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I metodi di valutazione aziendale
I METODI DI VALUTAZIONE D’IMPRESA Claudio Cacciamani 1 Il valore come obiettivo dell’impresa L’obiettivo ultimo dell’impresa è la continua crescita e la massimizzazione del proprio valore. Quest’ultimo può essere considerato come la ragione essenziale della sua sopravvivenza nel lungo termine, della sua attiva partecipazione alla produzione di risorse per la collettività e del suo contributo al benessere sociale1. La creazione di nuovo valore richiede la capacità del management di individuare, cogliere e mantenere nel lungo periodo le fonti del vantaggio competitivo, controllando e gestendo i rischi d’impresa. E’, inoltre, fondamentale, ai fini della competitività, il rapporto che l’impresa riesce a instaurare con il sistema-Paese in cui è inserita, inteso come contesto in grado di offrirle risorse, servizi, condizioni politico-istituzionali di notevole rilevanza strategica per lo svolgimento dell’attività2. Il processo di creazione di valore deve svolgersi in un’ottica di lungo periodo, in modo da creare solide basi in grado di assicurare la continuità duratura dell’impresa, conciliando obiettivi competitivi e sociali3. Infatti, solo in questo modo è possibile tendere alla realizzazione delle complesse finalità aziendali, quali la produzione di beni e servizi, la creazione di ricchezza e la soddisfazione degli interlocutori sociali. Le attività dell’impresa, quindi, creano valore se contribuiscono a sostenere e sviluppare il reddito nel lungo termine e se, contemporaneamente, influiscono sulla qualità di esso, riducendone la variabilità e, di conseguenza, il rischio a esso associato. Le opportunità di crescita del valore sono determinate dalle strategie e dalle politiche che l’impresa è in grado di realizzare, a loro volta condizionate da fattori ambientali, ma soprattutto dalle risorse tangibili e intangibili di cui l’impresa dispone o è in grado di disporre (attraverso investimenti, processi di apprendimento legati all’esperienza, politiche gestionali volte a rafforzare 1 Cfr. GUATRI (1992), pag.XIV. 2 Sempre cfr. GUATRI (1992), pag.XVI. 3 Così si esprime CODA (1988), pagg.116-117. coesione, credibilità e immagine)4. Attraverso la ricerca di superiori livelli di efficienza (migliorando la produttività e il grado di utilizzo delle risorse), l’innovazione nei prodotti e nelle modalità di distribuzione, il miglioramento della qualità, la maggiore attenzione alle esigenze dei consumatori e la comunicazione interna (nei confronti dei dipendenti) ed esterna (volta a migliorare l’immagine dell’impresa e diffonderla attraverso la notorietà), l’impresa mira a produrre un’offerta in ogni momento consona alle esigenze del cliente, il cui gradimento, unito al consenso degli altri interlocutori sociali, è essenziale per raggiungere livelli di economicità tali da riprodurre e accrescere il capitale necessario ad assicurare la funzionalità aziendale5. In quest’ottica, gli obiettivi reddituali che l’impresa si pone devono assumere connotazioni di lungo periodo, poiché il risultato da perseguire è la vitalità duratura della stessa. Il profitto nel breve periodo viene, quindi, considerato un risultato strumentale, da perseguire come mezzo necessario a ottenere le risorse su cui costruire le prospettive di successo duraturo6. Da ciò emerge come il valore dell’impresa sia espressione delle condizioni di equilibrio e di sviluppo del sistema aziendale, compatibilmente con i vincoli e i gradi di libertà del sistema ambientale di appartenenza7. In un’ottica di controllo (volto all’eliminazione di processi, partecipazioni, aree d’affari che distruggono valore) e di gestione (volta a cogliere tutte le opportunità di accrescimento del valore) emerge la necessità, divenuta essenziale negli ultimi decenni, di giungere alla definizione di strumenti in grado di fornire “misure” del valore attendibili, che riescano a esprimere non solo i risultati raggiunti dall’impresa, ma anche le sue capacità di crescita e di sviluppo, nonché di vitalità nel lungo periodo. La valutazione di un’impresa richiede, quindi, conoscenze relative a tutti gli aspetti della sua vita interna, alle sue relazioni con i mercati e con l’ambiente esterno, alla sua storia e alle sue prospettive. La “misurazione” del valore risulta rilevante, in particolare, nell’ambito di tre fasi della vita dell’azienda8: • operazioni di finanza straordinaria (fusioni, scorpori, scissioni, trasformazioni). In questo caso 4 Cfr. CODA (1990), pag.18. 5 E’ la sintesi del corretto coordinamento dei vantaggi di impresa espresso da CODA (1990), pagg.16-17. 6 Sempre CODA (1988), pag.173. 7 In tal senso BRUNI (2002), pag.22. 8 Sono i momenti indicati da GUATRI (2000), pagg.85-88. la valutazione svolge una funzione di garanzia nei confronti dei soci minoritari e degli stakeholders sulla correttezza dei prezzi utilizzati; • strategie di sviluppo, integrazione e ristrutturazione. La rilevanza della valutazione è dovuta al rischio di effettuare acquisizioni a prezzi eccessivi, all’opportunità di verificare periodicamente la convenienza di mantenere aree d’affari o società controllate, alla necessità di un’attendibile misura delle sinergie ottenibili da operazioni di acquisizione e fusione; • stima delle performance. La valutazione, in questo caso, è volta a fornire strumenti di orientamento strategico-gestionale al management, consentendo di sopperire alle lacune dei risultati contabili. La teoria e la pratica hanno portato alla definizione di numerosi metodi di valutazione d’impresa, ispirati a concetti base di riferimento, a cui vengono associati criteri di stima e, in sede applicativa, metodi di calcolo (Figura 3.1). Il concetto di valore di capitale economico nel lungo termine si esplica in flussi reddituali attesi di cui sia ragionevolmente dimostrabile la realizzabilità, cioè relativi a capacità già acquisite o di probabile raggiungimento nel breve periodo, scontati in base a un tasso che esprima il rischio dell’investimento nell’impresa (in altri termini valore odierno del capitale economico W)9. I valori potenziali ( W ) si riferiscono, invece, a flussi di reddito o di cassa attesi nel lungo periodo, sostanzialmente svincolati dai risultati del passato e dipendenti da valutazioni sulle capacità e prospettive future dell’impresa. Tra essi sono compresi i valori-limite di acquisizione e di vendita, che rappresentano, nel primo caso, il valore massimo che un acquirente può attribuire all’impresa tenendo conto delle sinergie realizzabili con l’acquisizione e, nella seconda ipotesi, il prezzo al di sotto del quale il cedente non è disposto alla trattativa10. I valori stock consistono nell’apprezzamento delle attività e passività patrimoniali, a cui vengono apportate rettifiche al fine di ricondurre i valori di bilancio a valori correnti. Infine, i prezzi probabili si basano su osservazioni di mercato, in particolare sui prezzi che derivano dai mercati borsistici o da negoziazioni di quote di controllo dei capitali d’impresa, da cui si ottengono prezzi praticabili o che ragionevolmente saranno raggiungibili in definite epoche future11. 9 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.41-42. 10 Sempre cfr. GUATRI (1998a), pagg.43-45. 