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Key Questions 2014: Highlights from the 5th Annual IMWG Summit

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Key Questions 2014: Highlights from the 5th Annual IMWG Summit
Domande chiave 2014: Aspetti salienti dal 5° vertice annuale dell'IMWG (Gruppo di
lavoro internazionale sul mieloma)
Debbie Birns – Medical Writer dell'IMF
Dal 2001, i risultati dell'International Myeloma Working Group (Gruppo di lavoro internazionale
sul mieloma) dell'IMF hanno fatto la differenza nell'ambito della ricerca sul mieloma. I membri
dell'IMWG si sono riuniti in occasione di un vertice annuale con l'obiettivo di individuare,
sostenere e implementare la ricerca più promettente al fine di prevenire l'insorgenza della
malattia, migliorarne il trattamento e trovare una cura contro il mieloma. Un numero record di
ricercatori nel campo del mieloma provenienti da tutto il mondo si è riunito in occasione del 5°
vertice annuale dell'IMWG che si è tenuto a Milano dal 9 all'11 giugno 2014. L'entusiasmo dei
membri si è rivelato tangibile sin dai saluti ed è proseguito vivacemente riscaldando, talvolta, il
dibattito nel corso del vertice. Sebbene la collaborazione sia cruciale per l'IMWG, gli esperti
sono spesso alle prese con domande difficili nella fase di raggiungimento del consenso.
Il vertice è strutturato in modo tale che i partecipanti possano dapprima valutare i progressi e
lasciare poi spazio ad un brainstorming, ai dibattiti e a identificare le nuove aree in cui è
necessario portare avanti la ricerca al fine di fare progredire questo ambito. Il dott. Brian G.M.
Durie (Presidente dell'IMF) ha dato il benvenuto ai partecipanti per poi aprire la prima sessione
introducendo le importanti presentazioni degli ultimi dati sui progressi nella tecnologia a flusso,
sui nuovi criteri diagnostici e sulla stratificazione del rischio nel paziente geriatrico. Si tratta
delle aree di ricerca a cui l'IMWG aveva precedentemente attribuito la massima priorità.
Il primo relatore, il dott. Alberto Orfao (Università di Salamanca, Salamanca, Spagna) ha
presentato i dati sui progressi nella tecnologia a flusso grazie alla quale si ottiene un test
specifico per il mieloma e un'elevata sensibilità. Il dottore e la sua équipe hanno adattato questo
test molecolare al fine di contribuire ad una maggiore comprensione della biologia del mieloma e
del perché delle recidive anche in pazienti che ottengono una risposta completa alle cure. Il
comportamento del mieloma ci ha insegnato che il significato di “risposta completa” non è
identico in tutti i pazienti, e che “completa” non indica la scomparsa di tutte le cellule del
mieloma. Fino ad oggi, non abbiamo avuto gli strumenti per individuare e caratterizzare ciò che
gli esperti chiamano “malattia minima residua” (MRD), ovvero le cellule che persistono dopo il
trattamento.
Le attuali tecniche di citometria a flusso variano enormemente da un centro all'altro all'interno di
uno stesso paese e nel mondo, facendo emergere risultati molto eterogenei. Di conseguenza,
risulta molto difficile confrontare i dati delle sperimentazioni cliniche. La nuova analisi
multiparametrica a 8 colori del dott. Orfao è altamente sensibile, ripetibile in qualsiasi centro e,
dal momento che i risultati sono analizzati mediante un software dallo stesso progettato, la
soggettività umana e i potenziali errori scompaiono. Questo nuovo test a flusso presenta chiari
vantaggi rispetto alla tecnica di sequenziamento di nuova generazione (NGS), la quale potrebbe
perdere cellule mielomatose nel 5-10% dei pazienti testati, richiede un lavoro maggiore,
necessita di più tempo ed è più costosa rispetto alla citometria a flusso.
Dato che la citometria a flusso utilizza campioni di midollo osseo, deve essere abbinata a PET
CT ai fini della valutazione di qualsiasi attività del mieloma che possa essere presente al di fuori
del midollo (extramidollare). Il dott. Orfao e la sua équipe stanno attualmente lavorando su altri
marcatori di cellule mielomatose, così come su una tecnica per analizzare i campioni di sangue.
Mediante il test MRD sarà possibile ottenere un nuovo end-point da utilizzare nelle
sperimentazioni cliniche. Anziché aspettare di osservare quale sia il trattamento che prevede il
periodo di remissione più lungo o la più lunga sopravvivenza globale (un lasso temporale che
potrebbe durare un decennio o oltre), il nuovo test a flusso fornirà una risposta immediata alla
domanda “qual è il farmaco o il regime che ha comportato il più basso tasso di MRD nel maggior
numero di pazienti?
In seguito, l'ordine del giorno ha previsto l'intervento del dott. Vincent Rajkumar (Mayo Clinic,
Rochester, Minnesota), primo autore delle nuove linee guida elaborate dall'IMWG sui criteri
diagnostici per il mieloma. Gli è stata affidata l'ardua impresa di definire e convalidare i
marcatori biologici che potrebbero essere utilizzati al fine di evitare danni ai pazienti affetti da
Mieloma multiplo smoldering (SMM) a causa di tempi di attesa troppo lunghi per il trattamento
o nel caso siano trattati troppo precocemente.
Quando è in corso un progetto di questa portata, l'intero IMWG contribuisce con dati e ciascun
membro dell'IMWG commenta il manoscritto che ne deriva. Nel caso di disaccordi, è necessario
raggiungere un compromesso e il consenso. Possono volerci anni per raccogliere i dati necessari
per sostenere un importante cambiamento di paradigma e, successivamente, molti mesi per
ottenere un consenso per la pubblicazione. Con il dott. Rajkumar in qualità di autore principale,
questo importante documento è stato concepito quattro anni fa ed ha raggiunto attualmente la sua
versione definitiva ed è stato sottomesso per la pubblicazione. Tale documento definisce nuovi
biomarcatori al fine di determinare quando sia opportuno iniziare il trattamento in pazienti che
non presentano criteri CRAB, ma che presentano almeno l'80% di possibilità di sviluppare un
mieloma attivo con danno agli organi entro due anni. Tali pazienti sono definiti “ad altissimo
rischio” e rappresentano solo il 10-15% di tutti i pazienti affetti da SMM.
Il dott. Rajkumar ha affermato che il nuovo test a flusso sarà incorporato nei criteri diagnostici
per SMM ad altissimo rischio una volta convalidato. I dati ottenuti dal test mediante metodica
FISH (ibridazione in situ fluorescente) e sul livello di proteine monoclonali non supportano un
cut-off di rischio dell'80%per un trattamento immediato e, pertanto, sono stati esclusi.
