giuridica; ma non è agevole neppure per il relativismo del
concetto (dignitoso o indegno rispetto a che cosa?) e per la sua oscillazione – mutuata dal
linguaggio comune – fra eguaglianza e disuguaglianza, fra autonomia e conformismo, fra
libertà e limite. Da ciò, fra l’altro, il rischio – da molti sottolineato e avvertito − di banalizzare
l’utilizzo della dignità in chiave giuridica, per esprimere concetti ed esigenze del tutto diversi
che si risolvono appunto in termini di conformismo o addirittura di ordine pubblico in senso
lato. Da ciò anche la tentazione di ridimensionare, se non addirittura di abbandonare il riferimento ad un concetto che può diventare inutile, se non addirittura pericoloso, per la sua ambiguità, vaghezza e fragilità.
Nel passaggio dalla definizione astratta del concetto alla concretezza della sua interpretazione, il legame tra la dignità e l’idea di persona costituisce la prima direttrice di sviluppo e di riflessione. La dignità può essere intesa cioè come un attributo e una qualificazione
della persona in quanto tale, di tutte le persone; esse per definizione non possono non avere
una dignità intrinseca ed uguale per tutti, a prescindere dalle condizioni concrete di ciascuno.
La seconda direttrice di sviluppo della dignità è costituita dalla sua concretezza nel riferimento a ogni persona. É (e deve essere) un riferimento specifico alle caratteristiche e alle
condizioni di essa; alle sue relazioni con gli altri; ai diritti che le vengono riconosciuti o negati
ed ai doveri loro correlati; alle scelte di vita che la persona compie e ai loro riflessi sulla valutazione degli altri e quindi sulla dignità in concreto di quella persona.
Il confronto fra le due direttrici si pone fra la dignità di tutti e di ciascuno in astratto e
quella di ogni persona in concreto. La dignità in astratto si risolve in un attributo immutabile
naturale e intrinseco dell’individuo/persona in quanto tale. È una qualità costituita da un livello minimo essenziale di prerogative; queste ultime spettano anche al soggetto incapace e
privo di autonomia, ma comunque titolare dei diritti inviolabili che si fondano sulla sua dignità
e qualità di persona.
La dignità in concreto si sviluppa nell’evoluzione – di ordine sociale, culturale, economico e giuridico – da persona a cittadino, con il progressivo riconoscimento e la successiva costituzionalizzazione dei suoi diritti di cittadino nei confronti degli altri e dello Stato; e poi,
da ultimo, con il superamento dello status del cittadino in favore del riconoscimento dello status e dei diritti dell’uomo in quanto tale.
L’universalità dei diritti umani – dopo le atrocità della shoah e dell’ultimo conflitto
mondiale – è scandita da una serie di enunciazioni. Si tratta della Dichiarazione Universale
dei diritti dell’uomo nel 1948: del Patto sui diritti civili e sociali del 1966; della Convenzione
europea dei diritti umani nel 1950; della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nel
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2007, per citare i documenti più significativi del percorso sovranazionale e internazionale;
delle proclamazioni costituzionali nazionali.
Proprio quella universalità dei diritti fondamentali sembra essere il sintomo più evidente della oscillazione, tuttora, fra le due direttrici nelle quali approfondire l’idea di dignità.
La prima è quella astratta in generale, per tutti gli uomini. La seconda è quella concreta, nel
particolare, per ogni uomo: nel suo modo di essere e di porsi in rapporto con gli altri; nelle
sue condizioni di vita; nelle sue scelte.
6. Il contributo della giurisprudenza all’elaborazione del concetto
Più che definita, la dignità è vista – nelle tradizioni costituzionali europee – come valore ultimo e fondante della persona; come clausola che ne riassume le caratteristiche e le
qualità; come canone interpretativo. Essa è concretizzata e riempita di significati, volta a volta, attraverso l’elaborazione giurisprudenziale sia nazionale che comunitaria (della Corte di
Giustizia e ora anche del Tribunale di I grado della U.E.) e convenzionale (della Corte EDU).
Grazie a quell’elaborazione la dignità si traduce e si risolve nella tesi, nell’antitesi e nella sintesi della coesistenza – con alterne vicende – fra momento soggettivo/individuale di libertà
ed oggettivo/sociale di eguaglianza.
In questo contesto diventa fondamentale – per approfondire sia il concetto di dignità,
sia le sue implicazioni e conseguenze – l’orientamento sempre più diffuso e consolidato verso il multilevel nella individuazione e nella definizione dei diritti fondamentali, del loro contenuto e dei loro limiti attraverso il contributo giurisprudenziale, la cooperazione, il confronto e
talvolta lo scontro fra i giudici nazionali, comunitari e convenzionali. Il contributo
dell’elaborazione giurisprudenziale è essenziale per compiere il passaggio dalla definizione
astratta all’applicazione concreta; dall’enunciazione del princìpio alla sua traduzione nella
prassi; dalla proclamazione dell’universalità dei diritti (e quindi, prima ancora, della dignità)
alla effettività dello loro difesa. Quel contributo è essenziale per individuare in concreto il limite della garanzia della dignità, nel confronto/scontro fra diritti, con riferimento a ciascuno dei
quali essa si manifesta e venga evocata.
Fra gli spunti più significativi dell’elaborazione giurisprudenziale sulla dignità, vanno
ricordati il valore oggettivo di indisponibilità e di irrinunciabilità che le viene attribuito; il suo
legame con la libertà e l’autonomia di decisione della persona; il suo esprimersi in termini di
concretezza, legata alla realtà dei rapporti, alle disuguaglianze di fatto, alle differenze di condizioni personali che incidono sulla libertà di scelta e sull’autonomia delle persone.
Il contributo della giurisprudenza costituzionale all’elaborazione del concetto di dignità
si articola in molteplici aspetti. Esso approfondisce la dignità come valore costituzionale; come limite della discrezionalità del legislatore e alla libertà dell’individuo nell’esercizio dei diritti
che gli sono riconosciuti; come ragionevole criterio di bilanciamento e di equilibrio costituzionale tra diversi valori e diritti; come “fonte” di nuovi diritti; come diritto ad una esistenza dignitosa e ad avere diritti.
Il contributo della giurisprudenza di legittimità si richiama soprattutto agli artt. 2 e 3
della Costituzione e, da ultimo, ai princìpi di diritto comune europeo che, secondo la Cassa-
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zione, rendono evidenti i valori universali del princìpio personalistico su cui si fondano
l’ordinamento dell’Unione e quelli costituzionali nazionali.
Il contributo della giurisprudenza della Corte di Giustizia precede e poi si inserisce in
quello della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. A partire dal 1983, nelle (non
numerose) decisioni che richiamano il concetto di dignità, esso assume via via il rilievo prima
di una premessa dei diritti fondamentali, poi di un diritto fondamentale vero e proprio, infine
di un princìpio generale dell’orientamento comunitario: in connessione con la progressiva
acquisizione di centralità dei diritti dell’uomo nell’ordinamento dell’Unione.
Infine il contributo della giurisprudenza della CEDU – se pure in mancanza di un richiamo esplicito della Convenzione alla dignità ed alla sua tutela – si concretizza in una serie
di riferimenti ad essa. Si tratta di decisioni ex art. 2 (diritto alla vita); soprattutto ex art. 3 (tortura, pene e trattamenti degradanti); ex art. 4 (schiavitù e lavori forzati) e 5 (libertà e sicurezza); ex art. 6 (ragionevole durata del processo); ampiamente ex art. 8 (diritto alla vita privata); ex art. 10 (libertà di espressione), nonché ex art. 14 (divieto di discriminazione).
7. La dignità in sé, nell’altro e nel gruppo
Alla dignità ed alle sue grandi potenzialità si riconduce la capacità di fondare tutti i diritti, pur con la consapevolezza della difficoltà di assoggettare la dignità ad una definizione
astratta, anche a causa delle diverse sensibilità culturali che condizionano quella definizione
in un contesto di pluralismo e spesso di contrapposizione. Insomma, la dignità è vista come
un attributo naturale, intrinseco dell’uomo, che non può essergli levato o limitato; ma che al
tempo stesso è difficile – se non impossibile – definire e soprattutto quantificare. Essa vale a
concretizzare i diritti attraverso cui si esprime la personalità dell’uomo: sia quelli di libertà, sia
quelli sociali ed economici.
In questa prospettiva, il valore della dignità si traduce nel principio personalistico e si
sviluppa in una triplice dimensione: individuale, relazionale e di gruppo. La prima di esse vale
ad affermare il divieto di discriminazione del singolo, che rappresenta un primo e fondamentale vulnus alla dignità, sotto il profilo dell’eguaglianza.
La seconda dimensione della dignità – relazionale – si lega al pluralismo, al multiculturalismo, all’accettazione della diversità, al dialogo e al rispetto reciproco, alla laicità intesa
in senso ampio e non ristretta soltanto al contesto religioso. Essa guarda con sospetto ai valori non negoziabili e al loro potenziale integralismo; il rifiuto dei valori non negoziabili non
significa tuttavia eguaglianza o intercambiabilità di tutte le convinzioni fra di loro, ma rispetto
reciproco e quindi capacità di ascolto dell’interlocutore e di dialogo. Il rispetto deve essere
reciproco in quanto indirizzato sia a se stesso, sia all’altro, in termini di eguaglianza: deve
considerare l’altro pari a se; deve saperlo ascoltare; deve non umiliarlo né disprezzarlo pur
manifestando dissenso o rifiuto delle sue opinioni.
Una simile disponibilità non si riconosce invece nella tolleranza, almeno secondo il
suo significato nel linguaggio comune. La tolleranza esprime piuttosto un sentimento di superiorità e di orgoglio, quindi di ipocrisia e di sopportazione, da parte di chi si sente superiore
all’altro; può risolversi infatti in termini di “tolleranza zero”, evocando una graduazione di so-
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glia e di diseguaglianza. Si pensi, ad esempio, al significato che la tolleranza assume
nell’ambito del diritto civile: l’atteggiamento di pazienza del titolare di un diritto che, pur essendo a conoscenza di effetti o situazioni sfavorevoli per il suo diritto, non esprime la volontà
di accettarli, ma si limita a non reagire; un atteggiamento di inazione, di non intervento.
È un significato che si avvicina a quello della tolleranza nel linguaggio comune e in
quello del diritto canonico. In quest’ultimo, la tolleranza esprime riprovazione per un comportamento, esortazione tacita in senso negativo di fronte ad esso, che pure si dichiara di tollerare e non si probisce. La tolleranza è vista come un mezzo di difesa attenuato, indiretto, diverso dalla sanzione, contro l’illegalità e l’indisciplina che non si possono ignorare ma neppure reprimere senza il rischio di gravi turbamenti; un istituto che è pressoché totalmente
scomparso nel nuovo codice di diritto canonico, in coerenza allo spirito del Concilio Vaticano
II.
