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arbitro bancario finanziario - Consiglio Nazionale Forense

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arbitro bancario finanziario - Consiglio Nazionale Forense
GIUSEPPE CARRIERO (*)
GIUSTIZIA
SENZA
FINANZIARIO
GIURISDIZIONE:
L’ARBITRO
BANCARIO
(*): L’Autore è componente effettivo del Collegio di Napoli dell’Arbitro Bancario
Finanziario. Le opinioni espresse nello scritto sono e restano esclusivamente
personali.
Sommario: 1) Caratteristiche; 2) Nuove attribuzioni; 3) La cornice; 4) Profili
comparatistici; 5) Verso un diritto processuale dei consumatori; 6) Conclusioni.
1. Giova sinteticamente ricordare che, istituito dalla legge sulla tutela del risparmio
(art. 29 l. 28 dicembre 2005, n. 262 che ha introdotto nel d. lgs. n. 385/1993, Testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, d’ora in avanti tub, l’art. 128 – bis,
oggetto di diverse successive modificazioni), l’Arbitro Bancario Finanziario ha
iniziato a operare dal 15 ottobre 2009. E’ strutturato (in base alla disciplina sub
primaria che ne regola il procedimento emanata dal Comitato del credito con la
deliberazione n. 275/2008 e dalla Banca d’Italia con il regolamento del giugno 2009 e
successive modificazioni e integrazioni) in tre Collegi (Milano, Roma e Napoli)
competenti per le corrispondenti aree territoriali. E’ abilitato a conoscere (e a
decidere) controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (scilicet,
creditizi) nonché (dal febbraio 2010) di servizi di pagamento (in attuazione dell’art.
40 d. lgs. n. 11/2010 che, al terzo comma, espressamente prevede da parte di banche,
istituti di moneta elettronica e di pagamento l’adesione obbligatoria all’istituito
sistema) per l’accertamento dei relativi diritti (competenza per materia) e per il
risarcimento del danno fino a 100 mila euro (competenza per valore). Può, a tal fine
(quale a.d.r. “decisoria/aggiudicativa”), adottare pronunce di accertamento e di
condanna (non quindi pronunce costitutive, es. di annullamento del contratto) e opera
come organismo “di secondo grado” dopo il previo reclamo (con esito negativo o in
assenza di esito) all’intermediario, che ne costituisce condizione di procedibilità. La
sua adizione è riservata alla clientela bancaria e finanziaria, oltre che agli utilizzatori
degli strumenti di pagamento (trattasi di diritto irrinunciabile); non prevede
un’assistenza legale obbligatoria e sconta un basso costo d’accesso (venti euro). La
partecipazione delle diverse categorie d’intermediari al sistema (resa obbligatoria dal
presente imperativo “aderiscono” di cui agli artt. 128 – bis del tub, e 40 d. lgs. n.
1
11/2010) costituisce una condizione per l’esercizio dell’attività riservata (perciò un
onere). La mancata adesione rappresenta peraltro fonte della sanzione amministrativa
pecuniaria ex art. 144, co. 4, tub.
2. Le sue specifiche attribuzioni rilevano perché l’enforcement dei contratti bancari,
creditizi e di pagamento, peculiare segmento dei contratti seriali o di massa, è
essenziale al fine di rendere effettive le tutele garantite da leggi recenti, segnatamente
per ripristinare, a fronte della grave crisi economica che interessa oggi l’intera società
civile, condizioni di fiducia nei mercati e negli intermediari della finanza,
indispensabili per la crescita della domanda da parte di imprese e famiglie; perché
riscontra un gradimento crescente con percentuali di accoglimento della domanda
superiori al 60 per cento; per i tempi contenuti della decisione (max 105 gg. dal
ricorso, ma la durata media è di 88 gg.); perché l’unica (ancorché significativa)
sanzione (di shame culture) conseguente all’inosservanza della decisione (la
pubblicazione della stessa) fa registrare casi marginali, in larga parte relativi a
intermediari in liquidazione volontaria o cancellati dall’albo. Le pronunce dei diversi
Collegi, indipendentemente da “variazioni sul tema” (peraltro rappresentative
dell’indipendenza di giudizio e dell’imparzialità dell’organismo) su questioni di
dettaglio, costituiscono spesso – in punto di politica del diritto – avanzate tutele della
clientela (ad es. in tema di responsabilità del finanziatore nel credito al consumo,
anche in assenza di clausole di “esclusiva” o nella retrocessione della quota di premio
assicurativo per l’estinzione anticipata del finanziamento o nella responsabilità del
prestatore di servizi di pagamento per la mancata adozione di dispositivi di sicurezza
adeguati) con effetti conformativi di rilievo per la comune dei destinatari. Né va
sottaciuto che, in forza delle più recenti modifiche regolamentari, l’istituzione di un
apposito Collegio di coordinamento (composto dai Presidenti dei tre Collegi
territoriali unitamente ai membri rappresentativi delle diverse componenti degli
utenti, estratti annualmente a sorte) assicura coerenza e uniformità di indirizzi a
controversie di particolare importanza che abbiano generato o possano generare
orientamenti contrapposti. La decisione di questo Collegio, oltre a definire il ricorso
rimessogli, stabilisce il principio di diritto che i Collegi territoriali dovranno applicare
nei casi futuri. E’ fatta salva la possibilità di disattendere l’orientamento espresso dal
Collegio di coordinamento nei soli casi caratterizzati da specificità evidenti e con
espressa motivazione delle ragioni dello scostamento.
Sul più generale versante culturale e istituzionale, si consolida una crescente
attenzione per le decisioni dell’Arbitro da parte di riviste giuridiche (elettroniche e
tradizionali), nonché da parte della dottrina (saggi, libri, convegni). Lo stesso
legislatore lo contempla espressamente (art. 5 d. lgs n. 28/2010) tra gli organismi atti
a soddisfare l’esperimento della condizione di procedibilità (obbligatoria ante Corte
cost., 6 dicembre 2012, n. 272) nella materia in oggetto, così validando a livello
primario le regole del relativo procedimento. Sul versante della giurisdizione, una
nota ordinanza (n. 218/2011) della Corte costituzionale dichiara l’inammissibilità
della legittimazione dell’Arbitro alla proposizione di questioni di legittimità
costituzionale: i) perché ne viene esclusa natura giurisdizionale; ii) perché la sua
2
pronuncia non è autenticamente decisoria, non incidendo sulla situazione giuridica
delle parti (è un “responso”, nel lessico della Corte); iii) perché il decidere “secondo
diritto” è proprio anche di qualsiasi organismo della pubblica amministrazione. Nel
menzionarla al solo scopo di ribadire la progressiva centralità dell’Arbitro nel diritto
vivente, mette peraltro conto fugacemente osservare: 1) che non pare dubbio che
l’Arbitro non svolga funzioni giurisdizionali (lo preclude l’art. 102 Cost.), ma
l’ordinanza di rimessione del Collegio di Napoli insisteva più che su questo profilo
sul possibile allargamento del giudizio della Corte ad atti (es.: il parere del Consiglio
di Stato nell’ambito del ricorso straordinario al Capo dello Stato) ai quali la decisione
dell’Arbitro potrebbe essere assimilata; 2) che altro sono gli effetti della decisione
dell’Arbitro (certo non esecutiva né esecutoria), altro il negare che di decisione
concettualmente si tratti; 3) che la pubblica amministrazione certo adotta le proprie
determinazioni “secondo diritto”, ma al diverso fine dell’adozione di un
provvedimento amministrativo e non di una decisione relativa a una controversia in
atto.