Attualmente, vi è consenso sul fatto che l'SMM ad altissimo rischio dovrebbe essere considerato
e trattato come il MM; l'SMM ad alto rischio dovrebbe essere trattato solo nel contesto di una
sperimentazione clinica; i pazienti affetti da SMM a basso rischio dovrebbero essere seguiti
unicamente attraverso l'osservazione.
L'intervento conclusivo è stato tenuto dal dott. Antonio Palumbo (Università di Torino, Torino,
Italia), un capofila nell'area del trattamento di pazienti fragili e/o anziani affetti da mieloma e a
cui è stato conferito, quest'anno, il premio "Robert A. Kyle Lifetime Achievement Award". Il
dott. Palumbo è il principale autore di una nuova pubblicazione dell'IMWG sulla stratificazione
del rischio nel paziente geriatrico e ha definito, per la prima volta, i criteri per la valutazione del
rischio; ciò mette a disposizione dei medici di tutto il mondo delle chiare linee guida per la
gestione del mieloma in questa popolazione di pazienti. Per paziente fragile si intende un
paziente con comorbosità (altre patologie, soprattutto cardiache, infezioni, problemi
gastrointestinali e con formazione di coaguli di sangue) e che ha difficoltà a o non è in grado di
svolgere le attività tipiche della vita quotidiana. È fragile il 15% dei pazienti più giovani, così
come il 35-40% dei pazienti di età pari o superiore a 80 anni. Questi pazienti richiedono una
ridotta intensità del farmaco (combinazione di 2 anziché 3 o più farmaci) e un dosaggio del
farmaco ridotto. L'obiettivo del trattamento dovrebbe essere il controllo della malattia piuttosto
che l'eradicazione della stessa, in particolare nei primi 2-3 mesi di terapia.
Dai dati presentati emerge che il tasso di sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la
sopravvivenza globale (OS) con dosi ridotte di farmaci per i pazienti fragili/anziani sono uguali a
quelli dei pazienti più forti a cui vengono somministrate dosi standard. Il messaggio del dott.
Palumbo è un sano consiglio per qualsiasi medico: rinunciare alle cure aggressive nei pazienti
più deboli ed essere consapevoli dei rischi di mortalità e tossicità. Non è idoneo, in questa
popolazione di pazienti, forzare una risposta completa (CR) con elevate dosi, combinazioni di 3
farmaci e una terapia continua.
La discussione si è concentrata su una definizione migliore dell'insorgenza della fragilità a
seguito del mieloma o a causa di comorbosità. Se un paziente è fragile perché il mieloma non è
controllato, è consigliabile innanzitutto ridurre il carico tumorale e, successivamente, rivalutare
la terapia nel caso in cui il paziente sia pronto per affrontare un trattamento più aggressivo. Il
dott. Palumbo ha sottolineato la necessità di valutare la funzione cardiaca in tutti i pazienti prima
di iniziare la terapia.
La parte successiva del vertice è stata condotta sotto forma di dibattito semiserio. La prima
“battaglia” è stata quella tra il dott. Xavier Leleu (Hôpital Claude Huriez, Lille, Francia) e la
dott.ssa Maria Victoria Mateos (Università di Salamanca, Salamanca, Spagna) con punti di vista
divergenti circa il ruolo del melfalan rispetto al trattamento continuo con Revlimid®
(lenalidomide) in combinazione a desametasone (Rd) nel trattamento di prima linea di pazienti
anziani (senza trapianto). Utilizzando i dati della sperimentazione FIRST presentati sei mesi fa in
occasione dell'assemblea dell'ASH (American Society of Hematology, Società Americana di
Ematologia), il dott. Leleu ha sostenuto il trattamento continuo con Rd (desametasone) che ha
avuto chiaramente la meglio sull'MPT e sull'Rd a dose fissa in questo vasto studio a tre bracci.
Ha ironicamente chiamato la sua presentazione “Uscita del melfalan”, affermando che viene
usato, dopo quasi 50, unicamente perché è “economico”. Ha menzionato il rischio di causare
tumori maligni secondari, in particolare, in associazione al Revlimid, e ha invocato un
cambiamento di paradigma pratico in questa epoca che presenta migliori farmaci con migliori
tassi di risposta. Ha inoltre affermato che la terapia doppietto con Rd è più sicura e più efficace
rispetto a combinazioni di 3 farmaci con melfalan nel caso di pazienti anziani.
La dott.ssa Mateos, che ha collaborato con il dott. Jesús San Miguel come responsabile
scientifico sulla sperimentazione originale “VISTA” del VMP (Velcade®, melfalan e
prednisone), ha usato la metafora dei blue jeans per difendere il melfalan: i jeans esistono da
molto tempo, ma con gli accessori giusti, sono sempre di moda. Ha altresì affermato che il
melfalan, dovrebbe continuare ad essere la base del trattamento nei pazienti anziani in Europa. In
associazione a nuovi agenti, è da sempre un ottimo “accessorio”. Suscitando risate tra i
partecipanti, la dott.ssa Mateos ha chiesto “Se il melfalan non apporta alcun vantaggio in
associazione al Revlimid, che cosa possiamo dire sul Revlimid”? Riconoscendo che i farmaci
immunomodulatori (IMiDs®), Talidomide e Revlimid, non sono i partner migliori del melfalan,
ha difeso il VMP e l'approccio “terapia totale” nel trattamento dei pazienti anziani, aggiungendo
che le nuove combinazioni di farmaci quali Kyprolis® (carfilzomib), melfalan, e prednisone
appaiono promettenti. Inoltre, il melflufen, una nuova forma di melfalan che sta attualmente
dimostrando la propria efficacia nelle sperimentazioni cliniche, potrebbe trasformare il melfalan
in un partner ancora più forte nelle terapie combinate.
Il dott. Meletios Dimopoulos (Università di Atene, Atene, Grecia) ha sottolineato che la
concorrenza più temibile del melfalan potrebbe venire da un altro vecchio ed economico
farmaco, la ciclofosfamide, le cui tossicità risultano maggiormente prevedibili e reversibili
rispetto a quelle del melfalan. Il dott. Robert Kyle ha convenuto sul fatto che la ciclofosfamide
comporta un rischio minore di sindrome mielodisplastica (danni al midollo osseo che possono
comportare una leucemia acuta) rispetto al melfalan, e che il regime a base di
ciclofosfamide/Revlimid/desametasone non impedisce il prelievo di cellule staminali, a
differenza dei regimi contenenti melfalan. Il consenso è stato raggiunto sul fatto che gli agenti
alchilanti sono stati introdotti per rimanere e che la ciclofosfamide rappresenta l'agente alchilante
prescelto in caso di mieloma.
