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Oscar e la dama in rosa - 4Bclasse2-0

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Oscar e la dama in rosa - 4Bclasse2-0
Eric- Emmanuel Schmitt.
Oscar e la dama in rosa.
SCRITTORI CONTEMPORANEI
Proprietà letteraria riservata.
© Editions Albin Michel S. A., 2002.
© 2004 RCS Libri S. p.A., Milano.
ISBN 978-88-17-00543-2
Titolo originale dell'opera:
Oscar et la dame rose.
Traduzione di Fabrizio Ascari.
Prima edizione Rizzoli 2004.
Prima edizione BUR Scrittori Contemporanei gennaio 2005.
Undicesima edizione BUR Scrittori Contemporanei maggio 2008.
Per conoscere il mondo BUR visita il sito www. bur. eu
Per capire come un grande scrittore può, in poche pagine
immaginarie, affrontare ed esaurire l'intreccio fra l'amore
e la morte.
Marta Brancatisano, Corriere della Sera magazine
*
Oscar ha solo dieci anni, ma la sua vita sta già per finire. La
leucemia lo sta uccidendo. E lui lo sa. Lo sa ma non può
parlarne con nessuno, perché i grandi per paura fanno finta di
non saperlo.
Nell'ospedale in cui il bimbo passa le sue giornate, solo l'anziana
signora vestita di rosa, che va sempre a trovarlo, intuisce la sua
voglia di risposte. E gli suggerisce un gioco: fingere di vivere dieci
anni in un giorno e scrivere a Dio per raccontargli la sua vita.
Oscar ci sta-, così si immagina di vivere a vent'anni, a quaranta,
a novanta. A centodieci, dieci giorni dopo l'inizio del gioco, si
addormenta. Ha lasciato un biglietto sul comodino: "Solo Dio
ha il diritto di svegliarmi".
*
Eric- Emmanuel Schmitt (Lione 1960) è drammaturgo,
saggista e romanziere di fama internazionale. Tra i suoi libri
ricordiamo Il vangelo secondo Pilato (2002) e Monsieur Ibrahim e i fiori
del Corano (2003), dal quale è stato tratto il film omonimo con
Omar Sharif.
*****
A Danielle Darrieux.
Caro Dio,
mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il
fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di
aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera
che ti mando perché finora, a causa dei miei
studi, non ho avuto tempo.
Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna
davvero che ci sia obbligato. Perché scrivere è
soltanto una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa
da adulti.
La prova? Per esempio, prendi l'inizio della
mia lettera: «Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho
appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa
(credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed
è la prima lettera che ti mando perché finora, a
causa dei miei studi, non ho avuto tempo».
Avrei potuto esordire dicendo: «Mi chiamano
Testa d'uovo, dimostro sette anni, vivo all'ospedale
a causa del cancro e non ti ho mai rivolto
la parola perché non credo nemmeno che tu
esista».
Ma se ti scrivo una roba del genere, fa un
brutto effetto e ti interesseresti meno a me. E io
ho bisogno che t'interessi.
Inoltre mi farebbe comodo che tu avessi il
tempo di farmi due o tre piaceri.
Ti spiego.
L'ospedale è un posto strasimpatico, con un
sacco di adulti di buon umore che parlano forte,
con un mucchio di giocattoli e di signore in rosa
che vogliono divertirsi con i bambini, con
amichetti sempre disponibili come Bacon, Einstein o
Pop Corn, insomma. L'ospedale è molto
gradevole se sei un malato gradito.
Io non faccio più piacere. Da quando sono
stato sottoposto al trapianto di midollo osseo,
sento proprio che non faccio più piacere.
Quando il dottor Dusseldorf mi visita, la mattina,
lo fa di malavoglia, lo deludo. Mi guarda senza
dire nulla, come se avessi commesso un errore.
Eppure ho affrontato con impegno l'operazione;
sono stato bravo, mi sono lasciato addormentare,
ho avuto male senza gridare, ho preso tutte le
medicine. Certi giorni ho voglia di insultarlo, di
dirgli che è stato forse lui, il dottor Dusseldorf,
con le sue sopracciglia nere, a sbagliarla,
l'operazione. Ma ha un'aria talmente infelice che gli
insulti mi restano in gola. Più il dottor Dusseldorf
tace con il suo sguardo sconsolato, più mi sento
colpevole. Ho capito che sono diventato un
cattivo malato, un malato che impedisce di credere
che la medicina sia straordinaria.
Il pensiero di un medico è contagioso.
Adesso tutto il piano, le infermiere, gli
interni e le donne delle pulizie mi guardano nello
stesso modo. Hanno l'aria triste quando sono di
buon umore; si sforzano di ridere quando
racconto una storiella. È vero, non ridono più come
prima.
Solo Nonna Rosa non è cambiata. Secondo
me, è comunque troppo vecchia per cambiare. E
poi è anche troppo Nonna Rosa. Nonna Rosa
non te la presento, Dio, è una tua buona amica,
visto che è stata lei a dirmi di scriverti. Il
problema è che sono l'unico a chiamarla Nonna
Rosa. Dunque, devi fare uno sforzo per capire di
chi parlo: fra le signore in camice rosa che
vengono da fuori a passare del tempo con i bambini
malati, è la più vecchia di tutte.
«Quanti anni ha, Nonna Rosa?»
«Riesci a tenere a mente i numeri con tredici
cifre, Oscar?»
«Oh! Lei esagera!»
«No. Qui non devono assolutamente sapere la
mia età, altrimenti mi cacciano e non ci vedremo
più.»
«Perché?»
«Sono qui di contrabbando. C'è un'età limite
per essere una signora in rosa. E io l'ho superata
abbondantemente.»
«È scaduta?»
«Sì.»
«Come uno yogurt?»
«Sss!»
«O. K.! Non dirò nulla.»
È stata davvero coraggiosa a confessarmi il suo
segreto. Ma con me ha avuto fortuna. Sarò muto
anche se trovo strano, viste tutte le rughe simili a
raggi di sole che ha attorno agli occhi, che a
nessuno sia venuto il sospetto.
Un'altra volta sono venuto a conoscenza di un
altro suo segreto e così sono sicuro, Dio, che
potrai identificarla.
Passeggiavamo nel parco dell'ospedale e lei ha
pestato una cacca.
«Merda!»
«Nonna Rosa, ma che brutte parole dice!»
«Oh, ragazzino, lasciami in pace! Parlo come
voglio.»
«Oh, Nonna Rosa!»
«E muovi le chiappe. Stiamo passeggiando,
non facendo una corsa di lumache.»
Quando ci siamo seduti su una panchina per
succhiare una caramella, le ho chiesto:
«Com'è che parla così male?»
«Deformazione professionale, piccolo mio.
Nel mio mestiere ero fottuta se avevo un
vocabolario troppo delicato.»
«E che mestiere faceva?»
«Non mi crederai...»
«Le giuro di sì.»
«Lottatrice di catch.»
«Non le credo!»
«Lottatrice di catch! Mi avevano
soprannominata la Strangolatrice del Languedoc.»
Da quel momento, quando ho una botta di
tristezza e Nonna Rosa è sicura che nessuno può
sentirci, mi racconta i suoi grandi tornei: la
Strangolatrice del Languedoc contro la Macellaia del
Limousin; la sua lotta per vent'anni contro la
Diabolica Sinclair, un'olandese che aveva delle
granate al posto delle tette; e soprattutto la vittoria
della coppa del mondo contro Ulla- Ulla, detta la
Cagna di Bùchenwald, che non era mai stata
battuta, nemmeno da Cosce di Acciaio, il grande
modello di Nonna Rosa quando era lottatrice. I
suoi combattimenti mi fanno sognare, perché
immagino la mia amica sul ring com'è adesso, una
vecchietta in camice rosa un po'"traballante,
intenta a dare un sacco di botte a delle orchesse in
costume da bagno. Ho l'impressione di essere io.
Divento il più forte. Mi vendico.
Dio, se con tutti questi indizi non indovini chi
è Nonna Rosa, o la Strangolatrice del
Languedoc, allora devi smettere di essere Dio e andare
in pensione. Sono stato chiaro?
Torno ai fatti miei.
Insomma, il mio trapianto ha molto deluso
qui. Anche la mia chemio deludeva, ma era meno
grave finché c'era la speranza del trapianto.
Adesso ho l'impressione che i medici non
sappiano più che cosa proporre, e che mi
considerino un caso pietoso. Il dottor Dùsseldorf, che la
mamma trova così bello, anche se per me è un
po' forte di sopracciglia, ha l'aria sconsolata di
un Babbo Natale che non abbia più regali nella
sua gerla.
L'atmosfera si deteriora. Ne ho parlato al mio
amico Bacon. Per la verità non si chiama Bacon,
ma Yves. Lo abbiamo chiamato Bacon perché gli
si addice molto di più, visto che è un grande
ustionato.
«Bacon, ho l'impressione che i medici non mi
vogliano più bene. Li deprimo.»
«Figurati, Testa d'uovo! I medici sono tosti.
Progettano sempre un sacco di operazioni da
farti. Io ho calcolato che me ne hanno promesse
almeno sei.»
«Forse li ispiri.»
«Probabilmente.»
«Ma perché non mi dicono semplicemente
che morirò?»
Allora Bacon ha fatto come tutti all'ospedale:
è diventato sordo. Se dici «morire» in un
ospedale, nessuno sente. Puoi star sicuro che ci sarà
un vuoto d'aria e che si parlerà d'altro. Ho fatto
la prova con tutti. Tranne con Nonna Rosa.
Allora stamattina ho voluto vedere se anche lei
in quel momento diventava dura d'orecchi.
«Nonna Rosa, ho l'impressione che nessuno
mi dica che morirò.»
