IL SE` E L`ALTRO- Cinzia Mion “il volto dell`altro mi interpella…” E
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IL SE` E L`ALTRO- Cinzia Mion “il volto dell`altro mi interpella…” E
IL SE’ E L’ALTRO- Cinzia Mion “il volto dell’altro mi interpella…” E.Levinas Mi piace iniziare il presente commento di riflessione sul campo di esperienza “Il sé e l’altro”, incluso nelle recenti Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia, con la citazione riportata di Levinas, filosofo lituano di origine ebraica. Levinas ha presente il “volto” nudo e indifeso dell’uomo oppresso, sofferente, per cui richiama alla co-responsabilità irrecusabile gli altri esseri umani che dovrebbero da esso sentirsi interpellati, chiamati in modo pregnante, quasi viscerale, a non restare indifferenti e ad intervenire. Intendo dare perciò un taglio di etica pubblica, e non solo, al mio commento, segnalando la grande preoccupazione che trapela da parecchie fonti per la deriva collettiva che sta prendendo la società occidentale, attraverso una progressiva dissolvenza, fino alla cancellazione implicita ed esplicita, della categoria dell’alterità. L’indifferenza diffusa verso gli altri che le ricerche sociologiche sulle relazioni interpersonali denunciano, per cui solo la convenienza individuale spesso sorregge la ricerca di rapporti sociali, ne è la dimostrazione lampante. La scuola, intesa nel senso di grande opportunità di laboratorio sociale, ha un compito molto importante da realizzare nella direzione di ricostruire un tessuto di relazioni significative, dove tutti gli altri possano essere riconosciuti e valorizzati come uguali e insieme diversi . Accanto a questa grande finalità mettiamo anche quella di aiutare bambini e bambine a maturare delle identità, dal punto di vista psicologico, solide ma flessibili. La flessibilità è infatti la condizione per l’apertura verso gli altri ma d’altro canto soltanto un IO solido può crescere disponibile agli altri perché non teme di essere invaso o di perdere i suoi confini. La solidità dell’io si costruisce attraverso il pensiero non solo riflettente, che ripete il pensiero degli altri, ma soprattutto riflessivo, vale a dire che brilla di luce propria. Questo tipo di pensiero se curato a scuola, come raccomandano vivamente le indicazioni in più parti, costruisce oltre al pensiero critico anche il senso dell’autoefficacia e dell’autostima, ed evita contemporaneamente le secche del dogmatismo che risulta invece essere alla base dell’io rigido e non solido. Il sé e l’altro in “Cultura, scuola, persona” Il senso dell’importanza che il testo delle indicazioni dà al tema dell’identità e dell’alterità va ricercato in tutti i capitoli, a partire dall’introduzione, nota ormai sotto il nome di documento Ceruti. 1 A proposito di questo mi ha colpito subito il termine ambivalenza che a dire il vero viene riferito a rischi ed opportunità, ma che personalmente rilevo ed estendo alla tematica prettamente psicologica che si interessa dell’evoluzione dei soggetti intenti alla maturazione della loro identità, pertanto non solo occupati ad apprendere ma anche a crescere. Val la pena sottolineare infatti come l’ambivalenza sia una costante del mondo interno di tutti noi: meglio esserne consapevoli e tenerne conto che lasciarci disorientare da essa. Questo vale per gli adulti come per i bambini e i ragazzi. Il tema dell’identità perciò è molto delicato e non va assunto con leggerezza oppure con l’intento manipolatorio di chi intende usare l’appartenenza, di qualsiasi appartenenza si tratti, come un abito rigido e indiscusso. Il paradigma della complessità, molto caro a M.Ceruti e prima di lui a E.Morin, compare subito quando più avanti si legge la necessità di dare piena attuazione alla libertà e uguaglianza coniugate con le differenze e le identità di ciascuno. Mettere insieme il valore freddo del diritto che parla di uguaglianza con il valore caldo dell’identità e dell’appartenenza che parla di differenza, come direbbe Alain Touraine, è proprio del pensiero riflessivo