La geopolitica dei paesi esportatori di petrolio e gas
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La geopolitica dei paesi esportatori di petrolio e gas
8.1 La geopolitica dei paesi esportatori di petrolio e gas La geopolitica dei paesi esportatori di petrolio e gas è sostanzialmente collegata ai flussi monetari che derivano dalla produzione e dal commercio di queste risorse naturali. La ricchezza è ripartita fra tutti gli attori dell’industria: governi nazionali, agenzie di Stato, partiti politici, compagnie pubbliche e imprese private nazionali o internazionali. Parte di essa viene trasferita ai cittadini sotto forma di spesa pubblica (servizi scolastici o sanitari, costruzione di infrastrutture, sovvenzioni alle tariffe sociali per il trasporto, erogazione di acqua ed energia). In questo contesto, assumono importanza tre differenti questioni. Innanzitutto, l’ammontare di denaro prodotto ogni anno e la sua variazione nel corso del tempo; in secondo luogo, la redistribuzione di questo denaro e il suo impatto sulle economie locali, frequentemente associato alla cosiddetta ‘maledizione del petrolio’; infine, la terza questione riguarda i sistemi di governo e il funzionamento delle istituzioni politiche. La geopolitica dei paesi esportatori di petrolio e gas rappresenta il punto di convergenza delle condizioni economiche di base di queste due fonti energetiche e delle dinamiche politiche di ciascun paese. Inoltre, ogni Stato deve definire la sua posizione all’interno della geopolitica internazionale del petrolio e del gas (tab. 1). 8.1.1 Ricavi generati da petrolio e gas Per gli Stati che esportano energia, i proventi che derivano da petrolio e gas rappresentano, nella maggior parte dei casi, una quota significativa del Prodotto Interno Lordo (PIL) e anche degli introiti fiscali. Per 11 dei 20 paesi esaminati, le entrate provenienti dalle esportazioni costituiscono più del 17% del PIL e più del 58% delle risorse dei bilanci statali (tab. 2). Con un siffatto grado di dipendenza, non meraviglia che la variazione VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI di queste entrate nel corso del tempo possa svolgere un ruolo chiave nel chiarire lo sviluppo economico e politico di questi paesi. In particolare, due elementi sono direttamente correlati alla dinamica di sviluppo di ciascuno di essi: il prezzo del petrolio (e del gas) e il volume delle esportazioni. Il livello del prezzo del petrolio e le sue variazioni rappresentano un fattore esogeno per la maggior parte degli Stati, nonostante essi possano, in alcuni casi, esercitare una qualche influenza tramite l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC, Organization of Petroleum Exporting Countries). Il più delle volte, il prezzo mondiale è molto più alto del costo medio di produzione, stimato intorno ai 7 dollari/bbl. Ogni paese ricava la propria rendita petrolifera sulla base della differenza tra il prezzo mondiale e il costo interno. Nel caso del gas naturale, il volume della rendita è meno importante di quanto non lo sia per il petrolio (su basi energetiche equivalenti), perché il costo di trasporto del gas è molto più alto (dalle 7 alle 10 volte maggiore). Inoltre, a livello di consumatore finale, il gas compete con numerosi sostituti energetici, mentre molti prodotti petroliferi vantano una situazione di monopolio. Per i governi, la difficoltà di gestire le rendite generate da petrolio e gas deriva dalla volatilità delle quotazioni; inoltre, poiché si tratta di commodities il cui prezzo è espresso in dollari, esse potrebbero erodere il potere di acquisto di un paese esportatore che acquista all’estero utilizzando valute alternative alla moneta statunitense quando il dollaro è debole. È quello che si è verificato nel bienno 2004-05, quando il dollaro era più debole rispetto all’euro. Le entrate future non sono prevedibili ed elevati introiti potrebbero incoraggiare investimenti rischiosi. Il volume delle esportazioni non è un elemento così esogeno quanto il livello del prezzo; in realtà, esso dipende da molti fattori, sia discrezionali sia non discrezionali. In primo luogo, esso è subordinato alla capacità produttiva esistente e al ritmo di produzione deciso dal governo 401 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI tab. 1. Riserve e produzione di petrolio e gas nel 2003 (BP, 2004) Riserve di petrolio Paesi 109 bbl Produzione di petrolio % sul totale mondiale 103 bbl/d % sul totale mondiale Riserve di gas 1012 m3 Produzione di gas % sul totale mondiale 109 m3 % sul totale modiale Medio Oriente ed Estremo Oriente Iran Iraq Kuwait Arabia Saudita Emirati Arabi Uniti Brunei Indonesia Malaysia 130,7 115,0 96,5 262,7 97,8 1,1 4,4 4,0 11 10 8 23 9 0,1 0,4 0,3 3.852,0 1.344,0 2.238,0 9.817,0 2.520,0 214,0 1.179,0 875,0 5 2 3 13 3 0,3 2 1 26,7 3,1 1,6 6,7 6,1 0,4 2,6 2,4 15,2 1,8 0,9 3,8 3,4 0,2 1,5 1,4 79,0 – 8,3 61,0 44,4 12,4 72,6 53,4 3,0 0,0 0,3 2,3 1,7 0,5 2,8 2,0 2 1 2 1 0,1 0,3 3 4,5 1,8 1,3 – – – 5,0 2,6 1,0 0,7 – – – 2,8 82,8 25,0 6,4 – – – 19,2 3,2 1,0 0,2 – – – 0,7 Africa Algeria Egitto Libia Angola Ciad Guinea Equatoriale Nigeria 11,3 3,6 36,0 – – 8,3 34,3 1 0,3 3 – – 1 3 1.857,0 750,0 1.488,0 885,0 40,0 249,0 2.185,0 America Latina Brasile Bolivia Colombia Messico Venezuela Totale paesi esaminati Mondo 10,6 – 1,5 16,0 78,0 1 – 0,1 1 7 1.552,0 – 564,0 3.789,0 2.987,0 2 – 1 5 4 0,3 0,8 0,1 0,4 4,2 0,1 0,5 0,1 0,2 2,4 10,1 5,2 6,1 36,4 29,4 0,4 0,2 0,2 1,4 1,1 38,5 551,7 21,1 911,8 79 38.385,0 50 67,8 1.147,7 100 76.777,0 100 175,8 e/o dalle imprese petrolifere, a volte sotto il vincolo delle quote stabilite dall’OPEC. Solo una parte della produzione effettiva viene esportata; il resto viene destinato al consumo interno. Pertanto, in alcuni paesi, una rapida crescita della domanda interna, sostenuta dall’incremento demografico, può portare a un declino problematico dei volumi esportati di petrolio e gas e, quindi, delle entrate da essi derivanti (come è accaduto in Indonesia a partire dagli anni Novanta). Queste dinamiche evidenziano l’importanza di precisare una politica nazionale per le risorse naturali, che rappresenta il secondo fattore che influenza il livello dei volumi esportati. Lo sfruttamento delle riserve provate di petrolio e di gas e il sostegno alle attività d’esplorazione sono questioni di politica economica pura. Alcuni paesi intendono mantenere come priorità nazionale lo sfruttamento di queste due risorse naturali, privilegiando un orientamento nazionalistico finalizzato a indirizzare i relativi investimenti verso le proprie compagnie di Stato. Altri paesi 402 100 2.618,5 100 possono concedere condizioni di entrata più o meno libere agli investitori internazionali. In America Latina, per es., c’è un permanente dibattito politico riguardo al ruolo che deve essere assegnato agli investitori internazionali e all’ammontare di denaro che le compagnie statali devono investire nel settore petrolifero. Generalmente, le riserve di gas sono molto più accessibili per gli investitori internazionali rispetto a quelle petrolifere, perché la consegna del gas ai mercati è più complessa e la rendita che se ne ricava è più bassa. Nonostante queste differenze, la risoluzione della questione dell’apertura politica agli investitori internazionali resta un elemento cruciale per l’equilibrio dei mercati energetici. La quantità delle risorse in gioco è immensa e una gran parte di esse è localizzata in aree politicamente instabili: per es., circa il 60% delle risorse mondiali di petrolio e il 40% di quelle di gas sono concentrate in Medio Oriente. Il problema è convertire le risorse esistenti in produzione, e questo significa che ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS tab. 2. Ricavi generati da petrolio e gas (World Bank, 2004; IMF, 2004) Popolazione totale 2003 PIL pro capite 2003 milioni dollari 2000 Ricavi medi annui da idrocarburi 2000-03 Esportazioni medie annue di idrocarburi 2000-03 Paesi % sul totale delle entrate fiscali % sul totale delle esportazioni % sul PIL 16,8 93,1 47,6 27,4 32,4 52,7 6,1 n.d. 82,0 n.d. 91,9 89,2 49,1 88,2 22,6 n.d. 19,9 n.d. 45,9 35,2 35,1 80 8,1 n.d. 25,8 n.d. 36,1 33,9 n.d. 21,6 32,6 97,1 n.d. 97 90,3 n.d. 93,4 95,8 35,5 n.d. 36,6 67,9 n.d. 89 43,8 n.d. n.d. 2,7 7 14,3 n.d. n.d. 27,8 14,9 79,9 n.d. n.d. 44,6 2,5 21,3 % sul PIL Medio Oriente ed Estremo Oriente Iran Iraq Kuwait Arabia Saudita Emirati Arabi Uniti Brunei Indonesia Malaysia 66,4 24,7 2,4 22,5 4,0 0,4 214,7 24,8 1.715,2 – 16.737,7 9.037,9 19.717,5* – 781,3 4.011,3 59,3 58,4 68,4 81,6 76,1 85,8 31,3 n.d. Africa Algeria Egitto Libia Angola Ciad Guinea Equatoriale Nigeria 31,8 67,6 – 13,5 8,6 7,9 136,5 1.915,5 1.622,3 – 814,3 217,8 430,7 357,4 69,9 n.d. 72,5 80,9 n.d. 84 77,2 America Latina Brasile Bolivia Colombia Messico Venezuela 176,6 8,8 44,6 102,3 25,7 3.510,2 1.017,3 2.017,0 5.792,0 4.009,0 n.d. n.d. 9 32,2 52,7 * Dati 2002. occorrono ingenti investimenti. Molti paesi ricchi di queste risorse sono convinti di poter sostenere in maniera autonoma l’onere finanziario e tecnico degli investimenti necessari. Nonostante questo possa essere accettabile, la chiusura agli investitori internazionali potrebbe anche rallentare il ritmo degli investimenti e aumentare la probabilità di una carenza d’offerta. A questo proposito, è illuminante confrontare i flussi degli investimenti diretti esteri nelle diverse aree geografiche. L’area più chiusa è il Medio Oriente. L’utilizzo dei ricavi generati da petrolio e gas La maggior parte dei grandi paesi esportatori di petrolio e gas viene spesso danneggiata dalla cosiddetta ‘maledizione delle risorse naturali’. Questa espressione riflette l’idea che la struttura economica dei paesi ricchi di risorse naturali è condizionata negativamente dagli effetti perversi dei cospicui proventi delle esportazioni. È stato il caso dei Paesi Bassi negli anni Sessanta, colpiti dalla ‘malattia olandese’: il settore manifatturiero VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI nazionale risentì pesantemente della rapida espansione delle esportazioni di gas naturale. Recenti studi empirici mostrano che per un ventennio, 1970-90, le economie ricche di risorse naturali hanno fatto registrare rendimenti negativi e nessuna ha avuto una rapida crescita (Sachs e Warner, 2001). Anche prendendo in considerazione variabili climatiche e geografiche, l’evidenza della maledizione rimane. Tra i grandi paesi esportatori, la Malaysia è la sola che sia riuscita a sfuggirvi. Non esiste una teoria universalmente accettata capace di spiegare questo fenomeno, ma i fatti sono evidenti e sono numerosi gli indicatori che ne dimostrano la consistenza: la struttura della bilancia commerciale, quella del bilancio statale e gli indicatori sociali. La prima dimostra che le vendite di petrolio e gas rappresentano un’alta percentuale delle entrate provenienti dalle esportazioni, il che significa che i paesi colpiti dal fenomeno non sono in grado di esportare null’altro che idrocarburi. Gli altri settori economici (agricoltura, industria, servizi) sono sfavorevolmente condizionati dalla ricchezza 403 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI generata dal petrolio e dal gas, la quale fa gonfiare i prezzi interni e impedisce le esportazioni di qualsiasi altro prodotto (fig. 1). I bilanci dello Stato sono condizionati da spese improduttive, sostenute da amministrazioni statali sovradimensionate. Gli investimenti in grandi infrastrutture, così come quelli finalizzati a garantire la sicurezza militare, sono molto elevati. Si realizzano investimenti significativi senza considerare i costi operativi e di manutenzione successivi alla spesa iniziale; inoltre, i bilanci statali devono soddisfare la domanda sociale. Al fine di mantenere la pace sociale, una parte dei ricavi generati da petrolio e gas viene spesso ridistribuita, segnatamente tramite sussidi ai prezzi del gas naturale, dei carburanti, dell’elettricità e del butano. Gli introiti petroliferi diventano, in questo modo, sostituti della legittimità democratica: riducendo la dipendenza pubblica dalle entrate fiscali, essi rafforzano il potere delle classi dominanti; sfortunatamente, spesso amplificano il divario tra le classi, il che può portare a incoraggiare