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EDITORIALE MAFIA E APPALTI LEGGE INATTUATA di PIERPAOLO

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EDITORIALE MAFIA E APPALTI LEGGE INATTUATA di PIERPAOLO
EDITORIALE
MAFIA E APPALTI LEGGE INATTUATA
di PIERPAOLO ROMANI
È giusto chiedere di valutare la possibilità di sciogliere per infiltrazioni mafiose il consiglio comunale di
Verona? Nel capoluogo scaligero, dopo la messa in onda della puntata di Report, se lo chiedono in molti. La
richiesta avanzata dall'On. Alberto Giorgetti sta facendo discutere e, soprattutto, sta sollevando polemiche e
reciproci scambi di accuse che, a parere di chi scrive, rischiano di distogliere l'attenzione da una serie di
problemi e interrogativi particolarmente delicati.
Usiamo la freddezza e la calma, rispettando il lavoro di inchiesta giornalistica svolto da riconosciuti
professionisti, ma avendo ben chiaro che per avviare un'indagine giudiziaria e fare dei processi servono delle
prove solide e concrete. Soprattutto quando si parla del rapporto tra mafia e politica. Un rapporto storico e
strutturale, fatto di scambi di favori e di consensi, di cui si sta discutendo anche in questi giorni nel
parlamento italiano a proposito della modifica del testo dell'articolo 416-ter del codice penale, che definisce
e sanziona il voto di scambio politico-mafioso.
Un'altra avvertenza ci pare importante richiamare. Sciogliere un comune per sospetto di infiltrazione mafiosa
non è una cosa né semplice né breve. Occorre dimostrare, secondo quanto recita l'articolo 143 del testo unico
delle leggi sugli enti locali, l'esistenza di «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o
indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori». L'eventuale esistenza
di questo supposto legame criminale deve essere compiuto da una commissione di esperti di nomina
prefettizia che, per alcuni mesi, entra nelle stanze del comune ed esamina in modo certosino atti e documenti
redigendo, alla fine, una relazione che sarà inviata dal prefetto al ministro dell'Interno. Quest'ultimo, una
volta ricevuta la relazione, la illustrerà al Consiglio dei ministri che, a sua volta, deciderà se sciogliere il
comune oppure no. In caso affermativo, la palla passerà al Presidente della Repubblica per l'emanazione del
relativo decreto. E successivamente, prima di nuove elezioni, per più di un anno le redini dell'ente locale
saranno rette da un'altra commissione prefettizia. Sciogliere un comune, quindi, è una cosa non solo delicata,
complicata e lunga, ma costituisce una ferita profonda per la democrazia di un territorio, un momento
oggettivamente critico per l'immagine e la vita di una comunità. Di queste nefaste conseguenze, prima che la
magistratura, sono la politica, che sceglie i candidati, e i cittadini, che li votano, a doversi assumere la loro
quota di responsabilità.
Dal 1991, anno di entrata in vigore della legge sui comuni sciolti, al dicembre 2013 sono stati ben 243 i
decreti emessi per porre termine alle amministrazioni chiacchierate. Il primato spetta alle regioni del
Mezzogiorno, in primis alla Campania con 94 casi, ma negli ultimi anni, a partire dal governo Monti, si è
iniziato a sciogliere nel Nord Italia, in particolare in Liguria, in Piemonte e, da ultimo, in Lombardia dove è
stato sciolto il comune di Sedriano, nel Milanese.
Questo, a dimostrazione di come le mafie e, fra di esse, la 'ndrangheta calabrese, abbiano allargato il cerchio
delle loro presenze e dei loro affari anche in territori lontani da quelli di origine. Come? Facendo affari,
portando voti e inserendosi nei Comuni, punto nevralgico della vita e degli interessi di una comunità,
strumento fondamentale per intessere relazioni con persone che contano e iniziare una progressiva azione
finalizzata al successivo controllo del territorio.
Finora, in Veneto, pur non avendo assistito ad alcun scioglimento di consiglio comunale, né ad indagini sul
rapporto tra mafia e politica, né a processi che - salvo per la mafia del Brenta - abbiamo dimostrato che sul
territorio agiscono in modo continuativo e radicato dei clan mafiosi, non possiamo pensare di essere un'isola
felice. Non dimentichiamoci, infatti, dell'indagine «Aspide», condotta dalla Direzione distrettuale antimafia
di Venezia, che ha dimostrato l'esistenza di un gruppo criminale, legato al clan camorristico dei casalesi. Né
degli 84 beni confiscati presenti sul suolo veneto. Né di quanto scritto nell'ultima relazione della Direzione
nazionale antimafia, in cui si legge che gruppi di 'ndrangheta stanno allargando il loro raggio di azione verso
il lago di Garda, tra la provincia di Verona e quella di Brescia, e che personaggi legati alla mafia calabrese
operano, ufficialmente come imprenditori edili, nelle zona tra Verona e Vicenza. Personaggi riconducibili
alla mafia calabrese opererebbero in Veneto per conto delle cosche dei Mancuso di Limbadi, dei Papalia di
Delianuova, dei Grandi Aracri di Cutro. Non mancano presenze legate a cosa nostra siciliana.
Di fronte a questo scenario, che fare? La Regione ha approvato un'apposita legge antimafia - la 48 del 2012 che, al momento, vede ancora inattuati gran parte dei provvedimenti previsti, in primis la stazione unica
appaltante e il fondo antiusura. Applicarla rapidamente e correttamente, insieme alle norme anticorruzione
negli enti locali, è un primo passo concreto per difendere il Veneto dalle mafie e diffondere la legalità.
Pierpaolo Romani
LE REAZIONI. Il procuratore capo in una dichiarazione al Tg3 assicura: «Mai smesso di indagare».
E in Forza Italia è bufera sulla richiesta antimafia fatta da Giorgetti
Schinaia rivela: indagini su Tosi e Giorlo
Enrico Giardini
«Sotto esame da tempo i fenomeni emersi da Report». I deputati leghisti: «Commissariare il Comune?
Soltanto accuse e nessuna prova». Bendinelli: «No ai linciaggi mediatici»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
Scherzi del destino: Tosi ieri al Vinitaly era accanto a Bonfante del Pd, uno dei suoi ...
Giampaolo
Chavan
C'è un'indagine aperta dalla procura di Verona sul sindaco Flavio Tosi, l'ex assessore Marco Giorlo e i loro
rapporti con la 'ndrangheta. La rivelazione è arrivata ieri nel servizio del Tg regionale delle 19.30 che ha
mandato in onda una breve intervista a Mario Giulio Schinaia. «È un indagine», ha precisato il procuratore ai
microfoni di Matteo Mohorovicich, «che riguarda qualsiasi notizia di reato degna di essere approfondita» e
sulle posizioni del primo cittadino e dell'ex assessore è stato acceso un faro «Doverosamente», ha precisato il
procuratore.
È arrivata, quindi, la conferma di molteplici voci, peraltro circolanti da mesi, su inchieste della magistratura
sulle rivelazioni, emerse anche durante la puntata di Report, andata in onda lunedì. Lo stesso procuratore ha
precisato che sono state avviate da tempo le verifiche sui rapporti tra esponenti politici veronesi e persone
vicine all'organizzazione criminale calabrese. D'altro canto, gli spunti d'indagine sono diversi, comprese le
cene elettorali organizzate per l'elezione dell'ex assessore alle quali avevano partecipato oltre al primo
cittadino anche personaggi in odore di 'ndrangheta. Le verifiche sono in corso e gli sviluppi sono coperti dal
segreto istruttorio.
Nel frattempo è bufera nel centrodestra sulla richiesta del deputato di Forza Italia Alberto Giorgetti al
prefetto Perla Stancari di nominare una commissione di accesso agli atti per verificare, alla luce di quanto
messo in onda da Report, eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nell'Amministrazione
comunale. Qualora il ministro dell'Interno sulla base dei risultati dell'indagine rilevasse che ci sono, ha detto
Giorgetti, andrebbe sciolto il Consiglio comunale.
È in particolare Davide Bendinelli, consigliere e vicepresidente regionale di Forza Italia, a lanciare una dura
replica a Giorgetti. «Sono contro i linciaggi mediatici e i processi nelle piazze che vengono promossi da
quegli “sciacalli" che utilizzando questi strumenti pensano di poter liquidare questo o quel personaggio
politico. Ho conosciuto molti consiglieri di questa maggioranza e li ritengo persone per bene. Questo non
significa, da parte mia, esprimere assoluzioni verso chicchessia», dice.
«Sono convinto che se ci fossero zone d'ombra o collegamenti con associazioni criminose», prosegue
Bendinelli, «sarebbe in primo luogo lo stesso Tosi, per quello che lo conosco, a chiedere alla magistratura di
fare chiarezza per rispondere ai numerosi dubbi e alle insinuazioni che la trasmissione ha generato nei
confronti dei veronesi e dell'opinione pubblica».
Si ripropone così, anche dopo la ricostituzione di Forza Italia, la frattura che c'era nel Pdl scaligero fra l'ala
ex Forza Italia storica (nella quale militava Bendinelli) e quella di provenienza An di Giorgetti. Ma anche
dalla Lega (partito tutt'ora alleato di Forza Italia in Regione, in Provincia e in altri Comuni) arriva una dura
replica a Giorgetti. I deputati leghisti Matteo Bragantini, veronese, e poi Filippo Busin, Guido Guidesi,
Roberto Caon, Marco Marcolin ed Emanuele Prataviera prendono posizione in difesa di Tosi ed è questa la
prima vera espressione di sostegno a Tosi da parte della Lega, il partito di cui il sindaco scaligero è
segretario veneto e vicefederale: «Se basta un servizio giornalistico, farcito di accuse ma totalmente privo di
prove, per chiedere il commissariamento del Comune di Verona, come sostenuto dall'ex sottosegretario
all'economia e finanze Alberto Giorgetti, allora bisognerebbe chiedere anche il commissariamento del
ministero stesso».
I parlamentari del Carroccio precisano la loro affermazione su Giorgetti «con particolare riferimento alla sua
geniale idea di spalleggiare le lobbies delle slot per arricchire le casse dello Stato sulla pelle dei cittadini. Un
emendamento che, in sintesi, penalizzava i Comuni antislot e andava incontro ai concessionari irregolari,
prorogando la concessione di 90 giorni in caso di revoca per colpa, comprese le direttive antimafia».
E ieri il presidente della Regione Luca Zaia ha puntualizzato che le attività di approfondimento e verifica da
lui disposte sulle situazioni rappresentate da Report riguardano la pratica Veneto Sviluppo e un presunto
direttore generale di una Ulss che avrebbe partecipato a incontri su appalti: «Ho dato mandato al direttore
generale della Regione di chiarire completamente questi due episodi, verificando fino in fondo la veridicità
di quanto affermato in trasmissione». Per quanto riguarda l'incarico regionale a Stefania Villanova (moglie di
Tosi), nei suoi confronti, aggiunge Zaia in una nota, «non è mai stata ipotizzata alcuna verifica in quanto
risulta essere da anni dipendente a tempo indeterminato della Regione e avere, sempre da anni, un incarico di
capo segreteria con contratto a tempo determinato conforme a quanto previsto dalla legge». Zaia ha
aggiunto: «Non faccio considerazioni su Report, i processi si fanno nei tribunali, non in televisione».
L'auspicio di sgombrare il campo da dubbi parte anche da Stefano Valdegamberi, consigliere regionale di
Futuro Popolare. «Il presidente Zaia compia delle verifiche approfondite sulla gestione di Veneto Sviluppo,
relazioni in breve tempo in aula e, se vengono riscontrate irregolarità, la Regione faccia immediatamente
denuncia all'autorità giudiziaria, in veste di parte lesa». E il presidente di Anciveneto Giorgio Dal Negro,
sindaco di Negrar, ammonisce: «Giù le mani dai sindaci. L'attuale caso Verona non è più tollerabile: Tosi è
figura carismatica e amata e nessuno ha il diritto di seminare perplessità o calunnie a riguardo».
«Adesso diventa urgente un rimpasto in Giunta»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
Tosi va avanti tutta, dopo Report. Ma in città si spinge pe cambiare la Giunta. Il sindaco ha detto ieri che
«noi continuiamo ad amministrare, cercando di fare quello che serve a Verona. Sono convinto che chi ci
stimava ci stima ancora, mentre i detrattori che c'erano ci sono anche adesso». E ha ricordato di aver
incontrato anche il procuratore di Catanzaro durante la sua trasferta in Calabria raccontata da Report. «Siamo
andati a far visita al procuratore perché c'è un magistrato, Carlo Villani, che era in servizio a Verona e ora lo
è in quella provincia. Siamo andati a salutare lui e il procuratore». Ma il consigliere comunale Giorgio
Pasetto (Lista Tosi) vuole il rimpasto: «Mi auguro che chi spara contro l'amministrazione non ottenga più
consenso di chi cerca di costruire qualcosa. La giunta, di fronte a tante accuse che, senza prova, cadono nel
vuoto, può facilmente difendersi. Ma in queste circostanze è importante un cambio di passo per riconquistare
la fiducia dei cittadini. Cambiare qualche giocatore nel secondo tempo spesso è vincente».E.G.
Richiesta di sciogliere il consiglio L'ira di Forza Italia su Giorgetti
Bendinelli: «Mossa da sciacalli». Scudo dell'Anci a Tosi
VERONA — Il prefetto Perla Stancari, visto il periodo pre elettorale, non può rilasciare dichiarazioni. E
quindi sulla «proposta» dell'onorevole Alberto Giorgetti di sciogliere il consiglio comunale per il sospetto di
infiltrazioni mafiose, non commenta. Ma in prefettura si fa notare che non sono di certo una telefonata, per
quanto arrivata da un deputato, o un servizio televisivo, a decidere le sorti di un Comune. Ci vuole, insomma,
ben altro. O una motivazione che arriva dalle forze dell'ordine, o dalla magistratura. Casi che, al momento, a
Verona non si stanno realizzando.