Nella dimensione relazionale della dignità si colloca la necessità di non trasformare in
fattori di esclusione le differenze fisiche, sessuali, linguistiche, religiose, politiche, economiche, culturali, sociali, razziali rectius razziste; ferma restando l’inaccettabilità di quest’ultima
classificazione, nonostante la sua previsione nell’art. 3 Cost.. Le specificazioni possono essere legittimi fattori di aggregazione, ma non devono essere al contrario fattori di discriminazione; la società più idonea a garantire e a rispettare la dignità di tutti e di ognuno è la società della partecipazione, non quella dell’appartenenza, quindi dell’inclusione e dell’esclusione.
La terza dimensione della dignità – di gruppo – evoca i diritti di quest’ultimo, che hanno recentemente iniziato a trovare attenzione e protezione. Si pensi, ad esempio, al diritto
del gruppo al proprio territorio, che è stato più volte oggetto di risarcimento da parte di talune
giurisdizioni, per le spoliazioni subite dagli avi.
Il diritto al territorio evoca il tema connesso e fondamentale del rispetto dell’ambiente
e dell’eguaglianza nel rapporto fra l’uomo, il territorio, la natura: un tema essenziale per cogliere il valore e le potenzialità della dignità nell’affrontare i problemi della salvaguardia ambientale, dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile. Non è pensabile affrontare e prima ancora
comprendere quei problemi se non si muove dal rispetto della dignità di chi oggi vive
quell’ambiente, di chi lo ha abitato ieri e di chi lo abiterà un domani. In questo senso sono
importanti il richiamo dell’art. 9 Cost. alla tutela del paesaggio unitamente a quella del patrimonio culturale e storico della nazione, nonché il riferimento esplicito all’ambiente e ai beni
culturali nell’art. 117 Cost., dopo la sua modifica del 2001: dalla memoria del passato
all’impegno per il futuro, senza soluzione di continuità.
La dimensione di gruppo della dignità evoca altresì le discriminazioni, le offese razziali, etniche e religiose, o per contro la protezione delle minoranze, del loro patrimonio identitario, culturale, religioso e non solo linguistico (esclusivamente al quale si riferisce l’art. 6
Cost.). In altri termini essa propone il riconoscimento di un diritto all’identità non solo personale ma anche di gruppo, e al rispetto della dignità di cui quel diritto è espressione.
Sotto questo profilo, l’offesa alla identità e alla dignità del gruppo cui la persona appartiene è in realtà un’offesa anche alla identità e alla dignità personale della persona stessa. In quest’ottica deve ricondursi la risposta all’interrogativo sulla possibilità di una repressione del negazionismo della shoah e del genocidio, come espressione di preparazione
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all’odio e di istigazione al disprezzo del gruppo, attraverso l’offesa alla memoria di esso. Ciò
indipendentemente dalla alternativa di opportunità fra la scelta della repressione penale, con
tutti i rischi di enfatizzazione e di vittimizzazione del negazionista, che ne possono conseguire; e la scelta invece di altre forme di contrasto probabilmente più efficaci, come la risposta
culturale e della formazione nei confronti di simili aberrazioni.
Il tema della dignità e del rispetto di essa va considerato cioè non solo nella prospettiva individuale; ma anche in quella del gruppo e del contributo che quest’ultimo arreca alla
formazione e all’arricchimento dell’identità individuale e quindi della dignità individuale. In
quest’ambito può rientrare il riferimento alla dignità di formazioni sociali come la famiglia,
quali proiezioni della dignità del singolo che in esse svolge la sua personalità. Vale in tal senso il richiamo dell’art. 36 all’esistenza libera e dignitosa non solo del singolo, ma anche della
sua famiglia; ovviamente prescindendo dal significato costituzionale che si deve riconoscere
al matrimonio ed alla famiglia e alla loro definizione, nel contesto del dibattito attuale sulla
sua composizione di genere, che evoca altri non meno complessi profili di rispetto della dignità e dell’identità sessuale; nonché ferme restando la dignità e l’inviolabilità dei diritti del
singolo, nelle sue relazioni di coppia al di fuori del matrimonio e nel quadro dell’art. 2 Cost.
Invece, sembra dubbia la possibilità di estendere l’ambito della dignità e della sua tutela anche e di per sé alle istituzioni in cui si evolvono e si traducono talune più importanti e
significative formazioni sociali, a prescindere dalla dignità del singolo che ne faccia parte. Ciò
per evitare una dilatazione e una oggettivizzazione eccessiva del concetto di dignità, snaturandone il significato peculiare e tipico di personalizzazione e la connotazione tradizionale
antropologica in chiave personalistica. La tutela del rispetto dell’istituzione di cui il singolo fa
parte – che come tale contribuisce al suo status e quindi alla sfera concreta e specifica della
sua dignità (ad esempio la magistratura, le forze armate, la categoria professionale) – si esprime più correttamente in termini di decoro, prestigio, fiducia e considerazione di cui devono godere sia l’istituzione, sia l’appartenente a quest’ultima.
Nella riflessione sull’identità e dignità individuale occorre tener conto del contesto attuale. In esso, da un lato si attribuisce sempre maggior rilievo alla posizione e alla tutela delle minoranze: l’Europa – si dice – è una realtà di minoranze, in cui nessuna di esse deve poter sopraffare le altre; da un altro lato si sviluppa in modo del tutto nuovo la mobilità delle
persone, alla luce dei grandi movimenti migratori. Il tema della dignità va calato in questa
nuova realtà dell’immigrazione e confrontato con i problemi provocati dalle sue possibilità e
alternative: quella della assimilazione, magari forzata e non rispettosa delle caratteristiche
culturali e identitarie del nuovo giunto; quella della separazione e della discriminazione, che
vede nel nuovo giunto soltanto un coefficiente di forza lavoro da sfruttare e da tenere poi
ghettizzato e separato, senza nessuna possibilità di sua integrazione.
Nessuna delle due alternative, se portata alle estreme conseguenze, può ovviamente
offrire delle chances convincenti in vista del rispetto della dignità e prima ancora in vista
dell’instaurazione di una pacifica convivenza. Basta pensare ai problemi creati
nell’esperienza francese dalle rivolte nelle banlieues, in un contesto di apparente ma distorta
assimilazione; o ai problemi creati nell’esperienza inglese dagli attentati terroristici di cui erano autori immigrati di recente cittadinanza, in un contesto di apparente multiculturalismo e
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separazione; o da ultimo al proselitismo ed alla partecipazione sempre più numerosa di europei di seconda e terza generazione alla “guerra santa” contro gli infedeli.
8. La dignità nella Costituzione: dal richiamo esplicito…
Per verificare il ruolo e la posizione della dignità nella Costituzione italiana, è opportuno prendere le mosse dalla differenza di prospettiva che riveste una sua collocazione esplicita e prioritaria – come quella proposta dalla Costituzione tedesca e dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea – rispetto alle scelte presenti in altri ordinamenti come
quello italiano. Questi ultimi hanno ritenuto di utilizzare invece il concetto di dignità in termini
espliciti, come una clausola generale o speciale, relativa a singoli settori e/o diritti; ovvero in
termini impliciti, come espressione del principio personalistico o come coefficiente di vari diritti.
Nell’ordinamento costituzionale italiano la pari dignità sociale si affianca esplicitamente, nell’art. 3 Cost., all’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. L’art. 36 Cost. lega
esplicitamente il diritto alla retribuzione a quello ad un’esistenza libera e dignitosa. L’art. 41
cost. pone altrettanto esplicitamente la dignità umana, insieme alla sicurezza e alla libertà,
come limite alla libertà di iniziativa economica privata, in uno con l’esigenza di non contrastare l’utilità sociale.
Inoltre – secondo la scelta dell’ordinamento italiano – il principio personalistico pone
la dignità come presupposto implicito di numerosi diritti fondamentali. È un presupposto destinato ad emergere dal riconoscimento, dalla definizione, dalla descrizione e dalla disciplina
di quei diritti nel testo costituzionale. È un presupposto che si coglie agevolmente attraverso
l’analisi della giurisprudenza costituzionale su questi ultimi, al pari di quanto si è verificato
nell’esperienza francese, ove la dignità non ha una menzione esplicita nel testo costituzionale.
La differenza di prospettiva ora accennata è presumibilmente legata alle scelte del
contesto storico-politico in cui il singolo sistema costituzionale si è affermato; alle esperienze
in cui esso è maturato; alle vicende immediatamente precedenti la nascita di quel sistema.
Ove più forti e più emblematici sono stati il rifiuto della dignità e il tentativo di distruggerla, più
forte si sente il bisogno di una sua riaffermazione solenne e altrettanto emblematica: quasi in
una sorta di ansia risarcitoria e riparatrice.
Peraltro, la scelta di un diverso approccio al tema della dignità – in qualche modo
meno solenne, più specifico ed analitico, così come è stato fatto nella Costituzione italiana –
non può essere interpretata come disconoscimento della sua importanza o come deprivazione e diminuzione delle sue potenzialità.
La pari dignità sociale assume nell’art. 3 Cost. un rilievo fondamentale, sia emblematicamente che precettivamente. Essa si affianca all’uguaglianza di fronte alla legge, in senso
formale; pone la premessa per l’impegno a raggiungere una eguaglianza in senso anche sostanziale, che riveste un significato diverso da quella in senso formale; apre la via al legame
essenziale fra solidarietà e dignità, per superare la contraddizione tra eguaglianza e diversità
intesa come premessa di discriminazione.
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Altrettanto importanti sono le prospettive di concretezza − e quindi di operatività – che
il valore della dignità assume nell’art. 36 Cost., con riferimento non solo al tema della retribuzione, ma anche a quello di un’esistenza libera e dignitosa. La retribuzione proporzionata
alla quantità e qualità del lavoro esprime la tutela del sinallagma contrattuale attraverso la
specifica posizione del lavoratore, contraente debole; ma esprime altresì “in ogni caso” il superamento del sinallagma nella prospettiva di tutela della dignità del singolo e della prima e
fondamentale formazione sociale in cui egli si realizza, la famiglia.
Il rischio di una valenza soltanto retorica e di principio di tale valore è agevolmente
superabile, se si tengono presenti le applicazioni specifiche che ne sono state proposte dalla
giurisprudenza costituzionale e ordinaria. Tali applicazioni pongono in evidenza sia il rapporto fra dignità e lavoro; sia il significato e rilievo costituzionale di quest’ultimo. Il lavoro è inteso
come premessa dell’assetto costituzionale di democrazia e dignità (art. 1 Cost.); come diritto
e dovere di ciascuno (art. 4); come fondamento di eguaglianza e di pari dignità sociale; come
divieto di discriminazione oltre che come condizione e premessa per lo sviluppo della personalità, per un’esistenza libera e dignitosa del lavoratore e del suo primo gruppo sociale di
riferimento e di realizzazione (la famiglia).