rivolte e colpi di Stato. In molti paesi c’è una lotta permanente tra governo e compagnie controllate dallo Stato operanti nelle industrie del petrolio e del gas, per la spartizione delle entrate derivanti da queste due risorse naturali. Generalmente, alle imprese statali è imposta la cessione dei ricavi petroliferi al governo, ma esse premono anche per investire nel proprio settore, tanto sul territorio nazionale quanto all’estero. Dall’altro lato, i governi fronteggiano pressioni sociali e politiche e si propongono di ottenere flussi di cassa più elevati per incrementare la spesa sociale. fig. 1. Struttura delle esportazioni secondo le principali categorie di prodotti (UNCTAD, 2003). Infine, gli indicatori sociali dei grandi paesi esportatori di petrolio e gas in materia di istruzione, nutrizione e salute sono generalmente piuttosto deboli. Non riflettono un reale processo di sviluppo economico e sociale (tab. 3). Sistema di governo Il sistema di governo è una delle principali componenti della geopolitica. Nei paesi esportatori di petrolio e gas questa variabile assume due principali dimensioni: il sistema di governo interno, che riguarda il funzionamento istituzionale del paese, e il sistema di governo esterno, che concerne principalmente le relazioni con gli Stati confinanti e anche con gli altri Stati. La qualità del sistema di governo interno può essere misurata attraverso un certo numero di indicatori, che attengono alla democrazia, alla libertà economica, ai diritti civili, alla qualità dell’assetto istituzionale e legale. In genere, questi indicatori sono piuttosto deboli nei paesi esportatori di petrolio e gas. Vi sono poi le questioni dei conflitti interni e della portata della corruzione. La maggior parte dei paesi esportatori di idrocarburi presenta problemi in termini di conflitti etnici o regionali che, in diversi casi, sono collegati alle rendite petrolifere, le quali spesso esasperano le disuguaglianze regionali e accentuano il divario tra chi accede agli introiti petroliferi e chi no. Un certo numero di conflitti reali o potenziali in Africa, nel Medio Oriente, nell’Est asiatico o in America Latina dipende dalla localizzazione dei pozzi petroliferi e dei giacimenti di gas. Oltre ai conflitti regionali, ha assunto 100% 80% 60% 40% beni alimentari minerali e metalli materie prime agricole manufatti Venezuela Messico Colombia Brasile Bolivia Nigeria Angola Libia Egitto Algeria Brunei Malaysia Indonesia EAU Arabia Saudita Kuwait 0% Iran 20% combustibili altro Anno di riferimento dei dati: Algeria, Nigeria 2000; Egitto, Bolivia, Brasile, Colombia, Messico, Venezuela, Iran, Arabia Saudita, Indonesia e Malaysia 2001; Libia, Emirati Arabi Uniti, Brunei, Angola 1990; Kuwait 1999. 404 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS tab. 3. Indicatori di sviluppo (UNDP, 2004) Paesi Posizionamento in base all’Indice di Sviluppo Umano (ISU) ISU1 2002 Speranza di vita alla nascita (anni) 2002 Indice di speranza di vita alla nascita2 Tasso di alfabetizzazione adulta Rapporto lordo di iscrizione congiunta ai livelli di istruzione primaria, secondaria e terziaria (%)3 Indice di istruzione2 PIL pro capite (dollari Indice 2002-a del PIL parità pro capite2 di potere di acquisto PPA) Posizionamento in base al PIL pro capite (dollari PPA) meno il posizionamento in base all’ISU4 Elevato sviluppo umano Brunei Kuwait EAU Messico 33 44 49 53 0,867 0,838 0,824 0,802 76,2 76,5 74,6 73,3 0,85 0,86 0,83 0,81 93,9 82,9 77,3 90,5 73 76 68 74 0,87 0,81 0,74 0,85 19.210 16.240 22.420 8.970 0,88 0,85 0,9 0,75 ⫺5 ⫺6 ⫺26 5 97 70 71 92 68 57 69 70 65 86 76 0,87 0,83 0,86 0,88 0,84 0,71 0,74 0,69 0,8 0,86 0,62 7.570 9.120 5.380 7.770 6.370 12.650 6.690 5.760 3.230 2.460 3.810 0,72 0,75 0,67 0,73 0,69 0,81 0,7 0,68 0,58 0,53 0,61 6 ⫺2 21 ⫺9 4 ⫺33 ⫺31 ⫺25 2 6 ⫺12 45 29 30 35 0,59 0,37 0,38 0,42 860 2.100 2.130 1.020 0,36 0,51 0,51 0,39 15 ⫺30 ⫺38 ⫺8 Medio sviluppo umano Libia Malaysia Venezuela Brasile Colombia Arabia Saudita Iran Algeria Indonesia Bolivia Egitto 58 59 68 72 73 77 101 108 111 114 120 0,794 0,793 0,778 0,775 0,773 0,768 0,732 0,704 0,692 0,681 0,653 72,6 73,0 73,6 68,0 72,1 72,1 70,1 69,5 66,6 63,7 68,6 0,79 0,8 0,81 0,72 0,78 0,79 0,75 0,74 0,69 0,64 0,73 81,7 88,7 93,1 86,4 92,1 77,9 77,1 68,9 87,9 86,7 55,6 Basso sviluppo umano Nigeria Guinea Eq. Angola Ciad 1 2 3 4 151 160 166 167 0,466 0,425 0,381 0,379 51,6 48,9 40,1 44,7 0,44 0,4 0,25 0,33 66,8 41,0 42,0 45,8 L’ISU è la media aritmetica dell’indice di speranza di vita alla nascita, dell’indice di istruzione e dell’indice del PIL pro capite. L’indice per ciascun paese è compreso tra 0 e 1, dove 0 corrisponde al valore più basso osservato e 1 a quello più alto, e viene calcolato nel seguente modo: (valore osservato nel paese ⫺ valore minimo osservato) 1111111111111111111111 (valore massimo osservato ⫺ valore minimo osservato) Il rapporto percentuale tra il numero degli studenti iscritti, indipendentemente dalla loro età, a un dato livello di istruzione e la popolazione in età corrispondente a quel livello di istruzione. Il rapporto può essere superiore a 100 in conseguenza sia dei ripetenti sia di iscrizioni in età superiore o inferiore rispetto all’età corrispondente a quel livello di istruzione. Un valore positivo indica che il posizionamento in base all’ISU è migliore rispetto a quello risultante dal PIL pro capite (dollari PPA), un valore negativo indica il contrario. un’importanza crescente la problematica del terrorismo interno e internazionale divenuto, in alcune aree, una vera e propria minaccia per il funzionamento delle attività di sfruttamento e produzione delle risorse e capace di esercitare un grande impatto sulle spese di sicurezza degli impianti. Nei paesi in via di sviluppo, la corruzione è una costante delle attività legate al settore petrolifero e a quello del gas. Una parte significativa delle rendite derivanti dal petrolio viene distolta dai flussi ufficiali e spesso confluisce direttamente nelle tasche di individui o gruppi in posizione di potere. In questo contesto, la maggiore trasparenza degli Stati che aderiscono all’Extractive Industries VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI Trasparency Initiative (EITI) potrebbe migliorare la situazione e stimolare gli investimenti diretti esteri. Quanto al sistema di governo esterno, le relazioni tra paesi confinanti sono importanti per la stabilità del mercato. I problemi riguardano spesso la sovranità contestata su determinate regioni onshore e offshore, l’accesso alle risorse, la produzione di risorse condivise, nonché il transito dell’energia. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la Carta europea dell’energia rappresenta un importante passaggio per incrementare le opportunità di transito. Si tratta di un accordo internazionale che conferisce una struttura legale e istituzionale alle condizioni di transito. Il passaggio dei combustibili crea 405 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI interdipendenze tra i paesi e una loro adeguata gestione è quindi un elemento di stabilità. Infine, ogni Stato esportatore di petrolio e di gas deve trovare la sua posizione all’interno del grande gioco della geopolitica mondiale di queste fonti energetiche. I principali importatori (Stati Uniti, Europa occidentale, Cina e Giappone) desiderano rendere sicuro il loro rifornimento energetico e costruire relazioni preferenziali con i paesi esportatori. Gli Stati Uniti hanno stabilito con l’Arabia Saudita prolungate e difficoltose relazioni, ma hanno bisogno di diversificare le loro aree di approvvigionamento, orientandosi verso l’Africa, l’America Latina e la Russia. Una delle grandi priorità della politica estera statunitense è assicurarsi l’accesso al petrolio del Medio Oriente. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Cina e il Giappone formano un gruppo di forti concorrenti che competono per guadagnarsi l’accesso alle risorse. La realtà dei mercati mondiali del petrolio e del gas è costituita da una combinazione di globalizzazione e rinnovato nazionalismo. I meccanismi di mercato vengono integrati dalle interferenze politiche. Il quadro internazionale del petrolio e del gas è molto complesso e dà adito a negoziazioni e compromessi. 8.1.2 Medio Oriente ed Estremo Oriente Da quando il petrolio è stato scoperto, all’inizio del 20° secolo, il Medio Oriente1 ha acquisito un’importanza strategica per le superpotenze internazionali. Si stima che le riserve petrolifere accertate in questa regione siano 702,7 miliardi di barili, vale a dire il 61% di quelle mondiali, per una popolazione di 59 milioni di persone (1% del totale mondiale). Il contributo dell’area alla produzione mondiale di energia è pari al 26% per il petrolio e al 7% per il gas (2003). L’accesso a queste risorse a buon mercato rimane un elemento vitale per il funzionamento dell’economia del pianeta. Nonostante gli sforzi di diversificazione geografica, la dipendenza dal petrolio del Medio Oriente è ancora grande e dovrebbe continuare a crescere. I ricchi paesi arabi esportatori di petrolio e gas, che appartengono al Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC, Gulf Cooperation Council),2 restano i principali fornitori di greggio. I paesi esportatori del Medio Oriente possono essere divisi in due categorie. Da un lato, le monarchie del Golfo ricche di petrolio (Kuwait ed Emirati Arabi Uniti), caratterizzate da popolazione ridotta e abbondanti risorse naturali; dall’altro lato, i paesi molto popolati e con rendite petrolifere più strettamente correlate al contesto internazionale (Iran, Iraq e, in minor misura, Siria). In mezzo a questi due gruppi si trova un paese chiave, l’Arabia Saudita, con un’enorme dotazione di risorse, ma anche con una numerosa popolazione in rapida 406 crescita. Con circa 22 milioni di abitanti, l’Arabia Saudita detiene la più grande quantità di riserve petrolifere accertate al mondo. La dimensione dei giacimenti e la loro flessibilità hanno consentito al Regno saudita di svolgere, per diversi anni, l’importante ruolo di regolatore del mercato (swing producer), facendo variare la sua produzione tra gli 8 e i 10 Mbbl/d. Nel 2003, per es., l’Arabia Saudita, con l’ausilio del Kuwait e degli Emirati Arabi Uniti, è stata in grado di compensare i ‘barili persi’ a seguito della crisi politica in Venezuela, delle rivolte sociali in Nigeria e della guerra in Iraq. La dotazione di idrocarburi dei paesi dell’Estremo Oriente (Sultanato del Brunei, Malaysia e Indonesia) è molto più modesta; nonostante le loro rendite siano più limitate, è comunque molto utile e significativo stabilire un confronto fra gli Stati esportatori del Medio Oriente e quelli dell’Estremo Oriente, poiché questi ultimi hanno sperimentato politiche diverse nella gestione della ricchezza petrolifera, in modo da sfuggire alla maledizione del petrolio. Entrate derivanti dall’esportazione di petrolio e gas Nella tab. 2 sono indicate le entrate petrolifere dei paesi mediorientali esaminati, riferite al periodo 19992003. Risulta evidente l’alta volatilità e l’elevata variazione di questi introiti. Nonostante i numerosi sforzi di diversificazione, i paesi del Medio Oriente restano estremamente dipendenti dai ricavi generati da petrolio e gas: tra il 2000 e il 2003, circa il 78% delle entrate complessive derivanti dalle esportazioni proveniva dall’export di questi idrocarburi, così come il 69% degli introiti fiscali. Le esportazioni di petrolio e gas sono anche la principale fonte dei flussi finanziari in entrata connessi a scambi con l’estero. Per es., il 75% del bilancio dell’Arabia Saudita è costituito dalle entrate petrolifere. Il più importante fattore di crescita rimane, pertanto, il prezzo del petrolio: è da esso che dipende principalmente il pareggio del bilancio corrente. Un aumento del 10% della quotazione del petrolio genera un incremento pari al 14% del PIL saudita (ESMAP, 2005). Il livello dei prezzi che consente all’Arabia Saudita di equilibrare il bilancio statale è stimato intorno ai 30 dollari/bbl. Durante il boom petrolifero degli anni Settanta, tutti i paesi produttori, specialmente quelli del Medio Oriente, beneficiarono di un flusso di rendite eccezionalmente elevato. Essi si sono trasformati in economie redditiere, ovvero «paesi che ricevono con regolarità quantità 1 Secondo la definizione della Banca Mondiale, il Medio Oriente comprende Iran, Iraq, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Siria, Emirati Arabi Uniti e Yemen. In questo lavoro, i paesi esaminati del Medio Oriente sono Arabia Saudita, Iran, Iraq, Emirati Arabi Uniti e Kuwait. 