Mi ha guardato. Avrebbe reagito come gli
altri? Per favore, Strangolatrice del Languedoc,
resisti e conserva l'udito!
«Perché vuoi che te lo dicano se lo sai già,
Oscar?»
Uffa, ha sentito.
«Ho l'impressione, Nonna Rosa, che abbiano
inventato un ospedale diverso da quello che
esiste veramente. Fanno come se si venisse
all'ospedale solo per guarire. Mentre ci si viene anche
per morire.»
«Hai ragione, Oscar. E credo che si commetta
lo stesso errore per la vita. Dimentichiamo che la
vita è fragile, friabile, effimera. Facciamo tutti
finta di essere immortali.»
«È fallita la mia operazione, Nonna Rosa?»
Nonna Rosa non ha risposto. Era il suo modo
di dire di sì. Quando è stata sicura che avevo
capito, si è avvicinata e mi ha chiesto, in tono
supplichevole: «Non ti ho detto nulla, naturalmente.
Me lo giuri?».
«Giuro.»
Abbiamo taciuto un momentino per riflettere
un po'.
«E se scrivessi a Dio, Oscar?»
«Ah no, non lei, Nonna Rosa!»
«Cosa, non io?»
«Non lei! Credevo che non fosse bugiarda.»
«Ma non ti dico bugie...»
«Allora perché mi parla di Dio? Mi hanno già
raccontato la frottola di Babbo Natale. Una volta
basta!»
«Oscar, non c'è alcun rapporto fra Dio e Babbo
Natale.»
«Sì. È la stessa cosa. Ti riempiono la testa di
tutt'e due!»
«Immagini che io, una ex lottatrice di catch
con centosessanta tornei vinti su
centosessantacinque, di cui quarantatré per K. O., la
Strangolatrice del Languedoc, possa credere per un attimo
a Babbo Natale?»
«No.»
«Beh, io non credo a Babbo Natale ma credo
in Dio. Ecco.»
Ovviamente, detto così, cambiava tutto.
«E perché dovrei scrivere a Dio?»
«Ti sentiresti meno solo.»
«Meno solo con qualcuno che non esiste?»
«Fallo esistere.»
Si è chinata verso di me.
«Ogni volta che crederai in lui, esisterà un po'
di più. Se persisti, esisterà completamente.
Allora, ti farà del bene.»
«Che cosa posso scrivergli?»
«Confidagli i tuoi pensieri. I pensieri che non
dici sono pensieri che pesano, che si incrostano,
che ti opprimono, che ti immobilizzano, che
prendono il posto delle idee nuove e che ti
infettano. Diventerai una discarica di vecchi pensieri
che puzzano, se non parli.»
«O. K.»
«E poi, a Dio puoi domandare una cosa al
giorno. Attenzione! Una sola.»
«E una nullità, il suo Dio, Nonna Rosa.
Aladino aveva diritto a tre desideri con il genio della
lampada.»
«Un desiderio al giorno è meglio di tre in una
vita, no?»
«O. K. Allora posso ordinargli tutto? Giocattoli,
caramelle, un'auto...»
«No, Oscar. Dio non è Babbo Natale. Puoi
chiedere solo cose dello spirito.»
«Esempio?»
«Esempio: del coraggio, della pazienza, dei
chiarimenti.»
«O. K. Capisco.»
«E puoi anche, Oscar, suggerirgli dei favori
per gli altri.»
«Non esageriamo, Nonna Rosa, un desiderio
al giorno me lo tengo per me!»
Ecco. Allora Dio, in occasione di questa prima
lettera, ti ho mostrato un po'"il genere di vita che
conduco qui, all'ospedale, dove adesso mi
considerano come un ostacolo alla medicina, e mi
piacerebbe chiederti un chiarimento: guarirò?
Rispondi di sì o di no. Non è molto complicato. Sì
o no. Ti basta cancellare la menzione inutile.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Non ho il tuo indirizzo: come faccio?
***
Caro Dio,
bravo! Sei fortissimo. Addirittura prima che
abbia impostato la lettera, mi hai dato la risposta.
Come fai?
Stamattina giocavo a scacchi con Einstein
nella sala di ricreazione quando Pop Corn è
venuto ad avvertirmi: «Ci sono i tuoi genitori».
«I miei genitori? Non è possibile. Vengono
solo la domenica.»
«Ho visto l'auto, la jeep rossa con il tettuccio
bianco.»
«Non è possibile.»
Ho alzato le spalle e ho continuato a giocare
con Einstein. Ma siccome ero preoccupato,
Einstein si fregava tutti i miei pezzi e la cosa mi ha
innervosito ancora di più. Se lo chiamiamo
Einstein non è perché sia più intelligente degli altri,
ma perché ha la testa molto più grossa. Sembra
che dentro ci sia dell'acqua. Peccato, se ci fosse
stato del cervello, avrebbe potuto fare grandi
cose, Einstein.
Quando ho visto che stavo per perdere, ho
smesso di giocare e ho seguito Pop Corn, la cui
camera da sul parcheggio. Aveva ragione: i miei
genitori erano arrivati.
Devo dirti, Dio, che abitiamo lontano, i miei
genitori e io. Non me ne rendevo conto quando
ci abitavo, ma adesso che non ci abito più trovo
che è veramente lontano. Perciò i miei genitori
possono venirmi a trovare solo una volta alla
settimana, la domenica, perché la domenica non
lavorano e io nemmeno.
«Vedi che avevo ragione» ha detto Pop Corn.
«Cosa mi dai per averti avvertito?»
«Ho dei cioccolatini alle nocciole.»
«Non hai più delle fragole Tagada?»
«No.»
«O. K., vada per i cioccolatini.»
Ovviamente non si ha il diritto di dar da
mangiare a Pop Corn, visto che si trova qui per
dimagrire. Novantotto chili a nove anni, un metro e
dieci di altezza per un metro e dieci di larghezza!
Il solo indumento in cui entri completamente è
una tuta sportiva americana, le cui righe
sembrano avere il mal di mare. Francamente,
siccome siamo convinti che non potrà mai smettere
di essere grasso e ci fa pietà tanto la fame lo
tormenta, gli diamo sempre i nostri avanzi. Un
cioccolatino è minuscolo rispetto a una tale massa di
lardo! Se abbiamo torto, allora anche le
infermiere smettano di infilargli delle supposte.
Sono ritornato nella mia stanza ad aspettare i
miei genitori. All'inizio non ho visto passare i
minuti perché ero senza fiato, poi mi sono reso
conto che avevano avuto quindici volte il tempo
di arrivare da me.
A un tratto, ho capito dov'erano. Mi sono
infilato nel corridoio e, di nascosto, sono sceso dalle
scale; poi ho camminato nella penombra fino
allo studio del dottor Dusseldorf.
Bingo! Erano là. Le voci mi arrivavano da
dietro la porta. Siccome ero sfinito per la discesa, mi
sono fermato alcuni secondi per rimettermi il
cuore a posto e allora tutto si è guastato. Ho
sentito quello che non avrei dovuto sentire. Mia
madre singhiozzava, il dottor Dusseldorf
ripeteva: «Abbiamo provato di tutto, credetemi, le
abbiamo tentate tutte» e mio padre rispondeva
con voce soffocata: «Ne sono sicuro, dottore, ne
sono sicuro».
Sono rimasto con l'orecchio incollato alla
porta di ferro. Non sapevo più che cosa fosse più
freddo, se il metallo o io.
Poi il dottor Dùsseldorf ha detto: «Volete
abbracciarlo?».
«Non ne avrò mai il coraggio» ha detto mia
madre.
«Non deve vederci in questo stato» ha
aggiunto mio padre.
Ed è stato allora che ho capito che i miei
genitori erano due vigliacchi. Peggio: due vigliacchi
che mi prendevano per un vigliacco!
Siccome dallo studio arrivava il rumore di
sedie che si spostavano, ho intuito che stavano
per uscire e ho aperto la prima porta che mi sono
trovato davanti.
È così che mi sono ritrovato nel ripostiglio
delle scope dove ho passato il resto della mattinata
perché, forse non lo sai, Dio, ma i ripostigli delle
scope si aprono dall'esterno, non dall'interno...
come se avessero paura che di notte le scope, i
secchi e gli strofinacci tagliassero la corda!
A ogni modo, non mi dava fastidio trovarmi
rinchiuso al buio, perché non avevo più voglia di
vedere nessuno e perché le gambe e le braccia
non mi rispondevano più tanto bene, dopo il
colpo che avevo ricevuto sentendo quello che
avevo sentito.
Verso mezzogiorno, ho udito un gran
trambusto al piano di sopra. Ascoltavo i passi, le corse. Poi
si sono messi a gridare il mio nome dappertutto:
«Oscar! Oscar!».
Mi faceva bene sentirmi chiamare e non
rispondere. Avevo voglia di scocciare il mondo intero.
Dopo, credo di aver dormito un po', poi ho
percepito il ciabattare della signora N'da, la
donna delle pulizie. Ha aperto la porta e ci siamo
fatti paura l'un l'altra e abbiamo urlato
fortissimo: lei perché non si aspettava di trovarmi là
dentro, io perché non mi ricordavo che fosse così
nera. Né che gridasse così forte.
Dopo c'è stata una bella confusione. Sono
venuti tutti: il dottor Dûsseldorf, la capoinfermiera,
le infermiere di servizio, le altre donne delle
pulizie. Invece di sgridarmi, come avrei creduto,
sembravano sentirsi tutti in colpa e ho capito che
bisognava approfittare in fretta della situazione.
«Voglio vedere Nonna Rosa.»
«Ma dove ti eri cacciato, Oscar? Come ti senti?»
«Voglio vedere Nonna Rosa.»
«Come sei finito in quel ripostiglio? Hai
seguito qualcuno? Hai sentito qualcosa?»