Ma intanto sulla proposta lanciata da Alberto Giorgetti, si divide il mondo politico e si spacca il suo stesso
partito.
Proprio da Forza Italia arriva infatti una netta presa di distanza da parte del vicecoordinatore regionale,
Davide Bendinelli. «Sono per storia e per cultura un laico garantista - premette Bendinelli - ma non a fasi
alterne. Pertanto, sono contro i linciaggi mediatici e i processi nelle piazze che vengono promossi da quei
"sciacalli" che utilizzando questi strumenti pensano di poter liquidare questo o quel personaggio politico. Ho
conosciuto – prosegue il dirigente azzurro - molti consiglieri di questa maggioranza e li ritengo persone
perbene. Questo non significa, da parte mia, esprimere assoluzioni verso chicchessia. Sono convinto peraltro
che se ci fossero zone d'ombra o collegamenti con associazioni criminose, sarebbe in primo luogo lo stesso
Tosi, per quello che lo conosco, a chiedere alla magistratura di fare chiarezza».
L'analisi poi si sposta sulle dichiarazioni pubblicate ieri dal Corriere di Verona da parte del procuratore
Mario Giulio Schinaia. «Da Report nessuna novità, non ci sono motivi per aprire un'inchiesta», ha detto. Il
procuratore ha parlato ieri sera a Rai Tre, spiegando che «le persone nominate da Report le abbiamo già
sentite e alcuni fatti sono già stati oggetto d'indagine», riferendosi alle notizie di presunte infiltrazioni
mafiose che nei mesi scorsi sono state adombrate e portate a conoscenze dell'opinione pubblica. Risentito
nuovamente, ha ribadito che «dalla trasmissione Report non è emerso nulla che già la procura non sapesse».
Il segretario provinciale di Forza Italia, Fausto Sachetto, spiega da parte sua che «su cose del genere non
credo che la scelta debba spettare alla politica bensì alla magistratura. Il prefetto, poi, credo sia perfettamente
in grado di fare il suo mestiere». Sachetto aggiunge che «anche il procuratore della Repubblica Schinaia, mi
pare abbia spiegato come da Report non siano emersi fatti penalmente rilevanti. E comunque se dopo
opportuni e doverosi controlli emergessero cose diverse, credo che chi di dovere abbia tutti gli strumenti e le
possibilità di intervenire».
Il capogruppo della Lista Tosi, Massimo Piubello, prende le mosse dalle parole di Schinaia per sottolineare
che «il procuratore ha interpretato il pensiero di migliaia di veronesi che hanno visto Report: una
trasmissione che ci ha insegnato tante cose sul caffè, mentre per il resto ha dato spazio a chiacchiere e dicerie
senza portare una prova che fosse una. E comunque, anche al di là delle dichiarazioni importanti di Schinaia,
chi conosce cose concrete su fatti penalmente rilevanti dovrebbe andare proprio in procura e non partecipare
a farse più o meno mascherate».
Mentre prosegue il fragoroso silenzio di Matteo Salvini e di Bobo Maroni, scende intanto in campo un folto
gruppo di parlamentari leghisti. «Se basta un servizio giornalistico, farcito di accuse ma totalmente privo di
prove, per chiedere il commissariamento del Comune di Verona, come sostenuto dall'ex sottosegretario
all'economia Alberto Giorgetti, allora bisognerebbe chiedere anche il commissariamento del ministero
dell'Economia e delle Finanze», tuonano i deputati Matteo Bragantini, Filippo Busin, Guido Guidesi,
Roberto Caon, Marco Marcolin e Emanuele Prataviera. Ancora più duro il vicepresidente dei deputati del
Carroccio, Gianluca Pini, secondo il quale «è da infami, ma è lo stile tipico della sinistra, delle corporazioni
e delle lobby: quando qualcuno può dar fastidio politicamente o elettoralmente al loro venditore di pentole di
turno partono attacchi in maniera squallida e programmata. Del resto fu Stalin a coniare il motto "infangate
gente, infangate, qualcosa resterà"».
La coordinatrice di Scelta Civica, Margherita Fogliardi, sostiene che i nomi emersi durante la trasmissione di
Milena Gabanelli «erano veri, erano nomi precisi e facce note. Quel viaggio in Calabria c'è stato. Di chi si è
fidato il sindaco?». Ma il presidente dell'Anci (l'associazione dei Comuni) regionale, Giorgio Dal Negro
(anche lui di Forza Italia) protesta perché «in Veneto ci sono casi che, senza prova e senza fatti, mettono in
dubbio la figura e la credibilità del primo cittadino. Il caso Cortina ne è un esempio eclatante. E l'attuale caso
Verona non è più tollerabile: il sindaco di questa città è figura carismatica e amata e nessuno ha il diritto di
seminare perplessità o calunnie. Ragion per cui se qualcuno deve scagliare la freccia ha il dovere della
denuncia dettagliata. In caso contrario, troverà sul proprio percorso lo scudo sicuro di Anci Veneto».
Da Crotone la rabbia del presidente Zurlo «Hanno voluto tagliare le gambe a Flavio»
Lo sfogo: «Da Report escono male anche i calabresi. Io non ci sto»
VERONA — «Hanno voluto tagliare le gambe a Tosi». Ne è certo il presidente della Provincia di Crotone
Stanislao Zurlo, tirato in ballo da Report nel servizio andato in onda lunedì.
Cosa le piace di Tosi?
«Non lo conoscevo personalmente prima del convegno di fine gennaio. Lo giudico un amministratore
efficace e, nell'ambito della Lega Nord, è forse l'esponente che più riesce ad avere una visione nazionale,
meno localistica, delle cose. E' meno "ultrà" e più aperto nei rapporti col resto dell'Italia. Federalista e non
secessionista, insomma».
La consigliera Katia Forte è originaria delle sue parti.
«Era mia compagna di scuola, siamo amici di famiglia: la conosco da quando aveva 13 anni. E' lei che ha
organizzato il convegno e la cena della Fondazione di Tosi».
Come si è svolto l'evento?
«Il convegno è stato organizzato in un auditorium provinciale, la consigliera Forte ha esteso l'invito alle
figure istituzionali: il presidente della Provincia, gli assessori, i consiglieri comunali del capoluogo,
compresa l'opposizione. C'erano categorie economiche e giornalisti. Certamente non eravamo pochi intimi
come Report riporta. In un locale pubblico, con la Digos».
C'era anche Raffaele Vrenna.
«Sì, fra i tanti invitati e dentro una serata che andava oltre la sua valenza politica, visti i temi di interesse
pubblico, come la battaglia contro l'eliminazione delle Province. Tosi ha presentato anche la sua Fondazione,
ma non lo abbiamo sponsorizzato noi come ente: non so, avrà pagato lui, qualche suo amico. Comunque era
una cena pubblica, niente di segreto come han voluto rappresentare in tv ai limiti del manuale della
psichiatria».
Non ha pagato Vrenna. Però si è parlato dei suoi problemi con la giustizia in tv.
«Vrenna è un imprenditore importante a Crotone, è il presidente di una squadra di calcio in serie B. Ha avuto
in passato un procedimento da cui mi risulta sia stato assolto: in uno stato di diritto, quando uno è assolto da
una Corte d'appello e in Cassazione, c'è da ritenere che sia innocente. Poi un imprenditore, come un politico,
soggetti più esposti di altri, può incappare in qualche procedimento penale. Ma è stato assolto e io mi fermo
alle sentenze. Altrimenti a che servono, se si continua a gettare fango? Quando c'è malafede, c'è malafede».
Report ricorda anche una richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti per concorso esterno in associazione
mafiosa.
«Ci sta una richiesta di rinvio a giudizio non per concorso esterno in associazione mafiosa, come Report ha
raccontato, ma per voto di scambio: un procedimento che parte nel 2009, che ha coinvolto un mio assessore,
prontamente dimesso, e poi assolto in primo grado. Ora si vuole rilanciare sul presidente, a cascata. Dunque
confermo che c'è questa richiesta. Per carità, io non contesto mai il lavoro dei magistrati, ma non capisco di
cosa si stia parlando, visto che c'è stata già un'assoluzione in primo grado. Ripeteremo le stesse cose. Sono
sereno. Ma Report ha rappresentato un qualcosa che non c'è. Non solo».
Prego...
«Capiamoci: può essere inteso come voto di scambio anche una pizza offerta ad una cena elettorale.
L'associazione esterna mafiosa significa che uno mantiene delle attività collaterali alle consorterie mafiose.
Fra l'altro, noi a causa di questo procedimento abbiamo avuto una commissione di accesso agli atti: è stata in
Provincia per sei mesi, ha spulciato tutti i documenti e alla fine il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri
ha sancito che non c'era alcuna infiltrazione di carattere mafioso nell'amministrazione che io presiedo».
Alcuni collaboratori di giustizia, però, parlano di legami fra uomini delle cosche e Verona.
«Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia confluiscono nei processi. Proprio nel caso di Vrenna, ad
esempio, se questi ha avuto un processo ed è stato assolto, significa che le dichiarazioni del collaboratore di
giustizia non sono state considerate credibili. Se fosse stato il contrario, Vrenna avrebbe avuto una condanna.
Due più due fa quattro. Non esistono vie di mezzo».
Su questo asse di affidamenti e appalti fra Verona e Calabria, quale è la sua posizione?
«Non ho una conoscenza specifica delle attività veronesi. Ma voglio dire una cosa: la Calabria ha due milioni
di abitanti e un altro milione nel resto d'Italia. Di questi, dalle statistiche, ne risultano 5mila mafiosi:
rimangono 2milioni 995mila calabresi perbene. Quindi, se essere calabrese significa essere delinquente,
allora facciamo una bella cosa: diciamo che la Calabria non può votare, non può amministrare, o lavorare.
Renzi, visto che è così decisionista, firmi un bel decreto legge dove si dice che i calabresi non devono più
avere diritti civili. Ci sono le sentenze, ci sono i tribunali: chi è condannato per mafia è mafioso. Chi viene
assolto è una persona perbene fino a prova contraria. Altrimenti si costruiscono castelli».
Come quelli costruiti da Report?
«Io penso che questo sia stato un tentativo di spezzare politicamente le gambe a Tosi. Il progetto è chiaro. E
se un giornalista perde il requisito dell'obiettività, perde la sua credibilità. Cosa che è successa con questo
servizio. Poi vorrei fare una considerazione: Tosi è venuto a Crotone per il suo convegno. Bene, io so che il
ministro Delrio si è recato a Cutro, qualche tempo prima, perché a Reggio Emilia c'è una comunità
particolarmente numerosa di cutresi. Fatemi capire: Tosi è venuto qui in Calabria perché ha rapporti con i
calabresi o incontri particolari e invece Delrio no? Non solo: tutti quegli imprenditori citati da Report sono
mafiosi? Ci sono delle sentenze in merito? Non possiamo accettare questi messaggi. Oltre a Tosi qui si
danneggiano i calabresi: sembra che tutto ciò che è delle nostre parti sia negativo. Allora ditelo, cancellateci
dall'Italia».
Contro-secessione in salsa calabrese?
«Forse pure ci guadagniamo. Pensi, Tosi qui al convegno è stato contestato proprio dai neo borbonici. Sono
meridionalista convinto, ma a questo punto devo dare ragione a questi signori».
Lei ha sporto querela, come Tosi?
«No. Le querele non portano a nulla. Ho dato mandato ai miei legali di studiare la possibilità di un
risarcimento di carattere patrimoniale con una causa civile: devolverò i soldi ai tanti disoccupati del
territorio».
Silvia Maria Dubois
Valdegamberi chiede verifiche su «Veneto Sviluppo» Sandri: «Mazzette in sanità? Nego»
VERONA - «Il governatore Luca Zaia compia verifiche approfondite sulla gestione di Veneto Sviluppo,
relazioni in tempo breve in aula e, se venissero riscontrate irregolarità, la Regione faccia immediatamente
denuncia all'autorità giudiziaria, in veste di parte lesa». Il consigliere regionale di Futuro Popolare, Stefano
Valdegamberi, lancia un appello, dopo la puntata di Report, nella quale si è fatto riferimento a presunte zone
d'ombra anche nella gestione degli appalti nella sanità regionale. E il governatore, che già martedì aveva
preannunciato verifiche, ieri è tornato sulla questione precisando che gli accertamenti riguarderanno la
pratica «Veneto Sviluppo» e il presunto direttore generale di una Usl che, secondo le parole di Sergio
Borsato registrate dal giornalista Sigfrido Ranucci, avrebbe partecipato a incontri su appalti. «Ho dato
mandato al nostro direttore generale di chiarire completamente questi due episodi, verificando fino in fondo
la veridicità di quanto riportato dalla trasmissione». Nessuna verifica, invece, sulla moglie di Tosi, Stefania
Villanova, di cui ha parlato più volte Borsato con Ranucci. «Non è mai stata ipotizzata alcuna verifica nei
suoi confronti - ha precisato Zaia - in quanto risulta essere da anni dipendente a tempo indeterminato in
Regione e avere da anni un incarico di capo segreteria (dell'assessore alla Sanità Coletto ndr) con contratto a
tempo determinato conforme a quanto previsto dalla legge». Appalti sospetti in Regione? L'ex assessore alla
Sanità Sandro Sandri, giura di non saperne nulla: «Durante il mio mandato non ho mai avuto alcun sentore di
mazzette o cose simili». E quelle parole di Borsato? «Bisogna vedere se quel che ha raccontato a Ranucci era
vero o se era solo un millantare. Se ci sono le mazzette, come recenti fatti veronesi dimostrano, il tenore di
vita di chi le intasca aumenta esponenzialmente e durante il mio assessorato di figure legate al mondo della
sanità che giravano in Ferrari, non ne ho mai viste». Conclusione su Tosi: «Anche se i rapporti ora non sono
più buoni, lo conosco bene e dico solo che un lavoratore indefesso come lui non ha certo i festini per la testa.
Purtroppo in Italia lo share si conquista anche così»
I due amici del trappolone «Stiamo preparando un video anti-Report»
Giacobbo: «La Rai offriva 15mila euro per il film hard»
BASSANO DEL GRAPPA (Vicenza) - «Tutta questa faccenda mi ha insegnato soltanto che la televisione fa
schifo».