2 Il GCC comprende Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS consistenti di rendite economiche esterne da individui, imprese o governi stranieri» (Mahdavy, 1970). Il sistema delle rendite ha raggiunto attualmente i propri limiti. Le entrate dipendono dal prezzo del petrolio, che resta un elemento esogeno; in questo modo, le economie del Medio Oriente sono fortemente vulnerabili agli shock dei prezzi e ai tassi di cambio. Quanto ai paesi dell’Estremo Oriente, la loro dipendenza dal petrolio è diminuita significativamente a partire dagli anni Settanta. Le realtà economiche di Malaysia e Indonesia sono, a dire il vero, assai eterogenee. I loro settori agricoli contano rispettivamente per il 9,5% e per il 16,6% del PIL. L’Indonesia è il solo membro dell’OPEC che ha attuato con successo la sua diversificazione strategica. Tra il 1983 e il 2003, il peso delle esportazioni petrolifere sul totale delle esportazioni è sceso dal 64 al 15,5%. Questa riduzione contrasta con la struttura delle esportazioni dei paesi del Medio Oriente, dominata dai combustibili e caratterizzata da una quota molto bassa degli altri beni (fig. 1). Con 1,1 miliardi di barili di riserve petrolifere accertate, vale a dire lo 0,1% di quelle mondiali (2003), il Brunei Darussalam è il solo paese dell’Estremo Oriente largamente dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas: l’88% delle sue esportazioni complessive è costituito da questi idrocarburi ed essi contribuiscono alla formazione di circa il 40% del suo PIL. Data la mancanza di diversificazione della sua economia e la grande fiducia riposta sulle entrate volatili generate dagli idrocarburi, il Brunei ha cominciato a promuovere lo sviluppo delle esportazioni non petrolifere (e ri-esportazioni), come anche del turismo e dei servizi finanziari. Tuttavia, la principale fonte delle finanze pubbliche è l’imposta sulle società (pari a circa il 30%), che viene ancora principalmente prelevata dal settore degli idrocarburi. L’evoluzione della produzione petrolifera del Medio Oriente dipende dagli investimenti futuri; pochi sono stati quelli realizzati per incrementare la produzione, nonostante gli alti livelli raggiunti dai prezzi del petrolio. In questo modo, nel 2004, la bassa capacità produttiva inutilizzata (spare capacity) dei paesi OPEC non ha risposto adeguatamente all’incremento della domanda di petrolio, principalmente a causa della crescita economica cinese (e statunitense). Di conseguenza, si nutrono seri dubbi circa l’efficacia del futuro ruolo dell’OPEC nel mercato petrolifero. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), sono necessari ingenti investimenti al fine di soddisfare la prevista domanda mondiale di petrolio. La gran parte di essi deve essere realizzata in Medio Oriente, al fine di espandere la capacità esistente, tuttavia la decisione resta in larga misura accentrata nelle mani delle compagnie petrolifere nazionali e dei governi degli Stati della regione, poiché la maggior parte delle loro riserve petrolifere è ancora preclusa agli investimenti esteri (così è in VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI Kuwait e Arabia Saudita). Il produttore principale, l’Arabia Saudita, dichiara che gli investimenti verranno realizzati e che il Regno può facilmente aumentare la sua capacità. Tuttavia, la tecnologia e le risorse finanziarie continuano a essere i principali ostacoli agli investimenti e all’aumento della produzione. L’evoluzione della situazione irachena rappresenta un altro importante fattore della geopolitica del petrolio. Si stima che le riserve petrolifere recuperabili dell’Iraq siano pari a 115 miliardi di barili, vale a dire circa il 10% delle riserve mondiali. Ciononostante, la sua posizione nel mercato globale del petrolio (e del gas) non è così significativa come dovrebbe essere. Queste stime, infatti, non considerano che solo il 10% del territorio è stato esplorato. La valutazione delle riserve è stata compiuta negli anni Sessanta, in un momento in cui i tassi di recupero erano molto bassi. In più, la produzione petrolifera dell’Iraq proviene solo dal 20% dei giacimenti scoperti. Per queste ragioni,3 l’Institut Français du Pétrole (IFP) stima che le riserve non scoperte dell’Iraq si aggirino intorno ai 100-150 miliardi di barili, il che equivale, almeno, alle riserve correnti. Come ben noto, questo paese è passato attraverso due decenni di guerre e un decennio di sanzioni. Ha bisogno di ingenti investimenti per recuperare la sua capacità produttiva e per sviluppare e modernizzare i giacimenti esistenti. La condizione di instabilità non incoraggia gli investimenti. Anche gli sviluppi della produzione in mare aperto rappresentano un’alternativa importante per il futuro petrolifero del Medio Oriente e dell’Estremo Oriente. Per es., nonostante le riserve della Malaysia siano diminuite a partire dal 1996, la produzione è in aumento dal 2002, grazie ai nuovi sviluppi nell’offshore. Questa situazione può rappresentare uno scenario positivo per la produzione in queste aree. L’utilizzo dei ricavi generati da petrolio e gas e il loro impatto sull’economia Come precedentemente affermato, le entrate provenienti dal petrolio e dal gas rappresentano la principale risorsa finanziaria del governo e dei bilanci statali. Queste risorse spesso transitano nelle mani delle compagnie petrolifere nazionali (NOC, National Oil Company). Nel Medio ed Estremo Oriente, vengono generalmente amministrate con un forte spirito nazionalista. In queste regioni, gli Stati hanno creato le proprie compagnie a seguito di pressioni nazionali volte a ottenere il controllo pubblico dello sfruttamento delle risorse. Esempi di tal genere se ne trovano pressoché ovunque nell’area mediorientale: la National Iranian Oil Company (NIOC, creata negli 3 Secondo l’IFP, la densità dei giacimenti scoperti per unità di superficie è molto bassa in Iraq, rispetto agli altri paesi del Golfo: 1 giacimento in Iraq contro 2 per i paesi vicini su una superficie di 4.000 Km2 (3 per Kuwait ed Emirati Arabi Uniti). 407 600 70 500 60 40 300 30 200 20 100 2003 2001 1999 1997 1995 1993 1991 1989 1987 1985 1983 1981 1979 1977 1975 10 1973 0 dollari/bbl 50 400 1971 fig. 2. Evoluzione delle entrate petrolifere OPEC dal 1971 (DOE, 1971-2003). 109 dollari costanti 2004 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI 0 entrate nette da esportazioni petrolifere (109 dollari costanti 2004) prezzi del greggio (paniere OPEC) in dollari costanti 2004 (calcolati secondo il deflatore del PIL) anni Cinquanta), l’Iraq National Oil Company (INOC, nata nel 1965), la Kuwait National Petroleum Company (KNPC, del 1960) e la Saudi Aramco (del 1988).4 Anche i paesi dell’Estremo Oriente hanno compagnie petrolifere nazionali, ma essi hanno aperto il loro settore petrolifero e quello del gas agli investitori internazionali, in maniera molto più significativa. Molte sono le società estere coinvolte nella produzione petrolifera della Malaysia e dell’Indonesia. La prima ha creato, nel 1974, la sua compagnia nazionale del petrolio e del gas, Petronas, che ha sede negli edifici più alti del mondo (le Petronas Twin Towers); la seconda ha dato vita alla sua impresa di Stato, Petramina, nel 1957. L’industria petrolifera del Brunei è completamente dominata dalla Brunei Shell Petroleum (BSP), una joint-venture paritetica tra la Royal Dutch/Shell e il governo del Brunei. Dal 2002, il settore è aperto ad altre imprese petrolifere. Dopo le due crisi petrolifere, le risorse finanziarie dei paesi ricchi di petrolio hanno oscillato, seguendo l’andamento dei prezzi internazionali. Nel 1974, i ricavi complessivi dei paesi OPEC ammontavano a 388 miliardi di dollari; diminuirono poi dai 556 miliardi del 1980 fino ai 121 del 1998 per poi raggiungere i 338 miliardi nel 20045 (fig. 2). Durante i periodi di boom petrolifero, il Governo saudita ha accantonato parte delle entrate sotto forma di riserve all’estero (i petro-dollari) e ha realizzato una serie di investimenti nell’economia interna (infrastrutture materiali e spese scolastiche e sanitarie). Gli Stati del Medio Oriente hanno anche aperto la loro economia ai beni importati, ai lavoratori stranieri e alle compagnie internazionali, con l’eccezione dei settori del petrolio e del gas. Alcuni osservatori hanno identificato un ‘effetto Babbo Natale’ negli Stati percettori di rendite, come l’Arabia Saudita e il Kuwait: i governi diventano molto generosi 408 e forniscono alla popolazione beni sociali (istruzione, sanità, acqua ed elettricità) per mantenere la pace politica e sociale; essi investono anche in maniera massiccia nella forza lavoro del settore pubblico. Le retribuzioni e i salari rappresentano in media il 16% circa delle spese statali. In Arabia Saudita, l’amministrazione è considerata come «il più importante datore di lavoro»; gli impieghi nel settore privato sono, quindi, spesso lasciati alla manodopera straniera (Auty, 2001). Ovviamente, quando le entrate petrolifere precipitano, la capacità di mantenere i contributi sociali e le spettanze si riduce drasticamente e la necessità di un riorientamento della politica diventa una priorità. Quando le entrate tornano ad aumentare, le agevolazioni e i tratti distintivi propri dello Stato redditiero si ripresentano e le dolorose riforme economiche vengono posticipate. Durante i ‘tempi duri’, il Governo saudita è stato costretto a ricorrere massicciamente al prestito di creditori nazionali e, in questo modo, ha accumulato negli anni un debito pubblico interno di 170 miliardi di dollari, vale a dire oltre il 92% del suo PIL, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI) al 2002. Questo enorme debito è un onere che limita chiaramente la capacità del Regno di realizzare riforme economiche espansive. Inoltre, le spese militari e per la sicurezza rappresentano un ulteriore pesante onere per questi paesi: l’11,3% e l’11,2% del PIL rispettivamente di Arabia Saudita e Kuwait (2002). L’economia irachena, per es., ha subito una modifica strutturale negli anni Ottanta a causa 4 Nel 1980, il governo saudita ha acquisito il pieno controllo di Aramco. Nel 1988, la compagnia ha cambiato il suo nome da Arabian American Oil Company a Saudi Arabian Oil Company (Saudi Aramco). 5 Secondo le stime dell’AIE. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS della Guerra Iran-Iraq. Il settore militare impiegava il 3% circa della popolazione nel 1975, ma ne assorbiva il 21% nel 1988, alla fine della guerra. Nel periodo 198188, le spese militari sono state complessivamente pari a 120 miliardi di dollari, vale a dire il 256% delle entrate petrolifere di quello stesso periodo, 46,7 miliardi di dollari (Alnasrawi, 2002). Queste spese hanno un impatto evidentemente negativo sulla crescita economica. Riducono il potenziale di investimento interno e bloccano lo sviluppo dell’economia reale. Inoltre, in questa regione, la necessità di investimenti in infrastrutture energetiche è enorme, specie se si considera che il consumo di energia pro capite è uno dei più alti al mondo. Per es., gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait detengono il primato in termini di consumo di energia pro capite: rispettivamente 9,6 e 9,5 tep (tonnellate di petrolio equivalente) pro capite (2002), rispetto alle 8 tep degli Stati Uniti, alle 4 dell’Europa occidentale e all’1 della Cina (World Bank, 2004). Il potenziale di crescita di questi paesi è tuttavia elevatissimo, se si considera l’ammontare delle loro rendite da petrolio e gas. Sfortunatamente, solo 3 Stati (Brunei, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti) sugli 8 esaminati (in Medio Oriente ed Estremo Oriente) figurano nel gruppo di quelli che hanno un alto sviluppo umano, secondo la classifica elaborata dalle Nazioni Unite (tab. 3). In realtà, il PIL pro capite del Medio Oriente sta diminuendo dagli anni Ottanta, fatto questo largamente attribuibile alla maledizione del petrolio (fig. 3). Numerosi studi empirici confermano che il modello di crescita degli Stati del Medio Oriente non soddisfa le condizioni necessarie per uno sviluppo sostenibile nel lungo termine. A partire dal 1980, il rapporto tra investimenti diretti esteri lordi e PIL è stato molto basso e non è mai realmente migliorato (Gylfason, 2001). Inoltre, la dipendenza dalle esportazioni primarie ha un impatto negativo sulla crescita di lungo periodo, in ragione dell’alta volatilità dei prezzi delle materie prime. Poche sono le 50.000 45.000 dollari costanti 2000 fig. 3. PIL pro capite dal 1981 (World Bank, 2004). attività commerciali non-oil competitive. Per es., l’agricoltura è stata spesso trascurata, tranne che in Iran, dove rappresenta l’11% del PIL. Kuwait, Qatar e Brunei non possiedono risorse diverse dagli idrocarburi: non c’è agricoltura, non c’è acqua e non c’è industria. Questi Stati sono anche estremamente dipendenti dalla forza lavoro straniera qualificata e non. La loro unica alternativa è investire le rendite petrolifere in attività di altro genere, al fine di creare nuovi tipi di entrata per le generazioni future (così è in Kuwait). I paesi mediorientali, l’Arabia Saudita in particolare, non hanno neanche adottato un sistema di tassazione efficiente; nella maggior parte dei casi, essi dipendono ancora dal settore degli idrocarburi per più dell’80% delle loro entrate. Inoltre, anche se essi hanno alti tassi di investimento rispetto agli standard internazionali, sono caratterizzati da un basso rapporto investimento privato-investimento pubblico. Questo è il riflesso di un’insufficiente destinazione dei risparmi verso gli investimenti, in ragione della debolezza dell’ambiente finanziario ed economico e dell’inefficienza degli investimenti stessi, nel senso di ridotta crescita della produttività (Salai-Martin e Artadi, 2003). In realtà, il preponderante ruolo del settore pubblico introduce distorsioni nei mercati dei prodotti e dei fattori produttivi: contribuisce a determinare diseconomie nonché una cattiva allocazione delle risorse. Di conseguenza, lo sviluppo del settore privato è stato sacrificato e spesso direttamente limitato dal settore pubblico. Per quanto riguarda gli indicatori sociali, i livelli di povertà sono sostanzialmente più bassi che in altri paesi con livelli di reddito simili, in ragione del sistema coesivo adottato dai governi. Ciononostante, tutti gli Stati del Medio Oriente devono confrontarsi con elevati tassi di crescita della popolazione (uno dei più alti al mondo). Tra il 1960 e il 2003, il tasso medio di crescita della popolazione è stato dell’8,5% per gli Emirati Arabi Uniti e del 4,8% per il Kuwait. L’incremento demografico dell’Arabia Saudita ha oltrepassato di molto la crescita della 40.000 35.000 30.000 25.000 20.000 15.000 10.000 Indonesia VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI Iran Kuwait Malaysia Arabia Saudita 2003 2001 1999 1997 1995 1993 1991 1989 1987 1985 1983 0 1981 5.000 Emirati Arabi Uniti 409 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI 45 fig. 4. Rapporto tra la popolazione e le riserve petrolifere nel 1983 e nel 2003 (BP, 2004; World Bank, 2004). 40 1983 35 2003 103 bbl 30 25 20 15 10 sua economia e il rapporto tra riserve petrolifere e popolazione è sceso da 16.000 barili nel 1983 a 11.000 nel 2003 (fig. 4). Il Regno saudita necessita di una robusta crescita economica per sostenere una popolazione giovane e in aumento (più della metà della popolazione ha meno di 25 anni). Sia il considerevolmente elevato tasso di fertilità (5,3 nascite per ogni donna), sia l’aumento della popolazione avranno certamente conseguenze radicali sul mercato del lavoro e sul sistema scolastico, così come sull’entità dei sussidi elargibili in futuro. Quanto agli Stati dell’Estremo Oriente, notavamo prima che la Malaysia è uno dei pochi che è sfuggito alla maledizione delle risorse e ha raggiunto un vero successo economico. La Federazione della Malaysia ha diversificato la sua economia passando da commodities a bassa crescita a quelle a crescita elevata. È importante per prima cosa notare che la struttura del PIL del paese è in parte attribuibile alla sua dotazione naturale, molto più diversificata rispetto a quella delle economie del Medio Oriente. Molto prima di scoprire il petrolio negli anni Settanta e il Gas Naturale Liquefatto (GNL) negli anni Ottanta, lo stagno, la gomma, l’olio di palma e il legname procuravano all’economia della Malaysia un ingente flusso di rendite. La struttura diversificata delle esportazioni primarie ha aiutato ad attenuare l’impatto delle variazioni del prezzo delle materie prime nel corso del tempo. La Malaysia ha raggiunto una crescita economica sostenibile utilizzando differenti canali. Al fine di ridurre l’impatto negativo delle entrate volatili delle esportazioni, il governo ha favorito lo sviluppo di un processo d’industrializzazione ad alta intensità di lavoro, che ha creato occupazione nelle aree rurali e ha prodotto una crescita sostenuta. La Federazione malese ha anche investito pesantemente nello sviluppo delle risorse umane e ha maturato una sorprendente capacità 410 Brasile Colombia Indonesia Egitto Malaysia Nigeria Angola Algeria Messico Iran Venezuela Iraq Libia Brunei Arabia Saudita EAU 0 Kuwait 5 di gestire gli shock derivanti dall’instabilità dei prezzi delle esportazioni. Durante la crisi petrolifera del 1985, il governo ha drasticamente ridotto la spesa pubblica, ha adottato una politica di privatizzazione e ha liberalizzato gli investimenti diretti esteri. Elevati tassi di investimento e alti risparmi sono stati altri elementi cruciali per la crescita; a questi si sono aggiunti, negli anni Novanta, flussi di capitali provenienti dall’estero (Mahani, 2001). Caratteristiche del sistema di governo Il Medio Oriente è stato per lungo tempo teatro di scontri per il controllo delle risorse ed è stato esposto a numerosi conflitti intraregionali e interni, così come a divisioni etniche e religiose. È una delle regioni più militarizzate del mondo e molte contese hanno spesso la loro origine nell’accesso al petrolio. Gli indicatori di governo6 interno sono molto deboli. L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iran e 6 Gli indicatori di governo, misurati dalla Banca Mondiale su una scala compresa tra ⫺2,5 (peggior sistema di governo) e ⫹2,5 (miglior sistema di governo), sono i seguenti: PS, Political Stability and absence of violence (Stabilità politica e assenza di violenza), è un indice che combina diversi indicatori che misurano le percezioni circa la probabilità che il governo in carica verrà destabilizzato o destituito con mezzi incostituzionali e/o violenti, che includono violenza interna e terrorismo; V&A, Voice and Accountability (Libertà di espressione e responsabilità), comprende una serie di indicatori che misurano vari aspetti del processo politico, le libertà civili, i diritti politici e umani, e valuta quindi in che misura i cittadini di un paese sono capaci di partecipare nella selezione dei governi; CC, Control of Corruption (Controllo della corruzione), è una misura dell’estensione della corruzione, convenzionalmente definita come esercizio del potere pubblico per promuovere interessi privati. È basata sui punteggi delle variabili estrapolate da sondaggi di esperti e indagini; GE, Government ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS l’Iraq sono classificati dalla Freedom House come Stati non liberi dal punto di vista politico (tab. 4). Essi hanno regimi repressivi, con un alto grado di autoritarismo; molti governi sono considerati ‘autocrazie paternalistiche’, perché in origine avevano basato la loro legittimità sull’autorità tradizionale e religiosa e l’hanno mantenuta grazie alla distribuzione della rendita. La ricchezza petrolifera è usata per finanziare programmi sociali finalizzati a sedare pressioni democratiche e a prevenire la formazione di gruppi sociali indipendenti dallo Stato (Ross, 2001; IMF, 2004). Le elezioni pluralistiche sono pressoché inesistenti nella regione e, in diversi casi, la scena politica è stata per lungo tempo dominata dalla presenza di un solo uomo dotato di comando e potere. Saddam Hussein era arrivato al governo dell’Iraq nel 1979; Bashar al-Assad, Presidente della Siria, è succeduto al padre nel 2000, dopo che questi aveva esercitato il suo potere per 30 anni; le monarchie del Golfo sono ereditarie da quando hanno guadagnato la loro indipendenza (per es., la famiglia al-Saud in Arabia Saudita). È superfluo dire che le donne non possono ancora godere del diritto di voto in diversi paesi del Golfo. Questi Stati soffrono anche di istituzioni politiche sottosviluppate. Dato che il governo è sollevato dalla pressione fiscale, non è incentivato a promuovere la protezione dei diritti di proprietà in modo da creare ricchezza petrolifera. Siccome le rendite derivanti dal petrolio vengono assegnate dallo Stato e non sono il risultato di uno sforzo umano, la necessità di sviluppare istituzioni politiche efficaci è ridotta (Birdsall e Subramanian, 2004). La vita economica dei paesi del Medio Oriente è invece dominata da farraginose procedure burocratiche e da regole non chiare. Come mostra l’indice di percezione della corruzione, pubblicato in rete da Transparency International (TI) nel 2004, la ricchezza petrolifera si dimostra un terreno fertile per la corruzione: in un’indagine condotta su 146 paesi (dove il 146° era il più corrotto), l’Arabia Saudita è classificata al 71° posto, l’Iran all’87°, Effectiveness (Efficacia governativa), combina le risposte relative alla qualità della fornitura del servizio pubblico, alla burocrazia, alla competenza dei funzionari di Stato, all’indipendenza del servizio pubblico/funzionari pubblici dalle pressioni politiche, e alla credibilità degli impegni del governo riguardo alle politiche adottate; RQ, Regulatory Quality (Qualità della regolazione), si focalizza invece maggiormente sulle politiche stesse e include misure delle incidenze di politiche ostili al meccanismo di mercato come i controlli sui prezzi o inadeguate supervisioni sul sistema bancario, così come le percezioni degli oneri imposti da un’eccessiva regolazione in ambiti quali il commercio estero e lo sviluppo delle attività; RL, Rule of Law (Dominio della legge), include diversi indicatori che misurano quanta fiducia ripongono i cittadini nelle regole della società e in che misura le rispettano. Questi indici comprendono percezioni dell’incidenza del crimine, l’efficacia e la prevedibilità del sistema giudiziario, e la capacità di rendere operativi/di far rispettare i contratti. VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI l’Iraq al 129° e l’Indonesia al 133°. Tuttavia, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Malaysia possono vantare indicatori positivi in termini di qualità delle istituzioni. Il Medio Oriente è un mosaico etnico: la maggioranza della popolazione è sunnita; gli sciiti sono presenti in Iran, Iraq, Bahrain e Libano; i wahabiti in Arabia Saudita; gli alauiti in Siria; i drusi in Libano e Siria; i cristiani in Libano, Egitto, Siria, Palestina e Iraq. Questa diversità rappresenta una grande difficoltà per la gestione della regione; i conflitti tra gruppi e minoranze sono diffusi dappertutto. Oltre alla permanente lotta per il potere tra sunniti e sciiti, i popoli curdi e palestinesi sono stati oppressi da molti regimi (i Curdi in Siria, Iraq, Turchia e Iran), oltre che confinati nei numerosi campi profughi disseminati per il Medio Oriente, privati per molti anni di rappresentanza politica (Charillon, 2003). In questa sede, è interessante riflettere sulla diversità etnica della Malaysia e sul modo in cui è stata gestita dalle autorità. Di fatto, questo Stato è riuscito a gestire i conflitti etnici con successo. Dopo l’indipendenza, nel 1957, la presenza di numerose etnie rifletteva l’esistenza di diverse attività economiche e di livelli di reddito eterogenei: i Bumiputeras (55% della popolazione) avevano un basso livello di reddito, vivevano nelle zone rurali e lavoravano nell’agricoltura e nel settore pubblico; i Cinesi (33%) vivevano nelle aree