11 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.53-57. Figura 1 Valori e prezzi per la stima delle aziende Concetto basedi riferimento 1. Valori flusso 1. A. Valori di capitale economico (W) 1.B. Valori potenziali ( W ) Criteri Metodi di calcolo Flussi analitici Reddituali Reddituale: Ri attualizzati per n anni + valore finale (Vt ) Flussi medi Reddituali Reddituale: R medio a tempo indefinito R medio a tempo definito Mix di flussi reddituali analitici e medi Reddituale: a due o più stadi a. In generale: flussi previsti a lungo termine Reddituale: - R/i con R proiettato a lungo termine - con R previsto anno per anno fino all’n° anno -Unlevered DCF Analysis - altri metodi finanziari Finanziario: b. Per candidati all’acquisto o alla cessione: valori o flussi previsti 2. Valori stock Capitale netto a valori correnti 3. Sintesi di valori-stock e di Misti valori-flusso 4. Valori dedotti dal mercato o dalla esperienza (prezzi probabili) 5. Valori di liquidazione Moltiplicatori Prezzi omogenei Prezzi ottenibili per parti Riferimenti empirici Prezzi di realizzo ad azienda ferma Valori di Acquisizione (Wa) -per l’acquirente strategico -per l’acquirente finanziario Valore-limite per il venditore Patrimoniale -per soli beni materiali -anche beni immateriali -stime analitiche -stime empiriche Misti patrimoniali/reddituali con stima autonoma del Goodwill (Badwill) -a tempo definito -a tempo indefinito Metodo delle società comparabili Metodo delle acquisizioni comparabili Metodo del Break-up -“regole del pollice” -formule empiriche Metodi di liquidazione Fonte: Guatri (1998a), pag.40 Le metodologie di analisi sono, quindi, molto varie. Ciascuna di esse presenta caratteristiche che possono o meno risultare ottimali nell’affrontare diverse realtà aziendali. Spesso, il ricorso congiunto a più metodi consente di confrontare e controllare stime differenti, nonché di definire un intervallo in cui l’effettivo valore dell’impresa ricade, in modo da limitare le carenze e i rischi derivanti dall’impiego di un unico metodo12. L’utilizzo di tali metodi non esaurisce, comunque, il processo valutativo, che richiede 12 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.38-39. un’accurata comprensione dell’azienda, delle sue politiche, delle sue strategie nonché la conoscenza della gestione, del modo con cui essa viene condotta (anche nei confronti dei rischi), dei miglioramenti realizzabili e degli orientamenti di medio/lungo periodo in termini di crescita. 1.1 L’evoluzione dei metodi di valutazione Alla base dell’evoluzione, nella teoria e nella pratica, dei metodi di valutazione d’impresa vi è la ricerca delle seguenti caratteristiche: • razionalità, cioè associazione a un processo logico chiaro, convincente e condivisibile; • dimostrabilità, cioè utilizzo di fattori a cui vengono attribuiti valori supportati da dati controllabili, credibili e quanto più possibile obiettivi; • neutralità, cioè assenza di scelte esclusivamente soggettive, immotivate; • stabilità, cioè capacità di cogliere valori dalle basi solide, evitando di considerare l’influenza di fattori contingenti che possono, nel breve periodo, ampliare o deprimere il valore dell’impresa13. In Italia, la ricerca scientifica in tema di valutazione d’impresa risulta carente fino agli anni Settanta, anche a causa della scarsa frequenza e rilevanza delle applicazioni professionali in materia. Nonostante l’importanza dell’affermazione del reddito e del rischio a esso associato come base del valore d’impresa, risalente alle origini delle teorie economiche e riaffermato dagli studi di Economia Aziendale nati nei primi decenni del Novecento, la pratica si orienta, negli anni Cinquanta-Settanta, sui metodi patrimoniali e su quelli misti patrimoniali-reddituali14. Il motivo di tale scelta è da ricercarsi in esigenze di chiarezza, dimostrabilità e semplicità. Si assiste, infatti, a un atteggiamento di riluttanza verso costruzioni matematico-quantitative basate su formule semplificatrici della realtà, nonché verso l’utilizzo di grandezze (redditi attesi, tassi) ritenute eccessivamente incerte e indeterminate (al contrario dei dati contabili alla base del metodo patrimoniale)15. Lo stesso metodo misto, nella sua concezione iniziale, presenta una netta prevalenza della componente patrimoniale, mentre quella reddituale, a causa dell’incertezza a essa legata, viene 13 Si veda la sintesi dell’evoluzione in GUATRI (1998a), pag. 38 e pagg.41-43. 14 Così GUATRI (1998b), pag.47. 15 In tal senso GUATRI (1996b), pagg.5-6. calcolata con molte cautele e, talvolta, considerata solo parzialmente16. Negli anni successivi, l’intensificarsi della ricerca porta all’affermazione dei metodi basati sui flussi e, in particolare, di quello reddituale. A essi viene riconosciuta gran parte delle caratteristiche sopra citate, con particolare riguardo alla razionalità. I metodi basati sui flussi possono essere, infatti, ricondotti alle formule teoriche che esprimono il valore dell’impresa nell’ottica dell’investitore (attualizzazione di tutti i proventi derivanti dall’investimento) (1) e dell’impresa stessa (2)17: n (1) W0 = ∑ d s v s + Pnv n 1 ds: dividendo pagato nell’anno s (per s variabile da 1 a n) Pn: prezzo ricavabile dalla cessione dell’impresa al tempo n vs vn : coefficienti di attualizzazione in base al tasso i n (2) W0 = ∑ Fs v s 1 Fs: flusso atteso per l’anno s Attraverso il tasso di attualizzazione, inoltre, tali metodi sono in grado di tenere in considerazione il livello di rischio associato all’investimento nell’impresa. Un’altra caratteristica a essi riconosciuta è l’universalità, in quanto queste metodologie possono essere utilizzate per valutazioni assolute (giudizi di congruità per acquisizioni, cessioni, conferimenti, verifica dei valori di bilancio e giudizi di convenienza) e relative (concambi di fusione tra società non omogenee), nonché per evidenziare le performance aziendali e fornire una misura delle sinergie realizzabili in caso di acquisizioni e fusioni18. Per quanto riguarda il metodo misto, esso, nonostante il diminuito utilizzo del metodo patrimoniale, ha riacquistato importanza non solo a causa di obblighi giuridico-formali che impongono di suddividere il valore dell’impresa in attività e passività, ma anche, soprattutto, degli studi in tema di beni immateriali. Questi consistono in risorse patrimoniali che devono comunque trovare riscontro in termini di capacità di produzione di reddito. La componente reddituale viene, quindi, ad assumere un ruolo prevalente, affidando a quella patrimoniale un valore informativo 16 Si veda GUATRI (1998b), pag.3. 17 Cfr. l’esposizione di GUATRI (1998a), pagg.63-66. 18 Cfr. GUATRI (1998a), pag.69. comunque non trascurabile19. Nonostante la ricerca sia giunta a tali affermazioni, nella pratica l’utilizzo del metodo reddituale trova ancora difficoltà, pur essendo presente nelle stime che assumono una pluralità di metodi e in qualità di strumento di verifica dei risultati ottenuti. L’evoluzione dei metodi di valutazione verso l’analisi delle capacità reddituali deriva dall’inidoneità dei dati storici a evidenziare il reale valore dell’impresa, inteso come grandezza in grado di esprimere le potenzialità esistenti, il sistema dei rischi e le prospettive di sviluppo. Il contesto economico in cui l’impresa opera risulta, infatti, sempre più dinamico, evidenziando, al fine di garantire continuità operativa e sopravvivenza nel lungo periodo, la necessità di capacità di innovazione, interazione, competizione, nonché di risposta ai mutamenti dell’ambiente esterno. L’attività produttiva è sempre più orientata ai servizi, richiedendo maggiori quantità di beni immateriali, integrazione della conoscenza al fine di ottenere vantaggi competitivi e attenta valutazione del grado di rischio e della sua possibile evoluzione20. Il valore dell’impresa, di conseguenza, non può che essere collegato a una prospettiva di reddito, basata sulla presenza di capacità strategiche, competenze, potenzialità non iscritte in bilancio, ma strettamente legate ai soggetti e alle loro doti di organizzazione e integrazione. 1.2 Le strategie e le relazioni con gli interlocutori sociali La quantificazione del valore dell’impresa non può prescindere da considerazioni circa le strutture organizzative e operative, i sistemi competitivi e le relazioni con gli interlocutori sociali, che determinano il posizionamento strategico dell’impresa e costituiscono la base di potenzialità di sviluppo della competizione futura. Inoltre, è necessario valutare il disegno strategico dell’impresa, cioè la capacità di integrare risorse e potenzialità in modo da mantenere un vantaggio competitivo solido, in grado di fare fronte alle incertezze e imprevedibilità dell’ambiente esterno. Molto rilevanti appaiono, quindi, anche le professionalità soggettive del management nell’attuare un piano strategico orientato al valore21. Struttura (tecnico-produttiva, commerciale, direzionale, patrimoniale-finanziaria), relazioni con gli interlocutori sociali e sistema competitivo sono gli elementi che compongono la formula imprenditoriale. La loro integrazione esprime, da un lato, la collocazione dell’impresa nell’arena competitiva in cui opera e, dall’altro, il modo di agire nei confronti del sistema di forze 19 Sempre GUATRI (1998a), pagg. 279-280. 20 Così sottolinea CAVALIERI (2002), pagg.41-42. 