della complessità che ospita la multilogica ed induce operazioni mentali di coniugazione e non semplicemente di inclusione od esclusione logiche. Soltanto questo percorso può “formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali presenti e futuri”. Al tema che stiamo analizzano appartiene pertanto anche ogni riferimento all’intercultura in quanto “la presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale” per cui “bisogna sostenere la loro interazione e la loro integrazione…in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere.” Mi sembra molto interessante che prima di parlare di integrazione si faccia riferimento all’interazione. Risulta infatti indispensabile favorire la conoscenza reciproca, la comunicazione, lo scambio, il confronto altrimenti l’integrazione può essere scambiata con la semplice e fuorviante assimilazione che negherebbe ogni peculiarità dell’altro, che pur chiede di essere conosciuto e valorizzato. Nessuno osa affermare che questo percorso sia facile. ma la strada non può che essere questa. Il confronto può avvenire sui grandi problemi dell’attuale condizione umana perchè sono questi che possono spianare la strada per l’identità terrestre, come auspica E.Morin. Nella scuola dell’infanzia 2 Nella scuola dell’infanzia il tema dell’identità costituisce una delle grandi finalità generali insieme all’autonomia e alla competenza, riprese dal testo degli Orientamenti del 1991, cui è stata aggiunta la cittadinanza. Il tema dell’identità è legato a quello delle appartenenze, non a caso oggi si parla di Io plurimo e nel testo si fa riferimento, parlando appunto dell’identità, “all’importanza di imparare a conoscersi e a sentirsi riconosciuti come persona unica ed irripetibile ma vuol dire anche sperimentare ruoli diversi e diverse forme di identità: figlio, alunno, compagno, maschio o femmina, abitante di un territorio, appartenente a una comunità” Più avanti invece, parlando della cittadinanza, si introduce la tematica dell’altro :” Educare alla cittadinanza significa scoprire gli altri, i loro bisogni e la necessità di gestire i contrasti attraverso regole condivise che si definiscono attraverso le relazioni, il dialogo, l’espressione del proprio pensiero, l’attenzione al punto di vista dell’altro, il primo riconoscimento dei diritti e dei doveri; significa porre le fondamenta di un abito democratico, eticamente orientato, aperto al futuro e rispettoso del rapporto uomonatura”. Anche nel capitolo “ l’ambiente per l’apprendimento” si riconosce nell’organizzazione del contesto, finalizzato allo scambio e alla comunità di pratiche, il valore della diversità come stimolo all’arricchimento personale, anche quando la diversità può essere data dal bambino con fragilità e difficoltà nonché dal bambino in situazione di handicap con i suoi diritti speciali. Campo di esperienza: “Il sé” L’analisi del campo di esperienza che ha per titolo “ Il sé e l’altro” raccoglie in sintesi tutte le indicazioni utili a sviluppare la tematica in questione e ci permette meglio di approfondire, con qualche osservazione metodologica, la sua complessità. L’incipit del testo risulta subito molto impegnativo:” I bambini formulano le grandi domande esistenziali sul mondo e cominciano a riflettere sul senso e sul valore morale delle loro azioni, prendono coscienza della propria identità, scoprono le diversità e apprendono le prime regole necessarie alla vita sociale” Questa premessa si declina poi attraverso i traguardi di sviluppo delle competenze, che già nella loro espressione contengono l’idea del processo, che non avviene in modo spontaneo, bensì sarà agevolato dai diversi contesti di apprendimento, in situazione sociale e interattiva con i pari e con gli adulti, all’interno di più relazioni significative, contrassegnate dalla cura. Tutte queste espressioni meriterebbero una esplicitazione più puntuale, attraverso argomentazioni attinte dalla psicologia dell’educazione, ma non è questo l’intento del presente contributo. 