Seduto al tavolino di un bar a Marostica, Massimo Giacobbo beve succo di frutta e parla a ruota libera. Per la
prima volta racconta della sua amicizia con il bassanese Sergio Borsato («Ci conosciamo da trent'anni, è un
fratello») e di come è nato «il trappolone» - così l'ha definito Milena Gabanelli - alla trasmissione Report.
A marzo i due vicentini avevano filmato di nascosto le trattative dell'inviato della trasmissione Sigfrido
Ranucci per procurarsi un video che mostrerebbe il sindaco di Verona Flavio Tosi in compagnia di alcuni
transessuali. «Era disposto a utilizzare i soldi pubblici, pur di averlo», giura Borsato. «Mi ha perfino
mostrato i moduli da firmare - rincara Giacobbo - per consentire alla Rai di versare a una società di mia
fiducia una cifra compresa tra i 10mila e i 15mila euro».
Report nega, ma intanto già da settimane i due hanno consegnato a Tosi i filmati della trattativa, offrendo al
sindaco l'occasione per tuonare contro Report che - sostiene - avrebbe costruito a tavolino le accuse contro la
sua amministrazione. Ipotesi pesanti, quelle mandate in onda dalla Rai Tre lunedì sera: da presunte collusioni
con la 'ndrangheta fino ai favoritismi per la moglie del comandante della Finanza alla quale sono stati offerti
gratis gli spazi per una mostra. Ma il programma della Gabanelli ha comunque provocato un terremoto, al
punto che l'ex sottosegretario Alberto Giorgetti ha chiesto al prefetto di valutare se è il caso di sciogliere il
consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
Nella bufera sono quindi finiti tutti i protagonisti della vicenda, compresi Borsato e Giacobbo. Il primo è un
cantautore leghista («Bossiano convinto», assicura) con un passato come autore tv al fianco di Massimo
Bubola. L'altro è un imprenditore che commercia mobili per ufficio e che l'ex titolare della società veronese
Gei Soft ha denunciato per avergli sottratto l'azienda millantando intrallazzi con Veneto Sviluppo ed
esponenti politici. «Tutte balle - ribatte Giacobbo - sono io la vittima: dopo che quell'uomo è riuscito a
rifilarmi la sua impresa, ho scoperto che era piena di debiti». C'è chi li descrive come il Gatto e la Volpe, e
chi li indica come i paladini della legalità per essersi rifiutati di «sparare» contro Flavio Tosi.
Il sindaco, già il mese scorso aveva consegnato alla magistratura i filmati forniti dai due. A Padova qualcosa
si sta muovendo: lunedì scorso in questura è stato interrogato Giacobbo. Quindi non si indaga sui fatti
raccontati dalla trasmissione, ma solo sulla presunta macchinazione ai danni del segretario veneto del
Carroccio.
«Perchè ho collaborato al "trappolone"? Non certo per salvare Tosi», assicura Giacobbo. «Per me la Lega
vale zero. Io sono di ultradestra, in confronto al sottoscritto Storace è un comunista. L'ho fatto solo perchè
Borsato mi ha chiesto una mano a smascherare il teatrino messo in piedi da Report».
Quando Ranucci ha contattato il bassanese nella convinzione che avesse il fantomatico video hard, lui ha
finto di poterselo procurare grazie a un amico. «Dovevo fare la parte di un leghista omosessuale e un po'
ebete, che aveva girato il filmino a luci rosse con Tosi e che ora se la faceva sotto per il timore che qualcuno
potesse farmi del male pur di entrarne in possesso».
All'incontro - avvenuto a Roma - con l'inviato di Report e il cantautore, Giacobbo si è presentato
nascondendo una mini-telecamera. «È grande come un bottone e l'ho comprata su internet per 240 euro.
Quelli della Rai hanno mandato in onda solo ciò che faceva comodo a loro, ma noi abbiamo la registrazione
integrale e lì si evince chiaramente che Ranucci era disposto a pagare con soldi pubblici le immagini
inesistenti di Tosi e i trans».
Borsato annuncia di stare preparando una contro-inchiesta «che dimostrerà come sia sufficiente un adeguato
montaggio in stile Report per mistificare la realtà». Dal fronte opposto, Ranucci assicura: «Pagare per il
filmino hard? Figuriamoci, il mio era solo un bluff. I moduli Rai che ho mostrato a Giacobbo erano un falso:
dietro al primo foglio c'era la ricerca di Scienze di mia figlia...».
Andrea Priante
«La mia foto a Report non c'entra»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
«Le famiglie Giardino? Nel Veronese saranno un centinaio. E di Antonio solo io ne conosco almeno 15. Il
problema è che io mi chiamo Alfredo Antonio e nel servizio mandato in onda da “Report” c'è la mia foto e si
fa riferimento a me come un collegamento tra l'amministrazione Tosi e l'ambiente 'ndranghetoso. Nulla di
più falso, non c'entro niente e non conosco nemmeno il sindaco. Tantomeno Giorlo, mai andato a cena con
loro e da quando vivo a Verona, dal 2005, non ho mai votato». Piccolo imprenditore nel settore edile, «ma
mi occupo di mediazioni nella commercializzazione di materiali, non di appalti milionari», nello studio del
suo legale, l'avvocato Maurizio Milan, spiega che da lunedì sera ha ricevuto decine di chiamate. Perchè
«quel» Gardino di cui parla un pentito nella ricostruzione fatta da Ranucci relativamente alle infiltrazioni
delle cosche nella nostra città non è lui.
«Hanno preso una foto che è pubblicata su Facebook, io e Sinopoli siamo appassionati di “Paint Air” ma non
ho nulla a che vedere con quello scenario, tantomeno con armi da guerra. La banca mi ha convocato dicendo
che deve rivedere i rapporti con la mia azienda, un fornitore oggi (ieri per chi legge, ndr) non mi vuole
consegnare i pallet. Francesco Sinopoli (nella lista Civica per Verona alle ultime elezioni, ndr)? Certo che lo
conosco, siamo entrambi di Crotone, lui fa il rappresentante, ma con tutto il resto io non ho mai avuto niente
a che fare. Figuriamoci precedenti di quel genere o coinvolto in inchieste di 'ndrangheta. Ma per carità. Ho
due figli, sono un piccolo commerciante che da lunedì sera è in difficoltà. Pensi che è stato mio padre a
chiamare per dirmelo. Per carità».F.M.
IL CASO. Parla la giovane romena che accusò l'assessore, all'epoca consigliere comunale, di violenza
sessuale
«Con Giorlo solo un fraintendimento»
Giampaolo Chavan
Denuncia ritrattata nel giro di un mese. L'avvocato Bussinello: «Ci hanno consegnato una somma»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
La presunta violenza sessuale subita da Giorlo? «Un fraintendimento». La giovane romena chiude così
l'episodio avvenuto con l'ex assessore all'epoca dei fatti consigliere comunale. Secondo la denuncia della
trentatreenne poi ritirata, l'ex assessore ha allungato le mani nelle sue parti intime.
L'accusa di violenza sessuale è nata e morta nel giro di un mese. Prima è partita la denuncia per violenza
sessuale della giovane poi con la seconda memoria si è chiarito l'episodio è l'abuso è diventato un
«fraintendimento». Già perché sulla base di questa seconda memoria, la procura ha chiesto l'archiviazione
del procedimento, poi accolto dal gip.
Un secondo scritto arrivato dopo che il legale della giovane, l'avvocato Roberto Bussinello ha firmato una
transazione con il difensore di Giorlo. «Ci hanno consegnato una somma», ha spiegato Bussinello, «ma non
rivelo l'entità». E sulle minacce di alcuni personaggi vicini all'ex assessore rivolte alla giovane perchè
ritirasse la querela, il legale alza le mani: «Non ne so niente».
Eccolo qui uno degli episodi finiti nella trasmissione «Report» su Raitre di tre sere fa che vede coinvolto
Giorlo. L'ex esponente di punta della lista Tosi si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda. Una vicenda che
va ad aggiungersi anche a quella di un'altra veronese che si era presentata da Bussinello per sporgere
denuncia sempre contro il recordman di preferenze secondo solo a Giacino. Questa denuncia non è mai stata
depositata in procura. «Il motivo? Non lo ricordo», taglia corto il legale.
Eppure il racconto della romena nella denuncia depositata in procura il 24 febbraio 2011 era piena di
dettagli. La vicenda parte dalla richiesta della giovane di incontrare l'allora consigliere comunale, conosciuto
attraverso una vicina di casa per chiedergli di trovare un lavoro. Iniziano così una serie di appuntamenti a
partire dal 21 gennaio 2011 a Palazzo Barbieri. Si arriva al 16 febbraio 2011 quando Giorlo e la romena si
incontrano vicino al teatro Romano. I due raggiungono un appartamento. Una volta entrati, riporta la querela.
«Giorlo mi esortava: "Dai spogliati, cosa aspetti?» ed io allibita gli rispondevo: «Come spogliati? Per parlare
di un lavoro, non ho bisogno di spogliarmi». Nonostante la risposta della romena, Giorlo avrebbe allungato
le mani, «intimandomi in modo disgustoso: «Vuoi trovare lavoro o no?(..) Io ero attonita poiché non mi
aspettavo affatto una situazione di quel tipo», racconta la romena. E aggiunge: «Ero colma di rabbia nei
confronti di una persona che abusando della sua carica utilizza in modo spregevole il suo potere per
raggiungere finalità tutt'altro che lecite e socialmente utili».
Solo 34 giorni dopo, il 28 marzo 2011, con l'avvio delle trattative tra i due legali lo scenario cambia
completamente. La trentatreenne deposita una memoria in cui rivede ciò che aveva denunciato solo un mese
prima: «Probabilmente per la rabbia e la foga del momento non ho tenuto in considerazione alcuni aspetti».
E precisa: «Fermo restando che non avevo manifestato il mio consenso a tale approccio, è giusto riferire che
non appena mi sono alzata in piedi per interrompere l'azione di Giorlo quest'ultimo desisteva dal suo
proposito dicendomi «se non vuoi, non fa niente», chiedendomi scusa e dicendomi che forse aveva frainteso
il mio atteggiamento». Il caso in procura è stato così chiuso.
Rivoli: Toffali in consiglio «Sono estraneo al caso Serit»
RIVOLI — E' ancora tutta aperta la vicenda del trasferimento della Serit nell'area industriale di Rivoli.
L'amministrazione sta tentando di sgarbugliare la matassa urbanistica della variante che consentirebbe
l'insediamento dell'azienda per la raccolta rifiuti. Il sindaco Mirko Campagnari, l'altra sera ha convocato il
penultimo consiglio comunale prima della scadenza del suo secondo mandato, proprio per discutere la
faccenda dinnanzi a un pubblico di cittadini piuttosto inferociti. Ed ha pure invitato a prendere la parola
anche l'assessore agli Enti partecipati del Comune di Verona, Enrico Toffali, tirato in ballo in aula a metà
marzo dal consigliere di minoranza Roberto Lorenzini, a sua volta coinvolto nella vicenda, essendo sua
moglie la proprietaria del terreno di 58mila metri quadrati su cui dovrebbe insediarsi la Serit. «Sono stato
accusato di essere l'artefice dell'operazione – esordisce Toffali - ma io ero all'oscuro di tutto. Sono stato
informato dal sindaco Campagnari di quello che stava succedendo. Nel 2005, quando è stata adottata la
variante che cambiava destinazione d'uso da agricola a industriale dell'area, ero sì assessore all'Urbanistica di
Rivoli, ma non ero preveggente e non potevo immaginare che dopo 10 anni si sarebbe potuta insediare qui la
Serit». E ancora: «Ho dato le dimissioni da assessore di Rivoli nel 2007, quando nel novembre sono stato
nominato da Tosi presidente di Serit e di Amia, ma vi sono rimasto solo otto mesi, poiché nel giugno 2008
sono stato nominato assessore nel Comune di Verona». E se possa l'assessore agli Enti partecipati essere
all'oscuro dei progetti di Serit, Toffali risponde: «E' il cda che prende le decisioni industriali, mentre il socio
non ha potere di scelta. Quando ho appreso la notizia ho chiamato Serit che mi ha confermato l'intenzione,
ma ora questi sono affari del Comune di Rivoli e non mi riguardano. Di certo nemmeno a me fa piacere
avere a un chilometro in linea d'aria sotto le finestre della mia casa a Rivoli una ditta che non lavora
caramelle». Ma Toffali, poi, tira fuori anche le questioni de la 'ndrangheta, con la messa in onda di Report di
lunedì sera, in cui nel corso della trasmissione viene citata la ditta di rifiuti dall'imprenditore che accusa il
sistema degli appalti con «assunzioni di calabresi nella Serit …». «In questi giorni è di moda parlare di
‘ndrangheta e ogni volta che si parla di Rivoli viene fuori il mio nome, ma io sono estraneo ai fatti –
prosegue Toffali - sono stato accusato anche da L'Espresso l'anno scorso di essere protagonista della vicenda
del polo scolastico». Ma quando è stata deliberata la costruzione della scuola, (poi posta sotto sequestro e
sospesi i lavori per sospetta infiltrazione ‘ndranghetese), lei che ruolo ricopriva? «Ero assessore a Rivoli, ma
in tutta la fase in cui si è svolta la gara d'appalto io ero già a Verona».
Annamaria Schiano
BRENZONE. Legambiente, Italia Nostra e Wwf pronte a dare battaglia al project financing con
esposti e raccolta firme
Gruppi ambientalisti contro nuova funivia e porto turistico
Emanuele Zanini
Intanto a Torri è stato approvato il Pat che prevede la realizzazione di uno studio per collegare con un
impianto di risalita Pai a San Zeno
giovedì 10 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 38
Levata di scudi delle associazioni ambientaliste contro il project financing di Brenzone. Legambiente, Italia
Nostra e Wwf sono pronte a dare battaglia a suon di esposti e raccolta firme contro il doppio progetto,
proposto dalla società Technital, che prevede la costruzione di una nuova funivia tra Castelletto e Prada e di
un porto turistico in località Acquafresca ad Assenza.