Infine, è sufficiente guardare alla portata attualissima del ruolo svolto dalla dignità
umana, per come è menzionata nell’art. 41 Cost.. Nel contesto attuale di globalizzazione selvaggia, lo sviluppo sostenibile ed il rispetto della persona umana rischiano di restare degli
obiettivi utopistici e destinati a soccombere, di fronte alla preminenza asfissiante della logica
economica e di profitto. Perciò oggi il richiamo al limite della dignità umana, rispetto
all’iniziativa economica privata, assume il rilievo di un’indicazione di principio particolarmente
urgente; anche al di là del significato che si intendeva attribuire a suo tempo a tale richiamo,
da parte dei costituenti.
La espansione e la pervasività del mercato propongono continuamente nuove possibilità di aggressione alla dignità; richiedono correlativamente nuove chances di tutela. Da ciò
quello che nell’art. 41 Cost. si rivela essere un vero e proprio monito di portata generale, di
fronte a questo tipo di rischi insiti nella globalizzazione. È un monito che sino ad ora è stato
evidentemente ritenuto opportuno se non necessario, come risulta dal fatto che l’art. 41 Cost.
non è stato ancora modificato sul punto, nonostante le reiterate critiche, dichiarazioni di intenti e proposte per la sua modifica in senso liberista.
Il richiamo esplicito degli artt. 3, 36 e 41 Cost. alla dignità trova riscontro in una serie
ulteriore di riferimenti impliciti, ma altrettanto vincolanti ed impegnativi nel contesto costituzionale. Quest’ultimo propone un quadro complessivo del valore della dignità che assume un
rilievo attuale ed essenziale per il confronto (quando non lo scontro) e la ricerca di un equilibrio fra le esigenze di libertà, di sicurezza, di economia che caratterizzano la nostra convivenza e i nostri modelli di vita e di società.
Vale a tal fine, innanzitutto, il richiamo dell’art. 2 Cost. al riconoscimento dei diritti inviolabili – da intendersi in chiave di apertura ai nuovi diritti e non in chiave di tassatività – e
alla loro sinergia con i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Tale
sinergia e il richiamo dell’art. 2 Cost. alla inscindibilità della connessione fra diritti inviolabili e
doveri inderogabili sottolineano una componente essenziale della dignità: quella della re-
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sponsabilità, del limite ai diritti e alla libertà, della partecipazione sociale della persona. È una
componente che condiziona incisivamente il rapporto tra dignità e libertà; che emerge ad esempio con evidenza nel rapporto tra diritto e dovere di lavoro (anche se il richiamo può suonare stonato in tempi di crisi e di disoccupazione); nell’obbligatorietà dell’istruzione “inferiore”
(art. 34 Cost.); nel diritto-dovere dei genitori rispetto ai figli (art. 30 Cost.).
È agevole constatare l’enfasi e l’euforia che accompagnano l’allargamento incessante
del catalogo dei nuovi diritti fondamentali e la loro proliferazione. Quest’ultima è favorita dalle
nuove possibilità offerte dalla tecnica per soddisfare interessi prima non evidenziabili, nonché dal dialogo delle giurisdizioni nel contesto del multilevel. A fronte di ciò, la connessione
inscindibile fra diritti e doveri, non sempre tenuta nel debito conto, rende ragione della domanda che qualcuno si pone, quasi in forma di dilemma: perché a ricchi cataloghi di diritti
fondamentali si contrappongono ristretti testi di doveri fondamentali, cui oggi spetta piuttosto
un «ruolo di nicchia»?
9. (Segue) …al riferimento implicito
Il richiamo alla dignità in termini impliciti, è espresso dal testo costituzionale con una
serie di indicazioni nel passaggio dai princìpi fondamentali ai diritti e doveri dei cittadini, nei
rapporti civili, etico-sociali, economici e politici.
Vale in tal senso innanzitutto la sequenza degli artt. da 13 a 15 Cost. dedicata alla libertà personale e di movimento, spaziale, nonché a quella di relazione e di comunicazione
(quest’ultima in uno con la segretezza della comunicazione), come premessa per il riconoscimento della privacy: con le conseguenze che derivano per quest’ultima, ad esempio, in
tema di utilizzo delle intercettazioni di comunicazioni e della loro divulgazione. Vale soprattutto, sempre nell’art. 13 Cost., l’affermazione decisa dell’impegno alla tutela della libertà morale, della capacità di autodeterminazione della persona, della sua integrità fisica e psichica –
anche in stato di restrizione di libertà – contro ogni violenza fisica e morale.
Valgono i diritti di libertà di fede e di manifestazione del pensiero previsti dagli artt. 19
e 21 Cost.. Il primo (l’art. 19) esprime una componente essenziale della dignità e della libertà
di scelta in cui la prima si manifesta, sia nell’ottica del singolo che in quella del gruppo cui la
persona appartiene. Anzi, spesso la religione (come la razza e l’identità sessuale) costituisce
il primo terreno di scontro fra il rispetto dell’identità di gruppo e la libertà di manifestazione
del pensiero.
Il secondo (l’art. 21) propone il tema del possibile contrasto fra due aspetti della dignità: quello della libertà nel manifestare il proprio pensiero e quello della dignità nella difesa del
proprio onore e reputazione. È un contrasto che richiede equilibrio fra tali aspetti e perciò un
limite a ciascuno di essi; si riflette in particolare sull’esercizio dei diritti di cronaca e di critica.
Un eguale rilievo assumono – soprattutto con riferimento alle esigenze di sicurezza –
i richiami impliciti alla dignità, negli artt. 24 e 111, 25 e 27 Cost.. Il primo richiamo si fonda
sulla constatazione che la dignità è presupposto del giusto processo, della sua ragionevole
durata, del diritto inviolabile di difesa e del diritto al silenzio e a non autoaccusarsi, negli artt.
111 e 24. Il secondo richiamo è quello alla dignità come presupposto implicito dei princìpi di
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legalità, di certezza del diritto, di necessaria lesività, di fattualità e causalità (cogitationis poenam nemo patitur), di colpevolezza nell’art. 25 Cost.. Il terzo richiamo – implicito ma trasparente – alla dignità è quello dell’art. 27 Cost. alla personalità della responsabilità penale; al
fatto che le pene devono tendere alla rieducazione e non possono consistere in trattamenti
contrari al senso di umanità; al divieto assoluto e inderogabile della pena di morte ed
all’affermazione implicita della inviolabilità della vita.
Quest’ultimo riferimento si lega nell’art. 32 Cost. al riconoscimento della salute come
diritto fondamentale del singolo e come interesse (non diritto) della collettività. Su tale riconoscimento si fonda l’obbligo di tutela della salute da parte della Repubblica (con i noti limiti
al contenuto del diritto di essere curato, derivanti dalla disponibilità di risorse). Ma su di esso
– e segnatamente sulla differenza fra la duplice qualificazione della salute come diritto e come interesse – si fondano altresì la necessità che il destinatario di un trattamento sanitario
presti un consenso informato a quest’ultimo; e la possibilità da parte sua di rifiutare consapevolmente quel consenso, anche a fronte del rischio di un esito letale. Ciò sulla base del riconoscimento della sua libertà morale e della sua capacità di autodeterminazione.
Il superamento di tale rifiuto e l’obbligatorietà del trattamento sanitario sono subordinati dalla Costituzione alla riserva di legge. Quest’ultima non può comunque, in nessun caso,
violare i limiti imposti dal rispetto (dignità, nei lavori preparatori della Assemblea Costituente)
della persona umana.
Il tema del consenso informato e del trattamento medico obbligatorio per legge evoca
il dibattito ricorrente ed attuale sul fine-vita; sul diritto a continuare a vivere o a morire con
dignità; sulle disposizioni anticipate a tal fine (il c.d. “testamento biologico”, con una pessima
definizione); sulla possibilità di surroga del soggetto divenuto incapace da parte di un terzo
(familiare, sanitario, tutore, amministratore di sostegno). Non è possibile affrontare in questa sede le molteplici e drammatiche implicazioni di quel tema, sia di princìpio che con riferimento alla concretezza delle specifiche situazioni.
Si può solo prendere atto del fatto che la Costituzione sancisce la inviolabilità del diritto alla vita da parte dello Stato e dei terzi. Non afferma invece – almeno in termini egualmente espliciti – la indisponibilità di quel diritto da parte della persona. Anzi, essa lascia aperta la
possibilità di affermare che non è configurabile un obbligo di vivere, ma neppure un diritto di
morire grazie all’intervento di un terzo; pur non sottovalutando i problemi e le incongruenze
che nascono nel concreto in un ambito così complesso, come conseguenza inevitabile a
qualsiasi affermazione di princìpio e di carattere generale.
Invece si può e si deve affermare con certezza – senza se e senza ma – il diritto della
persona a vivere con dignità e nella solidarietà l’epilogo della sua esistenza. Il riconoscimento recente per legge, finalmente, del diritto alle cure palliative e alla terapia del dolore ne è la
conferma evidente.
Un ultimo rilievo, a proposito del ruolo della dignità nell’ambito dei rapporti politici:
l’art. 48 Cost. richiama esplicitamente non la dignità, ma la indegnità morale come limite al
diritto di voto, rinviandone la specificazione ai casi indicati dalla legge. Nei lavori preparatori
dell’art. 49 si proponeva il richiamo al rispetto della dignità e della personalità umana secon-
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do princìpi di libertà e di eguaglianza, come condizione per l’organizzazione dei partiti con
metodo democratico, per concorrere a determinare la politica nazionale.
Infine, un riferimento implicito alla dignità in uno dei suoi significati più tradizionali e
ormai desueti (almeno in teoria) è presente nell’art. XIV delle disposizioni transitorie finali
della Costituzione, che non riconosce i titoli nobiliari.
10. La dignità come premessa e condizione di eguaglianza e di diversità;…
Il valore individuale della dignità, come espressione di autonomia e di libertà, si salda
strettamente al rapporto fra eguaglianza e diversità, nonché al rapporto fra diritti inviolabili e
doveri di solidarietà: non vi può essere pari dignità senza eguaglianza, nel rispetto della diversità. La dignità - nel momento in cui assume il significato di valore primo, oggettivo, al vertice della scala dei valori, irrinunciabile e non bilanciabile con altri valori per esprimere la
condizione umana - diviene il nucleo essenziale sul quale fondare l’eguaglianza e il divieto di
discriminazione fra le persone.
La dignità è un attributo naturale e intrinseco di tutti e di ciascuno: uomini e donne;
sani e malati; bambini, adulti e anziani; ricchi e poveri; cittadini e stranieri; colti e ignoranti;
liberi e detenuti; credenti e atei. Un attributo che si riflette in tutte le sfaccettature della vita
umana come valore da tutelare in sé, o nelle sue specifiche proiezioni nei più diversi settori.
La tutela della dignità si sviluppa e si articola non soltanto in un obbligo negativo di
astensione; ma anche in un obbligo positivo che renda effettiva tale tutela, secondo una prospettiva ed un percorso ben noti alla luce della loro elaborazione soprattutto nella esperienza
europea, con riferimento ai diritti umani fondamentali. Non è sufficiente la proclamazione ed
il rispetto di questi ultimi e del valore della dignità, se contestualmente non si cerca di garantire l’effettività di entrambi.