21 Cfr CAVALIERI (2002), pagg.43-45. economiche, politiche e sociali da cui essa trae risorse e consensi22. Figura 2 Articolazione della formula imprenditoriale Sistema degli interlocutori sociali Sistema competitivo Sistema di prodotto Struttura Prospettive offerte/contributi o consensi richiesti Fonte: Coda (1988), pag.73. La struttura rappresenta, quindi, l’anello di congiunzione tra i due sistemi (competitivo e sociale), sintetizzando la storia dell’impresa ed esprimendo le sue potenzialità, nei confronti sia del sistema competitivo sia delle forze sociali, cui offre contributi, ricevendo impulsi, risorse e collaborazione. La coerenza degli elementi della formula imprenditoriale attorno a un orientamento strategico di fondo, inteso come visione dell’impresa e del suo futuro, dei suoi fini, della sua attività e del suo modo di essere e di operare, permette di creare un processo di autoalimentazione in grado di assicurarne la funzionalità economica duratura. La dominanza su una porzione dell’arena competitiva rende le proposte dell’impresa nei confronti degli interlocutori sociali più attrattive e motivanti e, nello stesso tempo, la coesione degli interlocutori sociali conferisce maggiori capacità di mobilitare risorse ed energie per raggiungere nuovi traguardi competitivi23. Da ciò emerge come l’analisi strategica, volta a indagare obiettivi e indirizzi gestionali e organizzativi dell’impresa, sia estremamente rilevante in sede di quantificazione del valore. Le informazioni che da essa derivano possono essere ricondotte, per scopi di interpretazione e analisi, a diverse categorie di “leve del valore”24: • condizioni dell’ambiente esterno (struttura del settore, ciclo di vita, potere di clienti e fornitori); • competenze di base (acquisti, produzione, distribuzione, marketing); • competenze distintive (innovazione, risorse immateriali, relazioni umane, tecnologie informatiche). Le prime attengono a condizioni esterne all’impresa, su cui essa ha scarso potere di influenza, ma da cui può trarre opportunità di sviluppo e risorse. Le competenze, a loro volta, si riferiscono a capacità interne, tipicamente all’origine del vantaggio competitivo, che derivano da scelte passate e 22 Cfr. CODA (1988), pag.73. 23 E’ la classificazione di CODA (1988), pagg.90-91. 24 Cfr. GUATRI-SICCA (2000), pagg.15-16. su cui l’impresa deve operare in vista di un continuo miglioramento. Occorre, quindi, esaminare tali fattori nelle condizioni attuali, nelle tendenze future e nelle possibilità di interventi migliorativi, in modo da ottenere informazioni, quantitative e qualitative, in grado di accrescere la qualità e la dimostrabilità dei flussi attesi e dei tassi di attualizzazione, nonché di integrare il giudizio finale di valutazione attraverso l’individuazione di tendenze future25. L’indagine sull’esistenza e sulla qualità delle leve del valore e delle loro opportunità di sviluppo consente di determinare il posizionamento strategico dell’impresa e le sue potenzialità e rischi latenti. Lo studio del complesso di relazioni con gli interlocutori sociali permette di valutare la possibilità di mantenere nel tempo posizioni di rilievo o di leadership. L’analisi dell’ambiente esterno rende possibile cogliere eventuali minacce e opportunità su cui basare le scelte future. Tutto ciò mette in condizioni di attribuire valori ai flussi di reddito prospettici e al grado di rischio dell’impresa, basandosi sulle modalità con cui il complessivo disegno strategico intende valorizzare l’insieme delle potenzialità e delle risorse, materiali e immateriali, al fine di ricercare, mantenere e accrescere i vantaggi competitivi26. Particolare attenzione meritano le relazioni che l’impresa riesce a instaurare con il complesso degli interlocutori sociali, nei confronti dei quali essa deve operare per assicurare in ogni momento un rapporto di scambio equilibrato, in modo da ottenere, attraverso il soddisfacimento delle loro attese, le condizioni di consenso, collaborazione, fiducia, coesione necessarie al continuo svolgimento dell’attività e alla sopravvivenza dell’impresa27. Questi risultati sono basati sull’attrattività delle proposte che l’impresa è in grado di rivolgere a tali soggetti e di realizzare con il loro contributo. Essi trovano fondamento nel patrimonio di competenze, credibilità, valori imprenditoriali caratterizzante l’identità dell’impresa. La coesione che così si genera fa in modo che i contributi offerti assumano una valenza qualitativamente superiore, fungendo da stimolo alla realizzazione, allo sviluppo e al rafforzamento del disegno imprenditoriale, da cui dipende la continuità dell’impresa medesima28. La capacità di creare rapporti con i clienti, comprendendo le loro esigenze e agendo per soddisfarle nel modo migliore, è senza dubbio l’elemento essenziale dell’attività dell’impresa, da cui discendono il successo competitivo, le prospettive reddituali e le opportunità di sviluppo 25 Cfr. GUATRI-SICCA, (2000), pagg.137-139. 26 Cfr. CAVALIERI (2002), pagg.46-47. 27 Cfr. DONNA (1999), pagg.25-26 e 30-31. 28 Cfr. CODA (1988), pagg.89-90. duraturo29. Un’altra categoria di stakeholders estremamente rilevante è costituita dai dipendenti. La capacità di suscitare in tali soggetti valori quali la coesione, il senso di appartenenza, l’identificazione con la missione e gli obiettivi dell’impresa, permette di aumentarne la produttività, attraverso il coinvolgimento, la collaborazione e il consenso riguardo alle scelte aziendali30. Molto importanti risultano anche i rapporti con i fornitori, in grado di apportare vantaggi di integrazione e cooperazione, e con i concorrenti, nei confronti dei quali un atteggiamento di rispetto e considerazione implica comportamenti corretti e continui stimoli al miglioramento31. Inoltre, assume fondamentale importanza, ai fini del reperimento dei capitali (di rischio o di credito) di cui l’impresa necessita, il rapporto con i finanziatori (mercato finanziario, investitori istituzionali e banche), che deve basarsi sulla correttezza e coerenza nei comportamenti, ma, soprattutto, sulla trasparenza nelle comunicazioni, con particolare riguardo alle tendenze e prospettive future32. Infine, occorre considerare l’apprezzamento delle scelte aziendali da parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni, in particolare per quanto riguarda le politiche occupazionali e di sicurezza sul lavoro, la qualità dei prodotti e la tutela dell’ambiente. Da tutto ciò emerge come il consenso assuma un ruolo decisivo nel raggiungimento degli obiettivi sociali dell’impresa, i quali, a loro volta, sono condizione necessaria per il conseguimento di una duratura economicità di gestione, di un vantaggio competitivo solido e, di conseguenza, di una sopravvivenza e di una prosperità nel lungo periodo dell’impresa. 1.3 La diffusione del valore Come evidenziato in precedenza, nel contesto europeo la misura del valore creato viene analizzata in termini di aumento del valore del capitale economico, anziché del valore di mercato (come, invece, avviene nei Paesi anglosassoni e negli Stati Uniti). Ciò è dovuto, principalmente, alla scarsa efficienza dei mercati borsistici, caratterizzati da ridotto numero di società quotate, da volatilità dei corsi e da carenze informative33. Affinché il processo di creazione del valore si completi è necessario che i prezzi che si formano 29 Il rapporto con i clienti è il primo valore “immateriale” da preservare e sviluppare. Cfr. CODA (1988), pagg.196-197. 30 Cfr. GUATRI-SICCA (2000), pag.163, CODA (1988), pagg.232-234. 31 Cfr. CODA (1988), pagg.213-214. 