Il crescente “successo” dell’organismo corre anzi (paradossalmente) il rischio di
alimentare entusiasmi eccessivi e di generare distorte accezioni dei compiti che è
chiamato ad assolvere. Il riferimento, neanche troppo implicito, è alla norma
contenuta nell’art. 27 – bis, co. 1 – quinquies, del d. l. n. 1/2012 e successive
modificazioni nella parte in cui prevede che “ove lo ritenga necessario e motivato, il
prefetto segnala all’Arbitro bancario finanziario…specifiche problematiche relative
ad operazioni e servizi bancari e finanziari. La segnalazione avviene a seguito di
istanza del cliente in forma riservata e dopo che il prefetto ha invitato la banca in
questione, previa informativa sul merito dell’istanza, a fornire una risposta
argomentata sulla meritevolezza del credito”, aggiungendo che “l’Arbitro si
pronuncia non oltre trenta giorni dalla segnalazione”. La disposizione si applica ai
rapporti tra banche e clienti nei casi in cui la controversia tragga origine dalla
mancata erogazione, dal mancato incremento o dalla revoca di un finanziamento,
nonché dall’inasprimento delle condizioni applicate o da condotte della banca
conseguenti alla valutazione del merito di credito. Non chiarissima nella forma e nei
contenuti, la norma sollecita questioni interpretative tanto di rito quanto soprattutto di
sostanza, segnatamente nella parte in cui, nel rimettere all’Arbitro il sindacato sulla
“meritevolezza di credito” del cliente, può ingenerare il sospetto dell’estensione della
cognizione dell’organismo alle valutazioni imprenditoriali dell’intermediario, così
determinando un non sequitur logico rispetto agli obiettivi perseguiti e legittimando
improponibili aspettative sul suo ambito di applicazione. L’analisi sul merito di
credito di un imprenditore (o anche solo del “consumatore”) consiste nella
valutazione della sua capacità di far fronte, nel corso del tempo, agli obblighi di
rimborso relativi ai finanziamenti accordatigli. E’ questo il compito istituzionalmente
assegnato al sistema bancario, rappresentativo dello specifico oggetto sociale nel
quale si compendia lo statuto della relativa intrapresa economica. Di particolare
rilievo per lo stato di salute del finanziatore (che dipende dalla bontà dell’analisi), si
riflette – sul piano dell’interesse pubblico – sulla stessa crescita economica
(finanziamenti concessi a imprenditori virtuosi genereranno ricchezza) e sulla tutela
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del risparmio (sotto il duplice versante della stabilità dell’impresa bancaria e
dell’affidamento da parte dei risparmiatori nella valutazione che la banca, quale
insider istituzionale, abbia fatto del merito di credito). Proprio tale interesse pubblico
giustifica la specialità dello statuto di questa impresa e la sua sottoposizione a
controlli. Da ciò discende (come peraltro fin qui univocamente riconosciuto nelle
controversie sottoposte all’attenzione dei Collegi) l’inesistenza di un diritto del
cliente alla concessione del credito a fronte dell’autonomia imprenditoriale e della
sottesa discrezionalità nell’erogazione dello stesso. Di guisa che, interpretare la
norma nel senso di rimettere all’Arbitro il giudizio sulla meritevolezza di credito
dell’istante significherebbe traslare su questi il giudizio imprenditoriale, avallando
uno strabismo legislativo incompatibile con la natura dell’attività bancaria e con lo
stesso diritto europeo. Negli indicati termini, mi sembra (pure a fronte della
polivocità semantica che la caratterizza) che l’unico significato ragionevolmente
proponibile della disposizione in rassegna non possa che risiedere nel più circoscritto
sindacato da parte del giudicante della condotta perseguita dall’intermediario nel
rapporto con il richiedente credito e dunque nella correttezza concretamente spiegata
in sede di trattativa o di esecuzione del contratto, in grado di estendere il suo ambito
non solo alla tradizionale ipotesi dell’ingiustificata rottura della relazione tra i
paciscenti ma anche allo stesso clare loqui e, in particolare, alla mancata
informazione circa il reale intento di concludere il contratto (come da ultimo stabilito
da Cass., 26 aprile 2012, n. 6526) o di modificarlo o di recedere dallo stesso. Ciò, del
resto, in conformità di quanto stabilito dalla stessa Banca d’Italia la quale (specie con
una comunicazione del 22 ottobre 2007) precisa che qualora la banca, nell’ambito
della sua autonomia decisionale, decida di non accettare una richiesta di
finanziamento, occorre che fornisca di ciò un sollecito riscontro al cliente unitamente
a indicazioni generali sulle motivazioni che la hanno determinata al rifiuto.
La norma disegna un procedimento affatto singolare, nel quale la fase del reclamo
(che sottende la negoziazione tra le parti tesa a evitare la lite) può essere
rappresentata dall’invito del prefetto alla banca a fornire le proprie valutazioni
sull’istanza. In ogni caso, la Banca d’Italia ha opportunamente introdotto una Sezione
VI - bis alle vigenti disposizioni regolamentari che disciplina l’indicato
procedimento. Nell’ambito di queste, è contenuta l’importante precisazione che il
diritto del cliente ad adire direttamente l’Arbitro bancario “rimane fermo” fino al
momento in cui il prefetto non abbia trasmesso la segnalazione all’Arbitro (meglio,
alla segreteria tecnica del Collegio competente). Ciò consente di ritenere che la
legittimazione ad agire straordinaria del prefetto possa prefigurare una fattispecie di
sostituzione processuale analoga a quella regolata dall’art. 81 del codice di rito.
Maggiormente distante dalla concreta dinamica descritta dalla richiamata
disposizione appare invero la diversa ipotesi del ricorso nell’interesse della legge sia
per le sue caratteristiche procedimentali che per i più specifici contenuti.
3. L’inedita morfologia giuridica dell’organismo ha sollecitato, sollecita continui
interventi (e polemiche) sulla natura giuridica dell’Arbitro: da organismo arbitrale ad
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arbitratore a organo della Banca d’Italia per il perseguimento delle finalità pubbliche
della vigilanza bancaria.