Il singolo deve poter rivendicare la dignità che gli spetta; il legislatore, per garantirne il
rispetto, deve limitare l’esercizio degli altrui diritti. Lo Stato ed ora, nell’esperienza europea,
la comunità sovranazionale devono garantire l’effettività della loro tutela: non soltanto
nell’ambito dei diritti di libertà, ma anche di quelli economici e sociali, alla luce dell’altro obiettivo che – accanto all’effettività e prima ancora all’universalità – ha segnato l’affermazione e
lo sviluppo dei diritti fondamentali: la loro indivisibilità.
La pari dignità sociale, in quanto fondamento della eguaglianza, per un verso richiede
di garantire a tutti le stesse possibilità di sviluppo; per un altro verso, si risolve nel divieto di
discriminazioni. Sotto questo profilo, il tema della dignità offre ampio spazio alla riflessione
sulla necessità di rafforzare la tutela dei soggetti deboli e della loro dignità: i bambini, gli anziani, i malati, le donne, i detenuti, gli emarginati, i diversi e i diversamente abili, i migranti e
tutte le figure – in continuo aumento – di soggetti in condizioni di inferiorità rispetto ai c.d.
normali.
La dignità del bambino, da rispettare e da tutelare, esprime in modo particolarmente
evidente l’essenza e l’ampiezza del concetto di un soggetto debole, nonché il suo bisogno di
tutela. Tale è per definizione il bambino: indifeso nel suo divenire e proprio per questo titolare
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di piena e pari dignità sociale, in nome dell’eguaglianza in divenire, di cui egli è espressione
proprio nella sua diversità.
Quanto sia necessario un riferimento forte e intransigente alla pari dignità sociale e
umana del bambino, è dimostrato in negativo dalla casistica ricorrente delle violenze cui sono sottoposti i bambini, anche nelle società c.d. più evolute e nell’ambiente familiare e comunitario all’apparenza più protettivo. E ciò senza arrivare agli estremi, pur frequenti, del diniego del diritto alla vita per i bambini che muoiono per fame o disidratazione o malattia nel
terzo mondo; della loro schiavitù; del loro impiego al lavoro o nel mestiere delle armi; del loro
sfruttamento nella mendicità, nella prostituzione e nella pedofilia.
In positivo la dignità nel divenire del bambino – più in termini di speranza, di fiducia, di
ottimismo, che non in termini di denunzia dei delitti contro di essa – esprime il suo diritto a un
futuro migliore: una promessa ed una speranza di cui, nella logica dell’esperienza europea, è
espressione specifica anche il riferimento della Carta dei diritti fondamentali dell’UE ad altre
categorie di soggetti deboli (le donne, gli anziani, i malati, i disabili).
Il tema della dignità dei soggetti deboli – quindi più bisognosi di tutela e di rispetto –
evoca altresì un profilo connesso: la necessità di affrontare le situazioni di offesa alla dignità
(almeno quelle più evidenti e abnormi) anche attraverso la capacità di indignarsi.
L’indignazione è un altro aspetto – non meno importante e significativo – della dignità e del
rispetto che le è dovuto nella relazione con gli altri.
Perciò, in una riflessione sulla dignità nel contesto attuale, non si può prescindere
dalla constatazione che – al di là delle apparenze e dei gesti di sdegno rituale, di facciata o
addirittura ipocrita – sembriamo aver perduto la capacità di indignarci (se non ora, quando?)
di fronte alle discriminazioni quotidiane, alle sopraffazioni e alle violenze nel confronti dei più
deboli, all’assuefazione e alle indifferenze che le accompagnano di solito. È importante, in
questo senso, il richiamo alla indignazione come una sorta di irruzione di sentimenti ed emozioni già tradizionalmente privati nella sfera pubblica; come espressione non solo di dissenso
e di disapprovazione, ma di incitamento a reagire nella consapevolezza o nell’intuizione che
l’offesa alla dignità dell’altro (soprattutto se più debole) è anche e per ciò solo un’offesa concreta alla propria dignità.
Al tema dell’eguaglianza e del rifiuto della discriminazione si lega strettamente quello
del diritto alla diversità e della sua effettività. È necessario evitare, da un lato, che la garanzia
della diversità si risolva in discriminazione; dall’altro lato, che quella dell’eguaglianza si risolva in una assimilazione forzata.
In quest’ottica assume rilievo il logo dell’Unione europea: l’unità nella diversità, che –
nella prospettiva di un’Europa di minoranze, nessuna delle quali abbia la forza di sopraffare
le altre – dovrebbe garantire una pari dignità e quindi una pari capacità di sinergia alle diverse identità che vanno a comporre l’unità europea. E ciò, forse , vale – accanto alla memoria
storica della shoah e degli orrori della guerra – a spiegare la preferenza dell’Europa per una
valorizzazione forte della dignità umana, in posizione prioritaria nel preambolo del Trattato di
Lisbona e negli articoli 2 e 4 di esso; una posizione ribadita nel preambolo e nella articolazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, giuridicizzata e richiamata nel
Trattato. Nella Carta dei diritti la dignità è proposta come un valore indivisibile e universale,
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insieme alla libertà, all’eguaglianza, alla solidarietà (che rappresentano le aree di riferimento
della Carta, insieme alla cittadinanza e alla giustizia).
Questa valorizzazione si è tradotta nel collocare l’area della dignità e della sua protezione a premessa della Carta di Nizza. In tale area si sono ricompresi i diritti e gli aspetti di
protezione più emblematici della dignità, il diritto alla vita e il divieto della pena di morte; ad
essi è connesso il diritto all’integrità fisica e psichica della persona, con le implicazioni che ne
derivano. Queste ultime si manifestano in tema di consenso nell’ambito medico; di divieto
delle pratiche eugenetiche e di clonazione riproduttiva; di divieto dell’utilizzazione del corpo
umano e delle sue parti come fonte di lucro. La protezione della dignità è integrata dalla
proibizione delle torture e delle pene inumane o degradanti; nonché dalla proibizione della
schiavitù e del lavoro forzato.
Quest’area, evidentemente, non esaurisce il contenuto della dignità e del suo spazio
di protezione, che coinvolge anche le aree della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà.
La dignità, in quanto valore di base della condizione umana e come espressione del livello
minimo essenziale delle prerogative della persona, si ricollega ad una gamma molteplice di
diritti.
Fra di essi, assumono rilievo prioritario i diritti civili, e segnatamente i diritti di libertà
(fra cui quelli collegati al settore della giustizia nel processo e nel mondo della pena); quelli
connessi alle relazioni economiche; quelli connessi al diritto alla vita e ai diritti della personalità. Tanto basta per sottolineare l’ importanza, l’ampiezza, la portata, la potenzialità del concetto di dignità, anche per quanto attiene alle concrete possibilità del suo utilizzo.
La dignità non inerisce all’uomo come singolo, nel vuoto di una solitudine totale e assoluta, e nell’assenza di qualsiasi relazione con gli altri, con l’ambiente circostante, con la
realtà ed il mondo esterno, con le loro capacità di condizionamento. Essa inerisce
all’individuo come persona, che si realizza nel contatto con la realtà e nella relazione con gli
altri. Quella relazione rimane essenziale per il singolo anche quando si sviluppi nella scelta
della solitudine e del rifiuto di un contatto con gli altri; si pensi all’eremitaggio, alla clausura e
alla vita contemplativa, in cui può essere estremamente ricco e fecondo il rapporto con gli
altri, nonostante la solitudine.
L’individuo è titolare di diritti inviolabili – che si fondano sulla sua dignità – sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, secondo quanto afferma
l’art. 2 della Costituzione italiana che come conseguenza necessaria richiede l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
11. (Segue) …come espressione e frutto di solidarietà;…
La dignità esprime l’esigenza che i condizionamenti in cui la persona vive e si realizza
non annullino la sua identità e rispettino i diritti fondamentali in cui quest’ultima si manifesta;
ma richiede anche che, entro quei limiti, la persona accetti la realtà del proprio condizionamento. Insomma, un diritto ma anche un dovere a vivere nel condizionamento della realtà e
degli altri: ciò che apre la via ad una duplice riflessione, in termini di rapporto fra
l’eguaglianza, la solidarietà e la libertà. Il princìpio di solidarietà è posto dalla Costituzione fra
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i valori fondanti dell’ordinamento giuridico; svolge una funzione di integrazione sociale e contribuisce a garantire un minimo livello di omogeneità nella compagnia sociale. Quel princìpio
chiama la persona ad agire non per calcolo utilitaristico o poi imposizione di un’autorità, ma
per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa (così la Corte Costituzionale, sentenza 75 del 1992, a proposito del volontariato che rappresenta per essa la più diretta realizzazione di quel princìpio).
Il legame tra solidarietà e dignità è evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale più
recente (in particolare a proposito della introduzione della social card). Essa richiama la dignità per individuare la garanzia “irrinunciabile e irriducibile” di diritti come quello alla salute
ed alla casa; nonché per determinare il livello essenziale di prestazione dei diritti civile e sociali da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, in quanto strettamente inerenti alla tutela del nucleo irrinunciabile della dignità della persona.
Dunque, una applicazione della solidarietà come diritto e non solo come espressione
di carità nella logica cristiana, in cui comunque anche la carità è vista come un dovere. È un
diritto pressante nell’attuale congiuntura economica; un diritto reso ancora più evidente dalla
collocazione della pari dignità sociale nella stessa posizione dell’eguaglianza formale di fronte alla legge, a premessa e non solo come conseguenza e risultato della rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona; un diritto espresso con efficacia dalla nota triade liberté, égalité, fraternité, che pone sullo stesso piano i tre elementi ed i rapporti fra di loro.
Il rapporto fra dignità e solidarietà si fonda sullo sviluppo logico del rapporto fra dignità ed eguaglianza. La persona, inserita nel sociale, si realizza nel rapporto con gli altri ad un
tempo eguali e diversi da lui; proprio a fronte della specificità e delle diversità di ciascuno,
non può esservi eguaglianza senza solidarietà, che è capace di superare la diversità nella
prospettiva dell’eguaglianza.
La solidarietà è necessaria per evitare che la diversità e le differenze − da rispettare e
garantire come espressioni del diritto alla propria identità e del pluralismo su cui si fonda la
essenza della democrazia – ed i fattori positivi in cui esse si traducono, degenerino in fattori
negativi di sopraffazione e di discriminazione. A conferma, basta pensare al fatto che
l’effettività nel godimento dei diritti sociali passa attraverso una serie di obblighi di prestazione − evidenziati appunto dall’art. 3 2° comma della Costituzione – e non soltanto di astensione, a differenza dei diritti civili e di libertà.
A cogliere il rapporto fra solidarietà e dignità, stretto e inscindibile come quello fra eguaglianza e dignità, si presta particolarmente l’affermazione di Gandhi che “la vera fonte dei
diritti è il dovere. Se adempiamo i nostri doveri, non dovremo andare lontano a cercare i diritti. Se, lasciando i doveri inadempiuti, rincorriamo i diritti, ci sfuggiranno come fuochi fatui.