32 Cfr. CODA (1988), op. cit., p.239-242 33 Così sottolinea GUATRI (1998a), pagg.28-29. sul mercato ne riflettano l’andamento. Ciò richiama il problema della diffusione del valore34. Il trasferimento delle variazioni di valore sui prezzi interessa, innanzitutto, gli investitori finanziari, che assumono le proprie decisioni di investimento sulla base delle quotazioni di mercato, ma anche l’impresa stessa, che in caso di quotazioni adeguate è in grado di contenere il livello del pay-out e di emettere nuovo capitale con elevati sovrapprezzi. Infine, il livello delle quotazioni influisce sull’immagine complessiva dell’impresa, per cui un adeguato progresso dei corsi può incidere sui rapporti con clienti e fornitori, sulla motivazione del personale e sui giudizi di affidabilità espressi da banche e investitori istituzionali35. Premettendo che esiste una distinzione tra prezzi delle quote azionarie di minoranza e di controllo, dovuta alle caratteristiche delle relative domande e alla minore mobilità degli investimenti del secondo tipo, l’obiettivo che dovrebbe essere raggiunto è rappresentato da valori del coefficiente di diffusione non troppo distanti da 136. d= ∆WM ∆W coefficiente di diffusione borsistico D= ∆PMM ∆W coefficiente di diffusione sui prezzi di controllo In questo modo, le variazioni intervenute a livello di capitale economico sono percepite dal mercato, che ne riflette l’andamento sui prezzi, consentendo, da parte degli investitori e di tutti i soggetti interessati, un realistico apprezzamento dei processi di creazione di valore dell’impresa. Occorre, tuttavia, considerare che sul livello dei prezzi, al di là del giudizio di valore, incidono numerosi fattori, sia interni che esterni all’impresa. (Fig. 3.3). Tra questi ultimi rientrano: la fluidità o rigidità dei capitali, intesa come propensione degli operatori a investire o meno stabilmente e con quote significative; l’efficienza dei mercati finanziari, cioè la capacità di fornire prezzi significativi e negoziabili, che riflettano la dinamica del valore e che siano in grado di incorporare tutte le informazioni disponibili; la ciclicità della domanda/offerta di capitali di rischio, che comporta l’alternanza di fasi di sottovalutazione (mercato del compratore) e di sopravvalutazione (mercato del venditore); i processi di concentrazione in atto nel settore, che provocano aumenti di prezzo in società ritenute portatrici di sinergie in caso di 34 Cfr. GUATRI-MASSARI (1992), pag.6. 35 Si veda GUATRI-MASSARI (1992), pagg.7-10. 36 E’ quanto affermano GUATRI-MASSARI (1992), pagg.4-5 e 15-17. acquisizione37. A ciò si aggiunge l’influenza dell’ambiente politico-sociale, che può o meno incentivare l’investimento azionario, nonché la cultura degli investitori privati e la loro propensione al rischio. 37 Si veda GUATRI (1998a), pagg.39-41. Figura 3 Fattori che incidono su valore (W) e prezzo (P) Fenomeni interni Fenomeni esterni Variabili generali Variabili di settore Flussi attesi Rischi Valori stock Valore (W) Altri fenomeni esterni - fluidità o rigidità dei capitali legati alle imprese - efficacia dei mercati finanziari - ciclo della domanda/offerta del capitale di rischio - processi in atto di concentrazione nel settore Altri fenomeni interni Capacità di diffusione del valore: - trasparenza ed efficacia delle comunicazioni -credibilità strategica e reddituale Prezzo (P) Fonte: Guatri (1998a), p.30 Inoltre, notevole rilevanza assumono i rendimenti di investimenti alternativi, in particolare caratterizzati da rischi inferiori, e l’inflazione, che accresce l’incertezza sul reale valore dei dividendi attesi. Infine, fenomeni di volatilità dei corsi azionari possono verificarsi a causa dei temporanei squilibri di domanda e offerta, che interessano, soprattutto, mercati con scarsi titoli trattati, e del continuo sopraggiungere di informazioni38. L’impresa ha, comunque, la possibilità di intervenire sul processo di diffusione del valore attraverso analisi, azioni, comportamenti principalmente orientati alla comunicazione, in modo da contribuire a un trasferimento del valore sui prezzi il più possibile corretto, tempestivo e non 38 Cfr. GUATRI-MASSARI (1992), pagg.21-24. manipolato. La comunicazione, in generale, permette all’impresa di migliorare la propria immagine, aumentando la credibilità strategica e reddituale. Nel fare ciò, essa si rivolge a clienti (effettivi e potenziali), concorrenti, azionisti, dipendenti e a tutti i diversi portatori di interessi, al fine di sensibilizzarli, creando consenso e fiducia attorno ai propri comportamenti, scelte, strategie, risultati. In relazione al fenomeno di diffusione del valore, particolare rilevanza assume la comunicazione finanziaria, volta ad aggiornare, in modo continuo e tempestivo, le informazioni sulle caratteristiche attuali e prospettiche dell’impresa e, di conseguenza, dei titoli da essa emessi. In questo modo, è possibile indirizzare gli investitori alla formazione di attese prossime a quelle dell’impresa, evitando percezioni distorte e sviluppando credibilità nei confronti dei partecipanti al mercato (riducendo l’incertezza riguardante veridicità, affidabilità e completezza delle informazioni stesse)39. Sui mercati finanziari le informazioni sono alla base delle decisioni sull’allocazione dei capitali tra settori e tra aziende nello stesso comparto. Affinché ciò avvenga in modo ottimale, è necessario che le imprese forniscano dati non solo finanziari, ma anche relativi alla crescita del mercato, ai prodotti, agli investimenti in ricerca e sviluppo, al raggiungimento di obiettivi strategici e ai rischi corsi. In questo modo, è possibile aumentare la credibilità del management, avere maggiori opportunità di accesso a nuovi capitali e incrementare il numero degli investitori a lungo termine, così da evitare brusche cadute dei corsi azionari in caso di scelte e investimenti che sacrificano i risultati di breve periodo40. Naturalmente, tutto ciò deve avvenire in modo efficiente, prestando attenzione ai costi/benefici che ne derivano. La comunicazione porta il vantaggio di aumentare la credibilità patrimoniale, reddituale e finanziaria, contribuendo a creare un clima di sicurezza e fiducia. Ciò, da un lato, riduce il rischio percepito e consente di ottenere risorse a condizioni più vantaggiose, ma, dall’altro, comporta notevoli costi, in sede sia di analisi sia di divulgazione dei risultati. L’impresa deve agire in modo da sostenere le aspettative create con la comunicazione, ma l’efficacia di quest’ultima è condizionata anche dalla capacità del pubblico cui essa è rivolta di comprenderla, valutarla e agire di conseguenza. A questo riguardo, influiscono fattori di tipo culturale, legati all’importanza attribuita ai risultati di breve termine, alla misura dei dividendi 39 Cfr. GUATRI-MASSARI (1992), pagg.59-62. 40 Così ECCLES-LUPONE (1998), pagg.32-36. erogati e alla fiducia nelle rilevazioni contabili41. Lo scopo ultimo della comunicazione è quello di consolidare la credibilità strategica e reddituale dell’impresa, cioè il positivo apprezzamento da parte del mercato e degli stakeholders delle sue capacità di produrre flussi positivi nel medio/lungo periodo, delle sue linee strategiche, della sua attitudine a ricercare vantaggi competitivi, a gestire il rischio e a reagire alle mutevoli condizioni esterne42. Solo attraverso questo processo informativo l’impresa è in grado di orientare il mercato alla formazione di prezzi coerenti con le sue potenzialità, con i suoi rischi e con la sua capacità di creare valore nel tempo. 2 Il metodo patrimoniale Il metodo patrimoniale, basato su valori stock di evidenza contabile, si fonda sulla valutazione analitica delle componenti attive e passive dello Stato Patrimoniale. A seconda delle modalità con cui vengono considerate le poste dell’attivo si distinguono43: • metodi patrimoniali semplici, in cui sono considerati solo beni materiali, oltre a crediti e liquidità; • metodi patrimoniali complessi, in cui vengono considerati anche i beni immateriali. Le stime patrimoniali semplici, assumendo come punto di partenza il capitale netto di bilancio (comprensivo dell’utile di esercizio, con l’esclusione delle somme da distribuire), giungono alla determinazione del “capitale netto rettificato” (K) attraverso un procedimento che prevede44: • la revisione contabile degli elementi attivi e passivi, volta a verificare la corretta contabilizzazione, la documentabilità, il rispetto di norme prudenziali per l’iscrizione dei crediti, l’adeguatezza degli accantonamenti del passivo, la considerazione dei rischi espressi o meno nei conti d’ordine; • la riespressione a valori correnti degli elementi dell’attivo, considerando per le immobilizzazioni materiali il valore a nuovo (di mercato, di ricostruzione o di sostituzione) 41 Cfr. GUATRI-MASSARI (1992), pagg.64-67. 42 Sempre cfr. GUATRI-MASSARI (1992), pagg.72-78. 43 E’ la distinzione effettuata da GUATRI (1998a), pag.213. 