3 Proviamo invece almeno ad investigare il percorso della nascita dell’identità, tralasciando suggestioni psicoanalitiche, che pur sarebbero necessarie ma soffermandoci invece sulla semplice ma indispensabile osservazione che il processo identitario si costruisce attraverso l’identificazione con i simili ma anche la differenziazione dai diversi, attraverso una lenta e continua scoperta ed assunzione di analogie e differenze. Risulta pertanto lampante che per qualsiasi percorso, sia quello riferito all’appartenenza di genere, come a quello culturale-antropologico o religioso, si può parlare di identità solo in presenza del confronto con la diversità o la differenza altrimenti si è di fronte semplicemente ad un processo di identificazione-assimilazione. Bisogna anche tenere presente che la ricerca oggi di identità è uno dei caratteri culturali e sociali della cultura della complessità. Per reggere infatti gli urti della cultura disorientante del post-moderno, che ha spazzato via le vecchie certezze, la nuova identità deve essere solida ma anche coesa, per evitare il rischio della frantumazione. La coesione dà il senso dell’identità, perché permette di tenere insieme le varie parti del sé e garantisce il primato libidico, sulla ambivalenza sopraccitata, evitando il disimpasto pulsionale e la liberazione dell’aggressività allo stato puro. La maturazione dell’identità, pertanto, consiste in un graduale ed interminabile processo di maturazione, intrecciato di aspettative, proprie ed altrui, personali e sociali che sono presupposto ma anche traguardo per la crescita di ognuno di noi. E… “l’altro” Dopo aver tentato di accennare al percorso di formazione del sé proviamo a capire come si struttura l’immagine dell’altro. Oggi abbiamo a disposizione anche la scoperta, da parte delle neuroscienze, dei cosiddetti neuroni specchio, che ci spiegano come la stessa soggettività nasca, per mezzo di meccanismi cerebrali, quindi corporei, attraverso la relazione con l’altro, attraverso quindi l’intersoggettività. Quest’ultima perciò risulta essere originaria, preverbale e prelogica. Prima delle neuroscienze anche Merlau-Ponty sosteneva l’originarietà della relazione corporea, ma ciò oggi è dimostrato attraverso le scienze sperimentali e lo studio del cervello. Un conto però è sapere come nasce la reciprocità, da cui scaturisce anche la famosa empatia, un conto è avviarne la consapevolezza e la consuetudine educativa. Sappiamo tutti come i bambini all’età della scuola dell’infanzia siano caratterizzati da un notevole egocentrismo e come l’altro sia presto vissuto come un limite ai propri bisogni e desideri; come sia difficile accettare che gli 4 altri, i pari, abbiano gli stessi diritti e come queste spiegazioni ed argomentazioni siano dure da digerire per chi poco tempo prima, in famiglia, aveva intorno a sé più di un adulto che si faceva in quattro per anticipare, non solo accontentare, ogni sua richiesta. Il testo delle indicazioni, in uno dei traguardi di sviluppo, infatti, recita che il bambino dovrebbe raggiungere una prima consapevolezza dei propri diritti e dei diritti degli altri, dei valori, delle ragioni e dei doveri che determinano il suo comportamento. Se intendiamo però indirizzare questo piccolo essere autocentrato verso la crescita progressiva di un soggetto in grado di decentrarsi, di mettere a fuoco l’altro da sé, di assumere anche doveri e non solo rivendicare diritti, di capire che i vari comportamenti sottendono dei valori, bisogna lavorare molto sia sulla realizzazione dei contesti interattivi, come raccomanda Vygotskij, ma anche utilizzando tutte le occasioni per insegnare a mettersi nei panni degli altri. Cosa vedono gli altri da un altro punto di vista, intendendo veramente un’altra visuale; cosa pensano gli altri di fronte ad avvenimenti che toccano interessi diversi, per esempio i partecipanti a dei giochi di squadra che si misurano reciprocamente; cosa sentono gli altri quando sono messi a dura prova da qualche situazione dolorosa, per esempio un cucciolo ad essere portato lontano dalla propria