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Il principio della parola a cura di
A11 211 Il principio della parola a cura di Ettore Bonessio di Terzet Raffaele Perrotta ARACNE Copyright © MMVII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978-88–548–0944–4 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: marzo 2007 INDICE Note di lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Eserghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mallarmé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 11 15 L’Impero della parola Ettore Bonessio di Terzet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Alighieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 I poeti euro/occidentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Il Giardino dell’Impero Raffaele Perrotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 Joyce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 I poeti italici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 124 Prefazione alla Seconda Edizione Il principio della parola, portato a termine alla fine del 1986 fu pubblicato nel 1988 nella collana “Categorie Europee”, n° 19, Sezione Testi, diretta da Maria A. Raschini, responsabile della omonima Ricerca Nazionale promossa dall’Università degli Studi di Genova in consorzio con Università Italiane ed Europee. Ebbe una minima diffusione tra il mondo accademico, qualche poeta ed amante della poesia. Questa seconda edizione è stata ripulita da refusi di stampa e alleggerita in alcune scelte testuali superflue per l’intelligenza degli autori che sono i medesimi proposti nella prima edizione. Alcune parti de L’Impero della Parola sono state riprese dall’autore nel volume Il problema dell’arte, Milano, 2003. Gli autori non rinnegano il corpus dell’86/88. Nel passaggio spazio–temporale dell’oggi farebbero, certamente, alcune aggiunte, alcuni depennamenti, alcuni trasferimenti. Ad altra opera rimandano, volenti eterno e vita. 7 anima ed anima con Arturo Benedetti Michelangeli * Ciò che per l’universo si squaderna La parola non conosce frontiere. La parola è IMPERO. Noi apparteniamo per cultura all’euro-occidente, e siamo di madrepatria linguista italici. Il GIARDINO italico, “contemporaneo”. Ciascun testo è ritemperato a fondo pagina dai curatori. Una riga di spazio distingue la postilla di Ettore Bonessio di Terzet dalla successiva di Raffaele Perrotta. 11 Dio non gioca a dadi Einstein Una parola muore quando si dice, dicono. Io dico appena inizia a vivere allora. Dickinson/Bonessio di Terzet Poesia è pensiero che si fa canto, in avanti del suo proprio paradiso. Rimbaud /Char/Ettore Bonessio di Terzet 13 LE NOMBRE EXISTAT-IL autrement qu’hallucination éparse d’agonie COMMENCAT-IL ET CESSAT-IL sourdant que nié et clos quand apparu enfin par quelque profusion répandue en rareté SE CHIFFRAT-IL évidence de la somme pour peu qu’une ILLUMINAT-IL 15 LE HASARD Choit la plume rythmique suspens du sinistre s’énsevelir aux écumes originelles naguères d’où sursauta son délire jusqu’à une cime flétrie par la neutralité identique du gouffre 16 RIEN de la mémorable crise ou se fut l’événement accompli en vue de tout résultat nul 17 humain N’AURA EU LIEU une élévation ordinaire verse l’absence QUE LE LIEU inférieur clapotis quelconque comme pour disperser l’acte vide abruptement qui sinon par son mensonge eut fondé la perdition dans ces parages du vague en quoi toute réalité se dissout 18 EXCEPTE à l’altitude PEUT-ETRE aussi loin qu’un endroit 19 fusionne ave c au-delà hors l’intéret 20 quant à lui signalé en général selon telle obliquità par telle déclivité de fuex vers ce doit etre le Septentrion aussi Nord UNE CONSTELLATION froide d’oubli et de désuétude pas tant qu’elle n’énumère sur quelque surface vacante et supérieure le heurt successif sidéralement d’un compte total en formation veillant doutant roulant brilliant et méditant vant de s’arreter à quelque point dernier qui le sacre Toute Pensée un Coup de Dés 21 L’IMPERO DELLA PAROLA a Freddie Ogni opera nasconde un pensiero di verità che è origine, tendenza e finalità della processualità poetica. Capire la poesia è mettere alla luce il suo rapporto con la verità che è il riconoscimento e il dire l’essere nelle sue valenze all’interno del discorso artistico / poetico, soprattutto quella gnoseologica per cui necessita lasciare l’estetica come discorso che assolutezza l’immaginazione, che conduce unicamente a un modello di mondo apparente sdegnato di conoscenza, per entrare nel discorso sulla fantasia che è l’attività unificante dell’agire poetico. La poesia tende alla comprensione dell’essere partendo dall’esperienza sensibile che viene messa in relazione dinamica con l’esperienza intellettiva proprio dalla fantasia in quanto facoltà costitutrice della forma, mediazione indispensabile perché un pensiero articolato passi ad atto creativo. Il rapporto poesia / verità è la scacchiera adeguatamente cercata dove il poeta impone il suo gioco di universalizzazione dell’esperienza 23 particolare come opera contemporanea (storica non storicizzata) alla ricerca, drammatica sempre mai tragica, di una conoscenza sempre più profonda e chiara (il dopo Nietzsche) sino alla massima sintesi che è il capire, il conoscere diretto dove la mediazione si presenta come intuizione mistica (mystikos). L’attimo del capire rigetta il percorso compiuto all’atto originario di intelligenza (Auden) nella prospettiva di una ricreazione, di nuova adeguazione che è perfezionamento del preesistente: ogni inizio è fine, ogni pagina è la prima e l’ultima, ogni opera compresenza di tempo secondo l’impronta della “persona dominante”, il poeta. La disposizione del testo nella scelta scartante (Calvino) della sua costituzione si situa in una lingua divenuta la mia lingua traverso la parola che è già la mia parola per rivelare e dire l’accordo, il mio accordo con la verità che ho tentato e correlato nella rivelazione dell’io poetico. Accordo capito e tramite la poiesi della “persona dominante”, creato e ri-creato nell’esercizio scritturale (ethos) che è la trasposizione ideativa dell’opera; il poeta prospetta la sua sintesi senza tregua squassando un precedente ordine, disordinandolo per tessere una mancanza che l’antica diafora tra logos e mythos pose nella costituzione dell’atto poetico come atto creativo, rinnovato ad ogni suo presentarsi dall’intelligenza fantastica, riannodando un ordine sempre più perfezionato sapendo il limite ontologico, perché il mio disegno aderisca sempre più al Grande Disegno, alla scacchiera trovata (Braque) divenuta il perno per cui si ha formazione di forma. Mai perfetta aderenza è data al poeta che sa la differenza tra sé e l’Assoluto propria nella umana necessità di avere un passato alle spalle, quella storia che resta (Sciacca) da cui possa iniziarsi il percorso, il mio percorso. Drammaticità intrinseca della poesia (dell’arte) non tragicità in quanto la persona, riconosciutasi io poetico, vede la storia non imperante caos, nulla annientante ma terreno alla libertà dell’essere di riassumere la necessità nella sintesi poetica. Riassunzione che è ripresa della sintesi prima e unitaria, riassunzione della necessità dell’opera che è continuata formazione di ordine nuovo, il mio ordine contro le tassonomie essiccative della vita, della storia, dell’arte, della poesia. La persona autosignificatasi come “persona dominante” (io poetico) stabilisce il senso e il significato alla storia, le conferisce forma di 24 evento eliminando ogni possibile casualità ed inesistenza. E sa l’intrinseco limite come possibile apertura per accordare “disegno a disegno”, limite che permette all’essere che si vuole creatore (poeta) di essere assoluto di questa terra a riscattare il significato di sé, essere contro l’artificiosità, nemico del banale, sfidante il mondo con la propria opera, trovata la liberazione alle spalle. Assoluto di questa terra per dirsi irripetibile quale è dentro una ordalia che comporta l’accettarsi, l’elezione di “come essere al mondo” e le conseguenze di tale determinazione consacrata dal segno, dal mio segno che getto nel recinto sacro, nella patria comune dove la singola esperienza si fonde con l’altra. (Rilke) Ecco il silenzio di Rimbaud, stretto affine alla Seconda Inattuale di Nietzsche (1874), non omissione del duellare ma proposizione contro i sarcofagi delle morte parole, dei citazionismi e delle bibliografie che non sono “rubare” a poeta, ma insipido copiare. Silenzio, cristallo di accordo con la Settima di Wittgenstein, che riconosce la perdita di corrispondenza tra interno ed esterno, tra sapere e cultura che allaga l’uomo senza più stile, senza più l’unità che “prende sul serio le cose reali per non essere personalità debole”, ma “divino animale”, il potente che sente il bisogno di maestri e consolatori non trovando più nei suoi compagni e nel presente tempo nessuna natura da utilizzare poeticamente. (Goethe) Rimbaud si proietta nello spazio e nel tempo contro la quotidianità, categoria che consuma la stoffa del disegno e rode l’abito dell’uomo, cercando nello scorrere della luce il perché del cercare: l’eternità che si nelle molteplici epifanie catturate che accompagnano la visione dell’Assoluto, sospensione di ogni legame naturale dove il capire abbaglia per meglio vedere. Questa condizione di presenza isolante gli stordimenti e i rumori è meta reale, raggiungibile attraverso le lieu et la formule per l’edenismo ribaltato dove la deregolazione di tutti i sensi e le facoltà, lo stordimento delle sicurezze di una civiltà che lacera il corpo sino all’impossibile scheggia (Schwitters), introduce oltre il cronotopo e oltre ogni categorizzazione hegeliana. Rimbaud e Nietzsche hanno scritto l’introduzione per l’uomo nuovo, ne hanno tracciato le figuralità generali: ecco l’oltre, ecco il cambiare la vita che epigrafa il dovuto della libertà poetica, iscrizione che 25 detta e regge ethos e poiesis dove la trasfigurazione dei valori permette all’io di dipanarsi a memoria. Il dipanarsi dell’io nell’opera segnata di vita è vita nova per recuperare il lacerato, per cingere e fasciare i brandelli (i frammenti) nell’impero dell’uomo: l’intelligenza del logos. Il resto è superfluità. Rimbaud distrugge per amore di vita, un amore ingenuo ed oscuro che devasta un presente dipendente da sé, attualità di modi ripetitivi, secondo la poetica dell’“orgoglio” e della “carità” (Bonnefoy): orgoglio del poeta-dio, lasciato il paradiso baudelariano, per le proprie capacità di rinnovarsi ad accettare l’eternità; carità di un amore per la vita sorgente che non contrasta la poesia (l’arte) e abolisce ogni sofferenza nella calma suprema del veggente, dell’io nell’altro che è eternità di illuminazioni. Il canto ebbro di vita sfascia e rovina ogni laido vecchiume delineandosi come architettonica del presente continuato, demolisce il consunto iscrivendolo nell’atto critico-creativo, aura gigante di potenzialità. Diversamente Mallarmé non conduce a miglior marina. Ricuciranno Eliot Pound e Auden. Poi, lacerazioni ancora e sinottiche di Musil e Joyce sino a Calvino dove osata è la demolizione, raro l’innesto difficile. L’assoluto rimbaudiano è ignoto ma raggiungibile, mentre la risposta a Igitur ricaccia indietro ogni possibile visione. Il tutto è rien. Se il silenzio di Rimbaud è pieno di sortite verso un accordo con l’eternità, il rien di Mallarmé non permette adesione alcuna e lascia incerto e contrastato l’uomo, smarrito il poeta “al tremolar della marina”, impantanato a vagheggiare sentieri interrotti e antri di spaccata parola, inerte erezione di un testo mai compiuto, operazione mentale secondo una volontà smaniosa di eliminare la mediazione e quindi di bloccare il moto che è il segno dell’universo vivente. Apollinaire vede il tranello di Mallarmé e riprende il filo niciano e rimbaudiano per ordinare lo sconquasso en avant. Rimbaud aveva pensato il poeta quale dio nello sforzo di mutare i registri dell’ente per giungere alla visione della verità; Mallarmé impatta il discorso rovesciandone i termini, pone l’opera come deità e il poeta a grande sacerdote che officia il rito solitario nel laboratorio, svenandosi nell’esercizio combinatorio di una scrittura che onora e adora i gradini di un tempio vuoto, temenos del nulla. 