Secondo i tre gruppi ecologisti il piano proposto deturperà irrimediabilmente il territorio, provocando un
danno non solo all'ambiente ma anche all'immagine del lago di Garda e del monte Baldo.
E intanto ieri al Consiglio comunale di Torri è stato approvato il Pat al cui interno è prevista la realizzazione
di uno studio strategico per collegare Pai a San Zeno di Montagna attraverso un impianto di risalita. Ma
torniamo al progetto di Brenzone. Per Lorenzo Albi, presidente di Legambiente Verona, l'opera non ha alcun
senso, specie l'impianto di risalita. «A che cosa serve», si chiede Albi, «una funivia di questo genere quando
a pochi chilometri a nord c'è già quella di Malcesine e poco più a sud, seppur al momento ferma, quella di
Prada-Costabella?». Per il presidente di Legambiente Verona la proposta va azzerata, nonostante sia stata
inserita nel piano d'area regionale. «Sulle coste del Garda, già abbruttite da continue nuove costruzioni, non
c'è più spazio per altre opere del genere. Credo che con un altro intervento di questo tipo si rischi un effetto
boomerang per il territorio e per il turismo». «I visitatori», continua, «rischiano di fuggire invece di essere
attirati sulle rive del lago. Purtroppo esiste ancora un certo tipo di politica che crede che il rilancio
dell'economia passi attraverso progetti come questi. Ma non è così». Albi lancia infine un appello alla
Regione e alla classe politica di Brenzone: «Si esprimano con chiarezza su questo piano. Chi è contrario lo
dichiari con fermezza e agisca».
Sulla stessa lunghezza d'onda il punto di vista di Giorgio Massignan, presidente di Italia Nostra Verona, che
sta preparando un esposto da inviare alla Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesaggistici del Veneto e
alla Regione.
«La zona è vincolata, non si può considerarla come una mera “piattaforma” su cui creare reddito a discapito
dell'ambiente». Massignan, oltre che sulla funivia e il porto, punta il dito sulla prospettata strada mediana
prevista nel project che andrebbe a tagliare trasversalmente il Baldo da Cassone fino a Villanova di San Zeno
di Montagna. «Questa arteria cambierebbe irrimediabilmente l'urbanistica del territorio compromettendone il
fragile assetto idrogeologico. La strada sarebbe poi una sorta di cavallo di Troia per urbanizzare l'area fino ai
piedi del lago. Perché», si chiede Massignan, «al posto di queste opere così impattanti non si realizza invece
un eco-trenino in grado di trasportare sulla dorsale i turisti, e non solo, senza così deturpare il territorio?».
Sul project financing il presidente di Italia Nostra precisa inoltre che «l'attuale maggioranza di Brenzone
vorrebbe chiudere l'accordo con Technital obbligando la prossima amministrazione, che si insedierà a fine
maggio, a portare avanti questo progetto ancora prima dell'approvazione definitiva. E se l'opera non dovesse
essere realizzata? Si rischia di dover pagare pesanti penali. Ci potrebbero essere gli estremi per chiedere i
danni alla maggioranza e ai consiglieri che hanno approvato questo piano». Le posizioni di Albi e Massignan
sono sostenute anche da Averardo Amadio, presidente onorario di Wwf Veneto, secondo il quale il Garda e il
Baldo «hanno caratteristiche uniche e anche per questo devono essere tutelati e conservati. Negli anni hanno
già subito abbastanza. Questo territorio non deve essere lasciato in mano a chi vuole distruggerlo: va
fermato, altrimenti si rischia di arrecare danni irreversibili all'ambiente».
Autonomia, Renzi apre al Veneto «Siete colonna portante dell'Italia»
Stop ai tagli lineari: «Chi ha pagato di più, pagherà un po' meno»
VERONA — Cordone di sicurezza imponente, giornalisti e curiosi ovunque, telecamere in testa e, quando va
meglio, gomitate. Una ressa così non si vedeva da tempo anche in un posto sempre affollato come la Fiera di
Verona durante il Vinitaly. Ma c'era da aspettarselo per una prima assoluta del (neo)presidente del Consiglio
Matteo Renzi. Anzi: una prima assoluta per un capo di governo, anche se qualcuno giura di ricordare un
passaggio di più di venticinque anni fa. Forse Giovanni Goria, forse Ciriaco De Mita.
Il ritmo di Renzi però non è certamente quello della prima Repubblica, la forma e il protocollo meno che
meno. Il passo è quello spedito a cui ha abituato i giornalisti, i curiosi (e i contestatori) a Treviso poco più di
un mese fa, i saluti e le strette di mano anche («Ciao, piacere sono Matteo»). E il primo omaggio
naturalmente è al Veneto.
Uno sguardo rapido ai due leoni di San Marco che presidiano l'entrata del padiglione, un passaggio veloce tra
gli stand degli espositori e una sosta nella struttura di rappresentanza della Regione. «Non sono mica come
Zaia, ho bisogno di mangiare qualcosa se bevo prosecco alle 10 del mattino». Risate, brindisi (con tanto di
sorsata conseguente a una fettina di prosciutto) e bollicine. Tante. Anche da parte del governatore Luca Zaia
che risponde a tono consegnando al premier un gonfalone rosso e dorato con il leone alato. «Basta che non
sia il tanko», ride Renzi aspettando la pioggia di flash mentre stende la bandiera insieme a Zaia. Perché sia
chiaro, del tanko Renzi non ha nessuna intenzione di parlare. «Certe iniziative eclatanti e molto visibili
esulano dal campo della politica. Il Veneto è una regione che amo e che resterà una colonna portante
dell'Italia», dice. I tanki dunque sono e restano un affare della magistratura e i referendum non istituzionali
non lo spostano di una virgola. Su tutto l'affaire indipendenza Renzi ha calato un sipario pesante. E anche di
più.
L'orecchio da ex sindaco però è politicamente sensibile ad altre richieste. E di fronte alla domanda (quasi)
unanime del Veneto di una maggiore autonomia ieri si è aperto uno spiraglio. Non una voragine, sia chiaro.
Non uno spazio che contenga i referendum della Regione (quel progetto di legge 342 che andrà in
discussione in Consiglio regionale i primi giorni di giugno). Anche la richiesta di statuto speciale alla
Trentino Alto Adige che marcia inesorabile verso la conferenza Stato-Regioni di lunedì sembra ancora un
orizzonte lontano.
Ma un'apertura c'è. Ed è tutta fiscale, come piace a molti veneti. «Ci sono alcune Regioni che finora hanno
pagato molto più di altre», dice Renzi dal palco dell'Auditorium Verdi di fronte a una pletora nutrita di
telecamere e ospiti (tra cui il sindaco di Verona Flavio Tosi con cui Renzi ha parlato in privato per un quarto
d'ora prima entrare in sala). «Adesso le cose devono cambiare - continua il premier - È sacrosanto che la
riorganizzazione della spesa diventi uno strumento per aiutare le regioni più in difficoltà, ma chi ha già
pagato adesso deve pagare un po' meno. Non si può continuare a chiedere sforzi ai territori virtuosi e poi
spendere male i soldi». Insomma, non si può chiedere continuamente ai veneti di lasciare sul piatto di Roma
una montagna di miliardi di euro mentre le piccole medie imprese che una volta marciavano spedite vedono
il terreno franare sotto i piedi. «La revisione della spesa non sarà più fatta basandosi su tagli lineari - assicura
Renzi - Non va bene, non è questo che deve fare un governo. Non è pensabile che la Sanità del Veneto debba
subire interventi pesanti e uguali a quelli di altre regioni». Roba che, a onor del vero, il governatore e
l'assessore regionale al Bilancio Roberto Ciambetti dicono ormai da un po' di anni ripetendolo allo
sfinimento. Se ne accorge anche Renzi che «questa è roba che sa tanto di leghismo». E ricorre all'excusatio
non petita e chiaramente manifesta. «Lo dico subito: valorizzare il Veneto non è questione di leghismo. È
giustizia. È equità». È una risposta ai parlamentari veneti che da settimane si mettono le mani nei capelli
ogni volta che il governo accentra e dà meno spazio alle autonomie che qui valgono ben più di un pugno
sparuto di voti.
E per questo Renzi dal palco internazionale del Vinitaly non si limita a esprimere giudizi lusinghieri sulla
virtuosità del Veneto. Traccia (al momento a parole) anche una doppia linea d'azione del governo. Prima
promette che con il prossimo viaggio in Cina si farà pressione su Pechino perché l'export di vino italiano
passi nei prossimi sei anni da cinque miliardi di euro a sette e mezzo (e il Veneto farebbe la parte del leone) e
poi rassicura tutti i veneti. «Dove si sono già fatti interventi di razionalizzazione non si può insistere
ulteriormente - spiega Renzi -. Adesso la razionalizzazione si deve fare dove non si è ancora fatta». Un po'
meno di pressione fiscale, un po' meno tagli, un po' più di ossigeno per le imprese in cambio di un contributo
al rilancio di tutto il Paese. «Il Veneto può tornare a essere la locomotiva che ci trainerà fuori da questa
crisi», ripete. E lo dice come lo direbbe l'amministratore delegato di una grande società a proposito di un sua
controllata. «Il Veneto è un nostro asset».
«La discussione sul Titolo V (la parte di Costituzione che descrive i poteri di Regioni, Province e Comuni)
non è più astratta o filosofica, ora è il momento di entrare nel merito». Anche di una maggiore autonomia per
quelle regioni che si sono dimostrate virtuose. «Ho già parlato con Zaia», conclude Renzi riconoscendo che
«in questo territorio l'attenzione alla spesa è stata decisamente migliore di altre regioni».
Alessio Antonini
Brindisi e abbracci Zaia: «Bene Matteo, ma adesso i fatti»
VERONA — Veneto virtuoso, Veneto che ha già pagato molto, Veneto che ha già razionalizzato e contenuto
la spesa pubblica. E ancora: Veneto che non può più subire tagli pesanti come altre Regioni dove ancora si
spreca. Una serie di dichiarazioni - quelle fatte ieri da parte del premier dal palco del Vinitaly - per cui lo
stesso Matteo Renzi si è sentito in dovere di mettere le mani avanti: «Non è mica questione di leghismo, è
questione di giustizia».
«Un atto di autoaccusa», ride divertito Luca Zaia un'oretta dopo, quando il presidente del Consiglio se ne è
andato e la Fiera di Verona ha ripreso a respirare (e a bere). Il governatore ha parlato a lungo con Renzi. Non
solo ieri. Anche nelle settimane scorse, a palazzo Chigi. E la maggiore autonomia del Veneto sembra a un
tratto qualcosa di possibile. «La luna di miele va avanti, i cento giorni non sono ancora passati. Quindi per il
momento va tutto bene. Adesso però aspettiamo che finisca il roadshow e vediamo i fatti concreti», frena
Zaia. Nessuna pregiudiziale su Renzi, lascia intendere. Ma i fatti concreti («come concreti sono i veneti»)
non si sono ancora visti. Anche le dichiarazioni di intenti, le foto insieme con i lembi opposti della bandiera
di San Marco tenuti in mano a favore di pubblico non hanno colmato il fossato tra i due politici dal colore
diverso (e lo stile a volte simile).
«Ammetto che aver accettato e aver dimostrato di gradire il dono della bandiera del Veneto è stato un segno
di grande rispetto da parte del presidente Renzi nei confronti dei veneti», sottolinea il governatore. Non
sfugge però un riferimento alla campagna elettorale che coinvolge tutte le schiere: «Ultimamente chiunque
venga qua in Veneto diventa un po' autonomista...». Una frecciatina subito equilibrata da una punta di
orgoglio. «D'altronde quando uno viene in Veneto e vede come funzionano le cose da noi non può che
riconoscere che abbiamo ragione a reclamare maggiori spazi decisionali». Insomma, non poteva che essere
questa la risposta del governo alle richieste («ubiquitarie») del Veneto. A maggior ragione se si tratta di un
presidente del Consiglio che lascia da parte il protocollo e la forma, ma apparentemente fa dell'ascolto uno
dei suoi punti fermi (ieri Renzi ha lanciato l'hashtag #campolibero perché le associazioni di categoria e tutti i
cittadini critichino ed emendino le proposte di rilancio dell'agricoltura del ministro Maurizio Martina per
arrivare a una strategia condivisa).
«Renzi ha dimostrato rispetto per i veneti a differenza di altre istituzioni dello Stato presenti sul nostro
territorio (il riferimento è alla prefettura di Verona, ndr) che si rifiutano di esporre la nostra bandiera e che
non vogliono inchinarsi davanti a un popolo che ha dato tanto e dà tanto all'Italia». Anche l'intenzione del
governo di evitare in futuro i tagli lineari viene accolta (bene) come un atto giusto ma dovuto. «Abbiamo
ampiamente dimostrato che siamo i più virtuosi, i più bravi nella gestione dei conti e che siamo una Regione
di riferimento nazionale per tutta la Sanità italiana», aggiunge Zaia che non ce la fa proprio a trattenersi dal
parlare della montagna di soldi che i veneti pagano al resto del Paese tutti gli anni. «Lasciamo ogni anno a
Roma ventuno miliardi di tasse - sbotta il governatore -. Non è possibile che il nostro residuo fiscale si
trasformi in sprechi». Non è nemmeno una questione di mancanza di solidarietà. Le statistiche delle
donazioni di sangue e dei finanziamenti alle associazioni umanitarie e alle onlus dimostrano che i veneti non
sono gente che si tira indietro. «Ma non può essere solidarietà che va a favore degli spreconi - conclude Zaia
-. Non capiamo per quale motivo dobbiamo chiudere le aziende, vedere imprenditori che si suicidano,
cittadini che perdono i posti di lavoro e continuare a pagare a Roma tasse che vengono sprecate».