urbane ed erano dediti al commercio e allo scambio; gli Indiani (10%) erano impiegati principalmente nelle piantagioni per la produzione di caucciù e facevano parte della categoria con il più basso livello di reddito. Di conseguenza, questi gruppi etnici erano distinti per razza, cultura, religione, stato sociale, localizzazione geografica e livello di istruzione. La percentuale di poveri era considerevolmente più alta tra i Malesi che non fra i Cinesi. Dopo l’insurrezione razziale del 1969, il governo implementò una serie di politiche volte a contrastare la discriminazione nei confronti dei Malesi e annunciò l’avvio della Nuova Politica Economica (NEP). I suoi scopi erano: eliminare la povertà e migliorare le condizioni sociali dei Malesi, accordando loro un trattamento privilegiato per venti anni. Durante questo periodo, la Malaysia conobbe una rapida crescita economica, ridusse significativamente il livello di povertà e riuscì a dotarsi di un settore pubblico dinamico. Alcuni Stati del Medio Oriente sono ancora estranei alle dinamiche della globalizzazione. L’ Indice di Libertà Economica (EFW, Economic Freedom of the World index) misurato dal Fraser Institut (tab. 4) mostra che l’Iran resta un paese estremamente chiuso. A partire dalla Rivoluzione del 1979, la Repubblica Islamica dell’Iran è rimasta al margine dei processi di globalizzazione, in parte a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, nel 1996, con la Legge D’Amato-Kennedy. Lo Stato è diviso tra moderati e conservatori; questi ultimi ancora controllano le istituzioni governative e quelle preposte alla difesa. Svariate dispute sui confini oppongono l’Iran agli 411 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI tab. 4. Indicatori di governo Indice di percezione della corruzione TI2 Classifi2004 Indice cazione EFW1 2002 Paesi Indice per paese della libertà nel mondo3 2003 DP LC Indicatori di governo 2004 Status PS V&A CC GE RQ RL NL NL PL NL NL NL PL PL ⫺0,91 ⫺2,87 ⫹0,29 ⫺0,60 ⫹0,91 ⫹1,06 ⫺1,38 ⫹0,38 ⫺1,36 ⫺1,71 ⫺0,48 ⫺1,63 ⫺1,01 ⫺1,11 ⫺0,44 ⫺0,36 ⫺0,59 ⫺1,45 ⫹0,71 ⫹0,15 ⫹1,23 ⫹0,23 ⫺0,90 ⫹0,29 ⫺0,66 ⫺1,51 ⫹0,55 ⫺0,06 ⫹1,20 ⫹0,73 ⫺0,36 ⫹0,99 ⫺1,33 ⫺1,79 ⫹0,10 ⫺0,34 ⫹0,95 ⫹1,08 ⫺0,42 ⫹0,44 ⫺0,77 ⫺1,57 ⫹0,65 ⫹0,75 ⫹0,78 ⫹0,71 ⫺0,36 ⫹0,85 NL NL NL NL NL NL PL ⫺1,42 ⫺0,72 ⫺0,02 ⫺0,95 ⫺1,20 ⫺0,30 ⫺1,78 ⫺0,91 ⫺1,04 ⫺1,79 ⫺1,02 ⫺1,09 ⫺1,71 ⫺0,65 ⫺0,49 ⫺0,21 ⫺0,91 ⫺1,12 ⫺1,14 ⫺1,65 ⫺1,11 ⫺0,46 ⫺0,20 ⫺0,73 ⫺1,14 ⫺1,29 ⫺1,40 ⫺1,02 ⫺0,93 ⫺0,58 ⫺1,52 ⫺1,40 ⫺0,84 ⫺0,78 ⫺1,26 ⫺0,62 ⫹0,23 ⫺1,00 ⫺1,33 ⫺1,15 ⫺1,05 ⫺1,44 PL L PL L PL ⫺0,65 ⫺0,13 ⫺1,69 ⫺0,13 ⫺1,10 ⫺0,01 ⫹0,34 ⫺0,47 ⫹0,36 ⫺0,46 ⫺0,78 ⫺0,15 ⫺0,16 ⫺0,27 ⫺0,94 ⫺0,63 ⫹0,02 ⫺0,18 ⫺0,02 ⫺0,96 ⫹0,05 ⫹0,19 ⫺0,12 ⫹0,55 ⫺1,24 ⫺0,66 ⫺0,26 ⫺0,46 ⫺0,12 ⫺0,66 Medio Oriente ed Estremo Oriente Iran Iraq Kuwait Arabia Saudita EAU Brunei Indonesia Malaysia 78 – 18 – 16 – 86 58 6 – 7,4 – 7,5 – 5,8 6,5 2,9 2,1 4,6 3,4 6,1 – 2,0 5,0 6 7 4 7 6 6 3 5 6 5 5 7 6 5 4 4 Africa Algeria Egitto Libia Angola Ciad Guinea Eq. Nigeria 118 74 – – 103 – – 4,6 6,2 – – 5,4 – – 2,7 3,2 2,5 2,0 1,7 – 1,6 6 6 7 6 6 7 4 5 6 7 5 5 6 4 America Latina Bolivia Brasile Colombia Messico Venezuela 1 2 3 58 74 – 58 118 6,5 6,2 – 6,5 4,6 2,2 3,9 3,8 3,6 2,3 3 2 4 2 3 L’indice misura il grado di libertà economica in cinque grandi aree/ambiti (peso dello Stato: consumi pubblici, tasse e iniziative economiche; sistema legale e tutela dei diritti di proprietà; accesso a un sistema monetario stabile; libertà del commercio internazionale; regolamentazione del credito, del lavoro, delle attività economiche), secondo una scala 0-10 (dall’assenza di libertà alla massima libertà economica), http://www.freetheworld.com/2004/efw2004ch1.pdf Voto/Punteggio collegato al grado di corruzione percepito da uomini di affari ed esperti nazionali/analisti di rischio paese e varia da 10 (assenza di corruzione) e 0 (massima corruzione), http://www.transparency.org/cpi/2004/cpi2004.en.html#cpi2004 I diritti politici (DP) e le libertà civili (LC) sono misurati in base a una scala 1-7, dove 1 rappresenta il massimo grado di libertà e 7 il minimo. Gli status risultanti sono ‘L’, ‘PL’, e ‘NL’, che corrispondono rispettivamente a ‘Libero’, ‘Parzialmente Libero’ e ‘Non Libero’, http://freedomhouse.org/ratings/allscore04.xls Stati del Golfo, specialmente agli Emirati Arabi Uniti, per quanto riguarda l’Isola di Abu Musa, e ovviamente all’Iraq, con il lungo strascico di ricordi e il prolungato impatto economico della Guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta. Questi aspetti sono ancora più importanti se si considera il forte peso strategico dell’Iran nella regione: esso è situato tra il Caspio, l’Asia centrale e i paesi del Golfo. Il suo isolamento viene ulteriormente rafforzato dalla questione nucleare e dal rifiuto del paese di trovare un compromesso con le superpotenze. Per quanto riguarda la politica estera del Medio Oriente, la regione ha sopportato numerose guerre: quelle tra 412 3 3 4 2 4 Arabi e Israeliani, i conflitti iracheni (Iran-Iraq durante gli anni Ottanta, la Guerra del Golfo) e la Guerra libanese tra il 1975 e il 1990, in parte provocata dalle intromissioni della Siria e d’Israele. Queste guerre, anche se inizialmente non si sono svolte nei territori di produzione del greggio, hanno esercitato una grande influenza sulla geopolitica del petrolio della regione, per via delle dinamiche legate al transito dell’energia. Il conflitto tra Israeliani e Palestinesi continua a essere dalla metà del 20° secolo una notevole fonte di instabilità per tutta l’area. Iran e Iraq, prima del 2003, costituivano la minaccia maggiore per Israele. Di fatto, ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS questo conflitto ha opposto numerosi paesi arabi a Israele. Nel 1973, l’Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio (OAPEC, Organization of Arab Petroleum Exporting Countries) ha usato il suo petrolio per scopi politici, bloccando le esportazioni verso Stati Uniti e Paesi Bassi, colpevoli di aver esplicitamente fornito sostegno a Israele. La ricchezza petrolifera del Medio Oriente e la crescente dipendenza energetica degli Stati Uniti hanno spinto l’Amministrazione statunitense ad assumere un ruolo importante nella regione, già all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando fu stipulato un accordo tra il Presidente Roosvelt e il Re Ibn Saud. Da quel momento in poi, l’Arabia Saudita ha potuto affidarsi agli Stati Uniti per garantire la propria sicurezza e la propria difesa da minacce esterne, come quelle rappresentate da Iran, Iraq e, in misura minore, Egitto (i tre principali rivali politici in termini di influenza regionale). La guerra del Golfo, con l’operazione Desert storm nel 1990-91, le successive sanzioni imposte all’Iraq e l’intervento militare statunitense, nel 2003, hanno mostrato l’importanza e la priorità accordata dagli Stati Uniti alla sicurezza del loro approvvigionamento energetico nella regione. L’accesso al petrolio è una questione di sicurezza nazionale da quando l’economia e le forze militari statunitensi dipendono pesantemente dai flussi di questa risorsa. Gli attacchi dell’11 settembre 2001 hanno tuttavia indebolito le relazioni tra Sauditi e Statunitensi e la popolazione saudita contesta la presenza militare degli Stati Uniti nel paese; 15 dei 19 dirottatori erano Sauditi. In tutta la regione, il risentimento contro gli Stati Uniti è crescente. Tuttavia, il sogno di Washington è quello di dare nuova forma al Medio Oriente e di stimolare la democratizzazione nella regione, cominciando dall’Iraq, sospettato di possedere armi di distruzione di massa «pronte per l’uso in 45 minuti». L’intervento in Iraq riflette una nuova strategia della politica estera dell’Amministrazione Bush, elaborata dopo gli attacchi dell’11 settembre. Per gli Stati Uniti, l’imposizione della democrazia è l’antidoto migliore contro l’estremismo e il terrorismo islamici. Tuttavia, nonostante alcuni episodi di riappacificazione verificatisi nel 2005, vale a dire le prime elezioni democratiche della storia irachena vinte da un Presidente curdo e il ritiro della Siria dal Libano, la democratizzazione dell’intera regione rimane altamente improbabile. 8.1.3 Africa: la maledizione del petrolio con un raggio di luce Con il 13,4% della popolazione mondiale, ossia 836 milioni di persone, l’Africa conta solo per il 3% del consumo mondiale di energia primaria. Il suo contributo alla VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI produzione mondiale di energia è pari all’11% per il petrolio e al 5% per il gas naturale. Al di là di questi dati, il peso dell’Africa è in aumento e la sua partecipazione all’offerta globale di petrolio sta diventando fortemente strategica. Per quanto concerne petrolio e gas, i paesi africani sono divisi in due grandi categorie: i paesi esportatori e quelli che importano il loro petrolio. Nella prima categoria figurano pochi paesi chiave, quali Nigeria (2,9 Mbbl/d), Algeria (2,1 Mbbl/d) e Libia (1,9 Mbbl/d), che sono pure tre importanti membri dell’OPEC. Anche l’Angola (1,2 Mbbl/d) appartiene a questa categoria, così come l’Egitto, la Guinea Equatoriale e paesi petroliferi emergenti quali Sudan, Ciad, São Tomé e Principe. Nella seconda categoria rientra il Sudafrica, che vanta importanti risorse di carbone, ma non ha una significativa produzione di petrolio; appartiene sempre a questo gruppo un certo numero di Stati poveri, totalmente dipendenti dalle importazioni petrolifere. Per questi ultimi paesi, quando il petrolio è particolarmente caro, le importazioni petrolifere diventano un onere finanziario che ne inficia drammaticamente la crescita e le attività economiche. Per quanto riguarda i paesi esportatori, tutti presentano la maledizione del petrolio; nella maggioranza dei casi, la ricchezza petrolifera è un ostacolo allo sviluppo economico. Le scoperte di petrolio hanno esacerbato la povertà, istigato guerre e alimentato la corruzione senza fare eccezioni. Tuttavia, un’iniziativa internazionale volta a sviluppare il petrolio in Ciad, uno dei paesi africani più poveri, alimenta le speranze per un possibile utilizzo degli introiti petroliferi per lo sviluppo economico. Valore delle esportazioni di petrolio e gas Solo pochi paesi africani sono tradizionalmente dei produttori di petrolio. Molti altri hanno preso parte a questo tipo di produzione solo per effetto di una rapida crescita delle attività che sfruttano le risorse africane, cominciata nel 1990. Diverse ragioni spiegano questa corsa al petrolio africano. Gli Stati Uniti stanno diventando sempre più dipendenti dalle importazioni petrolifere, che rappresentano più del 50% del loro consumo interno. Essi mirano pertanto a diversificare le loro fonti di approvvigionamento, al fine di ridurre la dipendenza dal Medio Oriente. Il greggio africano, inoltre, è leggero e a basso contenuto di zolfo, pertanto si adatta bene alla domanda statunitense di benzina e distillati medi. Un’altra importante ragione è il significativo progresso realizzato nella tecnologia d’esplorazione e produzione offshore a grandi profondità: le compagnie sono in grado di produrre fino a 2.000 metri di profondità. L’estrazione in mare aperto riduce il rischio paese, in quanto non c’è presenza umana nei pressi dei giacimenti e dei terminali d’esportazione. Dal 1990, le società petrolifere si sono impegnate a fondo per ottenere le licenze per svolgere attività 413 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI d’esplorazione petrolifera e sfruttare nuovi giacimenti. Le major del petrolio competono con piccole società indipendenti e anche con le compagnie di Stato dei paesi emergenti. Fra quest’ultime quelle cinesi e indiane stanno cercando risorse petrolifere in tutto il mondo in maniera particolarmente aggressiva. Tutti questi elementi riflettono il crescente interesse per il petrolio dell’Africa. Per i paesi africani esportatori di petrolio e gas, le risorse finanziarie generate dalle esportazioni rappresentano tra il 70 e l’85% delle entrate fiscali complessive e tra il 20 e il 35% del PIL. In Ciad, l’avvio della produzione petrolifera ha fatto raddoppiare il bilancio dello Stato. È tuttavia interessante notare che la percentuale dei profitti dei governi varia da paese a