«Voglio vedere Nonna Rosa.»
«Bevi un bicchiere d'acqua.»
«No. Voglio vedere Nonna Rosa.»
«Prendi una boccata di...»
«No. Voglio vedere Nonna Rosa.»
Un pezzo di granito. Una roccia. Una lastra di
cemento. Niente da fare. Non ascoltavo
nemmeno più quello che mi dicevano. Volevo vedere
Nonna Rosa.
Davanti ai suoi colleghi, il dottor Dùsseldorf
appariva piuttosto seccato di non avere alcuna
autorità su di me. Ha finito col cedere.
«Chiamate quella signora!»
Allora ho acconsentito a riposarmi e ho
dormito un po'"nella mia stanza.
Quando mi sono svegliato, Nonna Rosa era lì.
Sorrideva.
«Bravo, Oscar, ce l'hai fatta. È stato un bello
schiaffo per loro. Ma il risultato è che adesso mi
invidiano.»
«Ce ne freghiamo.»
«Sono brave persone, Oscar. Bravissime.»
«Me ne sbatto.»
«Che cosa c'è che non va?»
«Il dottor Dùsseldorf ha detto ai miei genitori
che sarei morto e loro sono scappati. Li detesto.»
Le ho raccontato tutto nei particolari, come a
te, Dio.
«Mmm» ha fatto Nonna Rosa «mi ricorda il mio
torneo a Béthune contro Sarah Youp La Boum, la
lottatrice dal corpo unto d'olio, l'anguilla dei
ring, un'acrobata che si batteva quasi nuda e che
ti sgusciava fra le mani quando cercavi di farle
una presa. Combatteva solo a Béthune dove
vinceva ogni anno la coppa di Béthune. Beh, io la
volevo, la coppa di Béthune!»
«Che cos'ha fatto, Nonna Rosa?»
«Dei miei amici le hanno gettato addosso della
farina quando è salita sul ring. Olio più farina,
era pronta da friggere. In tre croci e due
movimenti, l'ho spedita al tappeto, Sarah Youp La
Boum. Dopo di me, non la chiamavano più
l'anguilla dei ring, ma il merluzzo impanato!»
«Mi scuserà, Nonna Rosa, ma non riesco
proprio a capire il paragone.»
«Ma è lampante! C'è sempre una soluzione,
Oscar, c'è sempre un sacco di farina da qualche
parte. Dovresti scrivere a Dio. E" più forte di me.»
«Anche per il catch?»
«Sì. Anche per il catch, Dio sa il fatto suo.
Prova, Oscar. Che cos'è che ti fa più male?»
«Detesto i miei genitori.»
«Allora detestali moltissimo.»
«È lei a dirmelo, Nonna Rosa?»
«Sì. Detestali moltissimo. Quando ti sarai
sfogato, ti accorgerai che non era il caso. Racconta
tutto a Dio e, nella tua lettera, chiedigli di venirti
a trovare.»
«Lui si sposta?»
«A modo suo. Non spesso. Addirittura di rado.»
«Perché? È malato anche lui?»
Allora ho capito dal sospiro di Nonna Rosa
che non voleva confessarmi che anche tu, Dio, sei
messo male.
«I tuoi genitori non ti hanno mai parlato di
Dio, Oscar?»
«Lasci perdere. I miei genitori sono dei cretini.»
«Certo. Ma non ti hanno mai parlato di Dio?»
«Sì. Solo una volta. Per dire che non ci
credevano. Loro credono giusto a Babbo Natale.»
«Sono proprio così cretini, Oscar?»
«Non se lo immagina! Il giorno in cui sono
tornato da scuola dicendo loro che dovevano finirla
di raccontare fesserie, che sapevo, come tutti i
miei compagni, che Babbo Natale non esisteva,
avevano l'aria di cadere dalle nuvole. Siccome ero
piuttosto furioso di essere passato per un idiota
nel cortile della ricreazione, mi hanno giurato
che non avevano mai voluto ingannarmi e che
avevano creduto sinceramente che Babbo Natale
esistesse, e che erano molto delusi, ma davvero
molto delusi nell'apprendere che non era vero!
Due autentici deficienti, le dico, Nonna Rosa!»
«Dunque non credono in Dio?»
«No.»
«E la cosa non ti ha incuriosito?»
«Se mi interesso a quello che pensano i
cretini, non avrò più tempo per quello che pensano
le persone intelligenti.»
«Hai ragione. Ma il fatto che i tuoi genitori
che, secondo te, sono dei cretini...»
«Sì. Dei veri cretini, Nonna Rosa!»
«Dunque, se i tuoi genitori che si sbagliano
non ci credono, perché non dovresti crederci tu
e chiedergli una visita?»
«D'accordo. Ma non mi ha detto che è
infermo?»
«No. Ha un modo molto speciale di far visita.
Ti viene a trovare con il pensiero. Nel tuo spirito.»
Questo mi è piaciuto, l'ho trovato fortissimo.
Nonna Rosa ha aggiunto: «Vedrai: le sue visite
fanno un gran bene».
«O. K., gliene parlerò. Per il momento, le visite
che mi fanno più bene sono le sue.»
Nonna Rosa ha sorriso e, quasi timidamente,
si è chinata per darmi un bacio sulla guancia.
Non osava andare fino in fondo. Chiedeva il
permesso con lo sguardo.
«Su. Mi baci. Non lo dirò agli altri. Non voglio
rovinarle la reputazione di ex lottatrice.»
Le sue labbra si sono posate sulla mia guancia
e la cosa mi ha fatto piacere, ho sentito un calore,
un solletico, un profumo di cipria e di sapone.
«Quando torna?»
«Ho il diritto di venire solo due volte alla
settimana.»
«Non è possibile, Nonna Rosa! Non aspetterò
tre giorni!»
«È il regolamento.»
«Chi lo fa il regolamento?»
«Il dottor Dùsseldorf.»
«Il dottor Dùsseldorf, in questo momento, se
la fa addosso quando mi vede. Vada a chiedergli
il permesso, Nonna Rosa. Non scherzo.»
Mi ha guardato esitante.
«Non scherzo. Se non viene a trovarmi tutti i
giorni, io non scrivo a Dio.»
«Proverò.»
Nonna Rosa è uscita e mi sono messo a
piangere.
Prima non mi ero reso conto di quanto avessi
bisogno di aiuto. Non mi ero reso conto, prima,
di quanto fossi veramente malato. All'idea di non
vedere più Nonna Rosa, capivo tutto e mi
scioglievo in lacrime che mi bruciavano le guance.
Per fortuna ho avuto un po'"di tempo per
riprendermi prima che rientrasse.
«È tutto sistemato: ho il permesso. Per dodici
giorni posso venire a trovarti ogni giorno.»
«Me e me soltanto?»
«Te e te soltanto, Oscar. Dodici giorni.»
Allora non so che cosa mi ha preso, ho
ricominciato a singhiozzare. Eppure so che i ragazzi
non devono piangere, soprattutto io, con la mia
testa d'uovo, che non somiglio né a un ragazzo
né a una ragazza, ma piuttosto a un marziano.
Niente da fare. Non riuscivo a fermarmi.
«Dodici giorni? Va davvero così male, Nonna
Rosa?»
Anche lei aveva voglia di piangere. Si
tratteneva a fatica. L'ex lottatrice impediva alla ragazza
di un tempo di lasciarsi andare. Era bello da
vedere e mi ha distratto un po'.
«Che giorno è oggi, Oscar?»
«Diamine! Non vede il mio calendario? È il 20
dicembre.»
«Nel mio paese, Oscar, c'è una leggenda che
sostiene che, durante gli ultimi dodici giorni
dell'anno, si può indovinare che tempo farà nei
dodici mesi dell'anno seguente. Basta osservare
ogni giornata per avere, in miniatura, il quadro
del mese. Il 20 dicembre rappresenta gennaio, il
21 dicembre febbraio, e così via, fino al 31
dicembre che prefigura il dicembre seguente.»
«È vero?»
«È una leggenda. La leggenda dei dodici giorni
divinatori. Vorrei che ci giocassimo, tu e io.
Soprattutto tu. A partire da oggi, osserverai ogni giorno
come se ciascuno contasse per dieci anni.»
«Dieci anni?»
«Sì. Un giorno: dieci anni.»
«Allora, fra dodici giorni, avrò centovent'anni!»
«Sì. Te ne rendi conto?»
Nonna Rosa mi ha baciato, ci prende gusto, lo
sento, e poi se n'è andata.
Allora ecco, Dio: stamattina sono nato e non
me ne sono reso conto bene; è diventato più
chiaro verso mezzogiorno, quando avevo cinque
anni, ho guadagnato in coscienza ma non è stato
per apprendere delle buone notizie; stasera ho
dieci anni ed è l'età della ragione. Ne approfitto
per chiederti una cosa: quando hai qualcosa da
annunciarmi, come a mezzogiorno per i miei
cinque anni, sii meno brutale. Grazie.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Ho una cosa da chiederti. So che ho
diritto a un solo desiderio, ma il mio desiderio di un
attimo fa più che un desiderio era un consiglio.
Sarei d'accordo per una visitina. Una visita in
spirito. Trovo la cosa fortissima. Mi piacerebbe
molto che me ne facessi una. Sono disponibile
dalle otto del mattino alle nove di sera. Il resto
del tempo dormo. Talvolta schiaccio dei pisolini
anche durante la giornata, a causa delle cure. Ma
se mi trovi così, non esitare a svegliarmi. Sarebbe
stupido mancare all'appuntamento per così
poco, no?