Sulla strada di Renzi (quella che porta ai «fatti concreti») però ci sono ancora molti ostacoli solidi. Lo
riconosce anche il sindaco di Verona Flavio Tosi che ha parlato faccia a faccia con il premier per una
quindicina di minuti (i due erano saliti sul palco del Vinitaly insieme l'anno scorso come sindaci). «Quando
l'ho visto - dice Tosi - gli ho chiesto se ha trovato più resistenza nella grande burocrazia romana oppure in
Parlamento e lui ha risposto che crede che la maggiore resistenza gli arriverà dalla grande burocrazia
romana. Lui sa che si sta giocando il tutto per tutto, perché sta facendo quello che avrebbe dovuto fare tre
anni fa il presidente Mario Monti».
Al.A.
Vinitaly, bilancio da brindisi Più 6 per cento di visitatori, gli stranieri crescono ancora
Il presidente Riello: importante l'investitura del governo
VERONA — Con l'evento clou della visita del presidente del consiglio Matteo Renzi si è conclusa, ieri, la
48esima edizione di Vinitaly. L'evento ha portato nei padiglioni della fiera 155mila visitatori, il 6% in più
dell'anno scorso, con un incremento notevole anche delle presenze straniere.
La forza di questa edizione è stata, però, soprattutto la presenza in massa di rappresentanti del governo: il
ministro del Lavoro Giuliano Poletti e quello dell'Interno Angelino Alfano si sono alternati tra domenica e
lunedì, il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina è rimasto praticamente per tutta la durata della
manifestazione, mentre per la prima volta nella sua storia Vinitaly ha registrato l'arrivo di un presidente del
Consiglio. Un'investitura importante per la maggiore fiera dedicata al vino d'Italia, in vista dell'anno
prossimo, quando Vinitaly sarà chiamato ad allestire anche il padiglione dell'Expo 2015 dedicato al vino.
«Il governo sta facendo molto per il vino – ha detto, durante l'incontro con Renzi il presidente di Veronafiere
Ettore Riello – e l'investitura che abbiamo ricevuto è importante, perché riconosce alla Fiera e a Vinitaly un
ruolo centrale e di sistema per la promozione del vino italiano nel mondo. Alla vigilia di questo grande
evento non possiamo che esprimere la nostra profonda e sincera gratitudine per il supporto che abbiamo
trovato nelle più alte cariche istituzionali». E se dal punto di vista istituzionale quest'ultima edizione è stata
un successo, anche dal punto di vista delle presenze l'affluenza è stata molto buona. «La presenza di buyer
dall'estero, in costante crescita negli anni – ha sottolineato il direttore generale di Veronafiere, Giovanni
Mantovani – è la dimostrazione della centralità della nostra manifestazione per gli operatori professionali di
tutto il mondo. Con 56mila presenze estere su un totale di 155mila saliamo al 36% di buyer internazionali.
Al primo posto c'è la Germania, con gli Usa quasi a pari merito; seguono Gran Bretagna, Canada, Russia,
Svizzera, Singapore, Hong Kong e Cina, la Francia al settimo posto, Austria, Giappone». Operatori che non
sono solo venuti a visitare la fiera, ma anche a stringere rapporti commerciali. Anche da un punto di vista del
business Vinitaly si è dimostrata una fiera molto vitale: «E' stata un'edizione molto buona di Vinitaly – ha
sottolineato Nadia Zenato, rappresentante dell'omonima cantina e delle Famiglie dall'Amarone –
probabilmente la migliore degli ultimi anni. Molte presenze, buon numero di stranieri e anche di operatori
cinesi che rappresentano il futuro del vino. I colleghi che sono stati al Prowein di Dusseldorf mi hanno
garantito che questo Vinitaly è manifestazione di maggior interesse proprio dal punto di vista del business».
Francesco Ripaccioli, vicepresidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, conferma le buone
impressioni: «La fiera è andata piuttosto bene. Molti contatti che poi dovremo perfezionare, ma grande
attenzione da parte degli operatori». Se c'è un tema su cui migliorare potrebbe essere quello delle presenze,
forse troppe, secondo Luciano Piona, responsabile viticoltura di Confagricoltura Verona: «Credo che
andrebbero separati gli operatori dagli appassionati. Troppe presenze contemporaneamente non favoriscono
né noi, né la fiera. Penserei a dedicare un giorno specifico agli appassionati. In questo modo ci sarebbe meno
afflusso in termini assoluti, ma minori problemi logistici. E anche la città potrebbe dare un'immagine
migliore». In effetti uno dei grandi temi di questi giorni sono stati gli ingorghi determinati dall'assalto dei
visitatori: «Oggi (ieri per chi legge, ndr) è stata una giornata meno impegnativa», ha dichiarato il
comandante della polizia municipale Luigi Altamura. In totale sono state comminate 150 multe per
parcheggi irregolari.
INCONTRI. Don Antonio Mazzi protagonista del convegno dedicato a giovani e vino nell'educazione
degli adolescenti
Sbronzarsi? «Gioco pericoloso»
Appello ai genitori: «Ai ragazzi non concedete tutto solo perché non disturbino la vostra vita di adulti»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 11
Se per i giovani sbronzarsi è solo un gioco, una gara a chi fa peggio, sfidando la morte, a dover essere
educati non sono i ragazzi ma i loro genitori. La provocazione viene da don Antonio Mazzi, fondatore di
Exodus e della Fondazione Centri Giovanili che opera nel settore del disagio giovanile, protagonista a
Vinitaly del convegno su giovani e vino, organizzato da Nadia Puttini, con l'assessore comunale ai Servizi
sociali e alla famiglia Anna leso, il pedagogista Valter Drusetta, il cantante Timoty della band Ostetrika
Gamberini, l'enologo Nazareno Vicenzi della Cantina del Consorzio del Soave, Maria Giovanna Sandri,
coordinatrice dell'Unione degli universitari (Udu), e a Claudio Longega, della polizia municipale e
rappresentante dell'International police association.
Don Mazzi, il cui ultimo libro s'intitola «È severamente proibito fare figli», ha proposto delle riflessioni sul
rapporto tra genitori e figli. «Trent'anni fa andavo al parco Lambro a Milano a parlare di droga, un fenomeno
che riguardava soprattutto le fasce povere della società», ha detto. «Oggi sono qui a parlare di un disagio
attuale che attraversa i ceti sociali, quello dell'alcol e delle droghe ludiche. Perchè per i nostri ragazzi la
sbronza, la gara a chi beve di più, a chi prende più pasticche, è solo un gioco come altri. Ma questi ragazzi
giocano con la loro vita. E noi dobbiamo chiederci il perchè. Anzi, se lo devono chiedere i genitori. E
imparare a stare di più con i figli. Ai quali non va concesso tutto, purche non diano fastidio. Ci sono delle
priorità da ristabilire. E la prima è il valore della vita».
In questo senso la musica può fare molto poichè, come dice don Mazzi, «è una delle quattro ruote educative
per la prevenzione del disagio educativo, insieme alla danza, al teatro e al volontariato». Tesi sposata dal
cantante Timoty che invita i ragazzi, prima dei concerti, a salire sul palco, a capire cone funzionano gli
strumenti musicali e le note. «Se fai capire il lavoro, i contenuti che ci sono nello spettacolo, allora li
coinvolgi e dai loro un motivo d'attenzione diverso dall'alcol», ha spiegato.
Per il dottor Drusetta, che collabora con la Fondazione Centri giovanili Don Mazzi, bisogna educare i ragazzi
alla disobbedienza alle dinamiche di massa, ad andare oltre agli schemi di gruppo che portano gli adolescenti
verso comportamenti devianti. In altre parole, aiutare i giovanissimi a sviluppare un senso critico nei
confronti di certi luoghi comuni sul «divertimento», inteso come sballo, trasgressione ed esibizionismo sui
social network. Offrire ai ragazzi occasioni di risolvere le loro difficoltà con l'associazionismo e il
volontariato, hanno ribadito Sandri e Vicenzi, quest'ultimo impegnato nella sua parrocchia come animatore.
L'alcol non deve diventare un «amico» o un rifugio, ha ricordato Longega parlando di alcol e incidenti
stradali.E.CARD.
La Finanza all'Agec, assunzioni nel mirino Polemiche su Croce
Esposto dell'azienda all'Ordine degli avvocati
VERONA - A distanza di quasi un anno dalle perquisizioni che portarono agli arresti di fine ottobre per lo
scandalo degli appalti pilotati nell'Agec, ieri mattina la guardia di finanza è tornata negli uffici dell'ente.
Nessuna gara d'appalto sospetta. A finire nel mirino degli investigatori, questa volta, sarebbe stata la
documentazione relativa ai regolamenti delle modalità di assunzione nell'azienda. Pochi i dettagli che
trapelano, ma è indubbio che la presenza dei militari non è passata inosservata. E in un momento così
«caldo» sul fronte giudiziario (e mediatico), è destinata a scatenare polemiche. Specialmente dopo che il
presidente dell'ente Massimo Galli Righi e il direttore generale Maria Cristina Motta hanno annunciato di
aver presentato un esposto all'Ordine degli avvocati nei confronti dell'ex presidente Michele Croce, avvocato
che, anche nella recente puntata di Report, non ha nascosto i dubbi personali sulla gestione dell'azienda.
Intervistato, Croce ricordava che cinque degli otto ex dirigenti arrestati a ottobre sono stati «incredibilmente»
(ipse dixit) reintegrati in azienda dopo aver patteggiato davanti al gup. Ed è scattato l'esposto al consiglio
dell'ordine degli avvocati, nel quale si sottolinea che, per i reati contestati ai cinque reintegrati, «il
presupposto destitutorio o decadenziale è la sentenza di condanna irrevocabile (e non quella di
patteggiamento, ndr)».
Ma Croce non è stato l'unico a criticare. «Non vogliamo entrare in polemiche di carattere esclusivamente
politico - spiegano i vertici Agec -. Diverso è il caso dell'avvocato Croce che, per la professione che esercita,
non può formulare critiche dispregiative infondate sul piano del diritto». E, infine, la stoccata: «Ricordiamo
anche la richiesta della Corte dei Conti e del pm di Venezia ancora in attesa di conclusione per i lavori non
utili (18.427 euro) e i lavori utili ma non indispensabili (9.129 euro) per un totale di 27.556 euro, che Croce
dispose all'epoca della sua presidenza Agec. La revoca del suo mandato fu infatti richiesta all'unanimità da
tutti i consiglieri d'amministrazione». Mentre il presidente dell'ordine Bruno Piazzola, rivela di non aver
ancora ricevuto l'esposto («Eventualmente sarà valutato in sede di consiglio, come da procedura»), il diretto
interessato replica ai vertici di Palazzo Diamanti: «Finalmente Agec fa sentire la sua voce. Non per
tranquillizzare inquilini e cittadini né per fornire chiarimenti sulle vicende opache che l'hanno riguardata, ma
per proclamare iniziative nei miei confronti». Sui 5 dipendenti reintegrati non cambia idee: «Massimo
rispetto e solidarietà umana a loro e alle loro famiglie, ma ritengo profondamente immorale il loro
reintegro». E sulla questione della Corte dei Conti? «Forse il presidente e il direttore generale non sono
aggiornati - conclude - gli ultimi atti della procura della Corte dei Conti - tutti da accertare - parlano di
presunte spese inutili pari a 18 mila euro e, soprattutto, ne addebitano la responsabilità per l'80% a un
funzionario interno e per il 20% a me.».
Enrico Presazzi
Agec contro Croce Che replica
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
Un esposto all'Ordine degli avvocati contro Michele Croce, ex presidente dell'Agec e fondatore di Verona
Pulita, per le sue «critiche dispregiative» sul caso dei lavoratori reintegrati in azienda dopo che avevano
scelto il patteggiamento nel processo a loro carico. Annunciano l'iniziativa il presidente Agec Massimo Galli
Righi e il direttore generale Maria Cristina Motta. «L'Agec», fanno sapere, «ha formalizzato un esposto al
Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Verona in merito alle dichiarazioni rilasciate dall'avvocato Croce. In
particolare a proposito delle critiche espresse in termini dispregiativi sulla scelta dell'azienda di reintegrare in
servizio - con pesanti penalizzazioni di natura economica e funzionale - cinque dipendenti che hanno deciso
di patteggiare, ottenendo la sospensione della pena. L'avvocato Croce, per la sua professione non può
formulare critiche dispregiative e infondate sul piano del diritto».
Pronta la replica di Croce: «Dopo mesi di silenzio, l'Agec fa sentire la sua voce, non per fornire chiarimenti
in tutte le vicende opache che hanno riguardato Agec, ma per proclamare un'iniziativa nei miei confronti. In
ordine alla reintegrazione in Agec dei cinque dipendenti infedeli che hanno patteggiato pene da 18 a 22 mesi
di reclusione con la condizionale, non posso che ribadire profonda inquietudine indipendentemente dalla
circostanza che Agec fosse obbligata a reintegrarli, in relazione alla quale nutro forti dubbi». E
conclude: «Perché i vertici Agec non spiegano ai veronesi i motivi dell'accesso odierno della Guardia di
Finanza e di quello di due settimane fa? Che documenti sono venuti a sequestrare?».
CITTÀ CHE CAMBIA. I vertici Pd: «Avanti con il colosso svedese. Nel sito più idoneo per la città»
«Bene Eataly, ora Ikea Però alla Marangona»
Albertini e Salemi: «Lo store di Farinetti è l'eccellenza italiana, e la collocazione garantisce il recupero
e la valorizzazione della cupola»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 15
I vertici del Pd veronese - il segretario provinciale Alessio Albertini e quello cittadino Orietta Salemi intervengono sul tema dei grandi insediamenti commerciali destinati a cambiare il volto delle città, in
particolare di Verona Sud. Parliamo di Eataly e Ikea.
Albertini e Salemi da un lato plaudono all'arrivo di realtà positive per lo sviluppo e l'economia di Verona,
dall'altro mettono l'amministrazione Tosi di fronte alle responsabilità e ne sottolineano le lacune operative e
strategiche.