Il discorso può tuttavia essere impostato diversamente e scontare risposte diverse nel
metodo e nei contenuti.
E’, a tale riguardo, opportuno premettere che la cornice nella quale l’Arbitro
Bancario Finanziario è iscritto sembra non dissimile da quella che, nel diritto
sostanziale, governa il c.d. “contratto del duemila” rispetto alla tradizione relativa al
contratto tra uguali regolato dal codice civile (pensiamo solo ai recessi di pentimento;
alle nullità relative e virtuali; ai vincoli di forma; ai c.d. abusi dell’autonomia
negoziale). Di matrice prevalentemente europea (con riguardo almeno alla loro
genesi), queste discipline attribuiscono al consumatore tutele sostantive
principalmente tese a favorire le sue scelte di prodotti e servizi in un assetto
economico di mercato regolato di concorrenza ma anche (principalmente in contesti
di “fallimenti del mercato”) a proteggerlo (talora anche “contro sé stesso”) per il
tramite di interventi eteronomi limitativi delle libertà negoziali (quali – ad esempio –
quelli repressivi delle clausole abusive o vessatorie) o di conformazione negoziale o
di solidarietà contrattuale. Braccio armato della regolazione di questo “contratto
rugiadoso” di origine franco – germanica sono, non a caso, le clausole generali, in
primis la clausola di correttezza. Esse incrinano irreversibilmente la c.d. sanctity of
contract, dilatando la discrezionalità del giudice e perciò talora rimettendogli la
stessa valutazione economica dell’affare.
Si estendono anche al comparto in senso lato finanziario (nel nostro paese peraltro
suddiviso, come nelle Gallie di Cesare, in partes tres: bancario, mobiliare e
assicurativo, spesso con sovrapposizioni e incoerenze) a tutela del risparmiatore,
dell’investitore, dell’assicurato. Con il passaggio al mercato, la libertà della scelta
esalta la questione dell’efficienza aziendale, non essendo più la clientela variabile
indipendente. Diviene perciò evidente che il trade – off stabilità/efficienza non può
più risultare rappresentativo (per lo meno sul piano strutturale) di variabili alternative
ma necessariamente complementari. Dal mondo dell’interesse legittimo si trasmigra a
quello dei diritti, con ricadute di rilievo in punto di disciplina del contratto, della
responsabilità da danno aquiliano, delle tutele assicurate alla parte “debole” del
rapporto (rectius, alla controparte dell’impresa finanziaria).
Le garanzie offerte sul piano del diritto sostanziale possono, tuttavia, non essere
sufficienti se non accompagnate da rimedi idonei a renderle effettive. Il problema è,
naturalmente, generale e riguarda (nella società post – industriale) modi e forme per
ovviare alla litigation explosion sottesa all’affollamento delle aule di giustizia in
ragione del crescente numero di controversie seriali o di massa. Ciò evoca l’adozione
di strumenti tesi a porvi rimedio.
I principali sono rappresentati, da un lato, dall’introduzione di un’efficiente disciplina
delle azioni collettive inibitorie e, soprattutto, risarcitorie (c.d. class actions);
dall’altro dall’insieme di rimedi riassunti nella nota sintesi verbale rappresentata, sul
piano lessicale, dall’ossimoro “giustizia stragiudiziale”. Se strutturata attraverso
tecniche giuridiche ottimali, l’azione collettiva risarcitoria consente infatti (in sintesi
estrema) di: 1) ridurre i costi d’accesso alla giustizia a carico dei singoli danneggiati,
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così da incrementare l’efficacia deterrente dell’enforcement privato; 2) diminuire il
carico di lavoro degli uffici giudiziari attraverso la concentrazione in un unico
procedimento di una pluralità di istanze simili; 3) predeterminare una volta per tutte il
danno che il soggetto responsabile è chiamato a rifondere a causa della condotta
illecita, riducendo l’alea derivante dalla dispersione del contenzioso in una pluralità
di procedimenti; 4) realizzare effetti di deterrenza, stimolando gli operatori a tenere
comportamenti virtuosi nei confronti dei consumatori. Il nostro ordinamento conosce
da tempo strumenti di c.d. injuntive class action (per la sua prossimità al settore di
riferimento, basti solo qui far menzione dell’art. 32 – bis del testo unico della
finanza). Si è di recente dotato (con il noto art. 140 – bis del codice del consumo) di
rimedi collettivi risarcitori (c.d. damages class actions) i cui effetti risultano peraltro
controversi tanto sul piano teorico quanto su quello applicativo. L’argomento esula
ovviamente dall’oggetto di questo scritto.
La seconda area d’intervento è quella della giustizia stragiudiziale. E’ noto che questa
strutturalmente riguarda, con specifico riferimento alle controversie minori (c.d.
small claims), l’allargamento della tutela dei diritti più che l’efficienza della giustizia
civile. Ha tuttavia effetti di rilievo anche ai fini di un sensibile contenimento
nell’imput delle controversie sottoposte al giudice togato, sollecitando forme di
soluzione delle liti diverse dal ricorso al processo civile. Precursore dell’Arbitro
Bancario Finanziario è stato, nel settore di riferimento (fin dall’accordo istitutivo del
1993), l’Ombudman bancario, organismo la cui matrice (dichiaratamente
autopoietica) formalmente consisteva in un contratto (stipulato tra i costituenti e
aperto agli altri operatori del settore) a favore di terzo (il beneficiario dell’accordo)
sostanzialmente riconducibile alla tipologia negoziale prevista (e disciplinata)
dall’art. 1411 segg. cod. civ. Ha, nel corso degli anni, fatto registrare un’adesione
pressoché totale da parte del sistema creditizio. Nel corso della sua evoluzione ha
gradualmente esteso le competenze (radicate in materia bancaria e finanziaria) anche
ai servizi di pagamento e allargato la legittimazione attiva al ricorso dal solo
consumatore a tutta la clientela bancaria o finanziaria, indipendentemente dalla
qualifica soggettiva posseduta. Dotato di attribuzioni in senso lato risarcitorie (con
competenza per valore da ultimo estesa a controversie fino a 50 mila euro) ha, di
fatto, rappresentato l’archetipo di riferimento della vigente disciplina che regola
l’Arbitro. Ricordo sommariamente la condizione di procedibilità rappresentata dal
previo reclamo all’intermediario; la legittimazione circoscritta a favore del solo
cliente; la preclusione al ricorso (e/o alla pronuncia) rappresentata dalla pendenza
della controversia presso l’autorità giudiziaria o un collegio arbitrale; i circoscritti
termini del procedimento; la sanzione c.d. reputazionale (per il caso d’inosservanza
da parte del convenuto alla decisione), consistente nella pubblicità dell’inadempienza
a mezzo stampa.