26 Poesia come religione senza destinazione, poesia come passione senza oggetto, dove “puro” è sinonimo di “nulla”, concezione titanica di opera destinata al disastro (Blanchot), in cui il velo tra poesia e teoresi viene sì rotto perché “poesia è filosofia”, ma solo in quanto testo di una totale impossibilità del pensiero di svolgersi, se non come terrore rispetto la pagina. Ribaltata l’impostazione, se poesia è assoluto e pensiero e conoscenza nel suo costituirsi, allora rimane al di qua del medaglione senza sviluppo di argomentazione, destinato il poeta-sacerdote a servire il dio-nulla perché manca la mediazione tra la Terra e il Cosmo, quella mediazione che Rimbaud affida alla parola sino al mistico incantamento, mentre in Mallarmé rimane preziosità oscura di una inarticolazione teoretica. Ancora un’opposizione dialettica alla poetica. E siccome zeurgia persiste, si preme per cogliere il tutto in un tutt’uno, in una parola che sia la prima e l’ultima, l’unica parola annientante ogni storia futura, atto di velleità per eliminare ogni limite proprio delle “cose”. La scrittura diviene testo di una frammentazione per il “grande libro” riassunto di tutti i libri, unicità definitiva e finale: ecco lo statuto degli “appunti mallarmeiani” e dei suoi “frammenti inorganici” che erodono la parola sino alla scomparsa,lasciando la persona poetica a dominare un’astrattezza. Qui la coniugazione con Lutero Cartesio Hegel. Il pensiero non si può articolare perché lo si vuole “cogliere e fermare” nella sua insorgenza, non se ne riconosce la reale struttura che è pur di ordine analogico/simbolica (mythos e logos), ma lo si vuole altro da ciò che è per cui resta radicale impotenza a pensare e la conseguente debolezza è “ovviamente ovvia” non tentando la gradazione e non accettando la mediazione dell’intelligenza fantastica che innesta frammento a frammento, dentro una organicità che dice il veduto (la figura): il valore che si presenta (Michelangelo). E Mallarmé: “la distruzione fu la mia Beatrrice”: Dante rovesciato e invertito come il distanziato Rimbaud. Mallarmé non fa parallelo con Dante che trasforma la propria lingua a poesia e, sebbene “la pantera profumata” sia sempre presente senza farsi vedere, si distende a quella singolare possibilità (potere) che il poeta (persona che fa continuamente dell’intelligenza fantastica una esperienza) ha: rendere visibile l’invisibile (Klee). 27 Non stupisce che questo grande poeta sia di fatto il padre della moderna linguistica e che, mentre ne presagisce alcune verità dapprima ignorate (Mannoni) e anticipa quasi un Fonagy e uno Jakobson, si muti in giocatore di linguaggio, codificando a tale rigidezza la lingua da ritornar linguaggio a sé finalizzato, senza possibilità di relazionarlo ad un più vasto orizzonte concepito einsteinianamente, ma arretrante con spasmi nella strettoia distorta di una “magia testuale” che possa rinserrare l’assoluto. Per sempre. Il mistero esiste: non è artificio di mente. Conseguenza logica diventa la negazione del sapere e del capire perché la poesia è polo opposto e contrario della vita. Inevitabile anche il ritorno sconvolgente della necessità in opposizione alla libertà. Igitur si spacca e si rovescia nel contradditorio Coup des dés dove la mente non vuole incontrare il cuore e la mano per il rischio di “vincere la scommessa”. Poetica della scissione, della averbalità, poesia conservativa che rimanda l’arte a cultuare se stessa, splendente riservatissimo recinto profano di ricreazione. La misura distingue Apollinaire. Ritrova l’equilibrio tra l’allegria della potenza creativa e l’incanto di un’autentica avanguardia che sa l’umiltà della propria impotenza di fronte alla mistericità della vita. Estende le varianti fantastiche accordandole alle multiformi modalità usate con la più larga e semplice libertà nei confronti dei codici retorici e dell’impianto della sua lingua. Configura una norma poetica diversa da quella imperante e scarta poco da essa dovendo e volendo trasgredirla nella costante investigazione delle insite possibilità. Sfiora il pericolo dell’evasione continuando ad inseguirla perché sia norma ancora diversa, ritrovandola medesima siccome consona alla ricerca della verità poetica. Nella impervia precisione di un allineamento del pensiero con le novità della vita, la poesia non è più esercizio letterario ma azione illuminata dalla qualità del capire, del vedere con Croniamantal: “I suoi occhi divoravano tutto quello che guardavano e le sue palpebre come mascelle inghiottivano l’universo che si rinnova continuamente.” Il poeta tiene sulla palma il mondo, detiene lo spaziotempo, riesce a raggiungere la dimensione eterna e sta “nella verità di ciò che è, di ciò che fu, di ciò che sarà”. 28 Ma ecco ripresentarsi, subito, il limite della tensione assoluta che riconduce i propositi progettuali all’ontologia della persona che offre ansia e dramma del doversi identificare, distinguendosi, con l’Assoluto perché l’attimo della comprensione allacci altro attimo verso l’annullamento del tempo. Poesia della nostalgia non lusingatrice, della nostalgia di essere un dio, non Dio, di una perdita che si sa di non poter recuperare sul piano naturale. E nonostante lo strame le protervie le angustie che la vita ci contrappone, la fantasia creatrice soccorre il poeta nell’accettazione di ciò tramite gli intrecci e gli intrichi dell’opera poetica che è ricerca tentativo di eternità, realizzazione del futuro. Ecco il mito di “coloro che non sono morti”: la narrazione. Narrazione che abbatte ancora una volta le barriere tra prosa e poesia, tra poesia e pittura, tra un genere e l’altro e trasforma in esperienza umana e oltre quel pensare fantastico che supera l’insufficienza del quotidiano, testimonianza dell’atto supremo dell’intelligenza: l’avventura ordinata. Se lo spirito della fantasia aleggia, ogni reale può essere mezzo al poeta per sollevare il mondo dalla volgarità e ogni circostanza è occasione di poesia, di mito narratico: “i poeti sono i creatori. Nulla dunque sulla terra viene, se prima non è stato da un poeta; persino l’amore è la è poesia naturale della vita, l’istinto naturale che ci spinge a creare la vita, a riprodurre. So che coloro che si consacrano al lavoro della poesia fanno qualcosa di essenziale, di primordiale, di divino.” Il divino espresso dalla poesia allontana la sofferenza, respinge la disperazione e la tragica tentazione di una follia sempre agguattata: il divino del poeta tiene il velo distintivo che permette il programma della futura poesia cangiante come la vita che si varia come “il creatore” sa variare le sue trasfigurazioni. La presenza della poesia è plurale. Nelle variegazioni dell’esperito, troviamo l’indicazione dell’ordinare il proprio interiore (Stevens) commisurando tradizione e rivoluzione nella responsabilità del proprio potere e del valore di novità che si adduce, nella certezza che altri verranno a completare la mia opera, a riprendere il filo del rischio di elevare a dignità ogni umana esperienza, a narrare il mito di come il particolare è trasportato ad universale, a narrare come del presente si fa eternità. 29 Ammettere errore e tenere giustizia: Carità talvolta io l’ebbi non riesco a farla fluire. Un poco di luce, un barlume riconduca allo splendore. L’equilibrio tra errore e giustizia è l’occasione poundiana perché poesia esista, così come il tema economico è palinsesto sotterraneo; sintonia di tramiti a che si costituisca forma di parola, relazione tra sostanze alla scoperta e all’invenzione di nuovo legame nell’intrigo di rimandi verso la configurazione dell’avventura della mente per evidenziare il segreto motore dell’intelligenza. Ancora la poesia come estasi dove il momento della sospensione sorprende e tralascia ogni piacevolezza ed estetismo siccome la relazione è tra ethos e poiesis nell’affinamento audace della disposizione lemmatica in un testo che si svolge per testi. L’esercizio scritturale accomuna le grandi dimensioni artistiche nella consapevolezza estrema del proprio senso e sentimento, della propria lingua, del “significato di ogni parola” (Eliot) perché la storia sia evento e non scivolamento verso falsità odio avidità: chiarire la contemporaneità ed esprimere la fedeltà al trascorso perché l’arte della poesia sia, e non annientamento (Cvetaeva). La poesia è il grande dono che gli dei “mai morti” hanno possibilitato l’uomo che si desideri creatore per guarire dalla bestia di Blake deformatrice della nostra civiltà, usura della vita che, al contrario, con poesia e arte può celebrare e celebra un bene universale. Poesia difende l’uomo contro il dio-oro sostituendovi il poeta-dio che resiste ed ostacola il commercio dell’integrità dell’essere, fragile e deforme ente, antico di corazza per portare errore umiltà generosità. Poesia di orgoglio e umiltà che riveste di luce ogni memoria, ogni trascorsa sollecitazione, ogni follia di ricordo per chiarire se stessi, traverso la sofferenza e la disfatta di una vita rivinta dell’ego poetico ripulito e risanato, non più nascosto da eponimi letterari ma viso personale. La maestà della poesia (dell’arte) del poeta sta nel rifiuto di perdersi nel consenso, nel voler mantenere se stesso e l’idea di uomo al centro della propria conquista. 30 Il condurre la parola al canto, svolgerla con ampiezza e solidità, qui la comunanza di Eliot con Pound (e Auden come sintesi di questi) come nella giornaliera ricerca di relazione tra umano e divino, nel credere (secondo l’accezione duchampiana) alla poesia come ordita avventura senza fine, sostanziale possibilità per una cultura e una civiltà rinnovate, costantemente da custodire difendere ricostruire, en avant. Sebbene non speri più di ritornare Sebbene non speri Sebbene non speri di ritornare Dalla finestra aperta alla riva di granito Le vele bianche volano ancora verso il mare, verso il mare volano Le ali non spezzate E giunga il mio grido a Te. Genova, 25 XII 1986 Ettore Bonessio di Terzet 31 ALEIXANDRE La morte è il silenzio tra la polvere, tra la memoria, è agitare torvamente una lingua non di uomo, è sentire che il sale si coagula nelle vene freddamente come un albero bianchissimo in un pesce. Allora la buona sorte, l’oscura buona sorte di morire di comprendere che il mondo è un grano che si disfarà, chi nacque per un’acqua divina, per quel mare immenso che giace sopra la polvere. La buona sorte consisterà nel disfarsi come il minuscolo, nel trasformarsi nella severa spina, resto di un oceano che come la luce s’eclissò, goccia di sabbia che fu un petto gigante e che uscita dalla gola come un singhiozzo qui giace. Coagulazione di una lingua disfatta. Essiccazione di scienza che smuore. 33 APOLLINAIRE Eccomi davanti a tutti uomo pieno di senno Che conosce la vita e della morte quello che un vivo può conoscere Che ha provato le gioie e i dolori d’amore Che talora ha saputo imporre le proprie idee Che conosce numerose lingue Che ha viaggiato non poco Che ha visto la guerra nell’Artiglieria e in Fanteria Ferito alla testa e trapanato sotto il cloroformio Che ha perduto gli amici migliori nell’orribile lotta Io so dell’antico e del nuovo quanto un sol uomo potrebbe dei due conoscere E senza inquietarmi oggi di questa guerra Fra noi e per noi amici miei Io giudico la lunga disputa della tradizione e dell’invenzione Dell’Ordine e dell’Avventura Voi la cui bocca è fatta a immagine di quella di Dio Bocca che è l’ordine stesso Siate indulgenti quando ci confrontate A quelli che furono la perfezione dell’ordine Noi che cerchiamo dovunque l’avventura Noi non siamo i vostri nemici Noi vogliamo aprirvi vasti e strani domini Dove il mistero in fiore si offre a chi voglia coglierlo Là vi sono fuochi nuovi colori mai visti Milla fantasmi imponderabili Ai quali si deve dare realtà Noi vogliamo esplorare la bontà contrada immensa ove tutto tace Vi è pure il tempo che si può cacciare o far tornare 34 Pietà per noi che combattiamo sempre alle frontiere Dell’illimite e dell’avvenire Pietà per i nostri errori pietà per i nostri peccati Ecco l’estate irrompe la stagione violenta E la mia giovinezza è morta come la primavera O Sole è il tempo della Ragione ardente E io aspetto Per seguirla sempre la forma nobile e dolce Ch’essa prende perché l’ami io solamente Viene e mi attira come il ferro la calamita Essa ha l’aspetto affascinante Di un’adorabile rossa I suoi capelli sono d’oro si direbbe Un bel lampo che durasse O quelle fiamme che si pavoneggiano Nelle rose tee che avvizziscono Ma ridete ridete di me Uomini d’ogni terra soprattutto gente di qui Perché vi sono tante cose che io non oso dirvi Tante cose che voi non mi lascereste dire Abbiate pietà di me Il comporsi avventuroso dice l’esplosione del perno su cui essere contemporanei. Classico. L’avanguardia storica testimonia il fine dell’odissea formale: l’ordinarsi della forma in un punto universale. 35 ARTAUD Si tratta dunque per il teatro di creare una metafisica della parola, del gesto e dell’espressione, al fine di strapparlo alle pastoie psicologiche e sentimentali. Ma tutto questo non servirà a nulla se, dietro tale sforzo, non esiste una sorta di reale tentazione metafisica, un appello a certe idee inconsuete che per loro natura non possono essere limitate e neppure formalmente raffigurate. Queste idee, che concernono la Creazione, il Divenire, il Caos, e sono tutte d’ordine cosmico, forniscono un primo concetto di un terreno cui il teatro si è totalmente disabituato. E possono creare Una specie d’appassionante equazione fra Uomo, Società, Natura e Oggetti. Non si tratta del resto di portare direttamente sulla scena idee metafisiche, ma di creare intorno a queste idee particolari tentazioni, vortici d’aria. L’umorismo con la sua anarchia, la poesia con il suo simbolismo e le sue immagini, suggeriscono una prima nozione dei mezzi atti a canalizzare la tentazione di tali idee. La parola divulgata è espressione di volontà cosmica. La scena – il teatro: la stessa scena – lo stesso teatro del mondo: alle forze originarie. 