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l`universo comprensibile dello sviluppo sostenibile
L’UNIVERSO COMPRENSIBILE DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE Tracce per orientare il dibattito sul futuro della cooperazione allo sviluppo a cura di Marco Zupi con contributi di: Alberto Mazzali, Sara Hassan, Marco de Bernardo, Federica Corsi e Giorgia Ceccarelli Con il contributo del Ministero Affari Esteri Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo Il lavoro è frutto dell’attività del team di ricerca coordinato scientificamente da Marco Zupi e costituito da Alberto Mazzali, Sara Hassan e Marco de Bernardo (CeSPI), con la collaborazione di Federica Corsi e Giorgia Ceccarelli (Oxfam Italia). Le diverse parti sono attribuibili come segue: • Marco Zupi ha curato l’impostazione del lavoro, l’elaborazione della metodologia, è autore del capitolo 1 e del capitolo 2 e ha supervisionato la stesura finale del rapporto. • Alberto Mazzali ha predisposto il database con le informazioni sulle iniziative mappate, collaborando alla stesura del capitolo 2 e ha approfondito tre studi di caso tra le iniziative italiane (Consorzio cuoio Depur, Edilana, Consorzio Habitech) e una tra quelle internazionali (Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative). • Sara Hassan ha contribuito alla stesura del testo e del database, curato l’organizzazione dei seminari territoriali e preparato le relative note di sintesi, partecipato alla mappatura e ha approfondito due studi di caso tra le iniziative italiane (Comune di Capannori, Contratti di fiume Lambro-Seveso-Olona) e due tra quelle internazionali (Programma APQ Mediterraneo e Balcani, Progetto 4cities4dev di Slow Food). • Marco De Bernardo ha partecipato alla mappatura e ha approfondito due studi di caso tra le iniziative italiane (Progetto Foresta modello, BioPiace) e una tra quelle internazionali (Salinità in Iraq). • Federica Corsi e Giorgia Ceccarelli hanno partecipato alla mappatura delle iniziative di cooperazione internazionale segnalate dalle ONG e hanno approfondito, insieme ad Alberto Mazzali, tre iniziative internazionali (Grani andini in Ecuador, Esperienza di LVIA in Senegal, Amazzonia senza fuoco). Le interviste e la sintesi dei risultati delle stesse, utili come lavoro preparatorio, sono state curate da tutti i componenti del team. Tutti i membri del team hanno poi contribuito all’elaborazione del documento finale, leggendo e commentando le prime stesure delle schede. Gli autori ringraziano i partner del progetto, tutti coloro che hanno partecipato ai seminari e alle riunioni del team di lavoro, offrendo un contributo di riflessioni e stimoli all’elaborazione del lavoro finale; il Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo Sostenibile per spunti e occasioni di confronto sul piano scientifico; Barbara De Benedictis e Lorenza Dellabianca per il supporto tecnico e operativo. Un sentito ringraziamento, altresì, va agli uffici di presidenza degli enti che hanno promosso e reso possibile i seminari territoriali (l’associazione Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, la Provincia di Potenza, il Comune e la Provincia di Torino, il Comune di Capannori), agli uffici della DGCS, in particolare il Coordinamento Ambiente e l’UTC, al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e a tutti gli intervistati per la disponibilità, l’interlocuzione e l’interesse che hanno sicuramente agevolato il lavoro svolto. Le idee espresse riflettono esclusivamente le opinioni degli autori, che rimangono i soli responsabili di eventuali errori e imprecisioni. Progetto Grafico: Demostenes Uscamayta Ayvar Impaginazione: Patricia Soares, Marco Turetti, Demostenes Uscamayta Ayvar Il presente Rapporto è stato completato nel mese di giugno 2013. Sommario Capitolo 1 5 Introduzione 6 Capitolo 2 11 2.1 Il progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio + 20” 12 2.1.1 La Conferenza di Rio + 20 12 2.1.2 Il Progetto di Educazione allo sviluppo 12 2.2 La componente di ricerca e analisi del Progetto 13 2.2.1 Obiettivi13 2.2.2 Contenuti 13 2.2.3 Le fonti informative 14 2.3 Il profilo delle iniziative realizzate in Italia 15 2.4 Il profilo delle iniziative di cooperazione internazionale 18 2.5 La selezione di un numero ristretto di 7+7 buone pratiche 20 2.6 Alcune indicazioni ricavabili da 14 tessere di un (più) grande mosaico 21 Capitolo 3 27 3.1 Consorzio Cuoio Depur – Distretto conciario di Ponte a Egola e San Miniato 28 3.2 L’utilizzo della lana in bioedilizia: da Edilana a Casa Verde CO2.0 32 3.3 Il Distretto Tecnologico Trentino del Consorzio Habitech 36 3.4 Sostenibilità e partecipazione. Il Comune di Capannori 40 3.5 La riqualificazione dei bacini fluviali: i “contratti di fiume” Lambro-Seveso-Olona 44 3.6 Progetto Foresta modello delle Montagne fiorentine 48 3.7 BioPiace, Consorzio Produttori Biologici Piacentini 51 Capitolo 4 55 4.1 La gestione integrata delle risorse idriche: il progetto integrato RISMED 56 4.2 La Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative (SIDS EESLI) 60 4.3 Le alternative all’uso del fuoco in agricoltura: Amazzonia senza fuoco 64 4.4 La valorizzazione dei rifiuti plastici in Senegal 68 4.5 Il riscatto dei grani andini in Ecuador72 4.6 Salinità in Iraq: gestione della salinità del suolo nell’area di Nassiriya76 4.7 Il progetto 4Cities4Dev: il presidio Slow Food in Mauritania 80 Appendici85 1. Long list delle iniziative realizzate sul territorio italiano 86 2. Long list delle iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana99 3. Seminario territoriale di Bologna 102 4. Seminario territoriale di Potenza103 5. Seminario territoriale di Torino105 6. Seminario territoriale di Capannori107 7. Schema adottato per la raccolta di informazioni sui casi studio 109 Capitolo 1 Introduzione Introduzione 5 Introduzione Questo lavoro è stato realizzato con l’intento di contribuire a promuovere un’idea fondante di sostenibilità ambientale per lo sviluppo e la cooperazione internazionale allo sviluppo. Il che è però un concetto tutt’altro che acquisito, perché se è vero che l’evento di Rio+20 ha rinnovato di fronte all’opinione pubblica mondiale l’importanza del discorso sullo sviluppo sostenibile, volendo in qualche modo riconfermare l’impegno di venti anni prima, il contesto storico in cui si è venuto a collocare Rio+20 è tuttavia ben diverso dal 1992. Semmai, il contesto attuale presenta diverse analogie con quello in cui si svolse la Conferenza su “L’Ambiente Umano” tenutasi a Stoccolma nel giugno del 1972, che si pose l’obiettivo di guidare i popoli del mondo verso una conservazione e un miglioramento dell’ambiente umano. Gli anni novanta, inaugurati simbolicamente dalla Conferenza di Rio e, soprattutto, dalla novità di un mondo post-bipolare, non misero in discussione radicalmente il modello e le politiche di sviluppo degli anni precedenti: non enfatizzarono cioè quella che si potrebbe definire la dimensione politica del fenomeno ambientale. Piuttosto, schematizzando molto, si potrebbe dire che il fenomeno ecologico e le correlate aspettative di un modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale rimasero subordinati al primato gerarchico di una crescita economica che si fonda su un’accentuazione della competizione e specializzazione internazionale, di una maggiore integrazione dell’economia mondiale, attraverso la liberalizzazione di scambi commerciali e movimenti di capitali. Un primato gerarchico che postula la riduzione e inclusione dell’ecologico nell’efficienza economica. Diversamente, il contesto della Conferenza del 1972 era segnato da profonde inquietudini e dall’erosione culturale del pensiero dominante: alle spalle la contestazione del movimento sociale e politico del 1968, subito dopo la crisi petrolifera che attraversò il mondo intero e comportò, tra l’altro, il raddoppio immediato del costo dei fertilizzanti di sintesi e l’aumento di prezzo delle macchine agricole e degli altri strumenti di tecnologia agraria nel corso del 1973. In quel clima, la critica all’ideologia economicista della crescita maturò stili di pensiero alternativi che proponevano una rottura della concezione del mondo allora dominante e toccavano, più o meno apertamente, il nodo della sostenibilità ambientale: Nicolas Georgescu-Roegen e il concetto di entropia nell’economia, la critica del sovietico Ceprakov alle contraddizioni nel rapporto uomo-natura che il capitalismo aveva provocato a livello mondiale, i coniugi Meadows e le previsioni di imminente insostenibilità del modello di crescita illimitata, Jürgen Habermas e la critica del metodo del conoscere oggettivamente e dei principi di coercizione e violenza della modernità, Theodor Adorno e la critica all’industrialismo, Ernst Bloch e le elaborazioni teoriche contro la tecnologia alienante, Walter Benjamin e la critica all’idea di progresso collegato all’industrializzazione, Ivan Illich e l’utopia di una società conviviale, Cornelius Castoriadis e l’ecologia della libertà e la critica dell’ideologia, Ernst Friedrich Schumacher e il bisogno di costruire una società e un’economia a misura d’uomo e a difesa dell’ambiente, Ilya Prigogine e la cultura della complessità e dell’ecologia “sistemica” che si proponeva di superare il dualismo uomo-natura, furono tutti espressione di quell’inquietudine e dell’urgenza culturale di proporre idee-forza in grado di smascherare la crisi del discorso della modernità, l’ideologia della crescita economica ad ogni costo e i soprusi e le ingiustizie perpetrate dal potere su scala planetaria. La contestazione della guerra del Vietnam, i movimenti di liberazione dei PVS, la messa in discussione delle istituzioni totali e totalizzanti in Occidente erano tutti fenomeni legati all’idea di superare l’alienazione, mettendo al centro i rapporti di relazione e la natura al posto degli oggetti. Sul piano delle relazioni internazionali, poté svilupparsi il movimento per un Nuovo ordine economico internazionale (NOEI), fondato su rapporti più equi in ambito commerciale tra i Paesi e su modelli di consumo più sostenibili. Il richiamo alla centralità dell’ecologico in quella temperie culturale si caratterizzò con un connotato in qualche modo rivoluzionario, quando fu direttamente ancorato alla necessità di mettere in discussione il modo di produrre, consumare, vivere e pensare del sistema capitalista, la necessità cioè di accelerare il processo di superamento di un’egemonia del potere che appariva - in termini gramsciani - precaria. Il tema della sostenibilità ambientale, tuttavia, non si articolò mai in modo omogeneo, ebbe maggiore o minore peso relativo nelle argomentazioni dei maître à penser menzionati e produsse di fatto risultati contraddittori in termini di indicazioni rivoluzionarie o meno dell’assetto precostituito. Ciò non deve sorprendere: l’ecologia in sé non pone obiettivi da realizzare (un mondo migliore o più giusto, tantomeno diritti da riconoscere, tutelare ed esercitare), facendo piuttosto ricorso a concetti come conservazione ed equilibrio dinamico dell’ecosistema. Tuttavia l’ecologia può, attraverso i suoi principi forti, diventare volano di un discorso politico promotore di una trasformazione profonda e radicale della società. Rio 1992 contribuì enormemente a diffondere il lessico della sostenibilità ambientale e più in particolare il termine di “sviluppo sostenibile” introdotto nel 1987 dal rapporto Brundtland della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Tuttavia, non orientò le potenzialità della centralità ambientale in direzione di una radicale trasformazione del modo di produrre, consumare, vivere e pensare; in ogni caso, i germi di un cambiamento profondo furono immessi nel corpo della storia contemporanea. Oggi, si diceva, in termini di contesto paiono esserci più assonanze con il 1972 che non con il 1992: il mondo attraversa una crisi che è economica e finanziaria, e quindi anche sociale e politica, di fatto palesando una crisi culturale profonda 6 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile della modernità. Tornano le parole d’ordine di un mondo diverso possibile. Rio+20 e il dibattito sul post-2015, ovvero sull’agenda che dovrà proseguire o prendere il posto di quella dettata dal raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio (gli MDG), sottolineano due critiche fondamentali del discorso dominante sullo sviluppo. Anzitutto, la questione delle disuguaglianze economiche e del lavoro. Si tratta di una critica non nuova, già mossa da Karl Marx all’economia politica borghese e che pesa oggi come un macigno sull’agenda del post-2015. È stata da più parti invocata come una dimensione assente dagli MDG e fondamentale per lo sviluppo, di fronte alla realtà di una nuova classe media mondiale (ci sono 2 miliardi di persone che costituiscono la classe media, di cui la metà è in Paesi a medio reddito; nel 2030 saranno 4,9 miliardi e l’80% vivrà nei Paesi a medio reddito), di una popolazione che esce dalla povertà assoluta ma resta dentro la povertà, con oltre 1,5 miliardi di lavoratori che hanno un impiego precario e circa 200 milioni di disoccupati in cerca d’impiego. Tuttavia, il modo per tradurla in impegni concreti e indicatori monitorabili non trova facili risposte e impegni precisi, come dimostra da ultimo il Rapporto dell’High-Level Panel, consegnato al Segretario Generale delle Nazioni Unite a fine maggio 2013: il tema delle disuguaglianze è riconosciuto retoricamente come problema strutturale che limita le opportunità di sviluppo della collettività e delle persone penalizzate, ma manca la capacità di proporre una traduzione operativa concreta e soluzioni politiche che colpiscano le posizioni di rendita delle fasce di reddito più alto della popolazione, limitandosi a ribadire la centralità dei più poveri nell’agenda del post-2015; argomento per altro in contraddizione col concetto di disuguaglianza e assimilabile semmai a quello di povertà relativa (in un’ottica di disuguaglianze, la povertà si affronta guardando alla ricchezza e alla sua distribuzione come problema). La seconda critica è quella legata alla sostenibilità ambientale. La domanda preliminare da porre è se l’ambiente sia una variabile da incorporare nel funzionamento del sistema e nel modo di produzione vigente, orientando le imprese e i governi a maggiori investimenti “verdi”, a cominciare dagli investimenti in campo ambientale nel settore industriale, dell’eco-innovazione, dell’energia rinnovabile e del trasporto sostenibile, per la protezione dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse, in nome di una maggiore efficienza. O è, piuttosto, da intendere come la matrice di un cambiamento di regime, che metta in discussione il criterio assoluto della quantità e, quindi, l’obiettivo centrale della crescita del PIL, in nome di stili di vita diversi? In entrambi in casi, si tratta poi di intrecciare questo con la questione posta dalla prima critica, cioè con la necessità di dare risposte in termini occupazionali adeguate ai bisogni, al di là dello slogan dei green job. Dato infatti il carattere socialmente mediato del rapporto uomo-natura, le grandi trasformazioni sono possibili unicamente tramite le modificazioni delle condizioni storiche ed economiche del suo mediarsi: Marx, rifacendosi a un concetto di Pietro Verri (Meditazioni sulla economia politica, seconda edizione del 1773), scriveva nella nota 13 del libro I del Capitale che “il lavoro non è l’unica fonte dei valori d’uso che produce, della ricchezza materiale. Come dice William Petty, il lavoro è il padre della ricchezza materiale e la terra ne è la madre”1. Per la cooperazione allo sviluppo non si tratta di cercare proprie strade innovative indipendentemente da quello che si muove nella realtà delle esperienze concrete e del dibattito di idee. Allo stesso tempo, però, non ci si può trincerare dietro la genericità della presunta “trasversalità” del tema ambientale, salvo poi tradurre la specifica ambientale in interventi o componenti tradizionalmente “settoriali” o ritualisticamente assolvere la funzione, prevista coi marcatori di Rio, di definire un’iniziativa ad alta, bassa o nulla componente ambientale. La questione ecologica non è prima di tutto un problema di indicatori, come l’esempio dei Rio Markers insegna; è piuttosto una declinazione politica della questione ambientale. La letteratura e l’evidenza convergono sulla combinazione delle dimensioni delle deprivazioni che si collegano ai due principi ricordati di uguaglianza e sostenibilità ambientale. Aumenta, infatti, la percentuale di popolazione che, nelle diverse regioni del mondo, è colpita contemporaneamente da povertà multidimensionale e deprivazioni ambientali. Né ci si può nascondere dietro il principio della complessità e dell’approccio olistico, premessa generale che rischia di essere smentita dalla natura dei progetti e delle iniziative settoriali che si continuano a realizzare. Porre al centro la sostenibilità ambientale significa un radicale cambiamento dell’atteggiamento cognitivo, considerando le iniziative e i progetti non come macchine semplici e ordinate, divise o comunque divisibili in parti separate e non interagenti (le attività nell’ambito del Logical framework adottato per la progettazione), nell’illusione di uno stato del mondo prevedibile. Significa accettare i compromessi della non linearità dei fenomeni, dell’importanza delle interrelazioni, umane e con l’ambiente, proponendo semmai un’idea ecologica di progetti e iniziative di cooperazione allo sviluppo come organismi dinamici, flessibili, che si adattano in continuazione ai cambiamenti in corso, che si qualificano come opportunità per rafforzare le capabilities dei sistemi sociali e ambientali complessi, rafforzandone la resilienza, in particolare agendo sulle vulnerabilità. Significa, sul piano dei contenuti, affrontare e risolvere il paradosso dell’ossimoro di un concetto come “sviluppo sostenibile”, interpretandolo in continuità o in rottura con l’esistente, ponendo il tema della sostenibilità immediatamente come campo della complessità, declinandolo - come suggeriva Camilla Toulmin, direttrice dell’International Institute for Environment and Development, al seminario del settembre 20122 - attraverso tre priorità: (1) localizzare lo sviluppo nei 1 K. Marx (1973 [1867]), Il capitale. Critica dell’economia politica, Vol. I, 1, Editori Riuniti, Roma, pp. 55-56. 2 Seminario dal titolo “ Da Rio+20: Azioni e Programmi dell’Italia per lo Sviluppo Sostenibile “ tenuto contemporaneamente a Roma e Milano il 21 settembre 2012. Introduzione 7 contesti specifici; (2) tradurre lo sviluppo in termini di rafforzamento della resilienza delle comunità e della natura dinanzi agli shock, il che è una questione anzitutto politica, (3) dotarsi di un sistema informativo utile a misurare i progressi. Da Rio+20 è possibile che si tracci il cammino per far maturare una possibile presa di posizione della politica italiana di cooperazione allo sviluppo, fondata su tre aspetti trasversali di interesse: 1. Integrare i tre pilastri delle dimensioni economica, sociale e ambientale; 2. Promuovere un approccio multilivello e territoriale per iniziative multi-attoriali (coinvolgendo nel processo decisionale, e non solo in alcune attività di implementazione, i diversi stakeholder); 3. Coinvolgere il settore privato con formule di partenariato pubblico/privato (PPP) innovative, di piena corresponsabilità, che vadano oltre la prassi prevalente di Corporate Social Responsibility, nel mobilitare risorse finanziarie e know how per favorire una Green Economy (GE)3 che non sia di pura cosmesi, ma realmente trasformativa. Si tratta anche di cominciare a declinare concretamente le priorità d’intervento della cooperazione allo sviluppo a partire da aree tematiche d’intervento che non solo sono tra loro correlate, ma chiariscono anche immediatamente come un nuovo approccio di cooperazione allo sviluppo debba fondarsi sulla centralità della coesione territoriale e, dunque, su partenariati tra territori che condividono sfide, problemi e quindi, auspicabilmente, anche soluzioni comuni. Non c’è dubbio, infatti, che esistano aree che sono sfide cruciali per i territori italiani almeno quanto lo sono per i Paesi partner, e che lo sviluppo sia radicato nei territori, profondamente contestualizzato. Questa opportunità di affrontare problemi esistenti qui e lì è la condizione che, forse, permetterà di ridare peso politico alla politica di cooperazione allo sviluppo, pensata soprattutto come opportunità per migliorare le nostre condizioni di vita. L’approccio sistemico alla sostenibilità nelle politiche di sviluppo implica integrare simultaneamente la sicurezza idrica, alimentare ed energetica per tutti con l’obiettivo di conservare l’ecosistema rafforzandone la resilienza e con quello di uno sviluppo economico equo. In agricoltura, questo comporta profonde trasformazioni e scelte precise circa l’approccio e le strategie da adottare: David Pimentel e Mario Giampietro stimarono venti anni fa4 il rapporto tra produzione ed immissione di energia in agricoltura (un settore che negli Stati Uniti assorbiva circa il 17% dell’energia consumata), calcolando che per 1 kilocaloria (kcal) di energia fossile consumata, l’agricoltura statunitense produceva 1 kcal di cibo! Di fatto, spiegavano gli autori, è cresciuta moltissimo la quota di energia esosomatica (generata dalla trasformazione di energia all’esterno del corpo umano) rispetto all’energia endosomatica (generata dalla trasformazione metabolica del cibo in energia muscolare nel corpo umano), che deriva quasi tutta da combustibili fossili. Nella società industriale il metabolismo dipende, cioè, da flussi da sfruttamento di stock di energia fossile (carbone, poi petrolio, infine gas) che danno energia e input tecnici; in questo modo sono stati superati i limiti delle risorse rinnovabili ed è stata possibile la crescita demografica. Il sistema alimentare statunitense consuma dieci volte più energia di quanta ne produca sotto forma di cibo; questa disparità è resa possibile dalle riserve di combustibili fossili non rinnovabili. Si tratta di un modello insostenibile di produzione e, complessivamente, di sviluppo. Una trasformazione è inevitabile, soprattutto nell’ipotesi di un imminente raggiungimento del cosiddetto picco del petrolio (peak oil), il momento in cui l’estrazione del petrolio a livello mondiale avrà raggiunto il suo valore massimo e a cui seguirà un calo del ritmo di estrazione del petrolio. Concretamente, per una logica di partenariato/co-sviluppo territoriale, cinque assi prioritari possono essere già proposti, alla luce del lavoro sin qui svolto e reso possibile attraverso il progetto di Educazione allo sviluppo “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta. Il contributo italiano a Rio + 20”: 1. Gestione delle risorse idriche, a livello locale ma anche regionale e transfrontaliero; 2. Sviluppo dell’agricoltura sostenibile (produzioni agricole di qualità e culture produttive territoriali e small farmers-based), su cui l’Italia vanta un patrimonio di cultura, vocazione e storia spendibile anche per un posizionamento strategico sul fronte multilaterale, tenuto conto della presenza del Polo delle agenzie romane delle Nazioni Unite (FAO, IFAD, WFP e Bioversity International); 3. Risposta ai problemi comuni (ad esempio, pensando alle isole) del dissesto idro-geologico e la messa in sicurezza e valorizzazione del territorio nel contesto di politiche di adattamento; 4. I temi della produzione e delle reti energetiche, sviluppando fonti rinnovabili e pulite e pianificazione in risposta alla dipendenza dalle importazioni di idrocarburi; 5. Sviluppo del trasporto sostenibile e ciclo dei rifiuti. Ecco perché la scelta del titolo “L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile. Tracce per orientare il dibattito sul futuro della cooperazione allo sviluppo”: quelle indicate sono solo alcune delle possibili piste di lavoro di un percorso da costruire mobilitando le energie migliori in campo. Gli spunti offerti da iniziative di sviluppo in Italia e di cooperazione internazionale attente alle dimensioni della sostenibilità ambientale, come quelle qui raccolte e presentate, si offrono 3 Come definita schematicamente dall’UNEP, in premessa alla sua iniziativa di promozione della GE: “UNEP has developed a working definition of a green economy as one that results in improved human well-being and social equity, while significantly reducing environmental risks and ecological scarcities. In its simplest expression, a green economy can be thought of as one which is low carbon, resource efficient and socially inclusive”. 4 8 D. Pimentel, M. Giampietro (1994), Food, Land, Population and the U.S. Economy, Carrying Capacity Network, Washington D. C. L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile come tessere di un mosaico complesso da cominciare a sviluppare, più che completare; e nei territori e nelle loro varie articolazioni si possono trovare le energie da mettere in campo, a cominciare dai movimenti di persone, associazioni e imprese che con passione si impegnano su questi temi. Nel delicato equilibrio tra riconoscimento della complessità e molteplicità delle relazioni che legano i territori a Nord e a Sud del mondo, con la conseguente ricerca di coerenza tra le politiche da un lato e individuazione di un tema specifico d’intervento dall’altro, sta la formula di una maggiore efficacia delle politiche di cooperazione allo sviluppo. Una discontinuità col passato è necessaria; l’idea che, pur nelle persistenti disuguaglianze (di potere), si sia raggiunto il picco (energia, acqua, suoli, biodiversità, metalli) rende improponibile lo scenario del business as usual mentre la crescita delle classi medie nei Paesi a medio reddito ridisegna la geografia del potere e delle ricchezze nel mondo; per l’Italia può diventare anche l’opportunità - o, almeno, questo è l’auspicio - per spendersi con più coraggio, oltre che con più risorse finanziarie e rinnovato impegno, nell’ambito della cooperazione internazionale, valorizzando quanto di buono già si riesce a fare in Italia e all’estero, dandogli continuità, giocando un ruolo significativo anche in relazione alla definizione strategica del Polo delle agenzie romane delle Nazioni Unite e non disperdendo le occasioni imminenti in ambito internazionale, a cominciare dalla presidenza di turno dell’Unione europea che l’Italia avrà nel secondo semestre del 2014, dall’Expo 2015 organizzata a Milano sul tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, e dalla definizione dell’agenda post-2015 in sede Nazioni Unite. Introduzione 9 Capitolo 2 2.1 Il progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio + 20” 2.1.1 La Conferenza di Rio + 20 2.1.2 Il Progetto di Educazione allo sviluppo 2.2 La componente di ricerca e analisi del Progetto 2.2.1Obiettivi 2.2.2Contenuti 2.2.3 Le fonti informative 2.3 Il profilo delle iniziative realizzate in Italia 2.4 Il profilo delle iniziative di cooperazione internazionale 2.5 La selezione di un numero ristretto di 7+7 buone pratiche 2.6 Alcune indicazioni ricavabili da 14 tessere di un (più) grande mosaico Capitolo 2 11 2.1 Il progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio + 20” 2.1.1 La Conferenza di Rio + 20 La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, la storica Conferenza su ambiente e sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development, UNCED), il cosiddetto Summit della Terra, inaugurò il decennio delle Conferenze promosse dalle Nazioni Unite sui temi dello sviluppo e che culminò, nel 2000, nella Dichiarazione del Millennio. Tale Conferenza è oggi ricordata per l’impulso a favore dello sviluppo sostenibile e per il suo approccio ambizioso volto a coniugare indissolubilmente economia, società e ambiente, ma è anche ricordata per l’impostazione data a un processo politico di lunga durata, fondato su Convenzioni internazionali, sull’istituzione di una Commissione specifica e soprattutto sull’approvazione di un articolato piano d’azione per lo sviluppo sostenibile da realizzare su scala globale, nazionale e locale con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse (stakeholder) che operano sui territori. A 20 anni dalla Conferenza di Rio del 1992 le Nazioni Unite hanno celebrato la Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile, nota come “Rio+20”. La conferenza di Rio+20, nel giugno 2012, è stata, oltre che un grande evento mediatico, un momento importante per valutare sia i progressi che le lacune nel raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile, incoraggiare il dialogo sulle politiche e stimolare gli sforzi per migliorare e rinnovare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile nel difficile contesto delle nuove sfide da affrontare. In particolare, tre sono stati gli ambiti tematici di approfondimento politico: il ruolo della Green Economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e della lotta alla povertà, il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile, gli indicatori di sviluppo sostenibile. Non c’è dubbio che i fattori di contesto di crisi internazionale sul piano economico-finanziario e di ricerca di nuovi equilibri politici, abbiano posto una seria ipoteca sulla capacità di conseguire risultati significativi tali da competere, simbolicamente, con lo storico evento di venti anni prima. Il contesto non era più quello del 1992 e le premesse non lasciavano sperare in una Dichiarazione politica molto ambiziosa, dagli impegni vincolanti e capace di gettare uno sguardo nuovo verso l’incerto orizzonte futuro. Tuttavia, è stata un’occasione fondamentale per far discutere di sfide comuni e di possibili soluzioni condivise attori che solitamente non dialogavano, perché concentrati sul proprio fronte di lavoro, locale, nazionale o globale che fosse. È, infatti, evidente come il tema dello sviluppo sostenibile si possa declinare concretamente su terreni che interrogano allo stesso modo comunità locali in Italia e quelle che nel resto del mondo sperimentano forme di cooperazione allo sviluppo: la popolazione italiana è soggetta a rischi naturali come terremoti, alluvioni, frane e incendi come e quanto quella di molti Paesi in via di sviluppo (PVS); la gestione e riduzione delle discariche, la qualità complessiva delle risorse idriche, il problema degli inquinanti atmosferici locali e le emissioni di gas serra, la conservazione del patrimonio naturale di flora e fauna, le politiche energetiche e quelle dei trasporti sono sfide che incoraggiano la partecipazione costruttiva delle parti sociali ai processi decisionali in Italia come nei PVS. Sfide che hanno portato, più o meno significativamente a seconda dei casi e dei Paesi, a sforzi di integrazione di competenze tra i livelli di governo, la cosiddetta governance multilivello ma anche multi-attoriale, laddove si è data una risposta alla necessità di coinvolgere i diversi stakeholder territoriali. I dati, in Italia come nel resto del mondo, indicano che le medie nazionali sui risultati conseguiti sono una prima utile indicazione approssimativa, ma nascondono notevoli disparità tra i territori; i progressi sono presenti in Italia come altrove, ma diffusi a macchia di leopardo lungo la penisola. 2.1.2 Il Progetto di Educazione allo sviluppo In questo contesto, si inserisce il Progetto di Educazione allo sviluppo “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta. Il contributo italiano a Rio + 20”, realizzato con il contributo della Direzione generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero Affari Esteri (MAE). Un progetto, promosso da Oxfam Italia, CeSPI, Slow Food e Centro Mondialità Sviluppo Reciproco, con l’obiettivo di assicurare un contributo ampio e qualificato della società civile e della cooperazione italiana alla definizione delle posizioni espresse dall’Italia alla Conferenza stessa e alla realizzazione degli impegni assunti dall’Italia a seguito di essa, attraverso attività di analisi e ricerca, networking, informazione e sensibilizzazione. In sostanza, il Progetto è stato uno strumento per contribuire a rafforzare i legami tra gli attori della società e dell’economia civile italiana attivi nel settore dello sviluppo sostenibile, favorendo la definizione di strategie congiunte, creando concretamente occasioni di scambio, informazione, formazione, sensibilizzazione e disseminazione all’esterno. Iniziative che hanno coinvolto le diverse espressioni italiane dei cosiddetti Major groups: organizzazioni no profit della 12 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile società civile, settore privato, autorità locali, università e centri di ricerca, mondo della cooperazione italiana - DGCS, amministrazioni locali, ONG e loro reti - in una logica di rafforzamento della collaborazione e dell’integrazione delle competenze tra gli attori che operano attivamente per la promozione della cultura dello sviluppo sostenibile. Uno strumento per consolidare la rete, dare visibilità a iniziative interessanti sul piano strategico, così da potenziarne l’efficacia comunicativa al fine di renderle continuative e contaminare i diversi ambiti di lavoro della cooperazione allo sviluppo. 2.2 La componente di ricerca e analisi del Progetto 2.2.1 Obiettivi Nel quadro del progetto, la componente di ricerca e analisi si è concentrata su una ricognizione del panorama delle buone pratiche italiane in tema di interventi sostenibili e promozione di Green Economy realizzate nei PVS attraverso attori italiani della cooperazione allo sviluppo o realizzate in Italia, su scala nazionale e territoriale, da parte di amministrazioni pubbliche, imprese ed espressioni del mondo non governativo (in particolare associazioni di categoria, associazioni ambientaliste, Università e centri di ricerca e sviluppo, ONG di sviluppo, studiosi). Obiettivo della ricognizione è stato quello di proporre una serie di casi per la discussione, da non intendere come “best practices” in senso stretto sullo sviluppo sostenibile, bensì come esperienze che hanno componenti (a livello di progetto o processo) che possono integrare gli approcci più diffusi della cooperazione internazionale allo sviluppo, con contributi a carattere integrato, sistemico e multidisciplinare. L’utilizzo di esperienze concrete realizzate in due contesti separati (territorio italiano e cooperazione internazionale allo sviluppo di PVS), con percorsi di sperimentazione che procedono parallelamente, intende facilitare la costruzione di un approccio che si fonda sul riconoscimento di sfide comuni e possibili risposte comuni ai grandi temi dello sviluppo in Italia e nei Paesi partner, a cominciare da quello ambientale. Per questa ragione, la contaminazione tra iniziative e attori che operano sul nostro territorio e quelli che invece hanno già un rilievo sul fronte della cooperazione allo sviluppo può essere visto come un’occasione utile per rafforzare un approccio alla cooperazione internazionale che faccia della sostenibilità l’elemento trasversale, interesse comune dei partner e in Italia. 2.2.2 Contenuti La ricognizione è stata condotta prendendo in considerazione iniziative che sperimentano e promuovono politiche e strategie pubbliche e private di sostegno allo sviluppo sostenibile, facendo riferimento ad alcuni dei sette track per le politiche di promozione della GE presentati all’Assemblea Generale delle Nazioni, e cioè: pacchetti di sostegno e stimolo delle attività economiche sostenibili, promozione dell’efficienza energetica e nell’utilizzo delle risorse naturali, sviluppo e applicazione di regole di cosiddetto “inverdimento” (greening) dei mercati e delle gare pubbliche di appalto, investimenti nelle infrastrutture “verdi”, ripristino, conservazione e rafforzamento del capitale naturale. Dal punto di vista settoriale si è fatto riferimento alla classificazione dei settori della GE di Burkardt-Van Jones5 e ai quattro Rio-markers utilizzati dall’OCSE-DAC per la classificazione degli interventi di cooperazione internazionale che promuovono lo sviluppo sostenibile6: • energie rinnovabili, • edilizia eco-compatibile, • trasporto pulito, • risorse idriche, • ciclo dei rifiuti, • gestione del suolo/foreste/lotta alla desertificazione, • adattamento ai cambiamenti climatici, • mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima, • protezione e ripristino della biodiversità. Per quanto riguarda l’ambito di intervento, sono state considerate iniziative che sviluppano i propri effetti anche e soprattutto in modo congiunto e sinergico su ambiti diversi e, in particolare, su: • tessuto produttivo, 5 Proposta da Karl Burkard (http://www.mnn.com), che ha sviluppato lo schema introdotto da Anthony Van Jones, il consigliere del Presidente egli Stati Uniti, Barack Obama, per la GE: Van Jones with Ariane Conrad (2008), The Green Collar Economy, HarperOne, New York. 6 OECD-DAC (2011), Handbook on the OECD-DAC Climate Markers, Paris Capitolo 2 13 • • comunità territoriale, istituzioni, ovvero sui sistemi di regole codificate (in abitudini, convenzioni, norme e leggi) che strutturano, formalmente o informalmente, le interazioni sociali. In campo produttivo, si tratta soprattutto di innovazioni di prodotto e di processo, come la riduzione dell’impatto ambientale della produzione, del consumo e dei processi di eliminazione del prodotto a fine ciclo, nonché di miglioramenti ambientali e sociali su territorio e comunità coinvolte. A livello comunitario gli effetti si esplicano, in particolare, in termini di incremento della consapevolezza e della cultura su tematiche della sostenibilità e di diffusione di stili di vita sostenibili. A livello istituzionale, i campi d’azione sono quello dello sviluppo delle conoscenze e delle capacità tecniche per lo sviluppo sostenibile, dell’integrazione dell’obiettivo della sostenibilità nel complesso delle attività private e pubbliche di promozione dello sviluppo e di formazione del capitale umano, della creazione di un ambiente favorevole agli investimenti di risorse nella GE. 2.2.3 Le fonti informative La raccolta di informazioni sulle iniziative di possibile interesse è stata condotta attraverso diversi canali paralleli che hanno compreso interviste strutturate e in profondità, focus group e videoconferenze, la rassegna di pubblicistica e letteratura grigia, l’esame di fonti web. Per la ricognizione delle iniziative di cooperazione internazionale, è stata preziosa l’interlocuzione di due canali istituzionali: la DGCS/MAE ha contribuito alla raccolta di informazioni e alla selezione dei casi di interesse anche attraverso la partecipazione delle Unità Tecniche Locali e degli Uffici dell’Unità Tecnica Centrale, responsabili per i progetti ambientali e per la cooperazione decentrata; parallelamente una serie di casi interessanti nel mondo della società civile sono stati identificati sollecitando segnalazioni spontanee da parte delle ONG italiane e consultando database dedicati, come l’archivio ONG predisposto dal COCIS e la banca-dati DGCS/MAE, che contiene anche progetti promossi da ONG. Per la diffusione delle informazioni relative al progetto e all’attività specifica di ricognizione di iniziative territoriali hanno partecipato attivamente l’Osservatorio Interregionale per la Cooperazione allo Sviluppo (OICS), l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI), la sezione Italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa (AICCRE), il Coordinamento Agende 21 Locali Italiane. In ambito universitario è stato prezioso il dialogo con il Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo sostenibile (CIRPS) e gli undici atenei italiani aderenti alla struttura. Contemporaneamente, il gruppo di ricerca ha preso in esame la letteratura recente relativa alla presentazione e analisi di iniziative di promozione di GE e sviluppo sostenibile. Fra i numerosi lavori considerati sono stati consultati il rapporto Greenitaly realizzato dalla Fondazione Symbola, la banca dati sulle esperienze della società civile italiana relative alla Green Economy realizzata dal Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente (CURSA), il rapporto 2012 “Green economy in Emilia-Romagna” pubblicato dall’agenzia Emilia-Romagna Valorizzazione Economica Territorio SpA (ERVET), il rapporto di attività 2011 del Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, l’indagine “Gli Enti Locali italiani verso e dopo il Summit ONU Rio+20 2012” promossa da Focus Lab e dal Coordinamento Agende 21 Locali Italiane, la raccolta di best practices “The European UN Global Compact Companies Towards Rio+20” e il rapporto “Global Compact Network Italy”, le iniziative presentate alla pagina “Green economy policies, practices and initiatives” pubblicata sul sito della United Nations Conference on Sustainable Development 2012, le esperienze presentate nell’ambito delle iniziative “Comuni 5vele”, “Comuni Ricicloni”, “Zone attive: mostra e catalogo esperienze territoriali di Green Economy”, “Comuni Rinnovabili 2012” e “La forza del vento”, tutte realizzate da Legambiente. Informazioni utili alla ricognizione delle esperienze realizzate in Italia sono state ricavate anche da alcuni siti web come quello dell’Associazione Comuni Virtuosi, e dalle presentazioni in alcuni eventi come il Festival della Green Economy tenutosi a Bologna nell’ottobre 2012, il 6th World Water Forum di Marsiglia, gli Stati Generali della Green Economy riuniti alla Fiera di Rimini nel novembre 2012; i seminari promossi dal Patto dei Sindaci, gli incontri del Consorzio Altraeconomia, la rete della decrescita, la Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale (RIGAS), la mostra/convegno delle buone pratiche di sostenibilità Terra Futura, la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fà la Cosa Giusta!”, la campagna Genuino Clandestino per la libera lavorazione dei prodotti contadini. Al termine della fase di raccolta di informazioni sulle esperienze interessanti, sono state completate due liste comprendenti il totale dei casi considerati, suddivise nei due macro-insiemi delle iniziative di promozione di sviluppo sostenibile su territori italiani e delle iniziative di cooperazione internazionale con contenuti relativi alle stesse tematiche. Anche in considerazione delle diverse modalità di raccolta dati utilizzate nella formazione delle due liste, le loro dimensioni sono notevolmente diverse. La prima delle due è risultata, come immaginabile, molto più lunga, avendo 14 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile preso in considerazione esperienze in diversi settori catalogate e segnalate da diverse fonti che hanno analizzato dinamiche sviluppatesi su iniziativa di molteplici tipologie di attori, in particolare del settore privato (imprese, consorzi, associazioni di categoria) e di quello pubblico (enti locali, regioni, aziende pubbliche) che negli ultimi anni sono state particolarmente attive. Diversamente, la lista di casi di interesse aventi per oggetto iniziative di cooperazione internazionale è il risultato della raccolta di informazioni e segnalazioni nel più ristretto ambito dei progetti di cooperazione internazionale e aiuto pubblico allo sviluppo, il che ha implicato che, sul piano quantitativo, sia minore il numero di esperienze rispetto ai casi di intervento in Italia e che, sul piano qualitativo, si sia invece riscontrato il protagonismo di organizzazioni della società civile. 2.3. Il profilo delle iniziative realizzate in Italia La long list delle iniziative realizzate in Italia comprende 483 casi. Più di due terzi del totale sono stati ricavati dalle mappature realizzate nel 2012 rispettivamente da Legambiente sulle esperienze dei “Comuni Rinnovabili” e dal Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente (CURSA), che ha raccolto iniziative di promozione di GE che, in parte consistente, sono state anche presentate nell’esposizione “Zone attive” realizzata sempre da Legambiente. Un quarto circa del totale sono esperienze di promozione di GE che partono soprattutto dal settore privato, ricavate dai rapporti “Greenitaly” (17% delle iniziative totali), pubblicato dalla Fondazione Symbola, e “Green Economy in Emilia Romagna” (5,5% del totale), pubblicato dall’agenzia Emilia-Romagna Valorizzazione Economica Territorio SpA (ERVET). Le restanti esperienze sono state individuate utilizzando fonti diverse, fra cui, oltre a interviste con esperti del settore, il rapporto di attività del Coordinamento Agende 21 locali e l’elenco dei Contratti di Fiume sottoscritti finora. La distribuzione per ambiti di azione mostra il numero più consistente di iniziative nel campo delle energie rinnovabili, che interessano parallelamente anche il tema della mitigazione del cambiamento climatico. Si tratta di circa 300 esperienze, per tre quinti circa mappate nella raccolta dei “Comuni rinnovabili” e, quindi, attribuibili a iniziative che hanno nell’Ente Locale uno dei principali attori. Non mancano, comunque, un buon numero di casi emersi dai rapporti che hanno preso in considerazione l’iniziativa privata, come Greenitaly, dove sono segnalati una trentina di casi interessanti in campo energetico. Ciò non sorprende: in base alle stime di EurObserv’ER (2011), nel 2010 il fatturato registrato in Italia nel settore dell’energia rinnovabile è aumentato del 57% rispetto all’anno precedente, contro una crescita del 15% nell’Unione Europea. Ciò significa che l’Italia è al secondo posto nell’UE per dimensione del mercato dell’energia rinnovabile, dopo la Germania e quarto nel mondo per investimenti nelle energie rinnovabili (dopo la Cina, gli Stati Uniti e la Germania) e al primo posto per gli investimenti negli impianti fotovoltaici di piccole dimensioni. Aggiunge il Rapporto OCSE 2013 sulle performance ambientali relativo all’Italia che, con oltre 16 miliardi di euro di fatturato, l’Italia rappresenta il 12,7% del fatturato di tutta l’UE, mentre l’occupazione diretta e indiretta legata a tali settori è aumentata del 38%, rispetto al 25% riscontrato nell’UE nel suo complesso. Il secondo campo di intervento per numero di iniziative è risultato quello delle innovazioni di prodotto e/o di processo sperimentate nel settore manifatturiero, dove sono stati censiti 117 progetti in buona maggioranza riportati dal rapporto Greenitaly. Con pressoché lo stesso numero di esperienze, risultano altrettanto diffusi i progetti nel quadro della gestione del ciclo rifiuti e del riciclo, dove si concentrano 114 delle esperienze individuate sia nei rapporti più attenti al mondo delle imprese (GreenItaly e Green Economy Emilia Romagna) sia nel catalogo CURSA, dove sono presentate molte iniziative multiattoriali o promosse da amministrazioni pubbliche. Sul piano delle statistiche nazionali, tra il 2000 e il 2010 gli investimenti nel settore realizzati da enti pubblici sono diminuiti, mentre quelli di aziende specializzate nella fornitura di servizi ambientali (le utilities) sono aumentati. Un rilevante numero di pratiche di promozione di sviluppo sostenibile è stato individuato nei settori agricolo, del turismo, della gestione delle risorse idriche e della edilizia ecocompatibile, settori di intervento peraltro molto importanti nel campo della cooperazione allo sviluppo. Per ognuno di questi settori sono emerse una settantina di iniziative, con una distribuzione piuttosto varia delle segnalazioni nelle diverse fonti utilizzate. Sono relativamente numerosi anche gli interventi che toccano tematiche legate alla conservazione del suolo e alla gestione del patrimonio forestale che, con poco più di 60 progetti, rappresentano il 12,2% del totale dei casi censiti. Il settore relativo alla conservazione e ripristino della biodiversità raccoglie un numero minore, anche se non trascurabile, di iniziative (41), mentre risulta in secondo piano rispetto alle aspettative il tema del trasporto sostenibile, che tocca Capitolo 2 15 uno dei problemi più sentiti dall’opinione pubblica per quanto riguarda la qualità della vita e dell’ambiente dei centri urbani. A questo proposito, in materia di finanziamenti i governi più recenti hanno dato priorità allo sviluppo di trasporto pubblico e reti ferroviarie (anzitutto, i 25-30 miliardi di euro per le infrastrutture per l’Alta velocità ferroviaria), mentre i sistemi di trasporto pubblico locale, che giurisdizionalmente ricadono sotto la responsabilità di Regioni ed Enti Locali, sono risultati penalizzati in termini di sviluppo, sia con riferimento alle infrastrutture che alle qualità dei servizi, in modo particolare nel Mezzogiorno. Inoltre, come riscontro fattuale, l’Italia continua ad essere caratterizzata da una netta preponderanza del trasporto su strada, nonostante gli investimenti sulle reti ferroviarie. Non sono, invece, presenti esperienze riconducibili al tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, i cui effetti sull’ambiente italiano sono probabilmente ancora lontani dal costituire uno stimolo all’iniziativa a livello locale. La politica italiana in tema di cambiamento climatico si è sinora basata essenzialmente su disposizioni normative e sul ricorso a strumenti economici (compresi incentivi fiscali e meccanismi di mercato) e, nel caso della mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, sugli incentivi all’uso crescente delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Fig. 1 - Campi di intervento delle iniziative considerate realizzate in Italia CURSA/Zone attive 350 GreenItaly 300 Comuni Rinnovabili 2012 Green Economy Emilia R 250 Agende 21 Locali 200 Altro 150 100 Altro Turismo e terziario Agricoltura Protezione/ripristino della biodiversità Mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima Adattamento ai cambiamenti climatici Gestione del suolo/foreste/lotta alla desertificazione Ciclo rifiuti Risorse idriche Trasporto pulito Edilizia ecocompatibile Energie rinnovabili 0 Manifattura 50 Dal punto di vista della distribuzione delle iniziative sul territorio, è in evidenza una notevole concentrazione in alcune regioni, con quasi due terzi del totale dei progetti dislocati in sole sei regioni. L’Italia presenta punte di eccellenza, purtroppo caratterizzate da frammentazione e, quindi, dalla mancanza di una visione strategica complessiva che permetta di portare a sistema queste pratiche o sviluppare potenziali sinergie tra di loro. L’eccellenza in Italia è a macchia di leopardo e questo è un carattere strutturale che interessa anche altri ambiti tematici (la realtà dei distretti industriali e la forza del tessuto di piccole e medie imprese, ma anche l’eccellenza sanitaria o quella del sistema scolastico). E questo è vero anche all’interno di una stessa Regione, ricca o povera che sia. Un problema strutturale che suggerisce come una possibile contaminazione di esperienze e linguaggi tra realtà - pubbliche o private che siano - impegnate in Italia sul fronte della sostenibilità ambientale e quelle invece presenti nel campo della cooperazione internazionale allo sviluppo avrebbe effetti positivi non solo per il fronte internazionale, ma anche per favorire una capitalizzazione a beneficio di molte aree italiane che non si possono qualificare come eccellenze. Oltre alla maggioranza di iniziative che interessano l’intero territorio nazionale e che rappresentano l’11,4% del totale delle esperienze censite, la regione Emilia Romagna è quella dove sono state individuate più iniziative (14,8%), seguita da Toscana (11,2%), Lombardia (10%), Trentino Alto Adige (9,8%), Piemonte (8,6%) e Lazio (6,2%), tracciando un’immaginaria continuità territoriale che interessa solo queste sei regioni adiacenti, che tuttavia - vale la pena ripeterlo - presentano anche al proprio interno una configurazione a macchie di leopardo. Fra le regioni meridionali e insulari, sono più presenti la Puglia (4,6%) e la Sardegna (2,4%). 