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Leggi il primo capitolo
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Foto di copertina: © Luca Scalia
La vita vera
di Moreno Donadoni
Collezione Ingrandimenti
ISBN 978-88-04-64693-8
© 2014 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione novembre 2014
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XX Indice
1. Nei bagni della scuola
2. Donadoni, presente!
21
3. Le mie battaglie I (dalla Fognazza al Cantiere)
31
4. Le mie battaglie II (Da “Tecniche
perfette” al palco di J-Ax)
41
5. Dentro un sogno
53
6. Le mani nel ghiaccio
69
7. Non è la vita vera 81
8. Bandierina dopo bandierina
89
9. Decalogo dell’amore
101
10. Ritorno al punto zero
113
11. Sempre sarai
123
12. Consigli da un grande scrittore
133
13. Non mi cambieranno mai
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XX 
Diceva José Martí, grande rivoluzionario
cubano, che la gratitudine, come certi fiori,
non cresce in alto e rinverdisce meglio nella
terra buona dell’umiltà. Ecco, dedico questo
libro a chi mi ha aiutato, nella vita, a essere
ciò che sono adesso. È anche merito loro, e
io non lo dimentico mai.
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XX 1. Nei bagni della scuola
2. Donadoni, presente!
3. Le mie battaglie I (dalla Fognazza al Cantiere)
4. Le mie battaglie II
(Da “Tecniche perfette” al palco di J-Ax)
5. Dentro un sogno
6. Le mani nel ghiaccio
7. Non è la vita vera
8. Bandierina dopo bandierina
9. Decalogo dell’amore
10. Ritorno al punto zero
11. Sempre sarai
12. Consigli da un grande scrittore
13. Non mi cambieranno mai
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“Ogni momento è una nuova occasione.”
C’è scritta questa frase sulla copertina del dvd che
ho in questo momento fra le mani: un ragazzo vestito di nero, su sfondo nero, che, con una penna nera,
si scrive qualcosa di nero sul palmo della mano.
È in effetti una delle copertine più nere che abbia
mai visto in vita mia, nere come le origini della musica di cui si parla, e forse è per questo che la scritta
gialla del titolo, 8 Mile, mi ha colpito fin da lontano.
Il film non è uscito molto tempo fa al cinema, era
la primavera del 2003, ma qui alle bancarelle dietro
piazza del Caricamento ce l’hanno già, e a un prezzo stracciato. Chissà come faranno? Ma davvero qui
si trova di tutto. Dai dischi di Lauzi, Paoli, De André
fino ai cd di punk, rock, hip hop. E lo stesso discorso
vale per i film: da una vecchia pellicola con Vittorio
Gassman a 8 Mile con Eminem e Kim Basinger.
Lo compro. Non ci penso due volte.
Sarei voluto andare a vederlo al cinema, quando
è uscito: le locandine sembravano quasi chiamarmi
dai muri e dai palazzi. Insieme a quella frase: “Ogni
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momento è una nuova occasione”. Non avevo ancora
quattordici anni, però, e il film è vietato, come mi ricorda il bollino giallo con il numero 14 in basso a destra.
Ma soprattutto non c’era nessuno che volesse venirci con me. Qui a Genova non è che il rap vada molto di moda tra i miei coetanei. Loro sono tutti in fissa
col pop rock dei Green Day. In tanti ascoltano persino Avril Lavigne. Alcune ragazzine si mettono il trucco pesante e i pantaloni finto-scozzesi e fanno il gesto con le corna e con il pollice proprio come lei. Insomma, non c’era storia.
Arrivo a casa, nella zona a ponente della città. In
quel momento in casa non c’è nessuno. Tanto meglio,
potrò vedermelo in santa pace, senza interruzioni. Subito metto il dvd nel lettore: speriamo funzioni, altrimenti mi tocca pure tornare in centro, e non è che
da qui dove abito io ci si impieghi così poco tempo.
Dopo il logo della Universal, che esce dal buio in un
silenzio totale, parte una base, si inserisce la voce di
un cantante rap e poi compare un ragazzo che si agita di fronte a uno specchio in un bagno immerso nella
semioscurità, le mattonelle sporche e piene di scritte.
Scopro qualche secondo più tardi che si sta scaldando
per una battle, una battle che perderà, non riuscendo
a spiccicare nemmeno una parola.
Ma io sono già preso e per le quasi due ore successive non riesco a staccare gli occhi dallo schermo, nemmeno quando compaiono i titoli di coda con in sottofondo Loose Yourself di Eminem.
Eminem so chi è. I suoi video passano su mtv. Mi
piace, ma del suo mondo, del rap – che poi il “suo mondo” non è, lui bianco fra neri –, so ancora troppo poco.