36 AUDEN Sire, nemico di nessuno, che tutto perdoni Non l’inversione negativa della volontà, sii generoso: manda forza a noi e luce, un tocco sovrano Che curi l’intollerabile prurito nevrotico, La fiacchezza dell’astinenza, l’angina del mentitore, E le storture della verginità introversa. Proibisci la risposta recitata E correggi la postura del codardo a gradi; Investi di raggi veloci chi batte in ritirata Che, scoperto, ritorni per grande sia la disfatta; Denuncia ogni cerretano che vive in città O nelle ville dal viale in fondo; Abbatti la casa dei morti; guardia radioso A nuovi stili di architettura, mutamento di cuore. L’opera al di là di ogni veto. Lo scandire quotidiano del tempo e il gesto mediocre della ripetizione. Ma ci sia il messo di palazzo eretto. 37 BENE Non sarà mai più concepibile una CRITICA che non sia al tempo stesso OPERAZIONE CRITICA, ma OPERAZIONE CRITICA TAUMATURGICA, cioè OPERA D’ARTE. È finalmente sciocco e futile circuire, seguitare ostinati a circuire un “AL DI FUORI DI SÉ’” con delle recensioni, tanto peggio se addottrinate. È mediocre una rivalutazione del giornalismo, in ogni senso. L’artista non è ALTRI dal CRITICO. Vogliamo, una volta per tutte, chiuderli tutte e due questi due occhi?! A partire dal diciassettesimo secolo, non c’è più “quella strada nel bosco” detta MEDIAZIONE. Ci sono vie MEDIANICHE o il vuoto. Qui non c’è niente da coordinare, niente aspetta un secondo giudizio da appiccicare a una “prima” CONOSCENZA CRITICA (ARTISTICA). Non c’è soprattutto niente da aggiudicare: questa “tratta delle bianche” è finita. Su Rimbaud non c’è niente da scrivere, se non altre cose altrettanto belle. Qualsivoglia “intervento” estraneo (degli “addetti ai lavori”) a un’OPERA non potrà essere d’ora (dal seicento) in poi che “ideologico”. Al “critico” (Artista) mancato, non rimane “oramai” che pregare: qualunque forma di paternalismo nei riguardi di un’“opera critica” è maleducazione, è insolenza; qualunque atteggiamento estraneo di intolleranza è infame. Io mi vergogno di scrivere. Mi diverte, mi appassiona RISCRIVERE, per la semplicissima ragione che mi ritengo un CRITICO, un ARTISTA. Se è arte, s’apron gli occhi per veder che è. Critica come arte, coltivare arte e scienza, il più alto atto vitale. 38 BENN Se mai il nume, oscuro e inconoscibile, in un essere è sorto ed ha parlato, ciò fu solo nel verso poiché immensa la pena dei cuori vi si è infranta; i cuori van per gli spazi alla deriva, quando la strofa va di bocca in bocca, sopravvive alle risse tra le genti, alla violenza e al patto dei sicari. […] Due mondi sono in gioco ed in conflitto, e solo l’uomo è basso se tentenna, non può vivere solo dell’istante, anche se egli è frutto del momento; il potere svanisce nella feccia, laddove un verso costruisce i sogni dei popoli e li sottrae alla bassezza, eternità di suono e di parola. Il canto è l’olocausto ai segni del Cosmo. Nella forma che lievita, si blocca l’accordo d’un popolo. 39 BERRYMAN Il credito di Hopkins, mentre per lui faceva il tifo il Santo Spirito, la Via Lattea colpì. E’ Natale. Enrico, arrivi all’ufficio postale? Yeats non morì qui – ma in Francia, dicono, rimpatriato su una nave da guerra e seppellito. Anche Joyce morì all’estero ma Hopkins morì qui: dove lo sbolognarono, dopo l’ultimo esame? Alla sua terra squisita lo riportarono in fretta da questa buca infetta, barbara e verde, o borbottarono “Un accidente” allo sporco, inguaiato gesuita. Sono venuto a Dublino per fare i conti con te, Ombra maestosa, che lessi così bene tanti anni fa, ho appreso la tua lezione a dovere? Ho letto tra le frasi sino al reale? Il tuo cielo, il tuo inferno ho bene indagato? T’ho dimenticato poi per anni, messo da parte, l’ingratitudine è male necessario per rinnovare le cose: ho portato la famiglia per cavarmi d’impaccio, ho portato il mio fiacco rimorso e il mio omaggio, solo un libro o due. ho portato, incluse alla fine le tue ultime strane poesie, composte sotto lo spettro della morte 40 Le tue alte figure fluttuano ancora nella mente e tutto il passato colma l’orto murato, il mio d’un alito mielato in cui, festuca, mi aggiro. Sfidare. Sfidarsi sino “alla fine” di un verso. Impasto raschiato dal rosso sangue della chiusa pietra. 41 BOCCIONI Uomo + Vallata + Montagna Sentire e non toccare Gli armenti pascolare all’ombra viola delle coscie e dei fianchi Aquila volare cravatta nastro spilla Silenzio del pendio battito del cuore (ticche-tac ticche-tac) brontolio di budella chimica temporale interno siiiiiibilo locomotiva treno giocattolo salire teuf-teuf teuf-teuf entrare tunnel sbuffata ultima buco nero cerchio granito mano sbuffa calore fumo teuf-teuf teuf-teuf ta taaa ta taaaa Echi dondolio di altberi acciottolio sparire entrare procedere nel buco montagna ventre buio rotolìo interno segnali rossi metodici Contemporaneamente da un secolo all’altro. Il “dinamismo” (il “futurismo”) del pittore e dello scultore nella rinfocolata matericità della colata verbale. 42 BONNEFOY Esiste forse ancora in fondo a una lunga strada Che percorrevo da bambino una gora oleosa, Rettangolo di greve morte a cielo aperto. Poi la poesia Separò le sue acque dalle altre, Nessuna bellezza l’attrae, nessun colore, S’angoscia per il ferro e per la notte. Nutre una lenta Ambascia di proda morta; un ponte Di ferro, gettato su l’altra sponda ancora più notturna È sua sola memoria, solo suo vero amore. Ascoltami rivivere nei boschi Sotto le fronde di memoria dove Io passo verde, Calcinato sorriso di piante antiche sulla terra, Ascoltami rivivere, ti guido Stirpe carbonacea del giorno. Al giardino di presenza, Abbandonato a sera e coperto d’ombre, Abitabile per te nel nuovo amore. Ieri deserto regnante, ero foglia selvatica Libera di morire, 43 Ma il tempo maturava, nero lamento dei dirupi, La ferita dell’acqua nelle pietre del giorno. Creta insonne che si dilania all’apparire d’un fuoco che è ombra. Testimone della complicità del Poeta, il Verbo permette al Senso l’espiazione della Terra. 44 BORGES Buenos Aires è lì. Il tempo che agli umani reca l’amore e l’oro, m’offre appena in retaggio questa rosa smorzata, questo intrico selvaggio di strade che ripetono i nomi ormai lontani del mio sangue: Lapida, Cabrera, Soler, Suàrez… Nomi in cui già segrete rimbombano le diane, le repubbliche, i cavalli e le mattine, le felici vittorie, le morti militari. Le piazze soverchiate dalla indomita notte sono gli atrii profondi di un arido palazzo e le unanimi strade che squarciano lo spazio son corridoi d’incerto sgomento e di farnetico. Torna la notte concava che decifrò Anassagora; torna al mio copro umano l’eternità costante e il ricordo – il disegno? – di un poema incessante: “Lo sapevan gli astrusi scolari di Pitagora…” Tra nomi di nomi, dominazione di poesia. Il ritrovamento del Libro. 45 BRETON Si sfoglia nelle vetrine per la strada In cerca di notizie parto continuamente in cerca di notizie Il giornale è oggi vetro e se le lettere non arrivano più È perché il treno è stato mangiato La grande incisione dello smeraldo da cui nacque il fogliame È cicatrizzata per sempre le segherie di neve accecante E le cave di carne ronzano sole al primo raggio Rovesciato in questo raggio Prendo l’impronta della morte e della vita All’aria liquida Particelle di raggi rovesciati – impercettibile incedere – cicatrizzano la lettera sconosciuta. Prolifera il seme che si distende e si distanzia: lo si impronta ad apertura liquida. 46 BROCH Sia la scienza che l’arte, entrambe forme di conoscenza, non esisterebbero se non mirassero con tanta costanza a far emergere la novità. L’arte – e in questo consistono sia la sua natura specifica che al sua legittimazione – è impaziente; in essa non vi è nulla che possa ricordare un vero e proprio progresso o un accorgimento graduale di conoscenze supplementari. Anzi, ogni opera artistica deve tentare, per essere vera opera d’arte, di raggiungere la immediata comprensione della totalità dl mondo. L’artista capisce il proprio tempo, per così dire, dal senso(????) dell’epoca; egli si limita a percepirla, a capirla, a sapere che cosa essa sia in realtà e ciò grazie ad una visione intuitiva delle cose che si potrebbe definire come “sentimento dell’epoca”. L’artista capisce il proprio tempo, per così dire, dal didentro. Un’opera d’arte che rifletta il contenuto globale di un’epoca (e non solo il suo stile) è sempre una cosa inquietantemente “nuova” per i contemporanei e diventa in genere rassicurante solo dopo la fine di un periodo. Insomma la grande opera d’arte raggiunge il massimo della propria efficacia solo al “confine estremo della propria epoca”. L’interiorità trasforma in tempo lo spazio. Sentimento del tempo profeticamente forma” di coscienza. 47 BURROUGHS Tagliai dentro parti di: Un po’ del tuo sangue di Theodore Sturgeon – una rivista di liceali chiamata Excelsior diretta da Allan Berger – Horde Magazine diretta da Johnny Byrne, Lee Harwood, Roger Jones & Miles N. 1, dicembre 1964 – brani di Pete Brown, Michel Couturier, L.M. Herrickson, Gorge Dowden, Spike Hawkins, Lee Harwood, Neil Oram, – Il giorno che Jesse James fu ucciso di Carl W. Breihan – (3 aprile 1882) e alcuni testi miei. Così capite quando la domenica delle Palme arrivò c’erano già diversi strati di nastro tagliato nella macchina. Bene così succede che domenica delle Palme cerco negli archivi e scrivo due pagine di pezzi e frammenti di vecchie lettere scritti e roba d’ogni genere e inserisco brevi interruzioni di ciò nel nastro che in seguito trasferisco alla macchina per scrivere e a questa pagina indicando dove i tagli avvengono con il / / / Ritaglio di letteratura arriva allo stato di scheggia. Il taglio al grado zero della scrittura. 48 CAGE Io sono qui . , e c’è da dire niente Se c’è tra voi chi vuole andarsene da qualche parte , lasciatelo andare in qualsiasi momento . Quello che chiediamo è il silenzio ; ma quel che il silenzio richiede è che io seguiti a parlare . . Date a ciascun pensiero una spinta : cade facilmente ; ma chi spinge è chi è spinto pro-ducono quel trattenimento che è detto discussione . . Ne faremo una più tardi ? Lo spazio fisico martella il tempo scritturale. La lecture e il senso sfilato sulla partitura delle parole crude. 49 CALVINO Per progettare un libro la prima cosa è sapere cosa escludere. Se riuscirò col pensiero a costruire una fortezza da cui è impossibile fuggire, questa fortezza pensata o sarà uguale alla vera – e in questo caso è certo che di qui non fuggiremo mai; ma almeno avremo raggiunto la tranquillità di chi sa che sta qui perché non potrebbe trovarsi altrove – o sarà una fortezza dalla quale la fuga è ancora più impossibile che da qui – e allora è segno che qui una possibilità di fuga esiste: basterà individuare il punto in cui la fortezza pensata non coincide con quella vera per trovarla. Per quanto demolisce, il progetto architetta la coincidenza tra pensiero e poesia. Tracciare, delimitare – assegnarsi; e lo scarto da sé. 50 CAMPANA Non lo sapete fare? Voi volete Un piatto di già bell’e scodellato? Se ci pensate vi vergognerete Per la vostra e nostra dignità Effe Ti Marinati a un certo punto Dice: la sarta mi ha fatto un vestito Apposta per la guerra, quella sarta Che specializza la specialità Lo porto sempre e si sarà stracciato Ma non per questo cessa d’esser bello E dove manca vengono in aiuto Fumo ed amore per la libertà. Io così nel mio piccolo ho vestito Quel che ho potuto e che mi conveniva Son mancante, stracciato, ebben guardate S’è brutto quello che trasparirà Il cuore dei poeti è ben talvolta Bello già da sé stesso e voi potreste Ben saperlo se solo voi credeste O aveste un pochettin di umanità. I miei versi sono meravigliosi; a qualcuno Potrà sembrare tutta robetta da fiera È una grande illusione, sono fatti Di tutto quello che vi piacerà. Una fiera di illusione consapevole. Scorci funambolici di ferine chiarità. 51 CELAN NON AGIRE ANZITEMPO, non inviare, ristai: compenetrato dal nulla, libero da ogni preghiera, fina la giuntura, secondo il pre-scritto, insuperabile, io ti accolgo, in luogo di ogni quiete. L’IMPIETRITO DETTO nel pugno, dimentichi che tu dimentichi, all’articolazione del polso cristallizzano lampeggiando i segni di interpunzione, attraverso la terra, spaccata a pettine, vengono a cavallo le pause, là, dal 52 cespo lustrale dove la memoria s’infiamma vi carpisce quell’alito quell’uno. L’articolazione della giuntura raccoglie, nel segno insuperato di parola luccicante, il predetto memorabile. Lo Spruch, parole sfaccettate, sospinte ai tratti, ancor prima del discorso, appunto, delle parole. 