La sua ultima (beninteso, con riferimento alle materie de quibus) relazione (relativa
all’anno 2009) ha fatto registrare, a fronte di 4.179 ricorsi definiti, percentuali di
sostanziale accoglimento del ricorso (comprensive cioè di decisioni di accertamento
della cessazione della materia del contendere per intervenuto accordo tra le parti)
superiori alla metà.
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Le differenze rispetto all’Arbitro Bancario Finanziario sono tuttavia, sul piano del
diritto positivo, cospicue. Tralasciando quelle “minori”, basti menzionare la diversa
valenza dell’accesso: libera e facoltativa (in quanto consensuale) a quello; doverosa a
questo (è già stato ricordato che il presente “aderiscono” è cogente, come precisa
anche la circolare del 20 aprile 2011 del dipartimento degli affari giuridici e
legislativi). Diversità che, naturalmente, si riflette sui conseguenti effetti (ovviamente
inesistenti per il mancato esercizio di una facoltà; per converso rilevanti tanto in
punto di accesso alla e di esercizio della attività bancaria quanto sanzionatori). Né va
sottaciuto, sul piano delle tutele concretamente approntate, il diverso, più ampio
perimetro della cognizione dell’Arbitro non solo nell’ammontare monetario a fini
risarcitori, restitutori o a qualunque altro titolo ma soprattutto nell’attribuzione di una
competenza per materia estesa all’accertamento di diritti, obblighi e facoltà,
indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono. L’assenza di
similari attribuzioni costituiva un indubbio limite all’operatività dell’Ombudsman
bancario, a ragione denunciato in dottrina, vista la limitazione delle competenze ai
soli danni economici direttamente causati dall’inadempimento o dall’inesatta
esecuzione di operazioni e servizi bancari, finanziari e di pagamento. Altre importanti
differenze potrebbero proficuamente additarsi all’attenzione del lettore. Non essendo
peraltro obiettivo di questo scritto intrattenersi sugli aspetti diacronici relativi alla
successione tra le due indicate forme di ADR, mette conto – conclusivamente sul
punto – solo considerare che, al di là dei formanti disciplinari e procedimentali, gli
scostamenti attengono soprattutto alla diversa percezione di efficacia e funzionalità
degli strumenti in termini tanto di fonti istitutive quanto di effettività di tutele. E’
peraltro doveroso ricordare che l’evoluzione in parte qua del sistema finanziario è
monca nella parte in cui nulla prevede, diversamente da quanto introdotto (e
realizzato) a favore del risparmiatore e dell’investitore (tramite la camera di
conciliazione e arbitrato presso la Consob), in materia assicurativa. Tale settore, che
al pari (e forse più) di quelli considerati è caratterizzato da una elevata soglia di small
claims e afflitto da cronici ritardi della giustizia ordinaria con riguardo a una congerie
di controversie (si pensi solo a quelle relative alla responsabilità civile
automobilistica) che considerevolmente incidono sul numero dei processi pendenti (e
relativi arretrati) non dispone neanche di forme autopoietiche di risoluzione delle
controversie similari a quelle riferibili all’Ombudsman bancario (ora finanziario). I
reclami che l’art. 7 del codice delle assicurazioni devolve all’Isvap (ora Ivass) sono
tutt’affatto diversi da quelli che precedono la pronuncia dell’Arbitro tanto negli scopi
(che riguardano i controlli di legittimità) che nei risultati (che non ristorano il
proponente ma solo, per il tramite delle sanzioni amministrative pecuniarie, l’erario
dello Stato). E’ una lacuna grave alla quale il mercato non è stato fin qui in grado di
porre rimedio e che impone, per molteplici ragioni (comparative, di tutela
asimmetrica rispetto a prodotti talora unitari, di disfunzioni della giustizia togata) di
provvedere con urgenza, avendo peraltro presente che il “braccio violento della
legge”, espressione del principio di sussidiarietà, non tarderà a manifestarsi, visto che
un art. 13 inserito nella proposta di direttiva di modifica della precedente 2002/92/Ce
sull’intermediazione assicurativa espressamente prevede, da parte degli Stati,
7
l’istituzione di procedure di risoluzione stragiudiziali delle controversie insorte tra
intermediari assicurativi e consumatori “adeguate, efficienti, imparziali e
indipendenti”, con obbligo in capo a tutte le imprese di assicurazione e agli
intermediari di parteciparvi.
4. Sul piano comparatistico, l’esperienza statunitense è significativa. Il formalismo
giudiziale e le conseguenti disfunzioni a rendere alla collettività giustizia con rapidità
ed efficienza determinarono, fin dal 1990, l’approvazione di una legge di riforma
della giustizia civile (civil justice reform act) in forza della quale, facendo
applicazione di uno dei sei principi di case management ivi contemplati, si prevedeva
il ricorso obbligatorio a procedure di alternative dispute resolution (ADR). La
successiva legge sulla risoluzione alternativa delle controversie del 30 ottobre 1998
sanciva, anche formalmente, la definitiva acquisizione di siffatte metodiche
all’ordinamento giuridico di quel paese, al punto che il successo delle formule di
giustizia alternativa avrebbe determinato il cambiamento “dell’indicazione della
prima lettera dell’acronimo da alternative ad appropriate, che sta invece a
sottolineare la maggiore rispondenza agli interessi economici delle parti” (C.
MICERA, ADR in internet. La risoluzione delle controversie, in Riv. dir. comm. int.,
2001, p. 363). Le formule organizzative attraverso le quali vengono offerti a cittadini
e imprese rimedi di giustizia stragiudiziale sono numerose e abbracciano variabili
tanto pubbliche quanto private. In sintesi estrema possono ricondursi ai procedimenti
che seguono: 1) Conciliazione (mediation), nel quale il conciliatore è un terzo che
aiuta le parti a concordare una soluzione. Caratterizzata da riservatezza sia della
procedura che dell’esito, l’ADR è strutturata in due segmenti, a seconda che si
agevoli la trattativa (c.d. ADR facilitativa) o si attribuisca al conciliatore un più attivo
ruolo di formulare una proposta finale di possibile accordo (c.d. ADR valutativa).