***
Caro Dio,
oggi ho vissuto la mia adolescenza e non è andato
tutto liscio. Che roba! Ho avuto un sacco di noie
con i miei amici, con i miei genitori e tutto a
causa delle ragazze. Stasera non sono scontento
di avere vent'anni perché mi dico che, uffa, il
peggio è alle spalle. La pubertà, grazie tante! Una
volta sola può bastare!
In primo luogo, Dio, ti faccio notare che non
sei venuto. Oggi ho dormito pochissimo, visti i
problemi di pubertà che ho avuto. Dunque mi
sarei accorto se ti fossi presentato. E poi, te lo
ripeto: se sonnecchio, scuotimi.
Al risveglio Nonna Rosa c'era già. Durante la
colazione mi ha raccontato i suoi combattimenti
contro Tetta Reale, una lottatrice belga, che
ingurgitava tre chili di carne cruda al giorno,
annaffiata da ettolitri di birra; sembra che l'arma
più potente di Tetta Reale fosse l'alito, a causa
della fermentazione carne- birra, e che solo quello
bastasse a mandare al tappeto le sue avversarie.
Per sconfiggerla, Nonna Rosa aveva dovuto
improvvisare una nuova tattica: mettere un
passamontagna, impregnarlo di lavanda e farsi
chiamare la Giustizierà di Carpentras. Il catch, dice
sempre, richiede anche dei muscoli nel cervello.
«Chi ti piace di più, Oscar?
«Qui? All'ospedale?»
«Sì.»
«Bacon, Einstein, Pop Corn.»
«E fra le ragazze?»
La domanda mi ha bloccato. Non avevo voglia
di rispondere. Ma Nonna Rosa aspettava e,
davanti a una lottatrice a livello internazionale, non
si può tergiversare più di tanto.
«Peggy Blue.»
Peggy Blue è la bambina blu. Sta nella
penultima stanza in fondo al corridoio. Sorride
gentilmente ma non parla quasi mai. Si direbbe una
fata che si riposi un po'"all'ospedale. Ha una
malattia complicata, la sindrome del bambino blu,
un problema di sangue che dovrebbe andare ai
polmoni e che non ci va, rendendo tutta la pelle
azzurrognola. È in attesa di un'operazione che la
renderà rosa. Io trovo che sia un peccato. La trovo
bellissima in blu, Peggy Blue. C'è un sacco di luce
e di silenzio attorno a lei, si ha l'impressione di
entrare in una cappella quando ci si avvicina.
«Glielo hai detto?»
«Non mi pianterò davanti a lei per dirle
"Peggy Blue, mi piaci tanto".»
«Sì. Perché non lo fai?»
«Non so nemmeno se sa che esisto.»
«Ragione di più.»
«Ha visto la testa che ho? Dovrebbe apprezzare
gli extraterrestri, e di questo non sono sicuro.»
«Io ti trovo molto bello, Oscar.»
Allora Nonna Rosa ha frenato un po'"la
conversazione. È piacevole sentire questo genere di
cose, fa drizzare i peli, ma non si sa più cosa
rispondere esattamente.
«Non voglio sedurre solo con il mio corpo,
Nonna Rosa.»»
«Che cosa provi per lei?»
«Ho voglia di proteggerla dai fantasmi.»
«Cosa? Ci sono dei fantasmi, qui?»
«Sì. Tutte le notti. Ci svegliano e non si sa
perché. Si ha male perché pizzicano. Si ha paura
perché non si vedono. Si fa fatica a riaddormentarsi.»
«Ne percepisci spesso, tu, di fantasmi?»
«No. Io ho un sonno molto profondo. Ma
Peggy Blue la sento spesso gridare la notte. Mi
piacerebbe molto proteggerla.»
«Vaglielo a dire.»
«A ogni modo, non potrei farlo veramente
perché, la notte, non si ha il permesso di lasciare
la propria stanza. È il regolamento.»
«I fantasmi conoscono il regolamento? No.
Sicuramente no. Sii furbo: se ti sentono annunciare
a Peggy Blue che monterai di guardia per
proteggerla da loro, non oseranno venire stasera.»
«Ma... ma...»
«Quanti anni hai, Oscar?»
«Non lo so. Che ore sono?»
«Le dieci. Vai per i quindici anni. Non credi
che sia ora di avere il coraggio dei tuoi
sentimenti?»
Alle dieci e mezzo mi sono deciso e sono
andato fino alla porta della sua stanza, che era
aperta.
«Ciao, Peggy, sono Oscar.»
Era sdraiata sul suo letto, sembrava
Biancaneve quando aspetta il principe, quando quei
coglioni di nani credono che sia morta, Biancaneve
come le foto di neve in cui la neve è azzurra e
non bianca.
Si è girata verso di me e allora mi sono chiesto
se mi avrebbe scambiato per il principe o per uno
dei nani. Io avrei detto «nano» a causa della mia
testa d'uovo, ma lei non ha aperto bocca ed è
questo il bello con Peggy Blue, che non dice mai
niente e che tutto resta misterioso.
«Sono venuto ad annunciarti che stasera e
tutte le sere a venire, se vuoi, monterò di
guardia davanti alla tua stanza per proteggerti dai
fantasmi.»
Mi ha guardato, ha battuto le ciglia e ho avuto
l'impressione che il film andasse al rallentatore,
che l'aria diventasse più rarefatta, il silenzio più
silenzioso, che camminassi come nell'acqua e che
tutto cambiasse avvicinandomi al suo letto,
illuminato da una luce che scendeva da chissà dove.
«Ehi, vacci piano, Testa d'uovo: sarò io a
montar di guardia a Peggy!»
Pop Corn stava nel vano della porta, o
piuttosto riempiva il vano della porta. Ho tremato.
Certo che, se avesse fatto lui la guardia, nessun
fantasma sarebbe più riuscito a passare.
Pop Corn ha strizzato l'occhio a Peggy.
«Eh, Peggy? Tu e io siamo amici, no?»
Peggy ha guardato il soffitto. Pop Corn ha
ritenuto fosse una conferma e mi ha trascinato fuori.
«Se vuoi una ragazza, prendi Sandrine. Peggy
è zona proibita.»
«Con quale diritto?»
«Con il diritto che ero qui prima di te. Se non
sei contento, possiamo batterci.»
«In realtà sono supercontento.»
Ero un po'"stanco e sono andato a sedermi
nella sala dei giochi, dove, per l'appunto, c'era
Sandrine. È leucemica come me, ma la sua cura
sembra riuscire. La chiamano la Cinese perché
porta una parrucca nera, lucida, dai capelli dritti,
con una frangia, che la fa somigliare a una
cinese. Mi guarda e fa scoppiare una bolla di
gomma americana.
«Puoi baciarmi, se vuoi.»
«Perché? La gomma non ti basta?»
«Non sei nemmeno capace, scemo. Sono
sicura che non lo hai mai fatto. »
«Questa poi, mi fai proprio ridere! A quindici
anni l'ho già fatto parecchie volte, posso
assicurartelo.»
«Hai quindici anni?» mi fa lei, sorpresa.
Controllo il mio orologio.
«Sì. Quindici anni passati.»
«Ho sempre sognato di essere baciata da un
grande di quindici anni.»
«Certo, è allettante.»
E allora mi fa una smorfia impossibile con le
labbra che spinge in avanti, simili a una ventosa
che si schiacci su un vetro e capisco che aspetta
un bacio.
Voltandomi, vedo tutti i compagni che mi
osservano. Non ho modo di tirarmi indietro. Devo
essere un uomo. E il momento.
Mi avvicino e la bacio. Mi afferra con le
braccia, non riesco più a staccarmi, sento del bagnato
e, tutt'a un tratto, senza avvertimenti, mi rifila la
sua gomma. Per la sorpresa, l'ho mandata giù.
Ero furioso.
È in quel momento che una mano mi ha
battuto sulla schiena. Le disgrazie non arrivano mai
sole: i miei genitori. Era domenica e lo avevo
scordato!
«Ci presenti la tua amica, Oscar?»
«Non è mia amica.»
«Ce la presenti lo stesso?»
«Sandrine. I miei genitori. Sandrine.»
«Sono lietissima di conoscervi» dice la Cinese
assumendo un'aria sdolcinata.
L'avrei strozzata.
«Vuoi che Sandrine venga con noi nella tua
stanza?»
«No. Sandrine resta qui.»
Tornato a letto, mi sono reso conto che ero
stanco e ho dormito un po'. A ogni modo, non
volevo parlare con loro.
Quando mi sono svegliato, ho visto che
naturalmente mi avevano portato dei regali. Da
quando sono ricoverato in permanenza
all'ospedale, i miei genitori hanno qualche
difficoltà con la conversazione; allora mi portano
dei regali e trascorrono dei pomeriggi schifosi
a leggere le regole del gioco e le istruzioni per
l'uso. Mio padre si accanisce nello studio dei
foglietti illustrativi: anche quando sono in
turco o in giapponese, non si scoraggia. È
campione del mondo del pomeriggio domenicale
sciupato.
Oggi mi ha portato un lettore di compact. Non
l'ho potuto criticare anche se ne avevo voglia.
«Non siete venuti ieri?»
«Ieri? Perché mai? Possiamo solo la domenica.
Che cosa te lo fa pensare?»
«Qualcuno ha visto la vostra auto nel
parcheggio.»
«Non c'è una sola jeep rossa al mondo. Le
macchine sono intercambiabili.»
«Sì. Non sono come i genitori. Peccato.»
Sono rimasti impietriti. Allora ho preso il
lettore e ho ascoltato per due volte Lo schiaccianoci,
senza fermarmi, davanti a loro. Due ore senza
che potessero dire una parola. Sistemati.
«Ti piace?»
«Sì. Ho sonno.»
Hanno capito che dovevano andarsene. Erano
a disagio in modo evidente. Non riuscivano a
decidersi. Sentivo che volevano dirmi delle cose e
che non ce la facevano. Era bello vederli soffrire
a loro volta.