paese: va dal 28% (nel caso dello specifico progetto di sviluppo petrolifero in Ciad) all’80% della Nigeria. L’evoluzione attesa della produzione e delle esportazioni differisce da uno Stato all’altro. Alcuni affrontano, al momento, un declino della produzione e delle riserve: Gabon, Congo e Cameron. Il Gabon è uscito dall’OPEC nel 1995. La maggior parte degli altri paesi è molto promettente, specialmente per quanto riguarda la produzione offshore a grandi profondità nel Golfo della Guinea. Esistono numerose altre aree che potrebbero essere interessanti, ma non vi è stata realizzata alcuna attività esplorativa. La produzione di petrolio dell’Africa potrebbe raggiungere i 15 Mbbl/d nel 2010, contro i 10,5 del 2005. Tuttavia, l’evoluzione della produzione dipende in primis dall’ammontare degli investimenti che verrà deciso e anche dalle nuove scoperte rese possibili dal progresso tecnologico. In Africa, gli investimenti petroliferi sono realizzati, generalmente, dalle compagnie internazionali; le loro decisioni dipendono dal regime fiscale e anche dall’atteggiamento complessivo dei governi nei confronti degli investimenti diretti esteri. La maggior parte dei paesi dell’Africa subsahariana li accetta di buon grado. Nel Nord Africa, Libia, Algeria ed Egitto vi è stata un’apertura nei confronti degli investitori internazionali, anche se il loro ruolo rimane sotto controllo. L’Algeria ha proposto jointventures tra la propria compagnia di Stato, Sonatrach, e una o più compagnie internazionali: i partner si ripartiscono i costi di produzione ed esplorazione proporzionalmente alla loro quota di partecipazione al capitale azionario; se l’esplorazione ha successo, la produzione petrolifera viene ripartita secondo le stesse proporzioni. Nonostante queste aperture, i rapporti tra società estere e imprese petrolifere nazionali sono spesso ostacolati da burocrazia e ritardi. Le diverse strategie d’utilizzo dei ricavi generati da petrolio e gas Da nessuna parte in Africa le entrate petrolifere sono state usate per promuovere lo sviluppo economico. Le bilance commerciali dimostrano che i paesi esportatori 414 di petrolio non sono in grado di esportare alcun altro bene. Gli indicatori sociali e di sviluppo sono deboli ovunque (tab. 3). La Nigeria incarna uno dei massimi esempi di maledizione del petrolio. In questo paese sono stati lanciati diversi piani di sviluppo economico, che hanno rapidamente perso consistenza a fronte della diminuzione del prezzo del greggio. La percentuale di popolazione che vive in povertà è aumentata dal 28% del 1980 al 66% del 1996; nello stesso periodo, il reddito medio pro capite è sceso da 800 a 300 dollari. Più del 91% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno. Un bambino su 5 muore prima dei 5 anni; più di 4 milioni di persone sono infette dal virus dell’HIV e 11 milioni di bambini in età scolare non frequentano la scuola. La diseguale distribuzione degli introiti petroliferi è la principale ragione dei tumulti sociali della regione del delta del fiume Niger e del verificarsi di furti di greggio e prodotti petroliferi. Secondo alcune stime, i contrabbandieri sottraggono circa il 10% della produzione petrolifera annuale: un’attività criminale dal valore di 30 miliardi di dollari (2004). Il petrolio viene venduto all’estero e i profitti hanno finanziato la creazione nella regione di una milizia privata ben armata. In Algeria, subito dopo l’indipendenza (1962), la produzione di petrolio era ancora nelle mani delle compagnie francesi. Gli Algerini crearono Sonatrach nel 1963 e l’industria petrolifera venne nazionalizzata nel 1971. A quel tempo, le industrie del petrolio e del gas venivano considerate strategiche: ci si attendeva che innescassero un effettivo processo di sviluppo economico; si prevedeva che l’accesso al petrolio e gas nazionali e a buon mercato incoraggiasse i settori funzionali all’industrializzazione del paese: acciaio, attrezzature, macchinari, petrolchimica (Destanne de Bernis, 1971). Il modello fu un completo fallimento e le grandi compagnie industriali di Stato ottennero risultati negativi. Gli introiti petroliferi venivano destinati ai sussidi, alle spese sociali e alle infrastrutture; parte della rendita petrolifera veniva sempre più assorbita dalle élite militari dominanti. La diseguale distribuzione della rendita petrolifera è uno dei problemi di fondo dei paesi ricchi di petrolio. È la principale questione politica che la classe dominante deve affrontare. Le spese sociali sono il prezzo che si deve pagare per comprare la pace sociale. Mantenere bassi i prezzi di carburanti, cherosene, butano ed elettricità è una strada semplice per i governi. Nel novembre 2004, un litro di gasolio per autotrazione costava 8 centesimi di dollaro in Libia, 10 centesimi in Egitto e 15 in Algeria, mentre il prezzo internazionale era di 37 centesimi. A volte, la compagnia di Stato deve svolgere un determinato ruolo nella distribuzione delle entrate petrolifere, specialmente in termini di ripartizione delle stesse tra i suoi bisogni e quelli del governo. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS In Algeria, la compagnia statale Sonatrach, che controlla la maggior parte delle attività petrolifere e del settore del gas, sia come operatore sia in partnership con investitori internazionali, utilizza parte delle entrate derivanti dal petrolio per i suoi propri investimenti. Tuttavia, la legge sugli idrocarburi, adottata nel 2005, riduce l’autonomia di Sonatrach nei confronti del governo, il che spiega il conflitto permanente tra enti pubblici per il controllo dei ricavi petroliferi. In Angola, la compagnia nazionale Sonangol, che non è un operatore, è diventata una sorta di regolatore del settore petrolifero, nonostante i disordini politici e militari. La società ha creato entità commerciali per meglio valorizzare il petrolio del paese; ha anche sviluppato una strategia di diversificazione nei settori delle telecomunicazioni, della navigazione, del trasporto aereo e delle assicurazioni. Sonangol sta cercando di esportare nei paesi vicini il suo know-how nell’organizzazione del settore petrolifero. Come dato di fatto, in tutti i paesi esportatori di petrolio, è pressoché impossibile monitorare i flussi finanziari collegati all’attività petrolifera. Esistono diversi elementi chiave che vengono considerati alla stregua di ‘segreti di Stato’. L’intero quadro è aggravato da governi poveri, dalla mancanza di un potere di equilibrio, da guerre locali, conflitti etnici e corruzione. Le peculiarità del sistema di governo In Africa esiste un enorme deficit pubblico. Gli indicatori relativi a democrazia, libertà economica, diritti politici e libertà civili sono deboli. Inoltre, la maggior parte dei paesi africani ricchi di petrolio ha creato burocrazie pletoriche e gli introiti petroliferi stanno aumentando le diversità geografiche e aggravando i conflitti interni. Il potere politico è nelle mani di minoranze ristrette, rappresentate sia da oligarchie faziose ed élite militari sia da una combinazione di questi due gruppi. I conflitti interni di natura etnica, geografica o religiosa sono presenti nella maggior parte dei paesi esportatori di petrolio, con l’eccezione della Libia e del Gabon. A volte, i conflitti preesistono, e da molto tempo, alle scoperte petrolifere (come accade in Angola, Ciad, Sudan); ma nella maggior parte dei casi sono accentuati dalle entrate petrolifere e dalla lotta per appropriarsene. La gran parte delle guerre africane è collegata, in qualche misura, ai ricavi generati dal petrolio (Copinschi, 2003). La corruzione è presente ovunque. La Banca Mondiale e un certo numero di organizzazioni internazionali come Transparency International tentano di lottare contro la corruzione e qualche progresso in tal senso è stato realizzato. In questo contesto, le compagnie petrolifere affrontano una situazione difficile. Viene loro chiesto di corrispondere denaro agli ‘attori politici’; devono proteggere i loro occupati e i loro impianti petroliferi; a volte, VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI devono accordarsi con due opposte fazioni. Questo è stato il caso della Gulf Oil (acquisita nel 1984 dalla Chevron) in Angola e della Elf Aquitaine (fusasi con la Total) in Congo. Esemplificativo è il ruolo politico che la compagnia di Stato francese Elf Aquitaine ha svolto in Africa per decenni: essa veniva considerata il braccio del Governo francese nel continente. Nel 2002, è stata intrapresa in Francia un’azione giudiziaria contro alcuni ex manager della compagnia. Un lungo, spettacolare procedimento giudiziario ha rivelato il consistente ammontare di denaro sottratto dalle entrate petrolifere per finanziare partiti politici in Africa e in Europa e anche per l’arricchimento personale di poche persone altolocate (Joly, 2003). La maggior parte del petrolio africano è prodotto da compagnie petrolifere internazionali e da quelle di Stato, ma le risorse petrolifere attirano anche nuovi soggetti. La Libia, dopo il ritiro delle sanzioni internazionali (2004), ha aperto i suoi ricchi giacimenti petroliferi agli investimenti esteri. Un’offerta pubblica d’acquisto internazionale ha richiamato un gran numero di società. Una parte dei giacimenti è stata assegnata a una grande compagnia internazionale (ChevronTexaco); il resto a operatori più modesti, desiderosi di investire in Africa. Tra i nuovi attori figurano compagnie piccole e indipendenti, ma anche quelle statali. Le cinesi e indiane sono particolarmente aggressive: esse ambiscono ad accedere alle risorse petrolifere per assicurare ai propri paesi l’approvvigionamento di petrolio. I nuovi soggetti sono frequentemente accusati di ‘dumping contrattuale’ dalle compagnie internazionali. Essi subiscono meno la pressione dei mercati finanziari e, pertanto, possono essere disposti ad accettare obiettivi finanziari più modesti; inoltre, si preoccupano meno della pressione esercitata dagli ambientalisti e dai difensori dei diritti umani. Quando gli ambientalisti hanno impedito alla canadese Talisman Energy di condurre affari con il Sudan, una compagnia cinese è stata felice di prendere subito il suo posto. Il petrolio del Ciad: miracolo o miraggio? Il Ciad, uno dei paesi più poveri dell’Africa, fornisce un esempio di come lo sfruttamento delle risorse petrolifere nazionali potrebbe fungere da catalizzatore per un vero sviluppo economico. In questo paese il petrolio è stato scoperto nel corso degli anni Settanta, ma anni di guerra civile hanno ostacolato l’obiettivo politico e tecnico dello sviluppo dell’estrazione petrolifera e del trasporto del petrolio verso un terminale d’esportazione situato nell’oceano. Il ‘normale’ sfruttamento di questo petrolio avrebbe rafforzato i conflitti locali, la corruzione e un’ulteriore concentrazione del potere nelle mani di pochi. Nel 2000, la Banca Mondiale, che normalmente non si occupa di investimenti petroliferi, ha deciso di entrare a far parte del Chad-Cameroon Petroleum Development and Pipeline Project, dal valore di 4,2 miliardi 415 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI di dollari, in qualità di catalizzatore dei finanziamenti; l’iniziativa è stata ideata per trasportare il greggio dagli oltre 250 pozzi perforati nel bacino di Doba, nel Sud del Ciad, fino alla Costa dell’Atlantico in Camerun, attraverso un oleodotto sotterraneo di 1.050 km. Il miliardo di barili di petrolio stimato dei giacimenti di Doba verrà estratto per un periodo di 25 anni, con una produzione pianificata di 225.000 bbl/d, che fruttano al Ciad qualcosa come 3 miliardi di dollari per tutta la durata del progetto (in modo dipendente dal prezzo del petrolio). Il PIL del Ciad era 1,4 milioni di dollari. Il petrolio del paese ha cominciato a essere esportato nel luglio del 2003. La produzione e le esportazioni sono gestite da un consorzio guidato da ExxonMobil, insieme a ChevronTexaco e Petronas (la compagnia di Stato della Malaysia), in qualità di partner del progetto. La condizione per la partecipazione della Banca Mondiale al progetto è stata la costituzione di un apparato istituzionale finalizzato ad annullare la maledizione del petrolio e a promuovere lo sviluppo economico. La caratteristica