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devianza, comunicazione, reputazione
DEVIANZA, COMUNICAZIONE, REPUTAZIONE di Salvatore Costantino Il concetto di devianza nella contemporaneità sembrerebbe dissolversi alla luce della diffusione di una condizione esistenziale anomica che rende i comportamenti individuali e collettivi instabili, in cui alle regole subentra il rischio e l'azzardo. La dissolvenza del concetto di devianza è dovuto innanzitutto alla sua inconsistenza epistemologica ed euristica che, presupponendo una distinzione "tra ciò che è normale o corretto e ciò che è deviante" e trascurando la dimensione conflittualistica, nega già semanticamente la possibilità di pluralismo valoriale e normativa, impedendo l'analisi di alcune fenomenologie normative ambigue o opache. Lessico Scuola positiva, statistica morale e antropologia criminale La tara semantica del concetto di devianza risente della sua formulazione in clima positivista, ed in particolare all'interno dell'antropologia criminale italiana. L'antropologia criminale trova le sue origini in Italia ad opera della sistematizzazione di Cesare Lombroso (1835-1989), psichiatra, nell'opera 'L'uomo delinquente studiato in rapporto all'antropologia, alla medicina e alle discipline carcerarie' (1876). Egli è considerato - insieme ad altri nomi quali Ferri e Garofalo- il principale esponente della Scuola positiva e della prospettiva biologico-determinista dello studio della criminalità. Tra i vari limiti della Scuola positiva, l'unico merito è forse quello di avere abbandonato un'analisi astratta nei confronti del fenomeno criminale, e di essersi concentrata sull'osservazione concreta del delinquente, non senza determinismi patologici e organicismi a-prioristicamente concepiti. Gia la statistica morale aveva rafforzato il solco tra patologico e normale, definendo normalità ogni caratteristica, attitudine, comportamento distribuiti più frequentemente tra la popolazione: la devianza veniva rilevata utilizzando metodi statistici, matematici e probabilistici, con l'ulteriore scopo di definirne la natura e di predirne il verificarsi. Tra i principali esponenti si ricordi il francese Guerry e soprattutto Adolphe Quételet, belga (17961874), il cui maggior scritto è Fisica sociale (1869). Egli individuò regolarità nella presenza e nella distribuzione dei crimini, a tal punto da farne leggi e principi o oscure categorie: la tendenza al crimine quale la probabilità che un individuo commetta un crimine trovandosi nelle medesime circostanze di altri; la legge termica della delinquenza che statuiva la alta ricorrenza dei crimini contro le persone nei mesi caldi e contro la proprietà in quelli freddi; l'uomo medio sterile categoria individuata (leggi costruita) secondo la distribuzione normale tra la maggioranza di caratteri biologici e delle loro variazioni nel tempo, unità di misura che nelle intenzioni di Quételet assumeva connotazioni deterministiche e mistificatorie: "[ ... ] l'uomo medio e il relativo concetto di normalità tendevano a trasformarsi in principio metasociale, costruito con uno strumento matematico ma in grado di stabilire deduttivamente le caratteristiche normali dell'uomo. Quételet, infatti, dopo aver costruito l'uomo con tali caratteristiche lo impiegò per stabilire sia una definizione scientifica dell'uomo sia un metodo con cui condurre la nascente scienza del crimine" [ Berzano, Prina 1998: 44]. Lombroso e quanti seguirono la sua scia, fondarono le loro osservazioni su concetti aprioristicamente definiti, senza alcuna valida verifica dei propri dati, uno dei principali limiti della teoria positiva della devianza è infatti di natura metodologica: Lombroso non 139 aveva raccolto dati sui non-criminali, e dunque appare assai ridicolo, tautologico, fornire come risultato attendibile la ricorrenza di caratteri innati, parametri biologici, personalità violente ed aggressive in una particolare categoria di individui, se tale categoria è l'unica ad essere stata osservata, se non esiste la benché minima traccia di comparazione. Gli approcci biologici allo studio della devianza e della criminalità ebbero molta eco in Europa e giocarono un forte ruolo nel giustificare le scelte politiche dei regimi totalitari nazifascisti, avendo proposto come unico rimedio le terapie eugenetiche a lungo termine e spostarono l'attenzione delle istituzioni dalla pena alla cura e il trattamento. Nascono le figure della marginalità e gli oggetti dell'accanimento terapeutico, il pregiudizio, la malattia che diventa marchio morale [Foucault 1963], infamante, e la conseguente istituzionalizzazione delle pratiche e dei corpi dei malati, che si trasformava in circuito vizioso autoreferenziale: "L'istituzione, nata per curare una malattia di cui risultavano ignote la patologia e l'eziogenesi, si è trovata così a fabbricare un malato a sua immagine, tale da giustificare e garantire insieme, i metodi su cui fonda la sua azione terapeutica. La malattia è venuta a trasformarsi gradualmente in ciò che è l'istituzione psichiatrica, e l'istituzione psichiatrica trova nell'internato, costruito secondo i suoi parametri, la conferma alla validità dei suoi principi. Proponendosi come un'istituzione medica e non trovando un'obiettività concreta nella malattia. L'istituzione psichiatrica è costretta ad oscillare fra l'azione custodialistica (che è la sua unica realtà) e l'ideologia medica che è costretta a concretare nel rapporto oggettivo con il paziente" [Basaglia e Basaglia, Introduzione a Goffman 1968: 13; enfasi mia]. Oggetto dello studio delle devianze, qui più propriamente intese quali divergenze [Silva Garda, 2000] diventa la diversità, intesa quale caratteristica di mutamento di ogni interazione sociale, come contraddizione gestibile all'interno delle interazioni e del sistema più amplio, possibilità riconoscimento di selettività da parte del sistema. La divergenza è il riconoscimento delle diverse modalità interattive sociali, ed il suo rapporto con la struttura sociale, in termini di controllo, pone feconde possibilità di analisi del continuum micro-macro. La divergenza assume le forme di una delle possibili azioni sociali: essa esprime sì il conflitto ma anche la ridondanza, permettendo di valutare ed analizzare le componenti comunicative ed espressive dei fenomeni "devianti". Nella società che Donati definisce "dopo-moderna", non si verifica soltanto una sorta di dominio dell'incertezza. In quella che è stata definita altrimenti col termine equivoco di "società postmoderna" si diffonde una condizione esistenziale anomica che - come vedremo meglio più avanti -rende i comportamenti individuali e collettivi instabili in cui -come afferma Bauman- alle regole subentra non solo il rischio ma anche l'azzardo. "In realtà, il messaggio veicolato oggi con grande potere di persuasione dai più diffusi ed efficaci media culturali (e, aggiungiamo, facilmente fruibile dai ricettori sulla base della loro esperienza personale, assistita e sostenuta dalla logica della libertà del consumatore) comunica l'essenza indeterminata e leggera del mondo: in un mondo simile, ogni cosa può accadere, ogni azione può essere intrapresa, ma nulla si può fare "una volta per tutte". Qualsiasi cosa accade in modo improvviso e si dissolve senza lasciare traccia. In questo mondo, i legami sono disseminati in una serie di incontri successivi, le identità sono mimetizzate da maschere indossate una dopo l'altra, le storie di vita sono frammentate in una serie di episodi che rivestono importanza per un periodo breve vincolato ad una memoria effimera. Non si sa nulla con certezza, ed ogni aspetto dello scibile si può conoscere in modi differenti: tutte le modalità di conoscenza sono comunque provvisorie e precarie, ed ognuna vale l'altra. Se un tempo si ricercava la certezza, ora la regola è l'azzardo, mentre l'assunzione di rischi prende il posto del perseguimento tenace degli obiettivi" [Bauman, 1999: 65]. 