Ascolto un po’ di punk rock, io, ma anche gruppi
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come i Modena City Ramblers. Cose così. Non Avril
Lavigne, insomma, ma il rap è ancora un mondo che
devo e voglio scoprire.
So molto di più, invece, di come si vestono i rapper, e
quello mi piace un sacco. Me ne vado in giro con il pantalone arancione, per esempio, e la Converse gialla, e
mi vesto sempre più largo, nonostante lo sguardo di disapprovazione di mia madre quando esco per andare a
scuola: il mio accostamento preferito è il pantalone Pit
Stop da Chicano, blu con la striscia rossa, e una vecchia
felpa della storica jeanseria di Genova Bollo di Sampierdarena, che mi ha passato nientemeno che mia zia.
Sono mesi difficili, questi: al Gastaldi, l’istituto tecnico-industriale che ho scelto dopo la terza media, le
cose proprio non vanno, le materie che sto studiando
sono troppo complicate. Forse dovevo mirare meno
in alto, e sto pensando seriamente di ritirarmi e di riprovare con un istituto professionale. Magari lì invece imparo un mestiere e mi metto a posto per la vita.
Qualcosa, comunque, imparo. Qui al Gastaldi, che
sta fra Dinegro e Sampierdarena, arrivano infatti ragazzi da Voltri, Pegli, da Certosa, c’è un po’ di tutto,
e mi accorgo molto in fretta che a scuola esiste una
gerarchia. E che questa gerarchia va rispettata.
Me ne stavo tranquillo per i fatti miei, quando una
volta un ragazzo più grande – neanche mi conosceva –
mi ha ordinato: «Vammi a prendere un tramezzino».
Io, che da mio padre ho ereditato la testa calda dei
napoletani e ho evidentemente la battle nel sangue,
gli ho risposto: «Anche se son più piccolo di te, io
mica ci vado». E lui, impassibile: «Ti suono se non ci
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vai». E si capiva che faceva sul serio. Così ci sono andato... e meno male, perché poi alcuni miei compagni mi hanno spiegato chi era e che non mi conveniva proprio farmelo nemico.
In quel “po’ di tutto” che è il Gastaldi, comunque,
c’è anche chi ascolta hip hop, ma sono pochi gatti.
Ascoltare rap è quasi una vergogna, perché ti fa sentire fuori dal gruppo, in basso in quella gerarchia che
ho scoperto essere tanto radicata. Figuriamoci provare a farlo. Ma poco importa, a me, e intanto la mia
felpona Bollo non me la leva nessuno.
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È quando arrivo al Ruffini, l’istituto professionale in
cui mi sono iscritto per diventare grafico pubblicitario, che conosco una ragazza, una mia compagna di
classe, Daniela, che ascolta rap italiano.
Non è uscito da tantissimo l’album “Mr. Simpatia”
di Fabri Fibra. E quando ascolto Non fare la puttana
quasi faccio un salto sulla sedia. Ma ha detto davvero “puttana”? In una canzone?
Poi uscirà Dentro alla scatola di Mondo Marcio, che
a soli sedici anni, bambino prodigio del rap, aveva vinto il premio “Tecniche perfette”, battendosi contro
Ensi, che a sua volta entrerà poi nei vincitori di quel
contest. E io già mi chiedo: “Potrò anche io entrare a
far parte dell’albo d’oro di questa manifestazione?”.
Una lampadina mi si accende. Mi rendo conto che
forse davvero esiste un rap italiano. Non solo di canzoni che passano alla radio, ma di veri e propri contest.
Ho ancora nella testa le immagini di 8 Mile, con le
mani del pubblico che si alzano, e i due contendenti
che si sfidano nell’arena. Ne parlo con Daniela. Chi lo
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avrebbe mai immaginato che una ragazza potesse diventare la mia guru sull’argomento? «Ma il rap, quello in freestyle, non si fa solo in America?» le chiedo.
«No, no» mi fa lei «io ne ascolto un sacco. E so
che in giro ci sono anche dei contest. Ma come, non
lo sapevi?»
Per un momento mi sento un ignorante. Devo saperne di più.
Dopo la scuola, appena arrivo a casa, accendo il
computer, aspetto che Windows si carichi – ma quanto è lento? – e apro Google su Explorer. Nella maschera al centro della pagina digito “rap italiano”.
E così mi si apre un mondo. Ho iniziato a scaricare
album a manetta: Bassi Maestro, i Cor Veleno, Danno, Noyz Narcos... Nomi che ancora non conosco e
su cui mi documento, quasi studio, con una passione
che stupirebbe qualsiasi dei miei professori.
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Ma il rap, scopro, si fa anche dentro la scuola.