53 CENDRARS Cristo E’ più di un anno che non penso più a Te Da quando ho scritto la mia penultima poesia Pasque La mia vita è davvero cambiata dopo Ma sono sempre lo stesso Ho perfino tentato di fare il pittore Ecco i quadri che ho fatto e che questa sera pendono ai muri Mi aprono strane prospettive su me stesso che mi fanno pensare a Te Cristo La vita Ecco ciò di cui sono andato in cerca Le mie pitture mi fanno male Sono troppo passionale E a leggere il giornale Ho passato una triste giornata a pensare ai miei amici E a leggere il giornale Cristo Vita crocefissa nel giornale che tengo aperto a braccia tese Ampiezze Razzi Ebollizioni Grida. Sembra un aeroplano che precipita. Sono io. 54 Passione Fuoco Romanzo a puntate Giornale Si ha un bel non parlare di se stessi Bisogna gridare alle volte Io sono l’altro Troppo sensibile. L’elastico andare tra i gironi dell’agitarsi. Il diario, nella dannazione del Nome. 55 CHAR Tra tutto quanto è scritto fuori della nostra attenzione, l’infinito del cielo, con le sue sfide, la sua rotazione, le sue parole innumerevoli sta soltanto una frase un po’ più lunga, un po’ più affannosa delle altre. La leggiamo in cammino, a brani, con occhi logori o sorgivi, e diamo al suo senso quanto nel nostro proprio significato ci sembra irrisolto e in sospeso. Così, fuori della nostra carne e della sua, troviamo la notte diversa, alla fine solidalmente addormentata e raggiante dei nostri sogni. Che si aspettano, si disperdono non sopportando catene. Mai se ne liberano, mai. L’unica condizione per non battere in ritirata in eterno era entrare nel cerchio della candela, restarvi, senza cedere alla tentazione di sostituire alle tenebre il giorno e un termine incostante al loro nutrito lampeggiare. La scomposizione dilacera anche l’affanno. La prosa della poesia, la parola soppesata, la parola ancora pensata anche a tentoni. 56 COCTEAU Nulla si è visto del delitto di Oreste Fuorché vicino a una piscina A Micene l’atto resta Per cui egli assassina. Di questa scena stupefacente Si accanisce un quadro vivente Noi lo vedemmo a Micene Dopo voglio dire prima. Basta che io respiri Accanto a quel bacino E conduco al peggio Un immoto assassino. Il tempo fissa all’improvviso Risuscitati dal loro nome Clitennestra con Egisto Elettra e Agamennone. 57 Che quest’immagine si muova In un eterno specchio Ecco Clitennestra vedova Ecco suo figlio criminale. All’improvvisa mitologia, maschera di luce, risponde l’inganno del viaggiarci dentro. Una “maschera d’oro”, orchestratore (s’ebbe a definirsi all’Accademia di Francia), viaggiatore dai miti antichi alle spericolatezze del film-making. 58 CRANE Spesso sotto le onde da questi scogli vide dadi di ossa d’annegati abbandonare messaggi. E mentre egli guardava, i loro numeri battevano alla costa polverosa e s’oscuravano. E i rettili passavano senza neppure un suono di campane, ed il calice funebre rendeva un capitolo sparso, un geroglifico livido, il miracolo attorto in spire di conchiglie. Poi nella quiete circolare di un’ampia voluta, esorcizzato il flagello e conciliata la sua perfidia, occhi di ghiaccio levavano altari, e silenziose risposte scorrevano fra gli astri. Né quadrante né bussola e sestante potranno mai suscitare altre maree… Alta nei precipizi dell’azzurro La monodìa non sveglia il marinaio. L’oceano accoglie solo quest’ombra favolosa. Nel flagello della quiete, il capitano uccide la favolosa balena. Due compatrioti a confronto sopra il mare ciclopico che richiude conoscenza. 59 CUMMINGS silenzio .è un uccello che guarda: lo spigolo, della vita che volta; (interrogativo dinnanzi a neve Bello il non vuol dir nulla del(si lente)fi 60 occar(o vun qu e)cco n Ev’è Slittare tra microrganismi per tentare un profondo rifrangere. Parola risvegliata nell’anfratto del significante-scrittura. 61 CVETAEVA La contemporaneità ha sempre due code: la retroguardia e l’avanguardia – una peggiore dell’altra. Ma il grido non del filisteo, il grido del grande scrittore (allora diciottenne) Majakovskij: “Abbasso Shakespeare!”? Autodifesa dell’arte. Per non morire – a volte – bisogna uccidere (prima di tutto – in se stessi). Guardi indietro e vai avanti. Opera universale è quella che nella traduzione in un’altra lingua e in un altro secolo – nella traduzione nella lingua di un altro secolo – perde di meno, non perde nulla. Dopo aver dato tutto al suo secolo e paese, dà ancora una volta a tutti i secoli e a tutti i paesi. Dopo aver rivelato sino al massimo limite il secolo e paese, mostra illimitatamente tutto ciò che è il non-tempo e non-luogo: il persempre. Oltrepassare il tempo e lo spazio, è la condanna vocazionale dell’artista. E la luce sua. Weltliteratur. Le confessioni della figlia d’un secolo a cavallo trasecolare. 62 D’ANNUNZIO Restiamo in mezzo ai rifiuti della vita vile. Scorie di male scorie? ecco un frammento di utensile, un rottame di ghisa, un chiodo torto, una scatola di zinco vuota, un palmo di spago, una scheggia, un truciolo. Tutto mi parla, tutto è segno per me che so leggere. In ogni cosa è posta una volontà di rivelazione: una volontà di dire, come significa la poesia. Le linee espresse dall’incontro casuale degli oggetti inventano una scrittura ermetica. “O figlio di Maia” pregai “figlio dell’Atlantide Maia dall’affocata faccia, che onoro notturna fra gli astri Pleiade dai sandali belli dal crin di giacinto, che invoco fra le sorelle celesti, odimi, o Criseotarso, Amico degli uomini. […] […] Vieni! Udrai e vedrai maraviglie. La poesia segna ogni immagine della vita di un senso rivelativi. Se ne rovescia l’assunto: il dio della parola, vede, delle maraviglie, lo scintillamento. L’Imago Mundi è al sintagma che si curva. 63 ELIOT Non è per le sue personali emozioni, per le emozioni scaturite da particolari eventi della sua vita, che il poeta può risultare interessante o degno d’attenzione. Le sue particolare emozioni possono essere anche semplici, rudimentali, piatte. Nella sua poesia, invece, le emozioni possono essere una cosa molto complessa, ma non della complessità delle emozioni di persone che hanno nella vita emozioni molto complesse o insolite. Nello scrivere poesia c’è molto di cosciente e deliberato. Infatti il cattivo poeta è di solito inconscio dove dovrebbe essere cosciente, e cosciente dove dovrebbe essere inconscio. Entrambi gli errori tendono a renderlo “personale”. La poesia non è un libero sfogo delle emozioni, ma una fuga dall’emozione, non è un’espressione della personalità, ma una fuga dalla personalità. Ma, naturalmente, solo coloro che posseggono personalità e emozioni sanno cosa significa evadere da tali cose. Nella gran confusione dei sentimenti imprecisi, Squadre indisciplinate di emozioni. E quello che c’è da conquistare Con la forza e la sottomissione, è già stato scoperto Una volta o due, o parecchie volte, da uomini che non si può sperare Di emulare – ma non c’è competizione – C’è solo la lotta per recuperare ciò che si è perduto E trovato e riperduto senza fine: e adesso le circostanze 64 Non sembrano favorevoli. Ma forse non c’è da guadagnare né da perdere. Per noi, non c’è che tentare. Il resto non ci riguarda. L’uso della parola, attenta cucitrice di rovine, è tentativo per non sciupare la vita. Ordinarsi, il cumulo dei frammenti, tentarne la via, intorno a il senso delle parole. 65 EVOLA sa che ore sono l’acido lucentissimo ha succhiato il cervello e il potenziale e gli occhi si sono aperti per la prima volta le salve e gli organi scrosciano contro i deliri entrate ve ne prego egli ride gz zzd g n krr raga blanda raaaaga blanda hr aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa sesso logaritmo obice (certamente, sì) alluvione 2 sesso e la gioia letale di tutto questo al gran serpente Ea meriggio rrrrrrrrrrrr La crosta scrostata in pellicole è senso di logaritmo. Arrotamenti e spalancature di poesia sonora, e logica mortificata. 66 JIMENEZ Che puro il fuoco quando si esercita – cuore, ferro Opera! – come escono da chiare sue fiamme, dal lavoro rosso e nero! Con che allegrezza bellezza si rilecca con le sue lingue di spirito, nell’aria per lui trasparenza – cuore, Opera, ferro! –, dopo il combattimento e la vittoria! Nudità d’opera compita nel tessuto della magia. Dal nitore della pagina, una parola magica, la parola Opera. 67 FREEMAN Sono venuto qui pellegrino con tutte le mie imperfezioni su di te e tuttavia la canna è fiorita e dalla roccia è sgorgata acqua anche se quasi non posso crederlo lo testimonio e tu hai acceso una luce a questa lontana meta del tempo “Poca favilla gran fiamma seconda” grazie anche a uno dei due cari Alan che mi mostrarono questo nel tuo amato dante possa la tua anima alfine asciugarsi in quale che sia 68 aldilà non-cristiano nel quale stai soffrendo ancora nel tuo cammino verso il paradiso La parola è tema di tempo, lasciata nostalgia. La scurità che guarda al cospetto della gittata benigna. 69 GADDA La mentalità comune crede al certo, al definito, al perfetto: quando ci crede. Oppure piomba in una sorta di scetticismo non meno idiota del dogmatismo, quando nega ogni certezza o verità perché ha scoperto che il macellaio ruba sul peso. Allora sfoggia li iridescenti colori di una scepsi a buon mercato, come si sfoggiano le perle false. In realtà l’unica cosa che potrebbe sfoggiare è la sua inverosimile ignoranza, e la sua inimmaginabile bestialità. La realtà è un processo autodeformatore di infinite relazioni reali in cui ad ogni attimo si differenzia un essere o io o pausa da un tendere o conglomerarsi o deformarsi. E permanere e divenire sono in ogni cosa e in ogni istante sebbene certe cose ci sembrino un assoluto permanere o materia (p.e. il molibdeno o l’oro) e altre un assoluto divenire o atto (p.e. l’io vado a Roma). Il banale portato ad assoluto. La stupidità contro cui essere. La theorìa è mossa in ogni suo versarsi. 70 GEORGE Meraviglia di lontano o sogno Io portai al lembo estremo della mia terra E attesi fino a che la grigia norma Il nome trovò nella sua fonte – Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca… Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice Con un gioiello ricco e fine Ella cercò a lungo e alfine mi annunciò: “Qui nulla d’eguale dorme sul fondo” Al che esso sfuggì alla mia mano E mai più la mia terra ebbe i tesoro… Così io appresi triste la rinuncia: Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca. Nessuna terra – poetica pietra – resiste senza utopia. Il verso senso di fondamento guidante posto a conclusione di poesia: Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca. 71 GILLESPIE the READIE-FINIS KALEIDOSOEM …… (antiphlento) …… (op. cit.) … “Al di sotto > tutte > Parole che>potenza>distribuente>con> Parole>come in tal modo>unds>ma>non come > Segni” Rodker … (parafrasando>John[transi- zione 12)1 readlie>affettivi>contatti> le profondità…distribuente ment…erst>gaiezza>fil d’acqua >macozzopiù su . . . . . . . . . . . . . . . coltelli - - coltelli - - - terrea . . . . . . . . . . . . lingua> Le parole, derivate da una frattura consapevole, tendono ad essere “frase” e “parafrase”. “Rivoluzione sintattica” nel brogliaccio mare profondo grammatico d’“AmericaNO”. 72 GUILLEN Albore. L’orizzonte socchiude le palpebre e comincia a vedere. Che? Nomi. Stanno sulla patina delle cose. La rosa si chiama ancora oggi rosa e la memoria del suo transito, fretta. Fretta di vivere di più. A lungo amore ci innalzi questa possanza acerba dell’Istante, così agile che giungendo alla meta sua corre a imporre: Avanti! All’erta, all’erta, all’erta, sarò, io sarò! E le rose? Palpebre chiuse: orizzonte finale. Forse nulla? Restano i nomi. La sofisticazione della natura s’innalza all’atto donativo. Dirittura verbale destra, il giubilo secondo “del grande ordine”. 73 HEIDEGGER Il colloquio del pensiero con la poesia mira a evocare l’essenza del linguaggio, affinché i mortali imparino nuovamente a dimorare nel linguaggio. Il colloquio del pensiero con la poesia è lungo. Esso è appena iniziato. Di fronte al poema di Georg Trakl dev’essere particolarmente prudente e sorvegliato. Il colloquio del pensiero con la poesia può servire solo indirettamente. Perciò corre sempre il rischio di turbare il dire del poema anziché lasciare che esso canti dalla sua quiete. La Eroerterung del poema è un colloquio del pensiero con la poesia. Essa non prospetta la concezione del mondo di un poeta e nemmeno ne ispeziona l’officina. Una Eroerterung del poema – soprattutto – non può sostituire l’ascolto dei componimenti poetici e neppure farvi da guida. La Eroerterung che il pensiero viene compiendo può tutt’al più dare dell’ascolto un problema e renderlo, nel caso migliore, più pensoso. Collimare pensiero e poesia è colloquio dal silenzio. Parola ricercata della parola raccontata. 74 HOLAND Un muro, un muro completamente diverso che appare solo al crepuscolo e soprattutto nelle tenebre, un muro di qua di pietra e di là di mattoni… Invecchiando, l’uomo che non sa dove andare, e vorrebbe proseguire vi sbatte la testa e prega: “Spostati, cedimi, poiché non sei lontananza Ma solo distanza!” Ma il muro non si persuade a non esistere… Oltre si segni visibili, la distanza “reale”. Il viandante è la sua ombra che non piega a discorso acquietato. 