L’obiettivo, in entrambi i casi, consiste nel consentire alle parti di mantenere vivi i
rapporti futuri; 2) Valutazione preliminare (early neutral evaluation), nel quale un
terzo neutrale acquisisce gli atti, ascolta le parti (e i legali) e fornisce una valutazione
sul possibile esito giudiziale della controversia. La valutazione peraltro non è mai
vincolante; 3) Miniprocesso (mini trial). Anche in questo caso la pronuncia non è
mai vincolante. Consiste nella simulazione di un giudizio formulato da una giuria
composta da persone designate dalle parti e presieduta da un terzo neutrale. Si
sostanzia in una vera e propria decisione; 4) Comitato permanente per la
risoluzione delle controversie (dispute settlement board). Ha a oggetto controversie
relative a grandi opere (appalti) e si traduce nella definizione di modalità tese a
evitare la sospensione dei lavori anche per contestazioni di modesta entità. Il
Comitato permanente, che si riunisce periodicamente, ha il compito di gestire
l’accordo e di risolvere eventuali controversie; 5) Ombudsman. Organismo auto
poietico di origine svedese, opera su ricorso dei clienti delle aziende aderenti
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all’accordo e si basa su un contratto c.d. normativo a favore del terzo stipulato tra
queste; 6) Conciliazione – arbitrato (med - arb). E’ una procedura bifasica in cui il
mediatore, se fallisce il tentativo di conciliazione, diventa arbitro emettendo una
decisione vincolante sulla scorta di un previo accordo in questo senso delle parti; 7)
Arbitrato con oscillazione predefinita (high – low arbitration), nel quale le parti
fissano, ad insaputa dell’arbitro, un limite risarcitorio minimo e massimo, entro il
quale il lodo eventualmente fuori banda verrà ricondotto; 8) Arbitrato con scelta di
una sola delle richieste (baseball arbitration), dove all’arbitro viene chiesto non di
decidere la lite ma solo di scegliere la richiesta più ragionevole.
L’esempio statunitense è stato replicato in Gran Bretagna nel 1999 attraverso
modifiche al codice di procedura civile (rule 26.4) che attribuiscono al giudice il
potere di sospendere il processo per un mese al fine di esperire la conciliazione
attraverso un sistema ADR. La condotta delle parti in questa sede costituisce
parametro di riferimento per la condanna alle spese. Si radica nel regime della c.d.
“doppia elica”, dove tra i due sistemi vige complementarità e non un ruolo di
supplenza dell’ADR rispetto alla giustizia ordinaria, il presupposto essendo che solo
un’efficiente giustizia ordinaria favorisce le ADR sia per la qualità della decisione
che per il timore del giudizio. Le principali forme di giustizia alternativa sono
rappresentate dalla negoziazione tra le parti in vista di un accordo transattivo; dalla
mediazione; dall’arbitrato. La riforma ha ampiamente inciso sui poteri del giudice
nella gestione dei procedimenti civili, confermando peraltro le caratteristiche
principali del processo inglese (giudice monocratico; per le cause complesse,
procedimento articolato in fasi; alte spese di soccombenza; separazione tra barristers
e solicitors; eccezionalità del dibattimento; rarità delle impugnazioni, che scontano
l’autorizzazione del giudice a quo o di quello ad quem). In tale contesto, viene
favorita la mediazione da parte dello stesso giudice. Il mediatore può agire come
“facilitatore” (trait d’union tra le parti); “valutatore” (quando esprime un giudizio
non vincolante sulla pretesa delle parti); “decisore” (arbitro quando le parti gli
rimettano il giudizio). Se una delle parti ha adito direttamente il giudice senza
rispettare la clausola contrattuale della previa mediazione, il procedimento va
sospeso.
Nel più specifico ambito delle controversie in materia finanziaria, la disciplina del
Regno Unito fa registrare, con il Financial services act l’istituzione del Financial
Ombusman Service, organismo pubblico indipendente, che opera a stretto contatto
con la Financial Services Authority. E’ amministrato da un board nominato
dall’autorità di supervisione e si compone di 41 professionisti a loro volta nominati
dal board sulla base di requisiti di professionalità e indipendenza. Ha funzioni
decisorie, tuttavia precedute da una fase conciliativa utile a risolvere ca. il 50 per
cento delle controversie. L’adizione dell’organismo non è rappresentativa di una
condizione di procedibilità. La cognizione si estende all’accertamento dei diritti; alla
declaratoria di nullità o alla rettifica di una clausola contrattuale illegittima o
scorretta; al risarcimento del danno (fino a 100 mila sterline). Procede dietro
acquisizione della documentazione ma possono esservi vere e proprie udienze di
audizione delle parti. Il procedimento è regolato da un atto della FSA. La pronuncia è
9
definitiva e vincolante per l’intermediario e costituisce vero e proprio titolo
esecutivo. E’ passibile di judicial review da parte del giudice per i soli profili di
legittimità. In Francia, una legge del 2001 obbliga gli intermediari a istituire un
sistema di mediazione non aggiudicativo, che ha natura privatistica sebbene
sottoposto a controllo da parte di un organismo presieduto dal Governatore della
Banca di Francia. Nominati dagli intermediari, i componenti degli organismi di
mediazione assistono le parti per la soluzione della controversia. Procedono
comunque alla predisposizione di una proposta (reglement amiable) che non ha
natura vincolante. Il ricorso al sistema sospende i termini di prescrizione. Stante la
natura di mediazione non aggiudicativa, può investire qualsiasi controversia, senza
limiti di valore. La Germania è invece caratterizzata dall’esistenza di sette sistemi di
ADR volontari (di cui uno con natura pubblica, istituito presso la Banca centrale, con
competenza circoscritta a poche materie e con riguardo ai soli intermediari che non
aderiscono a sistemi privati). Le regole del procedimento derivano dall’autodisciplina
e il solo controllo previsto da parte del Ministero della giustizia riguarda i requisiti
d’indipendenza dei componenti, la nomina dei quali avviene da parte delle
associazioni di categoria ed è sottoposta al placet delle associazioni dei consumatori.
Svolgono funzioni prevalentemente aggiudicative ed è previsto che la previa adizione
dell’organismo rappresenti condizione di procedibilità per l’accesso alla
giurisdizione. Non esistono limiti alla competenza. Infine, in questo breve (e
necessariamente circoscritto) excursus sulle principali forme di ADR in materia
finanziaria, la Spagna fa registrare, con una legge del 2002, l’esistenza di tre distinti
organismi (la cui gestione è svolta presso la Banca centrale) in materia bancaria,
mobiliare, assicurativa. La nomina dei componenti avviene a opera del Ministero
dell’economia, sentito il Governatore del Banco di Spagna e le associazioni dei
consumatori, con durata di cinque anni, non rinnovabili. Il procedimento si conclude
con un parere non vincolante, di natura decisoria. Ha a oggetto l’accertamento di
diritti. L’istruttoria è solo documentale.
In ambito di diritto europeo, l’interesse dell’Unione a queste tematiche è crescente
non solo al fine di assicurare tutela alle controversie transfrontaliere ma anche e
soprattutto in quanto tempi, costi, flessibilità dei relativi procedimenti rappresentano
argomenti forti per l’adozione di politiche di incentivazione del fenomeno.
L’obiettivo non è quello di creare un duplicato, un clone uguale e parallelo al giudice
togato ma un meccanismo quanto più possibile diverso, appunto “alternativo”, alla
giustizia formale. E’ appena il caso di soggiungere che ciò non postula alcun
affievolimento degli sforzi tesi a rendere più efficiente la giustizia civile ordinaria,
muovendosi invece su un versante parallelo e complementare. Tangibile
testimonianza è offerta dall’adozione del regolamento n. 861/07 dell’11 luglio 2007,
istitutivo di un procedimento europeo per le controversie di modesta entità.