Poi mia madre si è precipitata contro di me,
mi ha stretto molto forte, troppo forte, e ha detto
con voce scossa: «Ti voglio bene, mio piccolo
Oscar, ti voglio tanto bene».
Avrei voluto resistere, ma all'ultimo momento
l'ho lasciata fare, mi ricordava il tempo passato, il
tempo delle coccole pure e semplici, il tempo in
cui non aveva un tono angosciato per dirmi che
mi voleva bene.
Dopo credo di essermi addormentato un po'.
Nonna Rosa è la campionessa del risveglio.
Arriva sempre al traguardo, nel momento in cui
apro gli occhi. E in quel momento ha sempre un
sorriso.
«Allora, i tuoi genitori?»
«Nulli come al solito. Beh, mi hanno regalato
Lo schiaccianoci.»
«Lo schiaccianoci? Questa è bella. Avevo
un'amica che si chiamava così. Una campionessa
formidabile. Spezzava il collo delle sue avversarie fra
le cosce. E Peggy Blue, sei andato a trovarla?»
«Non me ne parli. È fidanzata con Pop Corn.»
«Te lo ha detto lei?»
«No, è stato lui.»
«Un bluff!»
«Non credo. Sono sicuro che le piace più di
me. È più forte, più rassicurante.»
«Un bluff, ti dico! Io, che sembravo un topo
sul ring, ne ho battute tante di lottatrici che
somigliavano a balene o a ippopotami. Per
esempio, Plum Pudding, l'irlandese, centocinquanta
chili a digiuno in slip prima della sua Guinness,
avambraccia come cosce, bicipiti come prosciutti,
gambe come colonne. Niente vita, impossibili le
prese. Imbattibile!»
«Come ha fatto?»
«Quando non è possibile la presa, vuol dire
che una è rotonda e che rotola. L'ho fatta
correre, per stancarla, e poi l'ho atterrata, Plum
Pudding. Ci è voluto un argano per rialzarla. Tu,
Oscar, hai l'ossatura leggera e poca ciccia,
questo è certo, ma la seduzione non dipende solo
dall'osso e dalla carne, dipende anche dalle
qualità del cuore. E di qualità del cuore tu ne hai in
abbondanza.»
«Io?»
«Và a trovare Peggy Blue e dille quello che hai
sullo stomaco.»
«Sono un po'"stanco.»
«Stanco? Che età hai a quest'ora? Diciott'anni?
A diciott'anni non si è mai stanchi.»
Nonna Rosa ha un modo di parlare che dà
energia.
La notte era scesa, i rumori risuonavano più
forti nella penombra, il linoleum del corridoio
rifletteva la luna.
Sono entrato da Peggy e le ho allungato il mio
lettore di compact.
«Tieni. Ascolta il valzer dei fiocchi di neve. È
talmente bello che mi fa pensare a te.»
Peggy ha ascoltato il valzer dei fiocchi di neve.
Sorrideva come se il valzer fosse un vecchio
amico che le raccontava cose buffe all'orecchio.
Mi ha restituito l'apparecchio e mi ha detto:
«È bello».
Era la sua prima parola. È carina, no, come
prima parola?
«Peggy Blue, volevo dirti: non voglio che ti
faccia operare. Sei bella così. Sei bella in blu.»
Ho visto bene che le mie parole le facevano
piacere. Non lo avevo detto per questo, ma era
chiaro che le faceva piacere.
«Voglio che sia tu, Oscar, a proteggermi dai
fantasmi.»
«Conta su di me, Peggy.»
Ero fiero da matti. Alla fine, ero stato io a
vincere!
«Baciami.»
E" veramente una cosa da ragazze il bacio,
come se per loro fosse davvero un bisogno. Ma
Peggy, a differenza della Cinese, non è una
viziosa, mi ha teso la guancia e darle un bacio è
piaciuto anche a me, per davvero.
«Buonanotte, Peggy.»
«Buonanotte, Oscar.»
Ecco, Dio, questa è stata la mia giornata.
Capisco che l'adolescenza venga definita l'età ingrata.
È dura. Ma alla fine, a vent'anni suonati, le cose
si aggiustano. Allora ti rivolgo la mia richiesta del
giorno: vorrei che Peggy e io ci sposassimo. Non
sono certo che il matrimonio appartenga alle
cose dello spirito, se è questo il tuo settore.
Esaudisci questo genere di desiderio, il desiderio da
agenzia matrimoniale? Se non è di tua
competenza, dimmelo al più presto affinché possa
rivolgermi alla persona giusta. Senza voler metterti
fretta, ti segnalo che non ho molto tempo.
Dunque: matrimonio di Oscar e Peggy Blue. Sì o no.
Vedi se ce la fai, la cosa mi andrebbe proprio.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. A proposito: qual è, insomma, il tuo
indirizzo?
***
Caro Dio,
ecco fatto, sono sposato. È il 22 dicembre, mi
avvicino ai trent'anni e mi sono sposato. Per i figli,
Peggy Blue e io abbiamo deciso di rimandare a
più avanti. In effetti, credo che non sia pronta.
È successo stanotte.
Verso l'una del mattino ho sentito i lamenti di
Peggy Blue che mi hanno fatto saltar su a sedere
sul letto. I fantasmi! Peggy Blue era tormentata
dai fantasmi mentre le avevo promesso di
montare di guardia. Si sarebbe resa conto che ero un
incapace, non mi avrebbe più rivolto la parola e
avrebbe avuto ragione.
Mi sono alzato e ho camminato fino alle urla.
Arrivando alla stanza di Peggy, l'ho vista seduta
sul letto che mi guardava venire, sorpresa.
Anch'io dovevo avere un'aria stupita, poiché
all'improvviso avevo Peggy Blue di fronte a me intenta
a fissarmi con la bocca chiusa, eppure continuavo
a sentire le grida.
Allora ho proseguito fino alla porta seguente e
ho capito che era Bacon che si torceva nel letto a
causa delle sue ustioni. Per un attimo mi sono
sentito la coscienza sporca, ho ripensato al giorno
in cui avevo appiccato il fuoco alla casa, al gatto,
al cane, quando avevo persino arrostito i pesci
rossi (beh, credo che più che altro siano bolliti).
Ho pensato a quello che dovevano aver vissuto e
mi sono detto che, dopotutto, era meglio che ci
fossero rimasti piuttosto che avere
continuamente a che fare con i ricordi e le ustioni, come
Bacon, malgrado gli innesti e le creme.
Bacon si è raggomitolato e ha smesso di
gemere. Sono ritornato da Peggy Blue.
«Allora non eri tu, Peggy? Ho sempre
immaginato che fossi tu a gridare la notte.»
«E io credevo che fossi tu...»
Stentavamo a credere a ciò che succedeva e a
ciò che ci dicevamo: in realtà ciascuno pensava
all'altro da un pezzo.
Peggy Blue è diventata ancora più blu, il che
significava che era molto imbarazzata.
«Che cosa fai, adesso, Oscar?»
«E tu, Peggy?»
50
È pazzesco quanti punti in comune abbiamo,
le stesse idee, le stesse domande.
«Vuoi dormire con me?»
Le ragazze sono incredibili. Io, una frase così,
ci avrei messo delle ore, delle settimane, dei mesi
a rimuginarla nella mia testa prima di
pronunciarla. Lei, invece, me l'ha detta così, con
naturalezza e semplicità.
«O. K.»
E sono salito sul suo letto. Si stava un poco
stretti ma abbiamo passato una notte
straordinaria. Peggy Blue profuma di nocciola e ha la pelle
morbida come la mia all'interno delle braccia,
ma lei è morbida dappertutto. Abbiamo dormito
molto, sognato molto, ci siamo tenuti stretti, ci
siamo raccontati le nostre vite.
Certo che al mattino, quando la signora
Gommette, la capoinfermiera, ci ha trovati insieme, è
stato uno spettacolo. Si è messa a urlare, anche
l'infermiera di notte si è messa a urlare, si sono
urlate addosso, poi se la sono presa con Peggy e
con me, le porte sbattevano, prendevano gli altri
a testimone, ci trattavano da «piccoli sciagurati»
mentre noi eravamo molto felici e ci è voluto
l'arrivo di Nonna Rosa per mettere fine al concerto.
«Volete lasciare in pace questi bambini?
Dovete soddisfare i pazienti o attenervi al
regolamento? Non me ne frega niente del vostro
regolamento, me lo metto sotto i piedi. Adesso,
silenzio. Andate ad accapigliarvi altrove. Non siamo in
uno spogliatoio, qui.»
Non era possibile replicare, come sempre con
Nonna Rosa. Mi ha riportato nella mia stanza e
ho dormito un po'.
Al risveglio, abbiamo potuto chiacchierare.
«Allora, Oscar, è una cosa seria con Peggy?»
«Serissima, Nonna Rosa. Sono strafelice. Ci
siamo sposati stanotte.»
«Sposati?»
«Sì. Abbiamo fatto tutto ciò che fanno un
uomo e una donna che sono sposati.»
«Ah, davvero?»
«Per chi mi prende? Ho... che ore sono... ho
vent'anni passati, conduco la mia vita come
voglio, no?»
«Certo.»
«E poi si figuri che tutte le cose che prima mi
disgustavano, quando ero giovane, i baci, le
carezze, beh, alla fin fine, mi sono piaciute. È buffo
come si cambia, no?»
«Sono contentissima per te, Oscar. Cresci bene.»
«C'è solo una cosa che non abbiamo fatto: il
bacio lingua in bocca. Peggy Blue aveva paura di
restare incinta. Che cosa ne pensa?»
«Penso che abbia ragione.»