Quanto più li inseguiamo, tanto più fuggono lontano…..”.
La dignità, proprio perché fonte di diritti, lo è al tempo stesso di doveri, nei termini che
ci vengono proposti, ad esempio, sia dall’art. 2 della Costituzione italiana, e dal suo sviluppo
nell’art. 3 2° comma; sia dall’art. 34 della Carta europea dei diritti. Il primo riconosce i diritti
inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale; il secondo impegna alla lotta contro l’esclusione sociale e la povertà,
ed alla garanzia di un’esistenza dignitosa per chi non disponga di risorse sufficienti.
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Sotto questo profilo la solidarietà, in quanto espressione di attenzione verso le categorie ed i soggetti deboli − in vista degli obiettivi, altrettanto importanti, di eguaglianza e di
coesione sociale – è essenziale per l’attuazione effettiva della dignità, intesa come un diritto
e al tempo stesso come un dovere per tutti e per ciascuno. In tal senso, assume un particolare rilievo, nell’art. 3 della Costituzione italiana, l’affermazione dell’eguaglianza formale accanto alla pari dignità sociale e quella del compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli e le
limitazioni alla libertà ed all’eguaglianza.
La dignità individua l’essenza e l’identità dell’uomo in quanto tale; senza di essa non
può esservi eguaglianza né libertà; è il presupposto della relazione con l’altro e del riconoscimento reciproco. La dignità garantisce – nell’eguaglianza che nasce dalla comune dignità
– il rispetto delle diversità e al tempo stesso l’impegno alla eliminazione degli ostacoli che
trasformano le differenze in condizioni di inferiorità, di sopraffazione, di discriminazione.
Poter far leva sul valore della pari dignità come espressione dell’unità nella diversità
della situazione umana e come espressione dell’eguaglianza nelle differenze di tale situazione, sembra particolarmente significativo in tempi come quelli attuali, in cui le incongruenze
della globalizzazione e dei suoi effetti tendono piuttosto a radicalizzare un’alternativa drastica: o l’equalitarismo della massificazione e dell’assimilazione forzata, o la discriminazione
dell’emarginazione.
La dialettica continua tra eguaglianza e diversità, attraverso la mediazione della solidarietà, assicura la sintesi tra le due concezioni della dignità: quella in astratto, come attributo di ogni persona in quanto tale; quella in concreto, come attributo della singola persona nella quotidianità, con riferimento a ciascuna e a tutte le situazioni specifiche in cui la dignità si
realizza nell’esperienza e nel modo di essere di ciascuno.
Uno stimolo a conciliare fra loro la prospettiva astratta e universale e quella concreta
e particolare della dignità nasce proprio dal contesto della globalizzazione. In quest’ultimo si
evidenzia e si condivide sempre più fortemente la necessità della globalizzazione dei diritti, il
bisogno di dignità e di rispetto di essa nei rapporti reciproci, l’affermazione dei valori della
persona.
D’altronde, si sono moltiplicate le occasioni di proclamazione solenne dei diritti inviolabili e fondamentali, a livello tanto nazionale quanto internazionale. Si pensi, da ultimo, alla
recente istituzione di un Tribunale internazionale permanente per i crimini contro l’umanità:
espressione per ora di buoni propositi, più che di concreti passi avanti nella difesa dei diritti
umani.
Tutte queste occasioni di proclamazione della dignità umana e di riaffermazione dei
diritti fondamentali, sono una dimostrazione evidente della profonda frattura e dell’incoerenza
che vi è tra l’aspirazione teorica e la realtà pratica. Ognuna di quelle proclamazioni nasce da
qualche flagrante violazione dei diritti umani; ogni atrocità evidenziata e diffusa dalla rete
dell’informazione costituisce l’occasione per una proclamazione di rifiuto o di esecrazione
tanto solenne, quanto priva di effetti: un “mai più” che si ripete abitualmente. E ciò senza
contare le quotidiane sopraffazioni e vessazioni della dignità del più debole, del diverso, cui
assistiamo nella vita di tutti i giorni.
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Ad uscire dall’incoerenza e dallo scontro fra la proclamazione teorica e la realtà pratica potrebbe aiutare una maggior consapevolezza e partecipazione di ciascuno – nella dimensione locale e nel proprio ambito di realizzazione – al rispetto reciproco ed all’impegno in
difesa della dignità. Il primo terreno sul quale cercare di attuare e di far valere l’effettività dei
diritti fondamentali – soprattutto quelli di stampo sociale − è rappresentato dalla realtà locale.
In quest’ultima non ci si misura soltanto con l’adesione intellettuale e teorica alla valenza universale dei diritti umani e con l’esigenza astratta di solidarietà; ci si deve misurare
con la possibilità e la necessità di un impegno personale e specifico, reale e concreto, verso
l’altro. Nella realtà locale e nella quotidianità sul territorio sono molteplici le occasioni di incontro e di confronto con un prossimo, il quale si trova in condizioni di bisogno e di inferiorità
tali da richiedere un intervento – diretto, immediato e personale – a tutela della sua dignità;
non soltanto una proclamazione astratta e gratificante di solidarietà, a suo favore.
Sotto questo profilo, un contributo significativo alla riflessione sulla dignità può venire
dal riconoscimento esplicito, nell’art. 118 della Costituzione, della sussidiarietà orizzontale
accanto a quella verticale e istituzionale: l’impegno della Repubblica - in tutte le sue articolazioni della sussidiarietà verticale - a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del princìpio di sussidiarietà.
Questo princìpio è importante, nella sua connessione con il princìpio di solidarietà
che esso vale ad integrare, per superare la tradizionale contrapposizione e alternativa, rigida
e consolidata, tra pubblico e privato. Quella contrapposizione finisce per depotenziare e relegare ad un ruolo marginale ed a malapena tollerato la dimensione del sociale, del no profit,
del volontariato, nell’affrontare e molto spesso nel risolvere in modo determinante i problemi
dei più deboli (malati, detenuti, anziani, emarginati).
Sono tutti problemi e situazioni in cui l’impegno del sociale, del c.d. terzo settore, della società civile, è fondamentale ed insostituibile per contribuire ad assicurare un livello, una
effettività e una garanzia di dignità che non possono essere affidati soltanto alla legge, al giudice, all’intervento pubblico, alla burocrazia. Soprattutto in tempi di crisi, di progressiva riduzione e contrazione dell’intervento pubblico nell’ambito della solidarietà, la cultura e la difesa
della dignità richiedono un impegno ed un intervento della società civile: sia ad integrazione
e sostegno dell’intervento pubblico; sia a promozione – non meno importante – di
un’educazione alla dignità e al suo valore.
12. (Segue) …come fondamento e limite di libertà.
L’ambiguità del concetto di dignità e la dialettica sul significato astratto e/o concreto di
essa, apre la via ad un’altra riflessione problematica sul rapporto fra dignità e libertà; su quello che ne consegue, fra eguaglianza e diversità; sui limiti che possono invocarsi o rifiutarsi
nella difesa di quest’ultima e delle scelte del singolo, in nome della dignità.
L’utilizzo del concetto di dignità può in pari misura a rafforzare la sfera dei diritti, soprattutto di quelli sociali; o al contrario può restringere la sfera dei diritti di libertà. Può valere
ad esprimere una elevata tensione sociale; o al contrario può banalizzarsi nel richiamo ad
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esigenze di ordine pubblico e nel loro travisamento. Il richiamo alla dignità può aiutare ad
ampliare l’autonomia della persona e della sua capacità di decisione e di scelta; o al contrario può limitare quello spazio e spingere al conformismo, alla compressione della diversità e
del pluralismo.
Il rischio che il richiamo alla dignità diventi uno strumento ed un pretesto per
l’imposizione o quanto meno per la suggestione e per l’individuazione di modelli dominanti –
soprattutto nei confronti di soggetti deboli – è certamente molto alto ed avvertito. Quale è il
livello entro il quale la dignità può essere invocata come limite all’autonomia privata, ed oltre
il quale il richiamo ad essa diventa invece un’imposizione inaccettabile per la libertà del singolo?
Entro quali limiti il singolo, destinatario e titolare della garanzia alla propria dignità,
può rinunziarvi o consentire alla limitazione di tale garanzia? In ultima analisi, chi è il giudice
della dignità del singolo e della sua disponibilità: l’uomo come singolo in nome dei propri diritti di uomo, o come rappresentante della umanità in nome dei diritti di quest’ultima?
Il tema del rapporto – e del possibile conflitto – fra dignità e libertà non può essere affrontato e tantomeno risolto in questa sede. Non v’è dubbio che entrambe sono fra loro in
una stretta sinergia: la libertà valorizza maggiormente la gamma delle attribuzioni della persona, in una prospettiva dinamica; la dignità valorizza maggiormente la gamma delle qualità
e lo status della persona, in una prospettiva statica. Ma non può esservi dignità senza libertà
e viceversa; fermo restando che la persona conserva la propria dignità, il diritto al rispetto di
essa, la propria libertà morale, anche (anzi, soprattutto)quando la sua libertà fisica o la sua
capacità di autodeterminazione siano ristrette in modo illegittimo o legittimo (in quest’ultimo
caso, per la parte di libertà personale residua e compatibile con un legittimo stato di detenzione; mentre rimane incomprimibile la libertà morale della persona rispetto a qualsiasi violenza fisica e morale: così l’art. 13 Cost.).
Fra i due valori della dignità e della libertà non può esservi concettualmente soluzione
di continuità. Tuttavia, il riconoscimento della contiguità, della sinergia, dell’alimentazione e
dell’interferenza specifica fra di loro, non risolve la possibile alternativa di fondo: se la dignità
debba considerarsi attributo della libertà; o al contrario se quest’ultima debba considerarsi
attributo della prima.
Nel primo caso, la garanzia e la tutela della dignità non potranno essere invocate ab
externo, come limite alla libertà del titolare di tale garanzia e tutela. Questi è l’unico e ultimo
giudice della propria dignità; è arbitro della possibilità di rinunziarvi in toto o di sacrificarla in
parte, in vista della realizzazione di altri interessi e del rispetto di altri valori che il singolo
condivide e persegue.
Nel secondo caso, al contrario, la regola diviene quella della indisponibilità e della irrinunciabilità della garanzia della dignità, almeno entro certi limiti. Segue logicamente la necessità che un legislatore terzo sia chiamato e legittimato a decidere dell’equilibrio in astratto
fra la dignità del singolo e l’esercizio della libertà e dei diritti propri o altrui che possano lederla; e segue la necessità che un giudice terzo sia chiamato e legittimato a decidere
dell’equilibrio in concreto, per il singolo, fra la propria e l’altrui dignità ed altri interessi e valori
che il singolo intenda perseguire anche a discapito di esse.
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Il dibattito su questa alternativa – al di là della sua complessità e delle sue implicazioni teoriche e tecniche – è fondamentale sia in termini di princìpio che in termini di concretezza. È necessario per delineare le regole essenziali della convivenza; nonché per cercare di
risolvere i problemi della conflittualità immanente in quest’ultima e nel confronto/scontro fra
diritti e fra interessi contrapposti.