mamma, un virgulto ad essere strappato dal ramo oppure un bambino ad essere preso in giro o peggio fatto oggetto di prevaricazione e prepotenze. Per quanto riguarda la richiesta del traguardo “Riflette, si confronta, discute con gli adulti e con gli altri bambini, si rende conto che esistono punti di vista diversi e sa tenerne conto” è l’approccio socioculturale della psicologia dell’educazione, divulgato in Italia da C. Pontecorvo. P.Boscolo e A.M.Ajiello che suggerisce le didattiche più adeguate per avviare a questa essenziale competenza, fondamento della democrazia. Infatti i contesti sociali organizzati come spazi e tempi stimolanti, come comunità di pratiche, di dialogo e di diversità, permettono la co-costruzione della conoscenza, attraverso la discussione con gli adulti e con i pari, perché discutendo si impara; sollecitano la riflessione e l’assunzione dei punti di vista diversi attraverso il confronto; permettono l’apprendimento della argomentazione e della controargomentazione, dando spiegazione delle proprie affermazioni ma imparando anche a sollevare dubbi e a sostenerli, sapendo anche fare domande interessanti dettate dalla costante ricerca di senso. Si afferma poi che tra le domande di senso sorgono interrogativi sui temi esistenziali tra cui, l’esperienza insegna, compare il tema della malattia e della morte, perché dimensioni ineludibilmente legate alla pratica degli affetti e della vita. Mi sembra meno probabile invece che compaiano interrogativi “su ciò che è bene e ciò che è male” come afferma il testo. Ritengo infatti che valori così assoluti siano un po’ lontani dal mondo dei bambini che invece saranno 5 sensibili a valutare, in riferimento a comportamenti, le categorie di correttezza o scorrettezza, obbedienza o disobbedienza, o al massimo parleranno di soggetti buoni o cattivi . Merita invece un discorso a parte il problema della giustizia. Bisogna tener presente che alla scuola dell’infanzia si vive la prima esperienza di essere trattati, in modo corretto o scorretto, come titolari di diritti uguali per tutti. Se, invece, la scuola diventa il luogo, nella mentalizzazione dei bambini, dove si compiono ingiustizie (subite direttamente o dai compagni) incomincia il rifiuto delle istituzioni e del loro modo di operare. L’Identità di genere sensibili a valutare, in riferimento a comportamenti, le categorie di Tra le differenze da rispettare, di cui si diventa consapevoli a scuola, dovrebbero esserci anche quelle di genere che il testo però trascura. Compare, a proposito del ”Corpo e movimento” una laconica espressione del tipo, a proposito dei traguardi di sviluppo delle competenze:”Conosce il proprio corpo, le differenze sessuali…” come se maturare l’identità di genere significasse semplicemente prendere atto delle differenze anatomofisiologiche! Successivamente ogni tanto compare il termine genere ma non all’interno di una sollecitazione esplicita rivolta al corpo docente a farsi carico della maturazione dell’identità, prima di maschietti e femminucce e poi di ragazze e ragazzi, affinchè crescano uomini e donne il più possibile scevri da vecchi stereotipi e all’interno di una relazione che riconosca e renda operative le pari opportunità. Compare, per esempio, a proposito della scuola del primo ciclo, all’interno del paragrafo “Elaborare il senso dell’esperienza”, la frase : (La scuola) segue con attenzione le diverse condizioni di sviluppo e di elaborazione dell’identità di genere, che nella adolescenza ha la sua stagione cruciale. Sfido chiunque a capire che seguire con attenzione, significa intervenire perché vengano intaccati gli stereotipi sessisti che non permettono sia a maschi che a femmine di essere avviati contemporaneamente sia alla autorealizzazione che alla relazione. Generalmente infatti succede ancora che la nostra cultura di appartenenza, composta di pratiche di accudimento genitoriale, interventi educativi non oculati, esperienze generazionali vissute in famiglia, stereotipi acriticamente trasmessi anche da docenti, non invitati