16 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Fig. 2 - Geografia delle iniziative considerate realizzate in Italia (numero d’iniziative) 50 6 43 49 6 22 74 9 56 8 16 5 31 3 23 11 12 5 6 10 Se si guarda ai campi di intervento delle iniziative di ciascuna regione, è possibile identificare i segni di possibili vocazioni tematiche territoriali. I progetti in campo energetico sono distribuiti fra le regioni dove sono stati mappati il maggior numero di iniziative, con il Trentino Alto Adige al primo posto con 41 esperienze segnalate. In questo caso, l’approccio di sistema territoriale è più evidente che altrove: si tratta della Regione che si distingue per diffusione su tutto il territorio di fonti di energia rinnovabile, teleriscaldamento a vere biomasse, numero elevato di pannelli solari installati. I progetti industriali e quelli relativi al ciclo rifiuti sono, invece, più concentrati in Toscana, dove si colloca circa un quinto del totale delle sperimentazioni di nuovi prodotti e processi manifatturieri e di nuovi sistemi di riciclo dei rifiuti. La Toscana è anche la prima regione per i progetti sulla gestione delle risorse idriche. L’Emilia Romagna raccoglie un quinto dei progetti nel settore dell’edilizia eco-compatibile e risulta prima anche per i progetti in agricoltura con il 17,6% del totale. Nei settori del turismo sostenibile e dei trasporti puliti prevalgono i progetti di respiro nazionale, anche se in entrambi i casi è significativa la quota di esperienze registrate nel Lazio, che rappresentano rispettivamente il 9,3% e il 22,2% del totale. Anche in tema di forestazione e conservazione del suolo emerge una leggera prevalenza della quota di progetti di portata nazionale. Per quanto riguarda l’area tematica che interessa la conservazione e il ripristino della biodiversità, le esperienze risultano relativamente distribuite nelle regioni con maggior numero di segnalazioni a cui si aggiungono le Marche, dove sono stati censiti cinque dei 41 progetti totali. Capitolo 2 17 Fig. 3 - Ripartizione regionale dei campi di intervento (numero d’iniziative) 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 al e ol ise Na zio n M ru zz o Ba sil ica ta Va ld ’A os ta li Ab Fr iu ia Ca la br Sic ilia ia br ia ur 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Um Lig Ca m pa ni a eg na he ar c Sa rd to M gli a Ve ne Pu La zio on te AA o tin Tr en m Lo Pi em ba rd ia an a sc To Em ilia R. Gestione del suolo/foreste/lotta alla desertificazione Ciclo Rifiuti Risorse Idriche Trasporto Pulito Edilizia Eco-compatibile Energie Rinnovabili le na zio Na ta ise ol M os ’A ld Va sil ica ta o zz ru Ab Ba li iu Fr ia br la Ca ilia Sic ia br Um ia ur Lig a ni pa m Ca eg rd Sa ar M na e ch to ne Ve a gli Pu zio La te on em Pi o tin en m Lo Tr ba rd AA ia a an sc To Em ilia R. Altro Turismo e Terziario Manifattura Agricoltura Protezione/Ripristino della biodiversità Mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima Adattamento ai cambiamenti climatici 2.4 Il profilo delle iniziative di cooperazione internazionale Le iniziative internazionali prese in considerazione sono state 78, quasi metà delle quali segnalate dalla DGCS del Ministero degli Affari Esteri. Fra le rimanenti, gran parte sono progetti realizzati da ONG, pochissimi i casi individuati tramite la consultazione di Amministrazioni Regionali ed Enti Locali. Le esperienze prese in esame mostrano ampie differenze per quanto riguarda la portata dei progetti e il tipo di risorse impegnate. Diversamente dai casi esaminati per quanto riguarda i territori italiani, le esperienze incluse nella long list relativa alla cooperazione internazionale si focalizzano principalmente sulle aree rurali, senza significative distinzioni fra progetti segnalati dalla DGCS e quelli individuati fra gli interventi promossi dalle ONG. Più della metà dei progetti segnalati interessa il settore agricolo e più del 40% comprende iniziative nei campi della gestione del suolo, delle aree forestali e della lotta alla desertificazione. Un terzo campo d’azione toccato da molti dei casi inclusi nella long list è quello della gestione delle risorse idriche, che rappresenta uno dei focus per il 43% dei progetti segnalati dalla DGCS. Minore è, in questo caso, l’impegno delle iniziative segnalate dalle ONG, fra i cui 34 progetti sono solo 6 quelli che si occupano di questo tema. Lo stesso avviene per quanto riguarda i progetti che interessano la protezione della biodiversità e che risultano fra i campi di attività di poco meno di dieci progetti segnalati dalla DGCS e di quattro iniziative realizzate dalle ONG. Una prevalenza di progetti realizzati da ONG si segnala, invece, nel settore turistico e del terziario, interessato da otto progetti promossi dalle ONG e da tre fra quelli segnalati dalla DGCS. Il settore delle energie rinnovabili, che rappresenta l’ultimo dei campi d’azione con più di dieci iniziative nella long list, è quello dove si concentrano le due iniziative locali segnalate dalle amministrazioni regionali. 18 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Fig. 4 - Campi di intervento delle iniziative di cooperazione internazionale considerate DGCS ONG Segnalaz regioni Altro Turismo e terziario Manifattura Agricoltura Protezione/ripristino della biodiversità Mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima Adattamento ai cambiamenti climatici Gestione del suolo/ foreste/lotta alla desertificazione Ciclo rifiuti Risorse idriche Edilizia eco-compatibile Trasporto pulito Greenitaly Energie rinnovabili 40 35 30 25 20 15 10 5 0 La ripartizione geografica dei casi presi in considerazione mostra una prevalenza dei progetti realizzati in Africa subsahariana (36% del totale) e America Latina e Caraibi (30%), dove si concentrano in particolare i progetti individuati fra quelli realizzati dalle ONG che interessano - rispettivamente per il 47% e il 44% - Paesi delle due aree. La regione mediterranea e mediorientale è la terza per numero di progetti segnalati con un totale di 19 iniziative, pari al 26% del totale. In quest’area, sono maggioritari i progetti indicati dalla DGCS che qui ha il 41% delle azioni segnalate. Sono infine cinque i progetti che interessano Paesi dell’Asia o dell’Oceania e tre quelli individuati nella regione balcanica. Fra questi ultimi sono compresi entrambi i progetti di cooperazione internazionale segnalati dalle amministrazioni regionali che si caratterizzano, dunque, per una propensione particolare a guardare verso la “mappa del vicinato”, in relazione allo sviluppo da parte dell’UE di politiche di graduale integrazione dei Paesi balcanici, in una concreta prospettiva di adesione, che parallelamente però giustifica - per i livelli di sviluppo sociale e di crescita economica - un processo di graduale exit strategy da parte della politica bilaterale di cooperazione allo sviluppo, fatta eccezione per l’Albania. Il Paese con il maggior numero di progetti inclusi nella long list è il Libano, dove sono state realizzate nove delle iniziative considerate e che mantiene oggi il suo carattere di Paese prioritario per la cooperazione italiana allo sviluppo, seguito da Bolivia e Senegal (altri due Paesi prioritari per la programmazione italiana triennale di cooperazione allo sviluppo), interessati da sei progetti ciascuno, da Brasile, Etiopia, Kenya e Mozambico con quattro progetti e dall’Ecuador con tre. Fig. 5 - Geografia delle iniziative di cooperazione internazionale considerate (numero d’iniziative) 1 2 15 5 4 6 DGCS-MAE ONG Regioni Greenitaly 11 15 1 16 America latina e Caraibi Africa sub-sahariana Nord Africa e Medio Oriente Asia - Oceania Balcani Incrociando i dati relativi alla dislocazione geografica dei progetti con la classificazione delle stesse iniziative per campo di azione, si ricavano alcune indicazioni sull’esistenza di linee tematiche privilegiate in alcune regioni. Se infatti il gruppo maggioritario dei progetti che interessano il settore agricolo e della sicurezza alimentare (settore tradizionalmente Capitolo 2 19 prioritario per l’azione della cooperazione italiana) si distribuisce fra le diverse macro-aree in maniera non troppo discostante dalla distribuzione dell’intero complesso dei progetti considerati, gli altri principali raggruppamenti settoriali di iniziative mostrano differenze sensibili di localizzazione. I progetti che si occupano di gestione del suolo e del patrimonio forestale mostrano, ad esempio, una maggiore concentrazione in Africa Sub-sahariana, dove sono localizzati 16 interventi con queste caratteristiche. In America Latina e Caraibi prevalgono invece i progetti che si indirizzano alla protezione e ripristino della biodiversità, che in quest’area sono il secondo campo d’azione per numero di progetti dopo l’agricoltura, coerentemente con il fatto che, ad esempio, nell’area andina la cooperazione italiana dà particolare rilievo alla tutela dell’ambiente nella zona amazzonica, anche in un’ottica regionale. Nei Paesi del Nord Africa e Medio Oriente, dopo le azioni che coinvolgono il settore agricolo sono localizzati ben otto dei 24 progetti nel campo delle risorse idriche e quasi la metà del totale delle iniziative nei settori turistico e dei servizi, tenendo presente che la cooperazione italiana considera come privilegiati propri i settori ambientali e dell’agri-business, oltre alla tradizionale e cruciale attenzione al tema della gestione delle risorse idriche. Fig. 6 - Ripartizione macroregionale dei campi d’intervento (numero d’iniziative) Asia-Oceania 45 America lat e Caraibi 40 SSAfrica 35 Balcani 30 MENA 25 20 15 10 Altro Turismo e terziario Manifattura Agricoltura Protezione/ripristino della biodiversità Mitigazione degli effetti delle attività umane sul clima Adattamento ai cambiamenti climatici Gestione del suolo/ foreste/lotta alla desertificazione Ciclo rifiuti Risorse idriche Trasporto pulito Edilizia ecocompatibile 0 Energie rinnovabili 5 2.5 La selezione di un numero ristretto di 7+7 buone pratiche Le iniziative raccolte nelle due long list sono state analizzate nei loro tratti principali con l’obiettivo di arrivare, con un processo di selezione progressiva, a individuare un numero ristretto di iniziative in grado di fornire spunti per la discussione e la riflessione su un possibile orientamento delle attività italiane di cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile. La genesi, i contenuti principali e i risultati dei progetti sono stati esaminati seguendo alcuni criteri di massima con lo scopo di individuare le iniziative di maggiore interesse. La griglia utilizzata per la selezione è articolata su quattro punti principali. 1. Carattere innovativo: iniziative che seguono approcci ancora poco esplorati o in fase di sperimentazione, introducono soluzioni originali, affrontano nuove tematiche, applicano tecniche e tecnologie alternative, coinvolgono settori economici e attori sociali non normalmente inseriti in attività pregresse, eccetera; 2. Valorizzazione di asset territoriali: iniziative che fanno leva sulle risorse/capitali (umano, sociale, culturale, naturale, finanziario, istituzionale) e su eccellenze e vocazioni della realtà locale che comprendono le caratteristiche economiche, le tecnologie, la creatività, il sistema formativo, il mondo della ricerca; 3. Partecipazione e collegamento sinergico fra attori e segmenti della/e comunità territoriale/i con sviluppo di capitale sociale territoriale e transnazionale: iniziative che hanno uno dei punti di forza e motori ideali nella partecipazione ampia e strutturata della comunità territoriale in un’ottica sistemica e seguendo una logica di moltiplicazione circolare di risorse ed energie, fondata sull’intensità degli scambi materiali e immateriali, la reciprocità degli interessi e degli obiettivi, anche e soprattutto nelle iniziative di partenariato territoriale fra due o più territori; 20 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 4. Possibilità di definire ambiti di riproducibilità e generalizzabilità, attraverso l’analisi delle precondizioni alla base del successo/insuccesso dei singoli meccanismi messi in campo dall’iniziativa: iniziative che rendono leggibile e analizzabile il nesso fra impatti e precondizioni di contesto che li hanno determinati (in termini di istituzioni, integrazione nel mercato, stabilità politica, geografia o altro) e consentono la valutazione della riproducibilità di singoli meccanismi in funzione di condizioni di contesto variabili. Le iniziative di maggiore interesse, raccolte in due short list, sono state approfondite attraverso un’analisi di materiali documentali e con interviste ad esperti e ai responsabili delle iniziative. Dalle short list sono infine state individuate sette iniziative realizzate sul territorio italiano e sette iniziative di cooperazione internazionale che sono state ulteriormente approfondite e discusse nel corso dei seminari territoriali a carattere interistituzionale realizzati a conclusione della fase dei lavori che, facendo seguito al seminario scientifico di Bologna realizzato nell’ambito del Green Social Festival e che ha permesso di raccogliere informazioni su alcuni casi di interesse nell’ambito della mappatura iniziale7 - si sono svolti a Potenza8, Torino9 e Capannori10. La selezione finale, effettuata previa consultazione con i team di lavoro coinvolti nelle altre attività del progetto, ha avuto come obiettivo primario quello di raccogliere una serie circoscritta di casi concreti – calati, cioè, in contesti operativi reali corredati da indicazioni sui loro effetti – in grado di contribuire a disegnare una mappa di tipologie complementari di strategie e strumenti d’intervento, rilevanti per consolidare l’orientamento a favore di politiche di cooperazione allo sviluppo territoriale sostenibile, anche in riferimento alle 7 track della GE e ai Rio markers. Non si tratta in alcun modo, dunque, di una valutazione delle iniziative, di una classifica generale o di una lista delle migliori iniziative, cosa impossibile del resto sulla base delle informazioni disponibili, quanto di mettere insieme una serie di spunti e pratiche che le suddette iniziative offrono, accentuando componenti, dimensioni e approcci che hanno carattere di complementarità e risultano funzionali all’obiettivo dell’iniziativa. Nella stessa ottica sono stati disegnati i summenzionati seminari territoriali a carattere inter-istituzionale, che hanno riunito attorno allo stesso tavolo di lavoro rappresentanti della cooperazione governativa (sia MAE che Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), della decentrata (Comuni, Province, Regioni), associazionismo, mondo universitario, mondo delle imprese, con lo scopo di proporre una discussione su una prospettiva di costruzione di un approccio di sistema alla cooperazione internazionale allo sviluppo fondata su sostenibilità e partenariato territoriale, individuando piste di lavoro per amplificare i risultati ottenuti sul territorio, creare le condizioni per un proficuo dialogo e mutuo apprendimento e conoscenza tra esperienze territoriali nazionali e di cooperazione allo sviluppo, e favorire la disseminazione dei fattori critici di successo dei progetti analizzati in altri contesti territoriali o in altri Paesi. 2.6 Alcune indicazioni ricavabili da 14 tessere di un (più) grande mosaico C’è, dunque, una buona dose di arbitrarietà nella selezione dei 7+7 casi d’interesse, in funzione della necessità di evitare la ridondanza e la sovra-rappresentazione di alcuni temi o ambiti settoriali e di alcuni attori - sia del pubblico che del privato - rispetto ad altri, dinanzi all’opportunità invece di valorizzare la complementarità tra i diversi ingredienti di una “ricetta italiana” dello sviluppo. I principi ordinatori sono, dunque, stati i criteri di selezione sopra indicati e lo sforzo di valorizzare diversi soggetti e attori dello sviluppo, differenti territori italiani ed esperienze in diversi continenti in via di sviluppo. Quando si discute di sostenibilità dello sviluppo, è possibile avviare una riflessione sulla governance delle risorse naturali da una prospettiva diversa, concentrando l’attenzione sulla dimensione locale. Il rapporto fra proprietà pubblica e privata dell’ambiente naturale si declina a livello locale in un delicato intrecciarsi di forze e dinamiche che comprendono la direzione e l’intensità dei flussi d’investimento per lo sviluppo, la produzione e gestione delle esternalità sia positive che negative dell’attività produttiva (i cui processi decisionali sono spesso 7 Seminario intitolato “Verso Rio+20: Cambia il clima, cambia l’agricoltura? Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici”, svolto il 2 maggio 2012. 8 Seminario su “Gestione sostenibile delle risorse idriche e prevenzione del dissesto idrogeologico”, promosso con la Provincia di Potenza e svolto il 12 marzo 2013. 9 Seminario su “Territori, comunità locali e partenariato internazionale per una produzione agricola ed un consumo sostenibili”, promosso con il Comune e la Provincia di Torino e svolto il 22 marzo 2013. 10 Seminario su “L’importanza della partecipazione per lo sviluppo sostenibile: modelli innovativi di gestione delle risorse naturali e dei cicli dei rifiuti “, promosso con il Comune di Capannori e svolto il 12 aprile 2013. Capitolo 2 21 completamente circoscritti alla sfera dell’imprenditoria privata), le modalità di fruizione, sfruttamento, conservazione e ripristino dei beni comuni ambientali. In tale intreccio le istituzioni locali, sia formali che informali, giocano da sempre un ruolo centrale che sta, tuttavia, mutando in alcuni casi anche molto rapidamente, sotto la pressione del processo di integrazione economica e culturale globale che in diversa misura interessa qualsiasi comunità locale. Se il cambiamento delle relazioni che stanno alla base della governance delle risorse, e di conseguenza anche dei modelli di sviluppo locale, comporta certamente rischi enormi quando si vanno a intaccare equilibri uomo-natura costruiti nel lunghissimo periodo, in molti altri casi - quando processi di sviluppo sono stati innescati da meccanismi con obiettivi limitati alla crescita della produzione o, peggio, dei soli profitti privati - l’integrazione dei processi di modifica della governance delle risorse naturali territoriali in una prospettiva globale può rappresentare una possibile via di uscita da circoli viziosi che autoalimentano il processo di degrado ambientale e di peggioramento della qualità della vita delle comunità. Inoltre, aspetto di rottura potenzialmente più importante, la messa in discussione del binomio obbligato pubblicoprivato, letto come un’alternativa tra privatizzazione e nazionalizzazione o una potenziale alleanza (il partenariato pubblico-privato, PPP), emerge con più evidenza proprio quando si pone al centro il tema ambientale, che fa irrompere nel dibattito la presenza della dimensione comunitaria. Non a caso, col termine di beni comuni (i commons in inglese) si fa solitamente riferimento all’ecosistema o alla biodiversità, intendendo quei beni necessari alla sopravvivenza, che più persone utilizzano, con possibili problemi di esclusione di alcuni individui dalla fruizione del bene e di rivalità (il consumo da parte di una persona riduce le possibilità di fruizione da parte degli altri). Sul piano locale, come cominciò a dimostrare circa trenta anni fa Elinor Ostrom, esistono esperienze concrete di comunità che riescono a raggiungere accordi sull’uso sostenibile nel tempo dei beni comuni, attraverso l’elaborazione di istituzioni che non sono riconducibili all’alternativa tra privatizzazione o gestione centralizzata. In altri termini, a livello locale ci sono dimostrazioni, fortemente contestualizzate, di modelli gestionali che evitano la cosiddetta “tragedia dei beni comuni”, che obbliga appunto a trovare soluzioni pubbliche o private, dettate dal principio d’autorità o di mercato. In questo quadro è possibile collocare la discussione sul ruolo della cooperazione internazionale, intesa in senso lato come relazione fra comunità nazionali e territoriali, nel promuovere l’innovazione dei processi e anche dei modelli di sviluppo e di integrazione internazionale delle economie locali. L’intensificarsi dei rapporti internazionali fra sistemi territoriali, se i processi e le azioni dei principali attori (pubblici, privati e comunitari) sono guidati da obiettivi di sostenibilità, possono rappresentare un elemento rilevante nell’orientare, o ri-orientare, i processi di sviluppo locale, inserendo nuove istanze - o dando forza a istanze presenti, ma deboli nel contesto locale - su temi cruciali quali quello della conservazione degli ecosistemi, ma anche dell’utilizzo equo delle risorse e della distribuzione dei benefici dello sviluppo. Temi come quelli dell’immaginare, condividere ed agire, fondati sull’apprendimento del vivere insieme, che per esempio sono al centro del progetto educativo dell’Università del Bene Comune nata a inizio degli anni Duemila, diventano centrali in una prospettiva di costruzione di senso del partenariato. La relazione fra dimensione locale e globale rappresenta uno dei nodi centrali del decisivo momento di transizione che molti sistemi locali italiani stanno affrontando. Momento che si caratterizza per l’intreccio fra le esigenze di rinnovamento e modernizzazione non solo tecnologica, le sfide collegate alle mutate condizioni del mercato globale, l’emergenza o il riacutizzarsi di problemi di coesione e inclusione sociale, e spinte sempre più forti per assicurare un’equa distribuzione anche intergenerazionale di benefici e oneri dello sviluppo, anche attraverso la conservazione dei capitali sociali e ambientali dei territori. La ricognizione realizzata nell’ambito delle attività previste da questa iniziativa ha mostrato segni interessanti di vitalità e capacità di reazione. L’analisi e la discussione delle esperienze italiane di promozione di sviluppo sostenibile, realizzate sia sul territorio italiano sia nell’ambito della cooperazione internazionale, ha fatto emergere un panorama ricco di sperimentazioni su diversi piani, da quello dell’innovazione a quello dell’evoluzione degli assi di sviluppo del capitale sociale. Diversi sono i motori di tale dinamismo: oltre alle imprese che sperimentano e realizzano nuovi prodotti e processi, spesso piccole e medie e frequentemente create ex-novo proprio per proporre novità eco-sostenibili, sono molte le istituzioni locali, dalle amministrazioni pubbliche, agli enti di ricerca, alle università, alle organizzazioni della società civile, che esplorano nuove vie per collegare lo sviluppo socioeconomico locale alla gestione sostenibile del territorio. La dimensione territoriale comporta, poi, spesso giocoforza, l’interrelazione fra attori locali e il palesarsi, in forma più o meno esplicita e consapevole, di una dimensione comunitaria. Sono numerose le esperienze che vedono allargare il perimetro delle iniziative a diversi segmenti della società, arricchendo il nucleo centrale degli obiettivi e delle pratiche con nuovi assi di sviluppo, iniziative ancillari e forme di spin-off. E il palesarsi di una dimensione comunitaria si caratterizza come uno degli ingredienti fondamentali per dare forza e sostenibilità alle iniziative. 22 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Anche lo spettro delle direzioni verso cui si orientano le iniziative appare estremamente variegato. In particolare, per quanto riguarda le azioni realizzate sul territorio italiano, si tratta per definizione di iniziative partite dal basso, al di fuori di un disegno complessivo e sulla base di spinte anche molto diverse fra loro. Non è raro intravedere contraddizioni fra i diversi approcci e obiettivi con possibilità di risultati addirittura in potenziale rotta di collisione. Il quadro appare estremamente sfaccettato anche per quanto riguarda campi d’azione e soluzioni esplorate. E, per questo aspetto, i due filoni delle iniziative realizzate sul territorio italiano e dalla cooperazione italiana allo sviluppo appaiono accomunati dalla ricchezza di spunti. Proprio la straordinaria abbondanza di casi ha comportato la necessità di circoscrivere lo stesso lavoro di analisi ad alcuni aspetti prioritari, attraverso la definizione della griglia dei criteri utilizzati per la lettura delle iniziative e la selezione di quelle da approfondire. Il ventaglio finale delle quattordici esperienze presentate e discusse nei seminari non ha, quindi, alcuna pretesa di essere esaustivo né rappresentativo della realtà nazionale. Si tratta piuttosto di un tentativo di mettere a fuoco attraverso concrete realizzazioni alcuni costituenti della considerevole materia in movimento, che, appunto, l’analisi ha evidenziato per il loro particolare valore emblematico e potenzialità. Nelle pagine che seguono sono sinteticamente presentate le esperienze selezionate. Si tratta di iniziative alquanto diversificate, avviate e sviluppate in contesti completamente diversi, da gruppi di attori eterogenei e sulla base di spinte non assimilabili, e con risorse umane, finanziarie e di expertise non equiparabili. Proprio l’elevata disomogeneità ha, tuttavia, permesso di far affiorare uno spettro – seppur non esaustivo – di potenzialità più o meno latenti, insieme a una serie di piste di sviluppo per la riflessione su possibili risposte (italiane) all’esigenza di rinnovare l’approccio e le modalità della cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda le esperienze maturate sul territorio italiano, è sicuramente di grande interesse considerare le diverse costellazioni di ruoli assunti dagli attori coinvolti, che spesso vedono piccole e medie imprese farsi promotrici di sperimentazione o attivi partner di processi avviati in collaborazione con enti di ricerca, pubbliche amministrazioni o organizzazioni della società civile. Un esame dei livelli di coinvolgimento dei diversi attori, classificati secondo la definizione dei cosiddetti Major groups proposta nell’Agenda 21 approvata a Rio de Janeiro nel 1992, mostra un quadro notevolmente variegato. In quasi tutte le iniziative selezionate emerge un ruolo centrale per la Pubblica amministrazione, il tessuto economico locale ed espressioni della società civile locale. In alcuni casi, è sensibile il coinvolgimento della popolazione locale nella sua accezione comunitaria, in cui cioè vengono sottolineati e valorizzati beni relazionali ed elementi che richiamano al legame fra solidarietà, identità e cultura locale. In ogni caso, anche la partecipazione dei diversi attori si esplica con modalità differenti da caso a caso, con una grande articolazione di modelli di relazione fra attori. È il caso, ad esempio, delle aggregazioni di imprese, con distretti che autonomamente esplorano percorsi di riqualificazione ecocompatibile oppure sviluppano innovazioni in partenariato con la Pubblica amministrazione locale e gli enti di ricerca territoriali. Anche il coinvolgimento del mondo della ricerca scientifica e tecnologica, così come succede per le espressioni della società civile locale, si esprime con formule differenziate: da semplice sostenitore o neutro fiancheggiatore a guida e facilitatore di processi a vero e proprio motore di innovazione e di cambiamento culturale. Fig. 7 - Il mosaico degli attori coinvolti nelle 7 iniziative realizzate in Italia autorità locali donne imprenditori ricercatori comunità contadini giovani autorità ricercatori imprenditori autorità locali ricercatori imprenditori locali Capannori autorità locali MOLTO ABBASTANZA Habitech Cuoio Depur ricercatori imprenditori contadini donne comunità autorità ONG comunità Contratti di fiume contadini imprenditori autorità comunità comunità locali locali Edilana Foresta modello Capitolo 2 BioPiace 23 Il profilo tematico delle iniziative risulta variegato. In tutti i casi che sono stati approfonditi, ci si trova di fronte ad approcci integrati al tema della gestione delle risorse e dello sviluppo sostenibile, con focus o elementi prioritari che riguardano tutti i macrosettori economici e, con eccezione del tema dell’adattamento al cambiamento climatico, tutti i macrotemi utilizzati per la classificazione delle iniziative mappate. Fig. 8 - Il quadro tematico delle 7 iniziative realizzate in Italia RISORSE IDRICHE ADATTAMENTO A CC AGRICOLTURA BIODIVERSITA’ Capannori CICLO RIFIUTI EDILIZIA MANIFATTURA Habitech Contratti di fiume Cuoio Depur MITIGAZIONE CC RINNOVABILI SUOLO E FORESTE BioPiace Foresta modello Edilana TRASPORTI TURISMO Per quanto riguarda le esperienze di cooperazione internazionale approfondite negli studi di caso, si riscontra una notevole varietà di approcci e una buona parte delle tematiche considerate. Per quanto riguarda il coinvolgimento degli attori, alcuni dei Major groups compaiono in buona parte delle esperienze. È il caso dei contadini, degli imprenditori (che nella maggior parte dei casi appartengono alla piccola imprenditorialità) e delle autorità locali, a testimonianza della notevole attenzione alla dimensione territoriale anche nel caso degli interventi di cooperazione internazionale allo sviluppo. Il coinvolgimento delle comunità locali e indigene, così come dei gruppi di donne, emerge come una componente importante di molte iniziative. Sono, al contrario, assenti le forze sindacali che, come nel caso delle esperienze interessanti selezionate fra quelle realizzate in Italia, non entrano se non debolmente nei processi di promozione di sviluppo sostenibile. Si tratta certamente di un aspetto su cui riflettere, anche alla luce delle potenzialità che si possono intravvedere all’interno di uno scenario di sviluppo della GE in termini di coniugazione di obiettivi di crescita della coesione sociale e della partecipazione dei lavoratori attraverso lo sviluppo e la riconversione del tessuto produttivo nel rispetto dell’ambiente, come pure della crescente attenzione che si riscontra al livello dei documenti strategici sindacali sul tema. Fig. 9 - Il mosaico degli attori coinvolti nelle sette iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana autorità locali imprenditori donne contadini ONG giovani autorità contadini ricercatori locali Grani andini comunità donne ONG ricercatori ricercatori Salinità in Iraq 4cities4dev MOLTO ABBASTANZA imprenditori ricercatori autorità comunità ONG contadini locali RISMED APQ contadini ricercatori autorità locali comunità autorità ricercatoricontadiniimprenditori donne ONG ONG imprenditori donne giovani locali Amazzonia senza fuoco 24 LVIA Senegal L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile SIDS EESLI I sette casi comprendono esperienze realizzate sia in ambito urbano che rurale con il settore agricolo in buona evidenza, spesso in collegamento con tematiche quali la conservazione dei suoli, la lotta alla desertificazione, la gestione delle risorse idriche e la conservazione e ripristino della biodiversità, che comprende anche l’ambito delle specie coltivabili sviluppate dal lavoro umano. Non mancano i progetti che coinvolgono in modo integrato più di uno dei macrosettori economici e, nel complesso, tutte le tematiche presenti nella griglia - comprese la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’edilizia ecocompatibile, il trasporto pulito e la gestione dei cicli dei rifiuti - risultano prese in considerazione, così come di riflesso i temi dell’adattamento al cambiamento climatico e soprattutto della sua mitigazione. Fig. 10 - Il quadro tematico delle sette iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana RISORSE IDRICHE ADATTAMENTO A CC AGRICOLTURA BIODIVERSITA’ Grani andini CICLO RIFIUTI EDILIZIA MANIFATTURA Salinità in Iraq RISMED APQ 4cities4dev MITIGAZIONE CC RINNOVABILI SUOLO E FORESTE Amazzonia senza fuoco LVIA Senegal SIDS EESLI TRASPORTI TURISMO Due considerazioni, tra le tante possibili, meritano infine una certa attenzione. La trasversalità delle questioni di genere riaffiora come fondamentale in gran parte delle iniziative considerate, esplicata o meno che sia all’interno delle stesse: se l’approccio allo sviluppo in chiave di sostenibilità ambientale significa ragionare in termini più olistici, di interazione tra economia, ecosistemi e società ponendo al centro le comunità nelle loro articolazioni e in relazione all’ambiente naturale, ciò significa porre al centro delle iniziative anzitutto il cambiamento delle relazioni di potere, la negoziazione degli interessi, l’esercizio dei diritti, il rafforzamento della capacità di resilienza dei gruppi più vulnerabili. Si tratta di intendere lo sviluppo come il processo emergente di sistemi adattivi complessi, non di singoli componenti, e di accompagnare e orientare l’evoluzione e l’adattamento, promuovendo innovazione e cambiamento nei rapporti di forza in campo. Una nuova governance a livello locale deve essere in grado anzitutto di includere nei processi decisionali, oltre ai diversi attori sociali, la loro ulteriore articolazione in genere; e questo significa fare realmente del gender mainstreaming un’azione politica in tutti i settori e a tutti i livelli, come nel caso dei diversi macro-settori e temi presi qui in considerazione e all’interno delle stratificazioni presenti in ciascuno dei Major groups considerati. Significa anche cogliere in questa accezione l’opportunità offerta dalle innovazioni - anche in termini di curricula professionali e competenze - che la GE potrà comportare. Al focus sulla conservazione dell’ambiente in relazione ai diritti degli individui si aggiunge sempre quello relativo alle comunità e ai gruppi al loro interno: donne, bambini, anziani, gruppi etnici, religiosi, popolazioni indigene, migranti o altre minoranze. Una seconda sfida importante, che sollecita un cambiamento probabilmente maggiore rispetto al riconoscimento della trasversalità delle questioni di genere, ha a che vedere con la riconsiderazione dell’importanza della cultura e del tema del Cultural heritage che, in chiave settoriale, distinto nettamente da tutti gli altri, ha caratterizzato spesso la realtà della cooperazione allo sviluppo, come anche delle politiche nazionali di sviluppo. Ciò ha significato, in concreto, una marginalizzazione del tema all’interno dell’agenda sullo sviluppo sostenibile. Tuttavia, il cambiamento di paradigma cioè, di struttura d’assunzioni generali - che il principio di sostenibilità ambientale può comportare implica anzitutto una centralità di quella che Paulo Freire definiva la “coscientizzazione”, cioè la consapevolezza del contesto socio-culturale condizionante e della capacità di trasformazione della realtà stessa agendo su di essa. Si tratta perciò di un cammino anzitutto culturale, laddove l’azione e la riflessione avvengono simultaneamente, un cammino che si potrebbe definire di empowerment profondo. In effetti, il tema dello sviluppo sostenibile è spesso associato a una ridefinizione dei valori fondanti, condizione necessaria per un cambiamento delle pratiche di produzione e consumo; eppure c’è il rischio di intendere ancora oggi il campo culturale come un ambito settoriale distinto, dedicato alla conservazione di tipo museale, intendendola in modo riduttivo come preservazione di un patrimonio cristallizzato. Lo sviluppo è anzitutto storia, movimento, la conservazione come principio ecologico si collega alla natura dinamica degli equilibri; allo stesso Capitolo 2 25 modo le culture sono vive e in movimento. Educazione, informazione, sensibilizzazione, coscientizzazione e dialogo sulla sostenibilità ambientale sono sempre, consapevolmente o meno, parte integrante delle pratiche di sviluppo. La cooperazione allo sviluppo non deve dimenticare che lo sviluppo è un processo definito culturalmente, in cui gli obiettivi non possono essere formulati dall’esterno dei contesti di intervento, ma sono - consapevolmente o meno - interiorizzati; l’approccio allo sviluppo definito territorialmente e intessuto della dimensione culturale rientra tra le tracce per orientare il lavoro della cooperazione italiana allo sviluppo internazionale, valorizzando le vocazioni e le specificità che l’Italia può vantare in materia. 26 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Capitolo 3 3.1 Consorzio Cuoio Depur – Distretto conciario di Ponte a Egola e San Miniato 3.2 L’utilizzo della lana in bioedilizia: da Edilana a Casa Verde CO2.0 3.3 Il Distretto Tecnologico Trentino del Consorzio Habitech 3.4 Sostenibilità e partecipazione. Il Comune di Capannori 3.5 La riqualificazione dei bacini fluviali: i “contratti di fiume” Lambro-Seveso-Olona 3.6 Progetto Foresta modello delle Montagne fiorentine 3.7 BioPiace, Consorzio Produttori Biologici Piacentini Capitolo 3 27 3.1 Consorzio Cuoio Depur – Distretto conciario di Ponte a Egola e San Miniato : distretto produttivo KEYWORD : rifiuti/risorse idriche TEMA : ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : prodotto + processo INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.consorzioconciatori.it, http://www.osservatoriodistretti.org A. Mazzali e M. Zupi (2009), Prove di dialogo tra territori. La responsabilità sociale e ambientale a livello internazionale delle piccole imprese, CeSPI, Roma. Di cosa si tratta Le caratteristiche del distretto Il distretto conciario di Ponte a Egola costituisce una porzione rilevante del più grande e articolato distretto toscano della pelle che si espande fra Firenze e Pisa sul territorio di cinque comuni rivieraschi dell’Arno. Si tratta di un’aggregazione di circa 400 imprese conciarie a cui si aggiungono circa 500 aziende che lavorano come contoterzisti, per un totale di circa 10 mila addetti su un territorio la cui popolazione complessiva non arriva ai 95 mila abitanti. Il distretto, che fattura annualmente circa due miliardi di euro, produce ogni anno 65 milioni di metri quadrati di pellame lavorato e 53 mila tonnellate di cuoio da suola che corrispondono rispettivamente a più di un terzo e alla quasi totalità (98%) della produzione nazionale. L’orientamento all’esportazione è significativo, con circa il 40% della produzione destinato ai mercati esteri, di cui la metà acquistata da clientela europea. I canali internazionali sono prevalenti anche per l’approvvigionamento di materie prime. Dai macelli italiani proviene solo il 15% del totale delle pelli grezze, mentre il resto viene acquistato all’estero e soprattutto nell’Est Europa, che da sola fornisce tre quarti del totale della materia prima. La struttura dei rapporti fra le imprese corrisponde alla definizione corrente di distretto produttivo, formato da piccole aziende artigiane con una media di 12 addetti ognuna, strettamente collegate in una rete che segue le linee della filiera, quelle della produzione affidata a imprese contoterziste e la cooperazione flessibile fra imprese omologhe per affrontare problemi e sfide specifiche. La consuetudine al rapporto economico, in questo come in molti altri casi, si unisce nel distretto alla condivisione di valori e alla frequenza dell’interrelazione personale e familiare che derivano dall’appartenenza alla stessa comunità. L’intrecciarsi delle dinamiche relazionali alimenta l’accumulazione di capitale sociale che, nel caso dei distretti, rappresenta un fattore di grande importanza per la competitività aumentando la circolazione e la diffusione delle conoscenze e delle innovazioni e la capacità di risposta rapida ed efficace alle esigenze di mercato. Il Consorzio Conciatori Nel caso di San Miniato e di Ponte a Egola, la rete di imprese si è dotata di un’interfaccia istituzionale dando vita nel 1967 al Consorzio Conciatori. L’organismo, che raccoglie circa cento concerie della riva sinistra dell’Arno prevalentemente produttrici di cuoio da suola, agisce parallelamente all’Associazione Conciatori di Santa Croce cui aderiscono le circa 300 imprese conciarie localizzate sulla riva opposta del fiume. Il Consorzio ha svolto una funzione vitale per il distretto, consentendo alle aziende conciarie di gestire un momento cruciale del loro sviluppo quando, nel momento di massima crescita, si è dovuto affrontare la questione del delicato rapporto con il territorio, sia dal punto di vista della collocazione degli spazi di espansione delle attività, sia da quello dell’impatto ambientale dell’attività industriale. La costituzione quale attore territoriale dell’insieme delle imprese ha 28 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile consentito un dialogo articolato e proficuo fra pubblica amministrazione e distretto che, in questo modo, ha avuto un ruolo nella pianificazione urbanistica che ha accompagnato la modernizzazione delle attività conciarie e il loro trasferimento in nuove aree industriali. Il Consorzio e l’ambiente La capacità di azione coesa da parte delle imprese è risultata particolarmente efficace nella gestione delle problematiche ambientali legate all’industria conciaria. L’impatto sull’ambiente della lavorazione delle pelli è rilevante, sia per l’utilizzo d’ingenti quantitativi di acqua dolce, stimati in circa 15-30 metri cubi di acqua per tonnellata di prodotto finito, sia per la produzione di notevoli quantità di rifiuti, che comprendono le acque reflue e gli scarti di lavorazione, corrispondenti anche al 70% dei volumi di materia prima utilizzata. La grande espansione del distretto avvenuta negli anni Sessanta e Settanta si è accompagnata alla ricollocazione delle attività in nuove aree esterne alle zone residenziali e alle contemporanee iniziative volte a far fronte alla domanda di disinquinamento del territorio, sempre più sottoposto alla pressione della crescente attività conciaria. La costruzione di impianti di depurazione centralizzati, altamente avanzati dal punto di vista tecnologico, e l’istituzione di sistemi di tariffazione premianti per le aziende meno inquinanti ha collocato il distretto toscano in una posizione di leadership internazionale per la gestione dell’impatto ambientale delle attività. Il Consorzio Cuoio-Depur e le innovazioni nel trattamento dei fanghi La realizzazione e gestione degli impianti di trattamento degli scarichi prodotti dalle aziende del distretto di Ponte a Egola e San Miniato è stata affidata nel 1980 al Consorzio Cuoio-Depur Spa, finanziato dalle imprese. Nel 1985 il Consorzio è stato trasformato in consorzio misto pubblico-privato, a maggioranza privata, e con la partecipazione delle amministrazioni comunali di San Miniato e Montopoli Val D’Arno ha iniziato a gestire in concessione il servizio pubblico di raccolta e depurazione degli scarichi residenziali. Mediamente, il sistema depura ogni giorno 6 mila metri cubi di scarichi industriali e 3.500 metri cubi di acque nere urbane per un carico organico complessivo stimato in 800 mila abitanti equivalenti. Con un investimento di circa 50 miliardi di euro, l’impianto è stato costruito sulla base dei risultati di alcune ricerche pilota e con una tecnologia particolarmente avanzata che ne fa un punto di riferimento nel settore. Il controllo informatizzato consente il monitoraggio costante e in tempo reale dei liquami scaricati e della qualità delle acque restituite, aumentando sensibilmente il rendimento degli impianti che abbattono circa il 98% del carico inquinante, tanto da creare un differenziale positivo fra la qualità delle acque dell’Arno a valle e a monte del distretto. Un’innovazione di grande importanza riguarda il trattamento dei fanghi che, grazie a processi pilota studiati e sperimentati in collaborazione con l’Università Cattolica di Piacenza, con il CNR e l’Università di Pisa, vengono essiccati, stabilizzati e trasformati in prodotti riutilizzabili nella produzione di laterizi e nella preparazione di fertilizzanti organici. L’integrazione con la filiera agroindustriale è una grande opportunità per l’abbattimento dei costi ambientali. I fanghi disidratati uniti a pelli e crini di scarto sono lavorati per la produzione di concimi azotati, riconosciuti e inseriti nell’elenco dei fertilizzanti allegato alla Legge 217/2006. Con l’introduzione di questa innovazione i costi di smaltimento dei fanghi sono stati ridotti drasticamente (sono passati da più di 3,1 euro a metro cubo nel 1999 a 0,75 euro a metro cubo nel 2006) e si sono create opportunità di sviluppo ulteriore sia dal punto di vista dell’ottimizzazione dei processi sia da quello del rapporto con l’agroindustria. Gli aspetti interessanti Le particolarità dei distretti: capitale sociale e legame con il territorio Un elemento di grande interesse che emerge dall’esame del caso del Consorzio Cuoio Depur è il ruolo giocato nella genesi e nella realizzazione dell’esperienza dal particolare rapporto fra imprese e fra queste e il territorio d’insediamento – o meglio di appartenenza – che si sviluppa nel caso dei distretti produttivi. I distretti produttivi costituiscono una realtà di grande importanza per l’economia italiana, dove circa il 95% della struttura industriale è formato da piccole imprese che impiegano meno di dieci dipendenti. La produzione a rete consente di realizzare economie di scala, che incidono in particolare sulle fasi di apprendimento e di innovazione di processo. Inoltre, rispetto ai modelli produttivi che concentrano l’attività su una singola grande impresa, viene sensibilmente ridotta l’incidenza dei costi fissi, per cui la struttura dei costi si presenta più flessibile con riflessi positivi sul rischio operativo. Il successo dei distretti è basato, oltre che sulle abilità produttive e commerciali, anche su sistemi di relazioni tesi a sfruttare creativamente le risorse materiali ed immateriali disponibili. Una delle principali particolarità è lo stretto rapporto con il territorio e la comunità che si realizza in presenza di un’attività economica pervasiva e capillarmente saldata alla struttura sociale territoriale. Un rapporto che comporta anche una sovrapposizione significativa fra forza lavoro - in buona parte costituita da lavoratori autonomi e dagli stessi piccoli e medi imprenditori – e popolazione locale. Capitolo 3 29 Una “fisiologica” responsabilità sociale e ambientale Questo rende fisiologica l’assunzione di forme di responsabilità sociale e ambientale (Corporate Social Responsibility - CSR) da parte del ceto imprenditoriale che è parte integrante della comunità locale e che, pertanto, attraverso l’attenzione all’impatto delle esternalità dell’attività produttiva preserva il proprio stesso ambiente sociale e naturale e la propria qualità della vita e contemporaneamente incrementa il capitale sociale e i beni relazionali che utilizza per sfruttare i vantaggi dell’inserimento nella struttura a distretto. La centralità del distretto come soggetto, dove all’aggregazione organizzata di imprese si associa la loro relazione con le istituzioni e gli altri attori sociali locali, è l’elemento portante dell’esperienza. Il legame molto stretto fra tessuto produttivo, territorio e comunità, in questo caso, è stato costruito sul nodo centrale della qualità ambientale del territorio e sulla gestione delle risorse naturali (idriche), la cui preservazione è interesse comune di imprenditori, lavoratori e popolazione. Si tratta cioè di un caso di declinazione del concetto di responsabilità sociale non guidato da esigenze di marketing per i prodotti. Il fine primario non è cioè di creare un’opportunità di comunicazione rivolta ai consumatori e l’eventuale vantaggio competitivo derivante dalla visibilità della CSR rimane un sottoprodotto dell’iniziativa. Invece, il fattore motivazionale primario risulta chiaramente legato alla natura del distretto e ai fattori che ne determinano il successo. Il collegamento con comunità e territorio, su cui si basano il capitale culturale (anche nel senso di patrimonio di competenze) e il capitale sociale dell’azienda, si mantiene e si sviluppa solo se non si incrina, anzi se si rafforza il legame sociale fra impresa e comunità attraverso la responsabilizzazione sociale dell’attività economica locale e l’azione comune per la gestione delle sue esternalità negative. Le innovazioni sono anche il frutto delle relazioni fra imprese e gli altri attori del territorio Inoltre, l’azione per la soluzione dei problemi ambientali collegati con lo sviluppo delle attività produttive intreccia energie e creatività dell’intera comunità, allargando il raggio degli attori coinvolti nella ricerca di soluzioni innovative, e mette in contatto il cerchio più stretto, formato dal segmento di economia e società locale che fa capo all’attività delle concerie, con cerchi più ampi che comprendono le espressioni della società civile che si occupano di ambiente, il comparto agricolo e agroindustriale, i diversi livelli istituzionali e, soprattutto, il mondo della ricerca scientifica e tecnologica. L’aspetto altamente innovativo delle scelte operate è un ulteriore elemento d’interesse dell’esperienza. La scelta di sfruttare la specificità del sotto-distretto del cuoio per sviluppare un modello pilota di gestione dei rifiuti è un punto di forza che qualifica l’iniziativa e la rende interessante per casi omologhi dal punto di vista industriale, ma anche come modello per altre situazioni, diverse per settore, ma dove alcuni elementi specifici del processo industriale - come in questo caso è stato per la prevalenza di concia vegetale – rendono possibile la ricerca e l’elaborazione di vie alternative e innovative per la gestione delle esternalità ambientali. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Le potenzialità di sviluppo del rapporto fra internazionalizzazione dei sistemi economici locali e cooperazione decentrata L’esperienza Cuoio Depur, evidenziando gli elementi peculiari dell’assunzione di responsabilità sociale e ambientale delle piccole imprese quando sono inserite in un distretto produttivo, rappresenta un’ottima base per la riflessione sulle possibilità di rapporto fra diffusione di CSR a livello territoriale, internazionalizzazione dell’economia locale e cooperazione decentrata per lo sviluppo sostenibile. Un rapporto ancora decisamente poco sviluppato, ma che proprio nel sistema Italia, per le caratteristiche proprie del Paese, ha elevatissime potenzialità. Come accennato nel capitolo precedente, la responsabilizzazione delle PMI, e non solo nel caso di quelle inserite in distretti, è spesso guidata da meccanismi spontanei che dipendono dallo stretto rapporto fra il piccolo imprenditore e la sua comunità con cui condivide valori, aspettative e anche esigenze. L’interesse per un ambiente pulito, ma anche per un ambiente sociale coeso, rientrano fra queste esigenze e la comunità di appartenenza e radicamento dell’impresa rappresenta per l’impresa l’unico ambito dove ricercare gli stakeholder verso cui si sente responsabile e applica le politiche di CSR. Tuttavia, soprattutto quando i distretti produttivi iniziano a guardare all’estero non solo in un’ottica prettamente commerciale, ma allargando l’orizzonte strategico ad uno spettro più ampio di opportunità di internazionalizzazione, anche il ruolo delle imprese diventa un possibile importante tassello per la promozione di sviluppo sostenibile attraverso la cooperazione internazionale. La sfida della formazione di un capitale sociale transnazionale fra territori lontani Quando i sistemi economici territoriali entrano in relazione con territori lontani, le imprese - e, per effetto dello stretto legame che le unisce, anche le comunità locali dove queste sono radicate - sono chiamate a confrontarsi con nuovi stakeholder. Il rapporto fra l’internazionalizzazione dei tessuti produttivi locali, la loro responsabilizzazione sociale e ambientale e il rapporto che si instaura fra gli stakeholder dei territori che entrano in relazione è un nodo di grande interesse per la costruzione di nuovi modelli di cooperazione internazionale su base territoriale orientati alla promozione dello sviluppo sostenibile. 