75 HOPKINS Quale allodola sfidatrice dei venti che langue in squallida gabbia, l’audace spirito dell’uomo dimora nella sua casa di ossa, angusta casa; quella, dimentica ora delle sue fiere rupi; questi, nella schiavitù, nella fatica quotidiana dell’esistenza. Ritti su zolla o pertica o umile povero palco, talora cantano dolci, dolcissimi canti, ma entrambi talora si abbattono come morti nella cella, o torcono le sbarre in scoppi di paura e rabbia. Non che il dolce canoro uccello non chieda requie: oh ascoltalo, ascoltalo cinguettare e calare al nido, ma al proprio nido, libero nido, non prigione. Lo spirito dell’uomo sarà legato alla carne, nella sua perfezione, ma sgombro: un verde pendio non è turbato per l’arcobaleno che vi poggia, né lui per le sue ossa risorte. Il senso del limite esplode l’onda semantica in avanti. Pervicaci visionarismi a nugoli. 76 KAZANTZAKIS Tutti i mestieri, o uomo scaltro, studiali per bene, e non ti fanno sviare né traccia di dio, né passi d’uomo. Conosci le radure dove pascolano i démoni del petto e tutte le armi nella ente serbi e quella adatta impugni, insidia, incisione o seduzione o anche saettata d’ala! E oggi all’alba mentre sali e con la luce cammini, scintillano i tuoi occhi astuti, ti senti prudere nelle palme, e in ogni senso scruti tra i rami per snidare l’uccello selvatico, il dio solitario, dalle molte ali! Lievi tra i monti passano le ore dal seno fresco e come capre saltellano sulle vette cinte di sonagli di rame. Il sole sta oramai all’apice, dolcemente si piega il giorno e lentamente in cerulei vapori la luce s’appoggia, e simile alla sorella, alla luce, anche l’arciere s’è fermato. La solinga gioia dell’avventura poetica. Il grandioso disegno del Poema. I “personaggi” mascherano il rivelarsi del Tutto nel Gioco delle Parti. 77 KUNZE Cosa resta, se non cercare la salvezza nell’umiltà dei minuscoli inizi di parole La fine si scrive sempre minuscola La fine quando con rumore di stanghe si porta fuori la bara Dio non abita dove sono le campane e più in alto non arriviamo Oltre la linea degli alberi in noi, al di sotto della follia, pietrificarsi un po’ Scendere poi in un punto invulnerabile Sotto il velo dell’annotazione, la ricerca dell’aforisma. L’orchestrazione smagliante non si conclude né la parola principia il rendiconto. 78 LARFORS Giorni come perle accuratamente infilate sullo stelo dorato di agosto giorni vestiti di profumo e colore abbondanti e generosi come un sogno tenere morbide oscurità che tutto avvolgono debole vento che alita sulla mia fronte quale segreta sorgente di terrena tenerezza dà tutto ciò in un flusso dorato. L’accuratezza dello svolgersi flemmatico tenta l’intreccio. Naive diaristica dove tutto è intatto (almeno, al momento). 79 LEAUTAUD Sarebbe l’ora di scrivere tranquillamente, liberamente come fossi l’unico uomo al mondo. Lasciamo perdere gli altri libri, i maestri. Il pensar troppo a loro mi ha paralizzato sino a ora. Voglio essere me stesso, se è possibile, se è possibile… Piango ancora, recitandomi Le Balcon. Forse Valéry ha ragione. Più si scrive, meno si pensa… La frase deve essere intera, d’una sola linea, voglio dire non spezzata da punti e virgole, punteggiatura che non corrisponde a nulla: tanto vale cominciare un’altra frase. E poi cominciare, cominciare qualcosa, ecco il difficile. Un premio! La letteratura premiata! Povere cose… L’ars poetica passa per amor di lingua. La mia. Il nòcciolo del comporre… sentimento della memoria e riporsi franchi al biancore della pagina, scaturirne flessuosità e tensione muscolare: l’inappagabilità. 80 LEWIS BLAST HUMOUR Schiamazzo ENGLISH droga per stupidità e apatia. Malizioso nemico del REALE, convenzionalizzante come colpo di fucile, glaciale flessibile Reale in ferocia chimica d’Ilarità. BLAST SPORT PRIMO CUGINO E COMPLICE DELLO HUMOUR. impossibilità per ENGLISHMAN essere grave e tenere alta la conclusione psicologicamente. impossibile per lui usare Humour ancora essere persistentemente grave. Ohimé! Necessità per il grande show della bambola davanti alla bocca Visitazione di Paradiso a ENGLISH MISS. gengive, canini di FISSO SOGGHIGNO della MORTA TESTA simbolo di Anti-Vita. SCIAGURA quelli che penzoleranno su questo Manifesto con SCIOCCHI CANINI esposti. Simboli e segnali inscritti in segni esplosi in feroci alchimie linguistiche. Parole-titoli, parole in lettere capitoli,parole-manifesto, focosità esplosiva di BLAST, parole-concrete, parole-I-scritte. 81 MAC LEISH Un poema sarebbe impalpabile e taciturno Come frutto rotondo Muto Come certi medaglioni al dito Silente come la pietra del davanzale Dove il muschio è cresciuto Un poema sarebbe senza parola Come il volo degli uccelli Un poema sarebbe fermo nel tempo Come le fasi della luna Abbandonato, come la luna apparente Reticolo ramoso di alberi notturni. Abbandonato, come la luna dietro Le foglie d’inverno Memoria di memoria, la mente Un poema sarebbe fermo nel tempo Come le fasi della luna Un poema sarebbe pari a: Non vero Per tutta la storia del dolore 82 Una vuota entrata e una foglia d’acero Per amore Le tenere erbe e due luci sopra Il mare Un poema non significherebbe Un poema è. Il dramma del significato della poesia nell’essere arte poetica. Condizione poetica sarebbe il “vivente” significante d’essere. 83 MARINETTI Il bosco tutto brividi verdi fiata una tiepida voluttà di resina rosse gaggie subito strilla poiché deve cedere ai laceranti passi del ridente giovanissimo elastico pronto all’attacco ROMANZO SINTETICO Sedurre e costringere al bacio è il suo ritmo e Poesia l’accetta golosamente da giuggiola a giuggiola fino allo svenimento d’un’inebriante fusione totale Il nostro sguardo magnetizzato ancora dai riflessi rosso-viola delle ambe imperializzate della civiltà meccanica italiana in soli 7 mesi inseguendo le carlinghe degli S 79 colmi di Granatieri di Sardegna che scavalcano in 20 minuti l’Adriatico commisera i pubblici che contano nel vecchio Romanzone tutte pulci di un gatto tutti i rancori di una zitella e tutti i sudori di un facchino il cui lezzo per fortuna non raggiunge la nostra quota Nel secolo dei 700 all’ora e delle acrobazie aeree noi disprezziamo l’avvilente monotonia delle 1000 pagine di Thomas Mann e di Jules Romains che ben si accompagnavano con il dondolio delle diligenze Noi sogniamo l’avvento di un Romanzo Sintetico che allieti l’aeroviaggio dei passeggeri a 2000 metri abbellendo i paesaggi visti dall’alto compenetrati con le flessuose nuvole e i riposi dei combattenti tra una battaglia e l’altra Credere. Credere sino allo svenamento poetico. Il futurismo s’infutura nel sommovimento della “grammatica” e nella istanza della “vitalità”. 84 MICHAUX Volevo disegnare la coscienza dell’esistere e lo scorrere del tempo. Così come ci si tasta il polso. Oppure anche, più limitatamente, ciò che appare quando, giunta la sera, ripassa (più in breve e in sordina) la pellicola impressionata che ha subito la luce. Disegno cinematico Tenevo al mio, certamente. Ma quanto piacere avrei provato a un tracciato fatto da altri, a percorrerlo come una meravigliosa corda con nodi e segreti, grazie alla quale avrei avuto la loro vita da leggere e tenuto in mano il loro percorso. La mia pellicola non era molto più d’una linea, o di due o tre, che qua e là s’incontravano con qualche altra, che qui facevano cespuglio, lì intreccio, che più in là sferravano battaglia, s’arrotolavano a gomitolo, oppure – sentimenti e monumenti mescolati naturalmente – si raddrizzavano, fierezza, orgoglio, o castello o torre… che si poteva vedere, che mi sembrava si dovesse vedere, ma che a dir vero quasi nessuno vedeva. Per esclusione di segni – fraseggiare sans parole, s’impressiona la frase arrotata. Prassi allucinante della conoscenza. La “meditazione” prende strade che lacerano i fogli dei detti. I conati tornano al crocicchio di Erme. 85 MONTALE Noi non sappiamo quale sortiremo domani, oscuro o lieto; forse il nostro cammino a non tocche radure ci addurrà dove mormori eterna l’acqua di giovinezza; o forse sarà un discendente fino al vallo estremo, nel buio, perso il ricordo del mattino. Ancora terre straniere forse ci accoglieranno: smarriremo la memoria del sole, dalla mente ci cadrà il tintinnare delle rime. Oh la favola onde s’esprime la nostra vita, repente si cangerà nella cupa storia che non si racconta! Pur di una cosa ci affidi, padre, e questa è; che un poco del tuo dono sia passato per sempre nelle sillabe che rechiamo con noi, api ronzanti. Lontani andremo, e serberemo un’eco della tua voce, come si ricorda del sole l’erba grigia nelle corti scurite, tra le case. 86 E un giorno queste parole senza rumore che teco educammo nutrite di stanchezza e di silenzi, parranno a un fraterno cuore sapide di sale greco. Tecnica di intelligente ingegneria, salverebbe il sentiero ritornante. Antica grecità rinnovata d’un fatto di conoscenza che non s’incardina. 87 MUSIL La fede nel valore dell’arte è una propaggine della fede nel valore della ragione. Discende dalla sfera della emancipazione dell’uomo, dalla religione. Legge morale naturale e simili. Perciò l’arte viene tenuta in poco conto del tutto a ragione. Abbiamo bisogno di un atteggiamento completamente diverso nei confronti dell’arte. Il laboratorio assorbito dalla theoria nello svolgersi come atto poetico. La primordialità dell’arte, l’inevitabilità dell’origine. 88 NIETZSCHE Per la questione della comprensibilità. Quando si scrive, non si vuole soltanto essere compresi,ma senza dubbio anche non essere compresi. Non è ancora affatto un’obiezione contro un libro, se una persona qualsiasi lo trova incomprensibile: forse proprio questo era nell’intenzione del suo autore – egli non voleva essere compreso da “una persona qualsiasi”. Ogni nobiltà di spirito e di gusto si sceglie anche i suoi ascoltatori, quando vuole parteciparsi: scegliendo, traccia al tempo stesso i suoi confini nei riguardi degli “altri”. Tutte le leggi più sottili di uno stile hanno qui la loro origine: tengono a un tempo lontani, creano distanza, interdicono “l’accesso”, la comprensione, come si è detto – mentre aprono le orecchie di coloro che d’orecchio ci sono affini. La rivelazione poetica esige elezione di spiriti. Il pathos delle distanze vuole e prescrive affinità rare. 89 OWEN L’acuta tristezza dell’alba comincia ad avanzare… Noi sappiamo soltanto che la guerra non cessa, la pioggia c’infracida, le nubi calano tempestose. L’alba, ammassando in oriente il suo malinconico esercito, Attacca ancora una volta con schiere su schiere di grigio rabbrividente, Ma nulla accade. Sùbite scariche successive di proiettili striano il silenzio. Meno micidiali dell’aria che tremola nera di neve, Con fluide falde sghembe che s’affollano, sostano, e rinnovano, Noi le seguiamo vagare su e giù nell’indifferenza del vento, Ma nulla accade. Tenere l’attenzione verso l’incalzo interrogativo per l’avvento del richiesto. L’abbozzo di una trama, la persistente richiesta: e l’ostilità d’un raggiro che s’abbatte indomata. 90 PASCOLI Dov’era la luna? ché il cielo notava in un’alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù… le stelle lucevano rare tra mezzo alla nebbia di latte: sentivo il cullare del mare, sentivo un fru fru tra le fratte; sentivo nel cuore un sussulto, com’eco d’un grido che fu. Sonava lontano il singulto: chiù… Su tutte le lucide vette tremava un sospiro di vento; squassavano le cavallette finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più…) e c’era quel pianto di morte… chiù… Poesia urge anche sul filo di singolo fonema. Rintracciamento, lungo il significante acustico, del sopraggiunto. 91 PAZ Dio senza corpo con linguaggi di corpo lo nominavano i miei sensi. Volli nominarlo con un nome solare, una parola senz’ombra. Esaurì le risorse dell’hasard e l’ars combinatoria. Un sonaglio di semi secchi le lettere spezzate dei nomi: abbiamo infranto i nomi, abbiamo disperso i nomi, abbiamo disonorato i nomi. Da allora sono in cerca del nome. Inseguii un mormorio di linguaggi, fiumi tra le petraie color ferrigno di questi tempi. Piramidi d’ossa, marcitoi di parole: feroci e garruli, i nostri signori. Con le parole e le loro ombre edificai una casa ambulante di riflessi, torre in marcia, costruzione di vento. Il tempo e le sue combinazioni: gli anni, i morti, le sillabe, racconti diversi della stessa conta. Spirali d’echi, il testo è aria che si scolpisce e si dissipa fugace allegoria dei nomi veri. A volte la pagina respira: sciami di segni, repubbliche erranti di suoni e sensi, 92 in rotazione magnetica si allacciano e disperdono sulla carta. Frazionamento di una sinopia, per disegnare un’ombra. In cammino lungo il cammino del linguaggio, le parole ricompongono il cammino che le descrivono. 93 PESSOA Il mito è il nulla che è tutto. Lo stesso sole che apre i cieli è un mito radioso e muto: il corpo morto di Dio, vivente e nudo. Questi, che qui approdò, fu perché non era esistente. Senza esistere ci bastò. Per non essere venuto venne e ci creò. Così la leggenda scorre penetrando nella realtà, e a fecondarla scende. In basso la vita, metà di nulla, muore. Sul nome, la leggenda della realtà. Il mito – da cui discende il salire d’immagine impalpabile. 