E il luogo di elezione, l’“arena”, sono i bagni. In mezzo al fumo – perché da che mondo è mondo nei bagni
della scuola gli studenti ci vanno soprattutto a fumare –, qui, nel bagno più grande, quello dove i ragazzi si mettono alla finestra con la sigaretta in bocca,
ecco che si crea il cerchio del freestyle.
Qui ho conosciuto le Fottute Menti, che non sono
menti che si aggirano per la scuola come zombie ma
ragazzi che si vestono larghissimo e già da quello puoi
capire quale musica ascoltano. Sono anche un collettivo, le FM, come la radio FM, ed è infatti con frequenza che ci incontriamo nei bagni.
Qui un ragazzo fa il beat-box, e noi, gli MC – i maestri
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di cerimonia, o per dirla all’inglese i masters of ceremonies –, i rapper, ci scambiamo in quattro quarti delle entrate. Poi quelle migliori vengono premiate con
un blow, che è l’esclamazione che segue a una rima
davvero potente...
Inizio così, un po’ timidamente, ascoltando le sfide degli altri. Sono tutti studenti più grandi di me,
alcuni sono proprio bravi, hanno stile da vendere: c’è
Desa-Parecido, per esempio, che non c’è mai, ma quando c’è, e visto che di cognome fa Bravo, non può che
essere “bravo” come rapper; c’è La Serpe, che ha una
r un po’ fastidiosa ma tira fuori delle rime velenose.
E alla fine, un giorno, arrivo anche io, Moreno. Per settimane ho ascoltato gli altri. Ma ora non me ne voglio
stare zitto come fa Eminem all’inizio di 8 Mile. Anche io,
all’improvviso, trovo la mia voce, e mi butto nel cerchio.
Mi viene facile, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fossi nato per fare quello. E
poi, ormai, il rap mi circonda: ne ascolto tantissimo, ogni volta che posso, mi piace, sento che le parole mi si formano sulla lingua. Devo solo farle uscire. Seguire il flow.
Tra colori e sfumature di ritratti
ai giorni passati fuori pensando a tutti gli sbatti,
le battle di parole, pesare le persone, i fatti,
sappi che se parti non batti Moreno,
ribatti, ti batto in un batti-baleno.
Yo.
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Quando ho finito, uno dei ragazzi mi guarda, e dice:
«Ehi, ci sai fare, tu».
Quel complimento mi riempie per un momento di
aria: sono un palloncino che si sta gonfiando e che,
passando oltre la finestra, oltre le mani di quelli che
spingono fuori il fumo di sigaretta, si libra verso il
cielo, pronto a intraprendere un viaggio che lo porterà chissà dove.
Quel complimento è come la conferma a tutto ciò
che sentivo dentro.
Io. Voglio. Fare. Il. Rapper.
In quel momento, però, il rumore di un tacco interrompe la magia. Come un ago che fa scoppiare un
palloncino. Il mio.
E poi quella voce profonda, che scandisce la parole quasi a ritmo di rap: «Allora vogliamo uscire da
questo bagno, sì o no?».
È la vicepreside, la mia insegnante di Lettere. Tutti si dileguano, me compreso. Quella quando vuole
creare problemi lo fa. Ed è molto meglio evitarlo, lo
sappiamo tutti.
Ma tanto so che è solo una pausa, una pausa brevissima. Perché domani, ma forse anche già al prossimo cambio d’ora, io sarò ancora qui, in questo bagno
trasformatosi in arena, e le rime mi verranno fuori seguendo un flusso che si nutre di tutto quanto io vivo:
le mie amicizie, la mia città, la mia famiglia, i problemi della società.
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Infatti così è.
I mesi passano, e il freestyle ormai lo faccio anche in
classe, durante le lezioni, con la professoressa incre-
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dula che non riesce a dire altro che: «Ma ti sembra il
caso?». Le conoscenze aumentano, la rete di appassionati di rap si infittisce e io mi ci ritrovo sempre al
centro. Mi ci sento a casa.
Mi unisco al gruppo degli Ultimi Aed. C’è Asso, a farci
da dj e produttore, e quindi Nader, Lion e poi io, Moreno. Con in più Fedone a realizzare i video. In futuro si
unirà anche Dalai, visto che Lion sarà spesso in giro per
il mondo per viaggi di studio. E in quel periodo di transizione decideremo di chiamarci MMClick, perché ognuno ha una M nel nome: Mancinelli-Moreno-Michele.
Ed è con loro che il viaggio ha davvero inizio, è con
loro che quel palloncino comincia a viaggiare, per contest, piazze, premi, istituti scolastici, anche se per il
momento il filo bianco, sebbene sempre più lungo,
continui a rimanere saldamente ancorato a Genova,
prima alla scuola, poi al lavoro.
Passerà qualche anno prima che arrivi fino a Roma,
alle porte di una trasmissione televisiva che cambierà
per sempre la mia vita.
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