30 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Iniziative come quella del Consorzio Cuoio Depur, che partono dall’interno del tessuto comunitario e sono orientate al miglioramento dell’ambiente e alla promozione di sviluppo sostenibile, possono costituire una base molto interessante per lavorare alla costruzione di partenariati territoriali internazionali. Lo sviluppo non è certamente lineare e rimangono aperte questioni di grande importanza, sia quando le spinte provengono dal mondo delle imprese che si proietta al di fuori dei confini nazionali con processi avanzati di internazionalizzazione, sia quando sono altri attori locali (PA, ONG, Università, ecc.) che attivano processi di internazionalizzazione del territorio. Si pensi alla necessità per le imprese di mantenere vantaggi competitivi maturati attraverso l’accumulo di know how che la collaborazione allo sviluppo di altri tessuti produttivi potrebbe mettere in gioco. In tutti i casi, è importante che l’interazione fra stakeholder mantenga un ruolo primario nel processo anche quando la leva della condivisione di valori e obiettivi basata sulle comuni radici territoriali viene meno per effetto della proiezione internazionale. Solo se si creano le condizioni per la costituzione di veri partenariati fra territori e comunità che vanno al di là del semplice rapporto economico fra imprese (che può diventare anche fattore di involuzione, come ad esempio nei casi di mera delocalizzazione produttiva), la tensione verso la responsabilizzazione dell’economia si arricchisce con il processo di internazionalizzazione e le esperienze di sviluppo locale sostenibile diventano la base della costituzione di un partenariato che intreccia rapporti fra tutte le componenti delle due (o più) comunità. Il ruolo degli stakeholders esterni alle imprese In questo processo, giocano un ruolo essenziale i soggetti pubblici e la società civile locali dei due territori che sono chiamati a costruire nuove ed efficaci forme di comunicazione in grado di far crescere il capitale sociale che diventa così transnazionale. Oltre all’apporto di risorse e capacità organizzative, nel caso dell’inclusione di stakeholder lontani nel processo di allargamento della CSR ai temi dell’internazionalizzazione, la pubblica amministrazione locale ha la possibilità di valorizzare patrimoni relazionali creati in altri ambiti della sua attività come la cooperazione decentrata, la partecipazione a iniziative internazionali fra istituzioni sub-nazionali, le attività di integrazione delle comunità migranti ed i rapporti istituzionali con i loro Paesi di origine. Le soluzioni innovative e la riproducibilità nelle aree in via di sviluppo Un secondo punto interessante è più strettamente legato alle soluzioni innovative sviluppate che prefigurano possibilità di adattamento e riproduzione in altri contesti geografici. L’industria della concia è altamente diffusa nei PVS, dove il modello di sviluppo del settore presenta spesso caratteristiche che in parte si avvicinano alla formula del distretto formato da molteplici piccole e piccolissime unità produttive. Oltre ai Paesi emergenti, con in testa Cina, India, Brasile e Messico, sono molti i PVS a medio reddito e anche poveri che esportano grandi quantità di pellame grezzo e registrano livelli produttivi non trascurabili di pellame conciato, com’è il caso di Marocco, Egitto, Sudan, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Tanzania, solo per citare alcuni esempi africani. I livelli di contenimento dell’impatto ambientale sono nella gran parte dei casi minimi, con gravi conseguenze per la popolazione che vive a stretto contatto con gli impianti di lavorazione. La cooperazione internazionale può in questi casi apportare contributi determinanti per avviare percorsi di risanamento e sviluppo sostenibile; e la formula della cooperazione fra territori rappresenta un percorso con evidenti vantaggi, in particolare se il partenariato mette in relazione tessuti produttivi che hanno caratteristiche comuni e affrontano problemi simili. Il know how sviluppato con l’esperienza del Consorzio Cuoio Depur è un patrimonio di grande valore con elevate potenzialità sotto il profilo della sua proiezione in iniziative di sviluppo sostenibile, sia nel campo delle tecniche di concia vegetale a minore impatto, sia come esempio di gestione del ciclo dei rifiuti e delle acque, sia per gli elementi innovativi che permettono il riciclo dei materiali di scarto, sia, e non ultimo, per l’approccio che abbraccia l’intero sistema territoriale coinvolgendo il tessuto delle imprese, le istituzioni e la comunità in un disegno complessivo che affronta il tema del miglioramento delle condizioni delle risorse idriche e più in generale dell’intero ambiente locale. Capitolo 3 31 3.2 L’utilizzo della lana in bioedilizia: da Edilana a Casa Verde CO2.0 : materie prime rinnovabili KEYWORD : agricoltura/emissioni/rifiuti/risorse idriche/uso del suolo/prevenzione dissesto/biodiversità TEMA : ricercatori scientifici + imprenditori + comunità + donne + contadini MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : prodotto + processo + approccio INNOVAZIONE Per approfondire: http://danielevita.idra.it/la-casa-verde-co2-0-2/; www.edilana.com Di cosa si tratta L’idea Casa Verde CO2.0 è una rete di produttori e distributori di materiali per l’edilizia e l’arredamento realizzati con materie prime rinnovabili prodotte da agricoltori, apicoltori e allevatori operanti sugli stessi territori di sviluppo delle iniziative imprenditoriali. Il progetto è nato a partire dall’esperienza realizzata nel comune di Guspini dall’azienda Edilana che nel 2008 ha iniziato a commercializzare isolanti per l’edilizia prodotti esclusivamente con lana sarda e altri prodotti elaborati a partire da eccedenze agricole. La lana prodotta dalle varietà di pecore allevate in Sardegna non è adatta alla tessitura e viene pertanto commercializzata solo in minima parte (soprattutto per la produzione dei tappeti sardi) e per il resto viene smaltita come rifiuto. Le sue caratteristiche morfologiche ne fanno, invece, una materia prima particolarmente adatta per la produzione di isolanti termoacustici per l’edilizia. L’intuizione alla base dell’esperienza di Edilana, nata dalle attività di scambio di conoscenze all’interno della Banca del Tempo locale, considera la particolare ruvidezza della lana sarda che aumenta la superficie delle fibre che trattengono una maggiore quantità di aria accrescendo la capacità d’isolamento termico. Un prodotto con grandi potenzialità In collaborazione con una piccola azienda tessile sarda è stata avviata la fase sperimentale arrivando a produrre materiali isolanti con caratteristiche qualitative molto particolari, certificate da test di laboratorio. Un primo dato di grande interesse riguarda la capacità di coibentazione termica e acustica, che risulta molto superiore a quella dei materiali di derivazione chimica. Inoltre, l’elevata capacità igroscopica della lana, che può assorbire vapore acqueo fino ad un terzo del suo peso senza risultare bagnata per poi cedere lentamente l’acqua assorbita, permette la regolazione naturale dell’umidità dell’ambiente ed evita fenomeni di formazione di condensa sulle superfici. Allo stesso tempo, la lana possiede un elevato potere ignifugo (la combustione avviene ad una temperatura di 660 °C), è autoestinguente, carbonizza velocemente e non trasmette la fiamma, sviluppa poco calore e poco fumo. Le fibre, infine, grazie alla struttura fortemente proteica, non sono attaccabili dalle muffe, sono un battericida naturale, non attirano e non accumulano polvere per la ridotta elettricità statica, non producono fibre e particelle respirabili o inalabili e naturalmente, non contenendo solventi, resine o altri prodotti sintetici, non rilasciano negli ambienti domestici composti volatili dannosi e presentano, al contrario, capacità notevoli di assorbimento di gas inquinanti e polveri sottili. La certificazione delle eccellenti prestazioni dei materiali prodotti è stata al centro della strategia commerciale che ha puntato sulla documentazione dei dati tecnici, evitando la possibile etichettatura come prodotto di bioedilizia che comporta il rischio della marginalizzazione in una nicchia di mercato. I buoni risultati di vendite hanno permesso già dal primo anno di realizzare utili che sono stati reinvestiti in attività di promozione, fra cui soprattutto l’organizzazione di seminari tecnici di formazione per i progettisti. Nel secondo anno dalla nascita di Edilana è stato creato un marchio 32 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile parallelo per il mercato francese, con materia prima ricavata in Corsica. L’espansione della domanda è stata anche aiutata dai numerosi premi ottenuti dall’azienda e dall’interesse del mondo accademico che ha permesso tra l’altro l’inserimento di pannelli fonoassorbenti Edilana nei progetti dell’Expo 2015. Lo sviluppo delle altre linee di prodotti Alla produzione di isolanti per l’edilizia si sono aggiunte varie altre linee di prodotti. Fra queste, i pacciamanti per l’agricoltura (coperture del terreno attorno alla pianta) in lana di pecora che possono essere usati su più cicli produttivi, in alternativa a quelli in plastica “usa e getta” normalmente usati che costituiscono il 40% della plastica utilizzata globalmente in agricoltura. Rispetto a questi ultimi, i prodotti ricavati dalla lana hanno ottime prestazioni dal punto di vista dell’isolamento delle coltivazioni sensibili agli stress termici, mentre le sostanze naturali della lana proteggono da agenti patogeni e riducono l’uso di fitofarmaci. I vantaggi ambientali sono notevoli e vanno dalle minori emissioni di CO2 per la fabbricazione e lo smaltimento, all’eliminazione completa della produzione di rifiuti perché i materiali a fine ciclo possono venire interrati e biodegradati con funzione antierosione, di fertilizzante a lenta cessione e di protezione delle piante da diversi agenti patogeni vegetali. Una numerosa gamma di articoli - fra cui: fibre, mordenti, coloranti, leganti, adesivi, resine, emulsionanti, olii vegetali, additivi naturali per intonaci e vernici - è stata poi sviluppata a partire da circa 300 ingredienti naturali che comprendono altre eccedenze provenienti dalla lavorazione del formaggio, del vino, dell’olio, del miele, della lana, dall’attività di giardinaggio e orticoltura e dall’utilizzo di materiali naturali come terra cruda, pigmenti terrosi, argille, e calcarei. Le novità di un ambizioso progetto imprenditoriale Caratteristica del progetto imprenditoriale sono alcuni orientamenti molto definiti che comprendono l’utilizzo di materie prime di origine agricola e reperibili sul territorio di insediamento delle aziende secondo il principio della filiera a Km0 (chilometro zero). Le tecniche a freddo utilizzate per la produzione della maggior parte dei prodotti sono anch’esse frutto di una scelta tecnologica che privilegia formule a emissione zero e senza utilizzo di combustibili fossili, così come viene minimizzato l’utilizzo di acqua sia nelle lavorazioni sia come contenuto dei prodotti finali, com’è il caso delle vernici, che in questo modo hanno una resa quasi quadrupla rispetto alla media in termini di superficie coperta a parità di peso di prodotto. La riduzione dei volumi risponde anche alla volontà di limitare l’uso di imballaggi e l’impatto ambientale dei trasporti. Anche le tecniche di coltura e allevamento utilizzate per la produzione delle materie prime costituiscono oggetto di grande attenzione per il modello produttivo proposto. L’attenzione alla sostenibilità di agricoltura e territorio sono al centro delle scelte operate. La promozione di tecniche di agricoltura e allevamento biologici sono fra gli assi portanti, così come il sostegno fornito all’allevamento ovino estensivo che costituisce la tecnica tradizionale sarda e che, in questo modo, trova uno sbocco commerciale per la produzione della lana. La creazione della rete di imprese è un ulteriore interessante sviluppo dell’esperienza. Al momento Casa Verde CO2.0, che viene presentato come il più grande distretto produttivo italiano per la bioedilizia con filiera a Km0, riunisce 72 aziende di cui 40 localizzate in Sardegna che hanno già sviluppato oltre 400 prodotti per diversi settori fra cui, oltre la bioedilizia, la realizzazione di sistemi integrati per l’isolamento termoacustico, l’eco-design, l’agricoltura biologica, l’architettura del verde e la nautica. Anche dal punto di vista occupazionale, i risultati sono considerevoli, con 252 occupati nella sola regione sarda a fronte della scala delle iniziative imprenditoriale e della scelta di non usufruire di incentivi pubblici. Gli aspetti interessanti Un progetto di sviluppo insieme economico e culturale La stretta connessione fra progetto industriale e progetto culturale costituisce probabilmente il maggiore punto di forza dell’esperienza. La proposta si fonda su una profonda coscienza del legame che stringe territorio e culture materiali detenute dalle comunità che lo abitano e che mantengono con i suoi cicli un rapporto di lunga durata, durante il quale capitale naturale e capitale umano si sono plasmati a vicenda configurando l’ecosistema locale. Da ciò deriva l’interessante intreccio fra attività produttiva agricola, artigianale, industriale, culturale e turistica che viene vitalizzato dall’attività della rete e che, in tutte le sue sfaccettature, mantiene ben fisso l’orientamento verso gli obiettivi dell’appropriazione comunitaria delle opportunità offerte dal territorio e di una conseguente e ben definita forma di sostenibilità ambientale. Un preciso ed efficace disegno di economia sostenibile Rispetto a quest’ultimo punto, il progetto complessivo è infatti apprezzabile per la notevole coerenza nel mantenere fermi alcuni criteri generali. Criteri che, oltre a conferire identità al progetto stesso e ai prodotti, qualificano, individuano e specificano i contorni del concetto di sostenibilità cui l’iniziativa è orientata e che comprende come assi portanti: 1. la selezione dei fattori di produzione decisamente orientata all’utilizzo di materie prime rinnovabili, a Km0, selezionate fra le eccedenze prodotte da settore agricolo, zootecnico e dall’apicoltura; Capitolo 3 33 2. la riduzione al minimo delle emissioni sia nella fase della trasformazione, con la preferenza per le lavorazioni a crudo, sia nella distribuzione con la limitazione degli imballaggi, la concentrazione dei liquidi, ecc.; 3. la riduzione e annullamento della produzione di rifiuti, sia nei processi di trasformazione, sia per quanto riguarda il ciclo di vita dei prodotti e degli imballaggi, con grande attenzione a biodegradabilità e possibilità di riuso; 4. la riduzione dell’uso di risorse idriche nei processi industriali, fra le componenti dei prodotti, e attraverso la selezione delle fonti di materie prime che privilegia tecniche agricole e zootecniche estensive, biologiche e tradizionali che prevedono il basso consumo di acqua; 5. il miglioramento della salute dell’ambiente e dei lavoratori coinvolti, sia nel processo produttivo dei materiali sia nel loro utilizzo nell’edilizia, nell’arredamento, nell’ortofrutticoltura, eccetera, nonché degli utilizzatori finali degli ambienti domestici che risultano migliorati per qualità dell’aria e isolamento termoacustico; 6. la preservazione del paesaggio sia culturale che naturale attraverso la valorizzazione economica di attività produttive che presidiano e si integrano con il territorio, i suoi saperi e i suoi talenti, e che sostengono e creano le condizioni per lo sviluppo di un turismo ecocompatibile fondato sul recupero di saperi e culture legate al capitale naturale e sociale del territorio; 7. la conservazione della biodiversità e della vitalità degli ecosistemi, che risulta sviluppata e accresciuta dal tipo di agricoltura, allevamento, apicoltura, turismo, edilizia e, più in generale, dall’uso del territorio che il progetto mira a sostenere e promuovere. I fattori del successo nella congiunzione fra saperi millenari e ricerca avanzata Andando a guardare ai fattori alla base del successo dell’iniziativa è, poi, di grande interesse l’associazione che si è andata consolidando fra l’attività di recupero di saperi presenti nel territorio e la ricerca scientifica avanzata. Il processo ha valorizzato in misura elevata la naturale propensione allo scambio di conoscenze e di esperienze che costituisce uno dei collanti del capitale sociale delle comunità territoriali, raccordandolo con l’attività di una rete sempre più ampia di ricercatori impegnati nella sperimentazione di tecnologie sostenibili, portati in questo modo a integrarsi nei processi di costruzione di capitale sociale che questa volta coinvolge, con modalità inedite, i diversi componenti delle filiere, le comunità territoriali e scientifiche, i consumatori e gli utilizzatori dei beni prodotti, fino ai semplici turisti e “visitatori”, anche “virtuali”, che entrano in contatto con l’esperienza. La sfida di un prodotto ecosostenibile e dalle qualità tecniche competitive L’accettazione della sfida della competizione sulla qualità tecnica e non solo sull’eco-sostenibilità dei processi e dei prodotti è una seconda componente del successo dell’esperienza e un ulteriore elemento che conferisce un elevato valore esemplare al progetto. Il marketing dei prodotti è stato orientato all’intero potenziale mercato, puntando a comunicare in primo luogo dati tecnici che dimostrano la competitività qualitativa dell’offerta. Il successo di questa scelta dimostra le possibilità di rendere redditizia la produzione ecosostenibile rispettosa di ecosistemi, capitale naturale e culturale dei territori, rivolgendosi all’intera platea di potenziali consumatori, senza cioè centrare la strategia sull’appello alla coscienza ambientale o sociale dell’acquirente – che relegherebbe la produzione in una nicchia di mercato altamente volatile in caso di congiuntura economica sfavorevole – ma sfidando i concorrenti prodotti non eco-sostenibili sul piano del rapporto qualità/prezzo. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Un modello vincente in cui l’economia è parte dell’ecologia L’iniziativa ha un notevole valore come base di riflessione sui possibili approcci al tema della promozione di sviluppo sostenibile su base territoriale anche in contesti diversi da quello specifico dove si è evoluta l’esperienza. In questo caso è risultata vincente la scelta di considerare le comunità umane e l’economia come elementi dell’ecosistema, in linea con l’idea di costruzione concreta di un’ecologia sociale che distingue fra crescita (quantitativa) e sviluppo (miglioramento qualitativo delle condizioni di vita) e cambia i presupposti da cui si parte nel trattare le risorse naturali come fattore di produzione. In tale ottica, il capitale ambientale o naturale non è un fattore di sviluppo, ma è complementare ad esso, in un quadro che considera come lo sviluppo umano dipenda dalla conservazione dinamica dell’ambiente e dove la stessa economia è un elemento dell’ecologia. La scommessa sulla modernità di un rapporto uomo-natura vecchio di millenni Il progetto qui analizzato propone, appunto, di impostare lo sviluppo facendo leva sul rapporto costruito nei millenni fra economia umana e cicli naturali, scommettendo sul fatto che questo possa mantenersi anche in una prospettiva di 34 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile sviluppo. Una sfida estremamente impegnativa che la proliferazione così rapida di iniziative produttive, sperimentazioni e innovazioni dimostra essere affrontabile. La via percorsa è quella della sinergia fra i due pilastri: da una parte il recupero, la valorizzazione e la messa in circolazione dei saperi maturati dalle comunità in millenni di interrelazione con il territorio e, dall’altra, la creatività, lo spirito imprenditoriale, la ricerca scientifica e tecnologica che sono spesso anch’esse il prodotto dell’intelligenza e della volontà di progresso espressa dallo stesso territorio e dalla sua comunità che si aggancia a reti di circolazione di saperi. …e le implicazioni per il dibattito sul significato di Green Economy Le potenzialità di tale schema sono elevate e richiamano numerose questioni che entrano in gioco quando si discute di appropriazione da parte delle comunità locali nei processi di sviluppo sostenibile nei Paesi in via di sviluppo. Un tema in primo piano nel dibattito sul significato di Green Economy, vivacizzato dalla Conferenza di Rio de Janeiro, dove proprio sulla sua definizione sono emerse visioni differenziate su come lo sviluppo di un’economia “verde” si possa tradurre in concrete opportunità per l’emancipazione delle comunità e per la promozione di una maggiore uguaglianza fra e dentro i Paesi e non in una nuova occasione per creare subalternità e percorsi di sviluppo divergenti fra chi realizza nuove tecnologie e ne dispone la distribuzione e chi detiene o vive del capitale naturale e dei servizi degli ecosistemi di cui fa parte. L’esempio fornito da questo caso propone argomenti alla riflessione: in particolare, proprio in considerazione di come, anche con un ammontare ridotto di risorse e in tempi relativamente contenuti, si siano potute sviluppare produzioni che risultano ecosostenibili sotto molti profili, facendo leva su saperi e creatività del territorio e aprendo la possibilità di una piena appropriazione del progetto innovativo da parte della comunità locale. Il numero elevato di sperimentazioni e realizzazioni prodotte in pochi anni evidenzia la mole di risorse di questo genere che un territorio anche relativamente non esteso può esprimere se opportunamente sollecitato. Quali le precondizioni per il successo e la riproduzione: capitale umano e relazionale Tuttavia, proprio alla luce di quest’ordine di considerazioni sul rapporto fra realizzazioni e tipo di risorse messe in campo, è possibile evidenziare quelli che sono probabilmente alcuni dei nodi centrali di cui tenere conto quando si voglia trarre spunti da questa esperienza per sviluppare forme di partenariato internazionale. Se le risorse finanziarie impegnate non sembrano costituire la variabile indipendente più significativa nel determinare i risultati, è probabilmente nel capitale umano e relazionale attivato che va ricercato il fattore decisivo alla base dell’efficacia del progetto. La qualità più della quantità di capitale umano e culturale mobilitato e, forse ancora di più, il tipo di rapporti generati fra diverse componenti e competenze appare come il punto di forza del modello che combina capacità imprenditoriale, creatività, ricerca scientifico-tecnologica, saperi tradizionali e spinte al cambiamento orientate da una strutturata idea di sostenibilità. …e una comunità scientifica allineata negli obiettivi con la comunità locale La visione di possibili riproduzioni del modello o parti di esso in altri contesti è altamente suggestiva. I nodi delicati sono, come già accennato, numerosi, cominciando dalla possibile difficoltà nel replicare la combinazione efficiente della costellazione di risorse appena descritta, che necessita di una comunità scientifica adeguata e con obiettivi allineati a quelli delle popolazioni locali. Il possibile ruolo degli stakeholder pubblici Anche la possibilità di inserire fra gli stakeholder eventuali soggetti pubblici locali - che appaiono marginali nell’esperienza esaminata - è un’opportunità da vagliare e modulare in funzione dei diversi contesti, sia considerando la possibilità che il soggetto pubblico divenga attore in grado di creare un ambiente favorevole per l’incubazione di iniziative, sia dovendo affrontare l’ulteriore nodo centrale della domanda cui l’offerta dei prodotti innovativi dovrebbe rivolgersi e che, in contesti di mercato non omogenei a quello incontrato dai progetti di Casa Verde CO2.0, potrebbe presentare caratteristiche del tutto diverse. Il caso proposto evidenzia, infatti, come la sostenibilità economica dell’iniziativa non sia stata determinata da condizioni particolari che abbiano sostenuto la fase di start up – come formule di sostegno finanziario o fiscale da parte di soggetti pubblici - quanto dalla presenza di una domanda potenziale di nuovi prodotti che una comunicazione vincente ha permesso di incontrare. Su questo aspetto della comunicazione, del marketing e della creazione di domanda è possibile individuare un ruolo attivo di altri stakeholder coinvolti nella costruzione di partenariati territoriali, come ONG, associazioni ambientaliste e di consumatori e autorità pubbliche, che hanno ampie possibilità di azione allargando il campo del green procurement o finanziando azioni comunicative o vere e proprie campagne pubblicitarie. Capitolo 3 35 3.3 Il Distretto Tecnologico Trentino del Consorzio Habitech : politica industriale locale per l’innovazione tecnologica verd KEYWORD : energia alternativa/edilizia ecocompatibile/risparmio energetico/mobilità sostenibile TEMA : ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : prodotto + processo + approccio INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.habitech.it Di cosa si tratta L’idea e il rapido sviluppo Il Consorzio Habitech, con sede a Rovereto in provincia di Trento, è un’aggregazione di 171 partner che rappresentano più di 300 imprese della regione Trentino Alto Adige, 15 enti di ricerca e alcuni soggetti pubblici, per un totale di circa 8 mila occupati e un miliardo di euro di fatturato annuo. L’iniziativa è nata nel 2006 da un’idea del Ministero regionale per la ricerca e l’innovazione sulla base di uno studio di fattibilità realizzato nell’anno precedente e la firma di un Protocollo d’intesa fra le maggiori istituzioni di ricerca trentine, il Gruppo Alto Garda Servizi Spa e le associazioni di categoria. Fin dalle prime fasi hanno aderito decine di imprese, motivate principalmente dalla possibilità di ampliare le proprie possibilità di mercato e di iniziativa attraverso la partecipazione alla rete e la messa in comune delle risorse. A fianco alle attività di stimolo alla cooperazione fra imprese, il Consorzio ha sviluppato l’offerta di servizi e consulenza per l’innovazione tecnica e commerciale e lo sviluppo di progetti, destinata, oltre che ai membri dell’organismo, a privati e istituzioni pubbliche. Queste ultime vengono supportate nella promozione di politiche di sviluppo locale sostenibile e accompagnate nel processo di definizione di leggi, regolamenti, bandi e sistemi di incentivazione. Il Consorzio ha usufruito di finanziamenti pubblici per i primi cinque anni di attività con flussi di circa 360 mila euro l’anno. Attualmente la fornitura di servizi genera un fatturato annuo di circa 1,5 milioni di euro e copre completamente i costi delle attività, con clienti in Italia e altri Paesi europei, Nord Africa e Medio Oriente. La rete di attori locali coinvolti costituisce un nodo di eccellenza a livello nazionale per lo sviluppo di opportunità di business nel campo dell’economia sostenibile. Il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica ha riconosciuto alla rete la qualifica di Distretto tecnologico per l’energia e l’ambiente. Il Consorzio ha, inoltre, creato e incubato il Green Building Council (GBC) Italy, che rappresenta l’associazione leader a livello nazionale per l’edilizia sostenibile. Con circa 600 membri, il Council è il ramo italiano del World GBC, nato nel 1998 per diffondere nel mondo il sistema di rating LEED (sistema di classificazione dell’efficienza energetica e dell’impronta ecologica degli edifici: Leadership in Energy and Environmental Design), i cui protocolli si sono imposti come modello universalmente accettato e compreso per la certificazione di edifici progettati, costruiti e gestiti in maniera sostenibile ed efficiente. I tre campi d’azione: bioedilizia Il Consorzio opera nei tre settori dell’edilizia ecocompatibile, delle energie rinnovabili e della mobilità sostenibile. Il settore edilizio è stato il campo d’intervento primario per la formazione della rete di attori che ha dato vita al Consorzio. Qui, l’attività di Habitech si intreccia con quella del Green Building Council nell’offrire alle imprese italiane l’expertise e un sistema di rating di grande rilevanza anche come fattore competitivo sul mercato globale. La copertura di circa il 50% del mercato italiano per quanto riguarda le attività richieste all’interno del processo di certificazione LEED, ha reso Habitech il punto di riferimento nazionale per l’edilizia ecocompatibile. 36 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile La costante presenza sul mercato dell’edilizia sostenibile italiana e internazionale consente al Consorzio di offrire un sistema integrato di servizi a supporto delle imprese nell’individuazione e implementazione di strategie di sviluppo e politiche di sostenibilità nell’edilizia, che comprende, oltre all’accompagnamento in tutte le fasi di studio e certificazione per edifici nuovi e già esistenti, anche la consulenza strategica per la gestione di portafogli immobiliari. Habitech si rivolge anche a comunità, investitori e decisori politici cui vengono offerte competenze e servizi per azioni di focalizzazione e stesura di linee guida, strumenti integratori ed analisi, supporto al coordinamento, per l’implementazione dei principi di sostenibilità negli interventi di riqualificazione delle aree e per la gestione e lo sviluppo dei territori, nei piani delle utilities, strumenti di definizione dei piani operativi di investimento, supporto al percorso di certificazione di quartiere LEED ND (LEED for Neighborhood Development) e LEED project management. Infine, sempre nel settore Green Buildig, Habitech sta lanciando ARCA (ARchitettura Comfort Ambiente), un nuovo standard di qualità per le case in legno finalizzato alla promozione del distretto locale del legno. …energie rinnovabili In campo energetico, Habitech si concentra sui due filoni dell’efficienza energetica e delle risorse rinnovabili applicando un approccio che mira ad integrare lo sviluppo di percorsi d’innovazione tecnologica con le dinamiche di mercato e il dialogo con il sistema dell’elaborazione delle policy e dei regolamenti settoriali. Come per l’edilizia eco-compatibile, il Consorzio accompagna i propri soci nello sviluppo di progetti di ricerca e di nuove idee imprenditoriali e promuove il trasferimento tecnologico creando sinergie tra l’imprenditoria locale e il mondo della ricerca. Un ambito di sviluppo di particolare rilevanza è quello della promozione di progetti di sistema in grado di stimolare contemporaneamente lo sviluppo del quadro normativo e delle opportunità di profitto per la produzione sostenibile, come nel caso della produzione di energia distribuita da piccoli impianti decentralizzati coordinati da reti intelligenti. I servizi offerti comprendono il supporto alla Pubblica Amministrazione nella definizione della politica e dei piani energetici e nell’adozione di strumenti attuativi, il supporto a privati ed enti locali per la creazione di società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica, assumendo su di sé il rischio dell’iniziativa (Energy Service Companies, o ESCO), la consulenza per la redazione di bandi di gara basati su Finanziamento Tramite Terzi e garanzia delle prestazioni (Energy Performance Contracting), il supporto per la collocazione sul mercato di soluzioni tecnologiche innovative, il supporto per il reperimento di finanziamenti di progetti di ricerca e sviluppo, la valutazione delle tendenze del settore e delle tecnologie pertinenti in campo energetico, l’applicazione di contratti che si propongono di riqualificare il sistema edificio-impianto termico aumentando l’efficienza e diminuendo le emissioni, pagando al contempo l’intervento con il risparmio energetico conseguito (contratti definiti a livello europeo come Energy Performance Contract, EPC). … e la mobilità Per quanto riguarda la mobilità, l’attività di Habitech punta a realizzare soluzioni sistemiche utilizzando le migliori tecnologie disponibili a livello internazionale per ridurre la dipendenza dal petrolio, per promuovere il trasporto integrato e la viabilità ecosostenibile. I servizi offerti includono l’attività di scouting e trasferimento tecnologico di soluzioni innovative e l’elaborazione di progetti integrati per i sistemi dei trasporti. Fra gli esempi di realizzazioni, il progetto Green Valley che mira a convertire la Valle del Primiero in una Oil Free Zone basando la mobilità su fonti rinnovabili locali come biometano, idrogeno e idroelettrico, o la piattaforma informatica MOTUS (Mobility and Tourism in Urban Scenarios) che introduce un sistema innovativo di servizi di trasporto per cittadini e turisti. Gli aspetti interessanti Una precisa strategia pubblica dietro la nascita di un nuovo distretto produttivo Un primo elemento d’interesse è da ricercare nella particolare genesi dell’iniziativa che ha visto la strutturazione di un vero e proprio distretto produttivo sulla base di una precisa strategia pubblica che ha aggregato spinte del territorio organizzandole e fornendo le risorse adeguate per la realizzazione del progetto complessivo. La particolare genesi del distretto e, ovviamente, la natura innovativa delle finalità e del settore di attività, gli conferiscono un profilo definito con numerose ed evidenti caratteristiche proprie. Tuttavia, vengono mantenute alcune delle specificità di questo tipo di organizzazioni produttive che costituiscono i punti di forza di molti dei sistemi economici territoriali più efficienti e dinamici a livello nazionale. La presenza di numerose piccole imprese e l’attitudine alla cooperazione e all’elasticità nel definire forme e termini di collaborazione rappresenta uno degli aspetti in primo piano che conferiscono competitività a questi sistemi. Sfruttando queste caratteristiche, i distretti si qualificano per la rapidità e l’efficacia nell’adattarsi alle dinamiche del mercato, presentando contemporaneamente capacità di rispondere a esigenze specifiche e puntuali con forme di produzione tipiche dell’artigianato e, allo stesso tempo, di reagire alla domanda di grandi volumi attivando sinergie ed economie di scala attraverso la rete. Un gioco vincente di spinte dal territorio Il capitale sociale, fatto di relazioni consolidate e basate sul radicamento territoriale delle imprese, viene in questo caso rafforzato dal ruolo catalizzatore giocato sia dalla pubblica amministrazione locale, sia dai centri di ricerca del territorio. Capitolo 3 37 Come in altri casi, il successo del tessuto produttivo locale si giova della partecipazione di diversi attori e segmenti della comunità locale che va ampiamente al di là del mondo delle imprese. In questo caso, è di grande interesse cogliere come siano state integrate le vocazioni già presenti nell’economia locale con una sensibilità alla questione ambientale molto radicata nella popolazione e con la capacità delle istituzioni di cogliere i due elementi e farne una molla per un salto di qualità delle spinte spontanee traducendoli in innovazione dell’organizzazione produttiva e degli strumenti che fanno emergere la capacità progettuale del territorio. La leadership nazionale Un secondo aspetto interessante sono le dinamiche che stanno portando il Consorzio e il distretto ad esso collegato ad assumere il ruolo di polo per l’innovazione a livello nazionale nei settori specifici di maggiore attività. All’ampliamento del raggio di azione per la fornitura dei servizi a imprese e pubbliche amministrazioni si collega la crescita del ruolo di leadership nell’orientare i processi di conversione del settore edilizio nazionale ai principi della sostenibilità che il distretto ha assunto soprattutto attraverso la creazione e lo sviluppo del Green Building Council Italy. Tuttavia, è probabilmente la portata e il tipo di risultati conseguiti nel territorio stesso che contribuisce in modo decisivo a conferire prestigio e valore esemplare all’esperienza. Il fatto che l’evidente e diffusamente riconosciuto elevato valore del capitale naturale locale sia stato, allo stesso tempo, fattore motivazionale per tutti gli attori coinvolti – a partire dagli imprenditori che autonomamente si erano rivolti all’innovazione verde delle proprie attività – e uno dei principali elementi valorizzati dal successo dell’iniziativa dimostra come il legame fra comunità e territorio inteso come ecosistema possa configurarsi come fattore di sviluppo economico locale. L’evidenza dell’eccellenza raggiunta nella capacità di preservare e valorizzare le risorse naturali e paesaggistiche, nello sviluppare energie creative e capacità di studio e ricerca e vitalità imprenditoriale hanno contribuito a elevare il distretto a capofila dell’innovazione tecnologica delle economie locali nel settore dell’edilizia. La scelta oculata degli strumenti operativi Infine, è importante cogliere un terzo aspetto innovativo del progetto che emerge dalla scelta degli strumenti operativi, che si orienta al superamento di logiche assistenziali. Lo sviluppo di filiere produttive locali viene in primo luogo promosso non attraverso il sostegno finanziario agli investimenti operati dalle imprese, né attraverso il finanziamento diretto di progetti volti a trasferire know-how dagli enti di ricerca alle imprese. Piuttosto, il nucleo dell’attività di stimolo realizzata da Habitech è identificabile negli interventi che favoriscono un’innovazione organizzativa e di mercato della rete d’imprese, loro associazioni, istituzioni pubbliche e attori e mondo della ricerca scientifica e tecnologica, così come all’interno delle singole aziende e, fra questi, quelli indirizzati a creare standard visibili e certificabili per i prodotti e i processi, a rinnovare gli strumenti di mercato, a “istituzionalizzare” le competenze. Lo stesso sviluppo della rete avviene non in virtù di un intervento diretto che, seguendo assi verticali (da promotore a imprese e altri soggetti), snatura la flessibilità e spontaneità dell’articolazione anche gerarchica fra i nodi che rappresenta forse il principale punto di forza della rete, ma piuttosto attraverso la creazione e il rafforzamento dei legami, in primo luogo sulla base della definizione e la diffusione di linguaggi condivisi. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Il legame fra comunità e ambiente come leva per l’avvio dell’innovazione Proprio questi aspetti specifici si configurano anche come punti su cui concentrare l’analisi dei potenziali stimoli per l’attività di cooperazione internazionale. La cooperazione allo sviluppo sta sperimentando la possibilità di creare partenariati fra territori lontani e con diverso grado di sviluppo economico sulla base dell’assunto che si possano creare dinamiche fruttuose per tutti i soggetti coinvolti. Il processo si fonda sulla possibilità di sfruttare alcune delle chiavi di volta dello sviluppo locale italiano degli scorsi decenni e, in particolare, l’esperienza di crescita parallela dell’economia locale e della coesione sociale, il ruolo del forte radicamento della piccola impresa nelle comunità e l’elevato grado di capitale sociale che all’interno di quest’ultima lega i diversi attori e componenti sociali. La notevole propensione a proporre forme di attenzione all’ambiente e al capitale naturale territoriale e, quindi, di attenzione alla sostenibilità dello sviluppo è una componente che, come già visto in altri sezioni del rapporto, caratterizza in molti casi il modello del distretto industriale italiano e fornisce un contributo notevole al mantenimento del capitale sociale e del legame fra tessuto produttivo e comunità, riconosciuto come uno dei principali fattori di competitività della formula distretto. In questo senso, Habitech rappresenta un caso emblematico di come proprio il legame fra comunità e ambiente possa diventare una leva non solo per lo sviluppo del tessuto produttivo, ma anche per l’innovazione tecnologica che valorizza il capitale naturale e cerca le strade per conservarlo e renderlo contemporaneamente la principale risorsa per lo sviluppo sostenibile. 38 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile L’importanza del ruolo del contesto rende l’esperienza irripetibile? Si tratta, come negli altri casi proposti qui per la discussione, di buone pratiche che, proprio per il carattere distintivo di esperienze sviluppate a livello territoriale, qualificando risorse specifiche e vocazioni locali, presentano percorsi evolutivi altamente dipendenti dal contesto nel quale si sviluppano. In questo caso, il livello di sviluppo e diffusione tecnologica è, come immaginabile, una delle variabili di maggior peso. Tuttavia, il modello di promozione dello sviluppo di filiere sostenibili basate sulla diffusione di innovazioni e di un linguaggio condiviso all’interno di comunità e tessuti produttivi che guardano alla conservazione del capitale naturale territoriale come fattore di crescita, si presenta come adattabile a contesti alquanto differenziati per dotazione di risorse, livello del capitale umano e tecnologico, mercato prevalente, laddove siano presenti spinte per la ricerca di soluzioni per avviare percorsi d’innovazione e differenziazione. Spinte che, anche nel quadro di un progetto di partenariato, come in parte sta avvenendo nella Provincia di Trento, possono essere convogliate a costruire una strategia condivisa di sviluppo sostenibile. Il fulcro nel ruolo delle istituzioni e nel rapporto fra componenti private e pubbliche Lo stesso si può dire del tipo di ruolo che viene assunto dalla componente istituzionale del partenariato. Come nel caso di Habitech, l’effetto catalizzatore e la costellazione delle relazioni create dal progetto sotto la spinta delle istituzioni locali sono fra gli elementi che maggiormente influenzano il tipo di dinamiche avviate e la qualità dei risultati. Sotto questo profilo, gli stimoli ricavabili dall’esperienza del Consorzio sono di elevato interesse per la cooperazione internazionale, in particolare se si guarda alle opportunità che le istituzioni locali di entrambi i Paesi coinvolti possono cogliere nel ricoprire il delicato ruolo di facilitatore, raccordo e orientamento dei processi di costituzione e rafforzamento delle reti economiche e sociali attorno a comuni obiettivi di sviluppo sostenibile e al rafforzamento di una cultura (anche tecnica) della sostenibilità all’interno del sistema produttivo. Allo stesso modo, il caso Habitech rappresenta un’interessante esemplificazione di come la collaborazione pubblicoprivato a livello locale possa essere sviluppata cogliendo spinte esistenti e proponendo una sorta di salto di qualità evolutivo nella qualità dell’interrelazione fra soggetti del territorio e nella loro capacità di darsi obiettivi ambiziosi, in particolare indirizzando il quadro normativo e creando allo stesso tempo opportunità di profitto. Anche da questo punto di vista il caso Habitech propone formule e modelli da cui trarre ispirazione, considerando sempre la necessità di modulare opportunamente obiettivi e soluzioni operative con grande attenzione al contesto e alle finalità generali delle iniziative di cooperazione internazionale. Oltre alle caratteristiche specifiche dei territori coinvolti in tema di risorse a disposizione e livello di sviluppo tecnologico, economico e sociale, vanno in questo caso tenute in massima considerazione le condizioni di sviluppo istituzionale, dei rapporti fra i diversi livelli istituzionali e le capacità delle risorse umane a disposizione delle pubbliche amministrazioni, e naturalmente il tipo di rapporti esistenti e potenzialmente instaurabili fra queste, il tessuto delle imprese e i soggetti impegnati nelle attività di ricerca scientifica e innovazione tecnologica. Capitolo 3 39 3.4 Sostenibilità e partecipazione. Il Comune di Capannori : integrazione, partecipazione KEYWORD : approccio partecipativo, integrazione, gestione dei rifiuti TEMA : ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali + donne + giovani + contadini + comunità MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : processo + approccio INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.comune.capannori.lu.it/ Di cosa si tratta Il “nuovo corso” Il Comune di Capannori, 46 mila abitanti, si estende nella piana lucchese per 165,50 kmq e comprende quaranta frazioni. A partire dall’estate 2004, con l’elezione di Giorgio Del Ghingaro a Sindaco di Capannori e con la creazione di una nuova giunta comunale, caratterizzata dalla significativa presenza di giovani (l’età media è tra i 30 e i 40 anni), l’amministrazione ha da subito intrapreso un percorso di rinnovamento profondo delle politiche locali, tanto da far parlare di un vero e proprio “nuovo corso”, con l’obiettivo primario di promuovere pratiche inclusive ed eco-efficienti, perseguendo un modello di sviluppo sostenibile del territorio. Già nel 2005, come primo comune toscano ad adottare una procedura di Appalto verde della Pubblica amministrazione (Green Public Procurement) per gli acquisti comunali, Capannori ha vinto il Premio Toscana Ecoefficente. Da allora sono state varate molteplici iniziative, tutte indirizzate a garantire la sostenibilità ambientale e sociale della comunità, con al primo posto la gestione dei rifiuti. L’iniziativa “Rifiuti Zero” Il nuovo e articolato piano per la gestione dei rifiuti ha portato il Comune di Capannori ed ASCIT (l’azienda di igiene urbana totalmente pubblica che serve Capannori e 5 comuni limitrofi: Azienda Speciale Consortile per l’Igiene del Territorio) ad avviare una completa riorganizzazione del servizio, eliminando i cassonetti ed attivando la raccolta domiciliare porta a porta. Oggi la percentuale di differenziata nell’intero territorio è dell’82%. Capannori è stato il primo comune in Italia ad aderire nel 2007 alla strategia “Rifiuti Zero al 2020”, individuando nel riciclo e nella riduzione degli scarti il fulcro delle proprie politiche ambientali. Per raggiungere questo obiettivo, sono già stati avviati vari progetti per affrontare il problema alla radice, limitando la produzione di rifiuti. Una campagna per la promozione e incentivazione del compostaggio domestico sta progressivamente eliminando il conferimento di rifiuti organici, mentre l’iniziativa “la via dell’acqua” ha previsto la realizzazione di interventi per la potabilizzazione delle fonti idriche locali da cui i cittadini possono attingere gratuitamente acqua di ottima qualità, in alcuni casi anche con la possibilità di addizionare anidride carbonica. Tutte le scuole del comune hanno eliminato l’utilizzo dell’acqua in bottiglia nelle mense scolastiche. La sola campagna per la diminuzione dell’uso di acqua imbottigliata ha consentito una diminuzione consistente dei rifiuti prodotti con circa 100 mila bottiglie in meno e 3 mila Kg in meno di CO2 in atmosfera dall’inizio del progetto. Altri esempi della strategia messa in atto per l’eliminazione dei rifiuti sono l’introduzione di stoviglie riutilizzabili nelle mense scolastiche e nel corso delle sagre e degli altri eventi pubblici (con una riduzione complessiva di circa 100 mila coperti usa e getta all’anno), quella dei “detersivi alla spina” e gli incentivi all’utilizzo dei pannolini ecologici. Dal 2004 ad oggi la produzione di rifiuti pro capite è passata dai 1,92 chilogrammi a 1,4 chilogrammi al giorno. Nel 2010, primo in Europa, Capannori ha voluto istituire un “Centro di Ricerca sui Rifiuti” per monitorare costantemente e attivamente la strada verso l’obiettivo da raggiungere, ampliando l’azione comunale anche alle attività produttive, al mondo della ricerca, della progettazione e dei soggetti economici del territorio. 40 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Tanti tasselli per la creazione di un modello di sviluppo sostenibile su piccola scala L’impegno ambientalista del Comune è ravvisabile anche su altri fronti, tra cui quello relativo alla diffusione delle energie rinnovabili: un esempio è rappresentato dal progetto “’Echo Action 2-Solar”, che ha l’obiettivo di promuovere il risparmio e l’efficienza energetica, diffondendo il fotovoltaico e il solare termico nelle abitazioni private grazie anche alla creazione dei gruppi di acquisto solare, cioè gruppi di cittadini che si organizzano per installare pannelli fotovoltaici sui tetti di casa a prezzi vantaggiosi rispetto ad un’installazione individuale. A questa attività, di natura strettamente ambientale, si collegano diverse azioni di promozione del tessuto produttivo locale: “Effecorta” è la prima esperienza commerciale a livello nazionale che vende oltre 200 prodotti, tutti “alla spina” e tutti di filiera corta. Avviata nell’estate 2009 da una cooperativa creata da un gruppo di giovani di Capannori, l’attività propone un sistema commerciale che valorizza i produttori locali e al contempo contribuisce notevolmente alla riduzione degli scarti. Significative in tal senso sono anche l’iniziativa “Latte alla spina”, la cui gestione è affidata all’Associazione provinciale degli allevatori, e il mercato contadino di Marlia, che vende esclusivamente prodotti a chilometri zero. La scommessa del Polo tecnologico indirizzato alla ricerca per la sostenibilità Nell’ambito della promozione dell’economia locale, grande attenzione viene accordata all’innovazione tecnologica e alla ricerca, volte a favorire nuova occupazione valorizzando le caratteristiche produttive e l’esperienza del territorio. Tra i processi in fase di avvio è particolarmente interessante la prossima inaugurazione del Polo tecnologico di Capannori, un importante centro di ricerca che dovrebbe creare occupazione soprattutto per i giovani. Il Polo ospiterà una struttura di servizio attrezzata con laboratori e altre risorse strumentali per condurre ricerche applicate, favorire il trasferimento tecnologico, eseguire prove e test sperimentali tesi a sviluppare incubatori tecnologici e centri di competenza per il settore della moda e altri settori, e fornire servizi avanzati alle imprese del territorio. In particolare, all’interno del Polo saranno presenti laboratori per lo sviluppo di sistemi di riduzione della produzione dei rifiuti in collaborazione con la Regione, un centro di ricerca per le nanotecnologie in collaborazione con l’Università di Pisa e la Normale di Pisa, e dei laboratori sulla tracciabilità della calzatura: il settore calzaturiero svolge infatti un ruolo importante a livello comunale, comprendendo 400 aziende per un totale di 2.300 addetti. Dall’ambiente al sociale per creare identità e comunità L’attività del Comune di Capannori si caratterizza, infine, per l’attenzione dimostrata nei confronti delle politiche sociali. Tra le iniziative più interessanti, si segnala qui il pacchetto in favore dei giovani e degli studenti: dalla creazione del forum Giovani, un luogo di confronto, comunicazione, aggregazione e partecipazione attiva dei giovani alla vita del comune, alle agevolazioni agli studenti universitari, che si sommano a quelle erogate dagli Atenei e dalla Regione. Nel 2011 nasce inoltre il “Patto per la scuola”, un modello di territorialità educativa che coinvolge istituzioni, istituti comprensivi, famiglie, volontariato e mondo della cultura, e che ha visto una risposta forte da parte del territorio con la partecipazione di molti volontari, tra cui ex insegnanti, pensionati, genitori. In particolare il progetto della “Banca del tempo” ha permesso di garantire l’assistenza pre e post scuola in varie scuole elementari del territorio, mentre grazie al progetto “Abilmente diversi” vari volontari hanno assicurato una maggiore assistenza per gli studenti con disabilità. Riguardo alle politiche di genere, sono allo studio una serie di incontri per sensibilizzare la popolazione su tematiche quali l’occupazione e la partecipazione delle donne alla vita politica, la Costituzione e 150 anni dell’Unità d’Italia; sono inoltre già attivi degli sportelli di consulenza legale e fiscale gratuita per le donne. Il Comune di Capannori ha inoltre investito molto sulle politiche di integrazione, promuovendo manifestazioni dedicate all’intercultura come “Oltrepassare” e la più recente iniziativa “Mosaici”. L’integrazione è favorita anche dalla previsione di corsi serali di lingua italiana per i lavoratori stranieri, e di un corso di lingua italiana esclusivamente al femminile, insegnanti comprese; l’orario è quello mattutino nel quale le donne sono più libere dalle occupazioni domestiche: per favorire la partecipazione è stato anche organizzato un servizio di baby-sitting e un servizio di trasporto con pulmini “ad hoc” che permette, anche a chi abita in frazioni lontane, di raggiungere le aule. Un processo partecipato Il Comune ha individuato una delle chiavi per la riuscita del progetto nella condivisione degli obiettivi con la popolazione. A questo scopo è stato ideato un percorso di partecipazione finanziato dall’Autorità Regionale per la Partecipazione, chiamato “Dire, Fare, Partecipare”. L’obiettivo principale del percorso di partecipazione è quello di creare nuovi spazi di discussione e nuovi strumenti operativi che consentano ai cittadini di incidere nella definizione delle politiche del Comune. Viene realizzato un nuovo strumento di partecipazione, “il bilancio socio-partecipativo”, che consente alla cittadinanza di conoscere e valutare le attività realizzate e i servizi erogati, di indirizzare la gestione del Comune attraverso la richiesta di nuovi servizi, di progettare e scegliere opere pubbliche da realizzare sul territorio comunale; l’iniziativa ha inoltre permesso alla comunità di entrare in confidenza con la gestione del bilancio comunale, di conoscere piani e strategie in atto e di compiere valutazioni approfondite sulle necessità della comunità. Questo nuovo strumento è caratterizzato dall’enfasi posta sulla valorizzazione dei soggetti “deboli” della comunità e rispecchia una volontà politica precisa da parte dell’amministrazione: tra gli 80 cittadini facenti parte del campione rappresentativo selezionato per l’elaborazione degli interventi (metà uomini e metà donne), i giovani sotto i 35 anni sono sovra-rappresentati del 10%, e sono presenti 4 cittadini stranieri: gli immigrati residenti hanno infatti partecipato al Capitolo 3 41 percorso di elaborazione degli interventi e hanno potuto votare nell’election week, ovvero la settimana del voto, svoltasi da lunedì 12 dicembre a sabato 17 dicembre 2011. Attraverso il voto, l’intera comunità ha deciso in quali opere investire i 400 mila euro stanziati. Le opere scelte sono state realizzate entro ottobre 2012. Aspetti innovativi ed interessanti Un chiaro obiettivo di sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo Il maggior punto di forza di questo esperimento consiste non tanto nelle innovazioni introdotte dalle singole iniziative, ma dal fatto che tutti gli interventi si inseriscono all’interno di un processo che associa sostenibilità ambientale, economica e sociale, permettendo di declinare un paradigma inclusivo dello sviluppo sostenibile grazie alla messa in pratica di un processo per la gestione del territorio che incorpora la dimensione della salvaguardia ambientale, trasformandola in un elemento trasversale, insieme alla partecipazione della comunità e alla promozione sociale ed economica. Le numerose iniziative volte alla tutela dell’ambiente si inseriscono infatti all’interno di un processo ampio, caratterizzato dalla partecipazione e dalla programmaticità, che intreccia indissolubilmente la sostenibilità ambientale ai temi dello sviluppo economico e sociale del territorio, ricercando un equilibrio tra le differenti e a volte contrapposte istanze di cui essi sono portatori. In una tale ottica, l’adozione del sistema integrato per la gestione e la riduzione dei rifiuti non rappresenta solo una scelta tecnica di diversa gestione della raccolta, ma anche una strategia politica e culturale, la cui sostenibilità nel tempo è favorita dalla recente nascita dell’associazione nazionale “Comunità Rifiuti Zero”, cui hanno aderito 107 Comuni italiani. Questa ed altre attività intraprese hanno lo scopo di favorire la diffusione di uno specifico modello di sviluppo economico locale, basato sull’attenzione verso temi ambientali e allo stesso tempo sulla valorizzazione delle eccellenze economiche del territorio, grazie alla promozione della filiera corta e del chilometro zero. In un tale contesto, è significativa anche l’attenzione riservata allo sviluppo dell’innovazione e della ricerca, componenti fondamentali di una strategia che mira a favorire le opportunità d’impiego e a sostenere i soggetti deboli della comunità, valorizzando e potenziando al contempo le vocazioni e le risorse del territorio, nell’ottica di uno sviluppo armonioso e rispettoso delle peculiarità culturali e sociali della collettività e delle caratteristiche ambientali del territorio. La partecipazione della popolazione attorno a un progetto che crea identità Un altro importante punto di forza del processo in atto a Capannori è rappresentato dall’estesa partecipazione della comunità: enti comunali, imprese, società civile, associazionismo, strutture educative, università. I molti attori sono coinvolti a vario titolo in una o più delle numerose iniziative che caratterizzano la gestione comunale ed apportano un importante contributo in termini di competenze e capacità. La propensione alla partecipazione dimostrata da subito dalla popolazione, in particolare dai giovani, è stata valorizzata dalla continua attenzione dimostrata dall’amministrazione comunale nel favorire il coinvolgimento e l’informazione di tutti i segmenti della comunità. In un tale contesto, il bilancio partecipativo è stata un’interessante ed innovativa esperienza di programmazione condivisa per la costruzione collettiva dell’Agenda 21 comunale. Dall’altra parte è rilevante la spinta che il progetto sta ricevendo dal suo porsi come elemento identitario per la popolazione. In un circolo virtuoso, il raggiungimento dei risultati produce e diffonde una forma di “orgoglio” all’interno della comunità che a sua volta alimenta e sostiene i processi partecipativi e lo sforzo comune per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Ciò ha una sua valenza anche per gli obiettivi sociali che il modello si pone: la creazione di un sentimento di appartenenza a una comunità virtuosa produce effetti anche sul livello di solidarietà sociale e culturale che contribuisce all’integrazione fra gruppi sociali e alla lotta contro l’emarginazione. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Un esempio di integrazione fra crescita economica, sviluppo sociale, sostenibilità ambientale La gestione e la protezione dell’ambiente si configurano sempre più come tematiche complesse, caratterizzate dalla congiunzione della dimensione locale con quella globale, e di conseguenza dalla necessità di gestire l’interdipendenza dei diversi ecosistemi, sempre più spesso minacciati da problematiche condivise. In un tale contesto, la cooperazione allo sviluppo deve perseguire due obiettivi egualmente importanti e potenzialmente contrapposti, cioè la tutela e conservazione delle risorse ambientali comuni e insieme lo sviluppo sociale ed economico delle comunità. La Commissione Europea, con il Libro Verde del 2010 (La politica di sviluppo dell’UE a sostegno della crescita inclusiva e dello sviluppo sostenibile. Potenziare l’impatto della politica di sviluppo dell’UE) e l’agenda di Rio+20 pongono l’accento sulla necessità di costruire un’interrelazione stabile tra i tre pilastri dello sviluppo (crescita economica, sviluppo sociale, sostenibilità ambientale) che ancora troppo spesso vengono concepiti come ambiti settoriali distinti ed affrontati utilizzando un approccio multisettoriale anziché intersettoriale, ovvero agendo in parallelo sui tre assi mediante linee d’intervento separate e non in permanente relazione tra loro. Per questi motivi, l’esperienza di Capannori rappresenta un interessante esperimento che può apportare un significativo contributo ai processi cooperativi, proponendo una metodologia d’azione incentrata sulla fondamentale necessità di 42 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile integrazione dei tre pilastri. Il carattere territoriale dell’esperienza, al di là delle specificità culturali e delle vocazioni locali valorizzate, permette di proporre quale spunto di riflessione e di discussione per la cooperazione internazionale un approccio riproducibile altrove, basato sulla centralità della coesione e del capitale sociale e imperniato sulla valorizzazione dello sviluppo economico trainato dalle piccole imprese radicate nel territorio, ma allo stesso tempo anche sulla promozione dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica. Valorizzare le capacità dei territori attraverso la massimizzazione della partecipazione ai processi di cambiamento All’interno di questo processo, la partecipazione della comunità riveste evidentemente un ruolo fondamentale. È importante infatti che i processi stimolati dalle azioni di cooperazione valorizzino la capacità dei territori stessi di diffondere una cultura dello sviluppo, proponendo innovazioni rispetto a linguaggi e a modalità d’interazione e di partecipazione della comunità che servano a coinvolgere e mobilitare gli attori precedentemente esclusi, e che siano maggiormente incisive anche nello spronare le istituzioni e gli organismi responsabili dell’elaborazione e dell’attuazione delle politiche. Il bilancio socio-partecipativo sperimentato a Capannori può offrire anche in questo caso un interessante spunto, da riadattare alle diverse esigenze della cooperazione internazionale e alle molte realtà socio-culturali dei contesti di riferimento. Si tratta di un processo di programmazione del territorio che si basa non solo sull’assunto della partecipazione, ma anche su quello dell’inclusività, della valorizzazione della coesione e del capitale sociale, dell’attenzione ai soggetti deboli e quindi maggiormente esclusi dai processi di decision making. In una tale ottica, l’approccio proposto a Capannori si configura non solo quale obiettivo degli interventi di cooperazione territoriale, ma anche come auspicabile strumento nella definizione dei bisogni e delle aspirazioni della comunità e del territorio su cui si interviene. Capitolo 3 43 3.5 La riqualificazione dei bacini fluviali: i “contratti di fiume” Lambro-Seveso-Olona : gestione multilivello, pianificazione KEYWORD : risorse idriche e dissesto idrogeologico TEMA : autorità locali + ONG + comunità MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : processo + approccio INNOVAZIONE Per approfondire: M. Bastiani (a cura di), “Contratti di fiume”, Flaccovio Ed., Palermo, 2011 Di cosa si tratta Un tema particolarmente complesso Un Contratto di fiume è un Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale (AQST) mirante ad avviare un percorso di riqualificazione di un bacino idrografico grazie all’elaborazione e all’adozione di un sistema di regole condivise, fondato su criteri di sostenibilità ambientale, valore sociale, rendimento economico e utilità pubblica. Il concetto di “riqualificazione dei bacini” è qui inteso nella sua accezione più ampia ed è riferito a tutti gli aspetti paesaggistico-ambientali del territorio, includendo quindi i processi di natura idrogeologica e geomorfologica e quelli relativi all’evoluzione degli ecosistemi naturali e antropici. La Regione Lombardia è stata la prima in Italia ad avvalersi di questo strumento, disciplinando sul piano legislativo la materia della programmazione negoziata grazie alla L.R. 2/2003, e alla L. R. 26/2003. Il bacino idrografico LambroSeveso-Olona è stato individuato dalla Regione Lombardia come area prioritaria d’intervento a causa del preoccupante livello di compromissione ambientale e in particolare delle acque. La zona era stata individuata come prioritaria già nel corso degli anni novanta, ed era stata dichiarata area ad alto rischio ambientale dal Ministero dell’Ambiente. La partecipazione attiva e propositiva del territorio La precondizione essenziale per l’avvio dell’iniziativa è stata la disponibilità del territorio a partecipare e, anzi, ad assumere un ruolo propositivo senza il quale questa esperienza non sarebbe stata probabilmente realizzata: il motore dell’iniziativa sono state le richieste del territorio, concretizzatesi soprattutto in sollecitazioni disomogenee provenienti dalle istituzioni locali, che raccoglievano il malcontento della comunità. L’aspettativa generalizzata ha reso possibile l’avvio di un processo di programmazione negoziata nato dal basso, la cui prima formalizzazione è stata quella dei protocolli d’intesa tra alcuni soggetti istituzionali del territorio. Solo in seguito a questi protocolli sono state approvate le delibere che hanno portato alla fase di costruzione del Contratto. Tale processo ha preso avvio nel 2004: ad oggi sono stati sottoscritti il Contratto di fiume Olona-Bozzente-Lura (2004) e il Contratto di fiume Seveso (2006) mentre il 20 marzo 2012 è stato sottoscritto il Contratto di Fiume Lambro. Gli obiettivi di questi strumenti sono la protezione delle risorse idriche e la riqualificazione degli ambiti fluviali, la protezione ed il ripristino della biodiversità, l’aumento della resilienza dei territori fortemente urbanizzati ai cambiamenti climatici, la condivisione delle informazioni e la diffusione di una cultura dell’acqua. La struttura dell’iniziativa Lo scopo della formulazione dei Contratti è il raggiungimento di questi obiettivi attraverso la definizione di uno scenario strategico condiviso di medio-lungo periodo, con la conseguente elaborazione di politiche e strategie sinergiche, un piano d’area, uno strumento di valutazione delle politiche e della loro efficacia e coerenza con gli obiettivi, una programmazione di bacino che indichi interventi e regole condivisi: tutto ciò allo scopo di orientare lo sviluppo locale, elaborando un modello che coniughi aspetti socio-economici, paesaggistici, ambientali e di qualità della vita. 44 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile L’attuazione del Contratto di fiume prevede lo sviluppo di una metodologia articolata in fasi progressive; nell’ambito del processo, sono state messe in atto azioni di riqualificazione dei bacini idrografici, interventi per la valorizzazione ambientale delle aree fluviali ed azioni per la sensibilizzazione del territorio, la formazione e l’educazione ad una cultura dell’acqua. Sono stati inoltre approntati diversi strumenti atti alla condivisione delle informazioni e al supporto ai processi di negoziazione, per la definizione ed adozione di piani di emergenza comunali ed intercomunali e per la programmazione di interventi infrastrutturali al ciclo delle acque. Tali risultati sono stati possibili grazie alla preventiva costruzione di un quadro conoscitivo delle criticità e dei valori ambientali, paesaggistici e territoriali, che ha permesso l’elaborazione di uno scenario strategico di medio-lungo periodo e la proposizione di un programma d’azione per la sua realizzazione. È inoltre prevista la prossima elaborazione e successiva applicazione di un modello di valutazione per indirizzare le politiche in atto e quelle previste. Il Contratto è uno strumento senza portafoglio, ma ha la capacità di indirizzare i fondi delle diverse divisioni interessate e di tutti i soggetti che vi aderiscono, rispetto agli obiettivi e al programma definito dal Contratto di fiume. Le fonti per il finanziamento provengono in gran parte dalle varie programmazioni settoriali (difesa del suolo, sviluppo integrato…). C’è poi una piccola quota di fondi destinati ad hoc (circa 300 mila euro annuali) per la costruzione del processo e il supporto ai partenariati. Sono stati inoltre utilizzati alcuni fondi FAS 2007-2013 – linea d’azione per gli interventi di riqualificazione fluviale. Aspetti innovativi ed interessanti Un disegno efficace di pianificazione condivisa del territorio e del suo sviluppo Un punto di grande interesse dell’iniziativa è individuabile nel suo stesso obiettivo finale che indirizza tutti gli sforzi verso la creazione di un partenariato esteso sul territorio. I Contratti di fiume sono processi tesi a costruire consapevolezza, condivisione e responsabilità tra i vari attori, istituzionali e non, protagonisti delle trasformazioni di un territorio vallivo. In tal senso essi si configurano come strumenti di programmazione negoziata, per loro stessa natura profondamente interconnessi ai processi di pianificazione strategica per la riqualificazione dei bacini fluviali. Il processo che contraddistingue i Contratti di fiume si basa sulla co-pianificazione, un approccio che si caratterizza per il concreto coinvolgimento e la sostanziale condivisione da parte di tutti gli attori, e che in virtù di tale partecipazione permette di mettere in pratica azioni per lo sviluppo durevole dei bacini. Viene valorizzato il ruolo delle istituzioni regionali, provinciali e comunali e anche le competenze di altre realtà sovracomunali, che fungono da catalizzatori e da aggregatori delle attività comunali; viene inoltre valorizzato l’apporto delle associazioni ambientali. Un imponente impianto partecipativo La rete dei sottoscrittori coinvolge oggi complessivamente circa 150 attori locali. Firmatari del contratto sono tutti i principali Enti che hanno interessi lungo il fiume: tra gli altri, la Regione, i Comuni del bacino idrografico, le Province, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA), gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), l’Autorità del bacino del Po, i Parchi, le Comunità Montane. Oltre agli attori istituzionali, che hanno un ruolo di coordinamento, aderiscono anche altri soggetti: sono molte le associazioni ambientali che partecipano, tra le altre il WWF, Legambiente, Italia Nostra e moltissime associazioni a carattere locale; il loro ruolo è molto importante soprattutto in riferimento alle azioni di sensibilizzazione e informazione sul territorio e, in alcuni casi, per interventi di manutenzione. In particolare, è interessante la partnership e la convenzione di cofinanziamento firmata con Legambiente, che svolge una serie di azioni ed iniziative insieme alle associazioni locali: soprattutto attività di sensibilizzazione e informazione sui temi della gestione sostenibile dei fiumi (alcuni esempi delle attività svolte sono i campi di lavoro internazionali nei sottobacini, e la produzione di un documentario sul fiume Lambro) e per diffondere la conoscenza e la comprensione dello strumento Contratto di fiume. Sussidiarietà e struttura multilivello del partenariato I soggetti sottoscrittori si impegnano, nel rispetto delle competenze di ciascuno, ad operare in un quadro di forte valorizzazione del principio di sussidiarietà, attivando tutti gli strumenti partenariali utili al pieno raggiungimento degli obiettivi condivisi. Le relazioni interne alla articolata rete degli attori sono strutturate grazie alla costituzione di organismi plenari, previsti dal Contratto (Comitato di Coordinamento e Comitato Tecnico) e di tavoli relativi alle unità territoriali individuate nel corso della costruzione dello scenario strategico. Questa strutturazione multilivello della rete degli attori locali consente di costruire e mettere in atto in maniera condivisa lo Scenario Strategico e la negoziazione e le azioni da programmare. Per garantire un’efficace organizzazione dei diversi tavoli, alcuni attori sono individuati come “referenti sovralocali” (Parchi Regionali, Parchi Locali di Interesse Sovracomunale e Comunità Montane). La diffusione del modello e le particolarità regionali I Contratti di fiume sono ad oggi uno strumento utilizzato con successo anche in altri bacini idrografici italiani ed europei. L’esigenza di valorizzare la “replicabilità” delle esperienze di Contratto di fiume in tutta Italia ha condotto, nel 2007, alla costituzione di un gruppo di lavoro coordinato dal Forum di Agenda 21 dell’Alta Umbria, che si propone la raccolta di esperienze e buone pratiche in materia di gestione partecipata delle risorse idriche per la definizione di linee guida condivise e la promozione del confronto fra i diversi soggetti pubblici e privati portatori di interesse. In tal senso si sono Capitolo 3 45 già svolti VII tavoli nazionali dei CdF ed è stata ufficializzata una Carta Nazionale dei Contratti di Fiume (fatta propria dalla Conferenza delle Regioni). La Regione Lombardia è stata la prima in Italia ad esplorare il nuovo strumento, disciplinando sul piano legislativo la materia della programmazione negoziata grazie alla L.R. 2/2003, e alla L. R. 26/2003. Questa esperienza presenta alcuni elementi innovativi rispetto ai Contratti di fiume europei, ed in particolare francesi, cui si ispira. Il processo si configura infatti sempre più non solo come uno strumento di programmazione partecipata a livello di bacino, ma come strumento di pianificazione a livello di sottobacino. I Contratti di fiume della regione Lombardia sono tutti afferenti al sottobacino idrografico del Po-Lambro-Olona: questo sottobacino sperimenta attualmente una pressione antropica significativa (rappresenta il 10% del territorio regionale ed ospita il 50% della popolazione), unita all’alto tasso di industrializzazione e alla presenza di un consistente numero di corsi d’acqua. Queste condizioni peculiari differenziano il sottobacino del sistema Seveso-Lambro-Olona rispetto al resto del bacino padano e rendono necessaria la predisposizione di strumenti ad hoc: grazie ad un processo bottom-up si tende a costruire, in accordo con il territorio e le priorità che esprime, i cosiddetti “piani di dettaglio”. Infatti, la redazione di piani di gestione, in ossequio alla Direttiva quadro sulle acque n. 2060, ha condotto all’elaborazione di misure su scala territoriale ampia, che per essere localmente efficaci necessitano di piani di dettaglio relativi ai vari distretti idrografici, che a loro volta permettano la pianificazione e la regolamentazione del territorio. A livello di pianificazione territoriale, lo strumento “piano strategico Atlante”, recepito dal piano paesaggistico regionale, ha dato il via a un processo che punta non più sulla programmazione condivisa (una tattica applicabile nel breve periodo), ma sulla pianificazione, ovvero una strategia di azione nel medio-lungo periodo, portata avanti dal territorio stesso. Il piano Atlante rappresenta il tentativo di unire le due fasi della programmazione e della pianificazione all’interno di un unico processo, rendendo possibile l’integrazione dei vari strumenti predisposti per l’attuazione delle politiche (piano territoriale regionale, piano paesaggistico regionale, strumenti di attuazione per politiche settoriali), di solito rivolti ad un area i cui confini sono delimitati dal punto di vista amministrativo e non di bacino, e di adattarli alla scala e alla realtà del sottobacino. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Uno strumento altamente modulabile ed efficace per contrastare il dissesto idrogeologico Il dissesto idrogeologico rappresenta in Italia un problema di notevole rilevanza, diffuso in modo capillare e che si presenta con modalità differenti a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio, trasporto di massa lungo le conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura. La peculiarità dell’esperienza italiana suggerisce un possibile ruolo chiave del nostro Paese nell’elaborazione di soluzioni innovative per affrontare il problema del dissesto idrogeologico, da proporre anche all’estero nell’ambito delle azioni e dei processi legati alla cooperazione internazionale. Il modello dei Contratti di fiume, abbastanza diffuso in ambito europeo e nordamericano, è uno strumento ancora pressoché inutilizzato nei PVS. Una delle poche esperienze in tal senso è quella sviluppata in Burkina Faso a partire dal 2003 (la prima nel continente africano), realizzata grazie alla collaborazione di quattro municipalità valloni già firmatarie del Contratto di fiume Semois. L’esperienza ha coinvolto la zona centrale del bacino del fiume Sourou (province di Kossi, Nyala e Sourou), che scorre al confine col Mali, ed ha portato alla creazione dei Comitati di fiume e all’elaborazione e adozione di un programma d’azione, coinvolgendo nel processo agricoltori, allevatori, pescatori, apicoltori, associazioni di donne, collettività locali. L’iniziativa ha prodotto una forte mobilitazione e sensibilizzazione grazie ad un approccio trasversale e multidisciplinare; tuttavia, la riproposizione in un contesto geografico e culturale profondamente diverso da quello europeo ha prodotto alcune criticità (difficoltà a concretizzare il consenso, difficoltà nella rappresentanza legittima ed equilibrata dei vari attori, incapacità dei Comitati di fiume di garantire la sostenibilità futura del processo) che evidenziano quanto sia ancora necessario ripensare lo strumento per renderlo adattabile alla specificità del processo cooperativo e alle peculiarità dei differenti contesti locali. Un processo negoziale per la gestione dei conflitti per l’acqua La Convenzione ONU del 1997 sulle norme per i corsi d’acqua internazionali per usi diversi dalla navigazione richiede esplicitamente che, all’interno di un bacino idrografico, gli Stati cooperino su basi di eguaglianza, integrità e reciproci benefici, prevedendo a tale scopo alcuni meccanismi per garantire una risoluzione pacifica delle controversie (negoziati, buoni uffici, mediazione, conciliazione, ricorso alla commissione mista o ad un arbitrato). Un particolare tema su cui potrebbe concentrarsi un processo futuro di contaminazione ed adattamento dei Contratti di fiume alla realtà dei PVS è quello della gestione negoziata dei conflitti legati all’uso delle risorse idriche, riferita in particolare alle differenti realtà locali all’interno di una singola entità statuale, allo scopo di garantire un processo inclusivo che coinvolga i diversi attori territoriali su basi paritarie. Benché il Contratto di fiume non preveda ad oggi un meccanismo specifico per la risoluzione dei conflitti, la sua caratteristica innovativa sta nella scelta di muoversi verso una sussidiarietà orizzontale, che tende a costruire il dialogo 46 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile e il negoziato sulla base della forte motivazione che spinge i partecipanti ad adottare volontariamente norme e comportamenti condivisi. In una tale ottica, i Contratti di fiume diventano laboratori di governance territoriale, tendenti a coinvolgere la comunità in tutte le fasi del processo, dalla pianificazione, all’implementazione, al problem-solving. In particolare, il processo negoziale avviene a due livelli: in seno alle istituzioni, ma anche nel corso di “serate pubbliche” in cui la comunità è chiamata a discutere e ad esprimersi sulle problematiche in atto. Da tale base si potrebbe partire per la previsione di meccanismi ad hoc che permettano una maggiore formalizzazione della gestione dei conflitti, al fine di adattare lo strumento alle complesse e talvolta drammatiche realtà di molte aree del pianeta. Il tema aperto del ruolo del settore privato Infine, un’ultima considerazione riguarda la partecipazione del settore privato: le attività svolte nell’ambito del processo contrattuale in Lombardia hanno interessato solo marginalmente le associazioni di categoria e le associazioni di utenti, mentre al momento una sola impresa ha sottoscritto il Contratto e si è impegnata a realizzare e finanziare un intervento. La strategia messa in atto ha coinvolto prioritariamente le istituzioni pubbliche e il settore no profit; tuttavia si prevede di affrontare prossimamente il problema del coinvolgimento degli attori economici privati, in una logica di allargamento del partenariato e di partecipazione della comunità. Anche in relazione a futuri spunti per la cooperazione internazionale, è auspicabile prevedere una maggiore partecipazione degli attori economici al processo, in modo da costruire una cooperazione territoriale che coniughi durevolmente sviluppo economico e sostenibilità ambientale. Capitolo 3 47 3.6 Progetto Foresta modello delle Montagne fiorentine : partecipazione, montagna KEYWORD : gestione integrata e partecipata delle risorse forestali TEMA : autorità locali + comunità MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.forestamodellomontagnefiorentine.org Di cosa si tratta L’International Model Forest Network I comuni appenninici di San Godenzo, Londa, Pontassieve, Rufina, Pelago, Rignano sull’Arno e Reggello, situati nella parte orientale della provincia di Firenze, sono riuniti nell’Unione di Comuni di Valdarno e Valdisieve (UCVV, istituita nel 2011; Comunità Montana Montagna Fiorentina dal 2002 al 2011). Con una popolazione di 64 mila abitanti, il loro territorio si estende per 548 kmq ed è per oltre due terzi coperto da boschi (querce, castagno, faggio, pino nero, abete bianco, duglasia). Le particolarità di un territorio di questo tipo comportano benefici e opportunità dal punto di vista della risorsa ambientale, ma anche problematiche come la marginalità socio-economica e la scarsità di servizi. Benefici e opportunità che presentano assonanze con altri territori caratterizzati dalla grande ricchezza e fragilità degli ecosistemi e dove continuamente si presentano sfide legate alla necessità di affrontare opportunità e problematiche in un’ottica di dialogo e di condivisione fra i diversi attori presenti, portatori di interessi e istanze a volte divergenti. Nel caso in oggetto, uno strumento utile a confrontarsi con queste sfide è stato offerto dall’adesione della Regione Toscana alla Rete Internazionale delle Foreste Modello (International Model Forest Network, IMFN) nel 2009. Si tratta di una rete di scambio (o community of practice) fra enti e privati che partecipano alla gestione di aree boschive, situate in diverse zone dei cinque continenti, valutata come esemplari rispetto a determinati criteri: ampiezza del territorio (tale da implicare aspetti ambientali, economiche, sociali, culturali), ampio partenariato (aperto a tutti i diversi portatori di interesse), impegno per la conservazione e la gestione sostenibile delle risorse naturali e del paesaggio forestale. La Rete internazionale è articolata in reti regionali. Nel 2011 la Regione ha candidato al titolo di Foresta modello quella della Montagna fiorentina. Nel febbraio 2012 è stata costituita formalmente l’Associazione Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, alla quale aderiscono 12 soggetti pubblici, 15 imprese e 15 associazioni operanti nel territorio. Oltre all’Unione di Comuni di Valdarno e Valdisieve, ai singoli Comuni, alla Rete Mediterranea delle Foreste Modello e alle comunità locali, fra gli attori principali coinvolti nella gestione di questo percorso compaiono tre imprese associate, segherie, operatori forestali (Selvicoltori e Operatori Forestali Europei Associati - SOFEA -, Ufficio territoriale per la biodiversità del Corpo forestale dello Stato), il Parco Nazionale Foreste Casentinesi, il Trees and Timber Institute del CNR-Ivalsa. Nel novembre 2012 è arrivato il riconoscimento ufficiale da parte della Rete Internazionale. Le azioni L’Associazione, espressione giuridica della Foresta Modello, si propone come nuovo strumento di governance del territorio forestale, agricolo e rurale, ed opera negli ambiti delle filiere produttive, della distribuzione commerciale, del mercato, dell’ambiente, del turismo, della cultura, degli aspetti ricreativi e della condivisione del know–how. Fra le realizzazioni più interessanti vi sono quelle nel settore energetico, soprattutto in materia di impianti di riscaldamento alimentati a biomassa. La gestione del bosco produce un gran numero di scarti legnosi; il bisogno di energia, in un’area 48 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile non servita dalla rete a metano, si incontra qui con la disponibilità di biomassa, la quale costituirebbe altrimenti un costo per il suo smaltimento. In particolare, la costruzione di una centrale a teleriscaldamento nella frazione Pomino, Comune di Rufina, si segnala per i risultati raggiunti nel quadro della gestione sostenibile delle risorse boschive e dei processi decisionali partecipativi; la centrale fornisce energia termica alle utenze domestiche della frazione. I vantaggi sistemici prodotti dall’impianto di Pomino sono numerosi. Fra gli effetti positivi principali vanno considerati la possibilità di trasformare gli scarti boschivi da rifiuti in risorse e la contestuale riduzione nell’utilizzo di combustibili fossili e delle spese per l’approvvigionamento energetico, nonché la creazione di occasioni di reddito a livello locale e l’incremento della coesione sociale collegato alla condivisione di un progetto orientato a fornire benefici all’intero territorio. L’impianto di Pomino è costato 1 milione e 300 mila euro (cifra coperta con il cofinanziamento della Regione; altri 300 mila euro sono arrivati con il finanziamento del Piano di sviluppo rurale), e produce energia per 3,5 milioni di euro l’anno, che, con l’aggiunta di quanto prodotto nello stesso territorio dagli impianti mini idroelettrico (mini-hydro) e fotovoltaici, arriva a un totale di quasi 4 milioni. Aspetti innovativi ed interessanti Un’applicazione reale di modello bottom-up Il progetto della Foresta Modello della Montagna fiorentina si caratterizza, prima di tutto, per la messa in atto di processi partecipativi particolarmente efficaci, secondo un modello bottom-up, cioè di costruzione delle decisioni a partire dalla comunità, invece che dalle sue espressioni verticistiche in seno alla pubblica amministrazione, che vanno oltre una loro applicazione meramente formale. Un elemento di particolare interesse si lega al contesto rurale e montano in cui avvengono questi processi, contesto che presenta numerose particolarità rispetto a quelli di tipo urbano e conosce con meno facilità pratiche e percorsi partecipativi strutturati. Non mancano i casi in cui istituzioni pubbliche o altri promotori di progetti di sviluppo incontrano l’opposizione delle stesse comunità interessate dai progetti che ne intravvedono i possibili svantaggi per il proprio territorio. La crescente consapevolezza riguardo alla qualità dello sviluppo e la disponibilità di nuovi mezzi tecnologici e culturali che favoriscono l’autonomia partecipativa della società accentuano le possibilità di conflitto e, allo stesso tempo, forniscono strumenti per la risoluzione degli stessi. In questo caso, il processo è stato articolato concentrando l’attenzione sulla condivisione delle scelte e sul dialogo, prima che su un obiettivo prefissato. Questo ha contribuito a rendere reale la possibilità di incidere sulle decisioni: la comunità locale non ha solo, come spesso avviene, un mero ruolo consultivo o di approvazione di decisioni già assunte, ma possiede un effettivo potere di interdizione e di scelta, che comprende la possibilità di respingere finanche l’intero progetto e di sottoporre proposte alternative con pari dignità rispetto alle opzioni originarie. Nel caso della centrale di Pomino, ad esempio, la comunità ha scelto per l’impianto un’ubicazione diversa da quella prevista inizialmente. La collocazione è stata alla fine adottata nonostante fosse più complicata per i realizzatori. L’applicazione della decisione partecipata ha contribuito in modo significativo alla credibilità del progetto di condivisione dei processi decisionali, modificando in maniera radicale la visione della gestione delle risorse territoriali in un contesto di scarsa fiducia da parte delle popolazioni locali sulla propria possibilità di incidere sulle decisioni. Gli effetti sui risultati Il coinvolgimento della comunità come parte essenziale per la strutturazione e per il funzionamento della filiera corta del combustibile rappresenta anche una garanzia di grande importanza per la qualità di materiali e processi che, in virtù del ruolo centrale giocato dalle popolazioni, sono sottoposti ad un accurato controllo che migliora efficienza e qualità ambientale dei risultati, come testimonia l’eccellente livello di abbattimento fumi raggiunto dagli impianti. Un approccio partecipativo e di inclusione dei diversi interessi e punti di vista presenti nel territorio si applica ora a ogni altro aspetto della vita delle comunità interessate: un banco di prova particolarmente critico è quello della caccia, attorno al quale si sta aggregando l’attenzione per impostare un processo di regolamentazione condiviso basato sullo stesso radicale coinvolgimento di tutti gli stakeholder. L’ipotesi è quella di utilizzare lo stesso approccio partecipativo a tutti i processi necessari alla gestione sostenibile, puntando, come immaginato da Antonio Ventre, Responsabile dell’Area gestione, difesa e uso del territorio dell’UCVV, a realizzare una gestione comunitaria del territorio che prescinda dall’intervento delle istituzioni pubbliche. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Un modello di percorso partecipativo per la gestione di ecosistemi in aree marginali Il modello di gestione realizzato dal Progetto Foresta Modello è certamente costruito sulla specificità del proprio territorio. Come ampiamente ribadito dai protagonisti dell’esperienza, non esistono possibilità di replicare i processi o Capitolo 3 49 loro singole porzioni senza calarle profondamente nel contesto di applicazione. Come dimostra l’osservazione anche delle sole esperienze in rete, ogni Foresta Modello è unica: per il suo ecosistema, per la storia della gestione delle sue risorse e per la sua realtà politica e culturale. Tuttavia, proprio l’esperienza della messa in rete delle esperienze fornisce lo stimolo primario per la riflessione sulla disseminazione delle lezioni apprese e per la riproposizione in altri ambiti delle idee alla base del successo di questa come di molte altre storie di condivisione delle decisioni sulla gestione delle risorse da parte delle popolazioni integrate all’interno dell’ecosistema che fornisce le stesse risorse. La Rete internazionale delle Foreste Modello costituisce, programmaticamente, prima di tutto un’interessante cornice per la condivisione delle esperienze e la promozione di cooperazione internazionale. Il percorso partecipativo in area marginale attuato dalla Foresta Modello fiorentina può rappresentare un elemento di riferimento per esperienze di cooperazione internazionale, in particolare dove si profilino interessi divergenti e potenziali conflitti sulla gestione delle risorse locali. Ciò vale tanto più dove esistano attori in posizione debole rispetto alle istituzioni pubbliche o ad altri promotori di progetti di sviluppo: situazioni in cui va evitato un rapporto impositivo verso popoli indigeni e comunità locali. L’esperienza specifica dell’impianto di Pomino già si configura come risorsa interessante in ambito di cooperazione internazionale, qualificandosi, nella Rete mediterranea delle Foreste Modello, quale punta più avanzata nella gestione partecipata e sostenibile della biomassa, con possibili potenziali collaborazioni in Istria o Macedonia, mentre, a livello di Rete internazionale delle Foreste Modello, il caso toscano è incluso nelle iniziative di condivisione e capitalizzazione del know how maturato, come nel caso degli incontri tematici sulla gestione delle biomasse che riguardano principalmente l’area del Cono Sud del Sudamerica. L’approccio partecipativo alla gestione delle risorse boschive (il Participatory forest management) è considerato il modo più naturale di conservare le risorse forestali, come dimostra la riflessione in ambito FAO. Tuttavia, spesso si è assistito a pratiche dettate da approcci top-down, che non si sono dimostrati capaci di assicurare i risultati attesi. Occorre, in sostanza, andare al di là di pratiche ritualistiche e cerimonie della partecipazione e far entrare a pieno titolo le comunità nel business della gestione ambientale al servizio delle stesse comunità, ridando centralità all’ambiente naturale nei processi di trasformazione in corso. La Foresta Modello ha sviluppato notevoli capacità nella promozione del coinvolgimento di tutti gli attori e della disponibilità di questi a lavorare in rete e ha dimostrato come attraverso la partecipazione si possano individuare chiavi per l’innesco di processi inclusivi sia dal punto di vista dell’accesso alle risorse per la produzione del reddito, sia da quello dell’incremento della coesione sociale e del miglior funzionamento dei meccanismi della democrazia locale. Il modello di partecipazione applica, di fatto, un approccio alla sostenibilità non limitato a un’accezione di protezione ambientale, ma in linea con quanto delineato con l’indicazione dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economico). Anche il contesto amministrativo-istituzionale non rappresenta un elemento di limitazione degli stimoli ricavabili dall’esperienza. In base ai criteri della Rete internazionale, il territorio di una Foresta Modello non deve coincidere interamente con quello di un’area protetta sulla base di regolamentazioni nazionali o locali. Anche nel caso della Foresta Modello fiorentina, solo una porzione del territorio interessato dalla gestione comunitaria delle risorse si trova all’interno dei confini del Parco delle Foreste Casentinesi. Si tratta, cioè, di una base sulla quale si possono sviluppare formule, originali e non per forza legate alla produzione di tradizionali vincoli normativi e strumenti di pianificazione per la protezione, conservazione e gestione integrata delle risorse naturali, quali appunto il patrimonio forestale, ma anche biodiversità, risorse idriche e paesaggistiche, suoli agricoli, fino a beni storico-architettonici o altri patrimoni culturali. 50 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 3.7 BioPiace, Consorzio Produttori Biologici Piacentini : agricoltura biologica, sistema territoriale, acquisti verdi KEYWORD : approccio sistemico a produzione e consumi nel settore agroalimentare TEMA : autorità locali + imprenditori + contadini + comunità MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.consorziobiopiace.it Di cosa si tratta La mission BioPiace è un consorzio fra produttori agricoli e trasformatori del settore agro-alimentare, operanti con il metodo dell’agricoltura biologica nella provincia di Piacenza. Il Consorzio è nato nel 2003 con lo scopo di sviluppare un sistema territoriale capace di sostenere processi virtuosi nella filiera agricola e alimentare. Il mercato dei prodotti dell’agricoltura vede attualmente in posizione di crescente svantaggio i piccoli produttori, indeboliti dalla diminuzione dei prezzi dei prodotti e dall’aumento dei costi tecnologici, logistici e finanziari. Inoltre, rispetto al relativo vantaggio di cui godono le produzioni intensive di pianura, nelle aree di collina e di montagna la permanenza di attività agricole di piccola scala è particolarmente difficile, a causa di condizioni di produzione e di trasporto meno favorevoli. Oltre a determinare impoverimento sociale e culturale, l’abbandono di queste aree economicamente “marginali” è anche causa di processi di dissesto idrogeologico, venendo a mancare il presidio dei suoi abitanti e operatori agricoli. BioPiace oppone a questi fattori di criticità i vantaggi dei maggiori strumenti di intervento che il consorzio può mettere in campo rispetto a quelli di cui dispongono singolarmente i produttori e propone un’azione sistemica sull’intero contesto territoriale. La strategia e gli assi d’azione Il Consorzio ha coinvolto sia le amministrazioni pubbliche sia i consumatori privati, spingendo in direzione di un riorientamento dei consumi, nel quadro di un progetto territoriale mirato a produrre vantaggi sistemici su ogni piano e per ogni settore: ambiente, economia, salute, qualità della vita e del lavoro per produttori e consumatori. I circa 50 soci del Consorzio operano prevalentemente in collina e in montagna, coltivano i terreni o allevano gli animali utilizzando il metodo biologico, garantendo al consumatore produzioni di grande qualità e senza alcun residuo chimico; senza il Consorzio la maggior parte di queste aziende agricole sarebbe stata chiusa, e i terreni sarebbero stati abbandonati. Il vantaggio economico è notevole per tutto il territorio: dalle aziende agricole e artigiane che trasformano i prodotti a tutto l’indotto legato a queste attività, senza dimenticare il turismo enogastronomico che sfrutta le attrattive di un paesaggio protetto e valorizzato da un’attività agricola sostenibile. Attraverso il mantenimento della vitalità dell’economia locale, e quindi delle attività produttive, si salvaguardano le comunità locali dallo spopolamento e il territorio dall’abbandono di tutte quelle pratiche che negli anni lo hanno plasmato in maniera sostenibile e ne mantengono la biodiversità, gli equilibri idrogeologici e degli ecosistemi. Il progetto è partito con una dotazione di capitale iniziale basata sull’autofinanziamento e su prestiti bancari ottenuti con la garanzia dei soci. L’amministrazione pubblica locale ha fornito una rilevante spinta alla riuscita del progetto attraverso l’adozione di pratiche di Appalti verdi della Pubblica amministrazione (Green Procurement), che hanno privilegiato i soci del consorzio quali fornitori di alcune attività pubbliche locali in nome del ruolo complessivo giocato dal Consorzio per l’intero territorio. Oggi i prodotti bio forniti dal Consorzio sono utilizzati nelle mense scolastiche del Comune di Piacenza Capitolo 3 51 e di 30 altri comuni della provincia, nelle strutture ospedaliere provinciali, creando e sostenendo in modo continuativo la domanda a livello locale. A questo si aggiungono i consumi privati a cui contribuiscono in maniera sostenuta i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) organizzati sempre all’interno del territorio. I pasti forniti per la ristorazione ammontano a 2 milioni di pasti l’anno; il fatturato complessivo è prossimo a 5 milioni di euro. La garanzia di un volume di domanda locale produce una serie di vantaggi per le aziende, che vanno dalla possibilità di pianificare attività ed investimenti sulla base di una quota di domanda non volatile alla minore difficoltà di accesso al credito. Dal punto di vista degli obiettivi ambientali del progetto, la localizzazione territoriale della domanda consente una notevole diminuzione dell’impatto dell’intera attività, a cominciare dalla riduzione delle emissioni per effetto della modalità di distribuzione delle merci con prodotti che non percorrono più di 30 km. La popolazione, a sua volta, gode in questo modo di diversi vantaggi, che comprendono prima di tutto la possibilità di accesso ad un’alimentazione sana fondata sul consumo di prodotti freschi, di qualità e privi di residui chimici, ma anche i benefici che si collegano agli effetti meno diretti come suolo e falde acquifere meno inquinate dai residui chimici e un’atmosfera in cui circola una quota minore di gas di scarico per effetto della politica di approvvigionamento a Km0. A questi si aggiungono i vantaggi economici, sociali e ambientali per le comunità del territorio collinare dove sono ubicate le attività di produzione e che, grazie al progetto, vedono incrementate qualità della vita e dei luoghi di lavoro, nonché la possibilità di godere di un paesaggio vivificato dall’attività agricola ecocompatibile, possibile risorsa per le attività turistiche. Aspetti innovativi ed interessanti Un approccio sistemico allo sviluppo dell’agricoltura biologica Affrontare in un’ottica sistemica le problematiche legate alla produzione, alla distribuzione e al consumo del settore agro-alimentare, costituisce un salto di qualità nel quadro dello sviluppo dell’agricoltura biologica. Negli ultimi vent’anni, l’agricoltura biologica in Italia - che ammette soltanto l’impiego di sostanze naturali -è arrivata ad attestarsi in una nicchia di mercato consolidata e oggi il Paese si colloca tra i primi 10 al mondo per estensione della superficie biologica, con 1,1 milioni di ettari nel 2011 (le aziende agricole biologiche sono concentrate in Sicilia, seguita dalla Calabria, mentre quelle di trasformazione sono localizzate soprattutto in Emilia-Romagna, seguita da Veneto e Lombardia). Se, tuttavia, è cresciuta la sensibilità riguardo alle tematiche della qualità dell’alimentazione, della salute sul lavoro, della salvaguardia del territorio, della biodiversità, del paesaggio, un’ulteriore crescita di questo settore produttivo incontra ostacoli legati a fattori economici e di competitività nel complesso del mercato agroalimentare. Un dato interessante, a tal proposito, è che i produttori rappresentano in Italia la quasi totalità degli operatori biologici certificati (89%), mentre in Paesi dove il consumo e le potenzialità commerciali dei prodotti biologici sono maggiori (come Francia e Germania), non ci sono solo i produttori, ma i preparatori raggiungono il 30% degli operatori; tuttavia in Italia si segnala nell’ultimo periodo il tentativo da parte delle imprese agricole di assicurarsi quote crescenti del valore dei prodotti biologici, coniugando attività di produzione e di trasformazione (figura mista che combina produttori e preparatori). In questo quadro, l’esperienza di BioPiace evidenzia le nuove possibilità di sviluppo che possono essere aperte da un approccio che punti a intervenire complessivamente, al livello di uno specifico territorio, sui meccanismi della filiera, sulla ricettività del tessuto sociale e sulle sinergie fra tutti gli attori interessati. L’accorciamento della filiera e il ruolo della domanda organizzata Il primo fattore strategico è l’accorciamento della filiera, attraverso la gestione diretta della distribuzione dei prodotti. La distribuzione costituisce una porzione ampia del prezzo finale dei prodotti agroalimentari ed è generalmente il terreno che vede i piccoli produttori in svantaggio rispetto alle grandi produzioni dell’agricoltura tradizionale per le minori possibilità di sfruttare economie di scala e potere negoziale che si riflettono nell’impossibilità di competere sul fronte dei prezzi e della diffusione del prodotto. Al contrario, una sua gestione diretta da parte dei produttori può risultare un fattore sufficiente a creare i margini economici necessari per migliorare la competitività sul prezzo e la posizione sul mercato, con conseguente possibilità di estendere volumi produttivi e di vendite, di realizzare economie di scala e di inserirsi in nuovi mercati. In questo senso il modello fondato sulla creazione di un soggetto collettivo in grado di colloquiare con il settore pubblico (mense scolastiche e ospedali) e con organizzazioni di consumatori privati è risultato vincente per la possibilità di organizzare porzioni consistenti di domanda e di approntare strategie di marketing mirate. Una buona capacità di sfruttare le specificità del progetto per misurarsi con il mercato Un ulteriore fattore di successo di BioPiace è individuabile nella scelta di dotarsi di una struttura leggera che svolge le sole attività fondamentali di amministrazione, gestione finanziaria e controllo qualità, esternalizzando ogni altra attività di servizio relativo alle produzioni commercializzate. L’opzione consente di mantenere estremamente ridotti i costi fissi che pesano con continuità sul bilancio complessivo e incidono sui prezzi finali dei prodotti. Il mantenimento di livelli di prezzo altamente competitivi a fronte di un rapporto ottimale con qualità e freschezza dei prodotti ha consentito di aggiungere altri due elementi di grande importanza strategica per il successo e la sostenibilità 52 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile dell’iniziativa. In primo luogo, l’attrattività dell’offerta ha permesso di allargare lo spettro della clientela che include aziende di ristorazione, grossisti, distributori, oltre alle già citate amministrazioni pubbliche e i consumatori privati singoli ed associati, conferendo maggiore sicurezza di sbocco per la produzione. In secondo luogo e anche a fronte dell’ampio ventaglio di clientela, è stato possibile mettere a frutto il vantaggio legato alla struttura consorziata di piccoli produttori, ognuno in grado di offrire diverse vocazioni e specializzazioni produttive e, quindi, di massimizzare la differenziazione dei prodotti con conseguente maggiore solidità rispetto alle imprese monoprodotto o monosettore, e maggiore appeal sul mercato, anche grazie alle possibilità offerte dalla costruzione di una piattaforma distributiva multi-prodotto. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Una risposta alla sfida dei processi di inurbamento e di degrado degli ambienti rurali e periurbani Un effetto che si può considerare universale dei processi di globalizzazione economica e culturale è il mutamento sul piano delle filiere agro-alimentari (e in modo analogo delle produzioni artigianali), da un lato, e dei rapporti fra città e campagna, dall’altro. Le produzioni agricole locali, tipiche, di qualità, cedono terreno ai prodotti dell’agricoltura industriale; le culture alimentari, anche nei Paesi poveri, risentono dell’inquinamento culturale derivante dall’industria alimentare globale; questi processi sono legati da rapporti di causa ed effetto agli squilibri crescenti nelle relazioni fra città e metropoli in espansione e le campagne che trovano nuove difficoltà nell’accesso ai mercati urbani per i propri prodotti. Malgrado le specificità del territorio piacentino, BioPiace rappresenta un modello di alto valore per gli spunti che offre in tema di costruzione di politiche locali di sviluppo sostenibile. L’esperienza presenta del resto aspetti ampiamente utilizzabili in altri contesti, a cominciare dall’approccio sistemico su scala territoriale. Intervenire separatamente, soltanto su alcuni elementi del complesso di fattori citato sopra, non è sufficiente a interrompere i complessi processi di degrado in corso. Al contrario, l’organizzazione in consorzi di produttori e il coinvolgimento di diversi attori in un progetto territoriale sistemico possono delineare un modello a cui guardare con interesse in vari contesti. Un tema di riflessione è, in questo senso, anche la ricerca di modelli di sviluppo territoriale che non rafforzino i processi esistenti di concentrazione attorno alle città e alle metropoli. L’esperienza di BioPiace offre utili spunti per un approccio orientato su queste tematiche, sia rispetto alla struttura generale del suo progetto, sia rispetto a specifici fattori di successo come alcuni dei punti specifici della sua strategia. Le specificità strategiche territoriali Nel riflettere sul valore “esterno” dell’esperienza non va dimenticato come il Consorzio si sia sviluppato in un contesto favorevole: un territorio caratterizzato da un’antica cultura di partecipazione comunitaria alla gestione e alla cura delle risorse locali, di qualità della vita, di innovazione sociale ed economica, e oggi particolarmente ricettivo riguardo ai temi della qualità del cibo e della salvaguardia dell’ecosistema. La diffusione di aziende biologiche nel territorio è sensibilmente più alta della media nazionale. Infine, fra le precondizioni di successo va ricordato che qui non si ha la presenza di criminalità organizzata che in alcune zone del Paese condiziona marcatamente il settore agricolo. Tuttavia, come appena sottolineato, è soprattutto nell’approccio generale dell’esperienza che vanno primariamente ricercati gli elementi con valore esemplare. Si tratta come già menzionato, soprattutto delle possibilità di valorizzazione delle aree agricole, creando delle condizioni per stringere saldamente il loro rapporto con le parti urbanizzate del territorio di cui fanno parte. Gli altri fattori di successo dell’iniziativa rappresentano singolarmente spunti di riflessione, da analizzare in modo molto approfondito in funzione delle variabili di contesto. Si tratta ad esempio delle linee strategiche adottate e dei loro sviluppi, delle metodologie con cui sono state affrontate le sfide della coesione fra stakeholder interni al Consorzio e nell’intero sistema territoriale, le formule utilizzate per motivare gli attori coinvolti e per mobilitare le risorse sociali e relazionali presenti sul territorio, fino al ruolo decisivo dei consumatori locali come attori in grado di orientare le scelte dei decisori politici. Capitolo 3 53 Capitolo 4 4.1 La gestione integrata delle risorse idriche: il progetto integrato RISMED 4.2 La Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative (SIDS EESLI) 4.3 Le alternative all’uso del fuoco in agricoltura: Amazzonia senza fuoco 4.4 La valorizzazione dei rifiuti plastici in Senegal 4.5 Il riscatto dei grani andini in Ecuador 4.6 Salinità in Iraq: gestione della salinità del suolo nell’area di Nassiriya 4.7 Il progetto 4Cities4Dev: il presidio Slow Food in Mauritania Capitolo 4 55 4.1 La gestione integrata delle risorse idriche: il progetto integrato RISMED : integrazione, partenariato territoriale, internazionalizzazione KEYWORD : risorse idriche e dissesto idrogeologico TEMA : contadini + imprenditori +autorità locali + comunità + ONG + ricercatori scientifici MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio INNOVAZIONE Per approfondire: M. Zupi (a cura di), Rapporto di valutazione strategica del Programma di sostegno alla cooperazione regionale nel Mediterraneo e nei Balcani (APQ), CeSPI, 2012 Di cosa si tratta Le premesse e la mission Quello della gestione e protezione dell’ambiente è un tema complesso, caratterizzato dall’interconnessione tra la dimensione locale e quella globale. In particolare, il bacino del Mediterraneo è un’area caratterizzata da un alto grado di interdipendenza tra i vari ecosistemi, che oggi si trovano ad affrontare problematiche ambientali comuni. In un tale contesto, la cooperazione deve perseguire due obiettivi primari e potenzialmente contrapposti, ovvero il sostegno allo sviluppo economico e sociale delle comunità e la tutela delle risorse ambientali comuni. Tali sfide sono state raccolte, insieme a molte altre, dal Programma di Sostegno alla Cooperazione Regionale promosso nel 2004 dal MAE e finanziato dal MISE mediante fondi CIPE-FAS (Fondo Aree Sottosviluppate). Il Programma è strutturato nei due Accordi di Programma Quadro (APQ) per i Balcani occidentali e per il Mediterraneo, ed ha identificato e finanziato iniziative e progetti di cooperazione decentrata orientati a stabilire o rafforzare il partenariato territoriale nelle due aree geografiche di elezione. L’intervento si è posto quale obiettivo primario il rafforzamento del sistema Italia e, in particolare, della sua capacità di relazionarsi coi nuovi strumenti europei per la promozione della cooperazione di prossimità e di preadesione, favorendo in tal modo l’accrescimento delle competenze e delle capacità di tutte le regioni italiane (e in particolar modo di quelle del Mezzogiorno) di fare cooperazione e promuovere l’internazionalizzazione del proprio territorio. Contemporaneamente, il Programma ha promosso una logica sinergica di azione da parte del “sistema Italia”, favorendo l’interscambio e la collaborazione tra le Regioni italiane, che hanno condiviso la propria esperienza e i propri interessi allo scopo di costruire una strategia di intervento comune nel bacino del Mediterraneo. L’azione promossa dal Programma non ha tuttavia trascurato l’attenzione ai bisogni e alle aspettative dei diversi Paesi partner coinvolti, allo scopo di garantire stabilità, sostenibilità e pariteticità del partenariato in via di realizzazione. In particolare, la partecipazione delle autorità regionali mirava a favorire il processo di decentralizzazione (già in atto in molti dei Paesi partner dell’iniziativa) e le innovazioni istituzionali, e a rafforzare la governance territoriale in questi Paesi. Le realizzazioni Nel complesso, si tratta di un intervento articolato, che ha coinvolto oltre cento entità tra enti attuatori italiani e partner nei territori mediterranei e balcanici interessati; sono stati messi a diposizione circa 23 milioni di euro (15 milioni di euro nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, 8 milioni nei Paesi dei Balcani occidentali) per il finanziamento di progetti che hanno coinvolto, nel corso degli ultimi sei anni, il sistema delle regioni italiane su cinque linee tematiche d’intervento: sviluppo socio-economico, trasporti e logistica, ambiente e sviluppo sostenibile, dialogo e cultura, sanità e welfare. Con particolare riferimento ai temi ambientali, gli interventi si sono concentrati intorno a due priorità condivise da tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo: la gestione sostenibile delle risorse idriche e la prevenzione del rischio idrogeologico. 56 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Due temi di particolare rilievo e gravità in Italia oltre che nei Paesi partner Nel caso delle risorse idriche, è sufficiente scorrere il Rapporto “Ambiente Italia” 2012 di Legambiente e Istituto Ambiente Italia: se l’Italia abbonda di risorse idriche, con 2.800 metri cubi pro-capite l’anno, tuttavia ci sono problemi di scarsità idrica d’estate, sia al sud che al nord, con una disponibilità reale che, ad esempio, in Puglia è poco più di un decimo di quella nel Nord-est. Il settore agricolo, con un’irrigazione basata su tecniche inefficienti, è di gran lunga il principale utilizzatore d’acqua (20 miliardi di metri cubi l’anno), ma anche il settore civile (9 miliardi), l’industria (8 miliardi), la produzione di energia (5 miliardi) sono responsabili del prelievo eccessivo e dei conseguenti problemi di qualità delle acque superficiali e sotterranee, con problemi di scarichi inquinanti civili e industriali e depuratori mal funzionanti. Nel caso del rischio idrogeologico, si tratta di un problema strutturale e grave per tutto il Paese, come mostrano i dati più recenti: 6.633 comuni presentano aree a rischio idrogeologico, ovvero l’82% del totale, con una concentrazione particolarmente elevata in Calabria, Basilicata, Molise, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio, ma anche Liguria e Marche (99% dei comuni a rischio) e Lazio e Toscana (98%). In pratica, circa il 9,8% del territorio nazionale e oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni. Nell’ambito dell’APQ Mediterraneo, il Progetto Integrato RISMED (linea tematica 2.3: Ambiente e Sviluppo Sostenibile) ha agito in particolare sul primo di questi due temi, coinvolgendo le regioni Basilicata (regione RUP – Responsabile Unico di progetto), Abruzzo, Piemonte, Campania, Puglia e Sardegna. Le attività si sono svolte nel periodo 2009-2011, e il tema della gestione delle risorse idriche è stato declinato in modo differente nei tre sub-progetti in cui si è strutturato l’intervento: • Il sub-progetto PUER è stato realizzato coerentemente con la politica di sviluppo sulla gestione delle risorse idriche adottata dal governo egiziano. L’intervento ha portato alla realizzazione di una rete di distribuzione di acqua potabile nel villaggio di Tenth of Ramadan (Governatorato di Port Said), fornendo inoltre mezzi ed attrezzature all’associazione degli agricoltori dell’area al fine di incrementare le produzioni ed ampliare la gamma di colture. Infine, con la partecipazione della controparte egiziana, il Ministero delle Risorse Idriche e dell’Irrigazione (MWRI), è stata realizzata una stazione di pompaggio centralizzata ed è stata creata un’associazione di utenti di acqua irrigua, con un risparmio in termini di combustibile e costi di gestione. • Il sub-progetto CHAECO ha accompagnato la Regione Chaouia Ouardigha in Marocco nella riqualificazione delle aree industriali, ponendo in particolare attenzione alla promozione di una nuova gestione delle risorse idriche grazie all’avvio di un programma di monitoraggio dei reflui prodotti dall’industria da destinare a fini irrigui e ad azioni di sensibilizzazione della comunità locale ad un uso sostenibile della risorsa. Il sub-progetto ha inoltre accompagnato le istituzioni marocchine nell’introduzione della prima normativa in materia ambientale varata nel Paese. È stato infine attivato un meccanismo di finanziamento per investimenti a carattere ambientale destinato alle imprese marocchine, anche con lo scopo di attivare un flusso commerciale di tecnologie sostenibili tra Italia e Marocco. • Il sub-progetto WALL ha sviluppato studi e azioni congiunte sul territorio tunisino e sui territori regionali italiani allo scopo di favorire il contenimento del rischio idrogeologico nelle aree a rischio di desertificazione (governatorato di Nabeul e Kairouan), attraverso il recupero di zone agricole marginali e lo scambio di conoscenze tradizionali sul miglior utilizzo della risorsa idrica. Il sub-progetto è stato articolato lungo due linee d’intervento: la prima focalizzata sul ripristino degli equilibri idrodinamici delle falde sotterranee, la seconda sulla mitigazione del degrado dei suoli attraverso il ripristino di tecniche tradizionali di utilizzo della risorsa idrica e la loro diffusione come “buone pratiche” nella lotta alla desertificazione. Aspetti innovativi ed interessanti Partenariato e governance L’approccio suggerito dal Programma è certamente innovativo e la sua peculiarità è in gran parte riconducibile al tentativo ambizioso di coniugare la logica dei fondi FAS con quella della cooperazione, cercando quindi di perseguire obiettivi “interni” (l’accrescimento delle capacità delle Regioni e il rafforzamento del “sistema Italia”) e obiettivi “esterni” (il rafforzamento del partenariato territoriale e del networking internazionale e il miglioramento della capacità di governance nei Paesi partner). In una tale ottica, il Programma ha promosso anche l’adozione di un approccio inedito ai temi dell’internazionalizzazione, con l’abbandono parallelo del tradizionale unilateralismo che caratterizza i processi di cooperazione allo sviluppo (quasi sempre volti a promuovere esclusivamente lo sviluppo dei Paesi partner), a favore del perseguimento di vantaggi e benefici comuni, grazie anche all’attivazione degli attori economici italiani all’interno di reti territoriali transnazionali che permettano di avviare processi di internazionalizzazione delle nostre imprese. Sul piano istituzionale, a queste peculiarità corrispondono altrettante innovazioni di carattere organizzativo, a partire dalla compartecipazione del Ministero Affari Esteri e di quello per lo Sviluppo Economico, che ritrae anche simbolicamente la nuova prospettiva di azione promossa dall’intervento e che si è rivelata essere uno degli elementi fondamentali nel contribuire ai positivi risultati raggiunti sul piano immateriale del rafforzamento della capacità istituzionali: infatti, la Capitolo 4 57 presenza dei due Ministeri durante la fase di implementazione degli interventi ha incoraggiato le amministrazioni centrali dei Paesi partner (soprattutto quelli della sponda sud del Mediterraneo) a collaborare attivamente, ed ha in questo modo concorso in maniera determinante al superamento delle difficoltà generate dalla mancanza di enti locali omologhi alle Regioni italiane in questi Paesi. Un nuovo meccanismo Il particolare impianto del Programma ha permesso di mettere in atto un originale meccanismo per rafforzare le capacità delle Regioni, che per la prima volta si sono trovate a lavorare insieme, elaborando strategie condivise, coordinandosi a livello operativo grazie a diversi meccanismi e strumenti, di cui sono esempi i tavoli e i consorzi interregionali, l’intensificazione di rapporti non formalizzati tra i vari enti regionali, ma anche la creazione, in chiave strategica e di coordinamento, di un Comitato Partenariale di Indirizzo e Monitoraggio (CIM), con la partecipazione di amministrazioni regionali, Ministero Affari Esteri e Ministero per lo Sviluppo Economico. Il partenariato territoriale Un altro importante punto di forza del Programma è stata l’azione volta al rafforzamento del partenariato territoriale; i processi sviluppati nell’ambito del progetto integrato RISMED sono stati caratterizzati da una particolare attenzione rivolta alla creazione di consorzi regionali estesi sul territorio italiano che, coinvolgendo le regioni italiane del Nord depositarie di competenze e di esperienza nel campo della cooperazione tra territori, permettessero di valorizzare reti partenariali già consolidate, eccellenze e competenze territoriali. È stato questo il caso di Environment Park in Marocco (sub progetto CHAECO) e di IAMB in Egitto (sub progetto PUER). Gli enti attuatori sono stati sostenuti dalle amministrazioni regionali, che attraverso questo processo hanno migliorato la loro capacità di gestione e coordinamento di reti complesse transterritoriali. Gli spazi dati al coordinamento hanno offerto inoltre un’interessante prospettiva di sostenibilità nel tempo, favorita anche dal lungo periodo di interazione intercorso dalla formulazione dei primi progetti alla loro implementazione e chiusura, che ha permesso l’instaurarsi di legami stabili tra le varie amministrazioni regionali, e ha portato diverse regioni italiane ed alcuni dei territori partner a partecipare congiuntamente a bandi per il finanziamento di attività di cooperazione transfrontaliera in ambito IPA ed ENPI. Con particolare riferimento alle attività della linea tematica “Ambiente e sviluppo sostenibile” e al progetto integrato RISMED, la Regione Basilicata ha creato una piattaforma informatica per la progettazione e la messa a sistema delle idee provenienti dagli enti attuatori e dai partner locali; inoltre, insieme all’Università della Basilicata e all’ENAS Sardegna, che hanno collaborato nell’ambito del sub-progetto CHAECO, prevede la prossima presentazione di un’iniziativa congiunta a valere sui fondi ENPI. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Lo sviluppo di un sistema reticolare di conoscenze e capacità Perché la cooperazione tra territori possa effettivamente favorire l’avvio di un processo di sviluppo del tessuto sociale che sia sostenibile nel tempo, è imprescindibile porre attenzione alla capacità dei singoli territori di diffondere una cultura dello sviluppo e allo stesso tempo di agire in sinergia, creando reti sistemiche. In una tale ottica, la riproposizione delle forme classiche della cooperazione internazionale, adattate alla differente scala degli interventi, non è una soluzione auspicabile: è necessario elaborare modalità innovative per agire sul territorio e per mobilitare gli attori prima esclusi dai processi innescati dalla cooperazione internazionale, contribuendo in tal modo allo sviluppo della capacità di governance del territorio da parte degli organismi responsabili dell’elaborazione delle politiche, valorizzando la funzione e il servizio di coordinamento che le amministrazioni pubbliche sono chiamate a svolgere. È sul piano locale e delle specificità territoriali che si affrontano le sfide della sostenibilità, ma è attraverso una strategia di partenariato forte all’interno e tra territori - recuperando le opportunità che la globalizzazione offre di mettere al centro i beni pubblici globali - che tali sfide possono essere vinte. Un approccio al partenariato mediterraneo Il Programma di Sostegno alla Cooperazione Regionale ha avuto il merito di proporre un inedito approccio alla cooperazione tra territori, attento non solo alla creazione della rete partenariale ma anche all’ampliamento delle conoscenze e delle capacità di ciascun territorio di relazionarsi con le nuove sfide poste da un contesto come quello del bacino mediterraneo, caratterizzato dalle grandi trasformazioni in atto (in particolare, i processi di rinnovamento e cambiamento istituzionale e politico avviatisi in seguito alla “primavera araba”) e dalle spinte a ripensare la strategia macro-regionale europea nell’area. Infatti, se la cooperazione transfrontaliera dell’UE considera alcune regioni italiane eleggibili per la partecipazione al Programma IPA ed altre per l’ENPI CBC, si è visto che i due Accordi di Programma Quadro hanno invece favorito la creazione di un sistema integrato, all’interno del quale l’insieme delle Regioni ha operato sinergicamente in entrambe le aree di intervento. Questo approccio a una governance globale della regione è sempre più rivalutato in ambito europeo (si pensi alla discussione in corso presso il Parlamento Europeo, che potrebbe condurre nel lungo periodo alla creazione di un’unica grande macroregione mediterranea): in una tale prospettiva, il Programma potrebbe rappresentare un precedente interessante per orientare le future azioni di cooperazione territoriale nell’area. 58 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile La previsione di cinque linee tematiche di interesse prioritario per l’UE (tra cui quella su “ambiente e sviluppo sostenibile” e quella relativa alle “interconnessioni materiali e immateriali”) ha favorito il rafforzamento della coerenza dell’operato delle Regioni con la programmazione europea e le strategie nazionali nell’area del Mediterraneo e dei Balcani; inoltre, ha facilitato il coordinamento e la complementarità con le altre iniziative italiane ed europee presenti nell’area di intervento, rafforzando le previsioni di sostenibilità dei risultati ottenuti, grazie alla possibilità di utilizzare il network internazionale creato o rafforzato dal Programma per la partecipazione alla nuova programmazione europea nell’area. Un sistema multiattoriale e integrato L’approccio innovativo presentato dal Programma incoraggia la diffusione di un nuovo sistema di relazioni con il settore privato, teso a coniugare le istanze relative alla cooperazione con quelle dell’internazionalizzazione dei territori, grazie alla partecipazione degli attori economici alla costruzione e al rafforzamento del processo di networking avviato. Processi di questo tipo favoriscono la comunicazione tra i settori pubblico e privato, con beneficio soprattutto per le PMI che possono in tal modo inserirsi all’interno di una rete che offre nuove prospettive di sviluppo. La valorizzazione e l’inserimento degli attori economici all’interno del circuito cooperativo e la formulazione di interventi di cooperazione territoriale realmente inclusivi, che mobilitano tutti i soggetti del territorio allargandone l’orizzonte strategico e tematico, sono questioni che rivestono un particolare interesse per la definizione di nuovi approcci alla cooperazione territoriale per lo sviluppo sostenibile. C’è un altro elemento chiave che ha permesso al Programma nel suo complesso di raggiungere risultati positivi in relazione al fondamentale asse della sostenibilità ambientale, sia in Italia sia nella maggior parte dei Paesi partner: la valorizzazione di reti partenariali transnazionali preesistenti si è accompagnata a tentativi di integrazione con le politiche nazionali dei Paesi partner. Come emerge dall’esperienza di PUER e di CHAECO, i sub-progetti si sono inseriti ove possibile all’interno dei processi nazionali di riforma legislativa e di programmazione in materia ambientale, lavorando su tematiche e in aree che corrispondevano a priorità dei Paesi partner. L’integrazione è emersa come fattore fondamentale nel garantire la sostenibilità dei risultati raggiunti, grazie allo sviluppo di un dialogo proficuo che in alcuni casi ha contribuito alla definizione degli assi strategici nazionali, e che ha veicolato una visione innovativa della cooperazione tra territori: non solo opportunità di co-sviluppo a livello locale, ma anche strumento di indirizzo strategico e di programmazione condivisa tra il Mediterraneo e l’Europa. In una tale ottica, il Programma di Sostegno alla Cooperazione regionale costituisce un interessante esempio di una cooperazione tra territori che valorizza entrambe queste sue vocazioni (quella orientata allo sviluppo locale e quella volta all’integrazione macroregionale), riuscendo a proporsi come alternativa alla programmazione “dall’alto” e a ribadire la centralità del territorio quale attore fondamentale nei processi di trasformazione in atto. L’applicazione di questi meccanismi ad ambiti geografici e culturali tra loro differenti, quali quelli del Mediterraneo e dei Balcani, e nei differenti ambiti tematici rappresentati dalle cinque linee di intervento possono essere analizzati anche in relazione alla possibilità di un loro adattamento e di una loro riproduzione in contesti diversi da quello mediterraneo. Capitolo 4 59 4.2 La Pacific Energy, Ecosystems and Sustainable Livelihoods Initiative (SIDS EESLI) : politiche energetiche, ecosistemi insulari vulnerabili KEYWORD : energia/emissioni/biodiversità TEMA : donne + contadini + ricercatori scientifici + imprenditori + autorità locali MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio + processo INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/italiano/iniziative/Asia.asp Di cosa si tratta Le premesse e la mission Il programma EESLI è un’iniziativa pluriennale multi-donatori lanciata dall’Italia attraverso i Ministeri degli Esteri (MAE) e dell’Ambiente (MATTM), in collaborazione con l’International Union for Conservation of Nature (IUCN) e in partenariato con 14 Piccoli Stati Insulari in via di Sviluppo del Pacifico (PSIDS): Cook Islands, Fiji, Kiribati, Marshall Islands, Micronesia, Samoa, Solomon Islands, Nauru, Niue, Palau, Papua New Guinea, Tonga, Tuvalu, Vanuatu. L’iniziativa si iscrive in un processo di collaborazione internazionale che affronta i temi della conservazione del patrimonio naturale e dello sviluppo sostenibile negli ambienti insulari. Circa 600 mila esseri umani popolano le circa 175 mila isole presenti sulla superficie terrestre. Gli ecosistemi insulari ospitano più della metà delle specie marine conosciute, sette delle 10 principali barriere coralline, dieci delle 34 aree del mondo con maggiore tasso di biodiversità. Si tratta di ambienti estremamente fragili, dove la biodiversità corre i maggiori pericoli tanto che il 64% delle estinzioni è registrato in aree insulari. La sfida dello sviluppo sostenibile risulta ancora più complessa in ambienti altamente vulnerabili a causa della delicatezza degli equilibri che reggono sistemi isolati e di piccole dimensioni. La crescente pressione antropica unita agli effetti del cambiamento climatico rappresenta una seria minaccia per la sopravvivenza dei sistemi insulari. Gli arcipelaghi di piccole isole vedono sovrapporsi i rischi di innalzamento del livello degli oceani, scarsità di acqua dolce, degrado dei suoli, inquinamento e contaminazione biologica uniti ai problemi di uno sviluppo che, in un sistema globalizzato, risente degli svantaggi legati all’isolamento dai mercati internazionali, nonché della debolezza delle infrastrutture e delle istituzioni che spesso caratterizza i piccoli Stati in via di sviluppo. Dal punto di vista istituzionale, inoltre, i piccoli Stati insulari sperimentano frequentemente le condizioni proprie degli Stati fragili, dove le variabili geografica, etnica e sociale aumentano le probabilità di conflitto fra componenti contrapposte della struttura statale, come può succedere nel caso di distribuzione della popolazione su più isole anche lontane fisicamente e culturalmente fra di loro. Il Programma EESLI e la Global Island Strategy La comunità internazionale ha da tempo avviato iniziative per il sostegno allo sviluppo sostenibile dei piccoli stati insulari. Il Programma EESLI si ispira a quanto elaborato a partire dalla conferenza internazionale svoltasi alle Isole Barbados nel 1994, dove i partecipanti si sono impegnati a supportare una piattaforma di sviluppo per i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (Small Island Developing States - SIDS). L’iniziativa mira a promuovere la crescita socio-economica dei Paesi partner nel rispetto dei loro sistemi naturali estremamente ricchi e fragili e coinvolge più di quaranta isole con popolazione oscillante dai 10 mila abitanti di Tuvalu ai 5 milioni di Papua Nuova Guinea. L’iniziativa si rifà a 14 punti prioritari fissati alle Barbados nel 1999: 1) controllo dei cambiamenti climatici e dell’innalzamento del livello dei mari; 2) creazione di sistemi di previsione dei disastri climatici e ambientali; 3) gestione dei rifiuti; 4) protezione delle risorse marine e costiere; 5) protezione delle risorse idriche; 6) protezione del suolo; 7) gestione delle risorse energetiche; 8) sviluppo di un turismo sostenibile; 9) protezione della biodiversità; 10) rafforzamento delle istituzioni e delle capacità amministrative; 11) 60 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile cooperazione regionale a livello istituzionale e tecnico; 12) miglioramento dei sistemi di comunicazione e dei trasporti; 13) ricerca scientifica e tecnologica; 14) sviluppo delle risorse umane. La Global Island Strategy, all’interno della quale si iscrive il programma, è un’iniziativa internazionale nata nel 2006 per promuovere l’azione sinergica e la coerenza di tutte le azioni per lo sviluppo sostenibile di stati insulari e, in particolare, dei SIDS. Gli assi di azione principali riguardano la gestione delle risorse naturali con un approccio sistemico e crosssectoral, l’institution e capacity building attraverso formazione formalizzata e training on the job e l’applicazione di sistemi di supporto ai processi decisionali, la collaborazione Sud-Sud e la condivisione di know-how, tecnologie e buone pratiche attraverso la costruzione di networks tecnico-scientifici regionali e globali. Il contributo della Cooperazione italiana La partecipazione italiana muove dall’interesse per un processo che permette di valorizzare e integrare con contributi e innovazioni elaborati in altre regioni del mondo le esperienze maturate dal nostro Paese nella gestione dei suoi tanti sistemi insulari, molti dei quali rappresentano elementi consistenti e importanti del patrimonio naturale nazionale. Già in occasione del Summit sullo Sviluppo Sostenibile tenutosi a Johannesburg nel 2002, la DGCS ha lanciato la propria iniziativa di partenariato in tema di sviluppo sostenibile delle isole che ha collegato regioni lontane come l’arcipelago di Soqotra nel Mar Rosso con le Galápagos nel quadro di un programma di sviluppo sostenibile e riduzione della povertà in ambienti insulari ad elevata biodiversità. Durante l’incontro di Mauritius del 2005 per la revisione decennale del Programma d’Azione varato alle Barbados, l’Italia in collaborazione con IUCN ha aperto il partenariato GalápagosSoqotra a tutti i SIDS, con l’obiettivo di creare un network internazionale per il loro sviluppo sostenibile in linea con quanto definito alle Barbados. Attraverso il Programma EESLI che coinvolge 14 SIDS del Pacifico, la Cooperazione italiana ha co-finanziato con circa 10 milioni di euro, una serie di progetti in campo energetico con il duplice obiettivo di favorire la diffusione di tecnologie pulite per la produzione di energia e il risparmio energetico e di promuovere l’institution e capacity building per lo sviluppo di politiche e strategie eco-sostenibili in campo energetico. Il tema energetico La politica energetica rappresenta un campo d’azione di grande impatto per lo sviluppo sostenibile delle piccole isole in generale e dei SIDS in particolare. È una dimostrazione del fatto che, per definizione, i temi della sostenibilità dissolvono di fatto i confini tra donatori e beneficiari e pongono tutti i partner di fronte alle sfide comuni: l’Italia per prima, come documenta il portale QualEnergia.it, conosce bene il problema energetico delle piccole isole (Tremiti, Egadi, Pelage, Pontine, Arcipelago toscano - Elba esclusa -, Ustica e Capri), che danno ospitalità a circa 47 mila residenti, non sono connesse alla rete nazionale e ottengono elettricità tramite gruppi elettrogeni alimentati a gasolio, che disperdono nell’ambiente circa i tre quarti dell’energia come calore refluo e producono rumore e fumi nocivi. Il paradosso è che tali sistemi, molto poco ecocompatibili, sono anche finanziariamente insostenibili e devono essere sussidiati, perché la tariffa elettrica di queste piccole isole è equiparata a quella sul Continente, facendo così pagare un conguaglio a tutti gli italiani tramite l’addizionale UC4 (62 milioni di euro per il 2011), contenuta nella componente A3 della bolletta elettrica. Nel caso dei SIDS, l’insularità e la dispersione della popolazione su arcipelaghi con distanze notevoli fra le singole isole comportano un aggravio notevole della bolletta energetica e di quella petrolifera in particolare, nonché notevoli disparità nell’accesso all’energia. Alla crescente pressione della spesa energetica sui bilanci statali si aggiungono altri pressanti problemi quali: a) i rischi ambientali associati al trasporto dei combustibili via mare; b) la resilienza degli impianti energetici rispetto alle frequenti minacce climatiche cui è soggetta la regione; c) i crescenti livelli di emissioni di gas serra associati all’uso di tali combustibili, in un contesto caratterizzato dall’elevata sensibilità al tema del cambiamento climatico e dell’innalzamento del livello dei mari; d) l’equo accesso all’energia da parte delle popolazioni locali. Le realizzazioni Le proposte di intervento sono state avanzate dai Paesi partner che, a loro volta, hanno raccolto idee progettuali provenienti dalle comunità locali. La selezione dei progetti finanziabili è stata condotta congiuntamente dai partner del progetto riuniti in un Joint Committee che comprende l’IUCN con un ruolo di garante del rigoroso aggancio dell’intero processo ai criteri di sostenibilità ambientale e di conservazione della fragile biodiversità delle piccole isole. La visione olistica e sistemica adottata affrontando il tema della riduzione della povertà e della conservazione degli ecosistemi ha guidato la scelta dei progetti, che ha avuto fra i punti cardine la costruzione del futuro energetico per i Paesi partner, valutando le possibili ricadute positive e concrete sulle economie nazionali e sulle condizioni di vita delle popolazioni locali. I progetti finanziati sono centrati sul tema della diffusione di tecnologie sostenibili per la produzione e il risparmio energetico e includono la componente di formazione per la gestione e la manutenzione delle tecnologie adottate. La scelta di utilizzare esclusivamente tecnologie testate, tralasciando progetti sperimentali, ha l’intento di massimizzare l’efficacia delle risorse utilizzate in termini di impatto sulla popolazione e sulle economie locali. Con lo stesso obiettivo, è stata mantenuta una notevole apertura per la scelta della tecnologia più appropriata ai singoli contesti, con un ruolo decisivo dei partner locali nel definire le opzioni più idonee. I ventidue progetti approvati, per un finanziamento totale superiore ai 10 milioni di dollari, comprendono 12 progetti finanziati direttamente dal MATTM e realizzati dai Paesi partner, 9 progetti finanziati dal MAE e realizzati in collaborazione Capitolo 4 61 con IUCN e un progetto regionale che ha visto anche la partecipazione del Comune di Milano. Circa il 47% delle risorse è stato utilizzato per finanziare interventi nel settore delle energie rinnovabili e principalmente per impianti fotovoltaici, cui sono destinati circa due terzi dell’intero importo, seguiti da biocarburanti per il trasporto, eolico e mini idroelettrico. Un ulteriore 15% dei fondi è stato utilizzato per progetti nel campo dell’adattamento al cambiamento climatico, un 11% per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e un 8% per la gestione delle risorse idriche. Gli aspetti interessanti Attenzione a concretezza e tangibilità: la piccola scala e le scelte tecnologiche Un aspetto più volte richiamato fra gli elementi di successo dell’iniziativa è la sua capacità di realizzazione di interventi concreti con risultati tangibili e immediatamente riconoscibili dalle popolazioni beneficiarie. Caratteristica che ha contribuito al riconoscimento del programma come best practice da parte delle Nazioni Unite e che si basa su alcuni fattori strutturali al programma. La scelta di operare su piccola scala, in stretto contatto con le comunità locali e mantenendo aperto lo spettro di opzioni tecniche adottabili ha probabilmente rappresentato uno dei principali elementi in grado di collegare la progettazione alle caratteristiche specifiche di ogni contesto locale, incrementando in questo modo le probabilità di incontrarne le esigenze e abbassando le possibilità di insuccesso per errori di progettazione. Il ruolo delle comunità locali La notevole apertura nella scelta delle soluzioni tecniche ha massimizzato la capacità del programma di rispondere alle esigenze e alle vocazioni del territorio. In questo senso, il processo di identificazione dei progetti prioritariamente finanziabili basato sulla raccolta di proposte formulate dalle comunità locali (bottom up) ha rappresentato un passo decisivo per arricchire il programma, variegando lo spettro delle opzioni esplorabili. Alla flessibilità nella scelta delle opzioni tecniche è stata poi affiancata una parallela flessibilità nella tipologia di intervento, articolatasi nei diversi progetti in finanziamento per l’acquisizione di tecnologia, assistenza tecnica, supporto istituzionale, capacity building, credito ai privati e alle imprese, formazione. La successione delle fasi, che ha visto spesso precedere l’indicazione delle esigenze dei beneficiari all’individuazione della soluzione tecnica e progettuale, è un ulteriore elemento che ha probabilmente contribuito ad accrescere il tasso di successo dei progetti in termini di effettivo miglioramento della qualità della vita delle popolazioni. A ciò si aggiunge la scelta, operata a monte, di basare ogni intervento su tecnologie ampiamente testate; scelta che si configura come ulteriore fattore che ha contribuito all’elevato tasso di traduzione in risultati concreti, permanenti e tangibili. L’innesco di processi di sviluppo di una Green Economy locale A quest’ultimo punto si collega un ulteriore elemento interessante del programma, rappresentato dall’impatto sull’economia locale di alcune delle attività. Sono numerose le indicazioni di effetti stimolanti sulla piccola imprenditoria che, anche grazie alla formazione tecnica associata all’introduzione di tecnologie e materiali, si sta rendendo protagonista dello sviluppo del mercato locale per alcuni comparti legati all’efficientamento energetico e alla produzione di energia. Lo stimolo allo sviluppo di un settore produttivo legato alla produzione di energia su piccola scala è un risultato particolarmente rilevante. L’accesso all’energia è un elemento importante per lo sviluppo umano ed economico locale. L’insularità comporta forti penalizzazioni in termini di costi infrastrutturali. La costruzione e il funzionamento delle reti di distribuzione dell’energia hanno, in molti casi, costi aggiuntivi proibitivi per i bilanci pubblici e che scoraggiano la partecipazione del settore privato. Nelle aree periferiche degli arcipelaghi la mancanza di fonti di energia garantita e a prezzi contenuti abbassa le possibilità di sviluppo di tutte le attività economiche, nonché la qualità dei servizi, inclusi i presidi sanitari e scolastici la cui efficienza e modernità dipende in buona misura dalla disponibilità di energia. La scarsa qualità e i costi relativamente più elevati della fornitura di energia elettrica sono uno dei principali fattori che determinano il digital divide sofferto dalle popolazioni delle piccole isole. È pertanto evidente come, in tale contesto, il raggiungimento dell’autosufficienza energetica rappresenti un passo particolarmente significativo per lo sviluppo, moltiplicando le opportunità di avvio di attività economiche, aprendo la possibilità di modernizzare con nuove tecnologie i servizi e le attività domestiche ed emancipando molte delle attività quotidiane dai vincoli legati alla limitata disponibilità di illuminazione. Il significato strategico per la Cooperazione italiana Non è, infine, da dimenticare come attraverso questo impegno pluriennale, caratterizzato fortemente dal profilo regionale, la cooperazione italiana abbia compiuto un passo importante per proporsi come partner per i Paesi della regione del Pacifico. Il possibile ruolo privilegiato sul tema specifico dello sviluppo sostenibile e della crescita della Green Economy in ambienti insulari, che l’Italia potrebbe assumere anche alla luce di un possibile collegamento fra soluzioni sviluppate a livello nazionale e cooperazione internazionale con i SIDS, conferisce all’intera iniziativa un respiro strategico considerevole per la politica di cooperazione italiana in aree geografiche non tradizionalmente oggetto di intervento. 62 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Una rete internazionale per lo sviluppo sostenibile dei sistemi insulari L’apprezzamento e la buona visibilità raggiunta dal programma costituiscono una base interessante per ulteriori sviluppi dell’approccio e per un approfondimento del ruolo dell’Italia sul tema specifico dell’insularità e dello sviluppo sostenibile delle piccole isole, principale contenuto strategico dell’iniziativa. Si può ricordare, a riprova di ciò, l’importanza ad esempio di: (1) il Patto delle Isole, un progetto pilota cofinanziato dalla Commissione europea (Direzione Generale dell’Energia) per la definizione di un approccio innovativo con cui “aggredire” le criticità delle isole europee in materia di politica energetica, che vede la partecipazione della Sardegna; (2) il Patto dei Sindaci, il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei loro territori, che vede la partecipazione delle isole italiane; (3) il fatto che la Regione Sardegna detenga la presidenza della Commissione delle Isole dell’Assemblea generale della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime (CRPM) e la vicepresidenza della Commissione Intermediterranea. Un primo punto da cui partire è, dunque, l’integrazione del programma all’interno del più ampio processo di messa in rete delle iniziative internazionali con focus sullo sviluppo sostenibile delle comunità insulari. In questo senso, sono in primo luogo valorizzabili i risultati raggiunti in termini di rafforzamento delle relazioni istituzionali con i Paesi partner con i cui governi sono stati avviati processi di collaborazione efficaci non solo ai fini della riuscita del programma, ma soprattutto per il rafforzamento del lavoro di messa in rete delle esperienze, di collaborazione fra Stati della stessa regione e da questo alla collaborazione globale intra- e interregionale fra Stati insulari. Le potenzialità di sviluppo della collaborazione regionale fra i partner Il buon livello di collaborazione raggiunta sia a livello interministeriale all’interno dei governi dei Paesi partner sia fra le istituzioni competenti per l’ambiente e i cambiamenti climatici dei 14 Paesi partner nel partecipare direttamente alla fase di progettazione e implementazione degli interventi, alle attività di capacity development e allo sviluppo delle policy, è un asset particolarmente importante che è stato sviluppato a partire dal disegno del programma con i partner attivi sia a livello tecnico sia a livello decisionale e politico. I primi segnali delle potenzialità di sviluppo delle attività in rete a partire da questa esperienza sono già visibili, come dimostrano sia i processi di mutua assistenza tecnica avviatisi fra i partner, sia i primi scambi di informazioni con aggregazioni di SIDS di altre regioni. La logica multilivello e le possibilità di allargamento multidirezionale della rete Un secondo punto su cui il programma fornisce importanti spunti è la possibilità di allargare anche in senso verticale la rete di relazioni, collaborazioni e canali di riproducibilità che si è andata creando parallelamente allo sviluppo delle attività del programma. Il significativo radicamento dell’iniziativa sui territori di intervento, che per primi si sono resi protagonisti muovendo la fase di progettazione con le centinaia di proposte sottoposte al vaglio del programma, rappresenta un segnale di grande rilevanza e uno spunto che va colto. La possibilità di attivare e sfruttare relazioni multilivello – sia di tipo verticale nello stesso Paese, sia “diagonali” fra i diversi livelli dei diversi Paesi – che coinvolgano i diversi piani istituzionali e, conseguentemente attori territoriali di diversa dimensione, si presenta come uno dei fulcri di un possibile allargamento tematico e territoriale dell’esperienza. Oltre, infatti, al già avviato allargamento orizzontale di alcuni contenuti dell’esperienza ad altre regioni che come i Caraibi presentano caratteristiche simili a quelle dell’area di sviluppo del programma, esistono possibilità di sviluppo nella creazione di spazi di comunicazione e collaborazione verticali fra realtà degli stessi Paesi beneficiari – come in parte già verificatosi nella definizione e implementazione dei progetti concreti nel settore energetico – ma anche dei Paesi donatori e, trasversalmente ai livelli e ai Paesi, fra realtà subnazionali e nazionali. Un tale processo consentirebbe di fare leva, da una parte su motivazioni, sensibilità e spinte progettuali maggiori perché ancor più radicate nei territori, dall’altra su un più ampio spettro di esperienze e know how, maturati con crescente adesione al contesto e maggiormente calibrati in termini dimensionali. È evidente ad esempio come siano numerose le indicazioni, anche nel caso delle piccole isole italiane, delle capacità di molte comunità locali di sviluppare policy specifiche per le peculiarità degli ambienti insulari facendo leva su conoscenze e saperi locali e sul rapporto diretto fra popolazione e autorità del territorio. Naturalmente, tali vantaggi sarebbero ulteriormente avvalorati lavorando per una effettiva e crescente collaborazione paritetica fra Paesi e livelli istituzionali, secondo un concetto di rete priva di gerarchia fra i nodi che la costituiscono, dove, cioè, si procede indebolendo e superando le differenziazioni precostituite fra donatori e beneficiari, fra livelli regionali, nazionali e subnazionali e fra le diverse tipologie di attori coinvolti, siano essi del settore pubblico, privato o no profit. Capitolo 4 63 4.3 Le alternative all’uso del fuoco in agricoltura: Amazzonia senza fuoco : agricoltura, pascoli, incendi, deforestazione, biodiversità KEYWORD : pratiche alternative all’uso del fuoco in agricoltura e nell’allevamento del bestiame TEMA : contadini + comunità (indigene) + autorità locali + ricercatori scientifici + ONG MAJOR GROUPS : ambientale ASSET : processo INNOVAZIONE Per approfondire: http://utlamericas.org/programmi-e-progetti/area-ambientale/progetto-amazzonia-senza-fuoco/ : Di cosa si tratta Le premesse e la mission In uno dei sette Paesi più ricchi al mondo di biodiversità, la Bolivia, è in atto un fenomeno di deforestazione di enorme impatto. Una delle cause sono le pratiche agricole e pastorali ancestrali, comunemente utilizzate in tutta la regione amazzonica, che prevedono l’uso del fuoco con conseguenze negative per la salute delle comunità locali e per l’ecosistema naturale. L’uso del fuoco, “il chaqueo”, è erroneamente considerato una pratica efficace sia per il rinnovamento della vegetazione, grazie alla pulizia della terra e all’eliminazione di residui, sia per l’aumento della produttività dei terreni, grazie all’incorporamento di nutrienti nel suolo. Si tratta di pratiche tradizionali cui ricorrono contadini e pastori: i primi per preparare i terreni alla nuova semina, i secondi per favorire la rinascita dei pascoli in modo che siano disponibili per l’alimentazione dei capi di bestiame. Il fenomeno, non adeguatamente controllato e largamente utilizzato anche in virtù dei suoi bassi costi, sta generando gravi impatti in termini di distruzione della biodiversità del Paese, contaminazione delle acque e dell’aria con relative ripercussioni sulla salute delle comunità locali e sta contribuendo al riscaldamento globale e quindi ai cambiamenti climatici. Il programma Amazonia sin Fuego, avviato in Bolivia dalla Cooperazione italiana a gennaio 2012, si pone l’obiettivo di ridurre l’incidenza di incendi nella regione amazzonica boliviana mediante l’introduzione di pratiche alternative all’uso del fuoco che possano contribuire alla tutela dell’ambiente e al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali. Il programma si avvale dell’esperienza decennale di cooperazione bilaterale tra Italia e Brasile, realizzatosi tra il 1999 e il 2009, che su questa stessa tematica ha raggiunto risultati estremamente rilevanti in termini di riduzione degli incendi nella regione amazzonica brasiliana. In alcuni municipi brasiliani interessati dal programma si è infatti registrata una riduzione degli incendi di circa il 90%; inoltre il programma ha favorito in Brasile l’adozione di una politica pubblica di gestione degli incendi. La strategia e le azioni Il programma Amazonia sin Fuego in Bolivia è realizzato e finanziato dalla Cooperazione italiana attraverso un’iniziativa a dono gestita direttamente dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) in partenariato con l’Agenzia Brasiliana di Cooperazione (ABC), il Ministero dell’Ambiente e Acqua Boliviano e il Banco de Desarollo de America Latina (CAF), che, in misura e con ruoli differenti, sono a loro volta esecutori e finanziatori di alcune componenti dell’iniziativa. L’iniziativa riguarda 39 comuni dei dipartimenti di La Paz, Beni, Pando, Cochabamba e Santa Cruz, e deve essere realizzata in un arco temporale di tre anni. La strategia di intervento è incentrata prevalentemente su attività di formazione e di costruzione di alleanze strategiche con i vari stakeholder (dipartimenti istituzionali, municipalità, associazioni di contadini, ONG, leader comunitari, singole comunità e singoli contadini). Seguendo un approccio per fasi, l’iniziativa si pone l’obiettivo di promuovere gradualmente l’uso in agricoltura di 64 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile pratiche alternative al fuoco, modificando così metodi e tecniche agricole ancestrali. In una prima fase, l’intervento si concentra sulla problematica del controllo dei fuochi: è erogata una formazione tecnica alle “brigate comunitarie” incaricate di gestire le attività di controllo dei fuochi ed adeguatamente equipaggiate a questo fine. Successivamente si propongono formazioni specifiche volte alla diffusione di pratiche agricole alternative all’utilizzo del fuoco. Questo rappresenta l’ambito principale di azione del progetto, attraverso cui si promuove una diversa cultura tra contadini e pastori, sensibilizzandoli sulla necessità di adottare comportamenti che tutelano l’ambiente e, allo stesso tempo, assicurano loro attività redditizie per l’agricoltura e l’allevamento. Alla formazione si affianca l’attività di sperimentazione in unità dimostrative su appezzamenti di terra di circa due ettari ciascuno che permette di illustrare i vantaggi di una gestione agricola basata su pratiche agroecologiche sostenibili, come ad esempio l’utilizzo delle leguminose e la rotazione colturale. L’intervento non si limita ad attività puntuali di formazione e diffusione di tali pratiche, ma si pone l’obiettivo di consolidarne l’utilizzo e la promozione attraverso la definizione di protocolli municipali che assicurano la sostenibilità dell’iniziativa anche dopo la sua conclusione e che pongono le premesse necessarie per eventuali interventi legislativi in materia. Aspetti innovativi ed interessanti L’integrazione fra risposta all’emergenza e promozione di sviluppo sostenibile Amazonia sin fuego si caratterizza, in primo luogo, per un approccio integrato che riesce a coniugare attività di emergenza nel breve termine, volte ad arginare il fenomeno degli incendi incontrollati che sta distruggendo l’ecosistema naturale, e attività di sviluppo che nel lungo periodo sensibilizzano e formano le comunità e le istituzioni locali all’adozione di pratiche sostenibili nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento. È interessante rilevare come questo intervento, partendo da una problematica prevalentemente ambientale, è in grado di incidere efficacemente sul tema più ampio della lotta alla povertà nello Stato boliviano. Si tratta, cioè, di un’azione che attraverso l’adozione di pratiche alternative all’uso del fuoco, non solo tutela l’ambiente e preserva il patrimonio naturale di immane valore nella regione amazzonica, ma fornisce opportunità di incremento del reddito delle attività agricole e pastorali aggiornando le conoscenze e le competenze delle comunità contadine locali. La metodologia partecipativa e il consenso istituzionale Un elemento che ha contribuito in modo decisivo alla buona riuscita del progetto è stata l’adozione di un’articolata strategia volta a massimizzare il grado di appropriazione delle tematiche e degli obiettivi da parte di tutti gli attori che a vario titolo hanno interessi in gioco. La partecipazione degli stakeholders è stata stimolata e sviluppata attraverso una metodologia strutturata in più fasi. Una prima sequenza di passaggi è stata centrata sulla ricerca del consenso istituzionale ai diversi livelli locali. Con questa finalità, le principali strutture operative del progetto sono state dislocate direttamente nelle zone di intervento, così da assicurare un reale rapporto di prossimità con le comunità e le istituzioni locali. In una seconda fase, è stata coinvolta direttamente la popolazione rurale, la cui partecipazione nella definizione delle aree di intervento e nella realizzazione delle attività è risultata decisiva per il raggiungimento dei risultati. Il coinvolgimento attivo di tutti i livelli ha permesso in questo modo di ottimizzare la selezione delle unità dimostrative con il contributo diretto degli agricoltori, mentre il coinvolgimento dell’istituzione locale ha un peso rilevante per la sostenibilità futura dell’iniziativa, ad esempio attraverso la definizione dei protocolli municipali. L’effetto dinamico delle soluzioni adottate L’aspetto più innovativo di questa iniziativa non risiede tanto nell’introduzione di soluzioni originali, quanto piuttosto nella promozione di un approccio integrato e partecipato che permette di affrontare una problematica in maniera sistemica. La promozione di pratiche agro-ecologiche, alternative all’uso del fuoco non rappresenta in sé una novità assoluta, in quanto su piccola scala progetti di ONG attive da tempo nel Paese hanno contribuito alla sperimentazione di queste pratiche. Tuttavia, anche grazie alla partecipazione ampia e strutturata degli attori territoriali con cui l’intero percorso progettuale viene costruito e condiviso, l’iniziativa della Cooperazione italiana, ha il merito di proporre un intervento di più ampia portata. Sulla base delle lezioni apprese durante la positiva esperienza brasiliana, è stato impostato un rilevante processo di condivisione dei contenuti della sperimentazione con le autorità boliviane che ha prodotto una convergenza politica sull’intervento in tema di deforestazione, con il programma come possibile premessa per riforme più ampie e strutturate a livello nazionale. Capitolo 4 65 Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Risposte sistemiche ad un tema complesso: potenziali sinergie per lo sviluppo di politiche italiane ed europee Amazonia sin Fuego costituisce un prezioso tassello per la costruzione di politiche di intervento in campo ambientale. I buoni risultati danno indicazioni su come si possa affrontare il tema spinoso della conservazione del patrimonio naturale territoriale nel pieno rispetto delle esigenze sociali ed economiche delle comunità che lo custodiscono e che lo utilizzano come risorsa. La complessità dell’interrelazione fra problematiche ambientali e sociali legate all’uso delle risorse forestali si riflette nel disegno dell’intervento che, fondandosi su un approccio sistemico e partecipato, riesce a dare fornire risposte concrete e soluzioni non superficiali capaci di incidere in modo positivo sia sul piano della salvaguardia ambientale, sia sul piano della lotta alla povertà e dell’emancipazione delle comunità rurali. L’approccio sistemico e la costruzione di interventi e politiche con obiettivi multipli rappresentano elementi di interesse per la riflessione sulle politiche ambientali e di salvaguardia del patrimonio forestale anche in ambito europeo e, in particolare, per il nostro Paese. L’intera area mediterranea è storicamente una regione che combatte la piaga degli incendi boschivi. La natura dolosa della quasi totalità degli eventi che hanno progressivamente depauperato ampie porzioni di territorio, ampliando notevolmente la superficie a rischio di desertificazione, si collega in molti casi a pratiche agropastorali tradizionali. La piaga degli incendi boschivi, per il Paese europeo più ricco di biodiversità, è riassunta nelle cifre relative al 2010 fornite dal Corpo Forestale dello Stato: sull’intero territorio nazionale si sono verificati 4.884 incendi boschivi, che hanno percorso una superficie complessiva di 46.537 ettari, di cui 19.357 boscati. Complessivamente nel decennio 2001-10 la superficie media per incendio è stata pari a 10,2 ettari e 350 mila ettari di bosco sono stati percorsi dal fuoco. La regione più colpita per estensione di superficie boschiva colpita da incendi nel 2010 è stata la Sicilia, seguita da Lazio, Calabria, Puglia, Sardegna e Campania. Il 30% degli incendi sono causati al rogo di sterpaglia o residui di potature. Parimenti, ci sono iniziative molto interessanti basate sull’impiego di un approccio tematico simile a quello sperimentato nella cooperazione internazionale, come per esempio nel caso del Piano integrato di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi nel Parco delle Cinque Terre. L’esperienza amazzonica rappresenta in questo quadro una base interessante per la costruzione di partenariati territoriali su base tematica, dove attraverso la condivisione di analisi, sperimentazioni e ricerca, fino alla creazione di veri e propri team di lavoro congiunto si possa arrivare a formulare proposte politiche e strategiche innovative. La trilateralizzazione: una base per lo sviluppo di un approccio tematico regionale Un secondo elemento di grande interesse è individuabile nella struttura trilaterale dell’esperienza di cooperazione che ha coinvolto Italia, Brasile e Bolivia e in cui il Brasile, prima beneficiario di interventi della Cooperazione italiana, è diventato, assieme ad essa, donatore ed esecutore dell’iniziativa in Bolivia. Si tratta evidentemente di un segnale importante da più punti di vista: sia come segnale di una significativa evoluzione del ruolo del Brasile sia quale conferma della validità del programma realizzato i cui pilastri sono stati co-promossi dallo stesso beneficiario come soluzione replicabile su scala regionale. La riproposizione dell’approccio utilizzato in Brasile non tanto come buona pratica replicabile, ma come base per una collaborazione prima transfrontaliera e poi regionale fra i Paesi amazzonici, si inserisce nel processo che vede emergere nuovi attori della cooperazione internazionale, mettendoli in relazione con Paesi avanzati con cui, come nel caso specifico, condividono problematiche. Il fatto che i tecnici brasiliani formati durante gli anni di lavoro in Brasile siano ora i formatori dei tecnici boliviani, oltre ad una forte valenza simbolica, segnala i possibili risultati di strategie lungimiranti che valorizzano il lavoro svolto dalla cooperazione in un altro contesto, facendo leva ed evidenziando il valore politico delle affinità culturali che potenzialmente, seppur con le dovute differenze, legano brasiliani e boliviani. Il ruolo del contesto L’esperienza dell’allargamento del respiro geografico dell’iniziativa fornisce anche interessanti spunti di riflessione sul ruolo delle condizioni di contesto e su come ogni fase del processo di riproduzione di componenti strategiche e operative di un intervento vada analizzata approfonditamente, sulla base di una conoscenza capillare delle caratteristiche dell’ambito in cui si va a intervenire. Nel caso Amazonia sin Fuego, è stata in primo luogo considerata la presenza di una comune problematica, mentre risultano numerose le disomogeneità di contesto. Al di là delle numerose affinità di ordine geografico che interessano soprattutto le regioni di frontiera, sono le differenziazioni a prevalere. Ad esempio, nel caso brasiliano il progetto è stato calato in un quadro legislativo di partenza più avanzato sulla gestione dei fuochi dove, tuttavia, la difficoltà maggiore risiede nel controllo a livello territoriale che risente della vastità del Paese. In Bolivia le sfide da affrontare sono di ordine inverso: ovvero territorialmente la situazione è più gestibile, mentre la legislazione in materia risulta più carente. Nel caso della possibile estensione all’Ecuador, ad esempio, il focus si sposta sul piano del capacity e institution building, alla luce del forte interesse espresso dal Paese di voler acquisire modelli e competenze della protezione civile italiana. Il processo di regionalizzazione dell’esperienza deve poggiarsi, pertanto, su un’attenta analisi delle condizioni geografiche, sociali, economiche, culturali e istituzionali. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la già accennata 66 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile importanza del coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali comporta la necessità di dedicare una particolare attenzione alla composizione del quadro istituzionale formale e informale, degli interessi dei diversi stakeholder e delle loro interrelazioni, all’interno delle quali si devono inserire i meccanismi alla base della strategia dell’intervento. … e dell’orizzonte temporale Infine, è opportuno sollecitare anche una riflessione sui tempi di adeguamento che un’iniziativa di ampia portata come quella qui descritta deve prevedere. L’esperienza brasiliana è stata in grado di raggiungere risultati estremamente significativi anche grazie alla durata decennale che l’ha caratterizzata. Incidere su comportamenti che risalgono a culture ancestrali fortemente radicate nelle comunità locali è un processo complesso che richiede tempo per essere compreso e acquisito, e che probabilmente non è praticabile solo in un triennio, che è il tempo medio di esecuzione di iniziative di cooperazione. Come dimostra il disegno progettuale dell’iniziativa Amazonia sin Fuego, il processo non può che essere graduale per essere efficace e per vincere resistenze dettate da un genuino attaccamento alle pratiche tradizionalmente usate in agricoltura e nell’allevamento del bestiame. Questa riflessione è sicuramente comune alla gran parte delle iniziative di sviluppo sostenibile che, al di là degli obiettivi specifici da raggiungere, richiedono anche una conversione culturale che non è né banale né immediata, ma che è la leva di maggior impatto per assicurare che in futuro l’attenzione sul tema diventi parte integrante e trasversale a qualsiasi politica pubblica. Capitolo 4 67 4.4 La valorizzazione dei rifiuti plastici in Senegal : riciclaggio, servizi igienici, educazione ambientale KEYWORD : valorizzazione rifiuti plastici TEMA : imprenditori + donne + giovani + ONG MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio + prodotto INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.lvia.it/sud/senegal/prog/ambiente-sano-servizi-igienici-e-valorizzazione-rifiuti-plasticinei-quartieri-thiè Di cosa si tratta Le premesse e la mission Tra i diversi problemi che affliggono le popolazioni delle grandi città africane, il degrado ambientale e le cattive condizioni igienico-sanitarie della maggior parte dei quartieri rappresentano senza dubbio una delle conseguenze più drammatiche di un rapido processo di urbanizzazione. Anche in Senegal il costante abbandono delle campagne verso le principali città ha favorito un continuo aumento della produzione di rifiuti urbani, con innumerevoli conseguenze negative per quanto riguarda la raccolta e lo smaltimento. A ciò si è aggiunto un elevato incremento nell’utilizzo della plastica che ha sostituito il legno e il metallo nella produzione di oggetti di uso quotidiano ed anche ceste e tessuti tradizionali negli imballaggi, esacerbando il degrado nelle aree urbane con una più alta concentrazione di popolazione e attività economiche. L’attuale sistema di gestione dei rifiuti nelle città del Senegal è basato sul conferimento in discariche non controllate della quasi totalità dei rifiuti prodotti: si tratta per lo più di vecchie cave disseminate nel territorio urbano, in cui la mancanza di un sistema di impermeabilizzazione del terreno pone seri problemi di salute pubblica. La maggior parte dei rifiuti urbani viene incenerita, causando una significativa produzione di anidride carbonica (CO2) e di altri prodotti nocivi, dannosi per la salute delle popolazioni locali e per l’ambiente. In questo contesto, l’organizzazione non governativa LVIA ha avviato in Senegal dalla metà degli anni novanta una serie di interventi finalizzati a migliorare la salubrità dell’ambiente urbano e peri-urbano, a mitigare la povertà e a promuovere l’educazione ambientale rispondendo a specifiche esigenze sociali locali. L’inquinamento prodotto dalla plastica era percepito dalle popolazioni locali come fonte di perdita economica e di insicurezza alimentare causate congiuntamente dall’impoverimento dei terreni che riduceva la produzione agricola, dall’incremento della mortalità del bestiame domestico per ingestione di sacchetti e dall’inquinamento delle falde acquifere. La strategia e le azioni Il programma implementato da LVIA è partito da una serie di prime attività di raccolta e rivendita della plastica non trattata da parte del “Groupement de Promotion Féminin”, già attivo nel quartiere di Silmang a Thiès. Pochi anni dopo, nel 1998, il lavoro di questo gruppo di donne ha portato alla realizzazione del primo Centro per il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti plastici a Thiès, replicato nel 2002 nella città di Kaolack. Il sistema di valorizzazione promosso da LVIA permette di riciclare e trattare i rifiuti plastici reintroducendoli sul mercato sotto forma di macinato o granulato (in base al trattamento specifico), che costituisce la materia prima per la produzione di oggetti nuovi. La gestione dei Centri e lo svolgimento delle attività sono demandate interamente a cooperative composte da donne locali appartenenti a fasce povere della popolazione, che negli anni hanno beneficiato di una formazione specifica sulle tecniche di riciclaggio della plastica e sulla gestione della micro-impresa. 68 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile All’interno di questo processo, LVIA ha continuato a svolgere nel tempo un ruolo di accompagnamento finalizzato a sostenere e rafforzare le componenti di marketing e commercializzazione del materiale riciclato, venduto localmente ad imprese e centri artigianali del settore. Parallelamente alle attività di valorizzazione della plastica, LVIA ha inoltre avviato numerose iniziative di sensibilizzazione della popolazione sui temi ambientali. In collaborazione con le autorità locali ha organizzato degli incontri di formazione per gli insegnanti delle scuole primarie al fine di introdurre nei programmi scolastici le nozioni principali relative al buon comportamento da tenere con i bambini nel campo dell’igiene, della salute e della tutela ambientale. Nei quartieri si è lavorato con le compagnie teatrali presenti sul territorio per sensibilizzare la popolazione sulla tematica ambientale, sulla gestione dei rifiuti e sulla raccolta differenziata. Negli anni 2009-2011, la strategia d’intervento si è ampliata con un progetto finanziato dall’Unione Europea, volto alla produzione di fosse biologiche in plastica riciclata e alla loro diffusione presso le popolazioni più povere dei quartieri di Thiès e Kaolack, città in cui il progetto è stato implementato in collaborazione con la Caritas quale partner locale di LVIA. L’obiettivo perseguito è stato quello di ripulire l’ambiente urbano dai rifiuti plastici e di fornire alle famiglie più povere la possibilità di migliorare i servizi igienico-sanitari nelle abitazioni, oltre che nelle scuole, ovviando alla mancanza di reti fognarie. Il progetto ha previsto il rafforzamento della raccolta differenziata della plastica mediante l’istituzione di 8 comitati di quartiere (GIE - 4 a Thiès e 4 a Kaolack) incaricati della raccolta porta a porta nei loro territori, dello stoccaggio e del trasporto del materiale ai Centri di trattamento. Tramite accordi commerciali predefiniti, il materiale trattato è stato venduto alle industrie di Dakar che lo utilizzano per produrre le fosse biologiche per i beneficiari del progetto. L’installazione delle fosse settiche presso le abitazioni è stata affidata in modo esclusivo ai 16 muratori (2 per quartiere) formati dal progetto. Al fine di raggiungere le famiglie più povere individuate nei quartieri, si è attivato un sistema di incentivi basato sull’istituzione di due fondi presso gli sportelli dell’Istituto di Micro Finanza (IMF) locale PAMECAS: un fondo di sovvenzione destinato a finanziare al 90% l’acquisto delle fosse settiche per 100 famiglie più povere, e un fondo di garanzia per agevolare l’accesso al credito di altre famiglie per il risanamento o la realizzazione privata di fosse settiche in plastica recitata. Su questo fronte si sono registrate le principali debolezze dell’intervento. Laddove la copertura quasi totale del costo degli impianti da parte del progetto ha chiaramente favorito l’installazione delle fosse settiche presso le famiglie più povere, il fondo di garanzia e le condizioni di credito offerte non sono state sufficientemente attrattive da incoraggiare le altre famiglie ad impiegare risorse in questo tipo di investimento. Affinché la diffusione delle fosse settiche avvenga in modo capillare nei quartieri più poveri sarà necessario trovare altre forme di sovvenzione, coinvolgendo maggiormente le autorità locali, e proseguire con la promozione del prodotto verso beneficiari a maggior reddito, meno vincolati da scelte economiche di mera sopravvivenza. Aspetti innovativi ed interessanti La lotta alla povertà attraverso lo sviluppo locale sostenibile L’esperienza realizzata da LVIA fornisce alcune indicazioni significative sulle opportunità di sviluppo sociale attivabili con interventi in campo ambientale che, contemporaneamente, producono reddito in maniera sostenibile, migliorano le condizioni ambientali del territorio di insediamento della stessa comunità beneficiaria e innescano processi di possibile sviluppo locale nel lungo periodo sia per gli effetti moltiplicativi delle attività avviate, sia per l’incremento del capitale naturale a disposizione conseguente alle attività di risanamento. Pur se con portata limitata, il progetto è riuscito a generare reddito e occupazione stabile in una fascia di popolazione svantaggiata, contribuendo così alla sua emancipazione sociale, ha prodotto effetti ambientali palpabili su scala territoriale, limitando l’immissione nell’ambiente di rifiuti non biodegradabili e acque reflue. Un fattore decisivo per la caratterizzazione sociale dell’esperienza LVIA in Senegal è stata la scelta di affrontare la tematica dello smaltimento dei rifiuti plastici con una logica di filiera, da una parte e dall’altra, di coinvolgere la comunità locale basandosi interamente su risorse umane e sull’iniziativa locali. Il programma ha promosso soluzioni ecocompatibili a basso costo basate sull’avvio di attività generatrici di reddito che favoriscono l’inclusione di fasce povere della popolazione. Allo stesso tempo, il progetto ha introdotto la pratica della raccolta differenziata dei rifiuti in contesti periferici altamente degradati e ha contribuito contestualmente allo sviluppo di una filiera produttiva locale tuttora attiva e replicabile in altri contesti. La soluzione promossa dall’istituzione dei Centri di trattamento e valorizzazione dei rifiuti plastici ha indotto delle dinamiche di sviluppo che si declinano su più piani del contesto locale: oltre a favorire la creazione di posti di lavoro e ad offrire un’opportunità di reddito per la popolazione, i Centri hanno rafforzato il mercato locale dei prodotti in plastica riciclata e sensibilizzato le comunità locali sull’opportunità di tutelare l’ambiente valorizzando e acquistando questi prodotti. Capitolo 4 69 La creazione di nuove filiere e mercati Green su base territoriale Un’ulteriore innovazione si è determinata in termini di prodotto: l’ampliamento della strategia nel 2009 ha infatti introdotto le fosse biologiche nella filiera produttiva locale di prodotti in plastica riciclata. L’idea di promuovere l’utilizzo della plastica riciclata presso le aziende locali produttrici di fosse biologiche ha permesso in primo luogo di offrire una soluzione a più basso costo al problema delle carenti reti fognarie nei quartieri: rispetto alle tradizionali fosse settiche realizzate in cemento o plastica vergine, le fosse in plastica riciclata sono economicamente più vantaggiose per le famiglie e non comportano costi di manutenzione una volta installate. In secondo luogo, l’introduzione della plastica riciclata come nuova materia prima ha contribuito allo sviluppo di una nuova filiera produttiva locale che, supportata da specifici accordi commerciali, ha permesso un incremento del volume di affari sia per i Centri di valorizzazione che per le imprese plastiche di Dakar. Con un meccanismo a circolo virtuoso, la creazione di nuova domanda per la plastica riciclata si è associata all’introduzione della pratica della raccolta differenziata in ulteriori quartieri urbani, estendendo le opportunità di reddito integrativo per un maggior numero di famiglie. Per le popolazioni dei quartieri più distanti dai Centri di trattamento il progetto ha previsto l’allestimento di appositi spazi di acquisto dei rifiuti di plastica, le cosiddette “botteghe della plastica”, a cui le famiglie possono rivendere i rifiuti raccolti a livello domestico. La Green Economy crea capitale sociale territoriale sui temi ambientali Questo tipo di coinvolgimento delle comunità locali ha parallelamente rafforzato il processo di tutela ed educazione ambientale iniziato in anni precedenti da LVIA nelle aree urbane di Thiès e Kaolack. La sensibilizzazione diretta delle popolazioni beneficiarie rappresenta una delle principali precondizioni per la sostenibilità futura del progetto: è attraverso lo sviluppo di un maggior senso di appartenenza e condivisione che si incoraggiano comportamenti virtuosi e si garantisce la piena ownership del progetto da parte dei beneficiari. In tal senso, l’esperienza di Thiès e Kaolack sta dimostrando che la pratica della raccolta differenziata nei quartieri non si è conclusa con la fine del progetto, ma al contrario l’iniziativa privata dei cittadini non ha mancato di sperimentare nuove forme di raccolta per sopperire allo scioglimento di alcuni comitati di quartiere. La fattibilità economica di piccole attività economiche legate al riciclaggio che forniscono immediati riscontri alla popolazione in termini di miglioramento della qualità ambientale locale si configura come elemento di rilevante impatto per la creazione di capitale sociale centrato sull’identità territoriale, a sua volta fattore di grande importanza per fondare la protezione delle risorse naturali locali sulla coscienza ambientale delle comunità. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile La leva su vocazioni e risorse del territorio L’inquinamento da plastica è un problema che esiste da molto tempo e in molti Paesi, Italia compresa. Basti pensare all’inquinamento marino: ogni anno sono prodotti circa 260 milioni di tonnellate di plastica, di cui circa il 10 % finisce in mare, cosicché l’80% dei rifiuti macroscopici in mare aperto e sulle coste è costituito da rifiuti di plastica, responsabili secondo i dati del WWF - di un’ecatombe di uccelli, rettili e mammiferi marini, come nel caso del Mar Mediterraneo. In Italia, per esempio, ogni anno si consumano oltre 11 miliardi di bottiglie, pari a circa 385 mila tonnellate di plastica da smaltire; i conseguenti costi per la raccolta e il riciclaggio sono ingenti: una regione come la Lombardia spende circa 25 milioni di euro all’anno per lo smaltimento della plastica delle bottiglie. Il percorso intrapreso in Senegal da LVIA ha raggiunto l’obiettivo di creare una rete locale in grado di affrontare e promuovere la tematica dello smaltimento dei rifiuti plastici in modo integrato e globale, conciliando soluzioni tecnicamente sostenibili, esigenze politico-strategiche del Paese, risorse ed spirito d’iniziativa locali ed interessi del pubblico e del privato. L’esperienza decennale di LVIA in Senegal ha dimostrato come l’introduzione di soluzioni originali che fanno leva sulle risorse e sui capitali del territorio coinvolto possano innescare un processo di sviluppo sostenibile che si declina in modo sinergico su piani diversi. Da questo punto di vista, le varie attività progettuali sono state in grado di sortire effetti positivi sia sulla comunità territoriale, aumentando la consapevolezza sulle tematiche della sostenibilità e diffondendo stili di vita e comportamenti sostenibili, sia sul tessuto produttivo, riducendo l’impatto ambientale della produzione e generando miglioramenti ambientali e sociali. Non dimenticando la piccola scala dell’intervento, è comunque opportuno rimarcare il significato dell’iniziativa dal punto di vista degli obiettivi di protezione dell’ambiente. Nel giugno 2009, uno studio dell’Agenzia francese Espere ha rilevato che nel corso del 2008 le attività del Centro Proplast di Thiès hanno evitato la produzione di 273 tonnellate di anidride carbonica a fronte di una valorizzazione di 150 tonnellate di plastica, che ha consentito alle imprese locali di utilizzare la plastica riciclata come materia prima in sostituzione della plastica vergine. La replicabilità delle soluzioni tecniche e organizzative L’estrema semplicità delle tecnologie e dell’impianto organizzativo dell’intervento rappresenta di per sé un asset valorizzabile attraverso la riproposizione del modello. I Centri di trattamento e valorizzazione dei rifiuti plastici presentano una serie di vantaggi in termini di sostenibilità che ne aumenta l’adattabilità in altri contesti. L’esperienza del centro di Thiès ha suscitato in Senegal un grande interesse a livello nazionale, e in Italia il progetto ha favorito negli 70 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile anni il coinvolgimento di diversi finanziatori pubblici e privati. Molte città e municipalità africane si sono inoltre rivolte a LVIA per valutare la fattibilità di interventi simili. Ad oggi, sono stati realizzati dei Centri di valorizzazione dei rifiuti plastici in Mozambico, in Mauritania e in Burkina Faso, in contesti in cui è stato possibile attivare un maggiore coinvolgimento della autorità locali rispetto all’iniziativa sviluppatasi in Senegal e in luoghi prossimi a città industrializzate per favorire lo sviluppo di filiere produttive locali. I Centri rappresentano un’opportunità per l’imprenditorialità ambientale e sociale, promuovono attività economiche sostenibili e contestualmente rafforzano i piani di sviluppo urbano predisposti dalle municipalità, responsabili della qualità dell’ambiente di vita dei cittadini. Il ruolo del livello istituzionale locale è un fattore rilevante per il successo delle iniziative e, pertanto, rappresenta un elemento di estrema importanza nelle analisi che sovrintendono i processi di riproposizione del modello. Alcuni dei cardini di quest’ultimo sono, infatti, altamente collegati al coinvolgimento attivo delle istituzioni locali, in cui vanno incluse tutte le forme e le consuetudini di governo delle comunità territoriali. I Centri, oltre a consentire alle famiglie locali di integrare i loro redditi, funzionano come motore di cambiamento sociale, che può ricevere spinte decisive dall’interno stesso delle istituzioni locali. È il caso, ad esempio, degli aspetti collegabili alla formazione, alle attività di accompagnamento professionale e di auto-organizzazione in cooperative che coinvolgono le fasce sociali più vulnerabili. L’iniziativa in Senegal, ad esempio, ha avuto risvolti estremamente positivi sul ruolo delle donne: oggi la cooperativa delle donne di Silmang che gestisce il Centro Proplast a Thiès è diventata una vera e propria azienda, una Srl senegalese. La sua storia è frutto di un percorso molto interessante di rafforzamento delle capacità locali che ha portato alla formazione di un’azienda di donne completamente autonoma, indipendente e sostenibile. Anche dal punto di vista dello sviluppo istituzionale, l’esperienza dei Centri offre numerose opportunità di riproduzione in altri contesti. I programmi di educazione e informazione sui temi dello sviluppo sostenibile che si sviluppano intorno ai Centri consentono di sensibilizzare le comunità locali e favorire gli scambi istituzionali, tecnici ed educativi tra municipalità, imprese, associazioni e scuole. Anche in questo caso, a maggior ragione trattandosi di azioni che toccano aspetti anche relazionali fra i nodi della struttura istituzionale, è necessario porre l’accento sulla centralità dell’attenta considerazione delle peculiarità di ogni contesto istituzionale e sociale all’interno del quale si studia la riproposizione del modello. Le buone opportunità per l’attrazione di investimenti privati La sostenibilità delle attività economiche avviate rappresenta un secondo asset capitalizzabile ai fini della riproduzione e del possibile ampliamento della portata e del profilo dell’iniziativa. Il coinvolgimento di investitori e imprenditori privati - sia come partner delle nuove unità produttive sia come finanziatori o attori di sezioni della filiera, sia come nodi della potenziale rete produttiva e commerciale collegabile alle attività economiche promosse dal progetto - è insieme una componente importante per lo sviluppo del progetto e uno degli obiettivi. L’avvio di processi moltiplicativi nell’economia locale e lo sviluppo di un settore economico Green, legato al riciclo dei materiali e al risanamento ambientale, è fortemente legato all’interesse che l’iniziativa riesce a suscitare soprattutto nell’ambito della piccola imprenditoria (anche informale) che anima l’economia territoriale. Nel caso studiato in Senegal, il consolidato sviluppo della filiera produttiva locale di prodotti in plastica riciclata è riuscito negli ultimi anni ad attrarre anche gli investitori privati che hanno deciso di impegnare risorse proprie Ad esempio, è grazie ai capitali privati che oggi è assicurata buona parte della sostenibilità futura del centro di Thiès. Anche in questo frangente è fondamentale un coinvolgimento profondo dei partner locali e, in particolare, delle istituzioni e dei decisori politici. La creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo del profilo dell’iniziativa e alla mobilitazione di risorse locali è in buona parte condizionato dal consenso mobilitabile sul territorio. Allo stesso tempo, la partecipazione e la condivisione degli obiettivi da parte delle autorità locali è una componente di elevata rilevanza per calibrare nel modo corretto gli eventuali vincoli normativi che vanno a regolare il rapporto fra stakeholder dell’iniziativa. È il caso delle condizioni che a Thiès sono state imposte alla partecipazione privata al fine di assicurare la sostenibilità sociale per le comunità locali (più del 50% delle quote aziendali alle donne, obbligo di impiegare manodopera locale e divieto di trasferimento del centro in altra zona). Qui, gli interessi particolari dell’impresa privata veicoleranno soprattutto lo sviluppo delle attività di marketing e commercializzazione nel territorio. Capitolo 4 71 4.5 Il riscatto dei grani andini in Ecuador : biodiversità, agricoltura, sicurezza alimentare, ecoturismo, cultura KEYWORD : protezione e ripristino dell’agro-biodiversità TEMA : donne + contadini + imprenditori + autorità locali + ONG + ricercatori scientifici MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio + processo INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.agrobiodiversita.it Di cosa si tratta Le premesse e la mission Nel cantone andino di Cotacachi, a circa cento chilometri da Quito, capitale dell’Ecuador, è stato realizzato dal 2008 al 2011 il programma “Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale” che si è proposto di valorizzare una delle aree più ricche del pianeta in termini di diversità a livello sia naturalistico che etnico. Il cantone di Cotacachi, conosciuto in ambito turistico per le sue bellezze naturali, presenta un alto tasso di povertà e marginalità che ha provocato nel corso degli anni un abbandono di queste zone rurali e un flusso migratorio verso le grandi città, con relativa perdita dell’identità culturale e mancata promozione di sistemi sostenibili di sviluppo locale rurale. Finanziato da IFAD e dal Ministero degli Affari Esteri, il programma è stato coordinato in Ecuador dalla ONG Oxfam Italia che, vantando una presenza ultradecennale nel Paese, ha favorito partenariati e alleanze strategiche che hanno consentito un reale processo partecipativo della comunità territoriale nelle fasi di identificazione e realizzazione delle attività. Principale partner in loco è stata l’Unione delle Organizzazioni Indigene Contadine di Cotacachi (Unorcac), organizzazione di secondo livello che rappresenta le 44 comunità indigene del cantone. Inoltre, come si avrà modo di evidenziare, non sono mancate alleanze strategiche con istituzioni pubbliche locali, università e centri di ricerca, imprese private. L’iniziativa ha contribuito a ridurre la marginalità dei produttori agricoli di piccola scala migliorando i loro redditi e le loro condizioni di vita attraverso una rinnovata gestione delle risorse naturali ed una più consapevole valorizzazione del sapere tradizionale e dell’identità locale. La strategia e le realizzazioni La logica di intervento multisettoriale ha permesso di elaborare un processo di sviluppo della filiera agricola locale che comprende la produzione, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Partendo dall’analisi del mercato locale e nazionale dei prodotti ancestrali (i cosiddetti NUS-Neglected and Underutilized Species) sono state proposte soluzioni finalizzate a recuperare e valorizzare i prodotti tipici locali “dimenticati”, in un’ottica di sviluppo locale e salvaguardia della biodiversità. In collaborazione con l’Instituto Nacional Autonomo de Investigaciones Agropecuarias, il progetto ha preliminarmente individuato alcune colture tradizionali, tra cui la quinoa e l’amaranto, particolarmente importanti per la loro capacità di adattamento al clima, il loro alto valore nutritivo e identitario, e successivamente ne ha incoraggiato la produzione prevedendo azioni specifiche sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda per incrementare la capacità produttiva e migliorare la qualità dei prodotti. Sul lato dell’offerta sono state svolte attività per rafforzare le competenze ed introdurre tecniche più appropriate, ecocompatibili e basate su tecnologie a basso costo, sia nella fase di produzione (selezione e pulizia semi-meccanizzata delle sementi, miglioramento di tecniche di semina, assistenza tecnica, trebbiatura meccanizzata, miglioramento del sistema di essicazione, stoccaggio associativo), sia nella fase di trasformazione (produzione di farina, pop amaranto e barre energetiche). 72 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Sul lato della domanda è stato rivalorizzato il significato culturale dei prodotti agricoli locali, ricomponendo il legame spesso perduto tra produttore e prodotto, tra prodotto agricolo e insieme di conoscenze tradizionali e innovazioni locali. Le attività di promozione sono state possibili anche grazie all’attivo coinvolgimento dell’Assemblea de Unidad Cantonal de Cotacachi, uno spazio della società civile cui partecipano rappresentanti del governo locale, organizzazioni di secondo livello, produttori organizzati, imprenditori privati, leader di quartiere. Un altro ambito di intervento fondamentale dell’iniziativa ha riguardato la problematica dell’accesso al mercato che ha richiesto miglioramenti degli aspetti organizzativi delle associazioni di produttori, l’individuazione di canali di commercializzazione per l’accesso al mercato locale, nazionale ed in parte internazionale, la costituzione di alleanze che potessero assicurare adeguate politiche di sviluppo locale. La valorizzazione delle colture tradizionali ha subito potuto trovare un riscontro positivo nel circuito del turismo rurale comunitario già sviluppato nel cantone di Cotacachi (Impresa Comunitaria Runa Tupari), che vanta una presenza di turisti europei e nordamericani interessati ai cibi tipici locali e sensibili al valore culturale legato alla tradizione indigena. Valorizzando questa risorsa già presente sul territorio, si è potuto fin da subito promuovere l’utilizzo di tali prodotti presso albergatori e ristoratori associati all’operatore turistico comunitario di Unorcac (Runa Tupari appunto). Per la commercializzazione a livello nazionale, fondamentale è stata l’individuazione di un’impresa, Cereales Andinos, interessata ad aumentare la fornitura di quinoa a livello nazionale, con cui si sono negoziate condizioni di vendita vantaggiose per tutte le parti coinvolte. A questo accordo con Cereales Andinos ne sono seguiti altri con negozi privati di Quito e un ulteriore importante lavoro è stato svolto con le scuole per l’introduzione della quinoa e dell’amaranto nella dieta alimentare nelle mense scolastiche. La realizzazione di un marchio Cotacachi per la vendita dei prodotti è stata un’ulteriore importante tappa per la promozione della domanda. L’accesso al mercato internazionale è ancora limitato anche a causa di un basso livello di offerta che al momento non soddisferebbe pienamente la domanda. Comunque, sono stati avviati contatti in Italia con il circuito del commercio equo e solidale, grazie al coinvolgimento di CTM Altromercato e negli Stati Uniti sempre grazie a Cereales Andinos. Beneficiari dell’iniziativa sono stati in primis i produttori e le produttrici delle comunità indigene marginalizzate che conducono piccoli appezzamenti di terreno (compresi tra 0,5 e 1,5 ettari). La selezione è avvenuta su base volontaria, ossia in base all’interesse espresso dagli stessi a cui è seguita una visita sul campo per verificare l’idoneità dei terreni. Nello specifico si sono raggiunti circa 250 produttori, di cui 140 donne, in 27 comunità, che rappresentano circa il 21 per cento dei produttori di piccola scala di etnia kichwa nell’area andina del cantone. Ulteriori beneficiari diretti, sebbene con numeri di gran lunga inferiori, sono stati raggiunti nel settore del turismo rurale, attraverso gli albergatori e i ristoratori coinvolti, e nelle 12 scuole dove sono stati creati degli orti biologici per l’introduzione di quinoa e amaranto nelle mense scolastiche. Aspetti innovativi ed interessanti Il modello di sviluppo territoriale basato sull’identità culturale L’iniziativa ha adottato un approccio innovativo seguendo il modello di “sviluppo territoriale con identità culturale”, approfondito tra gli altri da RIMISP, Centro Latinoamericano para el Desarollo Rural, che approfondisce e concettualizza l’articolazione politica ed economica delle comunità territoriali con un focus specifico sulla struttura dell’identità culturale delle popolazioni. Si tratta di un approccio che valorizza i territori nella doppia componente delle diversità culturali e della biodiversità naturale. La centralità all’interno del modello di sviluppo locale così proposto della questione identitaria, che lega indissolubilmente le comunità locali al proprio territorio, alle sue risorse ed emergenze ambientali, propone l’innesco di processi di uscita dal sottosviluppo che fanno leva in primo luogo sul capitale sociale presente nel territorio. Proprio la natura culturale di tale capitale sociale, che si fonda sulle relazioni e cioè sul legame fra le persone che risiede soprattutto nel senso di appartenenza comunitaria e territoriale, rappresenta un fattore importante per garantire che lo sviluppo sia inclusivo - perché basato su una cultura che è patrimonio e identità dell’intera comunità – e sostenibile – per il ruolo che il territorio e quindi il suo ambiente rivestono nel definire tale identità. L’effetto volano sulle istituzioni locali L’iniziativa ha avuto significative ripercussioni anche sul piano politico locale, grazie all’attiva partecipazione del Municipio di Cotacachi che ha recepito l’approccio adottato nei propri piani di sviluppo locale, promuovendo, ad esempio, una campagna pubblica sul tema della sovranità alimentare, introducendo un piano di marketing territoriale focalizzato su prodotti e servizi tipici e creando il brand Cotacachi di qualità territoriale. Anche il piano delle istituzioni sociali della comunità è stato investito dal progetto. L’iniziativa è stata indirizzata verso le fasce della popolazione più marginalizzate: indigeni, donne, anziani anche in virtù del loro ruolo di principali custodi delle tradizioni ancestrali. In particolare le donne, maggiori beneficiarie delle attività progettuali, hanno maturato un nuovo ruolo all’interno delle proprie comunità, migliorando il loro senso di autostima e la loro posizione a livello familiare e sociale, grazie anche alle attività di scambio e alla partecipazione a eventi e fiere in Italia. Da una prospettiva di genere, la promozione dei NUS rappresenta, di per sé, una valida alternativa per promuovere una maggiore inclusione sociale delle donne che sono le protagoniste di molte delle attività di raccolta e trasformazione. La valorizzazione del ruolo Capitolo 4 73 femminile all’interno della comunità produce, dal canto suo, un ritorno su altri obiettivi del progetto. Le donne sono le principali detentrici delle scelte relative alla dieta alimentare della propria famiglia e custodi di tradizioni e conoscenze che tramandano ai propri figli: un riconoscimento del loro ruolo sociale e culturale risulta, pertanto, decisivo sia per affermare o ri-affermare la validità della cultura alimentare tradizionale basata sui prodotti autoctoni, sia per garantirne la rivalutazione fra la popolazione. La dimensione multisettoriale a scala locale L’attivazione capillare degli attori del territorio si è dimostrato un ingrediente di grande efficacia. L’iniziativa condotta da Oxfam Italia in Ecuador non avrebbe potuto determinare un reale sviluppo, soprattutto per quanto riguarda la creazione di una filiera sostenibile, se non fossero state create proficue alleanze con i diversi settori (pubblico, privato, società civile e accademia), se non si fosse costruito un dialogo costante con le autorità locali con cui condividere la promozione dell’agro-biodiversità come strumento di sviluppo locale, se non si fosse fatta leva sugli asset territoriali già esistenti. Di particolare rilievo è risultato il collegamento con il settore turistico, che da un lato ha permesso alla produzione dei NUS uno sbocco commerciale immediatamente attivabile, dall’altro ha prodotto un rafforzamento dell’offerta turistica, estendendo così reciprocamente i benefici che la coltivazione dei NUS e le pratiche di ecoturismo potevano offrire alla comunità locale, e mettendo positivamente in relazione differenti settori economici. Il collegamento con il settore turistico ha inoltre incoraggiato l’autostima dei produttori locali, che hanno assunto maggiore consapevolezza del valore dei propri prodotti locali, ribaltando così la connotazione negativa associata alle colture indigene ancestrali che si era andata stratificando nel tempo anche per la diffusione di forme di mitizzazione distorta della modernità, intesa spesso come cultura occidentale, con conseguente marginalizzazione di quanto direttamente collegabile al territorio e alle colture autoctone. Un’altra positiva relazione attivata dalle attività del progetto è quella con le scuole; il mantenimento di 12 orti scolastici e l’introduzione dei NUS nelle mense scolastiche è un elemento di interesse perché punta alla sensibilizzazione delle nuove generazioni, incidendo sulla loro formazione culturale e sui loro stili di vita che influenzeranno le modalità di sviluppo del Paese nei prossimi decenni. Sebbene si tratti di un coinvolgimento ancora marginale, l’inclusione fra i partner delle istituzioni attive nel campo della formazione in un progetto che si fonda su presupposti di natura culturale, emerge come una delle componenti con maggiori potenzialità per la sostenibilità e l’allargamento degli orizzonti dell’iniziativa. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile La relazione fra cultura e ambiente al centro dello sviluppo territoriale e dell’incremento della resilienza degli ecosistemi Come già ampiamente sottolineato, uno dei principali elementi di interesse dell’iniziativa risiede nell’aver impostato l’intervento facendo leva sulla riscoperta di saperi e vocazioni del territorio e della comunità che con esso ha creato un ecosistema in equilibrio. Da questi saperi e da queste vocazioni sono ricavate le risorse umane e progettuali necessarie a fondare un processo di sviluppo sostenibile. In molti contesti rurali, caratterizzati da diffusa povertà e marginalizzazione, l’emarginazione di gruppi sociali e fasce di popolazione si associa o passa attraverso l’emarginazione della cultura propria di quei gruppi, relegata a cultura perdente e non adatta a creare le basi per lo sviluppo economico. In molti casi, la cultura che viene posta ai margini insieme ai suoi detentori è il frutto di millenni di adattamento fra uomo e ambiente durante i quali l’ecosistema territoriale è stato plasmato per mantenere sostenibilità e riproducibilità dei cicli naturali necessari alla vita. Il modello che centra lo sviluppo sostenibile del territorio sulla valorizzazione delle culture autoctone, che si fondano sul sedimentato saper far parte del proprio ecosistema, è applicabile nelle sue linee essenziali a molti dei numerosi altri contesti socio economici dove convivono le tre condizioni descritte sopra (emarginazione di gruppi che detengono culture basate sull’equilibrio dell’ecosistema territoriale). Combattere marginalità e povertà passa anche dalla valorizzazione di colture e culture locali: è questo il messaggio chiave che in estrema sintesi si può trarre dall’iniziativa qui esaminata. Sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile attraverso la tutela della agro-biodiversità Inoltre, con la riproposizione di sistemi di produzione che nei millenni hanno dimostrato la propria ecosostenibilità è possibile contribuire a processi di lotta alla denutrizione e malnutrizione di cui, tra l’altro, soffrono le stesse fasce di popolazione povere ed emarginate che hanno i requisiti per essere protagoniste dei processi di sviluppo. L’incremento della resilienza degli ecosistemi all’interno dei quali si interviene include, infatti, anche l’aumento della resilienza delle popolazioni che vi sono inserite. Attraverso la riscoperta dei meccanismi sedimentati di rapporto fra uomo e risorse naturali territoriali si creano (o si ricreano) condizioni che riducono la vulnerabilità di tutti gli esseri viventi che ricavano il proprio sostentamento in modo sostenibile e sufficiente da quelle stesse risorse. La tutela dell’agro-biodiversità è un pilastro fondamentale della sicurezza alimentare. La produzione biologica e il consumo dei grani andini recuperati, di cui è stato già sottolineato l’alto valore nutritivo, ha contribuito ad un miglioramento nella qualità, quantità e varietà dell’alimentazione. Il rafforzamento del valore collegato a queste produzioni e la promozione della conoscenza delle qualità dei prodotti crea nuove opportunità commerciali a livello nazionale e internazionale, è un’opportunità di creazione di reddito per l’investimento nello sviluppo soprattutto umano nei territori coinvolti. La riproposizione di questo modello assume anche significati a livello globale. Si pensi alla funzione che i NUS possono 74 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile svolgere nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici. Nel caso specifico dell’iniziativa condotta da Oxfam Italia in Ecuador, la quinoa e l’amaranto sono stati selezionati per la loro maggiore tolleranza alla siccità rispetto ad altre colture. La conservazione e valorizzazione dell’agrobiodiversità, fondata sulla riscoperta di coltivazioni e metodi elaborati in stretto rapporto con le caratteristiche specifiche dei territori, si conferma una via percorribile per affrontare la sfida della sostenibilità della produzione agricola e della sua capacità di nutrire l’intera popolazione mondiale con sufficienti quantità e qualità di alimenti e in modo sostenibile nel tempo. Un approccio valido e replicabile in Paesi a basso, medio e alto reddito L’iniziativa qui presa in esame è replicabile in altri contesti geografici seguendo lo stesso approccio innovativo di cui si parlava nel paragrafo precedente per assicurare un’effettiva partecipazione territoriale ed un’identificazione corretta delle peculiarità locali che sono fattori imprescindibili di successo del programma. In Ecuador diversi Municipi e varie associazioni di produttori andini si sono già mostrati interessati a sperimentare l’azione sul proprio territorio. A dimostrazione della fattibilità dell’azione anche in contesti geografici differenti, va precisato che all’interno del programma Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale, oltre all’iniziativa realizzata in Ecuador, sono state parallelamente condotte altre due iniziative simili: una in Marocco coordinata sempre da Oxfam Italia e un’altra in Senegal grazie al coordinamento dell’ONG Acra. La scelta di sperimentare l’azione in questi tre Paesi è stata dettata dalla ricchezza di biodiversità, dal potenziale turistico che li caratterizza e dalla pregressa esperienza di lavoro delle ONG in quei Paesi. Nel riproporre l’azione in altri contesti, sicuramente vanno considerate queste dimensioni rilevatesi entrambe importanti per la buona riuscita dell’intervento, ed è auspicabile poter mettere in relazione contesti transfrontalieri possibilmente omogenei ed incoraggiare la cooperazione tra Paesi a medio/basso reddito per permettere un maggiore scambio che, in ambiti d’intervento come questo, possa essere fonte di apprendimento reciproco tra i produttori e di maggiore carica motivazionale. È infine opportuno sottolineare come quest’iniziativa di cooperazione presenti degli spunti interessanti in tema di sviluppo sostenibile che hanno rilevanza tanto in economie di Paesi a medio e basso reddito quanto in economie ad alto reddito. La valorizzazione di colture e culture locali è un’opportunità per tutte le comunità territoriali interessate a ripristinare un corretto rapporto uomo ambiente e a qualificare la produzione del settore agricolo come motore di sviluppo e base per un’alimentazione corretta e salutare. La sfida in questo senso è globale e passa attraverso un profondo cambiamento della cultura alimentare capace di incidere sulle abitudini e i comportamenti dei consumatori per rendere le loro scelte sempre più consapevoli ed orientate ai valori di equità e sostenibilità, un terreno su cui l’Italia esprime particolari sensibilità e vocazioni. Capitolo 4 75 4.6 Salinità in Iraq: gestione della salinità del suolo nell’area di Nassiriya : agricoltura, acqua, antropizzazione KEYWORD : gestione sostenibile del suolo e del sistema idrico TEMA : contadini + autorità locali + ricercatori scientifici MAJOR GROUPS : ambientale + economico ASSET : approccio + processo INNOVAZIONE Per approfondire: http://icarda.org/iraq-salinity-project/teaser Di cosa si tratta Le premesse e la mission L’agricoltura delle regioni aride e semi-aride soffre per la crescente scarsità di acqua da impiegare per l’irrigazione, conseguenza dell’aumento progressivo della competizione con altri settori di utilizzo antropico (domestico, industriale). Ciò induce al ricorso crescente a fonti idriche di qualità inferiore, come le acque irrigue riciclate che, anche a causa dei fertilizzanti impiegati per le coltivazioni, hanno un tasso di salinità tale da provocare un calo nella produttività delle colture e il degrado delle condizioni del suolo. Le regioni interessate devono perciò affrontare problemi complessi e interrelati di gestione sostenibile delle risorse, di infrastrutture e di tecniche produttive. Le pianure dell’Iraq centrale e meridionale, dove si estendono i due terzi dell’area coltivata del Paese, soffrono in modo rilevante questo problema, che è la principale causa del calo nella produzione agricola del Paese. Il progetto “Salinità in Iraq” mira a migliorare la gestione complessiva dell’irrigazione agricola nell’Iraq centrale e meridionale, a partire dal monitoraggio dei livelli di salinità dell’acqua, fino all’applicazione di nuovi metodi di coltivazione capaci di una migliore gestione della risorsa. Gli obiettivi sono dunque il miglioramento della resilienza del settore agricolo e il sostegno alle capacità di generare reddito da parte della popolazione rurale attraverso una gestione sostenibile dei suoli e delle acque, e di contribuire allo sviluppo di una strategia integrata e sostenibile della gestione della salinità a lungo termine. Il contesto iracheno presenta delle difficoltà aggiuntive dovute alla situazione post-bellica e al permanere di condizioni critiche di sicurezza, che non consentono l’accesso a personale internazionale: questa limitazione fa della partecipazione di attori locali una condizione indispensabile per la realizzazione del progetto. I partner del progetto L’iniziativa ha preso avvio nel dicembre del 2010, e se ne prevede il termine per giugno 2013. Le parti coinvolte, oltre alla Cooperazione italiana (il Ministero degli Affari Esteri - DGCS finanzia con 836.842 