Il dibattito successivo tra il dott. Michele Cavo (Università di Bologna, Facoltà di Medicina,
Bologna, Italia) e il dott. Shaji Kumar (Mayo Clinic, Rochester, Minnesota) si è concentrato sul
ruolo del trapianto di cellule staminali quale terapia di prima linea. Il dott. Cavo ha sostenuto che
il trapianto precoce in associazione alle nuove terapie produce il miglior risultato possibile per i
pazienti a rischio standard, i quali costituiscono il 70% della popolazione con ammissibilità al
trapianto. Ha ammesso che non sono ancora disponibili i risultati di due importanti
sperimentazioni che hanno messo a confronto la nuova terapia seguita da un trapianto precoce
rispetto alla nuova terapia con trapianto nei casi recidivanti: ha tuttavia riportato i dati a lungo
termine disponibili provenienti dallo studio E4A03 (che ha confrontato R/ad alto dosaggio di dex
e R/a basso dosaggio di dex) e dall'MPR rispetto allo studio del trapianto autologo in tandem al
fine di dimostrare che i tassi di PFS e CR erano pari al doppio nei pazienti sottoposti a trapianto
precoce. Nessuna di queste sperimentazioni ha chiarito il dilemma tra trapianto precoce e
trapianto ritardato e, pertanto, il dott. Cavo attende con ansia i dati dell'IFM/Dana-Farber e delle
sperimentazioni EMN02 per corroborare la propria posizione.
La risposta del dott. Kumar alla domanda “Abbiamo davvero bisogno di un trapianto di cellule
staminali up-front per ottenere risposte approfondite?” è un categorico “no”, e cita la
sperimentazione FIRST, in cui il trattamento continuo con Rd rappresenta un metodo efficace al
fine di garantire remissioni profonde e a lungo termine. Benché sostenga fermamente che il
trapianto di cellule staminali (SCT) autologo rivesta ancora un ruolo di prim'ordine e che sia
necessario prevederlo, in un determinato momento nel corso della terapia di alcuni pazienti, ha
riportato dati che dimostrano eguali risultati dell'OS (sopravvivenza globale) nel caso di
trapianto precoce e di quello ritardato eseguito come terapia nel caso di recidiva, esortando
all'utilizzo delle sole nuove terapie sin dall'inizio, prevenendo la tossicità del trapianto. Egli ha
attribuito dei soprannomi ai due paradigmi per il trattamento: terapia sequenziale, il metodo
“colpisci e sospendi”, e terapia intensa e prolungata, l'approccio “colpisci e continua a colpire”.
Considera il trapianto un ottimo strumento per raggiungere un obiettivo, ma non un martello per
piantare tutti i chiodi. Ha inoltre fatto presente che la diagnosi non rappresenta il momento
migliore per determinare l'idoneità fisica del paziente al trapianto, dal momento che la maggior
parte dei pazienti versano nella condizione di maggior gravità nel momento in cui sono sottoposti
a diagnosi.
Il dott. David Siegel (Hackensack University Medical Center, Hackensack, New Jersey) ha
replicato che la durata della risposta è più breve nel caso del trapianto ritardato e che i pazienti
della sperimentazione E4A03 sottoposti a trapianto precoce avevano maggiori probabilità di
sopravvivenza e una qualità della vita migliore. L'atmosfera del dibattito iniziava a scaldarsi e
tutti gli esperti riuniti hanno infine convenuto sul fatto che non vi è alcun dogma riguardante il
trapianto in anticipo e che è necessario attendere i dati della fase III provenienti da due
sperimentazioni definitive, una delle quali è di prossima pubblicazione nel New England Journal
of Medicine.
Le presentazioni sui nuovi entusiasmanti ambiti della terapia e sulla stratificazione del rischio
genetico sono iniziate con un quadro generale fornito dal dott. Ed Stadtmauer (University of
Pennsylvania, Philadelphia, Pennsylvania) sul lavoro pionieristico dallo stesso realizzato nel
campo dell'immunoterapia con cellule T transgeniche (“ingegnerizzate”) e recettori chimerici per
l'antigene. Ha indicato il trapianto autologo come una buona piattaforma per l'immunoterapia,
benché il suo nuovo approccio con le cellule-T NY-ESO geneticamente modificate abbia
generato risposte anche senza il ricorso al trapianto. Attualmente, sono in corso ventisette
sperimentazioni cliniche che si sono avvalse delle cellule-T con recettori chimerici per l'antigene
(CART) in 10 centri negli Stati Uniti.
Il dott. Stephen Russell (Mayo Clinic, Rochester, Minnesota) ha presentato i propri dati sulla
viroterapia oncolitica. Aveva già presentato la sua ricerca in occasione dell'assemblea annuale
dell'IMWG del 2011, ed è stato gratificante constatare che dai recenti dati provenienti dalla
sperimentazione del virus del morbillo di fase I sia emersa una “prova di principio”. Ha spiegato
il motivo per il quale le cellule del mieloma rappresentano i bersagli ideali per il virus del
morbillo e il perché sia necessaria una massiccia dose del virus ingegnerizzato, ovvero
sufficiente a creare il vaccino per 10 milioni di pazienti. La sperimentazione è in corso dal 2006,
ma la dose è stata aumentata all'attuale livello efficace solamente lo scorso anno. Tra i passaggi
successivi figura l'apertura di una sperimentazione di fase II a settembre, quando sarà stata
ingegnerizzata una quantità sufficiente del virus. I pazienti idonei devono mostrare resistenza
agli inibitori del proteasoma e agli IMiD e, inoltre, devono aver presentato recidive
successivamente al trattamento con un agente alchilante. In particolare, devono essere negativi
agli anticorpi del virus del morbillo, anche se in passato hanno contratto tale malattia. Il dott.
Russell sta conducendo ulteriori ricerche per determinare se possano essere progettati “portatori
di cellule” al fine di aggirare gli anticorpi neutralizzanti e rendere il vaccino efficace anche nei
soggetti con immunità al morbillo. Il dott. Russell sta altresì lavorando su una viroterapia
avvalendosi del virus della stomatite vescicolare (VSV), contro il quale gli esseri umani non
sviluppano l'immunità.
Il dott. Paul Richardson (Dana-Farber Cancer Institute, Boston, Massachusetts) ha fornito un
quadro generale sulle nuove terapie che sono attualmente in sperimentazione clinica, compresi
gli inibitori del proteasoma di seconda generazione, le terapie immunitarie, i farmaci “più
vecchi” innovativi come il melflufen e l'ARRY-520, gli anticorpi monoclonali (MAb) e gli
inibitori dell'istone deacetilasi (HDAC). Ha passato in rassegna i dati della sperimentazione
positivi per ciascun farmaco e rafforzato il sentimento di ottimismo tra i partecipanti. Quello del
mieloma rimane un campo importante per lo sviluppo di nuovi ed efficaci agenti da poter
utilizzare in innumerevoli combinazioni, alcune delle quali hanno dimostrato l'attività di un
singolo agente, distinguendosi per l'elevata efficacia.