44 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.215-233. decurtato in base all’obsolescenza fisica ed economica e, di conseguenza, alla capacità residua di produrre reddito; per le scorte il costo di acquisto (rimanenze di materie prime), di produzione (prodotti finiti e semilavorati) o di mercato, se inferiore; per i titoli il prezzo di mercato, se quotati, il valore nominale se i tassi di rendimento sono in linea con quelli di mercato (per titoli a reddito fisso non quotati) o il valore del capitale netto contabile dell’impresa partecipata (per titoli azionari non quotati); per i crediti il presunto valore di recupero, eventualmente attualizzato in caso di assenza di interessi. Quest’ultima fase porta alla formazione di plusvalenze e minusvalenze, di cui devono altresì essere considerati gli effetti fiscali, cioè i carichi di imposte potenziali e differiti che derivano dal loro eventuale realizzo in un periodo futuro, seppure indeterminato. Alla luce di queste considerazioni, la formula valutativa utilizzata, assumendo un’unica aliquota fiscale t, è45: K =C+ [∑ P − ∑ M ]* (1 − t ) i k K: capitale netto rettificato C: capitale netto contabile Pi, Mi: plusvalenze, minusvalenze Le stime patrimoniali complesse prendono in considerazione, nel processo valutativo, anche i beni immateriali, a prescindere dalla loro iscrizione in bilancio. Il ”capitale netto rettificato comprensivo di beni immateriali” (K’) risulta, quindi46: K ' = K + I * (1 − t ) in cui I indica il valore attribuito ai beni immateriali o, se vi sono già iscrizioni in bilancio per tali beni, le plusvalenze su di essi rilevate. Nonostante la decadenza del metodo patrimoniale come strumento di misurazione del valore creato dall’impresa, le informazioni che da esso derivano mantengono comunque un’importanza notevole. Esse risultano, infatti, indispensabili sul piano giuridico-formale in tutte le occasioni in cui l’unico valore derivante da metodi basati sui flussi o sui prezzi probabili debba essere suddiviso in attività e passività, in modo da raccordarsi con i criteri di formazione del bilancio. Inoltre, la verifica della situazione contabile-patrimoniale può consentire giudizi in merito all’adeguatezza o 45 Si veda GUATRI (1998a), pag.237. 46 Cfr. GUATRI (1998a), pag.276. meno dei prezzi stabiliti per operazioni di acquisizione o cessione. L’informazione patrimoniale, in termini sia contabili che di valori correnti, è utile per comprendere la misura dell’avviamento, inteso come differenza tra valore dell’impresa e capitale netto investito; lo stock di beni immateriali e la sua dinamica nel tempo; la struttura finanziaria dell’impresa e il suo grado di rischio; l’interpretazione della dinamica del valore dell’impresa, attraverso la ricerca di variazioni di alcune componenti tipiche (plusvalenze e minusvalenze su beni immateriali, stock di essi, avviamento) da cui può derivare il divario tra il valore contabile e quello derivante dall’attualizzazione dei flussi47. L’indagine patrimoniale offre, quindi, un notevole contributo per l’applicazione e la verifica degli altri metodi, pur non possedendo in sé le caratteristiche di razionalità necessarie a qualificarla come criterio valutativo autonomo. Il capitale netto rettificato può, però, esprimere una misura adatta alla quantificazione del valore di holding pure e società immobiliari. L’attivo patrimoniale di tali imprese è costituito da beni valutabili e cedibili separatamente, nei cui valori correnti si esprimono le attese di redditività, senza alcun contributo dell’organizzazione alla capacità di generare flussi né al rischio a essi associato48. In questi casi, caratterizzati dall’assenza di un collegamento funzionale tra i beni, in grado di influire, attraverso l’organizzazione, l’integrazione, il coordinamento, sui potenziali di redditività e rischio delle singole risorse, il metodo patrimoniale risulta un adeguato criterio di determinazione del valore. 2.1 I beni immateriali In un contesto in cui l’esigenza di soddisfare il cliente nel modo più completo possibile comporta un sempre maggiore orientamento della produzione, anche industriale, alla componente dei servizi, caratteristiche quali l’immagine associata all’azienda e ai suoi segni distintivi, il portafoglio prodotti e clienti, le reti di vendita, le competenze distintive, le informazioni, la coesione del personale risultano fondamentali per il conseguimento di un vantaggio competitivo duraturo e stabile sul mercato. Tali risorse, che costituiscono il patrimonio di beni intangibili o immateriali di cui l’impresa è dotata, derivano in gran parte dalla storia dell’impresa attraverso un processo di generazione, integrazione e riproduzione di esse. 47 Così GUATRI (2000), pagg.52-54. 48 Sempre si veda GUATRI (1998a), pagg.211-212. L’identificazione dei beni immateriali, spesso fattori critici di successo, è un processo complesso. Ciò avviene anche a causa delle carenze informative del bilancio civilistico e della prassi, comune a molte imprese, di iscrivere tra i costi sostenuti per investimenti in tali beni quelli di esercizio (per evitare l’anticipo di imposte dovuto alla capitalizzazione e all’ammortamento solo successivo), non evidenziandone, quindi, il carattere pluriennale e le modalità di formazione e deperimento49. A questo scopo, sono individuate alcune caratteristiche che un bene intangibile adatto a essere autonomamente valutato deve possedere50: • essere oggetto di un significativo flusso di investimenti, dando origine a costi a utilità differita nel tempo; • essere in grado di produrre benefici economici differenziali di entità apprezzabile, cioè di un flusso economico-finanziario tale da coprire i costi sostenuti e da offrire un vantaggio superiore rispetto al loro mancato impiego; • essere trasferibili, cioè cedibili a terzi. In particolare, quest’ultimo requisito consente di evitare il rischio di sovrapposizioni e duplicazioni, ma non risulta attribuibile a fattori come la formazione di personale e management, l’efficienza e l’efficacia dei canali distributivi, le competenze professionali. Questi fattori dovrebbero essere compresi nel generico valore dell’avviamento. Con quest’ultima grandezza vengono, quindi, apprezzate le condizioni e i fattori privi di un valore autonomo e i maggiori valori che i beni aziendali, nel loro complesso, assumono in quanto parte di un sistema organizzato. La distinzione tra il valore del complesso dei beni immateriali autonomamente valutati e l’avviamento è naturalmente indicativa, a causa delle difficoltà di stima. Tuttavia, entrambi i valori sono strettamente legati alla capacità reddituale dell’impresa, condizione essenziale affinché essi possano essere considerati in sede di valutazione51. Nella pratica sono utilizzati diversi metodi per determinare il valore di tali risorse52: • approccio del costo: si esplicitano i costi storicamente necessari per la formazione dei beni immateriali (metodo del costo storico) o quelli che dovrebbero essere sostenuti al momento della valutazione per riprodurli (metodo del costo di riproduzione); 49 Cfr. VICARI-BERTOLI-BUSACCA (2000), pag.10. 50 Si veda l’elenco in BRUGGER (1989), pag.43. 51 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.239-241. 52 Cfr. VICARI-BERTOLI-BUSACCA (2000), pagg.10-19, GUATRI (1998a), pagg.250-276. • approccio economico: si stimano i vantaggi e i costi che i beni in questione apportano all’impresa rispetto all’ipotesi di loro assenza, attualizzandoli in base alla loro durata presunta (metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali) oppure si stima il danno in termini reddituali che l’impresa subirebbe in caso di perdita della disponibilità del bene (metodo del costo della perdita); • approccio di mercato: viene attualizzata, nel caso di marchi e brevetti, l’entità delle royalties derivanti dalla cessione in uso a terzi di tali beni (metodo dei tassi di royalty comparabili) oppure si utilizzano moltiplicatori dedotti da dati di mercato (metodo dei moltiplicatori). Le difficoltà applicative legate a tali metodi, nonché la presenza in essi della ricerca di analogie con i beni materiali, ha portato alcuni studiosi a suggerire l’abbandono del criterio della trasferibilità, identificando la creazione di valore con la generazione di potenziali di crescita sotto forma di conoscenza e potenziali di relazione con il mercato sotto forma di fiducia53. Tali caratteristiche costituiscono, infatti, la base della comune classificazione dei beni immateriali. Questi vengono