espressamente ad autopercepirsi e ad autointerrogarsi, si mantenga ancora su di un piano tradizionale ormai superato. Non sempre infatti c’è consapevolezza, rispetto alla tematica che stiamo investigando, del rischio di trasmettere stereotipi smaccatamente antiquati. Spesso i maschi vengono indotti ancora solo all’autorealizzazione, e viene trascurata la considerazione per il loro mondo interno, con il risultato di una grave ripercussione sulla loro competenza emozionale. Le femmine, invece, vengono educate alla considerazione di tutti 6 gli aspetti che migliorano la relazione, perché storicamente deputate al lavoro di cura, ma ciò si accompagna spesso per loro ad una implicita svalutazione dell’autorealizzazione, se questa distrae dalla famiglia. Si dimentica pertanto sia per maschi che per femmine che oggi c’è bisogno per entrambi i generi della doppia dimensione. Questa nuova progettualità, frutto della cultura della complessità, prevede che la scuola lavori in funzione delle pari opportunità, nella fattispecie uomodonna e non si può nemmeno lontanamente pensare che questo sia un lavoro automatico per cui sia sufficiente “l’elaborazione” della tematica del genere. Possiamo dire, nella migliore delle ipotesi, che il testo delle indicazioni, sfiorando alcune tematiche, ci autorizza ad aprire delle finestre di approfondimento tutte da esplorare. Il disagio maschile e il bullismo Intorno all’identità femminile e al suo riscatto, nonostante le pari opportunità non siano di sicuro raggiunte, si sono però avviati parecchi progetti ed inoltre risultano efficaci in modo pregnante gli esempi offerti in casa, alle bambine e alle adolescenti, dell’emancipazione femminile conquistata dalle madri che in gran parte ormai lavorano anche fuori casa. Queste ultime dimostrano infatti ogni giorno notevoli competenze organizzative nel gestire la loro giornata connotata dalla “doppia presenza” ma rappresentano anche un’immagine femminile che ha già sfatato molti stereotipi riferiti alla propria identità. Sanno prendere decisioni importanti, sanno assumere iniziative, sanno governare la responsabilità in posti di lavoro apicali: competenze un tempo riconosciute solo al genere maschile. Le donne però nell’interpretare questa nuova dimensione che va oltre gli stereotipi, che E.Badinter chiama umanità riconciliata, tengono insieme sia autorevolezza che notevole competenza relazionale attenta ai bisogni degli altri. Che cosa è successo nel frattempo all’identità maschile? Nei suoi aspetti del cosiddetto “machismo”, è stata messa in crisi dalla donna rinnovata e più consapevole del suo valore: l’uomo è stato costretto a dire addio al patriarcato- almeno nei suoi aspetti giuridici, perché nei fatti non si può dire che esso sia morto del tutto- ma ben poco è stato fatto, da parte dei maschi, per ripensare alla loro identità nuova, Sono vissuti troppo a lungo di rendita dei privilegi del patriarcato e molti non hanno rielaborato in tempo un’idea di loro stessi come compagni della nuova donna. Il disagio dell’uomo adulto ha spesso quindi questa origine ma tale ritardo si ripercuote in modo più tangibile sulle nuove generazioni di adolescenti. Se oggi le cosiddette agenzie formative, scuola e famiglia, non interverranno in tempo a farsi carico del tema dell’identità di genere, ma continueranno ad identificarla con la semplice differenza sessuale, cioè con 7 un dato biologico e non con un vissuto sociale, credo che anche il fenomeno del bullismo diventerà sempre più difficile da debellare. Sappiamo infatti che la moderna embriologia ha scoperto che tutti i mammiferi, compreso l’essere umano, hanno una intrinseca tendenza allo sviluppo in senso femminile. In altri termini la femminilità è il programma di base ed occorre fare qualcosa in più affinché la maschilità prenda forma. Questa consapevolezza si aggiunge alla difficoltà dovuta al fatto che il processo di identificazione con la figura primaria, che è la madre, agevola le femminucce ma non i maschietti che, appena diventati consapevoli della