Le principali fonti del diritto dell’Unione sono rappresentate, oltre che dal Libro
Verde del 1993, dalle due raccomandazioni del 1998 (n. 257 del 30 marzo 1998) in
materia di ADR decisorie/aggiudicative e del 2001 (n. 310 del 4 aprile 2001) sulle
ADR conciliative. La prima prevede, in generale, principi d’indipendenza e di
rappresentatività dell’organo responsabile della decisione; afferma l’importanza di
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discipline di trasparenza ed efficacia della procedura; suppone il contraddittorio tra le
parti e auspica il rispetto della legalità e della libertà della decisione. La
raccomandazione 2001/310 prevede principi in materia di imparzialità del
conciliatore (designazione a tempo determinato; prevenzione dei conflitti d’interesse;
informazioni alle parti; rimozione solo per giusta causa); trasparenza della procedura
(in particolare, tempi e costi); efficacia (gratuità per i consumatori; informalità e
assenza di obbligo di patrocinio); equità (contraddittorio; cooperazione; libertà di
adire il giudice). Seguono, insieme alle molteplici disposizioni contenute nelle
direttive consumeristiche che – nell’uno o nell’altro modo – prevedono l’istituzione e
il ricorso a specifiche forme di ADR, le Best practices del 2009 compendiate, nella
sostanza, nei quattro specifici indicatori tesi a enfatizzare criteri di imparzialità e
indipendenza (attraverso la preferenza per le ADR pubbliche, la conoscibilità dei
criteri di nomina dei componenti, la loro rappresentatività e professionalità); di
trasparenza (sub specie effettività delle decisioni, anche per il tramite di sanzioni
reputazionali, c.d. naming and shaming); di attuazione del principio del
contraddittorio; di accessibilità diffusa. Da ultimo, la proposta di direttiva sulle
modalità alternative di risoluzione delle controversie del 29 novembre 2011 (motivata
dalla qualità non omogenea delle diverse forme di ADR all’interno degli Stati
membri) significativamente prevede modalità telematiche per la formazione dei
fascicoli e la comunicazione alla parti onde conseguire recuperi di efficienza
temporale (art. 5); requisiti, competenza e imparzialità dei giudicanti (art. 6);
trasparenza e accontability delle decisioni anche attraverso la produzione di relazioni
annuali degli organismi (art. 7); tempi contenuti (max 90 gg. dal ricevimento del
ricorso); rispetto del principio del contraddittorio anche attraverso apposite udienze di
audizione delle parti (art. 9); previsione di un’autorità competente a effettuare, in
ogni singolo Stato, il monitoraggio del funzionamento e dello sviluppo dei sistemi
ADR (art. 15).
5. In questo scenario, la caratteristica assorbente che segnala la netta soluzione di
continuità dell’introdotto sistema rimediale teso ad “assicurare la rapidità,
l’economicità della soluzione delle controversie e l’effettività della tutela” (art. 128 –
bis, co 2, tub) rispetto al tradizionale assetto della giustizia civile è rappresentata dalla
legittimazione “disuguale” all’azione, circoscritta a favore del solo cliente (che è
nozione più ampia ma non ontologicamente diversa da quella di consumatore del
prodotto o servizio considerato), omologa alla corrispondente disuguale tutela
disegnata, sul piano sostanziale, dal diritto privato europeo che disciplina i contratti
del consumatore. A ben vedere, è dalla legittimazione “disuguale” che derivano tutte
le altre peculiarità del procedimento: dall’incerta sua natura giuridica alla previsione
di singolari meccanismi afflittivi a carico del convenuto nel caso di accoglimento del
ricorso. L’indicatore (anche sul piano positivo) più perspicuo di siffatta linea di
policy è offerto dalla espressa salvezza del ricorso “a ogni mezzo di tutela previsto
dall’ordinamento” contemplata a favore del solo cliente (art. 128 – bis, co. 3). Nessun
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dubbio, sul piano sistematico, che l’adizione del giudice sia concessa (scilicet, non
possa che esserlo, trattandosi di un diritto costituzionalmente protetto) anche
all’intermediario bancario o finanziario. E’ tuttavia significativo (e tutt’altro che
ermeneuticamente ininfluente) che l’inciso corrisponda esattamente (in sede di
output) alla identica limitazione soggettiva al ricorso. Breviter: scopo della norma è
quello di precisare che l’istituito sistema è volto ad assicurare un alternativo e
additivo rimedio dei conflitti economici in materia bancaria, creditizia e (poi) dei
pagamenti al solo cliente, preoccupandosi coerentemente di specificare che per lui e
per lui solo questo meccanismo di enforcement alternativo si somma a quelli
tradizionali. Negli indicati termini, il diritto dei consumatori si conferma veicolo di
circolazione di nuovi modelli in grado di rompere schemi consolidati non solo nella
diversa allocazione del rischio contrattuale ma anche in sede rimediale. Come recenti
studi dimostrano, “la spinta propulsiva ideale è quella dell’acces to justice, ma le vele
che si sono gonfiate non sono quelle della procedura civile bensì
quelle…dell’amministrazione dei conflitti economici” (V. ZENO ZENCOVICH –
M.C. PAGLIETTI, Verso un “diritto processuale dei consumatori”?, in Nuova giur.
civ., 2009, II, p. 259).
Rispetto ad altri paesi europei, quello della crisi della giustizia civile è peraltro un
problema che affligge l’Italia in maniera ormai radicata. Un’efficiente (o, almeno,
acconcia) tutela dei diritti è, oggi più che in passato, importante strumento di politica
economica, atteso che la competizione internazionale opera non solo nel mercato dei
prodotti ma anche in quello delle regole. I canali attraverso i quali la qualità della
giustizia civile ha effetti sull’attività economica – segnatamente in punto di
affidabilità e stabilità dei diritti proprietari, contrattuali e dell’impresa – sono
molteplici (v., funditus, il mio Costo dei servizi legali e giustizia civile, in Scritti di
diritto dell’economia, Milano, 2010, p. 53). Secondo Confindustria (v. Ripresa
globale: dallo slancio al consolidamento. Italia in ritardo, Roma, 2011, p. 73) “una
riduzione del 10 per cento della lunghezza dei processi” (civili) “aggiungerebbe lo
0,8 per cento al PIL”. La stessa Banca d’Italia rileva che la perdita annua di PIL
attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto
percentuale (Considerazioni finali, Roma, 2011, p. 12). Naturalmente, non di solo
PIL si tratta. Le ricadute di una giustizia civile in crisi si riflettono prioritariamente
sui diritti della persona costituzionalmente garantiti, investono le ragioni del vivere
civile, la stessa intima essenza del “contratto sociale”. La denegata giustizia che
segue alla ritardata giustizia provoca allontanamento dalla realizzazione dei diritti,
ineffettività delle norme, incentivi a comportamenti opportunistici. Grava più
pesantemente proprio sui soggetti più deboli.