tipicamente distinti in54: • beni legati alla tecnologia (know-how produttivo, ricerca e sviluppo, brevetti, software), i quali assumono rilevanza quando presentano il carattere dell’esclusività; • beni legati al marketing (marchi, insegne, pubblicità, idee promozionali, pubbliche relazioni), il cui valore si basa sulla costituzione di un rapporto privilegiato, di fiducia, con i consumatori. Nella realtà i valori dei beni immateriali risultano spesso legati sia al mercato che alla tecnologia. Per questo motivo, in sede di valutazione viene frequentemente utilizzato il criterio della dominanza, in base al quale gli intangibles sono globalmente ricondotti all’una o all’altra categoria a seconda del profilo prevalente (aspetto marchi-mercato-fiducia o ricerca-innovazioneconoscenza)55. L’attribuzione di una dimensione quantitativa a tali beni è rilevante in termini sia assoluti (per esempio per verificare il raggiungimento di una massa critica), che relativi, nei confronti dei concorrenti (per evidenziare eventuali punti di forza e di debolezza nell’arena competitiva). L’accertamento della loro dinamica permette di evidenziare, in caso di variazioni positive persistenti nel tempo, rilevanti potenzialità di produzione di reddito nel medio-lungo termine. La disponibilità e l’accrescimento di significative risorse immateriali (in particolare immagine e marca) rappresenta, infatti, una fonte di vantaggio competitivo, che consente 53 Sempre cfr. VICARI-BERTOLI-BUSACCA (2000), pagg.10-19, GUATRI (1998a), pagg.22-23. 54 Cfr. FERRATA, (2000), pag.14. 55 Cfr. GUATRI (1998a), pag.245. l’applicazione di maggiori prezzi, la migliore visibilità dei propri prodotti, la più stretta relazione con il consumatore, nonché la possibilità di penetrare in nuovi segmenti di mercato trasferendo su prodotti diversi i potenziali di fiducia e fedeltà legati alla marca56. 2.2 Il metodo misto patrimoniale-reddituale Il metodo misto patrimoniale-reddituale rappresenta una soluzione di compromesso tra le esigenze di obiettività e verificabilità proprie della componente patrimoniale e quelle di razionalità espresse dai flussi reddituali e dai relativi rischi. Pur essendo stato legato al diminuito utilizzo dei metodi patrimoniali, rimane, comunque, incontestata la capacità informativa di tale metodologia, rafforzata dagli studi in tema di beni immateriali, valori patrimoniali che per essere considerati necessitano di una verifica reddituale. Al risultato della stima patrimoniale viene aggiunta, infatti, una componente basata sull’attualizzazione dei flussi di reddito (Goodwill, o Badwill se negativa), in grado di evidenziare l’attitudine dei beni esaminati a contribuire alla creazione di valore. Nella versione classica, il metodo misto patrimoniale-reddituale con stima autonoma del Goodwill presenta tre alternative57: • con attualizzazione limitata del profitto medio (o sovrareddito medio), inteso come differenza tra il reddito medio atteso e il rendimento “normale” del capitale investito; WM = K + an¬i ' ( R − i ' ' K ) K: capitale netto rettificato R: reddito medio normale atteso per il futuro n: numero definito e limitato di anni i’’: tasso di interesse “normale” rispetto al tipo di investimento considerato i’: tasso di attualizzazione del profitto o sovrareddito • con attualizzazione dei profitti netti di alcuni esercizi futuri, considerati singolarmente sulla base di piani pluriennali; WM = K + ( R1 − i ' ' K )v + ( R2 − i ' ' K )v 2 + ... 56 Cfr. GUATRI-SICCA (2000), pagg.158-161. 57 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.283-289. • con capitalizzazione illimitata del profitto medio; WM = K + ( R − i' ' K ) i In tali formule il valore di K può essere sostituito da quello del capitale netto rettificato comprensivo dei beni immateriali K’. Nei casi in cui non risulti agevole determinare una misura del reddito medio atteso in grado di comprendere la variazione di tali beni, si utilizza il metodo con separata stima degli intangibles, in cui il reddito viene decurtato di una grandezza che esprime, indicativamente, la variazione nel tempo di tali beni. La formula valutativa generale è58: WM = K + BI + ( R − i' ' K ) i R : R – costo di privazione dell’intangible Mentre, come visto, nelle prime versioni del metodo la componente reddituale veniva calcolata con criteri molto prudenziali, negli ultimi decenni essa ha assunto un peso rilevante, che si traduce anche nella scelta dei parametri, in particolare del valore di “n”. Per aziende caratterizzate da elevata e stabile redditività tale periodo può raggiungere il decennio, superando la concezione secondo cui le condizioni generatrici di sovrareddito sono destinate a estinguersi o attenuarsi nell’arco di un numero limitato di anni59. 3 Il metodo reddituale Il metodo reddituale si basa sulla determinazione di flussi di reddito futuri attesi, attualizzati per un certo numero di anni (o illimitatamente) a un tasso che ne esprima le condizioni di variabilità e quindi di rischio. La prima questione da affrontare riguarda la determinazione dei risultati economici passati, dai quali non si può prescindere al fine di un’adeguata proiezione dei flussi nel futuro. I risultati di bilancio spesso risultano scarsamente attendibili in tal senso, per cui sono oggetto di interventi di rettifica attraverso60: - la normalizzazione, che consiste nella redistribuzione nel tempo di proventi e oneri straordinari, 58 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.290. 59 Cfr. GUATRI (1998a), pag.285. 60 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.122-128. in modo da sostituire a grandezze casuali un valore medio in grado di ridurre le variazioni del reddito; nella eliminazione di costi e proventi estranei alla gestione; nella neutralizzazione di politiche di bilancio distorsive (valorizzazione delle poste, aspetti fiscali, processi di ammortamento…); nella eliminazione degli effetti dell’inflazione, che può portare alla formazione di utili o perdite fittizi; - l’integrazione, consistente nella ricerca di strumenti idonei a esprimere quantitativamente, in aggiunta ai valori contabili normalizzati, le variazioni dello stock di beni immateriali e delle plusvalenze e minusvalenze non espresse nei conti. Una volta determinato il corretto risultato economico storico, occorre pervenire a una misura che esprima i flussi attesi, la quale varia a seconda delle formule valutative utilizzate. Queste ultime si distinguono in61: • rendita perpetua W = R i R: reddito medio atteso i: tasso di attualizzazione di lungo periodo • attualizzazione dei flussi per un periodo limitato con l’uso del reddito medio (R) W = Ran¬i con l’uso dei redditi attesi anno per anno (per n anni) n W = ∑ Ri v i 1 con l’uso dei redditi anno per anno per un periodo (fino all’anno m) e del reddito medio da m a n anni m n 1 m W = ∑ Ri v i + ∑ Rv i • attualizzazione dei flussi per un periodo limitato + valore finale all’anno n attualizzato per tenere conto dell’ulteriore capacità dell’impresa di produrre redditi 61 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.121-122. n W = ∑ Ri vi + V f v i 1 oppure m n 1 m W = ∑ Ri v i + ∑ Ri v i + V f v n con V f = Rn (reddito medio atteso dopo l’anno n)/i Da esse emerge come il flusso di reddito atteso R possa essere calcolato in via analitica o sotto forma di valore medio62. Nel primo caso la stima, per mantenere caratteristiche di attendibilità e dimostrabilità, può riguardare un numero limitato di anni, con riferimento all’orizzonte temporale entro il quale i dati di budget e piani pluriennali possono ritenersi fondati e credibili. La determinazione di un valore medio atteso permette di superare tale problema, esprimendo le più probabili condizioni future di redditività, eliminando valori anomali dovuti a circostanze eccezionali. Ciò richiede un’accurata analisi di informazioni interne e ambientali, in modo da ottenere conferme circa l’effettiva realizzabilità prospettica dei flussi. Tali misure possono, inoltre, prendere in considerazione grandezze in atto, riferendosi a capacità di reddito già dimostrate o raggiungibili con ragionevole probabilità sulla base di premesse esistenti e individuabili, oppure grandezze potenziali, allungando l’orizzonte temporale di riferimento e analizzando gli orientamenti strategici oltre il breve periodo63. Nel primo caso vengono analizzati i risultati storici e determinate le tendenze a breve, attraverso lo studio dell’impatto di variabili esplicative (tasso di crescita, efficienza nell’utilizzo delle risorse, variazioni dei prezzi di vendita e dei costi dei fattori produttivi…), oppure basandosi su risultati di budget o di piani pluriennali. Nella seconda ipotesi, vengono invece considerate le potenzialità di sviluppo dell’impresa, la sua capacità di selezionare opportunità di crescita e di disporre delle condizioni per realizzarle, basandosi su progetti, piani strategici e sull’accurato esame delle condizioni, attuali e prospettiche, dell’ambiente esterno in cui l’impresa opera. La distinzione tra valori in atto e potenziali non è correlata alla durata dei flussi che, pur tra le incertezze dovute alle previsioni, dovrebbe essere comunque di lungo periodo, date le prospettive di 62 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.141-147. 