Il dott. Saad Usmani (Carolinas Medical Center, Charlotte, North Carolina) si è domandato se il
trattamento può essere personalizzato sulla base della stratificazione del rischio. Il mieloma non
rappresenta una singola entità di malattia e la ricerca condotta dai dott. Bart Barlogie e Pieter
Sonneveld ha portato all'individuazione di10 distinte firme genetiche che emergono dalla
gammopatia monoclonale di significato indeterminato (MGUS) attraverso il mieloma multiplo
(MM) attivo. Il dott. Usmani ha affermato che, attualmente, il 10–15% dei pazienti affetti da
mieloma guarisce. Sappiamo, ora, che l'evoluzione da MGUS a MM è ramificata (“Darwiniana”)
anziché lineare e che la selezione clonale avviene per effetto coercitivo della terapia. Il carico
della malattia, la biologia della malattia, i fattori ospiti concorrono tutti alla determinazione del
rischio. Ha riportato dati degli studi precedenti e dati che sono attualmente in fase di analisi
provenienti dalla sperimentazione di fase III di pazienti recidivanti/refrattari
all'elotuzumab/Rev/dex in cui sono state svolte analisi di sottogruppi tra i pazienti con svariate
mutazioni genetiche ad alto rischio.
Il dott. Jesús San Miguel (Università di Navarra, Pamplona, Spagna) si è soffermato su un altro
tipo di paziente ad “altissimo rischio”: non uno affetto da SMM, bensì con MM attivo e fattori di
rischio che portano ad una OS breve. Il rischio specifico del paziente, ovvero la fragilità, è più
importante delle anomalie di laboratorio. Il rischio specifico legato alla malattia deriva da
mutazioni genetiche, ma non tutti i pazienti con mutazioni ad alto rischio hanno una OS breve. I
pazienti con tre o più anomalie genetiche o i pazienti “ad altissimo rischio” hanno una OS
inferiore a 19 mesi; in questi pazienti, le recidive si presentano normalmente a meno di un anno
dal trapianto di cellule staminali; alcune mutazioni, quali la trisomia (cromosoma presente in
triplice copia), mitigano l'elevato rischio. Come affermato dal dott. San Miguel, i pazienti con la
t(4;14) sola, t(4;14) con trisomia, e (4;14) con delezione 17p comportano risultati distinti. I
fattori poor-risk comprendono plasmacellule circolanti, leucemia plasmacellulare primaria,
malattia extramidollare alla diagnosi e fragilità, ognuno dei quali prevale sulla citogenetica quali
caratteristiche di altissimo rischio e di OS breve. In base alle analisi attuali è stato dimostrato che
la terapia di mantenimento è stata efficace in pazienti con 17p-, ma non in pazienti con la t(4;14),
e che il Velcade offre un evidente beneficio ai pazienti ad altissimo rischio con la t(4;14), ma non
a quelli con 17p-. Stiamo ora assistendo ai dati che provengono dalla sperimentazione del
carfilzomib/pomalidomide/desametasone in base a cui PFS e OS sono i medesimi per i pazienti
con la t(4; 14) e/o 17p- e quelli a rischio standard stando, forse, ad indicare che la combinazione
di un inibitore di proteasoma di seconda generazione e IMiD può superare l'alto rischio. Il
follow-up a lungo termine del trapianto allogenico del dott. Gosta Gahrton pubblicato all'inizio
di quest'anno in Blood ha dimostrato che PFS e OS erano equivalenti nei pazienti con o senza
t(4; 14) e 17p-.
Per sapere se è possibile revocare questa prognosi sfavorevole, sono necessari ulteriori studi
relativamente al trapianto allogenico nei pazienti ad alto rischio. Un altro studio proposto è
quello in cui ci si avvale sia del carfilzomib/Rd o del VRD in associazione ad un anticorpo
monoclonale anti-CD 38 e del doppio trapianto autologo per trattare i pazienti ad altissimo
rischio. Il consenso, sintetizzato dal dott. Sundar Jagannath, è che le delezioni ad alto rischio non
sono tutte uguali e che è necessario osservare un maggior numero di dati analizzati nel dettaglio
in più sperimentazioni prima di poter determinare quali siano gli agenti più efficaci, e in quali
combinazioni, per questa popolazione.
Il vertice si è concluso con sessioni collaterali in cui sono state affrontate le pressanti questioni
attuali sorte durante la sessione generale e sono stati costituiti dei piani d'azione per i successivi
passi da intraprendere. Oltre alle sessioni collaterali, i medici si sono riuniti nei rispettivi gruppi
di lavoro. Le relazioni provenienti da ciascuna di queste sessioni e riunioni di gruppi di lavoro
sono state presentate il mattino seguente a tutti i membri dell'IMWG.
A conclusione del vertice, i medici hanno condiviso la propria determinazione nel portare a
termine le mansioni delineate. Restiamo in attesa di un altro corposo elenco di linee guida di
consenso dell'IMWG nei mesi a venire.
Aspetti salienti dell'Assemblea annuale dell'American Society of Clinical Oncology
(Associazione Americana di Oncologia Clinica) 2014
Debbie Birns – Medical Writer dell'IMF
La 50° Assemblea annuale dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO) si è tenuta a
Chicago dal 30 maggio al 3 giugno 2014. L'assemblea è stata caratterizzata da una serie di
interessanti poster e interventi orali sul mieloma multiplo. Mentre l'assemblea annuale della
American Society of Hematology (ASH - Associazione Americana di Ematologia), che si tiene a
dicembre di ogni anno, si concentra esclusivamente sulle malattie del sangue e rappresenta il
principale momento di incontro per i ricercatori impegnati sul fronte del mieloma, l'assemblea
annuale dell'ASCO riunisce oltre 25.000 oncologi provenienti da numerosi ambiti di specialità.
Anno dopo anno, in occasione dell'assemblea dell'ASCO abbiamo assistito ad un numero
crescente di presentazioni relative al mieloma e, quest'anno, sono stati presentati 59 abstract
specifici sul mieloma, molti dei quali hanno offerto nuovi spunti e progressi nella ricerca.
Terapia continua
Il tema principale in occasione dell'assemblea dell'ASH a New Orleans nel mese di dicembre
2013 è stato il miglioramento dei risultati attraverso la terapia continua. Il valore della terapia
continua è stato ribadito in occasione dell'Assemblea dell'ASCO 2014 con una presentazione
orale sul confronto tra terapia continua e a durata fissa per i pazienti con nuova diagnosi di
mieloma del dott. Antonio Palumbo (Università di Torino, Torino, Italia; abstract n. 8515), il
quale ha esaminato i dati di 452 pazienti che erano stati sottoposti ad una terapia continua e 461
pazienti che erano stati sottoposti ad una terapia di durata fissa. Detti 913 pazienti con nuova
diagnosi di mieloma sono stati inclusi in due grandi sperimentazioni di fase III, una delle quali
metteva a confronto il trattamento continuo e a durata fissa con il Revlimid® (lenalidomide)
mentre l'altra confrontava il trattamento continuo e a durata fissa con il Velcade® (bortezomib).