loro appartenenza al genere maschile, devono mettere in atto un processo di differenziazione che quasi sempre si connota per negazione. Per esempio“Sei un maschio, non devi aver paura, non devi piangere, non sei una femminuccia !!!”Ma ciò è difficile perché la gestalt materna è penetrata in loro attraverso il grembo che li culla, la voce che li avvolge, tutti i sistemi sensoriali e mentali che li impregnano. Inoltre, sempre la Badinter aggiunge: “ Egli (il maschio) può esistere solo opponendosi alla madre, alla propria femminilità, alla propria condizione di bebè passivo. A tre riprese, per esprimere la sua identità maschile, dovrà convincersi e convincere gli altri di non essere una donna, di non essere un bebè, di non essere un omosessuale.” La difficoltà ad assumere l’identità maschile, adeguata ai tempi, esplode nell’adolescenza, quando la domanda che ogni giovane maschio farà a se stesso sarà-“Sono un vero maschio”? E più difficile che la giovane donna si faccia la domanda speculare anche perché ha un forte segnale corporeo mensile che sottolinea la sua appartenenza. Paradossalmente è proprio aver intaccato a livello sociale gli stereotipi, che facevano un tempo dell’uomo il sesso forte, senza però che i maschi adulti li abbiano sostituiti con una ricerca pertinente, che ha creato il disorientamento. Qualche volta allora gli adolescenti più sbandati e più fragili riempiono il loro vuoto identitario, per avere l’antico potere, con la scorciatoia delle prepotenze, soprattutto nei confronti dei più deboli. Le prepotenze, che vanno ormai sotto il nome di bullismo, sono diventate ormai argomento dominante sulle pagine dei giornali che scelgono tematiche scandalistiche per parlare di scuola e dei giovani. Secondo me sarà perciò prima di tutto attraverso una oculata ed attenta educazione ad assumere una rinnovata identità di genere che si potrà debellare questa forma di bullismo, ed altre forme di violenza, e che si potrà pensare di raggiungere una sostanziale pari opportunità. Il percorso riguarda però prima di tutto gli adulti e richiede pertanto una formazione personale seria. Il sé e l’errore 8 Tornando all’analisi delle indicazioni, rispetto al campo di esperienza che qui ci interessa, mi sembra degno di nota il rilievo dato dal testo, nel capitolo “L’ambiente di apprendimento “ del primo ciclo, al fatto che per imparare ad imparare è fondamentale “sapere riconoscere le difficoltà e le strategie adottate per superarle, prendere atto degli errori commessi e comprendere le ragioni di un insuccesso “ nonché rendersi conto del proprio stile di apprendimento e conquistare la propria autonomia nel metodo di studio per giungere all’autovalutazione. E’ importante sapere che fra le caratteristiche dei nuovi bambini c’è spesso anche quella che non accettano di sbagliare, incalzati come sono da genitori della società della competizione, preoccupati di metterli in pista al più presto possibile. Ben venga pertanto l’elogio dell’errore che permette di fare esperienza e di apprendere da questa. Sappiamo tutti che lo spirito della ricerca si regge sull’accettazione dell’errore e sulla fiducia in se stessi che permette il successivo aggiustamento. Purtroppo però la scuola tradizionale poco si affida alla problematizzazione, molto invece alla esercitazione, spostando in questo modo l’attenzione dall’errore allo sbaglio. Sono importanti anche le esercitazioni ma non possono assorbire tutta la didattica, trascurando lo spazio da dedicare all’investigare problematico. A dire il vero la scuola dell’infanzia per fortuna si salva da tali osservazioni perché al suo interno l’attività più frequente è la rielaborazione delle esperienze, che poggia sulle riflessioni interattive. Quando si sottolinea poi che l’alunno deve rendersi consapevole del proprio stile di apprendimento e sviluppare la propria autonomia nello studio viene valorizzato tutto il tema della metacognizione, così caro al sociocostruttivismo, e così importante per l’identità dei soggetti che apprendono. Il sé e l’altro