«Accogliamo con soddisfazione la notizia dell'arrivo a Verona del più grande Eataly d'Italia», dicono i due
segretari del Pd. «I negozi di Eataly sono l'eccellenza del "made in Italy", una delle leve più importanti per la
ripresa dell'economia italiana. Nello stesso tempo promuovono un'idea di qualità della vita e di benessere che
devono essere sostenute. Cogliamo positivamente anche i riflessi sulle opportunità di nuovi posti di lavoro.
L'insediamento alla ghiacciaia degli ex Magazzini Generali garantisce finalmente la valorizzazione e il
recupero di uno spazio da troppo tempo in degrado. Ricordiamo comunque», proseguono, «che l'arrivo di
Eataly è dipeso in sostanza da un accordo tra privati, cioè tra Farinetti e Fondazione Cariverona. Da questo
punto di vista l'amministrazione di Verona non può accontentarsi di spacciare accordi presi autonomamente
tra privati come scelte strategiche che in questi anni non si sono mai viste. E poichè non ci sfugge che alla
ghiacciaia era previsto l'auditorium, vogliamo far presente all'amministrazione che il destino di uno spazio
culturale pubblico oggi è incerto se non del tutto sfumato. Rinunciare a un luogo così necessario
significherebbe privare Verona di un'occasione di crescita culturale ed economica. Confidiamo che tutti i
player della città, dall'amministrazione alla stessa Fondazione, condividano questa urgenza».
Quanto all'Ikea, Albertini e Salemi lanciano una proposta: «Insediarla nell'area della Marangona.
Sull'opportunità di avere Ikea a Verona non possono esistere dubbi: i riflessi sul piano occupazionale, di
immagine per la città e di attrazione sono indiscutibili. Troppe titubanze in questi anni da parte
dell'amministrazione hanno però impedito la partenza del progetto. Si è parlato di insediarla nell'area dell'ex
torre Biasi, ma tale scelta non pare razionale dal punto di vista viabilistico e commerciale. Portare Ikea alla
Marangona consentirebbe invece di dare linfa vitale al Consorzio Zai e a tutto il progetto Marangona. Ikea
può diventare il punto di richiamo per portare a Verona altre realtà di livello mondiale. Le ricadute positive
per la città sarebbero enormi. Bisogna che la politica locale non stia alla finestra condannando la città
all'irrilevanza, ma abbia il coraggio e la visione per fare quelle scelte che restituiscano Verona al respiro
nazionale e internazionale che merita».
Bilancio 2013, attivo da oltre sedici milioni «Ma il Patto ci blocca»
VERONA - Palazzo Barbieri, nonostante tutto, chiude i conti in attivo. Ma questo non fa che aumentare la
rabbia, perché i soldi faticosamente messi da parte non possono essere usati. L'assessore al Bilancio,
Pierluigi Paloschi, ha illustrato ieri mattina alla giunta comunale il bilancio consuntivo del 2013. Annus
horribilis per le finanze municipali, in tutta Italia, visti i tagli tremendi nei finanziamenti governativi (oltre
che per la crisi economica generale). Ciò nonostante, a palazzo Barbieri si è riusciti a chiudere i conti con un
avanzo di 16.502.000 euro. Che non sono bruscolini.
Come si è arrivati a quella cifra? Da una parte «risparmiando» sei milioni e rotti di euro nel corso del 2013.
Dall'altra, grazie a 10 milioni di attivo, registrati nel corso del 2012.
E qui s'innesca la rabbia di Paloschi. «E' incredibile – tuona l'assessore – che non si possano utilizzare quei
soldi per investimenti che a Verona sarebbero necessari come il pane!» Tutta colpa, ancora una volta,
dell'ormai famigerato Patto di Stabilità. Per il quale, spiega ancora Paloschi, «se l'avanzo di bilancio c'è, non
può essere considerato come un'entrata aggiuntiva, mentre se lo usiamo a favore dei cittadini, investendolo,
ci viene subito conteggiato come un'uscita, facendoci sforare il Patto». Di qui la domanda dell'assessore (ma
probabilmente anche di molti veronesi): «Ma è mai possibile che il governo non riesca a fare un decreto di
due righe, massimo tre, per mettere fine a questa autentica pazzia?» Dal punto di vista tecnico, poi, Paloschi
spiega che una parte dell'avanzo è vincolata (per il Fondo svalutazione crediti, per il fondo rischi contenziosi,
per contributi arrivati dopo il 30 novembre), e un'altra parte va destinata a spese correnti. Ma una terza parte
potrebbe essere investita in opere pubbliche, se non ci fosse appunto il macigno di quel Patto. Dall'assessore
arriva poi un'altra notizia: ci sono ben 4 milioni di euro di TIA (la tassa sui rifiuti) che non sono stati pagati e
che non si riesce a riscuotere, neanche con la riscossione coattiva. Chi deve sborsare o è sparito, o è
irreperibile o chissà cos'altro. Ma su questo fronte, si spera nell'azione della SoLoRi, la nuova società di
riscossione comunale, che giusto ieri pomeriggio è stata presentata in commissione consiliare. Il direttore,
Alessandro Tatini, ha spiegato tra l'altro il ruolino di marcia: da subito si riscuotono Tia, Tares e Tari; dal
primo agosto si riscuoteranno tutte le multe stradali; dall'inizio del prossimo anno la gestione completa
(compreso l'accertamento) di Tia, Tares e Tari. Dubbi dell'opposizione (Castelletti e Bertucco)
sull'economicità dell'operazione.
L.A.
Casa di Giulietta, è scontro Nuovo ingresso «congelato»
Piazzetta Navona, rischio di azioni possessorie
VERONA - Il nuovo ingresso alla casa di Giulietta trova un altro intoppo. E stavolta è un intoppo politico,
pesante come un macigno.
La giunta comunale ha esaminato ieri la nuova bozza di convenzione con la Fondazione Atlantide di Paolo
Valerio. Obiettivo: spostare l'ingresso al cortile più visitato d'Italia, da via Cappello a piazzetta Navona.
Tariffa, due euro e mezzo (ma con ipotesi di tariffe variate in caso di eventi, spettacoli o altro). Pareva fatta.
E invece no. Perché subito dopo la relazione dell'assessore Enrico Corsi, chiedeva la parola l'assessore Anna
Leso. Che estraeva dalla borsetta una lettera, e la leggeva ai colleghi, silenziosi e stupiti. La lettera era
firmata da Salvatore Papadia, consigliere comunale della Lista Tosi, e suonava molto, ma molto simile ad
una vera e propria diffida. Caro assessore, diceva in sintesi Papadia, rivolgendosi a Corsi, se vuoi approvare
quella delibera, fallo pure. Ma sappi che poi rischi di doverti assumere pesanti responsabilità sul piano
legale. Papadia spiegava infatti che contro quella delibera sono prevedibili «azioni possessorie» sia da parte
dei condòmini (che hanno già intentato una causa legale) sia da parte di qualsiasi comune cittadino. Il fatto
che da anni l'accesso al cortile sia libero, dal lunedì pomeriggio alla domenica, dalle 8 alle 19.30, potrebbe
infatti aver creato un vero e proprio «diritto di passaggio» per tutti i veronesi e i turisti. Che fare? Secondo
Papadia una soluzione sarebbe possibile, ma a patto di avviare subito una nuova trattativa. Finito di leggere
la missiva, Anna Leso si è seduta. Momento di imbarazzato silenzio. Mormorìi attorno al tavolone rotondo
della sala degli Arazzi. E alla fine, il direttore generale proponeva di rinviare tutto alla settimana prossima,
magari incontrando prima il consigliere Papadia (incontro che dovrebbe svolgersi martedì prossimo). E così
veniva deciso. Dall'opposizione, intanto, Michele Bertucco, capogruppo del Pd, partiva all'attacco: «La
giunta sta procedendo in una materia delicata senza il minimo confronto né con la città né coi consiglieri
comunali. La delibera proposta parla di un bene turistico rilevantissimo e di un «business» comunale enorme,
tra l'altro con tariffe differenziate, non solo i 2,5 euro d'accesso ma per tutta una serie di altre eventualità.
Come si fa ad andare avanti senza parlarne con alcuno? Per questo motivo abbiamo chiesto una
convocazione urgente della commissione consiliare». Uno stop bipartisan, insomma. E per l'accordo tra
Comune e Fondazione Atlantide rischia di valere quanto previsto proprio da Giulietta Capuleti, quattro secoli
fa: «È troppo avventato, affrettato, improvviso, troppo simile al lampo, che svanisce prima di poter dire
"eccolo, guarda"» (Romeo and Juliet, atto secondo scena seconda).
Lillo Aldegheri
Chiavegato, il gip lo lascia in cella «E io continuo a rifiutare il cibo»
Ha perso 8 kg in 8 giorni. Il giudice: gravi indizi di colpevolezza
VERONA - «Il giudice che ha ordinato le manette per 24 presunti Serenissimi si rifiuta di scarcerarmi? E io
continuo a non mangiare. Sto rifiutando il cibo da otto giorni, da quando mi hanno rinchiuso in galera ho già
perso otto chili e non ho alcuna intenzione di mollare. Proseguirò con il mio sciopero della fame a oltranza
perché, se c'è bisogno di un martire, lo diventerò io».
Ha «perso peso ma non certo coraggio e determinazione», Lucio Chiavegato. Ieri pomeriggio, da Brescia, è
giunto il semaforo rosso del gip Enrico Ceravone alla sua liberazione: «Gravi indizi di colpevolezza» e
«Solido impianto accusatorio», ha motivato il magistrato con la sua ordinanza. «Nulla di più falso», obietta
l'avvocato Luca Pavanetto che già ieri, dopo aver ricevuto da Brescia il rigetto dell'istanza di scarcerazione,
ha subito fatto visita in cella al 48enne leader veronese del movimento «9 dicembre», indomito protagonista
del presidio al casello di Soave e già presidente della Life, la Libera Associazione degli imprenditori veneti.
«Come l'ho trovato? Più magro e fisicamente provato, ma ancora più forte e combattivo rispetto all'arresto
della settimana scorsa», lo descrive il legale, a cui Chiavegato ha dichiarato di voler «proseguire con l'attuale
dieta a esclusiva base di liquidi anche fino allo stremo, se ce ne sarà bisogno. Perché quella di non mangiare
- ha rimarcato il 48enne al suo avvocato - è l'unica forma di protesta non violenta che mi è possibile mettere
in pratica dentro le mura di Montorio». In carcere, Chiavegato risulta «tenuto sotto costante controllo
medico, ma non si trova in infermeria: anzi - rivela il suo legale -, la novità è che sia lui che gli altri due
veronesi a cui il gip di Brescia ha rifiutato la liberazione (ovvero il presunto «ideologo» degli
Indipendentisti, Tiziano Lanza di Bovolone e il marito della «pasionaria» Patrizia Badii, Luca Vangelista)
sono stati addirittura posti in isolamento, tutti e tre dentro la stessa cella ma senza avere la possibilità di
avere alcun contatto con gli altri detenuti. In pratica, li stanno trattando come i delinquenti più pericolosi e
incalliti...».
Per i tre veronesi, in ogni caso, il filo con il mondo esterno non si è affatto spezzato: «Stanno ricevendo
decine di lettere e telegrammi di solidarietà ogni giorno. Manifestazioni di apprezzamento e vicinanza che
arrivano dal Veneto ma anche da ogni parte d'Italia... Praticamente Chiavegato, Lanza e Vangelista
trascorrono le loro giornate a leggere la posta che ricevono quodianamente». In ogni caso, il «capo» dei
forconi di Soave continua a descriversi come «un prigioniero politico tenuto rinchiuso nelle galere di uno
Stato che non riconosco e che non riconoscerò mai». Anche per Corrado Turco di Bovolone, nelle ultime
ore, il gip lombardo ha risposto «picche» alla scarcerazione, così come dovranno per adesso restare rinchiuse
nella sezione femminile del carcere di Montorio le altre due veronesi Elisabetta Adami di Villafranca e,
soprattutto, il braccio destro di Chiavegato, la «rossa» Badii. «È difficile intravedere il reato. Spero vengano
liberati presto dalla magistratura», auspica intanto il sindaco Flavio Tosi, secondo cui «gli arrestati sono dei
disperati e fanno pietà perché sono andati in galera senza fare niente». E rincara: «Se la strategia della
magistratura è far vedere che lo Stato li bastona, ha sortito l'effetto contrario».
Laura Tedesco
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Abusi, i sordomuti del Provolo chiedono un risarcimento alla diocesi
VERONA — «Non abbiamo avuto giustizia, ora chiediamo i soldi, l'unica lingua che le gerarchie
ecclesiastiche sono in grado di capire».
L'annuncio arriva dall'associazione sordomuti Antonio Provolo, la stessa che per prima ha denunciato
presunti atti di pedofilia commessi da alcuni insegnanti preti nell'omonimo istituto fino al 1984. Un'accusa
che ha fatto seguire un «processo» interno alla diocesi, conclusosi con provvedimenti disciplinari nei
confronti di due sacerdoti. Provvedimenti non sufficienti, per gli ex allievi, che ora sembrano intenzionati a
cambiare strategia.
L'annuncio ieri mattina, a Roma, nel corso di una conferenza stampa indetta dall'ex deputato radicale
Maurizio Turco, fra i primi ad interessarsi, nel mondo politico, alla vicenda. «Si voleva evitare la politica dei
risarcimenti - ha detto Turco ai giornalisti - ma evidentemente è l'unico linguaggio che li porta a più miti
consigli», con riferimento esplicito alle gerarchie ecclesiastiche. «Visto che non abbiamo avuto giustizia - è
il parere del presidente dell'associazione, Giorgio Dalla Bernardina - chiediamo i risarcimenti per i danni e le
sofferenze subite per tanti anni». Gli ex allievi del Provolo si rivolgeranno, in prima battuta alla diocesi, per
poi passare, se necessario alla Santa Sede.