140 Una società "vulnerabile", insicura, anomica, come quella che stiamo tentando di descrivere, nel momento in cui perde la dimensione del nomos, smarrisce in modo simultaneo il senso di ciò che non nomos è: tutto è devianza, nulla è devianza. Scrive Luhmann: "Ci si può chiedere quanto normale sia ancora il normale ... ma pur con tutte le turbolenze che erodono le tradizioni, non si può seriamente contare sul fatto che la normalità o, meglio la differenza tra normale e deviante scompaia, o che dobbiamo disabituarci a osservare la società mediante questa distinzione, poiché ciò non porta più a nulla. Bisognerebbe piuttosto chiedersi cosa si riesce a vedere se si mantiene la distinzione normale/deviante (comunque la si voglia truccare semanticamente) come strumento per osservare la società di oggi . ... Come si può raggiungere un consenso sociale (o anche soltanto un accordo comunicativo provvisorio) se ciò non può accadere che nell'orizzonte di un futuro di cui, come ognuno sa, anche l'altro può parlare soltanto nella forma del probabile/improbabile?" [Luhmann, 1996: 2-3]. Germàn Silva Garcìa (Silva Garcìa, 2000) riconsiderando la portata epistemologica ed euristica del temine 'devianza', definisce quest'ultimo pregno ideologicamente e connotato negativamente, espressione della dicotomia "tra ciò che è normale o corretto e ciò che è deviato". Il concetto, secondo il criminologo, perderebbe ogni capacità interpretativa dei fenomeni sociali perché semanticamente negherebbe la possibilità del pluralismo valoriale e normativa, presupponendo persino che,"[ ... ], chi si conforma alle norme segua sempre i modelli istituzionalizzati di comportamento, agendo in modo congruente, mentre i soggetti che delinquono non seguano modelli di comportamento e valori propugnati dal sistema. Tuttavia non possiamo immaginare coloro che si confermano alle norme come un blocco omogeneo di maggioranza" (ibidem: 121). L'autore preferisce adottare il termine di divergenza (divergencia): quest'ultimo include il conflitto (essendo il conflitto un tema fondamentale della divergenza), appare semanticamente meno parziale, ed inoltre presenta sensibili capacità interpretative. Oggetto della divergenza è infatti la diversità: quest'ultima "[ ... ] è l'oggetto della sua conoscenza"; la diversità è caratteristica di mutamento di ogni interazione sociale, è la contraddizione gestibile all'interno delle interazioni e del sistema più amplio; è la possibilità e il riconoscimento di selettività da parte del sistema. La divergenza è il riconoscimento delle diverse modalità interattive sociali, ed il suo rapporto con la struttura sociale, in termini di controllo, pone feconde possibilità di analisi del continuum micro-macro. La divergenza assume le forme di una delle possibili azioni sociali: essa esprime sì il conflitto ma anche la ridondanza, considerare la divergenza come comunicazione di ritorno, enfatica e ridondante, significa valutarne le valenze comunicative ed espressive (cfr. Ghezzi, 2001). Devianza, comunicazione, reputazione, identità Di solito, quando parlano di devianza, i sociologi intendono riferirsi ad un comportamento che presenta alcune proprietà. Queste possono essere ricondotte alle seguenti cinque, naturalmente elaborabili in formulazioni diverse e con contenuti di senso soggetti ad una certa variabilità: l. la devianza si riferisce alle aspettative connesse ad un orientamento normativa. È considecrato come deviante quel comportamento che abbia violato le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale; 141 2. il comportamento deviante viene individuato come tale dal gruppo, sicché mutando il gruppo può mutare l'individuazione di ciò che va considerato deviante; 3. i criteri di individuazione di ciò che appare come comportamento deviante in una determinata situazione mutano col mutare delle situazioni; 4. diversi tipi di devianza appaiono intimamente legati, più che ad un tipo di personalità dell'attore, a determinati ruoli sociali; 5. il comportamento deviante può assumere intensità e direzioni diverse. Si può parlare di un continuum nel quale conformismo e devianza si collocano in termini di graduazione senza soluzione di continuità. Non si deve ipotizzare un'entità a sé stante, il "comportamento deviante" con i suoi specifici contenuti, contrapposta ad un'altra entità a sé stante, il "conformismo", con i suoi altrettanto specifici e irriducibili contenuti. In realtà si può far riferimento ad un unico comportamento, il quale di volta in volta, sulla base di valutazioni di gruppo o di valutazioni situazionali, può colorarsi dell'uno o dell'altro significato. Ogni analisi di un fenomeno deviante deve logicamente farriferimento agli elementi "strutturali" del sistema culturale. Quando e come un'azione può essere considerata delinquente? Emler e Reicher [Emler e Reicher, 2000] considerano la delinquenza come una categoria dai contorni sfumati, organizzata attorno ad alcuni punti di riferimento: ci sono atti prototipicamente delinquenziali sulla cui interpretazione il consenso è unanime (uccidere per motivi banali, rubare oggetti di grande valore, rapinare con la minaccia delle armi, rapinare una persona per ottenere un riscatto, per esempio), ma attorno al prototipo si pongono molteplici azioni (la maggior parte, si potrebbe dire) che possono essere interpretate in modo diverso in rapporto a molteplici fattori culturali e contestuali, oltre che alle caratteristiche di chi è la vittima o di chi deve giudicare. Il senso comune attribuisce generalmente al termine devianza un significato negativo ( un deviante è chi va contro norme o aspettative sociali condivise: ruba, si comporta da folle, non rispetta le regole del vivere civile ). Secondo Giddens [Giddens, 1990], le norme come schemi di interpretazione delle azioni proprie e altrui fomiti dalla struttura sociale, si presentano al soggetto sia come "vincoli", sia come "risorse" per l'azione. Rappresentano dei vincoli in quanto forniscono stabilità e prevedibilità alle relazioni secondo costellazioni di aspettative il cui senso è socialmente condiviso. Sulla scorta di G. H. Mead [1972] si può dire che le norme rappresentano delle risorse in virtù della valenza interpretativa che è insita nelle relazioni che prefigurano. Questa valenza si esprime anche attraverso pratiche di trasformazione delle relazioni attraverso la manipolazione delle norme quali, ad esempio le pratiche, di negoziazione normativa che attenuano le contrapposizioni tra i soggetti attraverso forme negoziali. Soprattutto in situazioni relazionali nuove o di conflitto, il soggetto può trovarsi nella condizione di dover operare delle vere e proprie scelte riferite alle norme a partire dai presupposti regolativi fomiti dalle strutture sociali. "Attraverso le proprie scelte normative il soggetto può collaborare alla conservazione delle norme e degli assetti istituzionali in cui le applica, in quanto riferirsi adattivamente ad una norma significa riprodurla, confermarla e diffonderla, oppure può agire in modo creativo e volto alla trasformazione degli assetti relazionali, negoziando le norme stesse, non confermandole, trasformandole, proponendo l'uso di altre norme. In entrambi i casi il soggetto, oltre a partecipare attivamente alla costruzione e alla ricostruzione delle interazioni e delle relazioni di cui è parte, collabora alla produzione e alla riproduzione degli aspetti normativi dei gruppi e delle società a cui appartiene, nonché alla continua produzione e riproduzione del proprio tessuto normativa" [Favretto, 2001:26-27]. 