Al di là quindi e oltre all’economicità nella soluzione di controversie “minori”, il
contesto di riferimento esalta il valore aggiunto offerto da un organismo, quale
l’Arbitro Bancario Finanziario, che – a fronte delle richiamate disfunzioni – ben può
in talune circostanze essere percepito non come alternativo alla giustizia ordinaria ma
addirittura (quoad effectum) come esclusivo quando il ricorso a quella risulti
sostanzialmente precluso dagli elevati costi, diretti (essendo gli oneri monetari pur
sempre prodromici alla realizzazione dei diritti dei quali si invoca tutela in un
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rapporto di mezzo al fine) e soprattutto indiretti (quando la domanda di giustizia
viene vanificata dai tempi del processo e dalla aleatorietà della pronuncia in ragione
delle possibili impugnazioni).
Ciò segnatamente in quanto aver rimesso organizzazione, gestione, supervisione della
complessiva efficienza del sistema alla Banca d’Italia (beninteso, nell’ambito delle
più generali regole del gioco fissate dal Cicr) rileva non solo in ragione della
tradizionale, consolidata autorevolezza dell’istituzione deputata a tale scopo ma
proprio con riferimento alle innovative policies di supervisione bancaria e creditizia
disegnate da leggi recenti. In siffatta guisa, il d. lgs. 13 agosto 2010, n. 141 (e
successive modificazioni e integrazioni) rappresenta il naturale (e indispensabile)
complemento all’art. 128 – bis del tub nella parte in cui introduce l’importante
prescrizione (ora contemplata nel comma 01 dell’art. 127 tub) a norma della quale “le
autorità creditizie” (Comitato del credito, Ministro dell’economia e della finanza,
Banca d’Italia) “esercitano i poteri previsti” (dal Titolo VI) ”avendo riguardo , oltre
che alle finalità indicate nell’art. 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla
correttezza dei rapporti con la clientela”. La disposizione aggiunge così alle
tradizionali finalità della vigilanza bancaria (sana e prudente gestione dei soggetti
vigilati, stabilità complessiva, efficienza e competitività del sistema finanziario)
anche (e in maniera pari ordinata) la tutela del risparmiatore.
Soddisfa, sul piano positivo, gli auspici formulati dal Governatore della Banca
d’Italia con l’affermazione resa nelle Considerazioni finali del 31 maggio 2010, ai
sensi della quale “la tutela dei clienti degli intermediari è ormai diventata a pieno
titolo una finalità della Vigilanza”. Colma la lacuna rappresentata dall’asimmetria
ordinamentale presente nel mercato (in senso lato) finanziario che fa, per contro,
registrare l’esistenza di specifici obiettivi della specie (quali paradigmi dell’esercizio
della discrezionalità da parte delle corrispondenti autorità settoriali) nel comparto
mobiliare [art. 5, lett. b) d. lgs. n. 58/1998, Tuif] e in quello assicurativo (art. 3 d. lgs.
n. 209/2005, codice delle assicurazioni private). L’assenza di una corrispondente
prescrizione nel settore bancario risultava manifestamente ingiustificata quanto meno
con riguardo all’attività creditizia e finanziaria delle banche e degli altri soggetti
abilitati, ammesso (certo non concesso) che la tutela del risparmio c.d. inconsapevole,
cioè della raccolta bancaria, possa risultare sussumibile in quella della stabilità
dell’intermediario, ricevendo perciò protezione solo immediata e indiretta.
Oltre ad allineare e a rendere finalmente omogenee nei diversi segmenti di un
mercato comunque strutturalmente unitario le forme di tutela amministrativa del
cliente (nelle diverse vesti di risparmiatore, investitore, assicurato), la norma consente
al sistema italiano di allinearsi alle recenti innovazioni introdotte con l’importante
legge c.d. Dodd – Frank del 21 luglio 2010 di riforma del sistema finanziario U.S.A.
nella parte in cui istituisce una nuova autorità federale a tutela dei consumatori di
prodotti e servizi finanziari (Consumer Financial Protection Agency) dotata di poteri
di regolazione, di supervisione e sanzionatori, con la possibilità per le corrispondenti
amministrazioni statali di applicare norme ancora più restrittive di quelle previste a
livello federale. La riforma colloca tale nuova unità all’interno della Fed, con il
compito – in particolare - di monitorare i contratti di mutuo e l’emissione di carte di
13
credito. Tra i poteri affidati al nuovo organismo, degni di particolare menzione
appaiono quelli relativi alla revisione del linguaggio usato nei contratti di mutuo e
delle carte di credito, allo scopo di renderlo comprensibile al consumatore medio.
Dovrà inoltre fornire protezione anche nei casi di prestiti concessi ma mai richiesti, o
richiesti in forme diverse da quelle poi accordate (aliud pro alio). Sarà chiamato a
impedire erogazione di prestiti che, per motivi di evidente sproporzione tra reddito,
rata e montante, il debitore non potrà mai adempiere e le pratiche di incentivazione
dell’intermediario a inserire il consumatore nei mutui ad alta rata di rimborso anche
se il sovvenuto aveva fatto originaria richiesta di un mutuo a bassa rata; ad abolire le
commissioni abusive e le penalità richieste per il rimborso anticipato.
Ciò nell’acquista consapevolezza che più efficaci tutele di questa clientela rilevano,
sotto il versante macroeconomico, per la crescita della domanda; che impattano sulla
stessa stabilità dell’impresa finanziaria; che chiamano in gioco politiche del diritto
tese a realizzare correzioni del mercato e ad evitare fenomeni di c.d.
sovrindebitamento del consumatore (alle quali, per vero, l’ordinamento statunitense
già prima del manifestarsi della crisi faceva registrare una seppur timida inversione di
tendenza attraverso la promulgazione del Bankruptcy Abuse Prevention and
Consumer Act del 2005 che, in parte qua, modificava il tradizionale modello pro
debtor di cui ai Chapter 7 e 13 dello U.S. Bankruptcy Code).
Le ricadute sul piano giuridico, culturale, sistematico sono notevoli ed evidenti.
Dischiudono prospettive di ricerca inedite, che vanno approfondite e analizzate. Cito
qui solo, sotto il versante privatistico della western legal tradition, il vulnus che da
ciò deriva ai “sacri” principi della sanctity of contract e del caveat emptor; sotto
quello pubblicistico, l’emersione di una funzione autonoma (seppure interrelata)
rispetto alla vigilanza di stabilità con evidenti riflessi sulla disciplina dell’autonomia
negoziale; infine, sotto quello delle tradizionali differenze tra le due principali
“famiglie” o sistemi occidentali di culture giuridiche (common law vs. civil law), il
manifesto capovolgimento di prospettiva che da ciò deriva in punto di convergenza
tra gli ordinamenti. E’ infatti appena il caso di avvertire che, diversamente dalla storia
europea (e segnatamente italiana) di tutela del consumatore, prevalentemente affidata
ad autorità amministrative, quella americana è stata – per contro – caratterizzata dalla
matrice giurisprudenziale di protezione dell’oblato.
Sull’altra sponda dell’atlantico, la crisi finanziaria (poi economica, monetaria e
sociale) fa, anche in europa, “esplodere” i problemi di nuove policies di tutela del
risparmiatore (investitore, assicurato) senza tuttavia finora produrre ipotesi
d’intervento strutturate. Primi importanti segnali non sono peraltro assenti. Vanno
dall’espressa menzione, nei compiti delle tre nuove autorità europee di vigilanza c.d.
“microprudenziale” (bancaria, degli strumenti finanziarie dei mercati, delle
assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), di un “ruolo guida nella
promozione della trasparenza, della semplicità ed equità nel mercato per i prodotti o
servizi finanziari destinati ai consumatori in tutto il mercato interno” (art. 9, par. 1,
reg. UE n. 1093/2010 del 24 novembre 2010. Identiche disposizioni nelle
corrispondenti norme dei regg.1094 e 1095 in pari data) al parere favorevole reso dal
Comitato economico e sociale europeo il 25 gennaio 2011 alla Commissione per
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“avviare uno studio approfondito sulla proposta di insediare un’autorità di protezione
dei consumatori dei servizi finanziari inserita, come nel caso americano, in una delle
nuove autorità” (punto 1.8 delle “conclusioni e raccomandazioni”).
6. Quanto precede conduce, da un lato, a qualificare come inutilmente sterile la
tradizionale contrapposizione in parte qua dell’interesse pubblico a quello privato;
dall’altro a constatare lo spazio vuoto di diritto che connota i procedimenti (in senso
lato) di alternative dispute resolution. La diversità di questi rispetto alla funzione
giurisdizionale è di manifesta evidenza, anche solo sul piano semantico. Non a caso
la richiamata legge statunitense del 1998 definisce a.d.r. “ogni procedimento o
procedura cui partecipa un terzo neutrale, diverso dal giudice competente”. Il nostro
ordinamento, permeato di normativismo, di fatto esclude con l’art. 102 della
Costituzione (o rende comunque difficili) forme di giustizia diverse da quelle che si
realizzano nel processo e col processo. Ciò segnala un anacronismo legislativo
idoneo ad alimentare (nonostante il principio di sussidiarietà) dubbi sulla sua
coerenza con l’art. 81, lett. g) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(FUE) che demanda al Parlamento europeo e al Consiglio il compito di adottare
misure volte a garantire “lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle
controversie”. Il presupposto, ai limiti dell’ovvio, essendo che altro è la giurisdizione,
altro il rendere giustizia. La prima – in quanto funzione pubblica a tutela di diritti
costituzionalmente rilevanti - è esclusiva, rigidamente regolamentata, esercitata da
un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, amministrata in nome del
popolo. Consiste nello jus dicere. Ma il rendere giustizia può risiedere anche nel
prevenire l’insorgenza della lite fuori dal processo civile per il tramite di metodiche a
questo alternative, ancorché – dal punto di vista funzionale – complementari.
Dopotutto, la controversia civile riguarda diritti delle parti e solo di queste e, come è
stato osservato, “il declino del modello della iurisdictio si accompagna al tramonto
del mito della verità giudiziale e della certezza giuridica: la mediazione diventa
un’opzione particolarmente attraente nel momento in cui le corti di giustizia non
riescono più a convincerci che i loro processi, elaborati e costosi, conducono ad
accurate ricostruzioni dei fatti e applicazione del diritto” (G. CONTE, Cultura della
iurisdictio vs. cultura della mediazione: il difficile percorso degli avvocati verso i
sistemi di ADR, dattiloscritto in corso di stampa). Né può ragionevolmente omettersi
di considerare che in paesi diversi da quelli occidentali la giustizia civile è stata nel
tempo amministrata fuori dai tribunali. L’esempio cinese è emblematico perché, di là
anche dal giusnichilismo prodotto dalla Rivoluzione culturale, la prima legge
(provvisoria) di procedura civile (peraltro strutturata in maniera molto similare al
nostro codice di rito) è solo del 1982. Successivamente a essa, la conciliazione
stragiudiziale presso gli appositi comitati popolari rimase peraltro il modo di
risoluzione delle liti civili di gran lunga più diffuso (traggo questi riferimenti da R.
CAVALIERI, La legge e il rito. Lineamenti di storia del diritto cinese, Milano, 2001,
p. 193 ss.). L’interesse generale può perciò consistere nell’approntare sistemi in
grado di soddisfare la reciproca aspettativa a comporre la lite senza addivenire alla
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traumatica rottura di ogni relazione sottesa al processo, soluzione questa non sempre
socialmente ed economicamente efficiente. Nulla peraltro esclude che giudice e
arbitro possano impostare un virtuoso gioco cooperativo attraverso il quale, reso
preventivamente edotto (grazie all’acquisizione delle risultanze istruttorie e della
decisione) della ratio decidendi, dell’iter logico e degli elementi di fatto che hanno
condotto al giudizio spesso basato su approfondimenti tecnici altamente specifici,
l’organo di giurisdizione riduca elevati costi transattivi e instauri così, nel rispetto dei
ruoli, rapporti dialogici certamente fecondi. La partita si sposta allora – anche per
l’Arbitro Bancario Finanziario – dalla sua riconduzione al procedimento
amministrativo o arbitrale a quella della maggiore sua similitudine a meccanismi
stragiudiziali altrove in uso quali – ad esempio – quelli di early neutral evaluation
(“valutazione preliminare”) o non piuttosto di mini trial (“miniprocesso”). E si fa più
coerente, interessante, attuale. E’ invero insegnamento antico il non essere buona
norma quella di destinare otri vecchi al vino nuovo.
Il varo della ricordata proposta di direttiva sulla risoluzione alternativa delle
controversie dei consumatori può, negli indicati termini, rappresentare l’occasione
per un’organica (e generale) disciplina di sistema delle metodiche in rassegna.
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BIBLIOGRAFIA
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Finanziario nel quadro dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle
controversie, in Nuova giur. civ. comm., II, 2010, p. 305 ss.; RUPERTO,
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Finanziario, in Nuove leggi civ., 2010, p. 475 ss.; AULETTA, Arbitro
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STELLA, Il ruolo prognostico – deflattivo, irriducibile a quello
dell’arbitro, del nuovo ABF, “scrutatore” di torti e ragioni nelle liti in
17
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CONSOLO – STELLA, L’arbitro bancario finanziario e la sua
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18
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