«Ah, davvero? È possibile avere dei bambini
se ci si bacia sulla bocca? Allora ne avrò con la
Cinese.»
«Calmati, Oscar, ci sono però scarse
probabilità. Scarsissime.»
Sembrava sicura di sé, Nonna Rosa, e questo
mi ha calmato un po'"perché, devo dirlo a te,
Dio, e solo a te, con Peggy Blue, una volta,
addirittura due, addirittura di più, ci eravamo messi la
lingua in bocca.
Ho dormito un po'. Abbiamo pranzato
insieme, Nonna Rosa e io, e ho cominciato a stare
meglio.
«Com'ero stanco, stamattina!»
«È normale, fra i venti e i venticinque anni. Si
esce la sera, si gozzoviglia, si fa la bella vita, non
ci si risparmia. E questo si paga. Se andassimo a
trovare Dio?»
«Ah, ecco, ha il suo indirizzo?»
«Penso che sia nella cappella.»
Nonna Rosa mi ha vestito come se si partisse
per il Polo Nord, mi ha preso fra le sue braccia e
mi ha accompagnato alla cappella che si trova in
fondo al parco dell'ospedale, oltre i prati gelati.
Insomma, non sto a spiegarti dov'è, visto che è
casa tua.
È stato un colpo quando ho visto la tua statua,
insomma, quando ho visto in che stato eri, quasi
nudo, magro magro sulla tua croce, con delle
ferite dappertutto, il cranio sanguinante sotto le
spine e la testa che non stava nemmeno più sul
collo. Mi ha dato da pensare. Mi sono sentito
rivoltare. Se fossi Dio, io, come te, non mi sarei
lasciato ridurre in quel modo.
«Nonna Rosa, sia seria: lei che era lottatrice di
catch, lei che è stata una grande campionessa,
non si fiderà di quell'essere!»
«Perché, Oscar? Daresti più credito a Dio se
vedessi un culturista con i muscoli gonfi, la pelle
unta d'olio, i capelli corti e il minislip che ne fa
risaltare la virilità?»
«Beh...»
«Rifletti, Oscar. A chi ti senti più vicino? A un
Dio che non prova niente o a un Dio che soffre?»
«A quello che soffre, ovviamente. Ma se fossi
lui, se fossi Dio, se, come lui, avessi i mezzi, avrei
evitato di soffrire.»
«Nessuno può evitare di soffrire. Né Dio né tu.
Né i tuoi genitori né io.»
«Bene. D'accordo. Ma perché soffrire?»
«Per l'appunto. C'è sofferenza e sofferenza.
Guarda meglio il suo viso. Osserva. Sembra che
soffra?»
«No. È curioso. Non sembra che abbia male.»
«Ecco. Bisogna distinguere due pene, Oscar, la
sofferenza fisica e la sofferenza morale. La
sofferenza fisica la si subisce. La sofferenza morale la
si sceglie.»
«Non capisco.»
«Se ti piantano dei chiodi nei polsi o nei piedi,
non puoi far altro che avere male. Subisci. Invece,
all'idea di morire, non sei obbligato ad avere
male. Non sai che cos'è. Dipende dunque da te.»
«Ne conosce, lei, di persone che si rallegrano
all'idea di morire?»
«Sì, ne conosco. Mia madre era così. Sul suo
letto di morte, sorrideva di avidità, era
impaziente, aveva fretta di scoprire che cosa sarebbe
successo.»
Non potevo più discutere. Dato che
m'interessava conoscere il seguito, ho lasciato passare un
po' di tempo riflettendo su quanto mi diceva.
«Ma la maggior parte delle persone sono senza
curiosità. Si aggrappano a ciò che hanno, come il
pidocchio nell'orecchio di un calvo. Prendi Plum
Pudding, per esempio, la mia rivale irlandese,
centocinquanta chili a digiuno e in slip prima
della sua Guinness. Mi diceva sempre: "
Spiacente, io non morirò, non sono d'accordo, non
ho sottoscritto". Si sbagliava. Nessuno le aveva
detto che la vita doveva essere eterna, nessuno! Si
intestardiva a crederlo, si ribellava, rifiutava
l'idea di morire, si infuriava, è caduta in
depressione, è dimagrita, si è ritirata dall'attività
sportiva, non pesava ormai che trentacinque chili,
sembrava una lisca di sogliola, ed è finita in pezzi.
Vedi, è morta lo stesso, come tutti, ma l'idea di
morire le ha rovinato la vita.»
«Era idiota, Plum Pudding, Nonna Rosa.»
«Come tanti.»
Ho assentito con la testa perché ero
abbastanza d'accordo.
«Le persone temono di morire perché hanno
paura dell'ignoto. Ma per l'appunto, che cos'è
l'ignoto? Ti propongo, Oscar, di non aver paura
ma fiducia. Guarda il viso di Dio sulla croce:
subisce il dolore fisico, ma non prova dolore
morale perché ha fiducia. Perciò i chiodi lo fanno
soffrire meno. Si ripete: mi fa male ma non può
essere un male. Ecco! È questo il benefìcio della
fede. Volevo mostrartelo.»
«O. K., Nonna Rosa, quando avrò fifa, mi
sforzerò di aver fiducia.»
Mi ha baciato. In fondo si stava bene in quella
chiesa deserta con te, Dio, che avevi un'aria così
tranquilla.
Al ritorno ho dormito a lungo. Ho sempre più
sonno. Come un desiderio irresistibile di
dormire. Svegliandomi, ho detto a Nonna Rosa: «In
realtà non ho paura dell'ignoto. È solo che mi
secca perdere quello che conosco».
«Sono come te, Oscar. Se proponessimo a
Peggy Blue di venire a prendere il té con noi?»
Peggy Blue ha preso il té con noi, si intendeva
benissimo con Nonna Rosa, abbiamo riso un
sacco quando Nonna Rosa ci ha raccontato il suo
combattimento con le Sorelle Giclette, tre sorelle
gemelle che si facevano passare per una sola.
Dopo ogni ripresa, la Giclette che aveva sfinito
l'avversaria saltellando come una cavalletta
balzava fuori del ring con il pretesto di dover andare
a fare la pipì, si precipitava al gabinetto ed era la
sorella a ritornare in piena forma per il nuovo
round. E così via. Tutti credevano che ci fosse
una sola Giclette, che fosse una saltatrice
instancabile. Nonna Rosa ha scoperto il trucco, ha
chiuso le due sostitute nel gabinetto gettando la
chiave dalla finestra e ha battuto quella che
restava. È uno sport astuto, il catch.
Poi Nonna Rosa se n'è andata. Le infermiere
sorvegliano Peggy Blue e me, come se fossimo
dei petardi pronti a esplodere. Merda, ho
trent'anni, però! Peggy Blue mi ha giurato che
stasera sarà lei a raggiungermi non appena potrà;
in cambio le ho giurato che stavolta non le
infilerò la lingua in bocca.
È vero, avere dei bambini non è tutto, bisogna
anche avere il tempo di allevarli.
Ecco, Dio. Non so che cosa chiederti stasera
perché è stata una bella giornata. Sì. Fà che
l'operazione di Peggy Blue, domani, vada bene. Non
come la mia, se capisci quello che voglio dire.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Le operazioni non sono cose dello spirito,
forse non ce le hai in magazzino. Allora fà in
modo che, qualunque sia il risultato
dell'operazione, Peggy Blue lo prenda bene. Conto su di te.
***
Caro Dio,
Peggy Blue è stata operata oggi. Ho trascorso
dieci anni terribili. È dura la trentina, è l'età
delle preoccupazioni e delle responsabilità.
In realtà, Peggy non ha potuto raggiungermi
stanotte perché la signora Ducru, l'infermiera di
notte, è rimasta nella sua stanza per prepararla
all'anestesia. La barella l'ha portata via verso le
otto. Ho avuto una stretta al cuore quando ho
visto passare Peggy sul letto a rotelle, la si vedeva
appena sotto le lenzuola verde smeraldo tanto
era piccola ed esile.
Nonna Rosa mi ha tenuto la mano per evitare
che m'innervosissi.
«Nonna Rosa, perché il tuo Dio permette che
ci siano persone come Peggy e me?»
«È una fortuna che sia così, Oscar, perché la
vita sarebbe meno bella senza di voi.»
«No. Non capisce. Perché Dio permette che
siamo malati? O è cattivo, o non è molto forte.»
«Oscar, la malattia è come la morte. È un fatto.
Non è una punizione.»
«Si vede che lei non è malata!»
«Che cosa ne sai, Oscar?»
Questa non me l'aspettavo. Non avevo mai
pensato che Nonna Rosa, che è sempre così
disponibile, così attenta, potesse avere dei
problemi personali.
«Non deve nascondermi le cose, Nonna Rosa,
può dirmi tutto. Ho almeno trentadue anni, un
cancro, una moglie in sala operatoria: la vita la
conosco.»
«Ti voglio bene, Oscar.»
«Anch'io. Che cosa posso fare per lei se ha dei
guai? Vuole che l'adotti?»
«Adottarmi?»
«Sì, ho adottato anche Bernard quando ho
visto che era giù di corda.»
«Bernard?»
«Il mio orsacchiotto. Là. Nell'armadio. Sul
ripiano. E il mio vecchio orsacchiotto, non ha più
occhi, né bocca, né naso, ha perso la metà della
sua imbottitura e ha delle cicatrici dappertutto.
Le somiglia un po'. L'ho adottato la sera in cui
quegli idioti dei miei genitori mi hanno portato
un orsacchiotto nuovo. Come se avessi potuto
accettare di averne uno nuovo! Già che c'erano,
non avevano che da sostituirmi con un figlioletto
nuovo di zecca! Quindi l'ho adottato. Gli lascerò
tutto quello che ho, a Bernard. Voglio adottare
anche lei, se la cosa le facesse piacere.»