142 Nei processi di ridefinizione dei contenuti normativi dei ruoli, nei quali l'attibuzione di aspettative e la definizione dei diritti e dei doveri possono essere sottoposti a costante negoziazione da parte di coloro che si percepiscono in condizione di svantaggio o di scarso potere [Favretto, 200 l :29]. In questo senso la trasgressione delle norme e la devianza devono essere intese come comunicazione polisemica, a volte, come costruzione di senso alternativa, aprendo per gli osservatori un ampio e complesso campo problematico. Una nuova concezione del comportamento deviante è stata sviluppata muovendo da diversi riferimenti teorici come la teoria dei sistemi, a teoria delle interazioni, dal funzionalismo, dalla teoria delle rappresentazioni simboliche. Un importante carattere comune a tutte le interpretazioni sociologiche del comportamento deviante - fa rilevare Luhmann - consiste nel fatto che al sistema non viene imputato solo il comportamento conforme, ma anche quello deviante, il quale viene considerato una componente del sistema sociale strutturato. La distinzione tra comportamento conforme e comportamento deviante non segna quindi i confini del sistema nei confronti del suo ambiente: essa è una differenziazione interna al sistema. I sistemi sociali non constano solo di azioni "buone". Sia il comportamento conforme alle aspettative, sia quello ad esse contrario viene riferito, in base al suo senso, a strutture di aspettative - o da parte dell'agente stesso o da parte di altri che coesperiscono il suo agire, lo interpretano , lo assoggettano a pretese normative di aspettative. Come ha spiegato Max Weber, a decidere della validità di un ordinamento non è tanto la sua effettiva osservanza, quanto il fatto che l'agire sia orientato a tale ordinamento. Niklas Luhmann nella Sociologia del diritto [Luhmann, 1977] sostiene che una delusione delle aspettative normative non si verifica solo perché altri agiscono in modo inaspettato, ma anche e soprattutto "perché altri aspettano in modo inaspettato e, in questo aspettare in modo inaspettato, trovano la loro identità" [Luhmann 1977, 139]. Luhmann individua esplicitamente il rapporto stretto che si stabilisce tra identità e comunicazione. E ciò si verifica anche nella sfera della pura devianza che si caratterizza, si "autoconsidera" come priva di norme e si orienta in modo puramente cognitivo all'ordinamento normativa dominante per poter meglio agire contro le norme. Ma, sostiene Luhmann, anche il delinquente "allorché viene messo in condizioni di comunicare, comincia ad argomentare e a sviluppare propri valori, se non proprie norme, in quanto altrimenti egli non potrebbe rappresentare se stesso né potrebbe avere un futuro nel sistema" [Luhmann 1977, 140]. Sia da parte dell'ordine sia da parte del deviante si hanno problemi di assorbimento di delusioni. La società deve prestare una grande attenzione ai processi di formazione e di comunicazione delle devianze. Una società in rapido mutamento e con un bisogno elevato di innovazioni "deve sviluppare meccanismi che siano in grado di scoprire,anche in comportamenti devianti, le chances di nuove strutture, e che quindi non si lascino ingannare dall'apparente antigiuridicità o addirittura immoralità del nuovo, ma siano in grado di reagire senza indignazione e con una disposizione all'apprendimento" [Luhmann, 1977: 155-156]. Già Sutherland sottolinea che i processi di apprendimento che causano il comportamento deviante, sono analoghi ai processi di apprendimento che conducono al comportamento conforme, così che anche in questo senso la devianza diventa una reazione "normale". Nella seconda e ultima versione dei Principles ofCriminology del1947, Sutherland sostiene che il comportamento criminale viene appreso e risulta dall' "interazione con altri mediante un processo di comunicazione" [ Sutherland, Cressey, tr. it. 1996]. Si tratta, in pratica, di discernere in questi codici comunicativi elaborati dagli adolescenti, messaggi diversi che possono voler significare la presenza di una manifestazione di disagio individuale o relazionale; possono voler indicare la volontà, talvolta inconsa143 pevole, di modificare l'assetto delle relazioni prefigurato dalle norme o la loro inadeguatezza rispetto alla situazione in cui vengono applicate. In casi del genere la ricerca di altre norme potrebbe essere interpretata come atto deviante da parte di osservatori o di attori compartecipi alla interazione, ma potrebbe anche acquisire, attraverso il ripetersi e lo stabilizzarsi, nuova valenza e forza regolativa. Gli atti trasgressivi e devianti, come vedremo meglio più avanti, possono comunicare la rilevata fragilità dei comportamenti normativi stabiliti dagli adulti e dai pari e l'esigenza di promuovere la ridefinizione della propria identità personale e sociale. Dal punto di vista dell'analisi sociologica possono essere individuate almeno due posizioni diverse. La prima si richiama alle teorie del self-labeling. In questo caso ai membri delle culture giovanili è riconosciuta ben poca autonomia: la loro identità, la loro immagine è definita dall'esterno, quasi sempre come negativa e deviante. L'eventuale devianza del gruppo sarebbe quindi frutto dell'etichettamento. L'ambiguità dei messaggi delle culture giovanili che si basano più sull'apparire che sul dire, presta in parti colar modo il fianco all'interpretazione negativa data dall'esterno. Un secondo filone di ricerca riconosce invece ai giovani la capacità di costruire più autonomamente la loro identità che viene ad assumere un carattere riflessivo e interattivo. Essere "contro", essere "diversi" serve a isolare e a identificare meglio la propria identità, o almeno a capire che cosa le è estraneo [Rebughini 2000]. Attraverso il gruppo sub-culturale si attua una definizione provvisoria e transitoria del proprio sé. Si rifiutano dati ruoli ci si auto-rappresenta in modo diverso per essere più visibili, provocatori, comunicativi, aiutandosi in questo modo a definire meglio il proprio sé. L'originalità aiuta a definire il senso di identità personale. A seguito delle ricerche dell'interazionismo simbolico [Becker, tr. it. 1987; Matza, tr. it. 1976], è divenuto, però, chiaro che nei comportamenti etichettati come devianti ci possono essere elementi di originalità e innovazione, anche se non immediatamente accettati o condivisi dall'opinione pubblica. I movimenti di contestazione hanno fatto propria questa prospettiva portando innovazioni consistenti nella comprensione della situazione giovanile, nella considerazione della follia, di molte forme di diversità, di iniziative originali nella loro polemica contro lo status quo.I Si è però giunti frequentemente, al di là dei chiarimenti apportati dai contributi citati, al paradosso per cui ogni atto non conforme alle regole sociali veniva considerato creativo. È chiaro che non si può considerare indiscriminatamente ogni forma di protesta o di rottura delle regole dell'esistente come innovazione. l "La conoscenza, ancora e sempre rinascente, è collegata con Io stato del mondo, -osserva Maffesoli -ed è quando lo dimentichiamo che lo sfasamento inevitabile tra riflessione e realtà empirica diventa baratro invalicabile. Onde la mestizia, il cinismo o le altre forme di disincanto che sembrano prevalere oggi. In realtà, anche se non è che un punto di passaggio tra passato e futuro, solo il presente è fonte feconda del pensiero. È il solo infatti a fornirci gli elementi, i fatti d'esperienza che ci permettono di comprendere, al di là di tutti gli a priori, ciò che è allo stato nascente" [Maffesoli, 1993:9]. La post-modemità è una mescolanza di vecchio e nuovo, una coincidentia oppositorum in cui conflitto, disordine e disfunzione finiscono col rafforzare il loro opposto. Venuta meno la ricerca delle grandi soluzioni, prevale la ricerca dell'adattamento e dell'utilizzazione finalizzata alla massimizzazione della vitalità. Christopher Lasch coglieva questi processi già alla fine degli anni Settanta nelle pagine introduttive del suo ormai celebre The Culture of Narcissism: "Il disastro incombente è diventato preoccupazione quotidiana, tanto normale e consueta che nessuno si chiede più seriamente se e come il disastro potrebbe essere evitato. La gente si dedica affannosamente, invece, alla ricerca di strategie di sopravvivenza, di modi per prolungare la propria esistenza personale o di sistemi per garantire il benessere del corpo e la pace dello spirito" [Lasch, 1981: 15]. 