94 POUND E da allora ho imparato altro da Jules Laforgue, è profondo, e Linneo. chi crescerà li nostri ma quando penso a quel terzo terzo cielo Venere, tutto è di nuovo “paradiso” un paradiso tranquillo sui frantumi, e arrampicarsi un poco prima di spiccare il volo, “ri-vedere”, il verbo è “vedere”, non “tirar oltre” il nesso quindi c’è anche se le mie note non fanno senso. Molti errori, un po’ di ragione, giustificano l’inferno suo e il mio paradiso. E perché sbagliano, mirando al giusto E chi trascriverà questo palinsesto? Al poco giorno e al grande cerchio d’ombra Ma seguendo il filo d’oro nella trama (Torcello) al Vicolo d’oro 95 (Tigullio). Ammettere errore e tenere al giusto: Carità talvolta io l’ebbi, non riesco a farla fluire. Un po’ di luce, come un barlume Ci riconduca allo splendore. Nel Segno del Cosmo. In un segno il Cosmo. Nell’imagismo dove “tutto si tiene”, si distilla la contemporaneità delle ere. 96 QUASIMODO Matrice secca d’amore e di nati, ti gemo accanto da lunghi anni, disabitato. Dormono selve di verde serene, di vento, pianure dove lo zolfo era l’estate dei miti immobile. Non eri entrata a vivermi, presagio di durevole pena. La terra moriva sulle acque antiche mani nei fiumi coglievano papiri. Non so odiarti: così lieve il mio cuore d’uragano. Figura e natura s’involano verso la classicità. Acque e terre, òboe sommerso, il primo (grande) Quasimodo. I papiri vogliono loro pari, contemporanei a loro. 97 REVERDY L’Arma che gli è penetrata nel fianco la sua penna E il sangue che colava nero dell’inchiostro O vita innaturale e incantevole più reale In basso è un abisso familiare che s’apre Penetrare la penna sino all’abisso incomitante costruito. Realtà del poetare, binomio (già di Nietzsche) sangue-inchiostro. 98 RILKE […] Siamo arrischiati. Soltanto che noi, più ancora che pianta e animale con questo rischio andiamo, lo vogliamo; talvolta anche siamo più arrischiati (non per nostro vantaggio) della vita stessa; per un soffio più arrischiati… Ciò ci forgia, al di fuori della protezione, un esser-sicuro, là dove agisce la gravitazione delle forze pure; ciò che, infine, ci custodisce è il nostro esser-senza-protezione, e che noi ci siamo rivoltati all’Aperto, avendo visto la minaccia, onde, nel più ampio Cerchio, in qualche luogo dove la Legge ci tocca, gli rispondiamo di sì. Nel rischio, la protezione della Parola. Un poeta di Heidegger: il pensiero della poesia sulla china del rischio-parola. 99 SAINT-JOHN PERSE Grand’età, eccoci qui. Appuntamento perso, e da molto, con quest’ora di gran senso. La sera scende, e ci riconduce a riva, con le nostre prese d’altomare. Nessun pavimento familiare ove risuoni il passo d’uomo. Nessuna dimora in città né cortile selciato a rose di pietra sotto le volte sonore. È tempo d’ardere le nostre annose chiglie cariche di alghe. La Croce del Sud è sulla dogana; l’aquila pescatrice è tornata alle isole; l’aquila-arpìa è nella giungla, con la scimmia e il boa constrictor. E l’estuario è immenso sotto il peso del cielo. Grand’età, guarda quel che abbiamo preso: nulla, e le nostre mani sono vuote. La corsa è fatta e non è fatta: la cosa è detta e non è detta. E noi rientriamo carichi di notte, sapendo di nascita e di morte, sapendo di nascita e di morte più di quanto insegni pensiero d’uomo. Dopo l’orgoglio, ecco l’onore, e questa chiarezza dell’anima fiorente nella spada grande e blu. Fuori delle leggende del sonno tutta quest’immensità dell’essere e tutto questo pullulare dell’essere, tutta questa passione d’essere e tutto potere d’essere, ah! tutto questo gran soffio viaggiatore che ai propri talloni solleva, con l’involo delle sue lunghe pieghe – profilo grandissimo in cammino nel riquadro delle nostre porte – il passaggio a grandi passi della Vergine notturna. L’appuntarsi alla cronaca svolge una grande impresa. Sontuosità della metafora per un incedere solenne. 100 SAVINIO Perché dunque ci offendon i nostri cattivi fratelli esteti? … E ci scagliano l’ingiuria cinicamente alla faccia? … Insozzano persino gli oggettini minuti d’uso comune: le monete d’argento, di nickel, di rame, che noi scambiamo contro il santo pane e i dolci carciofini? … – L’assimilazione è del Professor Carducci. Gli italiani, dei camerieri? forse. Ma lui, il Professore, un sommo maitre-d’hotel, di certo! Ecco che risorge però il dolce ardente spirito rivoluzionario. Ecco l’ingenuo slancio dei futuristi. Possiamo ancora sperare… Lo sgravio incomincia. Sfogo alle libere ariate. Sfrusciano già gli arboscelli delle nuove immaginazioni. Ecco il libro di Soffici, BIF ZF + 18, pubblicato da poco. Quel libro va segnato 48. edifizio di poesia moderna; nuova cassa di risparmio, nuova sede di Poste e Telegrafi, d’onde partono, sui fili sensibili, i dispacci dell’ultim’ora, che annunziano il nuovo italiano, i nuovi italiani. Un grido lanciato sopra terre sorde e disamorate. La pagina, combinatoria di “materie”, la prosa che tratteggia l’ethos d’un popolo. 101 SEFERIS Erano bravi ragazzi i compagni, non gridavano né di stanchezza né di sete né di gelo, erano come gli alberi e leone che ricevono vento e pioggia ricevono notte e sole senza mutare in mezzo a mutamenti. Erano bravi ragazzi, interi giorni sudavano sul remo, gli occhi bassi, respirando in cadenza e il sangue imporporava una docile pelle. Cantarono una volta, gi occhi bassi, quando doppiammo l’isola scabra dei fichi d’India a ponente, di là da quel Capo dei cani uggiolanti. Se si vuole conoscere – dicevano – miri in un’anima – dicevano – e battevano i remi l’oro del mare, gabbiani, foche. Ululati di donne sventurate piangevano i figli perduti, altre come frenetiche cercavano Alessandro Magno, glorie colate a picco in fondo all’Asia. Attraccammo a rive colme d’aromi notturni e gorgheggi d’uccelli, e un’acqua che lasciava nelle mani la memoria di gran felicità. Non finivano, i viaggi. Si fecero le anime loro una cosa sola con remi e scalmi con la grave figura della prora col solco del timone, con l’acqua che frangeva 102 gli specchianti sembianti. I compagni finirono, a turno, con gli occhi bassi. I loro remi additano il posto dove dormono, sul lido. Non li ricorda più nessuno. E’ giusto. Le cadenze dell’impronta doppiano lo scoglio dell’evento, ostacolo al cammino memorato. Parole (ci) sono, mitiche, che la memoria riporta in auge, narrano storie e gesta, il viandante, la preda dell’oblio. 103 SEIFERT Cominciamone un’altra, non c’è fretta, anche se la campana tre ne misura, e lo specchio prende ogni volta paura quando qualcuno sale la scaletta. La voce si è schiarita ed ora è schietta, ma non fa canzone, nessuna sciagura, cominciamone un’altra, non c’è fretta, anche se la campana tre ne misura. Quante canzoni su questa spinetta, ora come un velo è su tutte le mura. S’aggira ancora qui per la saletta chi per giaciglio amava l’uva matura, cominciamone un’altra, non c’è fretta. Inizio e fine composti in scala poetica, per il respiro contemporaneo. Provare e riprovare, ovvero cominciare e ricominciare. 104 SINISGALLI Fa più coraggio un enigma che un teorema o un proverbio. La natura entra placidamente nelle nostre capsule, nelle parole e nei simboli, nelle lettere e nelle cifre. Ci entrano anche i pensieri. Entrano le formule semplicissime che regolano il mondo. Le equazioni di Einstein sono brevi come le formule dell’acqua e del sale. Dio è laconico. L’esattezza. Eccita lo sguardo, non penetra dentro. Sta al di fuori e vi resta perché manca di appigli. Non si può godere a sorsi, a bocconi. Si può ingoiare, inghiottire. È il pasto del serpente, è l’alimento del bruco. Sulla collina Io certo vidi le Muse Appollaiate tra le foglie. Io vidi allora le Muse Tra le foglie larghe delle querce Mangiare ghiande e coccole. Vidi le Muse su una quercia Secolare che gracchiavano. Meravigliato il mio cuore Chiesi al mio cuore meravigliato Io dissi al mio cuore la meraviglia. Tastare l’ignoto e centrare la cifra con eccitata chiarezza. Originaria è meraviglia, sapienziale è rare parole rare. 105 SOFFICI Misteri, misteri, misteri a buon mercato, Tutto si paga con 24 ore di giovinezza al giorno. Atelier, ateliers, Rose dei venti, Gioia, bellezza, miserie. Stemperate in profondità d’accordi Nel castello cubico, minuto per minuto. Basta aprire i cristalli per soffocar d’incantesimi; Scostar la tenda Sulla strada che monta e scende. Il crepuscolo che marcisce nella catinella bianca, Le ciminiere, le torri, i camini, le stelle, Le città d’Europa in fondo alla notte, e i treni, Che filano illuminati come teatri; i treni carichi di nostalgie: Tutta la terra entra a riposarsi, Alcione stanco di volare, sul nostro cuore Spiegato come una bandiera. Tra le righe – rigature – si nascondono brandelli di cristalli propositivi. L’annotazione diaristica, il promemoria, il ricordo fulmineo trasgredenti la liricità. 106 STEIN Mark Twain fece grandi molte cose e ogni cosa che fece fu tutto e fece un morto uomo morto. Penso che fu il primo uomo a fare sempre quello e fu una grande cosa Americana a fare. La proposizione dischiude rose, se rosa è. Prosa lineare e punto. Proposizione-serra di parole-elementi per dire, per esempio, Mark Twain. 107 STEVENS Oh ch’io possa ridurre il mostro a me Medesimo, e poi essere me stesso Di fronte al mostro, più che una sua parte, O più che il mostruoso suonatore D’uno dei liuti mostruosi; solo Non rimanere, ma trionfarne e farsi Due cose, le due insieme come una, E suonare e del mostro e di me stesso, O meglio non di me, ma sol di lui, Della sua mostruosa intelligenza, E il leone essere nel liuto, Di fronte a quello chiuso nella pietra. È questo quadro di Ricasso, questo “Mucchio di distruzioni”, una figura Di noi, o della nostra società? Siedo io, deformato, nudo uovo, Orecchiando “Addio, luna delle messe”, Senza né messe scorgere né luna? Le cose sono come distrutte Da me? Sono io un uomo ormai defunto 108 A una mensa ove il cibo ormai è freddo? È morta rimembranza il mio pensiero? È quella macchia in terra sangue o vino, O in caso o nell’altro, è cosa mia? Trovare poesia, cercando il libro. Il parco-parole di un aroma vivificante. 109 TRAKL Se andiamo a sera per sentieri oscuri, Incontriamo i nostri visi smorti. Se abbiamo sete, Beviamo le acque bianche dello stagno, la dolcezza della nostra infanzia triste. Ombre, riposiamo sotto il sambuco Guardiamo i grigi gabbiani. Nubi di primavera incombono sulla città buia Che tace più nobile èra di chiostri. Quando presi le tue mani scarne Levasti piano gli occhi tondi, Molto tempo fa. Ma quando oscura armonia visita l’anima Appari tu, bianca, nel paesaggio autunnale dell’amico. Passare obliqui canti del deserto per costruire ritte parole. Tumulto d’armonia. I poeti hanno, delle parole, parole che si rincorrono, eterno ritorno di parole che costruiscono mondi. Il viandante dall’insaziabile palude. 110 UNGARETTI Agglutinati all’oggi I giorni del passato E gli altri che verranno. Per anni e lungo i secoli Ogni attimo sorpresa Nel sapere che ancora siamo in vita, Che scorre sempre come sempre il vivere, Dono e pena inattesi Nel turbinio continuo Dei vani mutamenti. Tale per nostra sorte Il viaggio che proseguo, In un battibaleno Esumando, inventando Da capo a fondo il tempo, Profugo come gli altri Che furono, che sono, che saranno. Nella caverna scavata dalla parola, sorprende il tempo della risalita. Cavità di parola, parola scavata, zampillìo e scintillamento “in servitù di parole”. 111 VALERY Santo LINGUAGGIO, che indìa gli umani, profetico e ornato; leggiadra ambìta prigionia al nume nella carne traviato, divinazione, ampiezza! Parla ora la Saggezza, voce augusta s’effonde che si conosce quando suona non tanto voce di persona come di selve e di onde. Segni e simboli del simbolo convogliato in lingua sacra e profetica. Sacrità di linguaggio, le onde stesse i boschi stessi. 112 WILLIAMS e l’artificio, sconvolto dal pensiero, addipanandosi, stia in guardia che non si metta a fare altro che scrivere trite poesie… Menti simili a letti sempre rifatti, (più pietrose di una costa) Non disposte o incapaci. Rotolandosi dentro, testa in su, sotto, premendo e ritraendosi, un grande chiacchierio: sollevato come aria, imbarcato, multicolore, un deposito di mari dalla matematica ai particolari – diviso come rugiada, nebbie galleggianti, da essere precipitate in pioggia e raccolte in un fiume che fluisce e chiude in un cerchio: conchiglie animaluncoli in generale e così in un uomo, in Paterson. Sconvolgere, avvolgere – analisi del morfema – per reggere il disegno, rinnovandosi. Un “luogo”, una vita, tante vite, e un linguaggio, tanti linguaggi “(concretamente)”. 113 WITTGENSTEIN Se dico che il mio libro è destinato solo ad una piccola cerchia di persone, non voglio dire, con questo, che, per me, tale cerchia sia l’élite dell’umanità sono però le persone cui mi rivolgo, e non migliori o peggiori delle altre, ma perché formano la mia cerchia culturale, in certo modo sono gli uomini della mia patria, a differenza degli altri che mi sono stranieri. Nel modo personale, il raccordo autentico a dire il mio accordo. Dicendo, dico un modo. L’appropriazione non è indebita. 114 YEATS Feci al mio canto un mantello Coperto coi ricami delle antiche Mitologie, dai piedi sino al collo; Ma gli schiocchi Lo presero per loro, lo indossarono Davanti agli occhi del mondo Quasi che loro l’avessero cucito. Canzone, lascia pure Che se lo tengano, perché Ci vuole più coraggio a camminare nudi. Più in alto per non precipitare sino alla lapide del nulla. Il ceppo d’una razza che si desta nell’affermazione ornata d’un ego sum regale. 