Al fine di determinare il modo in cui i pazienti hanno avuto la prima e la seconda recidiva,
nonché per osservare se la terapia continua li avesse resi resistenti alla terapia nella seconda
recidiva, il dott. Palumbo ha esaminato la risposta, la recidiva e i dati relativi alla sopravvivenza
in momenti specifici che ha denominato PFS1 (il tempo dall'inizio della terapia al verificarsi
della prima recidiva) e PFS2 (il tempo dall'inizio della terapia alla seconda recidiva). Ha stabilito
che nei pazienti con nuova diagnosi, la terapia continua ha aumentato in maniera significativa il
PFS1, il PFS2 e la sopravvivenza globale (OS) e che la stessa non ha ridotto la qualità o la durata
della risposta alla terapia nella seconda recidiva.
Nuovi Agenti
Daratumumab
Gli anticorpi monoclonali si stanno facendo strada nelle sperimentazioni cliniche quali nuova
potente categoria di agenti antimieloma. Il dott. Henk Lokhorst (Università di Utrecht, Utrecht,
Paesi Bassi; abstract n. 8513) e il dott. Torben Plesner (Vejle Hospital, Veijle, Danimarca;
abstract n. 8533) hanno esposto oralmente gli aggiornamenti sul promettente anticorpo
monoclonale anti #x1E;-CD38, il daratumumab.
Lo studio del daratumumab quale agente singolo condotto dal dott. Lokhorst in pazienti con
mieloma recidivante/refrattario ha completato il reclutamento dei pazienti ed è attualmente in
corso. Questa fase continua della sperimentazione intende determinare la sicurezza e l'efficacia
di due diversi livelli e programmi di dosaggio, ovvero 8 mg/kg (30 pazienti) e 16 mg/kg (15
pazienti). Il dott. Lokhorst ha riferito che gli effetti collaterali (noti come “eventi avversi”) non
sono correlati al livello della dose. Tra tali effetti indesiderati osservati in almeno il 20% dei
pazienti figurano febbre, rinite allergica, affaticamento, infezioni del tratto respiratorio superiore,
diarrea, difficoltà respiratorie e tosse; si tratta di eventi avversi non gravi che potevano essere
gestiti mediante riduzioni della dose e terapia di supporto. Gli unici eventi avversi gravi finora
riscontrati riguardano un episodio di insufficienza di piastrine e un altro di insufficienza di
globuli bianchi. Il dott. Lokhorst ha riferito un'elevata attività dell'agente singolo con il dosaggio
pari a 16 mg/kg.
Il dott. Torben Plesner ha presentato i dati di uno studio sul daratumumab associato a Revlimid e
desametasone in pazienti con mieloma recidivante e refrattario. Lo studio in corso del dott.
Plesner osserva il daratumumab somministrato a diverse dosi insieme a dosi standard di Rev/dex.
Il dott. Plesner ha esposto i risultati derivanti dai primi 11 pazienti valutabili. Gli effetti
collaterali più comuni sono stati la bassa conta dei globuli bianchi e diarrea. Tra gli altri effetti
collaterali figurano valori bassi di piastrine e anemia. Tutti gli 11 pazienti hanno mostrato
evidenti diminuzioni della proteina monoclonale, 8 dei quali avevano una risposta parziale (PR)
o migliorata, e 5 degli 8 pazienti hanno ottenuto risposte parziali molto buone (VGPR), e ciò
indica un calo della proteina monoclonale pari, almeno, al 90%.
SAR650984
Un altro anticorpo monoclonale anti-CD 38 da considerare è SAR650984. Il dott. Thomas
Martin (UCSF, San Francisco, California) ha presentato alcuni poster relativi a due
sperimentazioni con SAR650984 per pazienti con mieloma recidivante/refrattario. I tanto attesi
dati sull'efficacia derivante dalla sperimentazione di SAR come agente singolo (abstract n. 8532)
hanno rivelato che il 33% dei pazienti trattati con almeno 10 mg/kg di SAR ha avuto una risposta
al singolo agente (un calo della proteina monoclonale pari, almeno, al 25%) e una stabilizzazione
della malattia in un altro 39% (arresto della progressione della malattia, ma in assenza di calo
della proteina monoclonale). Il tasso complessivo di risposta (ORR) per i pazienti che hanno
ottenuto almeno una risposta parziale (un calo del 50%, o superiore, della proteinamonoclonale)
o migliorata era pari al 24% e sono state ottenute 2 risposte complete.
In considerazione dei risultati molto incoraggianti con SAR quale agente singolo, è stato avviato
uno studio che prevede la combinazione di SAR, Revlimid e un basso dosaggio di desametasone
e il dott. Martin ha altresì presentato i dati provvisori di tale sperimentazione (abstract n. 8512).
Sebbene non sia stato raggiunto alcun livello di tossicità limite della dose (DLT), SAR in
associazione a Rev/dex è stato, in generale, ben tollerato da 13 pazienti con malattia sottoposta a
pretrattamento pesante, recidivante e refrattaria. Tra gli effetti collaterali segnalati, i quali si sono
tutti verificati in 6 o in un minor numero di pazienti, figuravano nausea, tosse, affaticamento,
spasmi muscolari, infezioni, vomito, diarrea, disidratazione e insonnia, nonché una bassa conta
dei globuli bianchi e delle piastrine. Il tasso complessivo di risposta (ORR) in 12 pazienti
valutabili era pari al 58%. Ci sono state risposte tra pazienti a tutti e 3 i livelli di dosaggio testati,
ma i migliori risultati (1 PR e 3 VGPR) sono stati ottenuti a 10 mg/kg di SAR650984 con dosi
standard di Rev/dex (25 mg di Revlimid ai giorni 21/28 e 40 mg di dex una volta a settimana).
Per ulteriori informazioni di base su SAR650984, si veda l'intervista con il dott. Martin
nell'edizione di Myeloma Today della primavera 2014.
Panobinostat
Il dott. Paul Richardson (Dana-Farber Cancer Institute, Boston, Massachusetts; abstract n. 8510)
ha presentato oralmente una sperimentazione di fase III randomizzata per pazienti con mieloma
recidivo o refrattario confrontando il nuovo inibitore pan-deacetilasi panobinostat in associazione
a Velcade/desametasone e un placebo in associazione a Velcade/desametasone. Se le precedenti
sperimentazioni cliniche con gli inibitori dell'HDAC nel mieloma non avevano dato frutti,
panobinostat ha dimostrato l'innescarsi di una sinergia antimieloma in associazione a Vel/dex
che ha garantito in un test di fase III randomizzato la sua efficacia rispetto a Vel/dex singolo.