2 Sulla scorta delle analisi di Harvey e Jameson, Griswold così caratterizza la cultura postmoderna: "l) Assenza di spessore, o meglio di una autoconsapevole superficialità. La profondita è stata sostituita da superfici multiple. Non ci sono significati nascosti, perché comunque non c'è nulla sotto le superfici levigate che questa cuitua esibisce. Gli occhiali da sole a specchio o la superficie di vetro riflettente di un palazzo sono tipici oggetti cultuali 144 Lessico Teoria dell'etichettamento La Labelling Theory (Teoria dell'etichettamento) rappresenta una svolta nella storia della sociologia della devianza, un mutamento di prospettiva e di oggetto di studio: acquista particolare.importanza la reazione sociale al fenomeno deviante e la definizione di devianza stessa: l'attenzione si sposta alle agenzie di controllo sociale che definiscono e categorizzano i comportamenti devianti, dal criminale a chi lo osserva e lo definisce tale; e opportuno aggiungere inoltre che la prospettiva corrispondeva al mutamento politicosociale in atto negli Stati Uniti d'America e in particolare alle lotte per l'affermazione dei diritti civili delle minoranze etniche, all'allargamento delle possibilità d'istruzione per vasti strati della popolazione, all'affermazione dei diritti civili delle donne e degli omosessuali, ai grandi fermenti politici degli anni sessanta. La prospettiva si basa essenzialmente su : 1) ciò che viene definito deviante e che conseguentemente percepito socialmente come tale; 2) fra azione deviante e reazione sociale si instaura un rapporto e un processo fortemente interattivo, cui consegue una riorganizzazione dell'identità deviante intorno all'etichetta sociale; 3) la circolarità del processo tenderebbe a confermare che è lo stesso controllo sociale a produrre devianza. Tra i labelists ricordiamo Howard S.Becker, Edwin M. Lemert, Davi d Matza, ed Erving Goffman. La teoria delle minoranze attive [Moscovici, 1976] ha permesso di chiarire sul piano della concettualizzazione socio-psicologica la differenza fra devianza distruttiva o amorfa e devianza innovativa. Perché ci sia innovazione è necessario che un gruppo, minoritario per la propria specificità di essere in polemica con l'ordine esistente, non si limiti a protestare, ma elabori, partendo dalla propria contrapposizione con il gruppo maggioritario, una nuova alternativa definizione di realtà [Berger e Luckmann, tr. it. 1999] impegnandosi ad agire per trasformarla in una realtà concreta. Il linguaggio, in modo particolare, rende oggettive e accessibili a tutti le esperienze comuni all'interno della comunità linguistica, diventando base e strumento di una cultura collettiva. In questo modo, la devianza innovativa può essere inquadrata nel quadro delle innovazioni culturali che come afferma Wendy Griswold, [Griswold, 1997]2 sebbene possano realizzarsi casualmente e in forme non prevedibili, presentano alcuni elementi costanti: l) determinati periodi sono più favorevoli di altri alla produzione di innovazione; 2) anche le innovazioni seguono alcune convenzioni; 3) alcune innovazioni hanno più probabilità di altre di istituzionalizzarsi. Fra l'azione della minoranza attiva e quella dei devianti tout court esiste una differenza radicale che riguarda l'atteggiamento verso i confini della moralità: mentre nel primo caso si mette in atto uno sforzo per spostare (modificare) tali confini, nel secondo caso non si rispettano i limiti che pure sono conosciuti. postmoderni, che rifiutano spessore e significato intrinseco, arrestando la penetrazione visiva alla superficie,restituendo l'immaginecdell'osservatore. 2) Il rigetto delle metanarrazioni ... Un aspetto di questo carattere è un senso indebolito della storia o del destino nazionale. Parlare di un concetto come il destino dell'America o dell'inevitabile trionfo del socialismo oggi suonerebbe terribilmente ingenuo. Così lo ha descritto Jameson (1984, 17): "I paesi capitalistici avanzati sono oggi un campo di eterogeneità stilistica e discorsiva senza alcuna norma. Padroni senza volto continuano a modulare le strategie economiche che vincolano le nostre esistenze, ma non hanno più bisogno di imporre il loro discorso (o sono adesso incapaci a farlo): e la postalfabetizzazione del tardo mondo capitalistico riflette non solo l'assenza di qualunque grande progetto collettivo ma anche l'indisponibilità della stessa più vecchia lingua nazionale". 3) Frammentazione, cioè rottura delle connessioni. La cultura postmoderna accoglie il frammentario, l'effimero, il discontinuo. Il pasticcio, il montaggio di elementi culturali tratti da diversi tempi e luoghi è una convenzione della letteratura e dell'arte postmoderne [ Griswold, 1997: 202-203]. 145 A ragione, dunque, Emler e Reicher propongono una sorta di svolta cognitivoepistemologica rispetto alle cateogie tradizionali, sostenendo che la devianza adolescenziale non può essere capita facendo ricorso ai modelli socio-psicologici che centrano il loro interesse su carenze o patologie della personalità ("regolatori interni") degli attori sociali, né ai modelli sociologici che enfatizzano il ruolo della scomparsa dei "regolatori esterni" causata dall' effermarsi della società di massa che ha portato alla perdita di ogni forma di vita comunitaria in cui i rapporti interpersonali erano assai vivi e il controllo sociale poteva essere esercitato. In altri termini la gran parte delle teorie sulla devianza condividono l'assunto che la devianza sia causata da una socializzazione mancata o non completa, carenza questa che diventa particolarmente evidente in adolescenza. Il rapporto tra devianza e mancata socializzazione, dunque, è utilizzato per spiegare anche l' interdipendenza tra devianza e adolescenza; chi non riesce a superare i compiti di sviluppo che contrassegnano la transizione dall'infanzia all'età adulta, o diventa direttamente deviante o cade preda di gruppi coetanei che portano, quasi senza eccezione, alla devianza. Queste impostazioni (mancata socializzazione per mancanza di controllo esterno o di controllo interno), tuttavia, trascurano completamente di analizzare le basi socio-psicologiche delle azioni devianti, cioè il contesto immediato in cui la devianza si attiva (o non si attiva) e il significato che essere o non essere devianti ha per gli adolescenti. Le critiche alle interpretazioni, sia sociologiche sia psicologiche, della devianza argomentate da Emler e Reicher non riguardano le varie correnti dell'interazionismo simbolico, con cui anzi mostrano di dialogare. Emler e Reicher fanno riferimento ad alcune nozioni-chiave. a) Non è vero che la vita sociale attuale si caratterizzi inevitabilmente per l'assenza di scambi significativi fra attori anonimi perché privi di storia. I rapporti sociali sono la sostanza dell'esperienza quotidiana, la comunicazione avviene non fra estranei, ma generalmente fra persone che si conoscono e che nutrono reciproci sentimenti, siano essi positivi, negativi, o ambivalenti. b) L'azione umana è ampiamente controllata dall'esigenza di avere una reputazione. Questa esigenza è sostenuta dal fatto che le persone si conoscono, hanno aspettative reciproche, si rappresentano le caratteristiche dei propri interlocutori. La reputazione implica che ogni attore sappia anche che gli altri esprimono giudizi su di lui (o su di lei) e questo fa sì che l'attore si sforzi di confermare o di modificare l'immagine di sé che ha fornito agli altri e che questi elaborano. Il medium attraverso cui questo processo sociale si compie è la conversazione che si svolge fra i componenti dei gruppi più diversi: in tali conversazioni si realizzano scambi continui circa le conoscenze e i rapporti sociali che ciascuno costruisce e sperimenta. Con Clifford Geertz si può affermare che questi scambi comunicativi e questa costruzione di rapporti sociali si verficano sulla base di simboli e di sistemi simbolici. Si tratta, dunque, di reti di rapporti e di scambi culturali. È lo stesso Geertz, in accordo con Max Weber, a precisare questo concetto di cultura, ritenendo" che l'uomo sia un animale impigliato nelle reti di significati che egli stesso ha tessuto, affermo che la cultura consiste in queste reti e che perciò la loro analisi è non una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa in cerca di significato" [Geertz,1988:11]. Ma che funzione ha la reputazione nelle vicende sociali e perché le società generano esigenze di reputazione? Negli scambi che si realizzano nei mondi vitali, gli individui si scambiano favori e dispetti: non è detto che ad uno di questi atti si possa rispondere immediatamente. Le relazioni di credito e di debito possono durare a lungo prima di essere risolte. Può anzi accadere che siano risolte attraverso altre persone che entrano nello scambio. Tu mi aiuti e dopo qualche tempo io mi sdebiterò aiutando un tuo amico o familiare. È ovvio che que146 sto può accadere soltanto fra persone che si conoscono e ricordano i favori (o gli sgarbi) fatti o ricevuti. Esiste, di fatto, una "economia informale" per cui