nelle varie aree disciplinari. La tematica che stiamo analizzando è veramente trasversale a tutte le indicazioni, è basilare perciò la formazione che viene perseguita già a partire dalla scuola dell’infanzia. Senza estrapolare tutti i riferimenti dal testo possiamo dire che ogni volta che compare l’argomento dell’intercultura siamo di fronte alla tematica del sé e l’altro, nel senso delle diversità culturali. Ciò si manifesta già a partire dall’area linguistico-artistico-espressiva dove, essendo questo l’ambito dei linguaggi, si evidenziano differenti esperienze culturali che condizionano la percezione, la sensibilità, la gestione del corpo e dello spazio e dove compare, in riferimento alla lingua italiana, la necessità di imparare a negoziare. La negoziazione diventa indispensabile nel confronto che deve avvenire fra opinioni diverse, per poter arrivare al passaggio all’azione, in qualsiasi 9 decisione partecipata da prendere. Oggi imparare a negoziare diventa sempre più importante per cui è essenziale riuscire a fare quello che M. Sclavi chiama assumere che l’altro ha ragione. Solo in questo modo l’opinione dell’altro viene presa in seria considerazione al fine di una eventuale contestazione o riconoscimento, senza correre il rischio di scartare il punto di vista degli altri solo perché non è uguale al nostro. L’area definita del Corpo Movimento Sport sottolinea come nell’ attività motoria e sportiva il soggetto, sperimentando la vittoria o la sconfitta, apprende a modulare e controllare le proprie emozioni e impara anche il rispetto per sé e per l’avversario. Il tema delle emozioni è troppo importante per liquidarlo con due righe, va senz’altro ripreso ed ampliato. L’area storico-geografico-sociale si presta in modo particolare a far emergere le diversità e i continui rimescolamenti di genti e di culture, che ci consentono di capire i profondi intrecci che si stabiliscono fra le genti del mediterraneo e le popolazioni dei continenti europei, asiatici e africani. L’attenzione all’aspetto appena descritto dovrebbe dare la consapevolezza di tali storici meticciamenti e potrebbe tornare utile ad aiutare a vincere la diffidenza che esiste nei confronti dei recenti flussi migratori. Per finire troviamo nei traguardi di sviluppo, al termine della scuola secondaria di primo grado, per quanto attiene l’area scientifica, un paio di riferimenti pertinenti. Il primo riguarda la visione organica del proprio corpo che aiuta a cogliere la propria identità giocata tra permanenza e cambiamento…tra potenzialità e limiti. Il secondo recita: (l’alunno) comprende il ruolo della comunità umana nel sistema e adotta atteggiamenti responsabili verso i modi di vita e l’uso delle risorse. Come abbiamo potuto constatare possiamo assumere il sé e l’altro come il filo conduttore della valenza trasversale formativa di tutte le indicazioni, dove non sempre possiamo trovare ciò che ci piacerebbe, ma dove niente esclude che possiamo provare ad individuare la parola chiave che ci crea l’accesso per esplorare insieme altre opportunità. Bibliografia Badinter E.-XY L’identità maschile.Longanesi, Milano, 1993 Boscolo P.- Psicologia dell’apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi e motivazionali, UTET, Torino,1997 Crepault C.- Dal seme di Eva. Franco Angeli, Milano, 1989 Levinas.E.-Totalità e Infinito. tr.it.Joka Book, Milano, 1980 Merleau-Ponty- Fenomenologia della percezione, Il Saggiatore, 1965 Morin E.- Le vie della complessità, in (a cura di Bocchi e Ceruti) La sfida della complessità, Feltrinelli , Milano, 1985 10 Morin E.- I sette saperi necessari all’educazione al futuro, Raffaello Cortina, 2001 Pontecorvo C.,Ajello A.M.,Zucchermaglio C.- Discutendo si impara, Carocci, Roma, 1991 Rizzolatti G.,Sinigaglia C.,- So quel che fai .Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina, 2006 Sclavi M.- Arte di ascoltare e mondi possibili.Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Mondadori Bruno, Milano, 2003 Touraine A.- Libertà, uguaglianza, diversità, Il Saggiatore, 2002 11