«Sì. Lo voglio davvero. Credo che la cosa mi
rassicurerebbe, Oscar.»
«Allora qua la mano, Nonna Rosa.»
Poi siamo andati a preparare la camera di
Peggy, a portare i cioccolatini, a mettere dei fiori
per il suo ritorno.
Dopo ho dormito. È pazzesco quanto dormo
in questo momento.
Verso la fine del pomeriggio, Nonna Rosa mi
ha svegliato dicendomi che Peggy Blue era
tornata e che l'operazione era riuscita.
Siamo andati insieme a trovarla. I genitori
stavano al suo capezzale. Ignoro chi li avesse
avvertiti, Peggy o Nonna Rosa, ma sembravano sapere
chi fossi, mi hanno trattato con molto rispetto,
mi hanno fatto sedere in mezzo a loro e ho
potuto vegliare mia moglie con i miei suoceri.
Ero contento perché Peggy era sempre
azzurrognola. Il dottor Dusseldorf è passato, si è sfregato
le sopracciglia e ha detto che nelle ore
seguenti il colore sarebbe cambiato. Ho guardato
la madre di Peggy che non è blu ma molto bella
lo stesso e mi sono detto che dopotutto Peggy,
mia moglie, poteva avere il colore che voleva
tanto l'avrei amata ugualmente.
Peggy ha aperto gli occhi, ci ha sorriso, a me e
ai suoi genitori, poi si è riaddormentata.
I suoi genitori erano rassicurati ma dovevano
andarsene.
«Ti affidiamo nostra figlia» mi hanno detto.
«Sappiamo di poter contare su di te.»
Con Nonna Rosa ho resistito finché Peggy ha
aperto gli occhi una seconda volta, poi sono
andato a riposarmi nella mia stanza.
Finendo la mia lettera, mi rendo conto che
oggi, tutto sommato, è stata una buona giornata.
Una giornata dedicata alla famiglia. Ho adottato
Nonna Rosa, ho simpatizzato con i miei suoceri e
mia moglie è in buona salute, anche se, verso le
undici, ha cominciato a diventare rosa.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Niente desiderio oggi. Così ti riposerai.
***
Caro Dio,
oggi ho avuto da quaranta a cinquant'anni e ho
fatto solo delle fesserie.
Racconto le cose in fretta perché non
meritano di più. Peggy Blue sta bene ma la Cinese,
mandata da Pop Corn, che non mi può più
vedere, è andata a spifferarle che l'avevo baciata
sulla bocca.
Perciò Peggy mi ha detto che fra lei e me era
finita. Ho protestato, ho detto che con la Cinese
era stato un errore di gioventù, che era successo
assai prima di lei, e che non poteva farmi pagare
il mio passato tutta la vita.
Ma lei ha tenuto duro. È addirittura diventata
amica della Cinese per farmi arrabbiare e le ho
sentite che ridevano insieme.
Perciò quando Brigitte, la trisomica, che si
appiccica sempre a tutti perché nei Down
l'affettuosità è normale, è venuta a salutarmi nella mia
stanza, ho lasciato che mi baciasse dappertutto.
Era pazza di gioia che glielo permettessi.
Sembrava un cane intento a fare le feste al suo
padrone. Il problema è che Einstein si trovava nel
corridoio. Ha forse dell'acqua nel cervello ma
non delle fette di prosciutto sugli occhi. Ha visto
tutto ed è andato a raccontarlo a Peggy e alla
Cinese. Tutto il piano adesso mi tratta come uno
che corre dietro alle ragazze, mentre non mi
sono mosso dalla mia stanza.
«Non so che cosa mi abbia preso con Brigitte,
Nonna Rosa...»
«Il demone meridiano, Oscar. Gli uomini sono
così, fra i quarantacinque e i cinquant'anni,
vogliono essere rassicurati, verificano di poter
piacere ad altre donne oltre che a colei che amano.»
«D'accordo, sono normale ma anche del tutto
idiota, no?»
«Sì. Sei del tutto normale.»
«Che cosa devo fare?»
«Chi ami?»
«Peggy. Solo Peggy.»
«Allora vai a dirglielo. Una giovane coppia è
fragile, sempre soggetta a scosse, ma bisogna
battersi per conservarla, se è quella buona.»
Domani, Dio, è Natale. Non mi ero mai reso
conto che fosse il tuo compleanno. Fà in modo
che mi riconcili con Peggy perché non so se sia
per questo, ma sono molto triste stasera e non ho
più alcun coraggio.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Adesso che siamo amici, che cosa vuoi che
ti regali per il tuo compleanno?
***
Caro Dio,
stamattina, alle otto, ho detto a Peggy Blue che
l'amavo, che amavo solo lei e che non potevo
concepire la mia vita senza di lei. Si è messa a
piangere, mi ha confessato che la liberavo da un
grosso dispiacere, perché anche lei amava solo
me e non avrebbe mai trovato nessun altro,
soprattutto adesso che era rosa.
Allora, cosa curiosa, ci siamo ritrovati tutt'e
due a singhiozzare, ma era molto piacevole. E
bella, la vita di coppia. Soprattutto dopo la
cinquantina, quando si sono attraversate delle
prove.
Alle dieci in punto mi sono davvero reso conto
che era Natale, che non sarei potuto restare con
Peggy perché la sua famiglia (fratelli, zii, nipoti,
cugini) stava per piombare nella sua stanza e che
sarei stato obbligato a sopportare i miei genitori.
Che cosa mi avrebbero regalato ancora? Un
puzzle di diciottomila pezzi? Dei libri in curdo?
Una scatola di istruzioni per l'uso? Il mio ritratto
di quando ero in buona salute? Con due cretini
simili, che hanno l'intelligenza di un sacco della
spazzatura, l'orizzonte era minaccioso, potevo
temere di tutto. C'era un'unica certezza: quella che
avrei trascorso una giornata scema.
Mi sono deciso molto in fretta e ho organizzato
la mia fuga. Un po'"di baratto: i miei giocattoli a
Einstein, il mio piumino a Bacon e le mie
caramelle a Pop Corn. Un po'"di osservazione: Nonna
Rosa passava sempre dallo spogliatoio prima di
andarsene. Un po'"di previsione: i miei genitori non
sarebbero arrivati prima di mezzogiorno. Tutto è
andato bene: alle undici e mezzo Nonna Rosa mi
ha baciato augurandomi una buona giornata di
Natale con i miei genitori e poi è sparita al piano
degli spogliatoi. Ho fischiato. Pop Corn, Einstein e
Bacon mi hanno vestito in gran fretta, mi hanno
portato giù sollevandomi e mi hanno trascinato
fino al trabiccolo di Nonna Rosa, un'automobile
che deve risalire a prima dell'invenzione del
motore a scoppio. Pop Corn, che è molto bravo ad
aprire le serrature perché ha avuto la fortuna di
essere allevato in un quartiere degradato, ha scassinato
la portiera posteriore; gli altri mi hanno
gettato fra il sedile anteriore e quello posteriore. Poi
sono ritornati dentro alla chetichella.
Nonna Rosa, dopo un bel po', è salita nella sua
auto, l'ha fatta crepitare dieci, quindici volte
prima di avviarla, poi è partita a velocità folle. È
formidabile questo tipo di vettura antidiluviana,
fa talmente baccano che si ha l'impressione di
andare molto in fretta e si balla come sulle giostre.
Il problema è che Nonna Rosa aveva dovuto
imparare a guidare con un amico cascatore: non
rispettava né i semafori né i marciapiedi né le
rotonde sicché, ogni tanto, l'auto decollava.
Nell'abitacolo c'era un fracasso d'inferno, Nonna
Rosa si è sfogata a suonare il clacson e ha anche
arricchito il mio vocabolario lanciando ogni
sorta di imprecazioni per insultare i nemici che
le sbarravano la strada e mi sono detto ancora
una volta che il catch è stato proprio una buona
scuola di vita.
Avevo previsto, all'arrivo, di saltar su e di fare:
«Cucù, Nonna Rosa» ma la corsa a ostacoli per
giungere a casa sua è durata talmente che mi
sono dovuto addormentare.
Fatto sta che al mio risveglio era buio, faceva
freddo, c'era silenzio, e mi sono ritrovato da solo
sdraiato su un tappetino umido. È allora che ho
pensato per la prima volta di aver forse
commesso una sciocchezza.
Quando sono uscito dall'auto, si è messo a
nevicare. Però era molto meno piacevole del Valzer
dei fiocchi di neve ne Lo schiaccianoci. Battevo i
denti dal freddo.
Ho visto una grande casa illuminata. Ho
camminato a fatica. Per raggiungere il campanello,
ho dovuto fare un tal salto che mi sono accasciato
sullo zerbino.
È là che mi ha trovato Nonna Rosa.
«Ma... ma...» ha cominciato a dire.
Poi si è chinata verso di me e ha mormorato:
«Tesoro».
Allora ho pensato che forse non avevo
commesso una sciocchezza.
Mi ha portato nel suo salotto, dove aveva
preparato un grande albero di Natale che strizzava
gli occhi. Ero meravigliato di vedere com'era
bello da Nonna Rosa. Mi ha riscaldato accanto al
fuoco e abbiamo bevuto una tazzona di
cioccolata. Sospettavo che volesse assicurarsi che stessi
bene prima di sgridarmi. Io, perciò, andavo
piano a riprendermi, e del resto mi riusciva facile
poiché ero davvero sfinito.
«Tutti ti cercano all'ospedale, Oscar. Sono in
assetto da combattimento. I tuoi genitori sono
disperati. Hanno avvertito la polizia.»
«Non mi meraviglio di loro. Se sono
abbastanza stupidi da credere che li amerò quando
avrò le manette...»