tutti i membri di un gruppo o di una collettività diventano reciprocamente interdipendenti. Da questo punto di vista potrà dire Simmel che "il punto di partenza di ogni formazione sociale è soltanto l'interazione tra persona e persona." [Simmel,1984: 257-258] , che "la società non è che la sintesi o il termine generale per indicare l'insieme di questi rapporti di interazione particolari" [Simmel, 1984: 258] e ancora che "società è il nome con cui si indica una cerchia di individui, legati l'un l'altro da varie forme di reciprocità" [Simmel,1983: 42]. La società, quindi, come insieme di reticoli e di rappresentazioni. Come dice Moscovici, per Simmella sociologia è una scienza delle relazioni in cui viene elaborato sia l'individuale sia il collettivo. In rapporto a ciò, è ovviamente utile conoscere la reputazione delle persone con cui ci imparentiamo o facciamo affari, oppure, più semplicemente, che frequentiamo. In breve, se gli attori sociali sono consapevoli, oltre che della reputazione attribuita a conoscenti più o meno prossimi, anche di quella di cui godono loro stessi, è comprensibile che se ne prendano cura e facciano di tutto per proteggerla. L'interazionismo simbolico ha mostrato che i nostri interlocutori, siano essi prossimi o assai distanti, traggono da quanto facciamo inferenze sulle nostre caratteristiche personali; consapevoli di ciò, noi tentiamo di influenzare le conclusioni a cui essi (gli "altri") giungono. Come sostiene Goffman [Goffman, 1986], lo scopo di tutto ciò che facciamo in pubblico è quello di presentare noi stessi; controlliamo le nostre azioni in modo che gli altri ci attribuiscano certe particolari qualità. Queste considerazioni, secondo Emler e Reicher, si possono applicare anche alla reputazione, avendo cura, però, di mantenere una distinzione fra il concetto di reputazione e quello goffmaniano di "prima impressione". La reputazione infatti può essere monitorata dall'individuo meno facilmente delle prime impressioni, in quanto consiste in una valutazione che i nostri interlocutori possono controllare in modo quasi completo. Non è creata da un individuo isolato che incontriamo incidentalmente, ma viene elaborata negli scambi che si realizzano entro i diversi gruppi sociali (nelle comunità) : proprio per questo ha una vitalità ed una sorta di continuità inerziale sua propria. Una volta che ci si è fatti una reputazione è molto difficile modificarla. D'altra parte è anche vero che, in certe contingenze particolari, la reputazione può essere perduta se non viene "coltivata" con attenzione da chi se l'è costruita. In altre parole, ogni attore deve agire in situazioni pubbliche in modi il più possibile coerenti con la reputazione che vuole mantenere. È dato per scontato dal senso comune che il "tenerci" ad avere una certa reputazione e il fare di tutto per mantenerla riguardi soltanto una reputazione positiva e socialmente approvata. Le scienze sociali, però, in contrasto con tale credenza diffusa, mostrano che ci sono individui che si ostinano ad agire in modo da mantenere e rafforzare una reputazione negativa. Questo apparente paradosso può essere decodificato: è dimostrato che è più facile esprimere qualcosa di chiaro e specifico circa se stessi rompendo le regole invece che rispettandole. Come si possono comunicare, in altre parole, certe proprie caratteristiche? Come ci si può far notare. Mentre è difficile rendere evidenti le proprie qualità positive [Skowronski e Carlston , 1989 ] è molto più agevole dare informazioni su se stessi mettendo in atto comportamenti socialmente disapprovati. Questi dati permettono di cogliere la centralità che ha il concetto di reputazione per la comprensione della devianza adolescenziale in particolare. A differenza di quello che sostengono diverse teorie psicologiche, non è vero che gli atti devianti siano commessi da individui isolati, preoccupati soprattutto di tenere nascosto quello che fanno. 147 Già Piaget [Piaget, 1932], nel suo studio sullo sviluppo del pensiero morale, aveva sostenuto che le violazioni più importanti delle regole sono pubbliche: un primo esplicito esempio si trova osservando i giochi dei bambini. D'altra parte, anche se alcuni reati, generalmente poco rilevanti, vengono commessi da individui isolati, senza complici, non esiste un tipo di delinquenza che in assoluto possa definirsi solitaria. Reati quali il furto, il vandalismo, lo spaccio di droga, la rapina sono generalmente commessi insieme con altri. Una prova significativa del fatto che i devianti non tendono a tener nascosto quello che fanno è fornita dalla dimostrata attendibilità dei loro resoconti personali sulle trasgressioni commesse e dalla scarsa correlazione tra la propensione a mentire dei devianti e l'ammissione dei reati. I resoconti stessi svolgono la funzione di un vero e proprio "testo comunicativo " di presentazione di sé. Ogni azione deviante, dunque, ha sin dall'inizio un suo pubblico: il fatto che si sia progettata e realizzata di nascosto rispetto a tutori e rappresentanti della legge non deve far inferire che non se ne discuta, per progettarla, in un certo contesto e con un certo pubblico "specializzato". Chi di fronte al proprio pubblico si è costruito una solida reputazione da deviante è probabile si impegni per riaffermarla e consolidarla. È evidente che questa tesi è molto vicina a quella sostenuta dagli studiosi che fanno capo alla lebelling theory [Becker 1963; Lemert 1967]: sono eventi drammatici, generalmente il primo arresto, che spingono gli individui a passare dalle prime trasgressioni occasionali, attuate da moltisimi, soprattutto in età adolescenziale (devianza primaria), ad un coinvolgimento più profondo con un ruolo deviante (devianza secondaria). Gli eventi drammatici ricordati hanno effetti così rilevanti perché fanno sì che gli individui implicati emergano dall'anonimato; acquisiscano, in altre parole, una reputazione pubblica che li fa formalmente identificare come devianti (o delinquenti). Personaggi Howard S. Becker e la Teoria dell'etichettamento Autore di Outsiders, studies in the socio/ogy of deviance , lavoro apparso nel 1963, Becker sottolinea innanzitutto il carattere conflittuale della vita sociale che si esplicita nella presenza di una pluralità di gruppi e conseguentemente di valori: ogni individuo dunque può essere considerato come l' intersecazione di diverse traiettorie quali sono i diversi ruoli che si trova ad assumere nel contesto delle interazioni sociali, seguire i valori di un gruppo significa infrangerne inevitabilmente le traiettorie di senso di un altro antagonista: la devianza assume dunque carattere ambiguo, relativistico e contingente alla situazione o meglio l'evento, da considerarsi quali unità minima di analisi. "Una società ha molti gruppi, ognuno con il proprio insieme di norme, e la gente appartiene simultaneamente a diversi gruppi. Una persona può infrangere le norme di un gruppo proprio nel conformarsi alle norme di un altro gruppo" [Becker, trad. it. 1987: 21 ]. Alla pluralità dei valori del gruppo specularmene corrisponde una pluralità di giudizi e formule sanzionatorie, dunque se "una persona può infrangere le norme di un gruppo proprio nel conformarsi alle norme di un altro", sarà deviante colui che- infrangendo le norme del gruppo dominante- viene come tale identificato: pertanto" ... ] i gruppi sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa, applicando quelle norme a determinate persone e attribuendo loro l'etichetta do outsiders.