Ma dal vescovado scaligero arrivano già un primo «stop». «Non abbiamo nulla a che vedere con la questione
- fa sapere monsignor Bruno Fasani, responsabile della comunicazione della curia -. Il Provolo è un ente
religioso autonomo ed è quindi a questo che ci si deve eventualmente rivolgersi. In ogni caso non ci si può
rifare sulla diocesi, dato che l'istituto risponde direttamente alla Santa Sede». La curia di Verona, intervenne,
però, quando si trattò di fare un'indagine interna. «Allora la questione era ben diversa - spiega monsignor
Fasani - da Roma avevamo ricevuto la richiesta di fare chiarezza e il nome dell'ex vescovo Giuseppe Carraro
(poi «scagionato», ndr) era stato tirato in ballo». Com'è noto i presunti reati, commessi tra gli anni '50 e
conclusisi trent'anni fa sono caduti in prescrizione. È la stessa associazione ad ammettere che il percorso
legale sarà difficoltoso. «Sarebbe necessario - è il commento del portavoce Marco Lodi Rizzini un'iniziativa analoga a quella degli Stati Uniti: il blocco della prescrizioni, che ha portato molte arcidiocesi a
rimborsare centinaia di vittime». Ma c'è dell'altro in ballo: a Roma, Turco ha fatto esplicitamente il nome
della Tenuta dei Cervi, complesso gestito ancora oggi dalla Fondazione Provolo, uno spazio di 180 ettari a
San Zeno di Montagna. Secondo le accuse degli ex allievi, alcuni degli abusi sarebbero stati commessi anche
lì, quando lo spazio era utilizzato come colonia estiva dall'istituto di sordomuti.
«Nelle intenzioni di chi l'ha lasciata in eredità doveva essere a disposizione dei bambini sordomuti e non
nelle mani di coloro che invece li hanno violati» tuona Turco. A lasciarla in eredità è stato il conte Gaetano
Bonoris, esponente della famiglia bresciana anticamente proprietaria della tenuta, che nel suo testamento ha
indicato proprio la destinazione all'educazione dei sordomuti come destinazione della tenuta. «È una strada
praticabile - avverte Lodi Rizzini - noi vogliamo che torni ad occuparsi della tenuta, oggi utilizzata per
tutt'altri scopi, la Fondazione Gaetano Bonoris, l'unico ente che può avere parola in proposito».
Davide Orsato
Soldi pubblici al Catullo, ok della Ue
VERONA — L'Europa dà via libera al finanziamento pubblico per 12 milioni e 700mila euro a favore
dell'Aeroporto Catullo, evitando così una possibile sanzione come accaduto di recente a Sea Milano. La
notizia è stata accolta con un grosso sospiro di sollievo dal presidente Paolo Arena e dai vertici dello scalo
veronese che, al momento, hanno però preferito non rilasciare alcun commento.
La Commissione Europea ha infatti ritenuto «conforme alla normativa sugli aiuti di Stato» l'aumento di
capitale che era stato lanciato nel luglio 2012 per un totale di 15 milioni, 12,7 dei quali in quota ai soci
pubblici, per consentire una serie di investimenti per ammodernare sia lo scalo veronese che quello bresciano
di Montichiari.
Il conferimento di capitale era stato concesso in violazione dell'obbligo, di notificare alla Commissione
europea gli aiuti di Stato prima di concederli. La Commissione stessa ha però valutato la compatibilità degli
aiuti alla luce delle norme che erano allora in vigore (risalenti, per il settore dell'aviazione al 2005). Due mesi
fa, le autorità italiane hanno poi notificato il conferimento e hanno presentato un piano aziendale dal quale
risulta che l'aiuto pubblico era necessario in quanto i benefici attesi non avrebbero coperto i costi di
investimento.
L'indagine aperta dalla Ue ha poi dimostrato che gli investimenti previsti dal Catullo «contribuiscono al
raggiungimento di obiettivi di interesse comune europeo», in quanto migliorano l'accessibilità della regione,
pongono rimedio alla congestione degli aeroporti vicini e mettono gli aeroporti nelle condizioni di meglio
soddisfare le esigenze di trasporto di passeggeri e merci in Italia settentrionale «senza falsare indebitamente
la concorrenza nel mercato unico», in quanto «la sovrapposizione con il bacino di utenza degli aeroporti
vicini è limitata» e gli investimenti contribuiranno a decongestionare anche gli altri scali.
Gli investimenti saranno concretizzati entro il 2021. Tra i progetti previsti ci sono l'ampliamento dei
terminal, l'estensione della zona di stazionamento degli aerei, la riqualificazione dei servizi lato pista e delle
vie di rullaggio a terra, il miglioramento delle rampe e la realizzazione di opere relative alla sicurezza.
PRIMAVERA E LOCALI FRACASSONI. L'idea, in vigore in altre città, sarà proposta oggi al
sindaco
Patenti a punti per i bar nelle zone della movida
Ilaria Noro
I promotori: «Questo tesserino avrebbe l'effetto di un incentivo per i gestori di far rispettare i
regolamenti comunali»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 21
Una patente a punti da rilasciare agli esercenti per incentivarli a guidare correttamente i propri locali. Con il
tesserino, vengono rilasciati anche un po' di punti che il gestore potrà incrementare, con una serie di buone
prassi, o perdere, attraverso comportamenti scorretti in contravvenzione al regolamento comunale. Fino ad
arrivare, come conseguenza più grave per chi reitera una provata cattiva gestione, alla sospensione della
licenza.
L'idea, già allo studio e in vigore in alcune città d'Italia, verrà proposta oggi pomeriggio al sindaco da una
delegazione di rappresentanti dei residenti della città antica che hanno chiesto un incontro a Palazzo Barbieri
per discutere dello spinoso problema dei bar fracassoni.
Come ogni primavera, infatti, il diritto dei commercianti ad incentivare la movida notturna si scontra con il
diritto dei residenti al sonno nelle ore notturne. E come ogni anno, ne escono aspri contrasti e segnalazioni di
ogni sorta alla già indaffarata polizia municipale che si traducono spesso con sanzioni ai locali indisciplinati,
esaurimento nervoso per i residenti privati del quieto vivere. Ma, sostanzialmente, in un nulla di fatto. O
meglio, nulla che riesca a trovare un giusto compromesso tra le parti e a migliorare la situazione. Ora ci
prova la patente a punti. «Speriamo che l'incontro con il sindaco si riveli proficuo. E che la nostra idea venga
seriamente presa in considerazione. Non è la prima volta che riusciamo ad essere ricevuti, sia dal primo
cittadino che dall'assessore al Commercio Enrico Corsi. Ma alle parole non sono mai seguiti i fatti. Lo stesso
questionario sulla situazione alla Carega è stato una farsa: a distanza di due anni ne stiamo ancora aspettando
gli esiti», spiegano alcuni dei residenti che oggi incontreranno Tosi.
Il problema dei bar fracassoni, spesso legato a un tipo di clientela piuttosto indisciplinata, è tornato a far
parlare di sè la scorsa settimana, proprio in zona Carega. Tuttavia, quello a due passi da lungadige Panvinio
non è che uno dei molti punti critici che si stanno di nuovo ripresentando in questi giorni. E che spaziano da
piazza Erbe - dove fino alle tre di notte nei fine settimana è pressoché impossibile dormire nelle case che lì si
affacciano - a corso Porta Borsari, passando da piazze, vicoli e strade limitrofe.
Cambiano i nomi delle vie, infatti, ma non il racconto dei residenti che denuncia degrado, parcheggio
selvaggio, muri di casa imbrattati di orina e vomito, bicchieri di plastica sparsi ovunque così come le
cannucce dei cocktail. Oltre alla musica e agli schiamazzi che non permettono il sonno fino a notte inoltrata.
«Il patentino sarebbe un enorme passo in avanti. E' importante soprattutto per l'effetto incentivo che assicura
a chi ha la responsabilità, come gestore del locale, di far sì che dipendenti e avventori rispettino i regolamenti
comunali», spiega Michele Abrescia, presidente di VeroCentro; il comitato dei residenti del centro storico,
che conta però fra i suoi aderenti ormai sempre più commercianti. «Vorremmo fare da punto di incontro tra
differenti interessi. Anni di scontri hanno portato solo tensioni».
IL PROGETTO. La Giunta approva l'intervento
Ponti pedonali a Parona, lavori al via a giugno
Casali: «Intervento strategico per la sicurezza a piedi e in bici»
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 15
Finalmente gli abitanti di Parona potranno tornare ad utilizzare in sicurezza i ponti ciclopedonali sul progno
Novare. La Giunta comunale, su proposta del vicesindaco con delega all'Edilizia pubblica Stefano Casali, ha
approvato infatti ieri il progetto definitivo per la realizzazione dei nuovi ponti di attraversamento del progno,
che si trovano ai lati della strada statale Del Brennero.
«I lavori si sono resi necessari per lo stato di degrado delle strutture e dei parapetti dei due ponti», ha
spiegato Casali, affiancato dal presidente della seconda circoscrizione Filippo Grigolini, dal vicepresidente
Ernesto Paiola, e dal consigliere Enrico Guardini. «L'intervento si svolgerà tra giugno e settembre, in
concomitanza cioè con le vacanze scolastiche: contiamo che i nuovi ponti siano pronti entro l'autunno. Il
costo complessivo dell'opera è di 130 mila euro. Si tratta di un intervento strategico e strutturale per il
quartiere di Parona», ha proseguito il vicesindaco, «che dà una risposta concreta alle richieste dei cittadini,
da anni in attesa della messa in sicurezza di un passaggio fondamentale per pedoni e ciclisti, inutilizzato dal
2011. Grazie all'impegno della seconda circoscrizione siamo riusciti a portare a termine in breve tempo un
provvedimento di non semplice procedura, che ha richiesto una serie di valutazioni (geologico e geotecnica),
oltre che la verifica statica e sismica del modello proposto».
«Viale del Brennero è una strada ad alta intensità di traffico», ha aggiunto Grigolini, «il cui attraversamento
mette a rischio l'incolumità di pedoni e ciclisti. Le richieste arrivate in circoscrizione per questo intervento
sono state migliaia. La messa in sicurezza dei due ponti laterali dimostra ancora una volta l'impegno
dell'amministrazione comunale nel garantire a tutti i cittadini la sicurezza stradale, con particolare attenzione
agli utenti più deboli».
Il progetto di messa in sicurezza deve considerare la rimozione di tutte quelle parti strutturali degradate e la
loro sostituzione con altre strutture che per durabilità, limitata manutenzione e impatto estetico possano
essere costruite anche da materiali diversi. È prevista in particolare la rimozione delle strutture in legno
fatiscenti; la pulizia del piano di posa attuale e delle spalle di fondazione; la posa della struttura portante in
acciaio protetto dalle aggressioni ossidanti e posa del parapetto in tubolare di acciaio corten; la posa di
pavimentazione per esterni; la ricopertura delle strutture portanti con materiali di finitura in fibra di legno.
Tra le opere pubbliche in programma nella seconda circoscrizione, Casali ha annunciato anche l'imminente
approvazione del progetto per la riqualificazione della pista ciclopedonale che collega i quartieri di Avesa,
Quinzano, Ponte Crencano e Borgo Trento, per un costo di circa 100 mila euro. A.G.
LA PROTESTA. Allevatori, amministratori ed esponenti della Lega rilanciano il «caso» in Provincia:
«Vanno trasferiti»
«Non vogliamo sparare ai lupi ma la Lessinia non è l'arca di Noè»
Vittorio Zambaldo
Campedelli: «Non è una guerra di religione ma contro chi vorrebbe tutelare una convivenza che è
incompatibile: l'alpeggio è a rischio»
giovedì 10 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 28
Decisi più che mai a non lasciar vincere il lupo, soprattutto arrabbiati perché convinti di essere dalla parte
della ragione e con poche attenzioni a livello istituzionale. Così si sono presentati amministratori, allevatori e
proprietari di malghe in Provincia per illustrare i contenuti della mozione per lo spostamento dei lupi dalla
Lessinia a luogo più idoneo.
Adelino Brunelli, consigliere provinciale e assessore al Parco della Lessinia ha ribadito che la mozione, di
cui è primo firmatario, votata a maggioranza dal Consiglio provinciale, è per tutelare il territorio a causa
della presenza di predatori che stanno facendo danni ad allevamenti, a proprietari di malghe e al turismo.
«Nessuno chiede di impallinare i lupi», ha precisato Brunelli, «ma di trasferirli in modo incruento in un
luogo più idoneo per la loro sopravvivenza. E se tornano si dovrà provvedere ancora a trasferirli. Questo ha
chiesto la Provincia, che ringrazio per il lavoro fatto», ha esordito in una sala dei Palazzi Scaligeri che
accoglieva una ventina fra allevatori e proprietari di malghe.
La mozione firmata anche dai consiglieri provinciali Lucio Campedelli, Domenico Dal Cero e Claudio
Melotti è già in viaggio per la Camera e il Senato e se ne sono fatti portatori gli onorevoli Matteo Bragantini
ed Emanuela Munerato, entrambi della Lega nord.
«Ci siamo messi a riflettere su questo tema da mesi non per ragioni elettoralistiche», ha aggiunto
Campedelli, «ma perché la Lessinia è diventata una nuova arca di Noè, in cui tutti gli animali trovano un
habitat ideale. Non è una guerra di religione contro il lupo ma contro chi vorrebbe tutelare una convivenza
che è incompatibile. Mettendo fianco a fianco animali carnivori e domestici è inevitabile che succedano
conflitti, tali da rischiare la sopravvivenza dell'alpeggio e dell'allevamento stesso».
Per il consigliere provinciale e sindaco di Erbezzo, se i lupi li devono mantenerli gli allevatori e proprietari
terrieri si fa una palese ingiustizia: crescono gli aborti fra le bestie gravide spaventate dal lupo; è sulle spalle
degli allevatori lo smaltimento delle carcasse non consumate dai lupi; è svalutato il patrimonio immobiliare
perché nessuno acquista con vicini così scomodi.
«Il problema non va risolto a fucilate ma neanche con le soluzioni finora proposte: recinzioni elettrificate,
stabulazione notturna, cani da guardiania non sono compatibili con l'allevamento com'è fatto oggi in
Lessinia, pena un danno ambientale enorme».