chiave e innovativa del progetto è rappresentata dalla costituzione di una struttura legale incaricata di stanziare denaro per le spese di riduzione della povertà e dalla creazione di un comitato (il Collège) con il compito di ‘cane da guardia’, ossia approvare progetti e monitorare la qualità della loro implementazione. Le entrate devono essere destinate ai settori strategici, alla regione di Doba e al Fondo per le Generazioni Future. È stato tuttavia previsto che solo una parte degli introiti petroliferi arrivi ai ‘cani da guardia’; tutte le entrate indirette, inclusa l’imposta sul reddito gravante sulle compagnie petrolifere, devono confluire direttamente nelle casse del governo. È troppo presto per dichiarare il fallimento o il successo dell’esperimento condotto in Ciad. Un successo implica una forte volontà politica da parte del governo, un forte coinvolgimento dei cittadini del paese nel vigilare sui flussi degli introiti petroliferi e sulla loro utilizzazione, nonché l’effettiva capacità del potere giudiziario di perseguire casi di uso scorretto, frode o corruzione. Per garantire il successo, il ruolo degli attori esterni è altrettanto importante: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, i Governi statunitense e francese possono essere importanti fonti di pressione per una maggiore trasparenza e responsabilità. Questo tipo di situazione può rappresentare il primo passo verso un miglior modo di pensare la relazione tra petrolio e sviluppo, in quanto enfatizza l’importanza della trasparenza di tutti i flussi finanziari collegati al business petrolifero. È un’impostazione in linea con l’Iniziativa di Trasparenza delle Industrie Minerarie, che sta cercando di ottenere dagli enti pubblici e privati un impegno a promuovere una maggiore trasparenza dei flussi finanziari. Allo stato attuale, un certo numero di governi e di 416 compagnie sta partecipando a questa iniziativa. In Africa, vi prendono parte Ghana, Nigeria, Congo e Gabon. Questo dimostra che si possono fare progressi in termini di maggiore trasparenza. In Nigeria, dopo una lunga successione di leader militari bramosi di utilizzare per sé stessi la ricchezza petrolifera, il nuovo Presidente ha deciso nel 2003 di ‘fare piazza pulita’. Ha creato un’unità di investigazione sui crimini finanziari, che sta operando attivamente. 8.1.4 America Latina: tra un forte controllo governativo e un mercato che opera in modo competitivo Con l’8,5% della popolazione mondiale, 530 milioni di persone, l’America Latina contribuisce al consumo mondiale di energia primaria nella misura del 6%. Il suo contributo alla produzione mondiale di energia è del 14% per il petrolio e del 6% per il gas naturale. Per quanto riguarda la produzione e le esportazioni di petrolio, i due principali attori sono il Messico e il Venezuela, che è un importante e influente membro dell’OPEC. Altri attori significativi sono Colombia, Ecuador (che ha lasciato l’OPEC nel 1995) e Argentina. È interessante il caso del Brasile, il più grande paese dell’area con 174 milioni di abitanti; esso produce volumi significativi di petrolio e gas, ma ha anche bisogno di importarne. Una delle peculiarità del Brasile riguarda i biocarburanti: estratti dalla canna da zucchero, essi sono stati prodotti in maniera massiccia. In Brasile rappresentano circa il 50% dei carburanti usati per le automobili, i camion e gli autobus. I principali esportatori di gas naturale sono Trinidad e Tobago, Argentina e Bolivia. Trinidad e Tobago esporta 4 miliardi di m3 all’anno di GNL, destinati principalmente al mercato statunitense. La Bolivia, con le sue abbondanti risorse di gas naturale che possono essere monetizzate, illustra in maniera drammatica la geopolitica di un paese ricco di gas. L’America Latina è una regione attraversata da tensioni politiche da nord (Messico) a sud (Argentina). Le crisi economiche e il difficile processo di liberalizzazione hanno esasperato gli scontri politici, indebolito le coalizioni, rafforzato i movimenti populisti e le rivendicazioni nazionali. I Presidenti Lula da Silva in Brasile e Chavez in Venezuela sono figure emblematiche del nazional-populismo. Il nazionalismo è frequentemente associato alla volontà locale di attenuare l’influenza politica, economica e culturale degli Stati Uniti. La regione sta affrontando reali difficoltà per attirare investimenti. Tra il 2000 e il 2004, gli investimenti diretti esteri sono diminuiti nella maggioranza dei paesi. Gli investimenti rappresentano la principale questione economica in tutti ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS questi paesi e i governi esitano nel decidere il ruolo che deve essere assegnato al meccanismo di mercato in contrapposizione al controllo governativo. La situazione è molto diversificata: da una pressoché completa apertura (Argentina) a una totale chiusura (Messico). I governi stanno anche proponendo soluzioni che coinvolgono la partecipazione di investimenti sia pubblici sia privati nello sviluppo del settore energetico. Sebbene i governi di tutta l’America Latina siano sempre di più orientati verso le partnership pubblico-privato, rimangono molti interrogativi. Cosa offrono queste partnership agli investitori privati? Qual è il beneficio per il governo ospite? Le partnership creano un ambiente stabile per investimenti di lungo termine? Queste sono le questioni centrali quando si parla di geopolitica del petrolio e del gas in America Latina (CERA, 2004). Le ricchezze prodotte da petrolio e gas Rispetto ai paesi esportatori dell’Africa e del Medio Oriente, quelli che esportano petrolio e gas dall’America Latina sono meno dipendenti dalle entrate provenienti da queste due fonti energetiche. I proventi rappresentano tra il 9 e il 53% degli introiti fiscali totali (53% per il Venezuela) e tra il 2 e il 14% del PIL. Tuttavia, molti di questi paesi non sfuggono alla maledizione del petrolio in termini di sviluppo economico e di indicatori sociali. La maggior parte degli Stati esportatori di petrolio e gas dell’America Latina vanta un significativo potenziale di nuove scoperte sia sulla terraferma sia in mare aperto. Molti paesi non sono stati esplorati a sufficienza. Per quanto concerne la produzione petrolifera, uno dei più spettacolari incrementi muoverà dal Brasile, dove sono già state realizzate notevoli scoperte, soprattutto in mare aperto. In altri paesi, l’evoluzione della produzione dipenderà dalla qualità della manutenzione dei giacimenti e, in misura molto maggiore, dall’ammontare delle risorse finanziarie che verrà investito nelle attività di Esplorazione e Produzione (E&P). Stimolare gli investimenti implica necessariamente l’apertura agli investitori internazionali, un atteggiamento politico che si pone in diretto contrasto con le istanze del nazionalismo e del populismo. In Venezuela, la manutenzione dei giacimenti è stata severamente danneggiata dallo sciopero del 2003 e dalla riorganizzazione del settore petrolifero. Il Venezuela ha grandi potenzialità di sviluppo delle sue risorse petrolifere che sono di una qualità molto pesante; anche le risorse di gas naturale potrebbero essere esportate sotto forma di GNL. Tuttavia, i relativi investimenti sono molto onerosi. La situazione del Messico è simile sotto certi aspetti. Il suo potenziale di petrolio e gas sembra promettente, ma non sono stati fatti abbastanza investimenti in E&P. Inoltre, il paese rimane chiuso agli investitori internazionali perché, secondo la Costituzione, le risorse naturali appartengono al popolo messicano. VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI Il caso della Bolivia, uno degli Stati più poveri dell’area, è differente. Ha esportato il gas (verso l’Argentina) dal 1972; poi, nel 1994, il settore energetico del paese si è aperto agli investimenti privati e ha attirato un certo numero di compagnie internazionali. L’attività di esplorazione ha avuto successo. Nel 1997, le riserve di gas (provate, probabili e possibili) vennero stimate in 278 miliardi di m3 e venne costruito un gasdotto per esportare gas verso il Brasile (1999). Nel 2002, le riserve di gas sono state rivalutate in 2.185 miliardi di m3 e potrebbero essere ancora più consistenti. La produzione e le esportazioni di gas sono diventate le principali questioni politiche nazionali. La produzione di gas della Bolivia potrebbe essere aumentata in misura considerevole, ma il mercato interno è molto limitato (nonostante il gas sia importante per la produzione elettrica e come combustibile per autoveicoli), e ci sono stati incrementi produttivi di questa fonte in Argentina e Brasile. La soluzione potrebbe essere esportare il gas verso il mercato mondiale sotto forma di GNL, ma la Bolivia non ha accesso diretto al Pacifico; per ottenerlo occorrono negoziati con il Cile o con il Perù. Pertanto, ingenti scoperte di gas naturale in un piccolo Stato (9 milioni di abitanti) diventano un problema politico sia interno, sia internazionale. Il paese si è diviso su questa questione, il che potrebbe portare a una ‘guerra del gas’ a livello nazionale. L’impiego della rendita generata da petrolio e gas Le spese sociali sono una priorità per la maggior parte dei governi dell’America Latina, i quali devono anche finanziare il funzionamento di amministrazioni con eccesso di personale. I bisogni finanziari dei governi causano un conflitto permanente per accrescere la loro quota di profitti generati dalla produzione di petrolio e gas. In Bolivia e Venezuela le condizioni fiscali per gli investitori stranieri sono state cambiate in maniera unilaterale. Una provvisoria esenzione dalle tasse ha reso possibile lo sviluppo del greggio molto pesante dell’Orinoco; ma alla fine del periodo di esenzione, le royalty sul greggio extra-pesante sono salite dall’1 al 16,6%. La ricerca permanente di introiti petroliferi si traduce anche in una lotta costante tra il governo e le compagnie di Stato: come PDVSA in Venezuela, Pemex in Messico, Petrobras in Brasile, YPFB in Bolivia, Petroecuador in Ecuador. Le compagnie petrolifere nazionali simboleggiano la competenza e la sovranità sul petrolio che è stata acquisita in questi paesi a seguito di lunghi periodi di dominazione da parte delle compagnie petrolifere internazionali; tuttavia, le società nazionali sono anche vere e proprie macchine del governo per fare soldi. Alcune hanno sviluppato grandi ambizioni, come intraprendere attività di E&P, non solo nei loro paesi ma anche a livello internazionale. Petrobras e PDVSA sono presenti in numerosi Stati, sia in America Latina, sia al di fuori di 417 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI essa. Per soddisfare le proprie ambizioni, le compagnie hanno bisogno di denaro, ma parte delle loro risorse finanziarie è controllata dai governi. Esse possono diventare organismi finanziari e industriali molto potenti, indipendenti dal potere politico, pur essendo di proprietà pubblica. La posta in gioco sono gli introiti petroliferi: le percentuali di ripartizione tra il governo e la compagnia e l’ammontare di denaro che deve essere lasciato a quest’ultima per gli investimenti interni e internazionali. Ferme restando le proporzioni in cui sono stati ripartiti gli introiti petroliferi e le necessità urgenti del governo, una fetta della ‘torta’ deve essere conservata per il futuro, che dipende direttamente dagli investimenti che sono stati fatti (o non sono stati fatti) oggi. La realtà del conflitto per le entrate petrolifere è resa palese dagli scioperi verificatisi in Venezuela nel 200203. Il Presidente Hugo Chavez, ex tenente dell’esercito e leader populista, aveva vinto le elezioni presidenziali nel dicembre 1998, con oltre il 56% dei voti; nel febbraio 2002, gli oppositori di Chavez organizzarono un colpo di Stato che fallì; nel dicembre dello stesso anno, il paese venne paralizzato da dieci giorni di sciopero contro il Presidente. Sul fronte dell’opposizione, c’erano la direzione e i lavoratori di PDVSA. Lo sciopero dell’impresa bloccò la produzione di petrolio del Venezuela per diversi mesi. Chavez interruppe lo sciopero con il sostegno del popolo, sostituì la direzione di PDVSA e licenziò 16.000 lavoratori petroliferi. Lo sciopero danneggiò seriamente le risorse umane dell’impresa e