63 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.147-161. sopravvivenza duratura dell’impresa. 3.1 La determinazione dei tassi La determinazione dei tassi di attualizzazione (a lungo termine i, da applicare come divisore a una grandezza espressiva di un flusso medio annuo atteso, e a breve termine i’, da utilizzare su una serie di previsioni di flussi incerti realizzabili in momenti futuri), i quali conducono alla determinazione del valore W al tempo della stima, è senza dubbio una delle fasi più delicate e complesse del processo valutativo. Essi devono, infatti, essere in grado di fornire un’indicazione il più possibile obiettiva sul grado di rischio e, quindi, sulla variabilità dei flussi attesi64. I due criteri maggiormente utilizzati consistono in65: • tasso-opportunità, che si basa sul confronto con il rendimento di investimenti alternativi; • costo del capitale, che si fonda sulla ricerca di un tasso espressivo del costo medio ponderato dei capitali investiti nell’impresa. Entrambi i criteri trovano fondamento sul principio secondo cui il tasso è costituito da due componenti, una di carattere finanziario (r), legata al decorrere del tempo e normalmente identificata con il rendimento di investimenti privi di rischio, e l’altra di carattere specifico (s), espressiva delle condizioni di rischio e variabilità dei flussi dell’impresa considerata: i =r+s Il criterio del tasso-opportunità trova applicazione in tre diversi approcci: • descrittivo, in cui la stima della componente s avviene sulla base di informazioni di tipo macroeconomico, settoriale e specifico per l’impresa; il problema principale consiste nella traduzione (soggettiva, perciò arbitraria) delle conoscenze acquisite sul valore del tasso; • imitativo, in cui il tasso è stimato per analogia con investimenti caratterizzati dal medesimo grado di rischio; la scelta di tali investimenti è anch’essa soggettiva e dipende dalle conoscenze e dalla sensibilità del soggetto valutatore; • quantitativo. Quest’ultimo approccio basa la stima di s sulla costruzione per fattori: con tale metodo vengono individuate, quantificate e ponderate le principali circostanze che concorrono alla determinazione del rischio aziendale. Tra di esse figurano: la maggiorazione per l’investimento azionario (rispetto 64 Cfr. GUATRI (1998a), pagg.75-79. 65 Cfr. GUATRI (1998a), pag.79 e ss. al rendimento dei titoli di Stato); il profilo di rischio del settore (confrontato con quello medio di mercato); la dimensione; l’avviamento; altri fattori specifici (rischio finanziario, grado di diversificazione, qualità del management…); il tasso di crescita g (che determina il passaggio da tasso a breve a tasso a lungo termine); il fattore correttivo c (che adatta il tasso alla diversa distribuzione temporale dei flussi di reddito e di cassa). La quantificazione di tali elementi porta, quindi, alla determinazione dei tassi i e i’: r + s ' = tasso medio di mercato r: tasso privo di rischio s’: maggiorazione per l’investimento azionario + s' ' = tasso di attualizzazione a breve termine i’ s’’: fattori specifici −g = tasso di attualiz\zazione a lungo termine i g: tasso di crescita −c = tasso di attualizzazione a lungo termine corretto c: fattore correttivo per l’attualizzazione dei redditi Il criterio del costo del capitale porta, invece, alla determinazione di un tasso espressivo della media ponderata tra il costo del capitale proprio e il costo del debito, in cui i pesi corrispondono all’entità di tali risorse al momento della valutazione o a una struttura ideale o media. Il costo del capitale di debito si ottiene attraverso una media ponderata dei tassi delle varie fonti di finanziamenti in atto, depurato dell’aliquota fiscale per tenere conto della deducibilità degli interessi passivi. Per quanto riguarda il capitale proprio, il fattore s può essere stimato utilizzando il CAPM, secondo cui è necessario considerare il differenziale tra rendimento del mercato e dei titoli privi di rischio, moltiplicandolo per un coefficiente β66, che esprime la rischiosità sistematica della singola 66 Da un punto di vista statistico il β è pari alla covarianza tra i rendimenti attesi del titolo e quelli del mercato, divisa per la varianza di questi ultimi: β= cov(ri , rm ) . var rm Titoli con β>1, con un rischio sistemico superiore al mercato (aggressivi) sono caratterizzati da un rendimento (e quindi, nell’ottica dell’impresa, da un costo) maggiore rispetto al costo medio del portafoglio di mercato e viceversa per i titoli difensivi. Cfr. SANTORUM (2002), pag.370. impresa in termini di variabilità dei rendimenti della stessa nei confronti di quelli di mercato67: s = β (rm − r ) rm: rendimento atteso del portafoglio di mercato r: tasso degli investimenti privi di rischio β: misura del rischio dell’azienda Sul valore del β, in particolare prospettico, incidono numerose variabili, tra cui la dimensione dell’impresa, la ciclicità del settore, le prospettive di crescita, l’incidenza dei costi fissi, il grado di diversificazione, la leva finanziaria. Le metodologie di stima del β possono basarsi su analisi di regressione tra i rendimenti registrati del titolo rispetto al mercato di riferimento, su β specifici dell’impresa pubblicati da agenzie specializzate o su indici di rischiosità operativa del settore, ponderati in considerazione dello specifico profilo di rischiosità finanziaria dell’impresa68. I problemi applicativi di tale metodo derivano dal calcolo dei β prospettici, dall’individuazione di società omogenee per la stima di aziende non quotate, dalle condizioni di scarsa efficienza dei mercati borsistici che comporta una dubbia affidabilità dei β di settore e una difficoltà di apprezzamento del “premio di mercato”69. La grande attenzione dedicata allo studio di metodologie volte alla determinazione dei tassi deriva dal peso che tali scelte hanno sui risultati e da esigenze di attendibilità e dimostrabilità; le elaborazioni quantitative teoriche trovano, però, frequente difficoltà di applicazione, a causa della scarsa disponibilità di informazioni e delle difficoltà di comprensione di tutte le variabili necessarie. In relazione a ciò, spesso gli operatori ricercano soluzioni di equilibrio tra metodi quantitativi e scelte soggettive. La condizione che comunque deve essere rispettata consiste nell’omogeneità e nella coerenza dei tassi con i flussi oggetto di attualizzazione (per esempio in relazione alla considerazione o meno degli effetti dell’inflazione). 4 Il metodo finanziario Il metodo finanziario, molto utilizzato nei Paesi anglosassoni già dagli anni Trenta e Quaranta, 67 La relazione di base del CAPM è: E (r ) = rf + β ( E (rm ) − rf ) . Sempre cfr. SANTORUM (2002), pagg.367-370. 68 Cfr. GUATRI (1998), pagg.94-98 e SANTORUM (2002), pagg.369-372. Per una più recente analisi dei fattori che influenzano β si veda CAPIZZI (2003), pagg.181-197. 