115 ZANZOTTO (E sei non voluta come il cielo non voluto dei fossi senza menu o programma) Poesie su zuccheri Rosso/canna zolfi caffè clorofilla Terreno fatto di zuccheri Caranto zolfi caffè clorofilla Invenzioni dentro i sapori e i loro cocktails veri chicchiricchi del gallo più sgargiante da mandare in battaglia Le memoriazioni le percezioni gli oracoli di scorci e spaccati - più o meno – di legni, tenebre, rosso terreno, ma assai assai parenetici lusinghevoli né privi di olografie, di luci di Kirlian, si sventagliano e mitragliano come in un campionario e botanicamente bollono come un Montello non ancora abbattuto (1683) ci si inarniano in aggrumate strutture di batteri, bocconi, bottini, 116 divaricano tra e da si rimarginano come un non ancora abbattuto Montello (1683) Senza programma, programmare delibere di modelli. Nomenclatura, anche la data ripetuta. Asprezza del canto. 117 ALIGHIERI Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna; sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch’i’ vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. Un punto solo m’è maggior letargo che venticinque secoli alla ‘mpresa, che fe’ Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar facìesi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; però che ‘l ben, ch’è del volere obietto, tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella è difettivo ciò ch’è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante che bagni ancor la lingua alla mammella. Non perché più ch’un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch’io mirava, che tal è sempre qual s’era davante; ma per la vista che s’avvalorava in me guardando, una sola parvenza, 119 mutandom’io, a me si travagliava. Nella profonda e chiara sussistenza dell’alto lume parvermi tre giri di tre colori e d’una contenenza; e l’un dall’altro come iri da iri parea reflesso, e ‘l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. O luce etterna che sola in te sidi, sola t’intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, dalli occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta della nostra effige; per ché ‘l mio viso in lei tutto era messo. Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond’elli indige, tal era io a quella vista nova: veder volea come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. All’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle. 120 IL GIARDINO DELL’IMPERO a Lei! Lavoriamo sul testo, filologi rotti alle esperienze del significante. Sgretolamento e sparpagliamento degli ordini (e perciò dei codici), tra gutemberghismo e alfabetizzazione-scomposizione della summa. “La natura entra placidamente nelle nostre capsule, nelle parole e nei simboli, nelle lettere e nelle cifre. Ci entrano anche i pensieri. Entrano le formule semplicissime che regolano il mondo. Le equazione di Einstein sono brevi come le formule dell’acqua e del sale. Dio è laconico.” (Sinisgalli, da L’età della luna, 1956-1962) Dio sarà laconico, mai baro. Cose, idee, la terra sotto il cielo e la biografia – testimoniano la Parola del Signore, e abbiamo più che parola, abbiamo la Parola. Portiamo le parole dalle parole alle parole. Tutto ciò che è umano è mondo. Problema, il mondo. Che la parola parli! E se già-da-sempre la parola parlasse? “…la violenza operata sui segni”, “Un atteggiamento fondamentale del fare poesia diviene lo “stuzzicare” le parole, il tendere loro un agguato mentre si allacciano in periodi, l’imporre violenza alle strutture del linguaggio” (Giuliani e Balestrini, da I Novissimi. Poesie per gli anni ’60). Ma il gran vecchio delle lettere italiche, Luciano Anceschi, a proposito della plaquette Diversi accorgimenti di Adriano Spatola (e siamo nel 1975): “Quel che propone [Spatola] non può essere trascurato: ha un senso per i giovani poeti, sembra, e interesse per una critica non irrigidita in un suo modello definitivo di grazia o di orrore, e sorpren121 de il lettore avido di una conoscenza nuova. Rinasce liberamente la sintassi, si rinnovano alle radici i processi d’associazione: la realtà si è fatta diversa con un nuovo laico, aperto, non concluso mistero, e così la poesia ritrova, alla fine, se stessa in un senso non consueto, e con fertilissima estraniazione rinasce come dalle ceneri, e scopre una segreta, indiretta, non pacifica, e non usata possibilità di messaggio”. I messaggi sono, senza dubbio, formali; nessuna cosa senza la parola, e nessun senso senza il segno. Tra intenzione di senso e deposito di segno è la scommessa semantica. L’espressione linguistica delle cose è una espressione astratta delle cose che popolano la theorìa. Dalla Summa di Ezra Pound: “ To have, with decency, knocked / That a Blunt should open / To have gathered from the air a live tradition / or from a fine old eye the unconquered flame…” (da The Pisan Cantos, LXXXI). Qui, è, del palinsesto. I segni vanno ascoltati risalendo il linguaggio verso la lingua. Il pensatore della Foresta Nera si domanda della Sprache circa la “traduzione” dell’Occidente: il filosofo della Magna Grecia si domanda della Lingua circa la “traduzione” dell’Occidente. Dobbiamo domandarci dei semantemi possibili. Nei termini problematici sono poste le istituzioni stesse. Si parla di lingua come si parla di Sprache quando Heidegger affronta l’aurora occidentale con lo Spruch di Anassimandro, nel luogo radicale del pensiero che ha messo a problema il mondo umano significato e corrente. La lingua Italiana è una provincia della lingua dello Spirito. Alla lingua Italiana, ancora, spetta il compito di contribuire al Soffio dello Spirito. La “milizia” vuole che si guardi in faccia la proposizione, a misura del suo ordine di grandezza. Che Zanzotto sia “il più importante poeta italiano dopo Montale” è una “proposizione” che sa di problema non tanto perché detta da illustre (Contini, da Prefazione a Il galateo in bosco, 1978) quanto perché, di lì a pochi anni (1983), Zanzotto scempierà Logos. In discussione è il mondo umano, il logos è a tema di discorso. Insipiente la “recensione” enfatica (così di moda nelle patrie lettere italiche): “Fino alla finale ricomparsa del logos presocratrico e insieme futuribile in una nuova congiunzione cartesiana…” (dal risvolto di copertina a firma con iniziali M.F.). 122 La militanza è epocale, si batte nel tempo per il proporsi del logos. Il logos è di questo tempo e oltre. Siamo in corsa per percorrerne il senso e trascriverne il segno, un segno, con tanto di riparo là dove la “lingua” diffida della langue, e prova orrore del commercio triviale, passato per consorteria e inter-soggettività. Anche il cronachista ha i suoi problemi di tempi. Una cronaca è già storia; chi sa vedere, della cronaca, lo storico? C’è sempre “un tempo” con un suo senso. Il corpo letterale – dalla grammatica all’etimologia. La lingua Italiana, giardino dell’Impero, è assai antica. La lingua Italiana parla lingue antiche, parla di lingue antiche. Entro dentro il linguale della singola parola vengono a contestualizzarsi i motivi disciplinari del campo del discorso dalle molte risorse. A una purezza, a una primordialità, se non toccate, sfiorate, comunque raggiunte, rapprese nell’incandescenza vivissima della metafora, l’aspirazione della rotta letteraria. Poemi e poeti, atti e attori – fantasmi e ossessioni, notturni e mirabilia, destrezze e baratrismi di artéfici e di forme, fluido organismo delle forze rinascenti. L’opus fattizio – effetto del dirompere acquisito generazionale, par/ab/ola che ci illustra fantasticamente ali a raggiera festosa. Il silenzio è una eloquenza. Poemi e poeti lacerano il silenzio. E, locus, logos di riverbero, ritrovato dell’ingegno – eventuale profondità d’arké. Il mondo fondato è fondante, problema a ricerca archivistica. La filo/sofia della barra è la gittata seminale dell’intendimento. Un tocco di tronco e il fascio delle sette spighe, bocca-le, aforisma. S-velarsi? Ri-velarsi della notte laboriosa portata a scia d’alba. Venezia, Università Raffaele Perrotta 123 BALLERINI a Giovanna Sandri quando si perde lo color ne l’erba: e ’l mio disio però non cangia il verde che sono compatibili e scorrono lungo la trama che hanno abitudini e traversano a mano gli argomenti che sbadiglia un altro in fatti nei buchi dell’accanto albero albòre prima dell’indizio Per frammenti di cantiche scorrono schegge indiziarie. Sotto e sopra il discorso: ovvero, prima dell’asse sintagmatico, la singolarità della parola. 124 BRANDOLINI d’ADDA mia testa seme mimesi? etimo astuto strumento similoro ritratto al momento preciso di disparizione qua e là per stranezza felina il verso è perfettibile su capsula libra mio bacio che sugge cava nera mistificante pilastro in terra stanco La ricerca del verso si perfeziona per tocchi e ritocchi. Emarginazione del racconto riprovata, cantilena del significante. 125 CACCIATORE mentre sfilano in lontananza Vestali no certo ma ogni veste è tempio Rabeschi anche lei vuole la morte e coltre Doppio diviene in mente il fiore ch’era scempio All’orda una coccarda e il mondo scopre l’otre Semplicemente è il vero questo e non doppiezza Gusti altri il costume il corpo altri goda Ortodosso lo sguardo che ambedue carezza Scisma aggiusta ed oscenità che altro è moda Nel ratteso respiro più uffizio che giostra L’arcaico riso che i nostri denti non mostra Restaura il mistero chi mai ne può far senza Impazienti le mani di stringere ordigni L’evo ignudo che paura non ha ma scienza Ci applaude e gli artigli si fanno benigni. Stringere la circostanza per scaturire l’involucro linguistico. La volgare occasione si stinge lievitando la massa verbale. 126 CAGNONE La sera chiude la torre i battenti girano tardi, Mnemòsyne allora senza strade si unisce ai viventi. Torre, tempio geloso come un cerchio, specola di fissità: ti è stato chiesto di compiere con riguardo sulla superficie della terra, di rubare poco al respiro. Occorre curvarsi più profondamente sull’aratro dello scriba per sentire il suono delle parole dove si circonda di antenati e mette unghie in qualcosa, come un primogenito alla fine della ruota eredita con sforzo e insonnia un palcoscenico echeggiante. Buona positura per recitare nel riguardo dell’eco. Rievocazione della scrittura. 127 CAPASSO Scavo con unghie il bianco mallo del sole, e cammino tra lagune d’ombre e gli occhi sono freddi specchi e l’anima è un foro nella pietra. Non serve più la misura, chiuso nel tuo cuore di foglie, le unghie si fermano nella durezza. Senza misura, misuratamente la ricerca dell’io poetico. Bramosia animale di mondo, “scritture” come unghie. Il sempiterno fenomeno della rivelazione. Parola evocata, febbre. 128 CAPPI … se è allo scarto che l’oracolo fa stile, lo stilo rimuove quella lettera che conta l’erranza … Per non perdersi nel linguaggio, demolire. Apparente calligrafia “così al vento nelle foglie lievi / si perdea la sentenza della Sibilla”. 129 CARANDENTE tumulato nel silenzio il giorno non risponde al richiamo e l’occhio verde-pagano si infossa in una macchia d’eventi luttuosi.. ma l’orbita, sempre in movimento, ritorna al sonno profondo e asciuga lo smarrimento nero dell’angoscia (e prima che si spegne la visione) in forma di pace un canto araldico maturando le figure le parole riporta i colori fissi della gioia. Il silenzio della parola passa in forma di colore. “Figure” e “parole”, canto araldico, ovvero la poesia sta con “proprietà di linguaggio”. 130 CAVALLO Ogni primo venerdì del mese per dodici mesi di seguito e sarai salvo. Le meridiane dell’acqua si spostavano e palpitavano tra le tenere fronde dell’albero, dove il cielo specchiava la sua ferita di ontologia e catrame. Dalla terra sgorga il liquido e l’amnio della rigenerazione. Perciò la pietra è filosofale. La terra dà l’albero e la sostanza, l’ombra e il reale, l’immagine e la concretezza del segno. Il muro odora di vecchia pietra cotta-umida, di primavere andate e ritornate, estati torride e dilavate la scienza non basta. Non basta la scienza. Sepolcro e chiesa. Chiostro e sarcofago per questo povero frate che muore di dolore per te. Dove sei? Ti cercherò per tutto il resto dei miei giorni. Voce e Terra, concretezza segnata. La poesia come racconto, nomenclatura, portale, tracciato mercuriale. 131 CONTE Il grifone dal becco d’aquila, dal corpo smagrito, più di un cane che di destriero, calato sul dorso del cervo tenero lo divora. Ha dorso arcuato il cervo, gambe di canna. Cade eppure non piange. La sua corsa finisce davanti al silenzio di un albero – foreste nascono da un solo albero, avrà acacie d’oro e mattini per sé ancora. Il grifone ha occhi vuoti, ali ferme, randagio ma ormai di pietra; non odia, non vuole nulla, non sa perché: uccidere per lui è un sogno inevitabile. Recitazione della poesia, nel fondale della natura. Riviere cancellanti la terra desolata, risorgente d’alberi da ceneri naturali. 