un certo numero di giacimenti petroliferi. Al di là di questa situazione, il problema degli investimenti petroliferi interni rimane. In Messico, Colombia, Bolivia e Brasile le entrate petrolifere sono state usate per finanziare le spese sociali, ma anche per diversificare l’economia. In questi quattro paesi, le esportazioni di petrolio e gas rappresentano una discreta quota delle esportazioni totali. L’economia messicana, a partire dagli anni Ottanta, ha significativamente ridotto, nel suo complesso, la dipendenza dalle entrate petrolifere: le esportazioni di petrolio sono scese da una quota del 70% delle esportazioni totali del paese, nei primi anni Ottanta, al 15% circa nel 2003. L’appartenenza del Messico al North American Free Trade Agreement (NAFTA) è stato un importante fattore per lo sviluppo dei settori orientati alle esportazioni (Giugale et al., 2001). Al contrario, il Venezuela rimane fortemente dipendente dalle risorse petrolifere e manifesta in maniera drammatica i segni della maledizione del petrolio. Una parte dei ricavi petroliferi viene anche lasciata alla popolazione sotto forma di sussidi. I prezzi amministrati di carburanti, cherosene, butano e, qualche volta, dell’elettricità sono molto inferiori a quelli internazionali. In Venezuela, nel dicembre 2004, i prezzi della benzina super e del gasolio per autotrazione sono stati rispettivamente di 4 e 2 centesimi di dollaro al litro, rispetto a un prezzo internazionale di 37 centesimi. In Messico, 418 nel biennio 2004-05, gli alti prezzi del petrolio e del gas naturale hanno portato fondi addizionali nelle casse del governo, ma hanno anche avuto effetti negativi. Il meccanismo di fissazione dei prezzi del gas naturale in Messico, che si basa, fin dal 1995, su un mercato di riferimento statunitense, ha causato un forte malcontento presso i consumatori messicani, a causa del forte rialzo dei prezzi del gas negli Stati Uniti. Nel 2005, il governo messicano ha deciso di aumentare i sussidi alle tariffe di gas ed elettricità, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali (CERA, 2005). Tra i grandi paesi che esportano petrolio e gas dall’America Latina, il Messico ha raggiunto un maggiore sviluppo economico, strettamente correlato alle esportazioni verso gli Stati Uniti. Altri paesi – come Venezuela, Bolivia, Colombia ed Ecuador – hanno ancora un basso livello di sviluppo economico e risentono della maledizione del petrolio. Il debito estero della Bolivia è cresciuto del 17% nel 2003, raggiungendo i 5 miliardi di dollari, il livello più alto degli ultimi 10 anni. Le tipologie del sistema di governo La politica interna e la politica estera sono elementi chiave per comprendere la geopolitica dei paesi esportatori di petrolio e gas in America Latina. Esistono tensioni politiche nazionali, tra paesi confinanti e a livello internazionale in quanto l’America Latina è considerata da Stati Uniti, Cina, Europa e compagnie petrolifere internazionali una regione su cui puntare (CERA, 2004). Dal Messico all’Argentina, i paesi dell’America Latina presentano conflitti interni. Le élite militari sono ancora attori importanti, ma i conflitti riguardano più che altro le dispute tra quelle che sono state definite «oligarchie fazionali» (Auty e Gelb, 2001) e la grande massa dei poveri, sensibili agli slogan populisti. Entrambe le opposte fazioni condividono una visione radicale del nazionalismo, anche se l’oligarchia fazionale è molto più a favore dell’apertura del paese agli investitori internazionali. In Messico, il Presidente Fox, del Partito d’Azione Nazionale (PAN, National Action Party) favorevole all’attività economica, non ha ottenuto dal Congresso alcuna significativa apertura del suo paese agli investimenti esteri nel settore energetico. Nella zona occidentale dell’America Latina, l’opposizione tra destra e sinistra è spesso esasperata da rivendicazioni regionali e dalla crescente domanda delle comunità indiane delle Ande. La situazione politica della Bolivia fornisce un drammatico esempio di queste opposizioni. La povertà e la disoccupazione crescenti sono state responsabili di un sempre maggiore scontro sociale e hanno abbattuto il governo di Sanchez de Lozada. Nell’ottobre 2003, questi ha presentato le dimissioni ed è stato sostituito dal Vice Presidente Carlo Mesa. In questo contesto, la monetizzazione delle riserve di gas è divenuta una questione critica nazionale. La prima modifica della legge sugli ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA GEOPOLITICA DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO E GAS idrocarburi ha accresciuto l’influenza del governo sul settore. Questo cambiamento non era ancora sufficiente per l’opposizione social-populista guidata da Evo Morales e un referendum sul futuro delle riserve di gas del paese è stato organizzato nel luglio 2004. Il suo esito positivo, che approvava un rafforzamento del controllo dello Stato sulle risorse di gas, ha aperto la strada per un nuovo incremento delle tasse e delle royalty. Nell’aprile 2005, il Senato della Bolivia ha approvato una nuova legge sugli idrocarburi, che ha stabilito una maggiore tassazione per le imprese straniere che operano nel settore del petrolio e del gas. Gli introiti del gas cristallizzano tutte le fazioni politiche: il movimento populista, le comunità indiane, le province dove il gas è localizzato, i sindacati e anche l’esercito. Le compagnie internazionali che operano nei giacimenti di gas hanno qualche difficoltà di fronte a questa nuova situazione; quelle che operano in Bolivia sono la brasiliana Petrobras (operatore dominante), la francese Total, le inglesi BG e BP, la spagnola Repsol. La situazione politica è ancora aggravata dal fatto che il Brasile non ha pagato la sua fattura per il gas alla Bolivia, per un arretrato complessivo di 250 milioni di dollari (2005). Un’altra forma di lotta politica che ruota intorno agli introiti derivanti dal petrolio e dal gas è la questione delle relazioni tra governi e compagnie petrolifere statali. Abbiamo già citato il caso del Venezuela, dove il Presidente Chavez ha infranto il desiderio di autonomia di PDVSA. La situazione è diversa in Messico, dove le spese di Pemex sono controllate dal Congresso: Pemex consegna oltre il 60% delle sue entrate al governo e il Congresso decide quante ne può spendere. Dato che gli investimenti all’estero sono proibiti dalla Costituzione, né Pemex né la Comision Federal de Electricidad (CFE) sono in grado, da sole, di soddisfare le richieste di investimenti energetici di lungo termine del Messico nei settori del petrolio, del gas e dell’elettricità. In conclusione, qualcuno deve pagare l’aumento dei costi dell’energia. In ultima istanza, questo costo verrà sostenuto dai contribuenti del Messico, in quanto i sussidi energetici riducono l’ammontare di denaro disponibile per altri programmi meritevoli. Gli indici internazionali di pubblico governo sono distribuiti in modo diseguale. Brasile e Colombia si trovano in posizioni abbastanza buone, ma il Venezuela sembra essere il paese più corrotto con il più basso indice di libertà economica (tab. 4). Per quanto riguarda la politica estera, la prima questione attiene alle relazioni tra paesi vicini. Le relazioni non sono stabili; esistono sogni di integrazione economica tra paesi del Cono Sud, ma quando il tessuto economico è povero gli egoismi nazionali diventano predominanti. Vi è anche una sorta di rivalità per la leadership in America Latina e nelle zone di influenza tra Messico e Brasile. VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI Ancora una volta, la Bolivia illustra pienamente il mosaico sudamericano: il solo modo di monetizzare rapidamente le sue ingenti risorse di gas sarebbe la costruzione di un gasdotto che arrivi ai porti del Pacifico (in Cile o in Perù) e di un impianto di GNL per avere accesso al grande mercato in espansione del Pacifico, principalmente Messico e Stati Uniti. Tuttavia, questo progetto è politicamente molto delicato. Le relazioni tra Bolivia e Cile sono tese dalla fine del 19° secolo. Nel 1884, la Bolivia perse la Guerra del Pacifico con il Cile e, con essa, la sua intera area costiera, il che ha fatto della Bolivia uno Stato senza sbocchi sul mare. Nel 2001, i due governi hanno iniziato a discutere informalmente riguardo al progetto GNL. Questo ha risvegliato le aspirazioni della Bolivia di riguadagnare l’accesso al mare. Nel luglio 2002, alcuni contestatori hanno cominciato a opporsi all’accordo sul GNL che avrebbe potuto beneficiare il Cile. Sul lato nord-orientale del Cono Sud, le relazioni tra Colombia e Venezuela sono fluttuanti. Il Presidente Chavez aveva previsto la costruzione di un oleodotto attraverso la Colombia, al fine di ottenere l’accesso all’Oceano Pacifico per esportare petrolio verso l’Asia. Questo si sarebbe realizzato a detrimento delle esportazioni venezuelane verso gli Stati Uniti e avrebbe deliberatamente beneficiato la Cina. Inoltre, le relazioni tra paesi dell’area sono sensibili alla questione della produzione di droga e al commercio di narcotici. La produzione di droghe è in parte migrata dalla Bolivia alla Colombia e al Venezuela. Nel 2005 populismo e nazionalismo sono i due valori base condivisi dalla maggior parte dei paese dell’America Latina. I Presidenti Lula da Silva e Chavez, nonostante siano molto diversi, sono entrambi simboli del consenso popolare. Nel 2005, il Presidente Chavez ha avviato un accordo sulla cooperazione energetica tra Venezuela, Brasile e Argentina; ha perfino proposto una irrealistica fusione fra le tre compagnie petrolifere di Stato. Fa parte di questa volontà popolare ridurre l’influenza politica, economica e commerciale degli Stati Uniti e aumentare i prezzi di petrolio e gas. Washington accusa Caracas di destabilizzare l’area; il Dipartimento di Stato statunitense esprime preoccupazione riguardo la militarizzazione del Venezuela, conseguente ai massicci acquisti di armi da Russia, Brasile e Spagna. I Cinesi sono presenti nell’area, non solo per il petrolio, ma anche per l’acciaio, il rame, il minerale di ferro. L’America Latina potrebbe simboleggiare i contrastanti interessi di Stati Uniti e Cina per l’accesso alle risorse naturali. Per il futuro economico dell’America Latina, la questione chiave è, ancora una volta, quella degli investimenti. Quanto al settore energetico (petrolio, gas ed elettricità), non è né fattibile né desiderabile finanziare la sua necessaria espansione con le risorse pubbliche. 419 I PAESI PRODUTTORI-ESPORTATORI Attirare investitori internazionali rappresenta la sfida più grande, sebbene possa profondamente ledere le convinzioni nazionalistiche. Per i governi dell’America Latina, la difficoltà sta nel trovare il giusto equilibrio tra attirare investitori e mantenere il controllo delle principali scelte strategiche. Le partnership pubblicoprivato sono un importante passo in questa direzione. Tuttavia, per gli investitori internazionali, il complessivo rischio politico, fiscale e di regolazione rimane alto in diversi casi. Il circolo vizioso delle riforme deve essere interrotto per evitare la ripetitiva promessa dei politici che «dopo il prossimo cambiamento, la regola diventerà stabile». Ogni paese dell’America Latina ha bisogno di costituire un adeguato e stabile apparato legale, fiscale e normativo, che attragga gli investitori e salvaguardi, al contempo, l’interesse pubblico. Non si tratta solo di avere in futuro un’adeguata offerta energetica, ma anche di incrementare la ricchezza di questi paesi. Henry C.M., Springborg R. (2001) Globalization and the politics of development in the Middle East, Cambridge, Cambridge University Press. IEA (International Energy Agency) (2003) South american gas: daring to tap the bounty, Paris, Organization for Economic Cooperation and Development/IEA. Kochhar K. et al. (2005) What hinders investment in the oil sector?, International Monetary Found Research Department. Roslan A.H. (2001) Globalisation income inequality and development policy. The case of Malaysia, in: Poverty and sustainable development. Pauvreté et dévelopment durable. Colloque organisé par la Chaire UNESCO, Paris, 22-23 Novembre. Rosser A. 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