[ ... ]. Il deviante è una persona alla quale questa etichetta è stata applicata con successo; un comportamento deviante è un comportamento che la gente etichetta come tale" [Becker, ibid.:22]. La devianza assume carattere transazionale, e viene esperita dal soggetto in termini di etichetta e reazione sociale; prodotto processuale della reazione sociale, per gli interventi di definizione che si susseguono sino alla reazione identitaria dello stesso de- 148 viante; prodotto interattivo, perché presuppone sempre colui che commette l'atto e chi reagendo lo etichetta; definizione conflittuale perché "le norme create e mantenute da questo processo di etichettamento non sono universalmente accettate, ma sono oggetto di disaccordi e conflitti e fanno parte del processo politico della società" Becker, ibid.:28] e perché la capacità di stabilire norme si basa sul potere, le armi, lo status dei gruppi dominanti [Becker ibid.:27ss]. Procedendo nella sua trattazione Becker incrocia i tipi di comportamenti devianti con le reazioni che suscitano (ovvero la percezione del comportamento come deviante o meno), individua così quattro diversi tipi di comportamento: il comportamento conforme; il comportamento pienamente deviante; il comportamento segretamente deviante e la condizione di colui che è falsamente accusato. Il conforme è colui che rispetta le norme ed è percepito tale dalla società; specularmene opposto il pienamente deviante; casi diversi sono quello del falsamente accusato ovvero della vittima di 'montature'o di errori giudiziari nonché quello del segretamente deviante, caso nel quale non si può determinare la reale consistenza del fenomeno deviante dal momento che manca ogni forma di reazione sociale. Tale classificazione ha il pregio di sottolineare il carattere temporale e processuale che presiede la formazione di ogni fenomenologia deviante, nonché esplicita la natura della reazione sociale quale interveniente sulla variabile devianza, che sarà fortemente dipendente da quest'ultima. Ciò significa che la devianza è fenomeno ricorrente e normale della vita sociale, infatti è "molto più probabile che gran parte della gente prove frequentemente spinte di tipo deviante. Almeno nella fantasia, la gente è molto più deviante di quanto appaia" [Becker, ibid.: 33]: dunque il problema è non capire perché i devianti agiscono contro le norme sociali, ma perché "coloro che rispettano le norme non seguano i loro impulsi devianti". La risposta risiede nel processo che Becker definisce commitment (coinvolgimento) [Becker ibid.:34]: ovvero quel''[ ... ] processo mediante il quale certi tipi di interessi vengono invertiti nell'adottare certe linee di comportamento a cui sembrano formalmente estranei. A seguito di azioni compiute nel passato o per effetto di varie routines istituzionali, l'individuo si rende conto di dover aderire a certe linee di comportamento, perché molte altre attività, diverse da quella nella quale è impegnato nell'immediato, verranno compromesse se così non farà" [ibid.]. Il concetto di commitment indica dunque l'adesione a prospettive e ad aspettative di ruolo -desiderabili in termini di reazione sociale- ed incarna il concetto di altro generalizzato di meadiana memoria: ''[. .. ]la normale evoluzione si una persona nella nostra società [... ] può essere vista come un progressivo aumento di commitments verso norme ed istituzioni convenzionali. La persona '' normale ''• quando scopre dentro di sé un impulso deviante, riesce controllarlo pensando alle molteplici conseguenze che il cedergli potrebbe produrgli. Essere normale rappresenta una posta troppo elevata per permettersi di lasciarsi influenzare da impulsi non convenzionali" [ibid.]. Il modello stabile di comportamento deviante di conseguenza dovrà obbligatoriamente surrogare un nuovo sistema di valori, dovrà rappresentare un nuovo modo di vivere, una riorganizzazione della propria identità: le strategie indicate da Becker per la costruzione di un modello stabile di comportamento deviante dovranno tener conto della loro natura di motivazioni apprese socialmente, saranno espressione di un sistema di linguaggio condiviso e dunque di una subcultura; ma il deviante sarà sanzionato come tale dalla società che provvederà a stabilizzare e ad indurire il suo modello comportamentale sino ad etichettarlo e a fargli vivere tale esperienza. Conseguenze dirette dell'etichettamento sarà la definizione del suo status deviante che assurgerà a status egemone e stigma: "Il possedere una caratteristica deviante può costituire un valore simbolico generale, per cui la gente è automaticamente portata a pensare che il portatore di tale tratto possegga le altre caratteristiche indesiderabili necessariamente associate ad esso" [Becker, ibid.:37-38]. "Trattare una persona deviante per un aspetto come se lo fosse per tutti gli altri produce una profezia che sia autodetermina. Questo mette in moto alcuni meccanismi che contribuiscono a far confermare la persona con l'immagine che ne ha la gente. In primo luogo, una persona, dopo essere stata identificata come deviante, tende ad essere esclusa dalla partecipazione a gruppi più convenzionali[ ... ]" [Becker, ibid.:38]. 149 l processi di etichettamento contribuirebbero a limitare dunque la successiva partecipazione dell'individuo etichettato alle interazioni della vita sociale: l'azione deviante avrebbe una eco psico-sociale/micro-macro e determinerebbe retroattivamente da parte della reazione sociale una risposta di tipo socio-psicologico/macro-micro. Ne verranno modificate l'immagine di Sé e l'identità pubblica, e verranno cercate dall'individuo etichettato forme di solidificazione di tale identità nell'affiliazione con gruppi devianti organizzati [Becker, ibid.: 41 ]. Becker utilizza il termine di outsider proprio per descrivere il /abeled ru/e-breaker che accetta l'etichetta imposta dalla società e che si considera diverso dalla mainstream society, condividendo ed apprendendo le tecniche della sua carriera deviante, tendendo ad approssimarsi ai gruppi composti da individui che hanno subito lo stesso processo, condividendo con questi ultimi una subcultura deviante che tenda a rinforzare l'identità etichettata. L'apprendimento di tecniche è argomento che Becker affronta nel saggio Come si diventa fumatori di marijuana: qui interessa sottolineare che il modo in cui gli individui imparano a fumare è determinato- secondo i classici parametri interazionisti - da un complesso processo di apprendimento sociale e di interazione sociale, attraverso il quale si apprende non solo la tecnica della miscelazione, ma anche le modalità, quindi come fumarla, cosa provare e di quali effetti godere: Attraverso queste sequenze si organizzerà l'identità dell'individuo, il quale avrà appreso insieme alle tecniche e al godere gli effetti del fumo, la cultura della segretezza e a sfuggire dunque al controllo sociale, creando la propria nicchia culturale e di senso antagonista rispetto alla cultura convenzionale: ''[ ... ] una persona si sentirà libera di fare uso di marijuana nella misura in cui considererà le relative concezioni convenzionali come le opinioni disinformate di outsiders, e sostituisce quelle concezioni con la visione " dall'interno , che ha acquisito attraverso la propria esperienza con la droga in compagnia di altri consumatori" [Becker, ibid.: 67]. Elementi centrale è l'abbandono di una visione sincronica e multifattoriale dell'eziologia criminale, sottolineando - in maniera feconda - il carattere sequenziale della devianza, che si manifesta attraverso l'adesione per stadi a specifici modelli (patterns) di azione che si sostanziano attraverso l'interpretazione di esperienze comuni al gruppo, l'apprendimento sociale, la creazione di nicchie culturali e di senso (i fumatori di marijuana, i musicisti da ballo, etc.). Becker inoltre concentra la sua attenzione sulla posizione di coloro i quali hanno il potere e l'autorità di fare ed applicare le norme: esse sono create da coloro che Becker definisce 'imprenditori morali", il cui principale scopo è quello di creare "un nuovo frammento della costituzione morale della società, del suo codice di giusto e sbagliato" [Becker, ibid.:113], tali crociate morali al fine di prevederne il successo, sono predisposte sul potere di contrattazione dei gruppi, sulla propaganda attraverso i mezzi di comunicazione di massa, le contrattazioni e i compromessi politici. Gli imprenditori morali si distinguono in creatori di norme (o 'crociati delle riforme') e applicatori di norme. l creatori di norme sono rappresentanti degli status sociali elevati della società, dotati di potere morale e di potere contrattuale nei confronti degli altri gruppi: essi di solito relegano ad esperti e rappresentanti di organizzazioni professionali la redazioni di interventi legislativi specifici: in tal modo il contenuto della legge si allontana dalle richieste morali collettive, divenendo risultato patologizzante di perizie e verifiche, scorporandosi sempre più dal sociale in quella cristallizzazione anonima che è l'istituzionalizzazione dei problemi. l rappresentanti della legge che invece ne applicano le disposizioni, "rispondendo alle pressioni della propria situazione di lavoro, applicano le leggi e creano gli outsiders in modo selettivo. L'etichettare realmente come deviante la persona che commette una atto deviante, dipende da molti fattori estranei al suo effettivo comportamento: che il tutore dell'ordine senta di dover dare in questo momento dimostrazione di fare il suo lavoro per giustificare la propria posizione, che il colpevole mostri una reale deferenza verso di lui, [... ], e che il tipo di atto commesso figuri nella lista delle priorità del rappresentante della legge" [Becker, ibid.:124-125] Ogni crociata morale di successo crea secondo dinamiche simbiotiche nuovi gruppi di outsiders e nuove responsabilità per l'applicazione della legge, fenomeni devianti e age n- 150 zie di produzione normativa e di controllo farebbero parte dunque di un unico processo circolare, nel quale le retroazioni inducono a forme di adattamento, le quali implicano- attraverso le interazioni quotidiane degli attori sociali- definizione di senso/distruzioni di senso/ridefinizioni di senso- : "In senso lato la devianza è il prodotto di un'iniziativa: senza questa iniziativa destinata a creare le norme, la devianza, che consiste nell'infrangerle, non potrebbe esistere" [Becker ibid.:125]. La devianza assume carattere di contrattazione e di attribuzione di senso, allontanandosi da eziologie individuali o subculturali o di adattamento funzionale , essa si connota come azione collettiva [Becker ibid.:138ss] che si sostanzia nelle interazioni delle unità agenti, le quali sono da considerarsi le cause elementari del mutamento sociale, che altro non è che mutamento di interpretazioni. In un contributo più recente, Becker introduce il concetto di 'devianza come azione collettiva ', riprendendo gli assunti dell'interazionismo simbolico di Mead e Blumer, egli riconsidera gli individui, nella loro gruppalità, quali costruttori e creatori di senso: la devianza può essere studiata attraverso tale prospettiva, l'iniziativa [Biumer, ibid.: 125ss] scatterebbe allora da diverse parti: "Le persone agiscono insieme[ ... ].Fanno ciò che fanno con un occhio su ciò che gli altri hanno fatto, stanno facendo e possono fare anche in futuro. Un individuo cerca di far combaciare la propria linea di azione con quella degli altri, proprio come ognuno adatta lo sviluppo delle proprie azioni a ciò che vede e si aspetta dagli altri. Il risultato di tutto questo aggiustamento ed adattamento può esser definito un'azione collettiva ... " [Biumer, ibid.:138]. Nella visione interazionista della devianza, essa viene a connotarsi quale attività relazionale e complessa di diversi gruppi, azione collettiva che comprende non solo le interazioni faccia a faccia bensì ogni interazione indiretta e complessa [DeLeo, in Becker, 1987:12] fra gruppi ed organizzazioni: "Nella sua forma più semplice, questa teoria insiste sul fatto che si osservino tutte le persone coinvolte in un qualsiasi episodio di presunta devianza. Scopriamo allora che questa attività richiedono, per poter avvenire, la cooperazione manifesta o tacita di molte persone e gruppi" [Becker, ibid.:138]. Gruppi che si possono distinguere in due sistemi di azione collettiva: "Una è costituita dalle persone che cooperano per produrre l'atto in questione, l'altra da quelle che cooperano nel dramma morale attraverso il la quale la trasgressione viene scoperta ed affrontata indipendentemente dal fatto che la procedura sia formale e legale, o del tutto informale" [Becker, ibid.: 140]. Il concetto di azione collettiva è di particolare interesse e valenza euristica per diverse ragioni: intanto ogni fenomeno deviante è considerato come parte di un tutto complesso, essendo nodo focale, smagliatura di senso di tale complessità -, rappresenta nello stesso tempo l'insita relazionalità complessa che lo contraddistingue, la natura comunicativa [De Leo, 1997; 1998; De Leo e Patrizi, 1999] che lo sostanzia e nelle cui emanazioni di senso si mostra ed è decodificabile: "Considerando la devianza come una forma di attività collettiva, da investigare in tutte le sue sfaccettature come qualsiasi altra forma di attività collettiva, vediamo che l'oggetto del nostro studio non è un atto isolato di cui dobbiamo scoprire l'origine. Invece, quando si è verificato, questo atto entra in una rete complessa di atti che coinvolgono altre persone, e assume una parte di questa complessità per via del modo in cui differenti persone e gruppi lo definiscono. La lezione si applica ai nostri studi su ogni altra area della vita sociale" [Becker, ibid.:142]. L'introduzione del concetto di azione collettiva coincide con una rilettura critica della teoria dell'etichettamento: Becker manifesta il suo scetticismo di fronte l'idea di avere 'etichettato' in tal mondo i lavori vari e significativi di molti autori dai diversi apparati concettuali e dalle diverse nuances teoriche, critica che è stata già di Lemert [Lemert, 1981]. Difendendosi da chi lo accusa di non essere stato espressione di una teoria né di avere scoperto etiologie del crimine, risponde modestamente che si voleva:''[ ... ] allargare l'area presa in considerazione dallo studio dei fenomeni devianti, includendo, oltre a chi viene definito deviante, le attività di altre persone ', nonché concentrarsi ' sul modo attraverso il quale il processo di etichettamento pone l'attore in circostanze che gli rendono più difficile il continuare le normali routines della vita quotidiana e lo incitano quindi ad azioni anormali" [Becker, ibid.:136]. Egli di conseguenza suggerisce di considerare la teoria dell'etichettamento piuttosto come prospettiva e di definirla teoria interazionista della devianza. 151 Va rilevato, tuttavia, che mentre la teoria dell' etichettamento riconosce agli attori sociali, nel passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria, una scarsa o nulla capacità di iniziativa, Emler e Reicher sostengono la tesi, confermata da molteplici dati di ricerca che gli attori sociali sono consapevoli della reputazione (o etichetta) che possono acquisire obbedendo alle norme sociali o trasgredendole, e perciò le loro azioni sono intenzionalmente orientate ad influenzare il risultato del processo di etichettamento. Si può dunque affermare che la devianza si origina da una scelta coerente che esprime un messaggio chiaro e comprensibile: come chi opera nella legalità tiene ad apparire un cittadino che rispetta la legge, l'individuo che si è identificato in un ruolo di deviante vuole mostrare al suo "pubblico" che non deflette dall'orientamento che ha preso. Nel 1960, Glaser nel riformulare la teoria delle associazioni differenziali di Sutherland [Sutherland, 1978] rifacendosi alla teoria dei ruoli di George H. Mead, afferma che ai fini dell'apprendimento della delinquenza è importante l'identificazione con modelli criminali, più che l'associazione con essi. Il fattore determinante per la criminogenesi è quindi il processo di identificazione, inteso come processo socio-psichico mediante il quale si tende a rendersi simili, ad omologarsi a certi modelli scelti come tipico-ideali. In questo processo di costruzione identitaria l'individuo tende a far propri anche i valori normativi ed etici associati a tali modelli. Lessico Devianza primaria e devianza secondaria La prospettiva interazionista privilegia, come precedentemente ricordato, il rapportoo che si instaura tra reazione sociale ed agenzie di controllo e la definizione e la qualificazione di deviante: il rapporto che Becker chiama 'l'altra metà dell'equazione', ''[. .. ]le persone che elaborano e fanno applicare le norme alle quali gli outsiders non si conformano" [Becker 1987: 97]. Tale analisi ha privilegiato dunque gli atti linguistici e culturali di attribuzione di status, ruoli, identità: la devianza in tal senso è stabilizzazione di etichette e stigma che si esplica in dinamiche processuali non necessariamente definite in stadi. John l. Kitsuse a tal riguardo si esprime con le seguenti parole: "la devianza può essere concepita come un processo attraverso il quale i membri di un gruppo, di una comunità