Basta pensare alla concretezza di taluni esempi affrontati dalla giurisprudenza tedesca e comunitaria, a proposito della commercializzazione di giochi o della realizzazione di
spettacoli che si pongano in contrasto con un comune criterio di rispetto della dignità, per
scene raccapriccianti o per modalità contrastanti con il rispetto del proprio corpo. Basta pensare, ancora, all’esperienza – discussa nella giurisprudenza francese – della situazione in cui
un soggetto consenziente, per poter avere un’occupazione, offra la disponibilità della propria
diversità fisica alle esigenze dello spettacolo; o alla situazione di chi (come si diceva un tempo) faccia commercio del proprio corpo trovandosi in condizioni di inferiorità, di bisogno, di
“minorata difesa”.
Ai fini di una riflessione di massima e sintetica sul concetto di dignità non si può porre
e cercare di risolvere in termini astratti e di princìpio l’alternativa tra una dignità in funzione
della libertà, o al contrario una libertà in funzione della dignità. Sembra sufficiente ricordare
che – nell’equilibrio del rapporto fra i due termini – entrambe esprimono un concetto di relazione e quindi di necessaria eguaglianza, nell’ambito di tale relazione. Sia la dignità che la
libertà richiedono fra di loro condizioni di reciprocità: la propria libertà si realizza attraverso il
limite dell’altrui libertà e viceversa; la propria dignità si risolve nell’altrui rispetto di essa e viceversa.
Tanto consente di sottolineare il valore oggettivo, non soltanto soggettivo ed individuale della dignità. È un valore che attiene all’uomo in quanto tale: quindi alla sua eguaglianza con tutti gli altri uomini; non soltanto alle sue caratteristiche e prerogative di individuo, in
una prospettiva esclusivamente individuale e di disponibilità esclusiva.
Proprio per questo non può concepirsi una possibilità di espansione della libertà del
singolo a discapito della dignità e della libertà di tutti e di ciascuno, compresa la sua. Ciò non
vuol dire, tuttavia, che il parametro della dignità possa essere utilizzato come strumento per
imporre al singolo ab externo dei valori da lui non condivisi, senza alcun rispetto della sua
autonomia e dei suoi diritti di persona. Purché, beninteso, autonomia e diritti da rispettare si
possano ricondurre a una matrice comune di eguaglianza fra il singolo e gli altri; così come a
quella matrice – fondata sull’universalità dei diritti umani – devono potersi ricondurre i valori
nei quali si esprime la dignità e che in nome di essa si può chiedere al singolo di rispettare.
In altre parole, la dignità umana assolve ad una funzione di limite alla libertà: quindi,
all’esercizio dei diritti che proprio della dignità scaturiscono e su di essa si fondano. La dignità ben può fondare un dovere di astensione e di rispetto: sia con riferimento al comportamento ed all’esercizio dei diritti dei terzi, che devono rispettarla nell’altro; sia con riferimento
al comportamento del suo titolare, che deve anch’egli rispettarla verso gli altri e verso se
stesso, nell’esercizio dei propri diritti. Vale, a quest’ultimo riguardo, il richiamo esplicito e testuale dell’art. 41 Cost. alla dignità umana come limite all’esercizio della libertà di iniziativa
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economica privata; vale il richiamo implicito ed in parte esplicito dell’art. 21 Cost. alla dignità
come limite all’esercizio del diritto di liberamente manifestare il proprio pensiero.
13. La dignità ha ancora un valore ed un ruolo?
È questo, in ultima analisi, il paradossale valore e ruolo della dignità: fondare e al
tempo stesso limitare i diritti dell’individuo in quanto persona, nel ed a causa del suo rapporto
con gli altri, che non è soltanto una relazione di libertà, ma anche e contemporaneamente di
eguaglianza, mediata dalla solidarietà.
Per valorizzare il contenuto e la funzione del concetto di dignità, il rifiuto di un orizzonte soltanto individuale e il riconoscimento della relazione con gli altri – in termini che sono
necessariamente di parità ed eguaglianza (la pari dignità sociale, come coefficiente intrinseco e ineliminabile della condizione umana) – consentono di sviluppare meglio le potenzialità
di quel concetto. Si tratta di cogliere queste potenzialità nel rapporto fra dignità e solidarietà;
in quello fra diritti fondamentali e doveri di solidarietà; in quello della sequenza non frammentabile fra dignità, eguaglianza, diversità, libertà e solidarietà, nei termini in cui tale sequenza
è proposta dalla Costituzione italiana e dalla Carta europea dei diritti fondamentali (pur con i
loro approcci diversi al tema specifico della dignità ed alla sua collocazione).
Per sviluppare le potenzialità del concetto di dignità occorre muovere dalla sua genericità, quindi dalla sua ambiguità, dal rischio di una sua deformazione e strumentalizzazione;
ma occorre ritenere tale genericità e indeterminatezza un segno di forza, non un segno di
debolezza. Occorre cioè superare e rifiutare l’atteggiamento di chi ritiene il richiamo alla dignità inutile per la sua vaghezza, se non addirittura pericoloso per la sua equivocità; di chi
perciò suggerisce di abbandonare quel concetto, di dimenticarlo per la sua fragilità, la sua
ricattabilità, il suo bagaglio di retorica; di sostituirlo con concetti più pregnanti come quelli di
responsabilità e di giustizia.
In fondo, proprio la genericità e l’indeterminatezza del concetto di dignità hanno consentito ad esso di sopravvivere. La dignità si è dovuta e si è potuta adattare nel concreto alle
situazioni più diverse, ma ha continuato ad esprimere in astratto una tensione positiva verso
l’equilibrio fra esigenze contrapposte, verso il miglioramento della condizione umana; ha cercato di svilupparsi attraverso un’alternanza continua fra una reazione in negativo a situazioni
inaccettabili e una proposta in positivo verso traguardi da raggiungere. Il richiamo alla dignità
è stato in grado di denunziare e di cercare di correggere le esasperazioni della dimensione
individuale o di quella sociale.
Il punto di equilibrio fra le due dimensioni può essere individuato proprio nella dignità,
a condizione di non risolverla in un indice destinato a variare a piacere, secondo il prevalere
dell’una o dell’altra di esse. L’individuazione dei margini di oscillazione di quell’indice è affidata in astratto e in generale al legislatore sovranazionale ed a quello nazionale, costituzionale ed ordinario; è affidata in concreto al giudice, anch’esso sovranazionale, costituzionale
ed ordinario; può divenire incentivo all’equilibrio in occasione di tensioni fra le competenze
del legislatore e del giudice nel riconoscimento di nuovi diritti.
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Sotto questo aspetto, merita una riflessione il collegamento che viene ad instaurarsi
tra la dignità e il princìpio di legalità: sia la legalità formale, legata alla fonte della norma e
alla riserva di legge, nella prospettiva costituzionale italiana (artt. 23, soprattutto 25, 111
Cost.); sia quella sostanziale, legata al diritto ed alla sua interpretazione ad opera delle corti,
nella prospettiva convenzionale e sovranazionale europea (art. 7 della CEDU e art. 49 della
Carta dei diritti dell’UE). Tra le due prospettive, alla stregua del consolidato e concorde orientamento giurisdizionale europeo nelle due sedi (Strasburgo e Lussemburgo), possono infatti
determinarsi attriti e incomprensioni; deve peraltro prevalere fra di esse la prospettiva europea, salvo voler evocare lo scudo dei controlimiti a difesa della dimensione costituzionale
nazionale del princìpio di legalità.
La dignità, nella sua vaghezza, è (o dovrebbe essere) un punto di riferimento essenziale e insostituibile, per cercare di incanalare e di gestire – anche se non di riuscire a placare – le nostre inquietudini e angosce di fronte alla realtà; è (o dovrebbe essere) una fonte di
tensione e di spinta verso l’equilibrio in positivo, non verso l’esasperazione in negativo.
Si è accennato dianzi alla dignità come ponte fra il passato e il futuro della vicenda
umana. Ma essa è anche un ponte fra i valori evocati e messi in discussione dal richiamo
alla dignità: l’eguaglianza, la diversità, la solidarietà, la libertà; ed è un ponte fra l’uomo e gli
altri, come singoli e come gruppo. È un ponte in quanto esprime l’apertura e l’inclusione, non
un muro che esprime la chiusura e l’esclusione.
È un ponte fra i diritti in cui si concretizzano la libertà e l’autonomia del singolo ed i
doveri che limitano l’espansione e l’esercizio dei diritti, attraverso il richiamo alla responsabilità. È un ponte fra l’eguaglianza e la diversità, fra l’eguaglianza e la libertà, fra la libertà e la
responsabilità. Insomma, la dignità è un concetto fondamentale e insostituibile di relazione
fra l’individuo/persona e gli altri individui/persone.
La dignità è legata alla laicità, intesa nel suo significato più ampio di rispetto reciproco, di dialogo, di democrazia. L’endiadi fra dignità e laicità esprime la sintesi della nostra Costituzione, del suo princìpio personalistico fondante e dei valori che essa propone: la pari dignità sociale come valore riassuntivo di contenuto; la laicità come valore riassuntivo di metodo.
Per questo, non si può e prima ancora non si deve rinunziare al richiamo e alla valorizzazione della dignità; nonostante i limiti, le strumentalizzazioni e i rischi che possono paventarsi nel suo utilizzo. La cultura della dignità, e con essa quella della reputazione e della
vergogna – che sono strettamente connesse alla prima – è essenziale per la nostra sopravvivenza e per la nostra convivenza. Quella cultura apre un orizzonte di applicazioni ben più
ampio di quello, già ampio, che può apparire a prima vista.
Basta pensare a taluni problemi particolarmente pressanti per il contesto di crisi – non
solo economica e finanziaria, ma sociale e di valori – in cui ci dibattiamo da tempo: ad esempio i problemi del conflitto di interessi, del sommerso e dell’evasione fiscale, della corruzione, che sono a prima vista estranei all’ambito di una riflessione sulla dignità. In realtà, un
discorso sulla repressione e prima ancora sulla prevenzione del conflitto di interessi, della
evasione fiscale e della corruzione deve prendere le mosse dalla cultura della reputazione e
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della vergogna, quindi dalla cultura della dignità; non può prescinderne per essere efficace;
non può fondarsi soltanto su una cultura della legalità in senso formale.
Restano i problemi e gli interrogativi di fondo sollevati dal tema della dignità, cui si è
fatto cenno dianzi: quale è il punto di equilibrio tra la sua dimensione in astratto e la sua applicazione in concreto? Chi è legittimato a individuare quel punto nella enunciazione dei princìpi, nella specificazione delle regole, nella loro applicazione ai casi concreti? Chi e come
può risolvere le situazioni di conflitto fra due profili di dignità contrastanti fra loro e decidere
quale di essi debba prevalere e di quanto?