132 COVIELLO dal flagello della lingua tu sarai al riparo né tremerai per il dolore quando verrà (sorprende i sapienti nella loro astuzia mentre sconvolge la sapienza degli astuti) se lo sparviero atterra osserva (di tutto ciò che osservi avrai memoria) cerca l’alleanza con l’allodola il fatto è quello il tutto che datato nominato dalla lingua e riderai fanne profitto fallo per me per i fiori che stanno sbocciando volando gli anni. Sconvolto il linguaggio, la sosta per il recupero del percorso. Mattinale è fiorirsi, lo statuto è un decoro, e ci si innocenta a superficie d’acque. 133 FRISA Calmo e chiaro è il mio libro sono sola con lui mentre fremiti e ombre d’alberi e buio s’insinuano fra vesti capelli e pagine e sento farsi più tenero il foglio e il mio ricciolo sfatto sulla tempia. Dove sono nella casa sicura del libro o in questa inquieta vibrazione ardente perché tutto è rosso ora brucia e bisbiglia dopo che una strana luce fusa d’oscurità è entrata nella mia carne e non posso più leggere. Il paessaggio del corpo è là fuori oramai: tutti i confini si celebrano senza interrogarsi. La parola, vibrata oscurità, si celebra canto. L’iscrizione panica, ebbra, di sé medesima. 134 GIORGI appunto come potrei senza ogni astuzia aggirarmi tra i lacci della lingua? – figure in tradimento di figure… devo invocare il tempo alchimista del sigillo devo invocare chi conosce il peso del fuoco i termini entrati in causa reclamano che si abbandoni la scrittura cederò? resisterò? ma se interpongo, per propiziare, la tabula rasa? il minuto finissimo tempesta l’agrezza per cancellare deve accadere qualcosa Tradire la lingua, scrivendo poeticamente. È tempesta, polverio, crescita di parole, abbandoni svelanti labirinti. 135 GIULIANI Le tecniche della cultura di massa comportano una scomposizione mentale di cui occorre tener conto quando si vuole produrre una ricomposizione dei significati dell’esperienza. Non soltanto è arcaico il voler usare un linguaggio contemplativo che pretenda di conservare non già il valore e la possibilità della contemplazione, ma la sua irreale sintassi; bensì è storicamente posto fuori uso anche quel linguaggio argomentante che è stato, nella lirica italiana, una delle grandi invenzioni del Leopardi. Sicché, la visione “schizomorfa” con cui la poesia contemporanea prende possesso di sé e della vita presente (e che ha quali tipici caratteri la discontinuità del processo immaginativo, l’asintattismo, la violenza operata sui segni) non ha bisogno di giustificarsi come “avanguardia”, nel senso programmatico e marginale che si suol dare a questa nozione. Saremo, se mai, al “centro” - e concordo con Sanguineti – di una precarietà che né ci esalta irrazionalmente né ci fa vergognare di essere quali siamo. La violenza della precarietà costretta in discorso compostamente tecnico. Il virgolettato”Pover cor, che pensi?”, dice un verso di Giuliani. Un certo andare di una certa avanguardia. 136 GREPPI guai se non fosse vero quest’invidiabile prato cintura di balocchino di con gli uccelli disposti fitti e gli introdotti cani: la nuvola che esprimo di qui destra sinistra si stira bada ai suoi morbidi scatti irregolare com’è si sfila L’amore dell’arazzo tesse coordinate semantiche. Descrizione sul punto – sulla punta – di parola. 137 LUMELLI così che quando fiammeggia più esposto prende cielo in sé prende penne (che se dire è come avvenire nelle tue braccia perire) o patibolo, teste guerriere insufficiente religione un pio esercizio può darsi che allora è come consolato (o amante ricaduto) che impone come voce, come detto che è così bene stregato. La separazione argomenta se stessa, fuor di parentesi. Discorso singulto, se ne tiene l’orlato non ornato. 138 LUZI “Non è più qui” insinua una voce di sorpresa “il cuore della tua città” e si perde nel dedalo già buio se non fosse una luce piovosa di primavera in erba visibile al di sopra dei tetti alti. Io non so che rispondere e osservo le api di questo viridario antico, i doratori d’angeli, di stipi, i lavoranti di metalli e d’ebani chiudere ad uno ad uno i vecchi antri e spandersi un po’ lieti e un po’ spauriti nei vicoli attorno. “Non è più qui, ma dov’è?” mi domando mentre l’accidentale e il necessario imbrogliano l’occhio della mente e penso a me e ai miei compagni, al rotto conversare con quelle anime in pena di una vita che quaglia poco, al perdersi del loro brulicame di pensieri in cerca di un polo. Racchiudere in caratteri formali il brulichio dei pensieri. La theorìa è un “punto d’osservazione” inquietantemente mobile. 139 PARRI L’eco si svuota L’ora non tornerà. Tutto è rimasto al suo punto, immobile o è già finito tutto è fermo in un disegno compiuto o mai stato. Intrigarsi nel tempo, riconoscerlo onda di immobilità. Primo ultimo giorno a rientrare nel tessuto che distacca proposito. 140 PIEMONTESE solitario di carattere malinconico, passava le giornate chiuso in casa, disteso sul letto oppure seduto al tavolino, leggendo o con gli occhi perduti nel vuoto. Spesso si masturbava, guardando quella giovane donna di fronte attraverso le persiane socchiuse. Passava lunghe ore a interrogarsi sul perché di una così irrimediabile estraneità al mondo, cercava inutilmente di scuotersi dal torpore, dall’apatia. Vivre au jour le jour, maquereautage, parasitisme La solitaria domanda per scuotere un erotismo serrato. Sulla pagina bianca, rovine di citazioni frammentarie. Svuoto di coscienza. 141 PORTA Di là, stringe la maniglia, verso, non c’è, né certezza, né uscita, sulla parete, l’orecchio, poi aprire, un’incerta, non si apre, risposta, le chiavi tra le dita, il ventre aperto, la mano sul ventre, trema sulle foglie, di corsa, sulla sabbia, punta della lama, il figlio, sotto la scrivania, dorme nella stanza. luminarie fiori d’ontano scesi sulla città ancora profumo di olivo che brucia nelle case i fiori sorreggono la neve di primavera quasi intollerabile prevale l’azzurro In un attimo, gli attimi della poesia svelano le continue ricerche. Tesa corda poietica sul farsi e rifarsi di modi-di-dire poietici. 142 ROSSELLI Se la rovina dei miei sogni definitivi sembra un domani pieno d’incertezze come fra canne dure annaspa il rospo crateri costosi hanno in loro uno sconforto che porto con me nelle passeggiate. Tra i letamai d’un dolorare incomprensibile imparo ad amare soffrendo come un burocrate impegnato in ardite cifre casalinghe correndo il grosso rischio d’impazzire io scrissi queste righe adamantine. Buttandomi a capofitto nella lezione salvai quel che potetti dalle apparenze ma il fiato represso che scivolava con l’atto brutale dell’assurdo declamava la sua perfetta innocenza. Per la più ardita parola ch’io conoscessi seppi che non v’era provvidenza, se l’incastro tra una notte e l’altra è senza previdenza se mai dolore fu grande quanto la mia grandezza gli specchi l’analfabeta e la contessa. Nel rischio della struttura, l’adeguazione poetica si definisce. Inaridisce la tempra, sconcerto dell’inusitato labbro. 143 SANGUINETI ah il mio sonno; e ah? e involuzione? ah e oh? devoluzione? (e uh?) e volizione! e nel tuo aspetto e infinito e generantur! e ex putrefactione; complesse terre; ex superfluitate; livida Palus livida nascitur bene strutturata Palus; lividissima (lividissima terra) (lividissima): cuius aqua est livida; (aqua) nascitur! lividissima! et omnia corpora oh strutture! corpora o strutture mortuorum corpora morta o strutture putrescunt; generantur! amori! ; resolvuntur; ( ) lividissima! Lividissima! (palus) particolarissima minima; minima pietra; definizione; sonno, universo; Laszo? Una definizione! (ah) complesse terre; nascitur! ah inconfondibili e precisabile! ah inconfondibile! minima! oh iterazione! o pietra! oh identica identica sempre; identica oh! alla tua essenza amore identica! alla tua vita e generazione! e volizione! (corruzione) perché essenze le origini; essenze; e ah e oh? (terre?) complesse composte terre (pietre); universali; Palus; (pietre?) al tuo lividore; amore; al tuo dolore; uguale tu! una definizione tu! liquore! definizione! di Laszo definizione! generazione tu! liquor e liquore tu! lividissima mater. Scrittura è putredine non naturale. Esclamazione contenuta di fango genetico. 144 SERENI Letterale e oracolare insieme. Non un messaggio unico e costante, ma una serie variabile di messaggi calati nelle forme del nostro discorso giornaliero, nell’articolazione abituale della frase. Si stenta a ravvisare una tecnica compositiva, ma una tecnica metamorfica del profondo, una potente carica analogica attraversa la struttura logica, preme sui significati e li contrae all’estremo. Non più la scrittura automatica (“la parole dépourvue de sens annone toujours un bouleversement prochain. Nous l’avons appris. Elle en était le miroir anticipé”), ma nemmeno l’appello ai valori dell’ineffabile. Con Rimbaud – ha scritto Char – la poesia ha smesso di essere un genere letterario. Articolazione della poesia tra oracolo e “elzeviro”. Quando il poeta riconosce l’emblematico. 145 SPATOLA Il seme del verso alligna e matura nel caos è incognita o gergo o semplice atteggiamento di ascesa operosa nell’ambito della fusione di lava e lebbra contratte nell’omonimia che ritorce ed asciuga il lessico della materia il miele la mina subacquea le infiltrazioni. Il sospetto del disordine, ordina “cose poetiche”. L’essenza della poesia nell’aprirsi indifferenziato. 146 VASSALLI delle colpe et iniquitadi e d’ogni altra fatturazione che s’abbia, de’ conati trascinapòppoli. De le golpi che nelle vigne istriscianti o delle vigne che nelle golpi piantate subdolamente s’insinuano, delle organze civettonistiche quando si brulica in spazzii, in spiazzi, in piazze contro questurici che manganèllano sordidi, allora sale l’anonimo cola di rienzo portatile di guerra come movenza generale, apparato discorsivo, attitudine storica ch’è pertinente del bipede attributo suo proprio di moderata demenza: Per apparati discorsuali, indietro a tempi distruttivi. Tumulto a riva di traslati, incandescenze di capillarità linguistiche. 147 VILLA Corpus abruptum praeruptum vastatum, Cancrulum Tropicum, Corpus Inferiale, Grande Grembo e Gambero Ingombro, il corpus rubrum di Calibrano, il corpus Pausylypon, il corpus rubrum di Januarius, di Gennaro Sanguinis Aspis, Flatulus Sapiens, Oculus Ipseicus, Fons Absurda, Meningi a pioggia; o corpus rubrum di Roberto d’Angiò, e il cuore in frustulis, semen rubrum, embryo, spapolato, in giro, a ventaglio, heart-spray. Corpus hemorragicum, e scomparti virali, virus arcaici semisepolti nella Carcassa Intimata dell’Homo Erectus, tout récent venu, Animelle Anginangioine, Medullae Usque Ad (noi aspettiamo un logos téleios dalle anime che han lasciato oscuri irreperibili i Teschigolgotha di Bios, con assunzione, ora s’ ora no, del Lubrico) (agganciarsi, sospendersi al; quindi gradus ad aetates, gradus ab a evis) (tréphestai come spyrthizein) (gradus) (in frustala Policinellae) (in combustula Herniarum), lo Stomaco segreto, Esofago intimo dove si agganciano le immagini della flemma e dell’impeto, le esortazioni i deliqui i disturbi sensitivi, le turbe le sorprese le voglie i complimenti per le parentele sassifraghe. Il ventaglio delle ossa-parola è morte per esercitare scritto. Il morfema, un tratto marcato della “letteratura sull’argomento”. 148 VIVIANI lontano da vedere pensò la storia la meraviglia quando a riporre oggetti la volta che uscì ad accogliere e pochi passi furono chiari i modi (“qui non muore nessuno, vedrai, sistèmati”)… e passando le stanze i colpi improvvisi nel buio sono animali e piante noi che lavoriamo, mio padre, qui sotto casa, con gli acidi un anno intero… allora finì la prova si chiuse in un tonfo sordo di gloria, col freddo i fati e tutte le altre gesta a distanza furono riportate qui La poesia come meravigliante gioco delle parti. Dall’alterazione dei morfemi alle porzioni di discorsi accatastati. Dalla lingua ai linguaggi. 149 Loonely in me loneness. For all their faults. I am passing out. O bitter ending! I’ll slip away before they’re up. They’ll never see. Nor know. Nor miss me. And it’s old and old it’s sad and old it’s sad and weary I go back to you, my cold father, till the near sight of mere size of him, the moyles and moyles of it, moananoaning, makes me seasilt saltsick and I rush, my only, into your arms. I see them rising! Save me from those therrble prongs! Two more. Onetwo moremens more. So. Avelaval. My leaves have drifted from me. All. But one clings still. I’ll bear it on me. To remind me of. Lff! So soft this morning, ours. Yes. Carry me along, taddy, like you done through the toy fair! If I seen him bearing down on me now under withespread wings like he’d come from Arkangels, I sink I’d die down over his feet, humbly dumbly, only to washup. Yes, tid. There’s where. First. We pass through grass behush the bush to. Wish! A gull. Gulls. Far calls. Coming, far! End here. Us then. Finn, again! Take. Bussoftlhee, mememormee! Till thousendsthee. Lps. The keys to. Given! A way a lone a last a loved a long the Paris, 1922-1939 151 AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su www.aracneeditrice.it Finito di stampare nel mese di marzo del 2007 dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (RI) per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma