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MONUMENTI COSTIERI SALENTINI ABBANDONATI

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MONUMENTI COSTIERI SALENTINI ABBANDONATI
MONUMENTI COSTIERI
SALENTINI ABBANDONATI
Le Torri di Vedetta. Il nome e una leggenda.
Alle differenze di forma, di epoca, di confine, di provenienza, per
cui tutte queste fortificazioni costiere si possono classificare in gruppi,
se ne aggiungono delle altre più particolari che le caratterizzano una
per una : il nome che permane tuttora ad identificare un tratto costiero
ove ciascuna ebbe a dominare, anche se dopo scomparve per sempre;
il sito ove ciascuna si eresse ardita e severa, sito eminente, suggestivo,
spesso vetusto per i prossimi resti di monumenti di antichissima origine; qualche leggenda che taluna ispirò nella fertile fantasia dei vicini
abitatori, leggenda breve e delicata com'è oggidì il raccolto silenzio
che regna sovrano in tutti questi posti romiti sorvolati dai corvi e
carezzati dal mare.
Non poche Torri della costa salentina, anche se oggi scomparse,
hanno tramandato il nome ed il ricordo di una primitiva chiesuola ivi
esistente come ad esempio Torre S. Emiliano, vicino Badisco, presso
la quale sorgeva la chiesa omonima ora inesistente; Torre S. Palascia,
ormai scomparsa, presso la quale sorgeva la chiesa omonima, poi sostituita dall'attuale costruzione semaforica del Capo d'Otranto, che è
chiamato tuttora Capo Palascia.; Torre S. Stefano con il piccolo porto
omonimo tra Otranto e i laghi Limini, oggi in stato di rudere, presso
la quale sorgeva un'altra chiesuola intitolata a quel Santo; lo stesso si
dica per la Torre S. Andrea, per la Torre dell'Orso, oggi così chiamata,
ma detta già prima Torre S. Orso, come afferma il Paladini; lo stesso
per le altre torri della costa salentina, intitolate ad un santo, le quali
tutte erano in, numero di ventuna sulle ottanta complessive, e cioè :
Torre S. Vito, S. Francesco, S. Pietro, S. Isidoro, S. Maria dell'Alto,
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S. Caterina, S. Giovanni della Pedata, fra Taranto e Gallipoli; Torre
S. Giovanni (l'Ugento, S. Gregorio, S. Maria di Leuca, tra Gallipoli e
Leuca; Torre S. Cesarea, S. Geminiano o S. Emiliano, S. Palascia fra
Castro ed Otranto; Torre S. Stefano, S. Andrea, dell'Orso o S. Orso,
S. Foca, S. Cataldo, fra Otranto e la spiaggia di Lecce; Torre S. Gennaro, S. Sabina, S. Leonardo, tra la spiaggia di Lecce e Brindisi.
A conferma di quanto asserito, riportiamo ciò che attesta e documenta il Tanzi :
•
« Un diploma di Federico II contiene molte concessioni all'Arcivescovo di Otranto.
Inoltre i luoghi, le case, i casali, che la Chiesa di Otranto già
possedeva; le terre dette Calamuri con le proprie pertinenze, gli
orti e le terre che si trovavano dalla parte del mare, il casale di
Uggiano, il casale di Quattromacine, S. Giorgio di Persia, di Giuggianello, di Miggiano, i vassalli di Melpignano; le chiese di
S. Giorgio, di Muro, S. Stefano, S. Pietro dei Canali, S. Giovanni
di Arenula, S. Biagio, S. Leonardo, S. Zaccaria, S. Giovanni di
Minerva, S. Martino de Badisco, S. Nicola de Tribus Ortis, S. Cosma e Damiano, S. Maria de Muro, S. Pietro de Cursi. E poichè la
maggior parte di dette chiese si concedevano cum hominibus, di
leggieri si comprende come ciascuna di esse faceva parte di un
luogo abitato. Ogni chiesa rappresentava un casale dipendente
dalla Città di Otranto
Percorrendo il territorio di Otranto si
scorgerebbe il luogo che già occupavano altri edifici religiosi in
quel diploma ricordati. La Chiesa di S. Stefano sorgeva sulla
costa dell'Adriatico nel porto marittimo che ora conserva lo stesso
nome. La Chiesa di S. Pietro dei Canali ci ricorda un altro villazgetto sito presso al ponte del Canale del Rio; S. Giovanni di Arenula rappresenta uno dei villaggi a confine del territorio otrantino
con quello di Castro, e nello stesso luogo esistevano le altre di
S. Martino, di Badisco e di S. Nicola de Tribus Ortis
Senonchè non erano queste le sole chiese o cappelle rurali che
fiorivano nel territorio di Otranto; non poche dipendevano dal
'Convento di S. Nicolò di Casole, e noi dalla platea di questo ricchissimo convento ne possiamo fare un lungo elenco.
E ricorderemo le chiese di S. Emiliano, vicino al Monte Rutundiello, di S. Palascia presso la torre marittima omonima ».
E altrove il Tanzi, parlando sempre di tali possedimenti, riporta
addirittura le descrizioni del catasto :
« Una possessione cutosa e macchiosa
torre Regia di S. Palascia ».
« Una possessione cutosa e macchiosa
dentro la quale vi è la
dentro la quale vi è la
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Fig. 1 - Torre dell'Orso rudere attuale presso la costa adriatica
fra Otranto e S. Cataldo di Lecce (esemplare quadrato).
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torre Regia di S. Emiliano ».
« Un'altra possessione macchiosa detta di S. Emiliano con monte
e sotto vi è la chiesa e la torre ».
Ancora nelle partite dell'inventario della platea anzi detta troviamo riportata la Chiesa di S. Palascia :
et supra dictum petium terrarum in litore maris extant prae«
».
dictae turris et Ecclesia Sanctae Palasciae
(e sopra il detto appezzamento di terre, sul lido del mare sorgono
).
la Torre e la Chiesa di S. Palascia, già nominate
Troviamo riportata la Chiesa e la Torre di S. Emiliano :
Mons qui extat ex parte occidentis dicti clausori vocatur sancto
«
Miliano et ex parte marinae dicti montis apparet Ecclesia Sancti
Miliani quae est in esse et fabricata et in qua estat quaedam turris
ubi fit custodia pro invasione, quod absit, turcorum ».
(Il monte che è dal lato occidentale di detto clausorio è chiamato
Santo Miliano, e dalla parte della marina di detto monte si vede
la chiesa di S. Emiliano che sta ed è fabbricata presso quella
marina, nella quale vi è pure una torre per eventuali invasioni di
turchi, il che sia sempre lontano).
Troviamo riportata la Chiesa e la Torre di Porto Badisco :
intus quos extat turris portis de Badisco in qua est custos
regius ed etiam Ecclesia Sancta Maria di Badisco, vulgariter nuncupata la Sodia
».
(dentro cui vi è la torre del porto di Badisco nella quale sta il
regio custode, e vi è anche la Chiesa di S. Maria di Badisco, chiamata volgarmente la Sodia
).
Anche Cosimo De Giorgi conferma l'esistenza di alcune altre chiese nel sito di Torri omonime; la chiesa di S. Foca presso la torre ancora esistente dello stesso nome, tra Roca e S. Cataldo :
« Nei dintorni sono da osservarsi :
S. Foca sull'Adriatico
».
20 la Torre e la Chiesa di
Lo stesso conferma l'esistenza della chiesa di S. Pietro presso la
Torre omonima sotto Taranto :
« La Torre di S. Pietro fu costruita verso la fine del secolo XVI al
tempo di Filippo II non soltanto a guardia della costa (sulla quale
spesso e facilmente approdavano i corsari) ma a difesa della
Chiesa di S. Pietro chiusa e nascosta interamente fra le sue
mura ».
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Conferma ancora l'esistenza d'una antica cappella scavata nella
roccia col nome di S. Vito sita presso la Torre omonima :
« Vi erano pure scavate nella roccia le Chiese e le cappelle; ma
oggi se ne può vedere appena qualche rudere e i resti di qualche
dipinto, come per esempio in quella di S. Vito, dove esistono le
tracce di una pittura a fresco del secolo XIV ».
E' ovvio quindi che queste Torri Costiere dal nome di un santo
ricordavano una piccola chiesa rurale dello stesso nome, preesistente
o coesistente, sita presso il mare e circondata dal borgo abitato, la cui
gente costituiva la comunità della stessa parrocchia.
Man mano, con le insidie e le paure che venivano dal mare, scomparvero i borghi, abbandonati dagli abitatori che cercarono nell'interno mag g ior sicurezza; caddero le chiese dispogliate dai predoni e
consunte dalle intemperie e dall'abbandono, e vi rimasero le Torri,
unici segni di vita su questa costiera un dì disseminata e ridente di
casolari e villaggi pittoreschi e marinari, stretti intorno alla loro cappella singolare, baciata dal primo sol del levante e profumata dal
nostro mare antico.
* * *
Torre dell'Orso si alza sulla rupe cretacea, ricca di grotte primitive, a specchio del mare presso un seno sabbioso recinto da un'ombrosa
pineta.
Ebbe già nome di Torre S. Orso, come afferma il Paladini, mutato
dal volgo in Torre dell'Orso, forse in seguito ad una leggenda dal medesimo elaborata, nella quale si narrava che nel vicino romitaggio un
monaco aveva preso ad allevare un orso e con esso conviveva finchè
cogli anni, venuti entrambi a mancare, la Torre iniziò il suo crollo
Noi affermiamo che tale Torre si fosse chiamata in origine Torre
Sant'Orsola. Infatti presso quella fortificazione sembra fosse esistito
un antico romitaggio dalle celle scavate nella roccia sottostante, intitolato alla Santa : v'è oggi chi ricorda di aver notato molti e molti anni
or sono presso una specie di mensa corrosa della primitiva chiesetta
sotterranea di quel chiostro, l'icone di una santa con sotto riportato
ben chiaro il nome di S. Orsola.
Siamo sempre nel caso analogo a quelli dimostrati innanzi.
Ritornando poi sulle mutate denominazioni della Torre, tutte variate dal volgo : Torre S. Orsola, Torre S. Orso, Torre dell'Orso, ,s1
rileva una norma generale, costante nel campo della leggenda popolare, quella per la quale il , popolo nel rielaborare i suoi racconti, fan417
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tastici, pur discostandosi dai nomi già esistenti di questo o di quel
sito, di questo o di quel monumento, intorno ai quali prese ad intes•
sere le sue simpatiche leggende, usò i nomi medesimi alquanto mutati,
ma non del tutto differenti, così che ai posteri con il nome nuovo facesse sentire in una eco lontana la risonanza di quello antico, del nome
vero d'origine, come se non si fosse sentito di distruggere per sempre
alcuni elementi ineluttabili, ponendoli anzi a base certa dei suoi racconti singolari.
Anche la Torre S. Cataldo, oggi scomparsa, si poteva annoverare
fra le precedenti per il suo nome derivato dal ricordo del tradizionale
approdo del Santo sulla costa leccese.
Si alzava presso il porto omonimo ridotto ora ad una spiaggia
aperta, ed era riportata spesso negli atti del governo spagnolo tra le
ventisei piazzeforti che sorgevano nei punti strategici del Regno. Citata dalla cronaca del Coniger che la dice assaltata da corsari turchi,
ancora oggi ci ricorda la sua dote di armi per un inventario redatto
dal notar Lucrezio Perrone di Lecce, in cui il R. Castellano del Porto
e di essa Torre ossia di esso Castello di S. Cataldo, elencava tra l'altro
tre chiavi che aprivano rispettivamente il cortile di sotto, la porta del
ponte della Torre, e la camera dentro la Torre, dov'erano le munizioni;
quattro archibugi in pessime condizioni; quattro alabarde vecchie e
inefficaci; due smerigli (cannoni di piccolo calibro) rotti ed arrugginiti;
altri pezzi di artiglieria; barili di polvere e palle.
Altre torri presero il nome dalla conformazione della costa presso
la quale sorsero o dall'altezza di essa sul livello del mare; infatti da
Taranto a Gallipoli si incontrano alcune Torri il cui nome derivò proprio dal sito ove furono erette : Torre del Capo dell'Ovo prese il nome
dalla forma ovale del litorale ov'essa sorse; Torre S. Maria dell'Alto
venne così chiamata dall'alta costiera a picco ov'essa ancora si affaccia, e vien detta anche « Torre dello Scorzone », poichè l'alta costa
sottostante è sinuosa così da ricordare le volute di un serpe, detto dal
volgo « scorzone »; Torre d'Alto Lito s'arrocca anch'essa su di una
costa alta e a picco sul mare di Nardò; la Torre del Catriero (dal greco
acroterion = estrema sporgenza) presso Gallipoli fu detta « del Pizzo »,
poichè sorse proprio sulla punta ovest di una insenatura, chiamata dagli abitanti del luogo « il Pizzo »; e a proposito di tale costa, ecco una
delicata leggenda che tuttora aleggia intorno ad una di queste fortificazioni, la Torre di S. Giovanni, presso Gallipoli, posta a guardia di
un ampio seno di facile approdo.
Raccontano i prossimi abitatori che nel lontano sec. XVI, allorchè tutta la costiera veniva difesa dalle Torri di Vedetta, un iovane
e
g
alabardiere di questa Torre si era innamorato di Florilanda, donzella
avvenente di poveri natali.
Giunta Pasqua delle Rose, giorno in cui ogni sposa vestita a festa,
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Fig. 2 - Torre di S. Cesarea
o Saracena rudere attuale presso la costa
adriatica fra Otranto e Castro (esemplare rotondo)
3 - LA ZAGAGLIA
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aveva il cuore ripieno di rose e d'amore, Florilanda sentì il bisogno
di rivedere il suo sposo. Con un gruppo d'amiche passò il ponte di
Città, si inoltrò per i campi, costeggiò il lido del mare, fu in vista della
Torre donde le venne incontro il suo Flavio che da lì l'aveva ravvisata.
I due giovani si soffermarono non lungi dalle amiche e, nell'obblio
dell'amore, s'attardarono oltre misura, così che quelle, datane notizia,
ripresero la via del ritorno per attendere più in là Florilanda.
Sopraggiunte le ombre, Flavio venne richiamato ancora una volta
al suo posto di guardia e Florilanda, preso commiato, cercò le amiche
nel suo premuroso ritorno; ma nessuna traccia di esse fin sotto le mura
ove il ponte era ormai sollevato.
La bella fanciulla nel buio della sera rifece sgomenta la via del
mare. Pervenuta alla spalliera del Canneto, lì presso posò e, nel breve
sonno agitato, vide l'irta scogliera mutarsi in prato fiorito. Destatasi,
sì riconfortò e decise di sospingere i passi fino alla Torre ove sarebbe
stata al sicuro. Si inoltrò lacerandosi le carni per conche e scogli, e
imprudente s'appressò sconosciuta al pericolo delle guardie rese più
attente nel buio della notte illune.
Flavio, attratto da inconsueto rumore, rimase alquanto in vigile
ascolta, poi avanzò cauto con in man l'alabarda e nell'oscurità della
notte, ignaro, assalì e trafisse l'amata.
Agghiacciato il cuore dall'urlo lacerante della morente presto riconosciuta, Flavio si strinse più volte al petto quel seno squarciato; poi,
preso dalla follia del dolore, sollevò il bel corpo esanime, lo depose
in una barca prezzolata ed in questa si allontanò per sempre oltre l'orizzonte marino da dove non fece più ritorno....
Dice ancor quella gente che due bianchi gabbiani prendon riposo ogni sera nelle crepe della or vecchia Torre per sfrecciare al
mattino verso il mare lontano
E venne il Poeta e, sedendo nel vespero sulla muta costiera, cantò
sotto la vecchia Torre la tragedia d'amore dell'antica leggenda, e nell'epilogo cruento, che riportiamo, v'infuse il brivido della spenta giovinezza, la follia del dolore, il ritorno perenne di due bianchi gabbiani
che rivivono eterni fra la Torre e il mare, e con il suo verso ispirò le
tele di due artisti locali, Scorrano e Antonio Sansò, conservate ora
nella sua pinacoteca privata :
Ne la notte, fatta opaca,
Flavio veglia da la Torre :
la stanchezza tutto placa;
in silenzio il tempo scorre.