14. Qualche variazione sul tema: negazionismo;...
Per cercare di rispondere a questi interrogativi, non è evidentemente possibile riproporre, a conclusione, ciò che è stato richiamato nel corso delle riflessioni precedenti. Forse,
vale la pena di richiamare per sintesi taluni esempi di risposta ad interrogativi particolarmente attuali, emblematici e drammatici in tema di dignità: il negazionismo della Shoah, il terrorismo, il confronto fra la tutela del lavoro e quella della salute.
Il negazionismo della Shoah nelle sue diverse accezioni (dal diniego in toto al riduzionismo, al revisionismo, all’irrisione dell’Olocausto), è l’ultimo stadio di un percorso storico
infame che dall’antigiudaismo nell’ambito religioso è passato all’antisemitismo nell’ambito
pseudoscientifico e politico-economico; per approdare all’antisionismo nell’ambito geopolitico: la negazione del diritto di esistere dello Stato d’Israele, dopo quella del diritto di esistere
del popolo di Israele e del suo credo.
Il revival e la crescente diffusione del negazionismo – nel contesto del rinascente (o
forse mai sopito) antisemitismo – non soltanto in Europa, per un verso si fondano sulla tesi
che la Shoah sia il frutto di un complotto ebraico volto a legittimare la pretesa di un risarcimento per la persecuzione subita. Per un altro verso essi completano idealmente il ciclo dello sterminio: dall’isolamento attraverso le leggi razziste alla ghettizzazione, allo sterminio fisico del popolo ebraico, all’annullamento della sua memoria, alla negazione del diritto ad esistere per esso e per lo Stato che lo rappresenta.
È evidente il contrasto tra i due profili di dignità: quella del negazionista, come libertà
nella manifestazione del proprio pensiero; quella dei superstiti e degli eredi dei sommersi e
dei salvati, come rispetto della dignità del popolo di Israele di cui è titolare ciascuno degli appartenenti ad esso. Ma è altrettanto evidente, senza alcun dubbio, che il secondo profilo di
dignità e la sua tutela non possono non prevalere sul primo. E ciò a prescindere dalle ragioni
e dalle opzioni di opportunità e di efficacia dell’una o piuttosto dell’altra via di tutela, attraverso il ricorso alla repressione penale o quello ad altre vie come la cultura e la formazione;
nonché a prescindere dall’opzione prevalente negli stati membri dell’Unione Europea per la
via della tutela penale, accolta anche da un’azione comune e da una decisione-quadro del
2008 che non è ancora stata recepita dall’Italia.
Le vie percorse della giurisprudenza per legittimare la repressione penale del negazionismo sono molteplici e non sempre sono coerenti ed univoche: si va dal richiamo della
dignità del popolo ebraico al limite (art. 21) per la libertà di manifestare un’opinione o al limite
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(art. 33 Cost.) per la libertà di insegnamento, con riferimento alla diffusione di notizie accertate come non vere ed offensive per l’altrui dignità.
Non è possibile approfondire in questa sede le implicazioni e i problemi che nascono
da quelle vie. È sufficiente rilevare la concordia che si registra nel riconoscere la necessità e
la presenza di un limite alla dignità insita nella libertà di manifestazione del pensiero, per tutelare un aspetto più importante della dignità stessa.
15. (Segue) …terrorismo;…
In tema di equilibrio tra contrastanti esigenze di tutela della dignità anche il terrorismo
– con la sua crescente espansione, la sua mutazione genetica e la sua evoluzione attraverso
forme sempre nuove e sempre più angosciose e disumane – e la risposta per la sua prevenzione e repressione, propongono problemi altrettanto complessi. D’altronde, è noto ed evidente il legame che viene a crearsi fra il negazionismo e talune fra le radici più significative
del terrorismo.
Il tema del terrorismo nella sua connotazione attuale e quello del contrasto ad esso
evocano con evidenza e immediatezza la tensione del conflitto tra la sicurezza e le sue esigenze da un lato, ed il rispetto dei diritti fondamentali dall’altro: più profili e livelli di dignità a
confronto (quella delle vittime; quella della comunità e della convivenza; quella dei sospetti
autori e complici). Già Beniamino Franklin più di duecento anni fa avvertiva che “chi antepone la sicurezza alla libertà non ha diritto né all’una, né all’altra”.
È un avvertimento che vale ancor più oggi, affiancando alla libertà la dignità che è
sua premessa. Si deve muovere da una catena che non può essere spezzata: non ci può
essere sicurezza senza legalità; ma non ci può essere legalità senza rispetto della dignità ai
vari livelli.
Nel confronto tra diritti fondamentali da un lato ed emergenza dall’altro, v’è la tendenza di dare più peso all’emergenza che non ai diritti e quindi alla dignità, sull’assunto che i diritti sono già proclamati e quindi sono per ciò stesso tutelati; perché ai diritti siamo abituati,
mentre non lo siamo (ancora) all’emergenza terroristica. Tutto ciò in un contesto scivoloso, in
cui dall’emergenza vera del terrorismo si può passare facilmente alla pseudo-emergenza: la
paura del diverso e del clandestino; la limitazione dei diritti di questi ultimi come effetto inevitabile della normalizzazione dell’emergenza; l’assuefazione a quest’ultima.
Il tema del bilanciamento tra terrorismo, emergenza e protezione della dignità e dei
diritti fondamentali nell’ordinamento democratico è stato trattato esplicitamente da numerose
corti supreme, che hanno fissato una serie di princìpi. La sola risposta possibile al terrorismo
è quella che rispetta la legalità; che assicura le stesse garanzie al cittadino e allo straniero,
nell’accertamento della responsabilità personale; che garantisce la separazione dei poteri e il
controllo giurisdizionale nei procedimenti a carico dei terroristi; che utilizza la detenzione
cautelare come misura solo temporanea, non come punizione o vendetta. La sicurezza non
può prevalere sui diritti fondamentali; occorre un bilanciamento in termini di proporzionalità e
di ragionevolezza tra la tutela dell’integrità dello Stato e dell’incolumità dei cittadini e quella
della libertà e della dignità delle persone.
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La conclusione (di Aharon Barak, già presidente della Corte Suprema Israeliana) è
che “solo una democrazia forte, sicura e stabile può permettersi di rispettare e proteggere i
diritti umani e solo una democrazia costituita sulle fondamenta dei diritti umani può esistere
in tutta sicurezza”. “Proprio per questo … non tutti i mezzi sono accettabili in democrazia;
non tutte le pratiche attinte dai nemici della democrazia possono essere utilizzate da chi la
difende; sebbene una democrazia debba spesso combattere con una mano legata, essa avrà comunque l’altra a disposizione”. È una conclusione capace di segnare concretamente
ed efficacemente il punto di equilibrio fra dignità e sicurezza.
16. (Segue) …lavoro e salute
Infine, il confronto fra la tutela del diritto al lavoro e quello del diritto alla salute. Anche
in questo caso vi è la necessità di individuare un punto di equilibrio tra due esigenze di rispetto della dignità all’apparenza contrastanti fra loro, entrambe egualmente importanti. È
un’esigenza che di ripropone quotidianamente, su larga scala come in dimensioni più limitate.
Alle istanze del lavoro, della salute e della salubrità ambientale (prima di tutto per i lavoratori, ma anche per la popolazione circostante di oggi e di domani) quell’esigenza affianca il condizionamento e sempre più spesso l’inquinamento derivante dalle logiche della produzione, della competitività e del profitto, con una serie di riflessi sul livello occupazionale. È
un’esigenza che – a fronte della crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico o nazionale – può richiedere (ed ha richiesto, come risulta dalla sentenza n. 85/2013 della Corte
Costituzionale, chiamata a pronunziarsi sul punto) interventi normativi volti a rendere compatibile la tutela dell’ambiente e della salute con il mantenimento dei livelli di occupazione, anche in presenza di provvedimenti cautelari di sequestro degli impianti da parte della autorità
giudiziaria.
A giudizio della Corte Costituzionale (nell’esame di due norme del d.l. n. 207 del
2012, convertito con l. n. 231 del 2012, emanate per affrontare una vicenda di forte impatto
ambientale e occupazionale) l’intervento normativo non può rendere lecito a posteriori ciò
che prima era illecito. Né può “sterilizzare” il comportamento futuro di una azienda, esentandola dall’osservazione delle norme di salvaguardia dell’ambiente e della salute. L’intervento
normativo può invece tracciare un percorso di risanamento ambientale volto a realizzare un
ragionevole bilanciamento fra diritti fondamentali e costituzionalmente tutelati: quello alla salute e all’ambiente salubre (art. 32 Cost.); quello al lavoro e al mantenimento dei livelli occupazionali (art. 4 Cost.).
Infatti, tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione – osserva la Corte – sono in
rapporto di integrazione reciproca fra di loro. Nessuno di essi può avere la prevalenza assoluta sugli altri; nessuno di essi può espandersi illimitatamente e divenire “tiranno” nei confronti dell’insieme delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente protette, che è espressione della dignità della persona.
In ultimo – constatazione non meno significativa da parte della Corte Costituzionale –
un intervento normativo come quello esaminato può tradursi in una legge-provvedimento a
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contenuto particolare e concreto. Quest’ultima non è incompatibile con l’assetto dei poteri
stabilito dalla Costituzione ed in particolare con la funzione giurisdizionale, nella misura in cui
la legge-provvedimento si muove nell’ambito di una situazione di emergenza ambientale e
occupazionale ed in condizioni di temporaneità.
Concludendo, anche a proposito del rapporto fra la dignità del lavoro e quella della
salute, al pari della tutela di essa in tema di negazionismo e di terrorismo, è possibile individuare un punto di equilibrio: insomma, è possibile cogliere il valore e il ruolo che il concetto
di dignità vale ad esprimere tuttora nell’umana convivenza; e non è certo poco, per continuare a credere e sperare in essa, nonostante i suoi limiti.
Bibliografia
Per un’indicazione ampia della letteratura sul tema della dignità sino al 2010, si rinvia
alle indicazioni di P. BECCHI, Il princìpio di dignità umana, Brescia, 2009, e soprattutto a M.
DI CIOMMO, Dignità umana e stato costituzionale, Firenze, 2010.
Per il periodo successivo, si rinvia, anche per le indicazioni bibliografiche in essi riportate a:
ALPA G., Dignità personale e diritti fondamentali, in Rivista trimestrale di diritto e procedura
civile, 2011, 1, p. 21 segg.
BACCO F., Dalla dignità all’eguale rispetto: libertà di espressione e limiti penalistici, in Quaderni costituzionali, a. XXXIII, n. 4, 2013, p. 823 segg.
BECCHI P., La dignità umana nella società post-secolare, in Rivista internazionale di Filosofia del diritto, 2010, fasc. 4, p. 503 segg.
CARETTI P., I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, III ed., Torino, 2011.
CARLASSARRE L., Dignità della persona e libertà di cura, in Studi in onore di Franco Modugno, Napoli, 2011, vol. I, p. 567 segg.
COLAPIETRO C., Diritti dei disabili e costituzione, Napoli, 2011.
DI CESARE D., Se Auschwitz è nulla – Contro il negazionismo, Genova, 2012.