69 Cfr. GUATRI (1998), pag.98. si concretizza nella determinazione del valore dell’impresa in funzione dei flussi finanziari attesi, attualizzati a un tasso che esprima il costo dei capitali investiti. La formula teorica su cui si basa il metodo finanziario, nella versione dell’Unlevered Discounted Cash Flows Analysis, è la seguente70: W = CFi −D (1 + WACC ) n CF: flussi di cassa attesi annui WACC: costo medio ponderato del capitale D: valore attuale dei debiti finanziari Nella prassi si distingue un periodo di previsione analitica (che si aggira sui 5-7 anni) e un lasso temporale di previsione sintetica, rappresentato da un valore finale, per cui: n W = ∑ CFi v i + V f v n − D 1 Secondo questa impostazione, il valore del capitale economico viene determinato come differenza tra il valore attuale dei flussi di cassa e quello di flussi monetari riferibili ai debiti di finanziamento, evidenziando la capacità dell’impresa di effettuare investimenti caratterizzati da rendimenti superiori al costo del capitale, in grado, quindi, di coprire il fabbisogno finanziario. I flussi utilizzati in tale modello, di tipo unlevered (cioè disponibili per creditori e azionisti), sono calcolati al lordo degli oneri finanziari e di qualsiasi componente estraneo alla gestione caratteristica71: Reddito operativo + quote di ammortamento - imposte Flusso di circolante della gestione corrente72 rappresenta la differenza tra ricavi e costi monetari della gestione caratteristica, i quali comportano variazioni nel circolante o nella cassa 70 Cfr. ROMANO-TALIENTO (2002), pagg.358-360. 71 Cfr. ROMANO-TALIENTO (2002), pag.360, GUATRI (1998), pag.175 e IELASI (2002), pagg.215-236. 72 Tale valore, nell’ambito della riclassificazione del conto economico a valore aggiunto, è equivalente al margine operativo lordo (MOL) al netto delle imposte. ± ∆ capitale circolante netto operativo Flusso di cassa della gestione corrente ammontare complessivo di risorse prodotte dalla gestione corrente e disponibili per impieghi estranei a tale area funzionale ± ∆ capitale fisso operativo Flusso monetario netto della gestione operativa La previsione di flussi di cassa analitici e, nel loro ambito, delle previsioni legate all’andamento degli investimenti in capitale fisso e circolante, costituiscono uno degli aspetti più problematici di tale metodo, in termini di perdita di credibilità e dimostrabilità di tali grandezze all’allungarsi dell’orizzonte temporale, che spesso si spinge oltre a quello considerato in sede di programmazione finanziaria aziendale. Occorre, quindi, svolgere accurate analisi per verificare la ragionevolezza delle previsioni, considerando, a titolo esemplificativo, la coerenza delle performance previste per i principali fattori determinanti del valore con l’economia dell’impresa e la dinamica prevista del settore, le prospettive di evoluzione tecnologica, la capacità dell’impresa di gestire gli investimenti intrapresi, il confronto con l’andamento di imprese similari, l’assunzione di scenari alternativi, nonché, nei settori a forte ciclicità, la fase in cui l’impresa si trova e la sua evoluzione nel tempo73. Tali fattori incidono anche sulla determinazione del valore finale Vf. Questo rappresenta, in modo sintetico, i flussi annuali oltre la soglia di prevedibilità analitica e ricopre spesso un peso notevole sulla misura del valore. Alcuni metodi per determinare tale valore sono: • modello della crescita costante del flusso di cassa, che si basa sulla determinazione di flussi di cassa normali e sostenibili nel lungo periodo a partire dall’ultimo anno di previsione analitica, considerando un tasso di crescita medio g Vf = CF WACC − g con CF: flusso di cassa sostenibile in perpetuo • modello del reddito atteso in perpetuo, che si fonda su attese di risultati reddituali 73 Cfr. GUATRI (1998), pagg.175-178. Vf = • NOPLATn +1 WACC − g approccio dei “multipli d’uscita”, che si basa sull’individuazione di un prezzo probabile al tempo n calcolato sulla base di indicatori di mercato. • Per quanto riguarda la determinazione del WACC, la cui formula è74: WACC = K d (1 − t ) D E + Ke V V Kd: costo del debito al lordo delle imposte T: aliquota fiscale D: valore di mercato del debito Ke: costo dei mezzi propri E: valore di mercato dei mezzi propri si rimanda a quanto esposto nel paragrafo 3.3.1 in merito alla determinazione del costo medio ponderato del capitale. Tuttavia, occorre evidenziare che spesso la composizione attuale del rapporto tra capitale proprio e indebitamento risulta una misura inadeguata per la determinazione dei pesi da attribuire alle due grandezze, in quanto di rado riflette la struttura che prevarrà nell’arco temporale cui si riferiscono i flussi attesi attualizzati. Per questo motivo, si fa frequentemente riferimento a una struttura target, determinata in base agli orientamenti del management, o a risultati desiderabili o ragionevoli in considerazione delle possibilità dell’impresa. Infine, l’ultimo aspetto da considerare riguarda la determinazione del valore attuale dei debiti: per le obbligazioni quotate si ricorre ai prezzi di mercato, mentre per le altre passività si procede all’attualizzazione dei flussi di capitale e interessi a determinate scadenze in base al tasso corrente al momento della stima (il quale deve tener conto del rischio specifico dell’impresa)75. 5 Le misure di performance: l’EVA® Per orientare le proprie scelte, finanziarie e strategiche, verso iniziative in grado di soddisfare le attese di remunerazione dei soggetti che hanno investito nell’impresa, assumendone il rischio e 74 Per la determinazione del WACC e delle sue componenti si veda SANTORUM (2002), pagg.363-376. Più di recente, si veda diffusamente CAPIZZI (2003), in particolare pag.137 e ss. 75 Cfr. GUATRI (1998), pagg.183-186. rinunciando a investimenti alternativi, nonché di tutti gli interlocutori sociali, l’impresa deve potersi basare su misure in grado di valutare le proprie performance in termini di creazione di valore. La distinzione tra opportunità che creano o distruggono valore risulta complessa, anche a causa dell’eccessiva attenzione prestata da investitori e manager a indicatori di natura contabile Questi non tengono esplicitamente conto del costo del capitale proprio (cioè del rendimento atteso dagli azionisti) e del valore finanziario del tempo, basandosi su valutazioni prudenziali legate a dati storici anziché a valori di mercato76. Per superare tali problemi sono state elaborate diverse misure di performance, tra cui l’EVA (Economic Value Added). Tale metodo evidenzia la capacità dell’impresa di conseguire risultati in grado di garantire la copertura economica dei fattori produttivi e remunerare adeguatamente il capitale investito. La formula valutativa è77: EVA = NOPAT − WACC * C NOPAT: net operating profit after taxes, ovvero risultato operativo rettificato al netto delle imposte; C: capitale investito (debito e capitale proprio); WACC: costo medio ponderato del capitale. La determinazione dei fattori che compongono tale misura si basa su dati di bilancio, opportunamente rettificati al fine di garantire l’assenza di duplicazioni ed eliminare le distorsioni contabili. Nel valore del NOPAT, partendo dall’utile di bilancio, non devono essere compresi gli oneri finanziari relativi al debito esplicitamente oneroso (al netto degli effetti fiscali), poiché tali costi trovano espressione, nella formula, nel prodotto tra capitale investito e WACC. Nell’attività d’impresa sorgono, però, ulteriori forme di finanziamento, non esplicitamente onerose (come i debiti di fornitura), i cui costi sono impliciti in poste operative del conto economico; poiché tali voci vanno a far parte del NOPAT, in sede di determinazione del capitale investito è necessario escludere le poste del passivo operativo cui si riferiscono, per evitare una duplice penalizzazione del risultato78. Possono, inoltre, essere effettuate ulteriori rettifiche, quali la capitalizzazione dei costi di ricerca 76 Cfr. SANTORUM (2002), pagg.343-345. 77 Cfr. GUATRI (1998), pag.452, SANTORUM (2002), pag.348, STEWART (1999) diffusamente. 78 Cfr. SANTORUM (2002), pagg.348-350. e sviluppo e di marketing, il riconoscimento del trattamento di fine rapporto come fonte di finanziamento della gestione, il riconoscimento dell’effettivo impatto economico di dismissioni di capitale investito e così via. Dato lo stretto legame esistente tra capitale investito e NOPAT, le rettifiche e le integrazioni operate su uno devono trovare coerente riscontro con quelle effettuate sull’altro. Una volta determinati i parametri, il calcolo dell’EVA permette, quindi, di valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di creazione di valore aggiunto, incentivando il management verso la ricerca di opportunità di investimento la cui redditività sia in grado di compensare il costo del capitale impiegato.