Questa ampia sperimentazione randomizzata ha incluso 768 pazienti, a 387 dei quali è stato
somministrato panobinostat/Vel/dex, mentre a 381 è stato somministrato placebo/Vel/dex.
L'inserimento di panobinostat nel regime a base di Vel/dex ha comportato un aumento della
sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto al Vel/dex singolo di quasi quattro mesi e, se
da un lato i dati relativi alla sopravvivenza globale (OS) non sono ancora pronti, dall'altro il tasso
complessivo di risposta (ORR) era pari al 61% nel braccio panobinostat e al 55% nel braccio
Vel/dex/placebo. Nel braccio sperimentale, il 28% dei pazienti riporta almeno una risposta
parziale molto buona (VGPR) rispetto al 16% nel braccio placebo. I tassi della bassa conta di
globuli bianchi e piastrine e della diarrea erano significativamente maggiori nel braccio
panobinostat/Vel/dex rispetto al braccio Vel/dex/placebo. Questi effetti collaterali sono stati
spesso gestiti riducendo il dosaggio e mediante terapia di supporto, anche se il 36% dei pazienti
nel braccio panobinostat e il 20% di quelli nel braccio placebo sono usciti dalla sperimentazione
a causa di eventi avversi.
Vecchi farmaci, nuovi regimi
Pomalyst/Velcade/dex
Anche il dott. Paul Richardson ha presentato un poster (abstract n. 8589) su una sperimentazione
di piccola entità di fase I sulla terapia che prevede la combinazione di
Pomalyst/Velcade/desametasone per pazienti con refrattarietà al Revlimid e che sono stati
precedentemente esposti, senza esservi refrattari, ad un inibitore del proteasoma. Il dott.
Richardson è stato uno dei principali ricercatori nel campo dell'uso della terapia combinata con la
potente combinazione di un inibitore del proteasoma (Velcade) e un agente immunomodulatorio,
o “IMiD®” (Revlimid) e, attualmente, sta portando avanti la ricerca di un IMiD più nuovo, il
Pomalyst® (pomalidomide). La sperimentazione ha completato il reclutamento con 28 pazienti ed
è stato determinato un dosaggio per la sperimentazione di fase III. Tra le tossicità di alto livello
più comuni figuravano bassi livelli di piastrine e globuli bianchi, mentre la neuropatia periferica,
che si è presentata in quasi la metà dei pazienti, presentava una minore gravità. Il trattamento non
è stato interrotto da nessun paziente a causa di effetti collaterali. Le risposte, come previsto, sono
state elevate, con un tasso di risposta globale (ORR) del 71% nei pazienti trattati con Velcade per
via endovenosa (IV) e il 67% nei pazienti trattati con Velcade per via sottocutanea (SQ). La
sperimentazione di fase III, MM-007, è già in corso.
Kyprolis settimanalmente
Il Kyprolis® (carfilzomib) è attualmente approvato quale regime che prevede due
somministrazioni di dosi settimanali in giorni consecutivi. Il dott. James Berenson (Institute for
Myeloma and Bone Cancer Research, West Hollywood, California; abstract n. 8594) è stato il
responsabile di un gruppo di ricercatori in uno studio di fase I/II che ha valutato diverse dosi di
carfilzomib somministrato una volta a settimana in associazione a desametasone a pazienti con
mieloma recidivante/refrattario. La prima parte dello studio era tesa a valutare la sicurezza e
l'efficacia nonché a stabilire una dose massima tollerata. In seguito ad una dose pari a 20 mg al
giorno 1, le dosi sono state aumentate ed è stata determinata una dose settimanale pari a
70mg/m2 quale dose massima tollerata. Il 60% dei pazienti trattati con 70 mg/m2 durante la fase I
della sperimentazione ha avuto almeno un calo del 50% della proteina monoclonale, con un altro
7% che ha riportato, almeno, una riduzione del 25% delle proteine monoclonali. Non si sono
verificate neuropatie periferiche di grado elevato. Tra gli eventi avversi gravi (grado 3 o 4 su una
scala da 1 a 4) figurano il basso numero di piastrine, l'aumento della creatinina nel sangue,
respiro corto e glicemia alta. La fase II della sperimentazione sta attualmente reclutando pazienti
da trattare con una dose settimanale pari a 70mg/m2.
Confronto tra MPT e MPR
Il dott. Keith Stewart (Mayo Clinic, Scottsdale, Arizona; abstract n. 8511) ha tenuto una
presentazione sui dati provenienti da una sperimentazione di fase III effettuando un confronto tra
MPT (melfalan, prednisone e talidomide) e MPR (melfalan, prednisone e Revlimid) per i
pazienti con nuova diagnosi che non idonei al trapianto di cellule staminali. Questa
sperimentazione è stata condotta su un gruppo demografico di età più avanzata; l'età media dei
partecipanti era pari a 75 anni. Il dott. Stewart e i suoi collaboratori stavano lavorando sulla
possibilità che il MPR potrebbe rappresentare un regime di pari efficacia ma meno tossico
rispetto all'MPT, come confermano i dati. La sopravvivenza libera di progressione e la
sopravvivenza globale (OS) di 3 anni erano simili in entrambi i regimi, ma la tossicità e la qualità
della vita erano migliori nel braccio MPR.
Studi basati sulla popolazione
Trapianto autologo di cellule staminali per i pazienti di età avanzata
Un altro studio che si concentra sulla popolazione di età avanzata è stato quello del dott. Gunjan
Shah (Tufts Medical Center, Boston, Massachusetts; abstract n. 8517). Il dott. Shah ha studiato
costi e risultati tra i 267 pazienti Medicare che hanno subito trapianti autologi di cellule staminali
(ASCT) nel periodo di otto anni tra il 2000 e il 2008 e li ha confrontati con i pazienti Medicare
affetti da mieloma che non hanno subito trapianti. Il dott. Shah e i suoi collaboratori hanno
stabilito che la sopravvivenza media è aumentata da 822 a 1.705 giorni con l'ASCT e che la
sopravvivenza globale (OS) è migliorata costantemente con l'ASCT. Al quinto anno, la
sopravvivenza globale (OS) era del 48% tra coloro che avevano subito un trapianto e il 30% tra
coloro che, al contrario, non lo avevano subito. Non sorprende che il costo del trattamento dei
pazienti sottoposti a trapianto fosse maggiore, ma i pazienti hanno guadagnato in media altri due
anni di vita. Tuttavia, è importante notare che le comorborsità (altre patologie) erano maggiori
nei pazienti del gruppo non sottoposto a trapianto (limitando, pertanto, l'idoneità al trapianto per
gli stessi), e che i pazienti più sani erano quelli sottoposti a trapianto; ciò, in parte, potrebbe
contribuire a spiegare i relativi tempi di sopravvivenza maggiori.