«Stiamo pagando errori della politica», ha aggiunto Claudio Melotti, «in primis l'istituzione del Parco calato
sulla testa della gente senza condividerne le finalità. Noi montanari passiamo per testoni ma quando è stata
introdotta la marmotta non siamo stati ascoltati e oggi si corre ai ripari. Però guai a parlarne male nonostante
i danni che procura. Lo stesso è avvenuto con i cinghiali e succederà anche con i lupi. Amministratori locali
e allevatori fanno le stesse obiezioni qui, in Emilia Romagna, Piemonte e Francia».
Poi è partito durissimo l'attacco a Mauro Giovanni Viti, dirigente regionale dei Parchi dei Veneto, che a
L'Arena aveva ipotizzato che nei toni aggressivi contro i lupi influiscano le scadenze elettorali programmate
fra un mese e mezzo: «Un funzionario pubblico non può permettersi di parlare così di amministratori che si
esprimono per difendere il proprio territorio. È un fatto gravissimo», ha sentenziato Melotti, «e abbiamo tutti
i diritti di sollevare il problema, perché se è vero che 12-15 lupi potrebbero fermarsi permanentemente in
Lessinia, ogni estate per loro sarà come andare al parco giochi».
Infine l'europarlamentare Lorenzo Fontana, che ha presentato un'interrogazione al commissario europeo per
l'agricoltura, si è detto fiducioso della risposta che sarà comunicata appena arriverà: «So che è un animale
tutelato dalla Comunità Europea, ma ho chiesto che si valuti un eventuale spostamento e che siano
incentivate le fatiche degli allevatori piuttosto che la reintroduzione dei grandi predatori».
«In Francia i pastori sono armati»
giovedì 10 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 28
È stata sconvolgente la testimonianza portata da Giuliano Menegazzi, consigliere comunale di Erbezzo e in
Comunità montana, cofondatore di una pagina Facebook (Salviamo la Lessinia dai cinghiali) che da mesi
ospita anche il dibattito sui lupi.
«A fine marzo a Poschiavo, nel Cantone dei Grigioni, c'è stato un incontro internazionale dell'Associazione
delle Terre senza grandi predatori dove si sono confrontati allevatori di tutta Europa e dal quale è uscita una
mozione destinata al Parlamento europeo. Mi ha colpito la testimonianza agghiacciante di una ragazza
francese che aveva un gregge di 500 pecore. Dopo le prime predazioni si è tutelata con cani da guardia,
recinzioni, ha preso il porto d'armi perché il governo permette ai pastori di girare armati per difendere il
gregge. Non è servito a nulla. Il governo le ha affiancato un salariato, anche lui armato e stipendiato dallo
Stato. Lei stessa ha fatto prendere il porto d'armi ad altri due familiari e in quattro presidiavano il gregge
armati. Ebbene da 500 pecore se ne ritrova solo 250 dopo gli attacchi dei lupi. Il governo francese ha pagato
il 75 per cento dell'affitto dei pascoli, ma per tutto il resto dei danni si è dovuta arrangiare lei con pecore e
agnelli rimasti invenduti perché lo spavento rende la carne non commestibile. Lo scorso anno questa famiglia
ha denunciato 14mila euro di reddito e sono tre persone. È questo il futuro che ci aspetta in Lessinia?» si è
chiesto Menegazzi.
«Il 29 maggio caricheremo le malghe in Lessinia», ha annunciato Claudio Menegatti, «ma chi è venuto a
parlare con noi? Siamo stati presi in giro, ma senza di noi la montagna diventa una landa desolata e i danni si
riverseranno sui fondovalle, sulla città e sulla pianura». V.Z.
GLI ALLEVATORI. Preoccupazione per l'annunciata fuga dalle malghe, l'unica contromisura se
mancano i risarcimenti
«La politica non decida senza di noi»
giovedì 10 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 28
Fabio Zivelonghi ha parlato a nome dei proprietari terrieri denunciando l'abbandono di diverse malghe: «È
un problema grave perché noi restiamo senza affitti». Si parla di circa 150 euro a «paga», cioè la misura di
superficie sufficiente per una stagione per un capo adulto.
Calcolando ottomila capi in alpeggio ogni estate, se non dovessero più tornare ci sarebbe per i proprietari di
malghe un danno di circa un milione e 200mila euro a stagione. Il futuro della Lessinia non è affatto roseo e
gli allevatori lo hanno voluto mettere per iscritto preparando un cartellone con ritratta la Lessinia di ieri, con
paesaggi bucolici; di oggi, con carcasse di animali sbranati; e di domani, popolata solo da cinghiali, lupi e
irsuti montanari inselvatichiti.
«Se saremo lasciati soli non vedo come si potrà andare avanti», ha denunciato Zivelonghi, «siamo i primi ad
amare la natura, ma quando le marmotte si fanno le tane sotto i muretti a secco e tocca a noi ogni stagione
lavorare per sistemare tutto senza nessun riconoscimento, abbiamo anche il diritto di essere stanchi».
«Vorremmo essere resi partecipi delle decisioni prese dalla politica su questi temi, quando sono coinvolte le
nostre attività e le nostre proprietà», ha proseguito Zivelonghi, «perché nessuno meglio degli abitanti del
posto conosce i luoghi e le problematiche e sa dare le giuste risposte». Per gli allevatori ha parlato Silvino
Pezzo, ricordando che l'alpeggio per molti non è un piacere ma una necessità: «Abbiamo solo un torto: aver
accettato un carrozzone imposto come quello del Parco, perché tutti i problemi nascono da lì».
«Grida vendetta il fatto», ha detto, «che se ho una vacca malata con un piede gonfio non la posso spostare
per medicarla, ma addirittura se devo sopprimerla devo farlo in stalla, tutto questo per il benessere animale.
Ma qualcuno di questi che predica il benessere animale ha mai visto come viene ridotta dai lupi una vacca o
quali sofferenze affronta prima di finire in pasto? Qui siamo a digiuno delle più elementari norme del buon
senso e confidiamo solo che ci capiscano i nostri politici del posto», ha concluso prima di illustrare come
sarà la Lessinia di domani, nelle fauci dei lupi. V.Z.
NEGRAR. Entro oggi la consegna degli «scatti»
Valpolicella storica Le foto in concorso esaltano il territorio
Premiazione il 21 giugno a all'hotel San Vito Agricoltura e paesaggio temi della rassegna
giovedì 10 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 31
Scade oggi il termine per la presentazione delle foto del concorso «Obiettivo Valpolicella», il premio
organizzato dall'associazione Vivi la Valpolicella, in collaborazione con il Gruppo fotografico Pescantina e il
patrocinio della Strada del vino, riguardante il terriitorio, il paesaggio e l'agricoltura della Valpolicella in
tutte le sue forme ed espressioni. «Il territorio di riferimento» spiega il vice presidente Silvano Zampini «è
relativo alla Valpolicella Storica così come definita originariamente nelle aree dell'Antica contea di Federico
della Scala del 1313, comprendente i Comuni di Negrar, San Pietro in Cariano, Marano di Valpolicella,
Pescantina, Fumane, Sant'Ambrogio di Valpolicella , Sant'Anna d'Alfaedo, Dolcè e Parona di Valpolicella».
Le fotografie saranno selezionate dalla giuria composta dai fotografi Silvano Paiola, Carlo Clara, Luca
Zanella e dai componenti del direttivo dell'Associazione Vivi la Valpolicella, Gianfranco Damoli e Silvano
Zampini.
Le opere saranno successivamente esposte, durante il Palio del Recioto, dal 17 al 23 aprile 2014 alle
elementari di Negrar; nella hall di Aquardens di Santa Lucia di Pescantina dal 24 aprile al 12 maggio 2014;
nella sala esposizioni della Cantina Monteci ad Arcè di Pescantina dal 15 al 18 Maggio 2014; nella hall
dell'Hotel San Vito a Negrar dal 19 maggio al 4 giugno 2014; durante l'evento Valpolicellae a giugno 2014.
La premiazione è prevista il 21 giugno alle 17.30 all'Hotel San Vito di Negrar. «Continua con questa
iniziativa» sottolinea la presidente Luciana Quintarelli «l'attività dell'Associazione Vivi La Valpolicella,
dopo aver promosso il film di Anna Lerario su Cangrande della Scala ed aver collaborato con l'Associazione
Russkinjdom di Verona. In maggio ci sarà il premio «Trenta Amaroni» che vedrà tra i premiati il giornalista
Mario Giordano e il regista Gaetano Morbioli». L.C.
BUSSOLENGO. Grande partecipazione all'incontro con Frei Betto, il frate esponente della «teologia
della liberazione»
«Il Papa è sovversivo perché pensa ai poveri»
La povertà è un male ed è il risultato dell'ingiustizia L'opzione è per una società di condivisione»
giovedì 10 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 35
«Il Papa è preoccupato della povertà del mondo», è una delle tante sottolineature di Frei Betto, il teologo e
scrittore brasiliano arrivato per un incontro molto partecipato nel teatro parrocchiale di Bussolengo, grazie
alla collaborazione di «Rete Radié Resch» e agli «Amici di San Salvar».
«Frei Betto che affronterà il tema “La passione dell'uomo, l'uomo che passione” è uno che si è lasciato
avvincere e toccare dalla vita della gente. Ha avuto un incontro di amore col popolo e con Dio», ha
commentato nel suo saluto don Giorgio Costa, parroco di Santa Maria Maggiore e missionario in Brasile, a
Teresina, per molti anni. «È stato uno dei miei formatori attraverso i suoi libri e il suo pensiero quando mi
preparavo ad andare in America Latina», ha continuato il parroco. «È un frate, non un sacerdote, e questo
non l'ha mai tolto dalla Chiesa che lo ha spesso messo in discussione. Ora si incontrerà col Papa: è
importante perché è un esponente della teologia della liberazione. Il gesto parla da sé e mette in luce
l'apertura della Chiesa del Papa».
La grande vitalità di questo religioso, che ha sofferto 4 anni di carcere e la tortura durante la dittatura in
Brasile dal 1969 al 1973 ed è autore di molti libri, è emersa nella sua conferenza in portoghese tradotta
simultaneamente. La premessa di Frei Betto è teologica: «Gesù non è venuto a fondare una religione, ma un
nuovo modello di società, non una chiesa, ma il Regno di Dio. Il regno di Gesù/Dio nel regno di Cesare è
veramente sovversivo. E' parlare di un altro sistema dentro il sistema capitalistico. Gesù ha cambiato il modo
di capire Dio. La sfida è avere la fede di Gesù, non in Gesù. Ma i preti non vogliono parlare di questo. Gesù
pregava per intensificare la sua passione per Dio, per sentire la passione di Dio nei suoi confronti. L'unica
definizione di Dio sta nella prima lettera di Giovanni: Dio è amore. E' questa la grande rivoluzione di Gesù».
Da qui la saldatura con la quotidianità. «Il povero è il sacramento di Dio fra noi perché l'esistenza da povero
non era prevista nell'esperienza di Dio. Il povero è, in realtà, impoverito dall'ingiustizia sociale: tutti
vogliono uscire da questa situazione. La povertà è un male ed è il risultato dell'ingiustizia. L'opzione per i
poveri è per una società di condivisione: il pane, al centro del Padre nostro, è il simbolo di questo, non la
croce che è, al contrario, un simbolo di morte».
Questa premessa proiettata nella condizione attuale dello sviluppo si trasforma in Frei Betto in una dura
critica al capitalismo. «Anche The Economist», ha sottolineato, «ha detto che Francesco è un Papa
sovversivo. Ma lo è perché è preoccupato della povertà del mondo. Il capitalismo favorisce l'accumulo di
capitali e non i diritti umani». E sulla teologia della liberazione Betto è perentorio: «Il nostro amore per la
Chiesa è perché la vogliamo povera, vicina ai poveri, voce di chi non ha voce».V.Z.
Vantini nella lista del Pd per l'Europarlamento
giovedì 10 aprile 2014 CRONACA, pagina 15
È ufficiale: il sindaco di San Giovanni Lupatoto Federico Vantini (come anticipato da L'Arena nei giorni
scorsi) sarà candidato del Pd alle elezioni europee del 25 maggio, nella circoscrizione elettorale formata da
Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Lo ha deciso la direzione nazionale
del Pd, riunitasi a Roma, che ha approvato tutte le liste per le europee. Dove il partito ha cinque donne come
capolista, nelle circoscrizioni, come ha ricordato il segretario nazionale e presidente del Consiglio Matteo
Renzi, ieri mattina al Vinitaly e nel pomeriggio, a Roma per la riunione del partito.
Vantini, 35 anni, architetto, è sindaco di San Giovanni Lupatoto da due anni. Renziano della prima ora,
aveva aperto un anno e mezzo fa a Verona, alla Gran Guardia, la campagna nazionale per le primarie di
Renzi per la candidatura alla presidenza del Consiglio (che vinse Pierluigi Bersani). È stato chiamato da
Renzi nella direzione nazionale del partito, per partecipare alla quale ieri era appunto a Roma e non a
Verona. A capo della lista del Pd (14 persone) c'è la deputata vicentina Alessandra Moretti. Gli altri
veneti del Pd sono l'ex ministro Flavio Zanonato, Franco Frigo e Andrea Zanoni. Sfuma così l'ipotesi,
che era stata presentata all'assemblea provinciale del Pd, di candidare Silvia Allegri, consigliere provinciale.
«Ringrazio Matteo Renzi per la possibilità che mi ha dato di compiere questa corsa all'Europarlamento»,
commenta Vantini. «Matteo sostiene la necessità di cambiare l'Italia per cambiare anche l'Europa, un'Europa
che non deve più essere un elefante ma uno strumento per incidere anche sullo sviluppo dei singoli territori».
In altri partiti, oltre all'eurodeputato uscente della Lega, Lorenzo Fontana, che si ricandida, sarà con ogni
probabilità in pista anche il sindaco Flavio Tosi.E.G.
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