dollari US l’attuazione del progetto nella regione di Nassiriya), e a quella australiana (AusAid, co-finanziatore), sono numerose, tanto a livello internazionale che locale. L’ICARDA, International Center for Agricultural Research in the Dry Areas, cura tutti gli aspetti dell’implementazione in termini di risorse umane, tecniche e scientifiche, il tutto in collaborazione anche con altri organismi internazionali. La controparte locale istituzionale è il Ministero dell’agricoltura iracheno. Altri partner iracheni sono il Ministero delle risorse idriche, il Ministero dell’alta educazione, il Ministero delle scienze e tecnologia, e il Ministero dell’ambiente. Il progetto sta coinvolgendo complessivamente un centinaio di tecnici locali, sia per la parte di formazione che per quella di assistenza tecnica. L’elevata componente di personale tecnico che viene formato a livello locale risponde in modo rilevante alla necessità di assicurare sostenibilità a medio e lungo per le realizzazioni del progetto, garantendo un sufficiente bacino di risorse umane in grado di portare avanti le attività e gestire la manutenzione delle strutture. Altri partner internazionali sono la Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO), la University 76 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile of Western Australia (UWA), l’International Center for Biosaline Agriculture (ICBA), e infine l’International Water Management Institute (IWMI). Le strategie e le azioni L’attuazione del progetto è articolata in diverse componenti. Un primo pilastro dell’impianto poggia sullo sviluppo di un modello che permette l’individuazione dei terreni salini e del loro livello di salinità attraverso l’interpretazione delle immagini satellitari e l’utilizzo di dati rilevati sul terreno. Grazie al modello, il Governo iracheno sarà in grado di verificare di anno in anno, con le sole mappe satellitari, l’evolversi dei processi di salinizzazione dei terreni. Parallelamente, è stata sviluppata l’analisi dell’evolversi dei processi di salinizzazione delle acque superficiali utilizzate a scopo irriguo, prelevate dai fiumi Tigri ed Eufrate, che ha permesso di individuare l’origine del processo in alcuni fenomeni localizzati sul suolo iracheno con incidenza maggiore, procedendo dalla sorgente verso la foce dei due fiumi, ponendo le basi per l’elaborazione di strategie efficaci di lotta alla salinizzazione. La fase di indagine su aree campione, utilizzando varie fonti di dati, ha permesso la costruzione di mappe che ricostruiscono la storia della salinizzazione dei suoli e, sulla base anche delle immagini satellitari, si sta procedendo allo sviluppo di altre mappe tematiche dei suoli con l’obiettivo di estendere la pratica all’intero territorio nazionale. L’elaborazione delle metodologie di analisi e la partecipazione dei tecnici iracheni alla loro realizzazione rientra nelle attività finalizzate al trasferimento di know how e al capacity building a favore delle risorse locali. Allo stesso modo, si sta procedendo anche all’analisi dei fenomeni inerenti le acque di falda. Il modello per la valutazione dei rapporti tra livelli di acqua di falda, di irrigazione e produttivi, una volta testato, consentirà di programmare meglio gli interventi irrigui in funzione dei livelli di falda esistenti, al fine di massimizzare le produzioni. Anch’esso è in corso di validazione e ne è prevista la diffusione prima della fine del progetto. La fase sperimentale è ancora in corso ed è complicata dal fatto che la falda oggetto di analisi interessa anche il bacino idrografico siriano ed è utilizzata nel governatorato di Al Hassakeh in Siria. Un terzo asse di sviluppo del progetto vede la definizione del modello SWAP in grado di prevedere le rese produttive delle maggiori colture, in funzione della profondità della falda superficiale e dei livelli d’irrigazione. Il modello è attualmente in corso di validazione, in vista di un suo utilizzo su scala più ampia. Un’ulteriore componente del progetto riguarda lo studio delle tecniche agronomiche per il controllo della salinità dei terreni. Sulla base di dati sperimentali si sta procedendo alla valutazione delle diverse opzioni sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista economico. Il progetto prevede la validazione e la progressiva disseminazione delle soluzioni sperimentate in specifiche aree agricole individuate dal progetto. La sperimentazione ha incluso test su diverse varietà di colture locali e altre essenze foraggiere esotiche al fine di valutarne l’efficienza produttiva in funzione dei vari livelli di salinità. Sono, inoltre, previsti processi specifici di valutazione partecipata dei risultati con il coinvolgimento diretto degli agricoltori, nonché analisi di mercato per determinare la sostenibilità economica delle soluzioni proposte. Dal punto di vista dell’analisi socio-economica, sono stati studiati i meccanismi di impoverimento delle popolazioni rurali e l’influenza delle variabili collegate all’incremento della salinità dei suoli. Obiettivo dell’analisi è la definizione di un modello previsionale dell’impatto economico dei diversi livelli di salinità. Parallelamente, sono state studiate le politiche di settore attuate in Iraq ed i loro effetti e, con metodologie comparative, sono state analizzate le pratiche correnti nei Paesi affetti da problematiche simili, al fine di identificare possibili buone pratiche e orientamenti da condividere con il Governo iracheno. Aspetti innovativi ed interessanti L’introduzione sperimentale di un approccio sistemico ai problemi relativi alla salinizzazione delle acquee e dei terreni Il progetto rappresenta una delle prime esperienze di analisi e intervento complessivo e multidimensionale per rispondere al problema della salinizzazione delle acque in un territorio. Un problema che, per la sua complessità e ampiezza di implicazioni ecologiche, economiche, sociali, necessita di un approccio integrato e basato su una conoscenza approfondita delle condizioni di contesto, delle concause dei fenomeni e delle dinamiche che intrecciano gli effetti dei diversi processi in corso. Le attività sono state articolate con il duplice obiettivo di arrivare, da un lato, a una conoscenza aggiornata dell’evoluzione del fenomeno, delle cause ecologiche e antropiche e dei suoi effetti sull’economia agricola della regione, e, dall’altro, di sviluppare una capacità di intervento diffusa ai diversi livelli, dagli agricoltori alle strutture governative. Un’enfasi specifica sul ruolo delle risorse locali L’ambizioso disegno e intervento comporta un’attenta mobilitazione di risorse umane qualificate e un forte impegno per garantire la continuità e la qualità del lavoro attraverso la solidità di una struttura di competenze e capacità operative adeguatamente articolate. Ciò non sarebbe possibile senza il coinvolgimento di un’ampia rete di attori internazionali e locali. Questi ultimi sono, in questo caso, a maggior ragione indispensabili perché la situazione di insicurezza nel controllo del territorio da parte delle autorità governative rende difficoltoso lo svolgersi di tutte le attività sul campo, soprattutto per i tecnici non iracheni. Pertanto, la maggior parte dei tecnici ICARDA, ente esecutore, sono impossibilitati a svolgere Capitolo 4 77 missioni e sopralluoghi nell’area di progetto, che ha ancora seri problemi di sicurezza e l’attuazione di molte delle attività in loco è quindi affidata ai tecnici locali ed alle relative amministrazioni, con il coordinamento remoto di vari specialisti internazionali del settore. La notevole responsabilizzazione dei partner professionali e istituzionali locali ha come effetto immediato l’accelerazione nella formazione di competenze e nella appropriazione da parte dei beneficiari delle attività di capacity e institution building che ricevono una spinta decisiva dall’impegno diretto sul campo e dalla quotidiana traduzione delle conoscenze e delle abilità acquisite in azione con risultati tangibili. Gli impatti sulle relazioni intergovernative e sul partenariato locale e internazionale L’attivazione di sinergie a livello interministeriale è un ulteriore risultato positivo raggiunto dal progetto anche per effetto della sua impostazione multidisciplinare che abbraccia problematiche che toccano diversi ambiti di decisione politica. Grazie alla specifica struttura del progetto, sta fattivamente concretizzandosi la collaborazione fra i cinque ministeri coinvolti nella sua implementazione, collaborazione che si configura come un fatto inedito per l’Iraq, dove le difficoltà di sviluppare coesione sociale e politica si riflettono anche a livello governativo. Contemporaneamente, sono stati raggiunti risultati interessanti anche sul fronte del dialogo con gli agricoltori presenti sul territorio, in particolare nella attività di verifica dell’entità dei problemi produttivi a livello locale, e della disponibilità a introdurre innovazioni nei metodi e nelle scelte agronomiche. Gli effetti delle attività concertate con la popolazione contribuiscono alla costruzione di un nuovo scenario di sviluppo della governance e delle capacità locali nella gestione del sistema ecologico e agricolo della regione. La qualità dell’attività di capacity building risulta significativamente incrementata dall’interazione continua di tecnici e istituzioni coinvolti con le numerose organizzazioni internazionali, ciascuna portatrice di competenze specifiche diverse, che fin dalle prime fasi hanno rivestito un ruolo rilevante nel progetto conferendo valore al progetto. In particolare, il lavoro di ricerca e studio dei dati, portato avanti da team che comprendono figure professionali di altissimo livello, produce un impatto di grande interesse, non solo in termini di capitalizzazione di capacità, ma anche come motore di diffusione fra le istituzioni nazionali e locali di una nuova cultura della sostenibilità. A questo processo concorre la cooperazione fra i numerosi enti di ricerca, basati sia in Paesi donatori sia in Paesi in via di sviluppo, che si collega al lavoro realizzato sul campo in Iraq attraverso la condivisione dei risultati delle indagini e dell’elaborazione metodologica, su un tema emergente nell’orizzonte delle questioni globali dello sviluppo sostenibile. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile I risultati del partenariato come leva per la collaborazione istituzionale attorno a progetti concreti Come già descritto, il buon andamento del progetto dipende largamente dall’attiva collaborazione degli attori coinvolti e, prima di tutto, della controparte irachena e di tutti gli altri ministeri coinvolti. La collaborazione governativa, sia sul fronte istituzionale sia tecnico, è essenziale per superare gli evidenti ostacoli all’implementazione delle attività sul campo in ragione dei problemi di movimento e di lavoro in condizioni di sicurezza degli esperti stranieri. Ma proprio l’elevato livello di coinvolgimento delle componenti locali, dettato dalle esigenze contingenti, rappresenta uno degli elementi che rendono il progetto interessante come spunto per un allargamento di alcune componenti della strategia adottata in altri contesti dove si intervenga per portare i diversi livelli istituzionali ad una collaborazione fattiva per affrontare problemi scottanti di sostenibilità ambientale e sviluppo economico. L’esperienza di collaborazione istituzionale fornisce spunti di interesse anche per una riflessione su possibili applicazioni all’interno dei confini nazionali. Diversi sono gli snodi della rete di relazioni che si è andata costruendo che possono rappresentare modelli utili per altri ambiti dove l’azione partecipata risulti importante. La rete di cooperazione creatasi a livello interministeriale e ancor più il modello di relazioni su cui essa si è basata sono un valido strumento di intervento anche per affrontare altri ambiti di governance delle risorse in Iraq. E ciò è particolarmente vero quando risulti evidente la necessità di realizzare un intervento sistemico su tematiche legate allo sviluppo sostenibile. Lo stesso può dirsi per la cooperazione costruita per questo progetto fra una rete complessa di attori locali, statali e internazionali, politici da una parte e centri di ricerca scientifica ed economica dall’altra, che rappresenta un patrimonio di grande valore per il Paese e che presenta interessanti potenzialità per essere spendibile in altri contesti. L’elaborazione metodologica e scientifica sul tema specifico Il progetto sta producendo una mole significativa di dati scientifici e di opzioni tecniche. La possibilità di adattare i modelli e le soluzioni operative testate in Iraq rappresenta un patrimonio di grande valore per la cooperazione italiana e internazionale sul tema specifico della salinizzazione dei suoli e delle acque riguarda numerose zone del pianeta; si pensi ad esempio al bacino del Lago Aral. Anche le azioni di sviluppo di nuove tecniche agronomiche concertate con gli agricoltori costituiscono un capitale di know how ed esperienze spendibile in altre aree rurali nello stesso Paese con problemi di impoverimento della fertilità dei suoli e delle rese agricole, con possibilità di adattamento ad altri problemi di sviluppo rurale sostenibile. Infine, è di grande interesse lavorare su ipotesi di utilizzo dei risultati del progetto per la riflessione sulle complesse 78 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile problematiche che caratterizzano, anche nel contesto italiano, la gestione di risorse come i sistemi idrografici o i suoli coltivabili. L’esperienza in questo senso non manca nel nostro Paese, come evidenziano anche molti dei casi studio presentati nel presente lavoro. Tuttavia, sul tema specifico della protezione del suolo e sulla sostenibilità delle pratiche irrigue e di mantenimento della fertilità, anche in Italia, si dimostra necessario un salto di qualità nell’impegno collettivo e un’accelerazione dell’azione nei territori maggiormente a rischio. Il dissesto idrogeologico che affligge una porzione consistente del territorio nazionale, riesce a raccogliere l’interesse dell’opinione pubblica per effetto dei tragici fatti che periodicamente conquistano le prime pagine dei giornali e questo, anche se con grosse contraddizioni, contribuisce almeno a mantenere il tema nell’agenda politica nazionale. Diverso il quadro per quanto riguarda i problemi di desertificazione e di progressiva perdita della capacità di rigenerazione della fertilità di molti terreni agricoli nel Paese. La congiunta marginalità dell’agricoltura come settore economico e delle aree del Paese dove maggiormente si concentrano i terreni che al momento presentano segni di impoverimento grave non contribuisce all’emergere di una sensibilità spiccata dell’opinione pubblica sul tema, che invece ha tutte le potenzialità per divenire un problema ambientale scottante nel medio periodo, anche in aree non marginali come la Pianura Padana, se non altro per effetto del cambiamento climatico che assottiglia le già sovrautilizzate risorse idriche per l’agricoltura. Si tratta, come è evidente, anche nel caso italiano di problematiche che interessano il territorio in modo sistemico, e che come tali vanno affrontate con un approccio integrato e multilaterale. L’esperienza irachena nel campo specifico che ha visto il coinvolgimento di un ampio ventaglio di partner di alto livello nella ricerca sul tema, costituisce un interessante portato di esperienza e know how utile e spendibile per avviare percorsi simili anche in aree a rischio in Italia, senza dimenticare le ulteriori potenzialità di collaborazione regionale in aree mediterranea. Capitolo 4 79 4.7 Il progetto 4Cities4Dev: il presidio Slow Food in Mauritania : comunità del cibo, consumo responsabile KEYWORD : pesca e trasformazione ittica sostenibili TEMA : donne + comunità + ONG + ricercatori scientifici MAJOR GROUPS : economico + ambientale + sociale ASSET : approccio + processo INNOVAZIONE Per approfondire: http://www.4cities4dev.eu/ Egidio Dansero, Cristiana Peano, Carlo Semita e Nadia Tecco (a cura di), Il modello delle comunità del cibo nell’azione di Slow Food in africa. Modalità operative e indicazioni per la valutazione e il monitoraggio delle attività, CISAO/CSA, Torino, 2011 Di cosa si tratta La valorizzazione della biodiversità e dei saperi locali in campo alimentare Il progetto 4Cities4Dev è un intervento co-finanziato dall’Unione Europea, che nasce dalla collaborazione avviata da quattro città europee (Torino come ente capofila, Tours, Riga, Bilbao) e Slow Food. L’intervento mira a valorizzare il ruolo delle città quali protagoniste di azioni di cooperazione decentrata, e a coniugarlo con l’approccio di Slow Food basato sul coinvolgimento delle “comunità del cibo”, che, cioè, si qualificano per la produzione, trasformazione e distribuzione di particolari beni alimentari originari del territorio, che diventano l’elemento centrale delle iniziative di sviluppo territoriale attraverso la loro promozione sia all’interno sia all’esterno del territorio stesso. Per la comunità, urbane, il valore aggiunto della partecipazione a questo genere di iniziative consiste soprattutto nel fatto che la città, considerata prevalentemente come luogo di consumatori, può ricevere consistenti benefici dalle attività di sensibilizzazione nei confronti delle tematiche legate alla produzione alimentare. Attività che, in questo caso, vengono condotte considerando il cibo come elemento rilevante e trasversale alle politiche di amministrazione cittadina. Le quattro città europee hanno “adottato” sette comunità del cibo in Senegal, Mauritania, Etiopia, Madagascar, Kenya, Mali e Costa d’Avorio. “Adottare” una comunità del cibo significa permettere alle città europee di conoscere da vicino queste realtà, e di allacciare rapporti tra città partner, autorità locali e comunità del cibo. Inoltre, il sostegno a queste comunità ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei cittadini europei sul consumo responsabile e sulle conseguenze delle proprie abitudini alimentari. Tra i progetti già avviati da Slow Food in Africa, il progetto ha coinvolto sei Presìdi Slow Food e alcuni orti comunitari, realizzati con lo scopo di tutelare le piccole produzioni locali, valorizzando le risorse del territorio a partire dal recupero di mestieri e tecniche di produzione e di trasformazione tradizionali e dalla protezione della biodiversità locale, offrendo nello stesso tempo ai produttori locali una fonte sostenibile di reddito. Il Presidio della Bottarga delle donne Imraguen in Mauritania Per meglio comprendere le peculiarità del modello proposto e gli elementi caratterizzanti e qualificanti dell’iniziativa, può risultare utile analizzare sommariamente nello specifico una di queste “adozioni”, quella del Presidio Slow Food della Bottarga delle donne Imraguen in Mauritania, adottato dalla città di Tours, che offre interessanti spunti di riflessione. Le acque della Mauritania sono tra le poche al mondo ancora ricche di pesce, attualmente minacciate dalle flotte dei Paesi occidentali che si spartiscono i diritti di pesca, venduti dal Paese in cambio di una riduzione del debito pubblico nel 2006. È dello stesso anno la nascita del Presidio Slow Food, che si costruisce intorno alla filiera della bottarga di muggine, occupandosi parallelamente anche dei temi della pesca sostenibile a cui l’attività di trasformazione condotta dalle donne è strettamente legata. 80 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile La bottarga prodotta era acquistata a un prezzo molto basso dagli intermediari e poi commercializzata all’estero; la lavorazione artigianale del pesce avveniva in condizioni igieniche precarie, fornendo un prodotto di bassa qualità. Il Presidio ha lavorato con i diversi attori della filiera (le donne che trasformano il pesce e gli uomini che lo pescano) per promuovere un’economia locale competitiva a livello nazionale e internazionale. Al fine di migliorare le condizioni di trasformazione del pescato, è stato avviato uno scambio proficuo tra il presidio in Mauritania e il Presidio della bottarga di Orbetello, che aveva le competenze necessarie per collaborare con le donne mauritane. Le donne coinvolte hanno partecipato al Salone del gusto, Terra Madre e ad una serie di altri eventi internazionali promossi da Slow Food, si sono riunite in cooperative e hanno affittato un laboratorio che rispetta gli standard di qualità previsti per il processo di trasformazione. L’opera del Presidio è continuata anche grazie al sostegno della regione Piemonte, che a partire dal 2008 ha consentito il finanziamento di diverse attività, tra cui l’acquisto di macchinari professionali per la lavorazione del pescato. Lo sviluppo attraverso 4Cities4Dev In un tale processo già avviato si è inserito, a partire dal febbraio 2011, il progetto 4Cities4Dev, con l’obiettivo specifico di favorire la creazione di una salina nella zona di Nouadhibou, grazie anche alla collaborazione dell’associazione francese di produttori di sale di Guérande (Univers Sel). Il sale era stato fino a quel momento raccolto con tecniche che non ne garantivano la qualità, ed era quindi necessario importarlo a caro prezzo dalla Spagna. Il progetto, attraverso l’adozione della città di Tours di questa comunità, ha messo a disposizione i fondi per iniziare i lavori di costruzione della salina, provvedendo nel contempo alla realizzazione di saline sperimentali necessarie per la conduzione del lungo percorso di test e studi, tutti in collaborazione con Univers Sel. Il progetto 4cities4dev ha previsto diverse attività a sostegno del Presidio, realizzate da Slow Food in collaborazione con la città di Tours: 1. avvio di una salina nei pressi di Nouadhibou e formazione del gruppo che la dovrà gestire; 2. attività di scambio e formazione e ultimazione del disciplinare di produzione; 3. partecipazione del Presidio a due eventi internazionali: Euro Gusto (Tours, 18-20 novembre 2011) e Salone del Gusto e Terra Madre (Torino, 25-29 ottobre 2012) La produzione di sale permetterà di migliorare l’economia locale e di completare la filiera produttiva. In questo modo, il Presidio diventerà uno strumento efficace per evitare che i pescatori artigianali e le trasformatrici vengano cooptati nel settore della grande pesca industriale. Aspetti innovativi ed interessanti Identità comunitaria e cibo L’aspetto maggiormente innovativo dell’intero processo è sicuramente l’applicazione del “modello” di cooperazione proposto da Slow Food, che si focalizza sulla qualità del cibo quale motore di cambiamento ed elemento essenziale per la costruzione di un approccio integrato che ruota intorno all’idea che si possa creare identità comunitaria, capitale sociale e sviluppo, partendo dal concetto di “comunità del cibo”: una comunità che si riconosce in un particolare alimento specifico del territorio. Il progetto si concentra sulla produzione, trasformazione, promozione e distribuzione del prodotto alimentare all’interno e all’esterno del territorio stesso. Riscoprendo e valorizzando l’importanza dell’identità culturale espressa dal cibo viene promossa un’idea di “globalizzazione virtuosa”, che lega l’eco-gastronomia al consumo responsabile e alla salvaguardia della biodiversità dei cibi, delle comunità e dei contesti nei quali vengono prodotti. Il cibo così da semplice alimento assume un valore simbolico e politico, contribuendo allo sviluppo di un’identità culturale locale. La filosofia SlowFood e i PVS È interessante evidenziare che Slow Food non è propriamente un soggetto tradizionale della cooperazione, ma con le sue attività opera anche in questo campo, svolgendo azioni di accompagnamento, supporto, messa in rete e promozione dello sviluppo rurale nei territori del Sud del mondo sulla base dell’assunto dell’universalità dell’approccio che mette l’agricoltura di territorio, la sua cultura e i suoi saperi al centro dello sviluppo locale. Le economie agricole dei PVS sono spesso ancora basate sulla monocoltura, che crea un’endemica situazione di dipendenza delle comunità per l’approvvigionamento alimentare. In tale situazione, l’applicazione alla realtà dei PVS della filosofia Slow Food diventa il modo non solo per affermare la necessità della riacquisizione di tecniche e saperi tradizionali e l’importanza di conservare e valorizzare il patrimonio della biodiversità, ma anche per portare avanti azioni miranti alla lotta alla povertà e al raggiungimento della sicurezza alimentare. Capitolo 4 81 Un semplice ma promettente modello di cooperazione Il modello di cooperazione di Slow Food, si basa primariamente sulla realizzazione di Presidi per il mantenimento e la valorizzazione di colture e produzioni tipiche e territoriali e sull’impianto di orti per la diversificazione produttiva e alimentare, basata sulla produzione di varietà locali adattate alle specificità del territorio. Gli assi di sviluppo dell’attività di cooperazione sono gli stessi che hanno permesso il grande successo del movimento nel Nord. Questo comporta numerosi vantaggi anche operativi: • l’implementazione, il supporto e il controllo delle attività è garantito dalla struttura associativa e dalla presenza di una comunità del cibo, che condivide con Slow Food i valori fondamentali e che non richiede la presenza di espatriati in missione permanente sul territorio oggetto dell’iniziativa; • le comunità del cibo e il network di Terra Madre promuovono la disseminazione del modello attraverso la creazione di relazioni tra i vari soggetti partecipanti alle iniziative, in questo modo l’intervento non si estingue nella durata “classica” dei progetti di cooperazione, ma continua nel tempo, poiché il network creato da Slow Food permette al processo di sostenersi e gli dona visibilità, rendendolo parte integrante del “sistema” Slow Food; • l’intervento è accompagnato da un’intensa attività di comunicazione per “narrare” le attività condotte e porre l’accento sulle tradizioni e culture locali che esse rappresentano; all’interno di un tale schema narrativo di riferimento il consumatore, non più soggetto passivo, è indotto a interessarsi di coloro che producono il cibo che consuma, delle tecniche utilizzate e dei problemi incontrati dalle varie comunità produttrici, facendosi egli stesso nodo del network virtuale di supporto dell’iniziativa e, quindi, promotore dello sviluppo locale della comunità produttrice con cui condivide i benefici in termini di qualità alimentare. Il ruolo del network Nord-Sud Un altro aspetto interessante del progetto esaminato e del processo all’interno del quale esso è inserito, è l’estesa rete partenariale costruita grazie soprattutto all’attività aggregante condotta da Slow Food. Il partenariato coinvolge tessuto produttivo e comunità territoriale, sia nelle aree interessate dall’attività di produzione, sia nelle città adottive. Nel caso specifico del progetto in Mauritania, oltre alle donne Imraguen e Wolof coinvolte, che si sono riunite in due cooperative, supportate dall’ONG locale Mauritanie 2000, gli altri attori che hanno partecipato al processo sono stati il Presidio e la condotta Slow Food di Orbetello, la città di Torino, la città di Tours, l’associazione Univers Sel, la Regione Piemonte e anche gli attori coinvolti dalla rete Slow Food all’interno degli eventi internazionali promossi. La rete cosi creata, in continua espansione, diventa garante della sostenibilità del processo. Le città europee partner sono state coinvolte nel tentativo di diffondere il modello innovativo di cooperazione che, in un’ottica di sostenibilità, potrà essere adottato anche per le loro azioni future. La città di Tours, ad esempio, è intenzionata a mantenere il sostegno alle donne Imraguen anche successivamente al termine delle attività del progetto, continuando a collaborare con loro e portando avanti un processo di “adozione” vera e propria. Gli eventi internazionali che hanno,svolto una funzione importante per la disseminazione e condivisione dell’approccio e dei risultati delle esperienze in corso, hanno inoltre contribuito a innescare un allargamento del processo di sensibilizzazione verso il consumo responsabile di prodotti locali e soprattutto a diffondere la conoscenza di prodotti tipici e di qualità grazie al coinvolgimento anche delle altre realtà del network Slow Food, spesso non contigue alla cultura della cooperazione internazionale. Quali spunti per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile Il cibo sicuro e di qualità: un problema comune al Nord e al Sud che si può affrontare insieme L’attenzione al cibo e all’universo simbolico e culturale ad esso collegato è sempre di più un fenomeno che, seppure con differenti sfumature, diventa elemento determinante nella costruzione delle identità territoriali qui e altrove; per tale motivo, esso rappresenta un valido terreno di incontro per comunità provenienti da realtà differenti e lontane geograficamente, ma sempre più spesso costrette a confrontarsi con sfide condivise, seppure diversamente declinate nelle diverse aree del globo. In quest’ottica, il modello cooperativo proposto da Slow Food è particolarmente interessante in quanto rende evidente come uno degli elementi fondamentali per la creazione di reti territoriali estese e durature sia l’identificazione di un sistema di pensiero collettivo, che offra elementi unificanti di interpretazione della realtà e che allo stesso tempo si adatti alle specificità di ognuna delle comunità che compongono il network. L’adattabilità del modello nella possibilità di cambiare l’ordine gerarchico degli obiettivi Il modello proposto è facilmente riproducibile: l’intero processo si basa su azioni derivanti da una filosofia comune che può però essere adattata a contesti specifici nel Nord e nel Sud del mondo. Tutto ciò facilita la creazione di reti complesse caratterizzate da obiettivi condivisi, che si scambiano mutualmente informazioni e benefici. È dunque comprensibile come mai un processo inizialmente concepito per essere applicato in Italia possa essere adattato all’universo della cooperazione internazionale tra territori. La riproducibilità ed adattabilità del modello qui proposto emerge dall’analisi dell’azione di Slow Food in Africa: se l’approccio, gli obiettivi e la metodologia rimangono le stesse adottate anche nel Nord nel mondo e in molti altri PVS, c’è un significativo cambiamento dell’importanza attribuita 82 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile ai diversi scopi da raggiungere: la priorità è in questo caso attribuita alla lotta alla povertà e al raggiungimento della sicurezza alimentare, attraverso la riappropriazione di tradizioni agricole locali. Cambiare il modello agricolo dominante al Nord come al Sud Se in Italia l’esperienza degli orti scolari ha garantito tangibilità ai ragionamenti sulla biodiversità, la stessa pratica esportata nel Sud del mondo assume altre valenze, come l’affermazione della necessità di disaccoppiare i concetti di fame e di agricoltura intensiva e dissennata, e di combattere il principio secondo cui qualsiasi tipo di agricoltura è auspicabile in una situazione di fame e malnutrizione generalizzata. Tale approccio si risolve spesso infatti nella giustificazione di un’agricoltura attenta agli aspetti quantitativi e non qualitativi. In una tale prospettiva, lo sviluppo locale appare fortemente interconnesso con il decentramento e la partecipazione dei territori, rappresentando un’alternativa a modelli di sviluppo top-down imposti spesso anche da un certo tipo di progetti di cooperazione internazionale. L’idea alla base del processo cooperativo promosso da Slow Food, ossia quella di non coinvolgere espatriati per l’implementazione, parla di un nuovo approccio alla cooperazione decentrata che riscopre la sua essenza nel superamento della classica dicotomia donatori-beneficiari, per orientarsi verso la messa in rete di attori paritari, tutti custodi della biodiversità. I tre elementi caratterizzanti di questo modello, ovvero la condivisione degli obiettivi, la creazione di reti sostenibili e l’instaurarsi di processi duraturi su base paritaria rappresentano imprescindibili caratteristiche che è auspicabile potenziare nell’ambito di tutta la cooperazione internazionale tra territori. Capitolo 4 83 Appendici 1. Long list delle iniziative realizzate sul territorio italiano 2. Long list delle iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana 3. Seminario territoriale di Bologna 4. Seminario territoriale di Potenza 5. Seminario territoriale di Torino 6. Seminario territoriale di Capannori 7. Schema adottato per la raccolta di informazioni sui casi studio Appendici 85 1. Long list delle iniziative realizzate sul territorio italiano Iniziativa Repertorio Regione Consorzio Cuoio Depur Greenitaly Toscana Edilana Edilatte CasaverdeCO2.0 Greenitaly Sardegna Habitech, il Distretto Tecnologico Trentino per l’energia e l’ambiente Comune di Capannori Greenitaly Trentino AA - Toscana Contratto di fiume Lambro- Seveso-Olona - Lombardia Unione di Comuni Valdarno e Valdisieve CURSA/Legambiente Toscana Consorzio BioPiace CURSA/Legambiente Emilia Romagna Detersivi alla spina e Riducimballi CURSA Lazio ASTER Green Economy in Emilia Romagna 2012 Centrale di cogenerazione a ciclo combinato Cartiere del Garda Greenitaly Emilia Romagna Ciclofficine popolari Sito web Lazio Cicloturismo in Trentino CURSA/Legambiente Trentino AA Cittadellarte Fashion–Bio Ethical Sustainable Trend Greenitaly Piemonte Comune di Brunico (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comuni 5 vele Legambiente1 Sardegna Consorzio Filcart Greenitaly Lazio Contratto di fiume Arno Green Economy in Emilia Romagna 2012 Greenitaly Toscana L.A.C.Re Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Toscana - Emilia Romagna Last Minute Market Sito web Emilia Romagna Marchio ambientale di prodotto Distretto del Mobile Livenza Greenitaly Friuli Marchio Cardato Regenerated CO2 neutral Greenitaly Toscana Parco della Majella CURSA/Legambiente Abruzzo Ponte nelle Alpi - Comune riciclone 2012 Legambiente1 Veneto Progetti di sensibilizzazione e formazione - Distretto Ceramico Greenitaly Emilia Romagna Provicia di Parma Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Provincia di Bolzano Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Provincia di Roma Comuni rinnovabili 2012 Lazio Rete Ecologica delle Marche CURSA Marche Siena Carbon Free 2015 CURSA/Legambiente Toscana Slow Park - Free Mountains “Laga in Movimento CURSA Abruzzo Tessile e Sostenibilità Greenitaly Toscana Zapi S.p.A, Green Economy in Emilia Romagna 2012 Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna CURSA Trentino AA Kerakoll SpA Km0 Coldiretti AA Srl Coperture Accordo “Ecoacquisti Trentino” 86 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Lombardia Emilia Romagna Varie Emilia Romagna Accordo Ecoristorazione Trentino CURSA Trentino AA Agriturismo a bassa impronta di carbonio CURSA Veneto Agriturismo Il Duchesco CURSA Toscana Alce Nero Cooperativa Greenitaly Marche Alce Nero e Mielizia Spa Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna AnsaldoBreda tram Sirio CURSA/Legambiente Toscana Antinori riduzione emissioni Greenitaly Toscana APA - Air Pollution Abatement CURSA Lazio Archimede Solar Energy Greenitaly Umbria Ariston Thermo Group solare termico Greenitaly Marche Associazione Remade in Italy CURSA Nazionale Attivazione di filiere locali sostenibili basate su Bioenergie/ Agrienergie Segnalazioni da enti locali Molise Azienda agricola Molinia CURSA/Legambiente Piemonte Azienda agricola Trionfi Honorati CURSA Marche Baltur spa Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Bando delle idee innovazione nei piccoli comuni CURSA/Legambiente Lazio Barilla center for food and nutrition Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) ha ideato il modello della Doppia Piramide Alimentare – Ambientale Barilla. Sviluppo e sperimentazione di un metodo di valutazione per la coltivazione sostenibile del grano duro CURSA Emilia Romagna CURSA Emilia Romagna Berlucchi riutilizzo vinacce Greenitaly Lombardia Binario Etico - recupero trashware Sito web Lazio Bio-on bioplastica Greenitaly Emilia Romagna Biotelo Sumus pacciamatura attiva con la carta riciclata CURSA Lombardia Bonfiglioli riduttori spa Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Bottega della Canapa Greenitaly Emilia Romagna Brevetto Superlativa Greenitaly Lombardia Bulloni e Farfalle - 150 anni di Ambiente, mostra CURSA Piemonte Ca’ Foscari sostenibile il progetto Carbon Management CURSA Veneto Cai Il parco per conoscere agricoltori e montagna - Ricerca e Azione CURSA Emilia Romagna Cai problema dei rifiuti in montagna CURSA Nazionale Cai progetto Medimont Park CURSA Liguria Campania Cai RETE NATURA 2000 E CAI Un approccio sistemico di conoscenza per una frequentazione responsabile CURSA Emilia Romagna Cai VIVERE L’AMBIENTE CURSA Nazionale Cai, Riscoperta dei sentieri ischitani CURSA Campania Californiana Power One - Bracciolini (Arezzo) CURSA/Legambiente Toscana Calore dal cippato di valle (Sondrio) CURSA Lombardia Campagna Coop Acqua di Casa Mia CURSA Nazionale Appendici 87 88 Campagna informativa nazionale svolta da Enea per favorire la diffusione degli incentivi del 55% per l’efficienza energetica CURSA Nazionale CAMPUS MEDITERRANEO CURSA Campania Carbon Footprint Model applied to the Sustainable CampusDevelopment Plan Carta dei Principi per la Sostenibilità Ambientale adottata da Confindustria CURSA Lazio CURSA Nazionale Casa ecologica Vigili del fuoco CURSA/Legambiente Liguria Case dell’acqua Marseille Forum Lombardia Catasto Unico Regionale Impianti Termici (CURIT) CURSA Lombardia Caviro Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Centrale di Villa Castelli (BR) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Centrale idroelettrica di Sparone (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Centrale termodinamica Archimede Greenitaly Sicilia Centro di Ricerca Eni per le Energie non Convenzionali Guido Donegani Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo sostenibile CIRPS Conferenza Scienza della Sostenibilità Italia 2011, Greenitaly Piemonte CURSA Lazio Certificazione energetica degli edifici (CENED) CURSA Lombardia Certificazione LEED - rettorato Università di Tor Vergata CURSA Lazio CHAMP Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Nazionale CIC Compostaggio e obiettivi di riduzione dei rifiuti biodegradabili in discarica CIES Tulipan – CEIBO Progetto integrato di promozione sociale e di sviluppo di economie solidali CURSA Nazionale CURSA Lazio Classi 2.0 CURSA/Legambiente Sicilia COM.I.STRA tessuti riciclati Greenitaly Toscana Comne di Agrigento Comuni rinnovabili 2012 Sicilia Comne di Dobbiaco Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comne di Lecce Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comne di Meleti (LO) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Alessandria Comuni rinnovabili 2012 Comune di Amatrice Dibawatt (alimentatore elettronico, Sorge- CURSA nia Menowatt) Piemonte Comune di Ancona zona portuale Comuni rinnovabili 2012 Marche Comune di Apricena (FG) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Ariano irpino (AV) Comuni rinnovabili 2012 Campania Comune di Badia (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Bagno di Romagna (FC) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Bagno di Romagna (FC) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Bisaccia (AV) Comuni rinnovabili 2012 Campania Comune di Bonate Sopra (BG) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Borgo San Lorenzo (FI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Borzonasca (GE) Comuni rinnovabili 2012 Liguria Comune di Brescia Comuni rinnovabili 2012 Lombardia L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Lazio Comune di Buddusò (OT) Comuni rinnovabili 2012 Sardegna Comune di Budrio (BO) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Cairo Montenotte (SV) Comuni rinnovabili 2012 Liguria Comune di Calcinato (BS) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Calenzano in Provincia di Firenze, Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Campiglia Marittima (LI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Capitignano (AQ) Comuni rinnovabili 2012 Abruzzo Comune di Cappella Cantone (CR) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Carugate (MI) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Casal Cermelli (AL) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Castellaneta (TA) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Castelnuovo Val di Cecina (PI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Castelnuovo Val di Cecina (PI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Castione Andevenno (SO) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Cavalese (TN) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Ceres (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Cerro Maggiore (MI) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Chiusdino (SI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Cingià de Botti (CR) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Cisano Bergamasco (BG) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Codroipo (UD) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Colleferro (RM) Comuni rinnovabili 2012 Lazio Comune di Collesalvetti (LI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Cormano (MI) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Cormayeur (AO) Comuni rinnovabili 2012 Val d’Aosta Comune di Corsico (MI) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Crispiano (TA) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Cuneo Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Cuorgnè (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Curn Venosta (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Curn Venosta (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Cutigliano (PT) Comuni rinnovabili 2012 Basilicata Comune di Dobbiaco (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Don (TN) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Ferrara Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Fiera di Primero (TN) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Fondo (TN) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Fontevivo (PR) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Forlì (FC) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Gais (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Gattatico (RE) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Gioia del Colle (BA) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Appendici 89 90 Comune di Glorenza (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Goro (FE) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Grignano Garganico (FG) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Guiglia (MO) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Isernia Comuni rinnovabili 2012 Molise Comune di Isola del Liri (FR) Comuni rinnovabili 2012 Lazio Comune di Laces (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Lasa (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Lauria (PZ) Comuni rinnovabili 2012 Basilicata Comune di Lecce Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Lecco Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Limena (PD) Comuni rinnovabili 2012 Veneto Comune di Lizzano (TA) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Macchiagodena (IS) Comuni rinnovabili 2012 Molise Comune di Mantova Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Marebbe (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Marradi (Fi) Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Comune di Minervino Murge (BT) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Monasterolo di Savigliano (CN) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Monchio delle Corti (PR) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Monguelfo (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Montebelluna (TV) Comuni rinnovabili 2012 Veneto Comune di Montecastrilli (T) Comuni rinnovabili 2012 Umbria Comune di Monterotondo Marittimo (GR) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Monterotondo Marittimo (GR) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Monteverdi Marittimo (PI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Monteverdi marittimo (PI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Morgex (AO) Comuni rinnovabili 2012 Val d’Aosta Comune di Moso in Passiria (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Olevano sul Tusciano (SA) Comuni rinnovabili 2012 Campania Comune di Orsara di Puglia (FG) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Ostuni (BR) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di Palena (CH) Comuni rinnovabili 2012 Abruzzo Comune di Piancastagna (SI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Pollein (AO) Comuni rinnovabili 2012 Val d’Aosta Comune di Pomarance (PI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Pomaretto (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Pont- Canavese (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Ponte San Nicolò (PD) Comuni rinnovabili 2012 Veneto Comune di Pontebba (UD) Comuni rinnovabili 2012 Friuli VG Comune di Ponti sul Mincio (MN) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Popoli (PE) Comuni rinnovabili 2012 Abruzzo L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Comune di Prato allo Stelvio (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Prè-Saint-Didier (AO) Comuni rinnovabili 2012 Val d’Aosta Comune di Racines (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Radicondoli (SI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Radicondoli (SI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Rasun Anterselva (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Rasura (SO) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Rimini Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Rivarossa (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Roccasecca (FR) Comuni rinnovabili 2012 Lazio Comune di Rosignano Monferrato (AL), Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Sale delle Langhe (CN) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di San Giovanni Bianco (BG) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di San Giovanni Rotondo (FG) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di San Lorenzo di Sebato (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di San Marco in Lami (FG) Comuni rinnovabili 2012 Puglia Comune di San Pellegrino Terme (BG). Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Sant’Agata di Puglia (FO) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Santa Fiora (GR) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Sarentino (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Seneghe (OR) Comuni rinnovabili 2012 Sardegna Comune di Silandro (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Sluderno (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Stelvio (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Tirano (SO) Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Comune di Tivoli (RM) Comuni rinnovabili 2012 Lazio Comune di Tonadico (TN) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Torino Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Treviso Comuni rinnovabili 2012 Veneto Comune di Troia (FO) Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Comune di Usseglio (TO) Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Comune di Vaiano (PO) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Valdaora (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Valle Aurina (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Varna (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Venezia Comuni rinnovabili 2012 Veneto Comune di Vicchio (FI) Comuni rinnovabili 2012 Toscana Comune di Villacidro (VS) Comuni rinnovabili 2012 Sardegna Comune di Villandro (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comune di Vipiteno (BZ) Comuni rinnovabili 2012 Trentino AA Comunità di accoglienza e recupero EMMAUS Comuni rinnovabili 2012 Puglia Concia al cromo ad alto esaurimento Greenitaly Veneto Appendici 91 92 Consorzio Recupero Cromo94 Greenitaly Toscana Consorzio Vera Pelle Conciata al Vegetale Greenitaly Toscana Consorzio VIS - Vestire in Salute Greenitaly Emilia Romagna Consumi energetici e di acqua nei nuovi centri commerciali e punti vendita Coop CURSA Nazionale Contratto di fiume del torrente Agogna - Piemonte Contratto di fiume del torrente Belbo - Piemonte Contratto di fiume Ofanto - Campania Contratto di fiume Orba - Piemonte Contratto di fiume Panaro - Emilia Romagna Contratto di fiume Ronco- Bidente - Emilia Romagna Contratto di fiume Sarno - Puglia Basilicata Contratto di fiume Tevere - Umbria Convegno Scholé Borsa della green economy. Prodotti e processi innovativi al servizio del cambiamento CURSA Piemonte Convenzione Banche del Credito Cooperativo-Legambiente CURSA/Legambiente Toscana Convenzione banche/Legambiente per rinnovabili e eff energ CURSA/Legambiente Toscana Coop certificazione FSC (Forest Stewardship Council) CURSA Nazionale Coop Dolphin Safe e Friends of the Sea CURSA Nazionale Coop Ecocourts - ECOlogical COurtyards United for Resources saving through smart Technologies and life Style CURSA Nazionale Coop gestione logistica e trasporti CURSA Nazionale Coop progetto per la tutela del patrimonio boschivo italiano CURSA Nazionale Coop PROMISE (Product Main Impacts Sustainability Through Eco-communication) CURSA Nazionale Coop recupero a fini sociali dei prodotti invenduti CURSA Nazionale Coop for Kyoto. CURSA Nazionale Coop, Il Risparmio Energetico nei Punti Vendita Coop CURSA Nazionale Coop; certificazione No OGM CURSA Nazionale Cooperativa energetica Prato allo Stelvio CURSA/Legambiente Trentino AA Cooperativa sociale Ecolab Gatti Galeotti CURSA Lombardia Cooperativa Speranza CURSA Piemonte CPR System Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Crescita sostenibile nella regione Tiberina attraverso la coesione territoriale CURSA Umbria Culligan Italiana SpA Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Distretto Tecnologico dell’Efficienza Energetica, delle Energie Rinnovabili e della Green Economy CURSA Toscana Dryarn speciale micro-fibra di poli-propilene Greenitaly Trentino AA Economia eco-solidale CURSA/Legambiente Calabria Ecoplan pannelli Ecomat Greenitaly Calabria ELB End of Life Boats Greenitaly Nazionale Elettronica Santerno Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Enel, programma “Enabling Electricity CURSA Nazionale L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Energia 10 in condotta acquedotto pugliese Comuni rinnovabili 2012 Puglia Energy for Mayors Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Green Economy in Emilia Romagna 2012 Nazionale Erlos3 celle fotovoltaiche ultra flessibili, Greenitaly Sicilia ESPON INTERSTRAT- ESPON in Integrated Territorial Strategies, Università di Roma Tor Vergata CURSA Lazio Essedi, Ortolona geotessili CURSA Sardegna Evento Assisi Endurance ecosostenibile CURSA Umbria Fabbrica del Sole off-grid Box Greenitaly Toscana Fattoria della Piana CURSA/Legambiente Calabria Ferrzootecnia Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Festival dell’Economia 2010 “amico del clima” CURSA Trentino AA Festival Green Economy di Distretto CURSA Emilia Romagna Fiamm batterie al sale Greenitaly Veneto Filiera del bergamotto CURSA/Legambiente Calabria Frescosmesi CURSA Emilia Romagna Fss L’Italia del riciclo CURSA Nazionale Geologia e Vino CURSA Nazionale Giacomini S.p.a. caldaia a idrogeno Greenitaly Piemonte Glass Plus il vecchio TV diventa piastrella CURSA Lombardia GPPinfoNET Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Nazionale Enerray Emilia Romagna Grado Zero Espace, ortica per realizzare un tessuto eco-compa- Greenitaly tibile Toscana Green Business Executive School CURSA Lombardia Green road creazione di un sistema turistico rurale in puglia dalle masserie al mare Greencommerce, l’e-commerce greenwashing free CURSA Puglia CURSA Piemonte Greenzone. La comunicazione parla verde CURSA Lombardia Gruppi di Acquisto Solare di Legambiente Comuni rinnovabili 2012 Nazionale Gruppo Beghelli Green Economy in Emilia Romagna 2012 Green Economy in Emilia Romagna 2012 Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Gruppo Prysmian (ex Pirelli Cavi) P-laser Greenitaly Lombardia Gruppo Sofidel riduzione emissioni Greenitaly Toscana Gruppo Concorde Gruppo Fiori Emilia Romagna Emilia Romagna H2Roma, promosso dal CNR, dall’ENEA e dal CIRPS, salone dedi- CURSA cato alla sostenibilità dell’energia e della mobilità Lazio Happy Hour Happy Planet CURSA Liguria HIA21 Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Nazionale High Tech for Green Tech ciclo di incontri sul tema della ecoinnovazione CURSA Toscana Hybus - rigenerazione autobus CURSA/Legambiente Piemonte Appendici 93 HYDRO ITALIA 94 Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Hydroweee recupero di metalli (rame,manganese,zinco), e terre CURSA rare (ittrio, indio) dai rifiuti elettronici Austria i.lab laboratorio della Italcementi Greenitaly Lombardia IDEMS Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Emilia Romagna Lombardia Il legno parmense riscalda l’ospedale di Borgotaro di Parma CURSA Emilia Romagna Il Sistema CONAI per la prevenzione dell’impatto ambientale degli imballaggi CURSA Nazionale Il Trentino per la protezione del clima CURSA Trentino AA Impatto diete Ma-Pi in adulti con DM in 3 continenti CURSA Marche Impianto alla torcia al plasma Greenitaly Toscana Impianto di biogas da liquame in un’azienda zootecnica CURSA Friuli Impianto fotovoltaico di proprietà comunale a costo zero CURSA Campania Impianto termico Koblen Comuni rinnovabili 2012 Veneto IMPRES@MBIENTE è il nuovo Portale del Gruppo Intesa Sanpaolo CURSA Piemonte Intesa SanPaolo raccolta dei tappi di plastica CURSA Nazionale Intesa SanPaolo tavolo di lavoro interno Tavolo Verde CURSA Nazionale Intesa SanPaolo Ambientiamo il progetto formativo a favore dell’ambiente Intesa Sanpaolo e l’efficienza energetica nelle macchine d’ufficio Intesa Sanpaolo; certificazione del proprio Sistema di Gestione dell’Energia (SGE) ai sensi della norma internazionale UNI CEI EN ISO 50001 2011 IVOKE JEY - Scuole sostenibili gestione integrata e partecipativa in salute, nutrizione e ambiente in scuole urbane e rurali con scarse risorse CURSA Nazionale CURSA Nazionale CURSA Nazionale CURSA Lazio Kyoto Club CURSA Lazio La Corona Verde CURSA Piemonte La Poderina Toscana CURSA Toscana La Terra e il Cielo rilancio di vecchie varietà di cereali Greenitaly Marche L’autodemolizione ad impatto zero CURSA Sicilia LG Action Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Nazionale Linea di prodotti Coop Solidal CURSA Nazionale Linea di produzione certificata GOTS (Global Organic Textile Dressed up) Clerici Tintoria e Filati Greenitaly Lombardia L’osservatorio regionale sulla green economy, ERVET CURSA Emilia Romagna Low Carbon Strategy nel Bacino del Mediterraneo SitoCURSA Nazionale Lucart Group riduzione emissioni Greenitaly Toscana M.I.T.T. - Mobilità Integrata dei Trasporti in Trentino CURSA Trentino AA Made in No CURSA Piemonte Maglificio Gordon Confezioni riduzione emissioi e consumo acqua Greenitaly Puglia Mapei prodotti ecosostenibili Greenitaly Lombardia Marchio Newlife™ Greenitaly Emilia Romagna MATREC (EcoMaterial database) CURSA Virtuale L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Matrica, derivati di oli vegetali CURSA/Legambiente Sardegna Mengozzi Rifiuti Sanitari SpA Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Mia Impresa Condivisa, scenario workshop CURSA Nazionale Micro Green Logistic logistica integrata imprese calzaturiero CURSA/Legambiente Marche MICRO-VETT S.p.A., Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Milkofil Filati Maclodio Greenitaly Lombardia Minieolico Legambiente4 Puglia Minieolico libellula di Renzo Piano Greenitaly Veneto Trentino AA Mini-termodinamico Sopogy Greenitaly Lombardia Mobilità ciclistica in Trentino - Provincia di Trento CURSA Trentino AA Mondiali di Nuoto ecosostenibili CURSA Lazio Montefalco 2015, the new green revolution Cantina Arnaldo Caprai Greenitaly Umbria Mossi & Ghisolfi bioetanolo Greenitaly Piemonte MrPET innovativo sistema di reverse vending delle bottiglie in PET MUSEC CURSA Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Piemonte Sardegna Valle d’Aosta Piemonte Emilia Romagna Puglia Musicultura (MC) CURSA/Legambiente Marche Mybatec biotecnologie Greenitaly Piemonte National Nanotechnology Laboratory Greenitaly Puglia NESSO, Network Siena Sostenibile CURSA Toscana Novamont Eni Polo Verde Porto Torres Greenitaly Piemonte Sardegna Novamont, Mater-bi - bio-plastica Greenitaly Piemonte Umbria Nucleo di Tusciano (SA) Comuni rinnovabili 2012 Campania Nuova fabbrica pannelli fotovoltaici 3Sun Greenitaly Sicilia Nuovo brand “Canapa e Canapa”, Greenitaly Emilia Romagna Nuovo sistema di riscaldamento di distretto Sito Uncsd Lombardia Officina dell’ambiente laterizi da scorie Greenitaly Lombardia Officine meccaniche Landi Renzo Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Oleificio agricolo decentralizzato e minicogenerazione CURSA Marche Olio vegetale e pannello proteico da filiera corta CURSA Emilia Romagna Orti Sociali CURSA/Legambiente Campania Ortolona geotessili CURSA Sardegna Osservatorio CCS tecnologia della cattura e del sequesxtro della CO2 (CCS) CURSA Lazio Packaging Coop CURSA Nazionale Paesaggi del Vino CURSA Nazionale Palm pallet ecosostenibile CURSA Lombardia Pannello fotovoltaico per serre agricole Eclisse CURSA Liguria Parchi per Kyoto CURSA Nazionale Parco “5 Stelle” Comuni rinnovabili 2012 Liguria Appendici 95 Patto di fiume Samoggia-Latino (Emilia Romagna) - Emilia Romagna Patto Val d’Ofanto - Campania Basilicata Puglia Permasteelisa facciate continue Greenitaly Veneto Piano energetico ambientale della Provincia autonoma di Tren- CURSA to 2013-2020 Trentino AA piastrella “Ecologica” in Gres Porcellanato Smaltato CURSA Emilia Romagna Pisa parco solare fotovoltaico Sol Maggiore Comuni rinnovabili 2012 Toscana Polo per la Chimica Sostenibile Greenitaly Piemonte Polo Solare Organico CURSA Lazio PoloIdrogeno, Convenzione, tra il CIRPS - SAPIENZA Università di Roma e la Regione Lazio CURSA Lazio Premio “Locale Bravo Bio” per bar, ristoranti, pizzerie e hotel Greenitaly Varie Primo Ecolabel per un gruppo di prodotti tessuto-carta in Italia Greenitaly Toscana Progetti di compensazione delle emissioni di CO2, volontari ed aggiuntivi, attraverso interventi forestali nei Paesi in via di sviluppo CURSA Trentino AA Progetto “Telesun” Verona Comuni rinnovabili 2012 Veneto Progetto “WICO – Wind of the coast”. Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Progetto A21 L. in Sicilia Coordinamento Agende 21 Sicilia locali italiane - Bilancio sociale 2010 Progetto AQUOR (LIFE 2010 ENV/IT/380) CURSA Veneto Progetto Crisalide228 Greenitaly Trentino AA Progetto Life+ Eco-courts COOP CURSA Nazionale Progetto Med in italy casa che produce sei volte più energia di Greenitaly quella che consuma Progetto Riforestazione Mongolia con il metodo della Policoltu- CURSA ra Ma-Pi Lazio Pro-Plasmix bioplastiche Greenitaly Toscana Provincia di Padova Comuni rinnovabili 2012 Veneto Provincia di Bologna Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Provincia di Brescia Comuni rinnovabili 2012 Lombardia Provincia di Cosenza Comuni rinnovabili 2012 Calabria Provincia di Cuneo Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Provincia di Forlì e Cesena Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Provincia di Macerata Comuni rinnovabili 2012 Marche Provincia di Modena Comuni rinnovabili 2012 Emilia Romagna Provincia di Pesaro Urbino Comuni rinnovabili 2012 Marche Provincia di Pordenone Comuni rinnovabili 2012 Friuli VG Provincia di Potenza Comuni rinnovabili 2012 Basilicata Provincia di Torino Comuni rinnovabili 2012 Piemonte Provincia di Verona Comuni rinnovabili 2012 Veneto Quadrigenerazione ad olio vegetale CURSA Veneto Regione Toscana, protocollo d’intesa con Corepla Consorzio Na- CURSA zionale per il Riciclaggio ed il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi in Plastica, plastiche eterogenee “povere” (plasmix) 96 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Marche Toscana Registro Sonde Geotermiche (RSG) CURSA Lombardia Renault Z.E. veicoli elettrici e mobilità a zero emissioni CURSA Nazionale Rendicontazione e audit di sostenibilità - Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti contabili CURSA Nazionale Renovo e Cgm, cogenerazione a biomassa con coop sociali CURSA/Legambiente Nazionale rePLASTIC Greenitaly Toscana RES PUBLICA Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Liguria Emilia Romagna Residenza Annamaria prima abitazione plurifamiliare in Umbria CURSA certificata in Classe energetica A Umbria Rete Onu - Operatori dell’usato Nazionale Stati generali della GE Rete trentina di educazione ambientale per lo sviluppo sosteni- CURSA bile (In.F.E.A) Trentino AA Revet plasmix CURSA/Legambiente Toscana Revolutionair pala eolica a rotazione verticale di Philip Stark Greenitaly Toscana Riccoboni SpA Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Riello solare termico Greenitaly Veneto Riutilizzo e riciclaggio degli imballaggi CURSA Toscana Riva 1920 Natural Living Greenitaly Lombardia Robur pompe di calore Greenitaly Lombardia Rubner costruzioni in legno ecologico certificato Greenitaly Trentino AA SA 8000 e “Coop for Work” CURSA Nazionale Salcheto riduzione emissioni Greenitaly Toscana Sall Srl Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Scuole per Kyoto CURSA Nazionale Sella & Mosca macchine multifila Greenitaly Sardegna Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti CURSA Nazionale Sistema di riscaldamento a raggi infrarossi ad onde corte per l’agricoltura CURSA Liguria Solar Jacket di EcoZegna Greenitaly Piemonte Solsonica celle e moduli fotovoltaici Greenitaly Lazio Sostenibilità ambientale delle filiere agroalimentari tramite calcolo del ciclo di vita Sostenibilità ambientale delle filiere agroalimentari tramite calcolo del ciclo di vita CURSA Emilia Romagna CURSA Emilia Romagna South EU URBAN ENVIPLANS Coordinamento Agende 21 locali - Bilancio sociale 2011 Toscana Veneto Calabria Spring Color CURSA Marche Strategic NEW CITIES OF THE MEDITERRANEAN SEA BASIN CURSA Lazio Stratex, pannello prefabbricato Xpanel Greenitaly Friuli Studio Mario Cucinella Architects - Casa 100K€ Greenitaly Emilia Romagna Suberis “tessuto non tessuto” al 100% naturale Greenitaly Sardegna Sumus sacchetto in carta riciclata brevettato per raccolta rifiuto CURSA organico Coordinamento Agende 21 Sustainable Now locali - Bilancio sociale 2011 Appendici Lombardia Nazionale 97 Sviluppo sistemi alimentazione e controllo innovativi, fupofarm CURSA Lombardia System Photonics Greenitaly Emilia Romagna Tabu piallacci multi laminari Greenitaly Lombardia Tassinari Bilance Srl Green Economy in Emilia Romagna 2012 Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna CURSA Marche Tazzari Group - progetto ZERO Tea Natura detergenza ecologica e cosmesi naturale 98 Emilia Romagna Telerilevamento iperspettrale per la classificazione della vege- CURSA tazione, il controllo del livello trofico delle acque e lo studio del degrado del suolo Lazio Tetto fotovoltaico Theisan Greenitaly Piemonte Trattamento dei R.A.E.E. con recupero di Materie Prime Secondarie (MPS) CURSA Veneto Umpi Elettronica Green Economy in Emilia Romagna 2012 Emilia Romagna Unità nautica ecocompatibile “Eco-scafo” Greenitaly Lombardia UniTuscia e LMM Recupero degli sprechi alimentari a scopo sociale Università Politecnica delle Marche ricerca su Abitudini Alimentari ed Impatto Ambientale Università Tor Vergata sviluppo di politiche tramite STeMA per progetto Life Mo.Re. & Mo.Re. More Reusing and More Recycling Università Tor Vergata territorial dimension of Lisbon/Gothenburg Strategy by Territorial Impact Assessment STeMA Model applied CURSA Lazio CURSA Marche CURSA Lazio CURSA Lazio Utilizzo di involucri passivi in edilizia CURSA Umbria Valcucine cucine ecologiche Greenitaly Friuli Valorizzazione territori difficili / beni sottratti a mafie CURSA/Legambiente Sicilia Valutazione della sostenibilita’ ambientale dei prodotti auchan mediante calcolo del ciclo di vita CURSA Nazionale VAWT XEOLO innovativa mini turbina eolica CURSA Nazionale Veneta Cucine Greenitaly Veneto Wellness primi pannolini certificati compostabili CURSA Toscana Winegis CURSA Nazionale WIP, pannolini ecologici CURSA Toscana Workshop IMAGE - Incontri sul Management della Green Economy CURSA Piemonte XIII Settimana Nazionale dell’Escursionismo CURSA Nazionale L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 2. Long list delle iniziative realizzate dalla Cooperazione italiana Iniziativa Repertorio Progetto integrato RISMED (APQ Mediterraneo) Gestione delle implicazioni ambientali e sociali delle politiche energetiche negli Stati insulari del Pacifico Ambiente sano: valorizzazione dei rifiuti plastici e servizi igienici e a Thiès e Kaolack Amazzonia senza fuoco Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale. Iraq Salinity Project On-farm Soil Salinity Management in Al-Nassiriah Area in Iraq Il progetto 4cities4dev: l’esperienza di Slow Food e della Città di Tours Segnalazione MAE - UTC Segnalazione MAE - UTC Segnalazione spontanea ONG Segnalazione MAE - UTC Segnalazione spontanea ONG Segnalazione MAE - UTC Segnalazione spontanea ONG Agroecologia e formazione socioambientale per lo sviluppo sostenibile della Banca dati Cocis Regione Est di Minas Gerais Segnalazione Ciudad Limpia spontanea ONG Diversificazione agricola e rafforzamento delle filiere commerciali per lo sviluppo umano della frontiera Egitto - Programma Ambientale II Fase (AID. 5299) FILIERE AGRICOLE IN OROMIA. Fornitura di energia idraulica rinnovabile attraverso l’autocostruzione di micro centrali idroelettriche IVOKE JEY - Scuole sostenibili gestione integrata e partecipativa in salute, nutrizione e ambiente in scuole urbane e rurali con scarse risorse dell’Uruguay OVERSEAS/PAL PROGETTO BIO & EQUO: GESTIONE FORESTALE, AGRICOLTURA BIOLOGICA E COMMERCIO EQUO E SOLIDALE Progetto di formazione, sostegno alla produzione agro-ecologica, alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti in favore di famiglie vulnerabili nel Dipartimento di Nariño Programma di lotta alla povertà attraverso la gestione ecologica comunitaria e trans-nazionale nei Distretti di Massangena e Chicualacuala Provincia di Gaza Segnalazione spontanea ONG Segnalazione MAE - UTC Segnalazione MAE - UTC Territorio Egitto, Marocco, Tunisia Pacific SIDS Senegal Brasile, Bolivia Ecuador, Marocco, Senegal Iraq Mauritania Brasile America Latina – regionale Rep Dominicana Egitto Etiopia Banca dati DGCS Bolivia Banca dati Cocis Uruguay Segnalazione MAE - UTC Segnalazione spontanea ONG Territori Palestinesi Segnalazione spontanea ONG Segnalazione MAE - UTC Madagascar Colombia Sud Africa, Mozambico, Zimbabwe Programma di Sviluppo agro-idraulico di Sigor, Kerio Valley - III fase Segnalazione MAE - UTC Programma Italia - Sahel per la riduzione della povertà Segnalazione MAE - UTC Sahel Banca dati DGCS Tanzania Segnalazione MAE - UTC Etiopia Banca dati DGCS Bolivia Banca dati Cocis Senegal Sviluppo economico e riabilitazione ambientale delle aree pastorali Maasai del distretto di Arumeru Wash in Small and Medium Towns AID 9428 Agua sana – Sud Yungas: miglioramento delle condizioni di approvvigionamento idrico e d’igiene ambientale e prevenzione sanitaria Alimentazione solare Alla scoperta del Libano del Nord: creazione di un sistema integrato agrituri- Segnalazione stico nell’area di Zgharta spontanea ONG Appendici Kenya Libano 99 Approvvigionamento Idrico di alcuni villaggi delle Regioni di Tripoli/Koura Segnalazione MAE - UTC Libano Chipalamba Toto! Coalizione delle ONG contro la desertificazione nella regione sud del Malawi Banca dati Cocis Malawi Consorzio Internazionale Arianne per lo studio delle fibre tessili naturali e dei sistemi di produzione e trasformazione Greenitaly Cile Costruzione di una filiera equa per i piccoli produttori e produttrici di caffè nel Sud di Haiti Segnalazione spontanea ONG Haiti Creazione di un centro di ricerca marina e centro di educazione nell’universi- Segnalazione tà del Qinzhou, Golfo del Tonchino MAE - UTC Cina Creazione di una attività di formazione in geotermia nel sistema accademico Segnalazione salvadoregno MAE - UTC El Salvador EMPOWERMENT DELLE COMUNITÀ PER L’ACCESSO ALL’ACQUA E AI SERVIZI SANITARI NELLA LUBOMBO REGION, SWAZILAND Swaziland Banca dati Cocis segnalazioni da enti locali Segnalazione Energie rinnovabili per le popolazioni rurali spontanea ONG Segnalazione FILIERE AGRICOLE IN OROMIA. MAE - UTC Food security and eco system management for sustainable livelihoods in Segnalazione arid and semiarid lands of Kenya. MAE - UTC Fortalecimento da capacidade de uso e aproveitamento dos recursos natu- Segnalazione rais dos camponeses da área sul do Distrito de Matutuine spontanea ONG FREDDAS – Fonti d’energia rinnovabile per lo sviluppo sostenibile della valle Segnalazione del fiume Senegal MAE - UTC Segnalazione Gestione Integrata dei Rifiuti Solidi a Baalbek MAE - UTC Segnalazione Hacia un buen vivir – Sumaj Kausayman 8748/RC/BOL MAE - UTC Segnalazione IAO GENDER MAE - UTC ICT - Nuove tecnologie per una gestione integrata e sostenibile Segnalazione delle risorse naturali primarie ed agricole in Libano MAE - UTC Segnalazione Impianto di Depurazione Acque Reflue di Zahle MAE - UTC Iniziativa per l’ottimizzazione e il potenziamento dell’offerta turistica di Baal- Segnalazione bek e dell’alta Bekaa MAE - UTC Segnalazione Insediamenti urbani sostenibili a Sonsonate MAE - UTC Segnalazione La Basura sirve spontanea ONG ENERBIO PROJECT Friuli Serbia Livelihood enhancement through transboundary natural resource management in the Limpopo corridor Segnalazione spontanea ONG Lotta alla desertificazione negli Afram Plains e nel distretto Ga nelle regioni Ashanti e Greater Accra Lotta integrata alla desertificazione e rafforzamento della sicurezza alimentare nella provincia di Boulkiemdé Banca dati DGCS/ Banca dati COCIS Segnalazione spontanea ONG Segnalazione MAE - UTC Segnalazione MAE - UTC Messa in Sicurezza e Gestione della Riserva Naturale dei Cedri in Libano Mitigazione del Cambiamento Climatico – Energie Rinnovabili 100 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile Albania Etiopia Etiopia Kenya Mozambico Senegal Libano Bolivia Mozambico Libano Libano Libano El Salvador America Latina – regionale Sud Africa, Mozambico, Zimbabwe Ghana Burkina Faso Libano Libano NORD ALBANIA: PROGETTO DI SVILUPPO RURALE INTEGRATO NEI COMUNI DEL KELMEND E DI SHKREL - DISTRETTO DI MALESIA E MAHDE PAKISTAN. Contributo alla seconda fase del Programma governativo pakistano di assistenza alle vittime delle alluvioni dell’estate 2010 (Citizens Damage Compensation Programme – CDCP II) PIDES Potenziamento e riqualificazione della produzione viti-vinicola a Cremisan Progetto di promozione dell’autosviluppo di alcune comunità indigene dell’Ecuador, attraverso azioni di formazione e assistenza tecnica per un uso conservativo e produttivo della biodiversità Progetto Strategico ALTERENERGY - Energy Sustainability for Adriatic Small Communities Puglia Regione Adriatica Programma di gestione integrata delle risorse forestali e non forestali in boschi temperati in 17 comunità Huilliches nel sud del Cile Promozione di alternative di sviluppo sostenibile per la regione costiera del Rakhine (Myanmar) RAZIONALIZZAZIONE DELL’USO DELLE RISORSE NATURALI PER MIGLIORARE LE PRODUZIONI AGRICOLE Renforcement des capacités d’intervention des organisations de base pour la préservation des écosystèmes oasiennes au Maroc Riabilitazione del perimetro irriguo di Baalbek Riduzione della povertà attraverso l’utilizzo e la gestione sostenibile della foresta Segnalazione spontanea ONG Segnalazione MAE - UTC Segnalazione MAE - UTC Segnalazione spontanea ONG Pakistan Senegal Territori Palestinesi Segnalazione spontanea ONG Ecuador segnalazioni da enti locali Serbia Banca dati Cocis Cile Segnalazione MAE - UTC Segnalazione MAE - UTC Banca dati Cocis Segnalazione MAE - UTC Banca dati DGCS Segnalazione Rural Micro-credit Programme MAE - UTC Sostegno allo sviluppo agricolo e microimprenditoriale di giovani, donne e Segnalazione popolazione nativa della provincia di Sucumbios MAE - UTC Sviluppo dell’agricoltura sostenibile e prevenzione alla desertificazione Segnalazione nell’oasi di Minqin MAE - UTC Sviluppo economico e socio-ambientale delle comunità Quilombolas di Vale Banca dati DGCS do Ribeira attraverso lo sviluppo sostenibile / Banca dati Cocis Segnalazione Sviluppo ecosostenibile dell’irrigazione agricola e della bonifica in Kenya MAE - UTC Sviluppo locale e conservazione della natura nel quadro del processo di Banca dati DGCS/ sostegno alla Nepad Banca dati Cocis Segnalazione Sviluppo sostenibile nella frontiera dell’Amazzonia brasiliana spontanea ONG TUNISIA - Riabilitazione e creazione palmeti da dattero nella Regione del Segnalazione Rejim Matough MAE - UTC Segnalazione Una luce per chi nasce spontanea ONG Valorizzazione territoriale e sostegno socio-economico alle comunità rurali Segnalazione di Ebla (Siria) MAE - UTC Segnalazione Water and Sanitation spontanea ONG Yaku al Sur – Rafforzamento della Gestione Comunitaria dell’Acqua a Cocha- Segnalazione bamba MAE - UTC Yaku Al Sur - Rafforzamento della gestione comunitaria dell’acqua a CochaBanca dati DGCS bamba Appendici Albania Myanmar Siria Marocco Libano Zambia Iran Ecuador Cina Brasile Kenya Benin/Burkina Faso/Niger Brasile Tunisia Tanzania Siria Kenya Bolivia Bolivia 101 3. Seminario territoriale di Bologna Verso Rio+20: Cambia il clima, cambia l’agricoltura? Bologna, Palazzo Merendoni, 02 maggio 2012, ore 14.00 - 17.30 Potenza, Museo Provinciale L’incontro ha avuto lo scopo di proporre e discutere alcuni scenari di adattamento dell’agricoltura ai cambiamenti climatici; in particolare, è emerso immediatamente dalla discussione che l’agricoltura italiana ha necessità di assumere prima possibile alcune misure di programmazione strategica che possano mitigare o contrastare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici in corso. Alla pubblicazione nel 2011, di un Libro Bianco su sviluppo rurale e cambiamenti climatici è seguita l’interessante esperienza di Climagri e poi di Agroscenari: si tratta di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che mira ad individuare, valutandone la sostenibilità, le modalità di adattamento ai cambiamenti climatici di alcuni principali sistemi produttivi dell’agricoltura italiana, quali la viticoltura, l’olivicoltura, la cerealicoltura nelle zone collinari dell’Italia Centro-Meridionale, l’orticoltura intensiva in zone irrigue dell’Italia CentroMeridionale, la cerealicoltura per fini zootecnici nella Pianura Padana, la frutticoltura intensiva nella Pianura Padana sud-orientale. Questa esperienza dimostra la necessità e l’opportunità di predisporre strumenti cognitivi e decisionali che, attraverso l’analisi integrata di sistemi e aree agricole italiane proiettate in possibili futuri scenari di Cambiamento Climatico, permettano di orientare l’attività agricola verso forme di adattamento e/o mitigazione del CC secondo criteri di sostenibilità ambientale ed economica, tenendo peraltro conto del valore economico crescente delle risorse idriche. Infatti, il settore agricolo è senza dubbio il maggior consumatore mondiale di acqua, essendo responsabile da solo del 70% dei prelievi totali. La questione della gestione delle risorse idriche è quindi strettamente connessa alle modalità dell’impiego dell’acqua in agricoltura; la relativa disponibilità r della risorsa e conseguentemente i suoi bassi costi spingono infatti gli agricoltori ad essere poco interessati a discorsi riguardanti la razionalizzazione del suo uso. È quindi prioritario incoraggiare una presa di coscienza del valore dell’acqua quale prima strategia di razionalizzazione economica del suo uso, e passaggio essenziale per rendere possibile la successiva ricerca di soluzioni cooperative e di mediazione tra i diversi usi; tra di esse, lo strumento dei contratti di fiume, e in particolare l’esperienza della Regione Piemonte e del fiume Serchio (LU) offrono interessanti esempi di agricoltori che collaborano alla bonifica del bacino. In ambito europeo, la tendenza emersa (Libro Bianco sulle politiche europee sul cambiamento climatico, 2005, e successivo Libro Verde nel 2007) è quella di cercare di reindirizzare l’insieme delle linee di finanziamento, inserendo all’interno di ognuna una quota dedicata al cambiamento climatico, piuttosto che prevedere una linea di budget a parte; ciò condurrà ad una sempre maggiore diversificazione nell’utilizzo dei fondi della PAC, con un aumento progressivo della quota destinata a sviluppo rurale e una parallela diminuzione dei sussidi alle esportazioni. The EuropeanClimate Adaptation Platform (CLIMATE-ADAPT) è una piattaforma web dinamica, creata su iniziativa della Commissione Europea che, in un tale contesto, si propone come strumento finalizzato a supportare l’Europa nel processo di adattamento al cambiamento climatico, aiutando gli utenti ad accedere e condividere informazioni sui cambiamenti climatici previsti, le future vulnerabilità cui andranno incontro le diverse aree, le strategie di adattamento a livello nazionale e transnazionale, casi studio interessanti e strumenti di supporto alla pianificazione. Considerando il panorama internazionale, in cui è protagonista la Conferenza di Rio, emerge la necessità digovernancedell’agricoltura a livello locale, ma anche e soprattutto globale e transnazionale, che si presenta ancora frammentata, e l’urgenza della diffusione di un approccio sistemico alla sostenibilità nelle politiche di sviluppo, che integri la dimensione relativaalla sicurezza energetica ma e ad altre vulnerabilità legate a shock ambientali e cambiamento climatico, in considerazione anche della sfida demografica che dovrà essere affrontata nei prossimi anni. 102 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 4. Seminario territoriale di Potenza “Gestione sostenibile delle risorse idriche e prevenzione del dissesto idrogeologico” Potenza, Museo Provinciale 12 marzo 2013, ore 16.00 – 19.00 L’appuntamento di Potenza è il secondo Seminario Territoriale realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non perdiamo Rio+20. Cooperazione allo sviluppo sostenibile: l’Italia che guarda al futuro”, promossa nell’ambito del progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio+20”. Il seminario ha fornito l’occasione per confrontarsi e discutere, a partire da alcune iniziative significative realizzate sul territorio italiano e nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo, su un tema cruciale sia per i territori italiani che per quelli dei Paesi partner. Nell’anno internazionale della cooperazione per l’acqua, il seminario ha offerto spunti concreti per promuovere approcci innovativi alla cooperazione allo sviluppo fondati sul principio della sostenibilità ambientale e sul dialogo tra territori che, chiamati ad affrontare sfide comuni, possono trovare nel tema idrico un terreno fertile per l’elaborazione di risposte e strategie condivise. La dimensione globale del problema ambientale (e all’interno di questo, della più specifica questione della gestione sostenibile delle risorse idriche) sarà sempre più evidente in futuro: basti pensare ai“rifugiati ambientali”che aumenteranno esponenzialmente nei prossimi anni, e che costituiscono un potenziale problema non ancora pienamente compreso a livello nazionale ed europeo. Dal punto di vista specifico delle risorse idriche, si pone con urgenza la necessità di ricercare nuove forme per cooperare insieme allo scopo di poter affrontare la situazione, e allo stesso tempo promuovere un nuovo approccio che minimizzi gli sprechi idrici e permetta una gestione ottimale della risorsa. A ciò si aggiunge la necessità di ribadire lo stretto rapporto esistente tra cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico e di affrontare il problema ambientale in maniera integrata, agendo sul fronte della pianificazione e della contemporanea elaborazione di nuove tecnologie e nuove strategie di intervento. In particolare, sono tre le sfide che oggi è necessario affrontare: 1. Garantire universalmente il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari di base; 2. Salvaguardare la qualità dell’acqua e contemporaneamente la sua caratteristica di bene pubblico non economico. In Europa solo il 43% delle acque è ecologicamente in buono stato; l’acqua pulita sta diventando un bene raro, di qui le spinte a proporre un prezzo più alto per il suo utilizzo, con l’obiettivo di minimizzarne lo spreco. In particolare, il referendum sull’acqua del 2011 ha riportato al centro del dibattito il ruolo del pubblico nella gestione dei servizi. 3. La terza sfida è “manageriale” e riguarda la gestione delle risorse idriche. E’ necessario elaborare nuovi strumenti di governance per far sì che i cittadini siano protagonisti della gestione a livello locale e inoltre per favorire in tal modo una gestione innovativa delle acque transnazionali. In un tale contesto, la DGCS sottolinea l’importanza di ricollocare i temi trattati nel seminario territoriale all’interno del quadro internazionale. La cooperazione italiana guarda con attenzione al post 2015 e al processo per la definizione degli SDGs, auspicando l’integrazione tra i 3 pilastri dello sviluppo sostenibile: il tema dell’acqua potrebbe configurare un ambito privilegiato per l’adozione di un approccio integrato, che tenga conto delle questioni legate ad ambiente, sviluppo e sostenibilità. Nell’anno dell’acqua l’obiettivo da perseguire è quello di incrementare consapevolezza e cooperazione, in preparazione di Expo 2015 e del settimo WWF, eventi a cui l’Italia dovrà partecipare promuovendo un approccio a livello di sistema– Paese e presentando un piano integrato e condiviso sul tema della gestione delle risorse idriche. A tale scopo è stato attivato, in previsione del Forum di Marsiglia, un Tavolo di consultazione comprendente circa 1080 partecipanti. A tale processo si è successivamente affiancato quello per l’elaborazione delle Linee Guida Acqua DGCS (da concludere entro il 2015). Il dissesto idrogeologico rappresenta in Italia un problema di notevole rilevanza, diffuso in modo capillare e che si presenta con modalità differenti a seconda dell’assetto geomorfologico del territorio. La peculiarità dell’esperienza italiana suggerisce un possibile ruolo chiave del nostro Paese nell’elaborazione di soluzioni innovative per affrontare il problema del dissesto idrogeologico, da proporre anche all’estero nell’ambito delle azioni e dei processi legati alla cooperazione internazionale. L’analisi di due esperienze di cooperazione internazionale italiana per una gestione sostenibile delle risorse idriche, la prima in Iraq (area Nassiriya) e l’altra in Tanzania (distretto di Njombe e regione di Iringa) permette di evidenziare alcuni punti di forza legati essenzialmente al coinvolgimento del territorio. Nel caso della Tanzania, si tratta dell’esteso coinvolgimento diretto degli abitanti /beneficiari, con la creazione di comitati di gestione degli acquedotti e delle fontane pubbliche. In Iraq, il problema della salinizzazione dei suoli ha portato alla ricerca di metodi per recuperare la produttività; il progetto, cofinanziato dalla cooperazione australiana, si è avvalso di un esteso partenariato per la realizzazione delle attività, che ha coinvolto tra gli altri cinque diversi Ministeri e due centri internazionali di ricerca. Appendici 103 Il coinvolgimento del territorio quale fattore chiave di successo emerge anche dall’analisi dell’esperienza dei contratti di fiume portata avanti dalla regione Lombardia, caratterizzata dal recupero di una ”identità di valle”: un punto di forza dell’iniziativa è lo sforzo finalizzato a creare un partenariato esteso sul territorio, costruito intorno alle parole-chiave consapevolezza, condivisione e responsabilità tra i vari attori, istituzionali e non; in tal senso essi si configurano come strumenti di programmazione negoziata, per loro stessa natura profondamente interconnessi ai processi di pianificazione strategica per la riqualificazione dei bacini fluviali. L’esperienza della linea tematica “Ambiente e sviluppo sostenibile” dei due APQ Balcani e Mediterraneo è stata costruita intorno a due priorità condivise da tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo: la gestione sostenibile delle risorse idriche e la prevenzione del rischio idrogeologico. E’ possibile individuare alcuni punti di forza del Programma nell’obiettivo primario del rafforzamento del sistema Italia, e in particolare della sua capacità di relazionarsi ai nuovi strumenti europei per la promozione della cooperazione di prossimità e di preadesione, e la promozione di una logica sinergica di azione da parte del “sistema-Italia“, favorendo l’interscambio e la collaborazione tra le Regioni italiane, che hanno condiviso la propria esperienza e i propri interessi allo scopo di costruire una strategia di intervento comune nel bacino del Mediterraneo. Dal mondo accademico e della ricerca (UNIBAS e CNR) sono arrivati interessanti spunti, soprattutto rispetto al tema del monitoraggio ambientale quale necessario presupposto di una qualsiasi politica ambientale sul territorio, allo scopo di invertire la tendenza attuale a lavorare soprattutto in situazioni di emergenza, recuperando la dimensione della prevenzione grazie a processi di programmazione e pianificazione efficaci. Alcune interessanti esperienze in tal senso sono lo studio idro-geologico sulla rete stradale della provincia di Potenza, che ha portato alla creazione di un database integrato che indica lo stato degli attraversamenti fluviali e degli elementi infrastrutturali, gli interventi di mitigazione del rischio in ambito idraulico/forestale eseguiti come Provincia su un reticolo viario di circa 2.700 Km di strade e sul patrimonio forestale, e il nuovo strumento GPR elaborato dal CNR, che permette l’acquisizione di informazioni utili alla prevenzione del rischio. L’utilizzo di un tale approccio e di tali innovativi strumenti è possibile ed auspicabile non solo per confrontarsi con molte differenti tematiche (ad esempio, l’analisi dell’inquinamento delle falde idriche), ma anche in differenti contesti tra i quali la cooperazione internazionale: l’esempio proposto è quello della ricerca di falde acquifere in Africa sub-Sahariana, ancora largamente sottoutilizzate e in gran parte sconosciute. 104 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 5. Seminario territoriale di Torino “Territori, comunità locali e partenariato internazionale per una produzione agricola ed un consumo sostenibili” Torino, Palazzo Comunale, 22 Marzo 2013, ore 9.30 – 13.30 I temi e gli interventi L’appuntamento di Torino è il terzo Seminario Territoriale realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non perdiamo Rio+20. Cooperazione allo sviluppo sostenibile: l’Italia che guarda al futuro”, promossa nell’ambito del progetto “Coltivare l’economia, il cibo, il pianeta: il contributo italiano a Rio+20”. Il seminario ha fornito l’occasione di riflettere sul tema dell’agricoltura sostenibile, tradizionalmente prioritario per la cooperazione italiana allo sviluppo, anche in considerazione della presenza del “polo romano” delle Nazioni Unite sul nostro territorio. L’agricoltura è un tema fondamentale oggi, al centro di profondi cambiamenti strutturali, che richiedono capacità di risposta innovative e adeguate da parte di tutti. In occasione della giornata mondiale dell’acqua, il seminario ha inteso offrire spunti concreti per promuovere approcci innovativi alla cooperazione allo sviluppo, fondati sul principio della sostenibilità ambientale e del partenariato territoriale. L’incontro ha rappresentato un’occasione per confrontarsi e discutere a partire da alcune iniziative interessanti realizzate in Italia e nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, su un tema cruciale sia per i territori italiani che per quelli dei Paesi partner; dopo i saluti e gli interventi di apertura, gli interventi programmati hanno offerto alcuni punti di partenza per la successiva discussione, introducendo alcuni casi di esperienze che vedono protagonista il territorio italiano (L’esperienza del Consorzio Produttori Biologici Piacentini), insieme ad azioni di cooperazione decentrata realizzata da attori locali del Comune e della Provincia di Torino (Progetto 4Cities4Dev,esperienze e buone prassi nei progetti di cooperazione decentrata ed europea della Provincia in relazione al tema del consumo di suolo), da ONG e associazioni (Oxfam Italia con il progetto “Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale: l’esperienza di Oxfam in Marocco, Senegal ed Ecuador” e Fondazione Slow Food per la Biodiversità), e dalla Cooperazione Italiana (le politiche sostenute della Cooperazione Italiana nel settore agricolo e agro- alimentare, a partire dalle buone pratiche che hanno permesso il successo degli interventi in Niger, Etiopia, Tunisia, Capo Verde e Centro America). Gli elementi in evidenza Gli interventi di apertura hanno permesso di evidenziare uno dei problemi centrali da affrontare parlando di agricoltura, ovvero l’utilizzo di narrative che non sono attuali e non hanno riscontro con la realtà contemporanea. Il paradigma dell’agricoltura industriale insostenibile dal punto di vista ambientale, ha avuto senso in un particolare periodo storico, dopo la rivoluzione industriale,permettendo di riallocare la forza lavoro agricola nei settori dell’industria e dei servizi. Ma questo modello anacronistico sta creando oggi delle disfunzioni: nei Paesi ricchi terra senza contadini, nel PVS contadini senza terra, mentre nelle economie emergenti si consuma sempre di più, ponendo a rischio la sostenibilità ambientale; è quindi necessario riconsiderare i nostri modelli ed orientarli verso un consumo responsabile. Se le istituzioni non sono in grado di garantire equità, allora il modello e le performance agricole devono essere valutate grazie ad una discussione partecipativa e multi-criteriale, con una mediazione tra criteri contrastanti, come profitto versus stress sociale ed ambientale: è insomma necessario un integrate assessment, guardando alle risorse nella loro complessità e interazione e non per settori, come ad un complesso ed unico “metabolismo” del sistema rurale. Solo da poco tempo, dopo acqua e aria, anche il consumo dei suoli comincia ed essere oggetto di attenzione e regolamentazione. Il territorio della Provincia di Torino è fortemente antropizzato e con un forte consumo di suolo e questa situazione la accomuna a vaste altre aree del globo, spingendo a cercare soluzioni comuni e condivise. La Pianura Padana è una delle conurbazioni più grandi del globo, ed il tema del consumo di suolo è quindi di prioritaria importanza per l’Italia. Il tema è stato in effetti inserito all’interno dell’agenda europea nel 2002, mentre è del 2006 l’elaborazione di strategie tematiche per la protezione del suolo: anche in Europa l’aumento annuo di terreno occupato è di circa 1000 kmq all’anno, con un aumento del 78% dal 1950. Tale situazione è stata determinata in buona parte da cambiamenti nella mentalità comune, con la diffusione dell’idea l’Europa non ha più bisogno dell’agricoltura: i suoli padani ospitano sempre più spesso insediamenti e servizi, mentre i prodotti agricoli vengono sempre più spesso importati da aree del mondo dove costa meno produrli. L’esperienza del Consorzio Bio Piace, che dal 2004 si occupa dell’approvvigionamento delle mense locali, valorizza l’agricoltura di prossimità e sottolinea la necessità di coinvolgere amministrazioni e comunità locali per sensibilizzare sul valore dell’agricoltura di prossimità, allo scopo di superare la scarsa disponibilità di investimenti nel settore, promuovendo la formazione di gruppi d’acquisto e di altre forme di consumo collettivo consapevole. Il seminario ha permesso di analizzare le caratteristiche ed il funzionamento di due sistemi di monitoraggio della copertura Appendici 105 del suolo, CORINE e LUCAS, e l’esperienza della Provincia come capofila di due progetti EUROPEAID sul monitoraggio e la valutazione del consumo di suolo in altre parti del mondo (in particolare, Niger e Libano) e di un progetto europeo OSSDT –MED sullo stesso tema, che interessa l’arco mediterraneo dell’Europa. In particolare, il progetto di cooperazione triangolare Italia-Niger-Senegal ha fornito supporto alle amministrazioni pubbliche locali nel controllo dell’uso del suolo, a fronte del processo di urbanizzazione e della necessità per gli Enti Locali di dotarsi di un sistema di controllo fondiario. È stata poi condivisa l’esperienza del Progetto 4Cities4Dev, un’iniziativa di cooperazione decentrata condotta nel corso degli ultimi 2 anni dalla citta di Torino, per sostegno ad azioni volte alla riduzione della povertà. Il comune di Torino è capofila, partecipano poi espressioni urbane in Lettonia, Spagna e Francia, ed è partner anche Slow Food. Il progetto ha l’obiettivo di diffondere l’approccio delle “comunità del cibo”: si tratta dell’identificazione di comunità che producono, trasformano, distribuiscono, si riconoscono in un particolare alimento specifico del territorio, da promuovere sia all’interno sia all’esterno del territorio stesso. Il ruolo delle città, ed il valore aggiunto della loro partecipazione a questo genere di iniziative, consiste soprattutto nel fatto che la città, considerata prevalentemente come luogo di consumatori, necessita di attività di sensibilizzazione nei confronti delle tematiche legate alla produzione alimentare, che in questo caso vengono condotte considerando il cibo un elemento trasversale alle politiche di amministrazione cittadina. L’attività di Slow Food nel campo della cooperazione è relativamente “nuova” per l’associazione. Gli interventi sulle comunità e sui presidi richiedono maggiore continuità piuttosto che grossi investimenti. Se in Italia l’esperienza degli orti scolari ha garantito tangibilità ai ragionamenti sulla biodiversità, la stessa pratica esportata nel Sud del mondo assume altre valenze, come l’affermazione della necessità di disaccoppiare i concetti di fame e di agricoltura intensiva e dissennata, e di combattere il principio secondo cui qualsiasi tipo di agricoltura è auspicabile in una situazione di fame e malnutrizione generalizzata. Tale approccio si risolve spesso infatti nella giustificazione di un’agricoltura attenta agli aspetti quantitativi e non qualitativi. Prendendo spunto dall’analisi delle politiche sostenute della Cooperazione Italiana nel settore agricolo e agro- alimentare è stato infine possibile provare a delineare un quadro propositivo per il futuro, analizzando alcuni dei grandi interrogativi e degli scenari che si prospettano nel campo dell’agricoltura sostenibile a partire da alcune sfide importanti, quale la nuova PAC, il processo per la definizione di un’agenda di sviluppo globale post 2015, l’azione del G8 (New Alliance for Food Security), EXPO 2015 a Milano sul tema “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”. Infine, nel descrivere l’esperienza di Oxfam Italia in Ecuador “Agrobiodiversità, culture e sviluppo locale” sottolinea i punti di forza dell’iniziativa di filiera: riscoperta di prodotti agricoli tradizionali sottoutilizzati e quasi scomparsi (NUS), assistenza tecnica ai piccoli produttori, miglioramento e diversificazione dei prodotti agricoli, contemporanea valorizzazione delle produzioni artigianali locali. 106 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 6. Seminario territoriale di Capannori “L’importanza della partecipazione per lo sviluppo sostenibile: modelli innovativi di gestione delle risorse naturali e dei cicli dei rifiuti” Capannori, Polo Culturale Artemisia, 12 aprile 2013, ore 14.00 – 18.00 I temi L’incontro svoltosi a Capannori è il quarto Seminario Territoriale realizzato nell’ambito dell’iniziativa “Non perdiamo Rio+20. Cooperazione allo sviluppo sostenibile: l’Italia che guarda al futuro” e ha fornito l’occasione di riflettere sul tema del rapporto fra politiche di sviluppo sostenibile e comunità, concentrando l’attenzione sulla dimensione partecipativa dei processi decisionali e di implementazione delle politiche. I focus sulla questione della gestione dei cicli di rifiuti e degli ecosistemi locali hanno permesso di calare su esempi concreti il dibattito. Le quattro presentazioni programmate hanno riguardato due casi di politiche locali realizzate sul territorio toscano (gestione dei rifiuti da parte dell’ASCIT di cui fa parte il Comune di Capannori e iniziativa Foresta Modello delle Montagne Toscane) e due esperienze di cooperazione internazionale sul tema specifico della gestione dei rifiuti a livello locale (progetto di riciclaggio di materie plastiche in Senegal e possibili sviluppi di due progetti pilota di gestione integrata del ciclo rifiuti in Egitto e Albania). Gli elementi in evidenza Dopo l’apertura di Marco Zupi che ha richiamato i principali contenuti dell’iniziativa e introdotto gli obiettivi dell’incontro, il Sindaco Del Ghingaro ha salutato i partecipanti e ha presentato l’esperienza in corso a Capannori. Nel descrivere i cardini del modello sviluppato nel Comune, il Sindaco, ha sottolineato l’importanza della tempistica adottata che ha mirato a produrre un cambiamento graduale della mentalità dei cittadini, basandosi su sensibilità presenti e accompagnando tendenze già vive nella comunità. L’attenzione al processo è uno dei fattori di successo delle iniziative. In questo ambito si colloca l’impianto partecipativo che il Comune applica al rapporto con i cittadini e che si compone di diversi elementi in parte citati nell’intervento. La struttura partecipata e flessibile della costruzione e concretizzazione delle politiche risulta centrale per l’intera politica ambientale che, attraverso la partecipazione e l’appropriazione da parte della cittadinanza dei risultati raggiunti, si configura come fondamento di un modello di sviluppo locale sostenibile. All’introduzione del Sindaco Del Ghingaro, ha fatto seguito l’intervento in video conferenza del Ministro Pier Francesco Zazo, Coordinatore Ambiente della DGCS- MAE, che ha contribuito a collocare temi e obiettivi dell’incontro all’interno del processo di ridefinizione dell’iniziativa internazionale in tema di sviluppo sostenibile orientato dalla Conferenza di Rio+20. Il Ministro ha, tra l’altro, descritto finalità e ruolo della Cooperazione italiana in tale quadro e configurato gli obiettivi dell’iniziativa in cui si iscrive il seminario. La sessione di discussione dei casi è stata aperta dal Dottor Gianni Dottorini, esperto ambientale della DGCS MAE, che ha preso spunto da due progetti pilota nel settore della gestione dei rifiuti realizzati in Albania e Palestina per sviluppare le linee principali di una strategia finalizzata a creare filiere sostenibili e compatibili con la realtà economica e socioculturale urbana locale, in cui i rifiuti solidi e liquidi diventano una risorsa economica. Il secondo caso è stato presentato da Maurizio Gatti, Presidente dell’ASCIT che gestisce i servizi dei cicli rifiuti a Capannori e nei comuni vicini. La presentazione del progetto finalizzato all’obiettivo rifiuti-zero ha evidenziato l’articolata struttura di buone pratiche messe in campo per la riduzione della produzione di rifiuti e per la rimessa in ciclo della maggior parte dei materiali raccolti. Fra i risultati di maggiore interesse menzionati dalla presentazione sono da citare la creazione di posti di lavoro a fronte di una riduzione dei costi di esercizio in termini reali e la crescente adesione della popolazione al progetto. Giovanni Armando, responsabile dell’Ufficio Progetti dell’ONG LVIA, ha successivamente curato la presentazione di un progetto di cooperazione che ha contribuito ad avviare attività di raccolta e riciclaggio della plastica in due comunità senegalesi. L’analisi del caso ha consentito, tra l’altro, di cogliere numerosi punti d’incontro fra dinamiche sviluppatesi in contesti altamente disomogenei. L’esigenza di affrontare i problemi legati al degrado ambientale su scala locale rappresenta anche nelle pratiche di cooperazione internazionale il motore primario della partecipazione della popolazione alla progettazione e realizzazione delle iniziative. In questo caso, in particolare, il coinvolgimento della comunità locale sulla questione ambientale si intreccia con il tema sociale della creazione di posti di lavoro dignitosi che il progetto ha affrontato accompagnando cooperative di donne ad avviare piccole attività industriali di produzione di plastica riciclata su piccola scala. La seconda pratica sviluppata su territorio toscano è stata, infine, presentata da Andrea Trafficante, Consigliere dell’Associazione Foresta Modello delle Montagne Fiorentine. L’esperienza realizzata in un’ampia area forestale appenninica rappresenta un esempio significativo di gestione partecipata del patrimonio ambientale. Il modello, Appendici 107 sviluppato da un network internazionale, è un’interessante spunto di riflessione su come dinamiche locali possano integrarsi per rispondere a problemi globali esplorando approcci per lo sviluppo sostenibile, creando legami tra la tutela delle risorse, del paesaggio, lo sviluppo economico locale, il coinvolgimento delle comunità ed i bisogni delle future generazioni. Il seminario è stato chiuso dall’intervento finale del Vicesindaco di Capannori, Luca Menesini, che ha evidenziato alcuni degli spunti principali emersi dalle relazioni e dagli interventi dei partecipanti e sottolineando alcuni interessanti elementi di collegamento fra pratiche di cooperazione internazionale e pratiche sviluppate nei contesti locali italiani per quanto riguarda la ricerca e la sperimentazione di soluzioni partecipate ai problemi di costruzione di modelli di sviluppo sostenibile. 108 L’universo comprensibile dello sviluppo sostenibile 7. Schema adottato per la raccolta di informazioni sui casi studio 1. INFORMAZIONI GENERALI 1.1 Territorio/i di sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano di maggiore interesse per lo studio di caso. 1.2 Tema/i o settore/i principale/i di sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano di maggiore interesse per lo studio di caso. 1.3 Periodo di sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano di maggiore interesse per lo studio di caso. 1.4 Risorse finanziarie impegnate per lo sviluppo dell’iniziativa complessiva e, in particolare, delle componenti che risultano di maggiore interesse per lo studio di caso. 1.5 Ambito/i di sviluppo degli effetti (tessuto produttivo, comunità territoriale, istituzioni, ...). 1.6 Obiettivi relativi allo sviluppo sostenibile. 1.7 Politiche/strategie/misure di sostegno allo sviluppo sostenibile sperimentate. 2. ELEMENTI DI INTERESSE DELL’INIZIATIVA (breve descrizione dei diversi aspetti e dei punti di forza in riferimento alle finalità del progetto e ai temi dello sviluppo sostenibile). 2.1 Elementi innovativi. 2.2 Asset territoriali valorizzati, cioè: risorse/capitali umano, sociale, culturale, naturale, finanziario, istituzionale; eccellenze e vocazioni (economia, tecnologia, creatività, sistema formativo, ricerca, ...) del territorio/territori coinvolti. 2.3 Attori/partner coinvolti e breve descrizione del loro ruolo all’interno dell’iniziativa. 2.4 Processi innescati. 2.5 Risultati conseguiti. 2.6 Principali precondizioni che hanno influenzato/determinato il successo dell’iniziativa o di singole componenti (indicazioni schematiche sul rapporto fra precondizione di contesto, componente dell’iniziativa e risultato raggiunto o previsto). 2.7 Punti di forza qualificanti ed elementi generalizzabili. 2.8 Possibilità di ulteriore valorizzazione della dimensione partecipativa allo sviluppo sostenibile territoriale (collegamento sinergico fra attori e segmenti della/e comunità territoriale/i; sviluppo di capitale sociale territoriale e transnazionale; adozione di un’ottica sistemica e di una logica di moltiplicazione circolare di risorse ed energie). Appendici 109