o di una società a) interpretano un comportamento come deviante; b) etichettano gli individui che si comportano in tal modo come devianti di un particolare tipo e c) riservano loro il trattamento considerato appropriato per tali casi di devianza" [Kitsuse, in Ciacci 1983: 150; enfasi mia]. La devianza considerata proprietà conferita e percepita tale dal gruppo sociale, affinché possa essere indagata necessita di una prospettiva di analisi sequenziale e non più sincronica, fasi di ricerca nelle quali il soggetto divergente però è da considerarsi soggetto attivo ''[. .. ] non solo in quanto ricostruisce cognitivamente il contesto in cui vive, ma anche perché costruisce (o ri-costruisce) il senso della propria identità anche attraverso l'azione e questa , a sua volta, implica una mediazione costante tra il mondo interno ( quello dei desideri, delle aspirazioni, delle possibilità) e quello esterno" [De Piccoli et al. , 2001: 45]. Si deve a Lemert la distinzione tra devianza primaria e devianza secondaria: la devianza primaria è un allontanamento più o meno temporaneo dalle norme , essa ha ''[ ... ] implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell'individuo; essa non dà luogo ad una riorganizzazione simbolica a livello degli atteggiamenti nei riguardi del sé e dei ruoli sociali" [Lemert, 1981: 65]. La devianza secondaria, oggetto principale della sociologia, si manifesta a seguito della reazione sociale , ed il soggetto vi perviene attraverso una definizione processuale attraverso l'interazioni con l'Alter e le istituzioni di controllo: essa "consiste invece nel comportamento deviante o nei ruoli sociali basati su di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confronti dei problemi, manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della società alla deviazione primaria. In realtà le 'cause' originarie della de- 152 viazione perdono di importanza e divengono centrali le reazioni di disapprovazione, degradazione e isolamento messe in atto dalla società" [Lemert, ibid.: 65-66]. Di particolare rilevanza, nel passaggio da devianza primaria a quella secondaria, sono gli effetti della percezione sociale e del controllo: "Vi è un aspetto processuale della deviazione che non possiamo non riconoscere, dal momento che, a seguito di una ripetuta, costante deviazione o discriminazione negativa, qualcosa cambia nella 'pelle' del deviante. È un qualcosa che si viene produrre nella psiche o nel sistema nervoso come una conseguenza delle sanzioni sociali, delle cerimonie di degradazione, degli interventi 'terapeutici' o 'riabilitativi'. La percezione, da parte dell'individuo, dei valori e dei mezzi, e la stima dei relativi costi si modificano in maniera tale che i simboli che hanno la funzione di condizionare le scelte della maggior parte delle persone finiscono per non sollecitare quasi più in lui determinate risposte, o anche per produrre risposte contrarie rispetto a quelle auspicate dagli altri" [ibid.: 65; enfasi mia]. Ciò che muta nella pelle del deviante è l'epidermide sociale : la sua identità si riorganizza intorno ai valori puniti dalla società, la quale al fine di valorizzare la solidarietà di gruppo e l'appartenenza, si discosta dal deviante attraverso "differenziazione per contrastd' [ibid.: 90]. La reazione sociale si concretizza nelle varie forme di stigmatizzazione, ''[. .. ] processo che conduce a contrassegnare pubblicamente delle persone come moralmente inferiori, mediate etichette negative, marchi, bollature, o informazioni pubblicamente diffuse" [ibid.: 91], che inducono il soggetto ad identificarsi con gli altri individui che condividono le sue stesse caratteristiche. La stigmatizzazione, rileva Lemert, determina nell'individuo un profondo senso di ingiustizia, a causa dell'incoerenza tra stigma e sanzione, da un lato, e tipo di azioni compiute, dall'altro, o tra stigma e sanzioni applicate in diversi luoghi o mementi o persino compiuti da diversi soggetti rispetto il medesimo fatto: il senso di ingiustizia potrebbe essere considerato come fattore precipitante per alcune devianze secondarie. Essa si esplicita attraverso disegni di esclusione tribale, attraverso i quali si stabilizza la devianza, che si precisa come interpretazione burocratica: "nelle società moderne, in cui non si hanno una opinione pubblica ed un interesse di valore generale, i controlli sui devianti tendono ad essere esercitati mediante agenzie di assistenza , di pena o di correzione appositamente organizzate in vista di questi obiettivi. La giustificazione del loro agire viene demandata a ideologie morali di carattere generale, ma più direttamente deriva dalla legge e dagli intendimenti politici ed amministrativi. l resoconti circa i devianti, il loro numero all'interno della società, le loro presunte caratteristiche, le loro esigenza divengono qualcosa di burocratico, ovverosia di mediato da uffici" [ibid.: 96]: le definizioni e le interpretazioni burocratiche diventano, in senso foucaultiano, discorsi di verità, in cui è più evidente e cinicamente rivelatorio il rapporto tra potere e sapere. La processualità della devianza secondaria si delinea, come sottolinea Lemert, attraverso differenziazioni personali che determinano nell'individuo l'acquisizione di : "1) uno status moralmente inferiore; 2) specifiche conoscenze ed abilità; 3) un atteggiamento generale ovvero una 'visione del mondo'; 4) una particolare immagine di sé, che si basa sull'immagine che gli viene rimandata dagli altr! con i quali interagisce, ma non è necessariamente coincidente con essa" [ibid.: 109]. E di particolare interesse notare che lo stesso autore sottolinei quanto in un contesto sociale contrassegnato da pluralismo di valori e mutamento continuo, la devianza non possa essere spiegata attraverso un progetto di analisi lineare ed ineluttabile, bensì, per un risultato più soddisfacente, bisognerebbe associare alla studio di essa concetti quali deriva, eventualità e rischio [ibid.: 111 ss]: per queste ragioni la posizione di Lemert è precorritrice di quelle prospettive che vedono nel mutamento e nella devianza fenomeni complessi non riducibili a unidirezionalità e manocausalità, e illuminante per gli scienziati sociali che ne studiano le tecniche di analisi. L'identificazione non richiede un contatto interpersonale poiché può realizzarsi anche verso modelli (reali o immaginari) con i quali non vi è stato un rapporto diretto. L'identificazione con soggetti delinquenti può verificarsi in diversi modi: a seguito di esperienze dirette con associazioni di delinquenti, attraverso una valutazione positiva dei ruoli delinquenziali rappresentati dai mass media oppure a seguito di una reazione negativa 153 a forze che si oppongono alla criminalità. La teoria di Glaser permette così di spiegare le azioni criminali commesse da parte soggetti che sono abitualmente inseriti in gruppi sociali non criminali. Gli adolescenti perseguono differenti progetti reputazionali la cui realizzazione può avere ripercussioni notevoli sulla qualità del loro agire sociale. Non si possono evidentemente comprendere né le scelte, né le azioni degli adolescenti se non si conosce il contesto sociale in cui essi vivono e agiscono. Emler e Reicher danno patrticolare rilievo, nello svolgimento delle loro argomentazioni, a due aspetti del contesto: l'ordinamento istituzionale della società che gli adolescenti sperimentano direttamente grazie al contatto col sistema scolastico in cui sono inseriti ed attraverso il contato con le altre agenzie statuali (la polizia, il sistema sanitario, l'organizzazione del mercato del lavoro, le banche etc.); i gruppi sociali informali, in particolare i gruppi di coetanei. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BANDINI T., GATII U., MARUGO M., VERDE A. (1991), Criminologia. Il contributo della ricerca alla conoscenza del crimine e della reazione sociale, Giuffrè, Milano. BECKER G.S. (1968), Crime and Punishment: An Economie Approach, in "Journal ofPolical Economy'', 76, 2. BECKER H.S. (1963), Outsiders: Studies in the Sociology of Deviance, Free Press, New York (trad. it.: Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, Ega, Torino, 1987). BERGER PETER L. e LUCKMANN T. 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