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Tienti a l'erta, sentinella,
ogni rischio vien dal mare;
Se non splende luna o stella
il nemico può sbarcare!
Egli esplora la contrada
con lo sguardo perspicace :
or la terra ed or la rada
fruga e fruga pertinace.
Alcunchè sul litorale?
No, ch'il mio sospetto è van
Riguardare non gli vale,
e nel dubbio egli perman.
Solo un attimo, chè scende
con in pugno l'alabarda :
cauto e dritto il passo tende
verso alcun ch'in là s'azzarda;
d'uno slancio eccogli addosso,
trapassandolo in furor;
ed il buio vien sommosso
da un grand'urlo di dolor
Flavio arretra. Quella voce,
che nel cuor gli sveglia un'eco,
gli ritorce il colpo atroce :
di chi sia n'è ancora cieco.
Non rabbioso Saracino,
non nemico altro gridò;
sol da un labbro femminino
quel grand'urlo si levò
* * *
Sotto l'arco delle ciglia
par che tragga il tuo pallore
da l'aurora già vermiglia
un ritorno di tepore.
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Quella tua fonda pupilla
si raccende al dì novel;
ne' capelli tuoi sfavilla
l'aureo sol ch'appare in ciel.
Giaci immota; e più t'allumi
di bellezza ne l'aspetto,
benchè il sangue ancor s'aggrumi
ne lo squarcio del tuo petto.
Giaci immota; e par tu segua
un soave sogno arcan;
ti contempla senza tregua
Flavio a fianco, e piange invan.
Florilanda, non svegliarti
da quel tuo lungo sognare;
il tuo sposo mai d'amarti
oh! giammai saprà ristare :
oltre il duol, oltre la morte
egli teco perverrà:
se due cuor lega la sorte
nulla scioglierli potrà.
— Barcaiol, che la darsèna
lasci e al largo ti sospingi,
vieni incontro a la mia pena :
ver' la Torre poggia e stringi.
Dammi barca, vela e remi,
questa borsa è piena d'or :
vivi in pace i dì tuoi estremi
affrancato dal lavor. —
Indi Flavio tra le braccia
leva il peso del martirio :
a la vittima s'allaccia
col suo cuor, col suo delirio :
la depone sulla barca,
poi veleggia a un punto, là...
oltre il cielo che s'inarca,
donde mai ritornerà
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Ne le notti fosche e illuni
non ascondesi assiolo,
né fantasmi fan raduni
su la Torre, ma il lor volo
chiudon ivi due gabbiani,
vaghi alfin di riposar;
poi riprendono, il domani,
verso l'alto a remigar.
vedete? Nel mattino,
per l'incheta ricordanza
de l'umano lor destino,
vanno, vanno in lontananza.
Li
E'
un addio di mani alterne
il vanir di quel biancor;
par che dica : — Azzurre, eterne
son le vie d'un grande amor
».
ANTONIO CORCHIA
NOTA - BIBLIOGRAFICA
CESARIO M./A GABRIELE Rocca - Memorie e speranze. Lecce, Tipogr. Lit. V. Masciullo,
1926.
G. TANZI: La Città di Otranto e il territorio municipale. Lecce, Stab. Tipogr. Giurdignano, 1906, pp. 29, 30, 31, 32; 64, 65, 66.
PLATEA o CABREO dei possedimenti del Cenobio Basiliano di S. Nicola di Casole. Presso
l'Archivio Prov. di Stato di Lecce, n. 18.
Cos. DE GIORGI: Geografia fisica e descrittiva della Provincia di Lecce. Vol. II, pp.
128, 545, 573, 574.
GIOV. COTA: L'antico Porto di S. Catalclo. Lecce, Tip. La Modernissima, 1936 pp. 37, 38.
A. CONIGER: Cronaca. In M. Tafuri. Opere dei Tafuri. Vol. H.
FR. PRIMALDO Coco: Porti - Castelli e Torri Salentine.
LUIGI SANSÒ: La Leggenda della Torre S. Giovanni. Estratto dal volume « Una manciata di fogli ». Galatina, Pajano editr., 1954, vv. a p. 15 e 16.
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