FORTI G., Dignità umana e persone soggette all’esecuzione penale, in Diritti umani e diritto
internazionale, 2013, fasc. 2, p. 237 segg.
GROSSI P., La Costituzione italiana quale espressione di un tempo giuridico pos-moderno,
in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2013, p. 607 segg.
LONARDO L., Il valore della dignità della persona nell’ordinamento italiano, in Rassegna di
diritto civile, 2011, n. 3, p. 761 segg.
MESSINEO D., La garanzia “del contenuto essenziale” dei diritti fondamentali, Torino, 2012.
PARISI S., Il negazionismo dell’Olocausto e la sconfitta del diritto penale, in Quaderni Costituzionali, a. XXXIII, n. 4, 2013, p. 879 segg.
PICIOCCHI C., La dignità come rappresentazione giuridica della condizione umana, Padova,
2013.
POLITI F., La tutela della dignità dell’uomo quale princìpio fondamentale della Costituzione
Repubblicana, in Studi in onore di Franco Modugno, Napoli, 2011, vol. III, p. 2661
segg.
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POLITI F., Diritti sociali e dignità umana nella Costituzione Repubblicana, Torino, 2011.
RESTA G., La dignità, in Ambito e fonti del biodiritto – Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, Milano, 2012, p. 259 segg.
RODOTÁ S., Antropologia dell’”homo dignus”, in Rivista critica del diritto privato, 2010, fasc.
4, p. 547 segg.
RODOTÁ S., Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012.
RODOTÁ S., La rivoluzione della dignità, Napoli, 2013.
ROLLA G., Profili costituzionali della dignità umana, in Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, Milano, 2012, p. 1077 segg.
RUGGERI A., Dignità versus vita? in Rivista Associazione Italiana Costituzionalisti, 2011,
fasc. 1, p. 15 segg.
RUGGERI A., Il princìpio personalista e le sue proiezioni, in federalismi.it, fasc. 17, p. 34
segg.
RUOTOLO M., Sicurezza, dignità e lotta alla povertà, Napoli, 2012.
RUOTOLO M., Dignità e carcere, II ed., Napoli, 2014.
SCOGNAMIGLIO C., Dignità dell’uomo e tutela della personalità, in Giustizia Civile n. 1,
2014, p. 67 segg.
SILVESTRI G., La dignità umana come criterio di bilanciamento dei valori costituzionali, in
Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, Milano, 2012, p. 1179 segg.
SIMONCELLI M. (a cura di), Dove i diritti non esistono più. La violazione dei diritti umani nelle guerre contemporanee, Roma, 2010.
SITZIA L., Pari dignità e discriminazione, Napoli, 2011.
TERLIZZI G., Dal buon costume alla dignità della persona: percorsi di una clausola generale,
Napoli, 2014.
Giurisprudenza
Per il richiamo sino al 2010 della giurisprudenza della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale, della Corte di Giustizia e del Tribunale di I grado, della (Commissione e
della) Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul tema della dignità, si rinvia alle ampie, analitiche e articolate indicazioni di DI CIOMMO, op. cit., p. 157 segg. e p. 285 segg.
Per il periodo successivo:
I. quanto alla giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di dignità si segnalano:
– le sentenze n. 299/2010 e 61/2011 in tema di tutela del diritto alla salute, come ambito inviolabile della dignità umana, nei confronti dello straniero anche se irregolarmente presente sul territorio dello Stato;
– la sentenza n. 88/2011, in tema di tutela delle minoranze linguistiche, con riferimento alla pari dignità sociale ed eguaglianza ed al princìpio pluralistico cui si collega la lingua
come elemento di identità individuale e collettiva;
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– le sentenza n. 244/2011 e 200/2012 in tema di limiti alla libertà di iniziativa economica a tutela della sicurezza, libertà e dignità dell’uomo, rispettivamente nella gestione dei
rifiuti e nella liberalizzazione di attività economiche;
– la sentenza n. 62/2013 in tema di tutela della dignità di soggetti in condizioni di estremo bisogno (con la c.d. carta acquisti);
– la sentenza n. 85/2013 in tema di ragionevole bilanciamento fra i diritti fondamentali
alla salute e al lavoro;
– la sentenza n. 279/2013 sul sovraffollamento carcerario, sul suo carattere sistemico; sul suo concretarsi in un trattamento contrario al senso di umanità nonché in condizioni di
invivibilità; sulla necessità di un intervento e di scelte legislative urgenti per ovviare a tale
problema;
– la sentenza n. 115/2014 (preceduta in termini analoghi dalle sentenze n. 313/2013
e n. 82/2011) in tema di insindacabilità delle opinioni espresse dai membri del Parlamento,
nel confronto fra la salvaguardia dell’autonomia e libertà delle assemblee parlamentari e la
garanzia del diritto alla tutela della dignità della persona;
– la sentenza n. 162/2014, in tema di fecondazione eterologa, per un ragionevole
punto di equilibrio fra la tutela dell’embrione e quella delle esigenze di procreazione nel rispetto della dignità della persona umana;
– la sentenza n. 168/2014, in tema di edilizia residenziale pubblica, per assicurare
un’esistenza dignitosa a coloro che non dispongono di risorse sufficienti, nel rispetto della
persona umana, della sua dignità e delle condizioni minime di convivere civile;
– la sentenza n. 238/2014, in tema di incostituzionalità delle leggi nazionali di adesione alla Convenzione sulle immunità giurisdizionali degli Stati e di adeguamento alla pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia, che impone di negare la giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, per
contrasto con i diritti fondamentali della persona fra cui la dignità, anche sotto il profilo del
diritto di accesso alla giustizia.
II. Quanto alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’elevato numero delle pronunzie in cui è richiamata la dignità umana, nonché la molteplicità e specificità delle problematiche esaminate non consentono un richiamo in questa sede, di necessità estremamente
sintetico.
III. Quanto alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di dignità si segnalano:
– la sentenza (grande sezione) in data 18 ottobre 2011, B. c. Greenpeace e V. (proc.
C-34/10), in tema di esercizio del diritto dei brevetti nel rispetto dei princìpi fondamentali che
garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo e in tema di esclusione della brevettazione per i
procedimenti la cui applicazione rechi pregiudizio ad esse, come ad esempio i procedimenti
per la produzione di esseri ibridi da cellule germinali o totipotenti umane o animali;
– la sentenza (quarta sezione) in data 27 settembre 2012, Cimade e GJSTI c. Ministre de l’interieur (proc. C-179/11), in tema di interpretazione della direttiva 2003/9/CE recan-
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te norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli stati membri, per garantire
il pieno rispetto della dignità umana e promuovere l’applicazione degli artt. 1 e 18 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea;
– la sentenza (quarta sezione) in data 13 giugno 2013, ONAFTS c. R.H.A. (proc. C45/12), in tema di libera circolazione dei lavoratori, la quale richiede – per il rispetto della libertà e della dignità – condizioni ottimali di integrazione della famiglia di un lavoratore migrante, fra le quali la possibilità del figlio di seguire le scuole e gli studi nello Stato membro
ospitante e perciò il diritto autonomo di soggiorno di esso e del genitore suo affidatario;
– la sentenza (quarta sezione) in data 27 febbraio 2014, Federal agentschap etc. c.
S.S. e altri (proc. C-79/13), in tema di interpretazione della direttiva dianzi citata, la cui finalità
e la cui economia generale – in uno con il rispetto dell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali – comportano che i richiedenti asilo abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza (in natura o attraverso sussidi economici) nel momento in cui presentano la domanda
di asilo e che essi non vengano privati della protezione conferita dalle norme minime anche
solo per un periodo temporaneo dopo la presentazione della domanda.
IV. Quanto alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di dignità si segnalano:
– la sentenza (seconda sezione) in data 8 novembre 2011, V.C. c. Slovacchia (Ric. n.
18968/07), in tema di sterilizzazione senza previo consenso, in contrasto con il rispetto della
libertà e della dignità della persona, costituente princìpio fondamentale della Convenzione;
– la sentenza (gran camera) in data 26 giugno 2012, K. e altri c. Slovenia (Ric. n.
26828/06), in tema di privazione arbitraria dello statuto di residente permanente, in esito alla
dichiarazione di indipendenza dello Stato ospitante, con riferimento fra l’altro al diritto fondamentale “alla esistenza e alla personalità giuridica”;
– la sentenza (prima sezione) in data 24 luglio 2012, D. c. Croazia (Ric. n. 41526/10),
in tema di maltrattamenti nei confronti di minori o di portatori di handicap fisici e mentali;
– la sentenza (seconda sezione) in data 9 ottobre 2012, X. c. Turchia (Ric. n.
24626/09), in tema di detenzione in isolamento per ragioni di omosessualità e di condizioni
detentive non compatibili con la dignità;
– la sentenza (quinta sezione) in data 18 ottobre 2012, B. c. Repubblica Ceca (Ric. n.
37679/08), in tema di protezione dei diritti umani e della dignità di persone affette da disturbi
mentali, in condizioni di restrizione di libertà ed a fronte di maltrattamenti;
– la sentenza (quinta sezione) in data 8 novembre 2012, Peta Deutschland c. Germania (Ric. n. 43481/09), in tema di negazionismo della Shoah lesivo della dignità e in tema
di comparazione fra il maltrattamento di uomini e quello di animali, a fronte della libertà di
espressione;
– la sentenza (seconda sezione) in data 8 gennaio 2012 (Ric. n. 43517/09 e altri), T.
e altri c. Italia, in tema di sovraffollamento in carcere e di condizioni di detenzione degradanti
ed incompatibili con il rispetto della dignità umana;
– la sentenza (quarta sezione) in data 15 gennaio 2013 (Ric. n. 48420/10 e altri), E. e
altri c. Regno Unito, in tema di libertà di pensiero, di coscienza e di religione e in tema di sua
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manifestazione come fondamento di una “società democratica” e elemento essenziale
dell’identità;
– la sentenza (prima sezione) in data 25 luglio 2013, K. e L. c. Russia (Ric. n.
11082/06 e altri), nonché in data 10 ottobre 2013, Y. c. Russia (Ric. n. 41038/07), in tema di
compatibilità delle condizioni di detenzione con il rispetto della dignità e in tema di durata e
ragioni di essa; in tema di condizioni della detenzione si vedano altresì da ultimo la sentenza
(quarta sezione) in data 11 marzo 2014, A. c. Bulgaria (Ric. n. 26827/08) e la sentenza (prima sezione) in data 3 luglio 2014, A. e altri c. Russia (Ric. n. 37966/07), in tema di maltrattamenti, torture e trattamenti degradanti nei confronti di detenuti;
– la sentenza (prima sezione) in data 3 ottobre 2013, J.B. c. Grecia (Ric. n. 552/10),
in tema di differenza di trattamento e di discriminazione di una persona sieropositiva nel rapporto di lavoro;
– la sentenza (gran camera) in data 16 luglio 2014, H. c. Finlandia (Ric. n. 37359/09),
in tema di cambiamento di sesso e di regime matrimoniale tra persone del medesimo sesso.
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