Tassi di eventi cardiaci
Kristen Kistler (Mount Sinai School of Medicine, New York, New York; abstract n. 19563) ha
condotto uno studio nel quale sono stati analizzati i tassi di eventi cardiaci in 1.723 pazienti
affetti da mieloma i quali erano stati trattati con corticosteroidi (quali il desametasone o il
prednisone), in associazione, almeno, ad altri tre farmaci (Velcade, IMiDs, antracicline o agenti
alchilanti) rispetto ad una popolazione di 8.615 persone dello stesso sesso ed età che non ha
avuto il mieloma. Lo studio fornisce i primi dati confrontando il tasso di eventi cardiaci in
pazienti affetti da mieloma rispetto a pazienti non affetti da MM, per età e sesso. Sia la
prevalenza che il rischio di eventi cardiaci erano maggiori nei pazienti affetti da mieloma ai quali
erano stati somministrati in precedenza almeno tre farmaci antimieloma. Per eventi cardiaci si
intendevano aritmia, insufficienza cardiaca congestizia, cardiomiopatia (malattia del muscolo
cardiaco) e disturbi della conduzione.
MGUS/SMM
Esami di diagnostica per immagini molecolare delle lesioni ossee precoci
Negli ultimi anni, è stata svolta una ricerca di rilievo nei settori della biologia, della valutazione e
del trattamento del mieloma multiplo Smoldering (SMM). Attualmente si ritiene che
identificando ciò che costituisce un elevato rischio di progressione e intervenendo nella fase
iniziale, vi è un grande potenziale per curare la malattia prima che possa danneggiare le ossa o
gli altri organi. La dott.ssa Manisha Bhutani (National Cancer Institute, Bethesda, Maryland;
abstract n. 8587) ha presentato un poster su uno studio prospettico avvalendosi di esami di
diagnostica per immagini molecolare per monitorare i processi focali a carico del midollo osseo e
le lesioni focali in quelle che la stessa denomina “patologie precorritrici”. Il gruppo dell'NCI ha
seguito due gruppi di pazienti affetti da MGUS (gammopatia monoclonale di incerto significato),
SMM, e mieloma attivo (MM) avvalendosi di varie tecniche di diagnostica per immagini: raggi
X (esami radiologici a tutto lo scheletro), FDG PET (tomografia a emissione di positroni con
fluorodesossiglucosio) con CT , PET con CT in NaF (fluoruro di sodio) e una speciale forma di
risonanza magnetica (lombosacrale dinamica con contrasto o DCE-MRI). La risonanza
magnetica è stata in grado di individuare una lesione focale in uno dei dieci pazienti affetti da
MGUS. Tutti gli altri studi in questo gruppo sono risultati negativi. In undici dei 26 pazienti
affetti da SMM in cui, per definizione, le radiografie erano risultate negative, sono state
riscontrate anomalie mediante FDG PET (tomografia a emissione di positroni con
fluorodesossiglucosio) con CT. La DCE-MRI era negativa in quei soggetti affetti da SMM
valutati. Un esame di diagnostica per immagini molecolare più sensibile ha consentito ai
ricercatori di identificare la malattia ossea che non era visibile con gli esami radiologici a tutto lo
scheletro in pazienti affetti da SMM. I ricercatori si auspicano che le loro scoperte porteranno
alla inclusione di tecniche di diagnostica per immagini maggiormente sensibili nelle
sperimentazioni che prevedono pazienti affetti da SMM e MM, al fine di sviluppare strategie di
trattamento più precise.
Dosaggio delle catene leggere libere e anomalie citogenetiche per identificare il SMM
Il dott. Jeremy Todd Larsen (Mayo Clinic, Rochester, Minnesota; abstract n. 8595) ha analizzato
retrospettivamente i dati provenienti da pazienti trattati presso la clinica tra il 1991 e il 2010 ai
quali era stato diagnosticato il SMM e per i quali erano disponibili dati del test FISH, ovvero
ibridazione in situ fluorescente, (test genetico) e i dati del test delle catene leggere libere (FLC)
al momento della diagnosi al fine di verificare se era possibile avvalersi di questi due test per
individuare il SMM ad alto rischio. L'identificazione precoce dei pazienti affetti da SMM ad alto
rischio di progressione, come osservato in precedenza, è diventata un punto cardine della ricerca
sul mieloma, ma è necessario disporre ampiamente di test riproducibili al fine di identificare i
pazienti affetti da SMM ad alto rischio. In base allo studio del dott. Larsen, il 90% dei pazienti in
cui la catena leggera coinvolta nel mieloma era superiore a 40mg/dL, e i quali presentavano
altresì un'anomalia citogenetica ad alto rischio, t(4;14) o delezione 17p, erano a rischio di
progressione a MM entro 24 mesi. Questi risultati suggeriscono che questo sottogruppo di
pazienti potrebbe trarre beneficio da un intervento precoce.
Alla luce delle sempre più evidenti prove dei benefici apportati da un trattamento precoce e da
nuovi farmaci e nuovi test nell'armamentario mieloma, sono prevedibili enormi cambiamenti
nella pratica clinica del mieloma nel futuro prossimo.
Nota del redattore: Alla 50° assemblea annuale dell'American Society of Clinical Oncology
(ASCO), l'IMF ha intervistato i principali medici specializzati nel mieloma i quali hanno
condiviso i loro commenti esperti affinché i pazienti li potessero sentire direttamente. Questi
video sono disponibili esclusivamente sul sito dell'IMF
asco.myeloma.org.
®
Monitoraggio con Hevylite in pazienti affetti da mieloma
Myeloma Today: una conversazione con il Prof. dott. Heinz Ludwig
La preghiamo di descrivere l'applicazione del dosaggio Hevylite nel mieloma.
Una persona sana presenta molte plasmacellule di diverso sfondo genetico e tali cellule
producono delle proteine diverse tra loro. Nel caso del mieloma, un tumore che deriva da una
plasmacellula che subisce una trasformazione maligna (denominata cellula mielomatosa), nel
midollo osseo vengono prodotte molte copie di questa cellula mielomatosa. Anche se da queste
cellule mielomatose possono evolvere sottocloni con lievi differenze genetiche, esse conservano,
in gran parte, la loro capacità di produrre proteine identiche, altresì chiamate proteine
mielomatose, proteine monoclonali (M), componente M, picco M o paraproteine. Queste
proteine vengono secrete in quantità elevate nel plasma dove possono essere identificate e
misurate. L'identificazione della proteina M è importante ai fini della diagnosi della malattia e la
misurazione dei suoi livelli è uno strumento utile non solo per il monitoraggio dell'efficacia del
trattamento, ma anche per l'identificazione delle recidive.
Il dosaggio delle catene pesanti/leggere dell'immunoglobulina Hevylite® (HLC) consiste in un
esame sanguigno di laboratorio, unico nel suo genere, per la misurazione delle immunoglobuline
intatte. Hevylite consente di migliorare il monitoraggio dei pazienti affetti da mieloma. Esso
consente di misurare con precisione il rapporto tra la proteina mielomatosa clonale e le proteine
policlonali non maligne.
Le proteine M sono solitamente composte da un tipo di catena pesante di immunoglobuline (IgG,
IgA, IgM, IgD o IgE) e da un tipo di catena leggera (kappa o lambda, come si evince dalla
tabella 1). Gli stessi soggetti normali presentano una produzione eccessiva di catene leggere che
non sono legate alle catene pesanti e appaiono, pertanto, come molecole “libere” in circolazione
(catene leggere kappa libere e lambda libere). Il test Freelite® quantifica le catene leggere libere
(FLC) e, in aggiunta, consente di calcolare il rapporto tra il tipo di catena leggera coinvolta e la
catena leggera non coinvolta. Un rapporto delle catene leggere libere (FLC) altamente anomalo è
indicativo di un maggior rischio di progressione al mieloma attivo nei pazienti affetti da MGUS
o SMM. Il test delle FLC è altresì molto utile per la diagnosi e il monitoraggio di pazienti con
malattia delle catene leggere, malattia oligosecernente e amiloidosi.
Il test Hevylite quantifica la molecola di immunoglobulina intatta che consiste in catene pesanti e
leggere (si veda la figura). Poiché le immunoglobuline sono composte da uno specifico tipo di
catena pesante e uno specifico tipo di catena leggera, è possibile misurarle con precisione (IgG
kappa o IgA lambda o IgA kappa o IgA lambda, ad esempio). Nel caso in cui il componente
monoclonale IgA in un paziente affetto da mieloma sia del tipo kappa, il componente non clonale
IgA sarà del tipo lambda. Ciò consente, di nuovo, di calcolare un rapporto tra il componente IgA
monoclonale e policlonale in un singolo paziente (rapporto HLC o Hevylite)
Qual è il significato del rapporto Hevylite?
Il rapporto tra la proteina monoclonale e le proteine policlonali dello stesso isotipo è importante
in quanto rispecchia il rapporto tra la dimensione del clone maligno e le normali plasmacellule
che rimangono. Più è aggressivo il mieloma, maggiore sarà la soppressione delle cellule normali.
Può spiegare alcuni dei punti di forza di Hevylite?
I rapporti Hevylite presentano un punto di forza rispetto alle misurazioni di immunoglobuline
monoclonali in quanto l'immunoglobulina non mielomatosa consente la valutazione
dell'immunosoppressione. Inoltre, il dosaggio Hevylite presenta un punto di forza cruciale in
quanto consente di valutare i bassi livelli di proteina monoclonale, aspetto che non può essere
rilevato attraverso i metodi tradizionali. Prima del dosaggio Hevylite, di fatto, ciò non era
possibile. Ad esempio, un test come l'elettroforesi delle sieroproteine (SPEP) non è in grado di
effettuare la distinzione tra le immunoglobuline normali e quelle anomale. Nei pazienti affetti da
mieloma IgA kappa o IgA lambda, la SPEP standard non rappresenta un esame particolarmente
attendibile. Il dosaggio Hevylite rappresenta un'alternativa valida ai fini della quantificazione
delle proteine M nei pazienti affetti da mieloma IgA.
L'Hevylite presenta una maggiore sensibilità ai fini della quantificazione delle immunoglobuline
monoclonali. I rapporti Hevylite non sono soggetti a questioni riguardanti altri dosaggi per
immunoglobuline sieriche.
Il dosaggio Hevylite contribuisce a misurare la malattia residua: con le tradizionali tecniche di
test, un paziente potrebbe sembrare in remissione, ma il dosaggio Hevylite può mostrare la
presenza di piccole quantità di proteina M.
Ciò vale anche nella direzione contraria. Ad esempio, mentre le tradizionali tecniche di analisi
potrebbero indicare che un paziente che ha raggiunto l'immunofissazione negativa è ancora in
remissione completa, il dosaggio Hevylite potrebbe rilevare un indicazione di malattia in
progressione. La sensibilità dell'Hevylite è elevata tanto quanto l'immunofissazione (IFE), o
addirittura superiore.
Il test Hevylite garantisce rilevamenti di recidive più immediati rispetto agli altri metodi
attualmente disponibili. Se dal test catena pesante/leggera si evince un rapporto HLC anomalo,
ciò è indice di un ritorno alla produzione di proteine monoclonali da parte delle cellule
mielomatose. L'estrema sensibilità del test Hevylite consente di rilevare eventuali recidive in
modo più immediato rispetto alla tecnica SPEP o IFE.
Il dosaggio Hevylite aumenta la nostra sensibilità diagnostica, si rivela utile nel monitoraggio di
pazienti affetti da gammopatie monoclonali ed offre una migliore comprensione relativamente
alla completezza della remissione. Se utilizzato in modo sequenziale, rileva la progressione della
malattia precocemente.
Inoltre, il dosaggio Hevylite misura l'immunoglobulina non coinvolta dello stesso isotipo. I dati
preliminari ci hanno permesso di osservare che la soppressione dell'isotipo non coinvolto ha un
importante significato prognostico.
Come viene eseguito il dosaggio Hevylite?
Il dosaggio Hevylite è di facile esecuzione e può essere eseguito in qualsiasi momento,
utilizzando un campione di siero.
Si avvale di questo test di routine?
Sì. Poiché il rapporto Hevylite è importante dal punto di vista della prognosi, abbiamo deciso di
utilizzare questo test di routine presso il nostro istituto, il Wilhelminenspital di Vienna, Austria.
Eseguiamo il dosaggio Hevylite al basale in tutti i pazienti, prima di iniziare la terapia, e
scopriamo che esiste una forte correlazione con il risultato. Ci avvaliamo di questo test se in un
paziente risulta difficile misurare una proteina monoclonale, per registrare quando un paziente
entra in remissione completa e ce ne avvaliamo per aumentare la nostra sensibilità diagnostica.
MT
Nota del redattore: Visitate la pagina web dell'IMF www.myeloma.org per scaricare il nuovo
manuale Understanding Serum Free Light Chain and Serum Heavy/Light Chain Assays
(Conoscere e comprendere i dosaggi delle catene leggere libere sieriche e delle catene
pesanti/leggere sieriche) o procedete all'ordine di una copia contattando il numero +1 800-452CURE (2873).
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