«Di che cosa li accusi?»
«Hanno paura di me. Non osano parlarmi. E
meno osano, più ho l'impressione di essere un
mostro. Perché li terrorizzo? Sono così brutto?
Puzzo? Sono diventato idiota senza rendermene
conto?»
«Non hanno paura di te, Oscar. Hanno paura
della malattia.»
«La mia malattia fa parte di me. Non devono
comportarsi in modo diverso perché sono
malato. O possono amare solo un Oscar in buona
salute?»
«Ti amano, Oscar. Me l'hanno detto.»
«Parla con loro?»
«Sì. Sono molto gelosi che ci intendiamo così
bene. No, non gelosi, tristi. Tristi di non riuscirci
anche loro.»
Ho alzato le spalle ma ero già un po'"meno in
collera. Nonna Rosa mi ha preparato una
seconda cioccolata calda.
«Sai, Oscar. Morirai, un giorno. Ma anche i tuoi
genitori moriranno.»
Ero stupito da ciò che mi diceva. Non ci avevo
mai pensato.
«Sì. Moriranno anche loro. Tutti soli. E con il
rimorso terribile di non essere riusciti a
riconciliarsi con il loro unico figlio, un Oscar che
adoravano.»
«Non dica cose del genere, Nonna Rosa, mi
fanno venire il magone.»
«Pensa a loro, Oscar. Hai capito che stai per
morire perché sei un ragazzino molto
intelligente. Ma non hai capito che non sei il solo a
morire. Tutti muoiono. I tuoi genitori, un giorno. Io,
un giorno.»
«Sì. Però io passo davanti.»
«È vero. Tu passi davanti. Ma con il pretesto
che tu passi davanti, hai forse tutti i diritti? E il
diritto di dimenticare gli altri?»
«Ho capito, Nonna Rosa. Li chiami.»
Ecco, Dio, il seguito in poche parole perché
ho il polso stanco. Nonna Rosa ha avvertito
l'ospedale, che ha avvertito i miei genitori, che sono
venuti da Nonna Rosa dove abbiamo festeggiato
il Natale tutti insieme.
Quando i miei genitori sono arrivati, ho detto
loro: «Scusatemi, avevo dimenticato che anche
voi, un giorno, morirete».
Non so che cosa abbia sbloccato in loro questa
mia frase, ma dopo li ho ritrovati com'erano
prima e abbiamo passato una stupenda serata di
Natale.
Al dolce, Nonna Rosa ha proposto di guardare
alla televisione la messa di mezzanotte e anche un
incontro di catch che aveva registrato. Dice che
sono anni che guarda un incontro di catch prima
della messa di mezzanotte per tirarsi su, che è una
tradizione, che le fa molto piacere. Perciò
abbiamo guardato tutti un combattimento che aveva
messo da parte. Era formidabile. Méphista contro
Giovanna d'Arco! Costumi da bagno e stivali fino
a metà coscia! Che pezzi di femmine! come diceva
papà, che era tutto rosso e sembrava apprezzare
molto il catch. Inimmaginabile il numero di colpi
che si sono date in faccia. Io sarei morto cento
volte in un combattimento simile. È una
questione di allenamento, mi ha detto Nonna Rosa, i
colpi sulla faccia, più ne prendi, più puoi
prenderne. Bisogna sempre conservare la speranza. A
proposito, è stata Giovanna d'Arco a vincere,
mentre, a dire il vero, all'inizio non lo si sarebbe
proprio creduto: ti avrà fatto piacere.
Ah, mi stavo per scordare, buon compleanno,
Dio. Nonna Rosa, che mi ha appena messo nel
letto del figlio maggiore che era veterinario in
Congo con gli elefanti, mi ha suggerito che,
come regalo di compleanno per te, andava
benissimo la mia riconciliazione con i miei genitori.
Io, francamente, lo trovo tirato per i capelli come
regalo. Ma se lo dice Nonna Rosa, che è una tua
vecchia amica...
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Dimenticavo il mio desiderio: che i miei
genitori restino sempre come stasera. E anch'io.
È stato un bel Natale, soprattutto Méphista
contro Giovanna d'Arco. Spiacente per la tua messa,
ho staccato prima.
***
Caro Dio,
ho sessant'anni passati e pago il prezzo di tutti gli
eccessi di ieri sera. Non mi sento in gran forma
oggiMi ha fatto piacere tornare a casa mia,
all'ospedale. Quando si è vecchi, si diventa così, non
si ha più voglia di viaggiare. È certo che non ho
più voglia di andarmene.
Quello che non ti ho detto nella mia lettera di
ieri è che da Nonna Rosa, su una mensola, lungo
le scale, c'era una statua di Peggy Blue. Te lo
giuro. Esattamente uguale, di gesso, con lo stesso
viso molto dolce, lo stesso colore azzurro sui
vestiti e sulla pelle. Nonna Rosa sostiene che si tratta
della Vergine Maria, tua madre da quanto ho
capito, una madonna che si trova in casa sua da
parecchie generazioni. Ha accettato di darmela.
L'ho messa sul mio comodino. A ogni modo,
tornerà un giorno nella famiglia di Nonna Rosa,
poiché l'ho adottata.
Peggy Blue sta meglio. È venuta a farmi visita
in sedia a rotelle. Non si è riconosciuta nella
statua ma abbiamo passato un bel momento
insieme. Abbiamo ascoltato Lo schiaccianoci
tenendoci la mano e la cosa ci ha ricordato i bei tempi.
Non riesco a scriverti di più perché trovo la
stilografica un po'"pesante.
Tutti sono indisposti qui, persino il dottor
Dûsseldorf, a causa dell'indigestione da
cioccolatini, foies gras, marrons glacés e dello champagne
che tutti i genitori dei pazienti hanno offerto al
personale curante. Mi piacerebbe molto che mi
facessi visita.
A domani, baci,
Oscar.
***
Caro Dio,
oggi ho avuto da settanta a ottant'anni e ho
molto riflettuto.
Ho usato il regalo natalizio di Nonna Rosa.
Non so se te ne avevo parlato. È una pianta del
Sahara che vive tutta la sua vita in un solo giorno.
Non appena il seme riceve dell'acqua germoglia,
diventa stelo, mette le foglie, fa un fiore, produce
dei semi, avvizzisce, si appiattisce e, pugg, la sera è
morto. È un regalo straordinario, ti ringrazio di
averlo inventato. L'abbiamo annaffiata
stamattina alle sette, Nonna Rosa, i miei genitori e io (a
proposito, non so se te l'ho detto, in questo
momento abitano da Nonna Rosa perché è meno
lontano) e ho potuto seguire tutta la sua
esistenza. Ero commosso. È piuttosto gracile e
striminzita, non ha nulla di un baobab ma ha fatto
valorosamente tutto il suo lavoro di pianta, come
una grande, davanti a noi in una giornata, senza
fermarsi.
Con Peggy Blue abbiamo letto a lungo il
Dizionario medico. È il suo libro preferito. Le malattie
l'appassionano e si chiede quali potrà avere in
futuro. Io ho cercato le parole che mi
interessavano: «Vita», «Morte», «Fede», «Dio». Forse non
mi crederai, non c'erano! Nota, questo prova già
che né la vita, né la morte, né la fede, né tu siete
delle malattie. Il che rappresenta una notizia
piuttosto buona. Però, in un libro così serio,
dovrebbero esserci delle risposte alle domande più
serie, no?
«Nonna Rosa, ho l'impressione che, nel
Dizionario medico, ci siano solo delle cose particolari,
dei problemi che possono capitare a questo o a
quel tizio. Ma non ci sono le cose che ci
riguardano tutti: la Vita, la Morte, la Fede, Dio.»
«Forse bisognerebbe consultare un Dizionario
filosofico, Oscar. Tuttavia, anche se trovi le idee
che cerchi, rischi ugualmente di rimanere
deluso. Propone parecchie risposte molto diverse
per ogni nozione.»
«Come mai?»
«Le domande più interessanti rimangono
domande. Avvolgono un mistero. A ogni risposta, si
deve associare un "forse". Sono solo le domande
senza interesse ad avere una risposta definitiva.»
«Vuole dire che per "Vita" non c'è soluzione?»
«Voglio dire che per "Vita" ci sono parecchie
soluzioni, dunque nessuna soluzione.»
«Quello che penso io, Nonna Rosa, è che
l'unica soluzione per la vita sia vivere.»
Il dottor Dùsseldorf è passato a vederci con la
sua aria da cane bastonato che lo rende ancora più
espressivo, con le sue grandi sopracciglia nere.
«Si pettina le sopracciglia, dottor Dùsseldorf?»
ho chiesto.
Si è guardato attorno molto sorpreso, con
l'aria di chiedere a Nonna Rosa e ai miei genitori
se avesse udito bene. Ha finito col dire di sì con
voce soffocata.
«Non bisogna fare una faccia simile, dottor
Dùsseldorf. Ascolti, le parlerò francamente
perché io sono sempre stato molto corretto sul
piano medicina e lei è stato impeccabile sul
piano malattia. La smetta con quell'espressione
colpevole. Non è colpa sua se è costretto ad
annunciare brutte notizie alle persone, malattie dai
nomi latini e guarigioni impossibili. Deve
rilassarsi, distendersi. Non è Dio Padre. Non è lei a
comandare alla natura. Lei è solo un riparatore.
Deve rallentare, dottor Dusseldorf, diminuire la
pressione e non darsi troppa importanza,
altrimenti non potrà continuare a lungo con questo
mestiere. Guardi già la faccia che ha.»
Ascoltandomi, il dottor Dusseldorf aveva la
bocca come se stesse bevendo un uovo. Poi ha
sorriso, ha fatto un vero sorriso e mi ha
abbracciato.
«Hai ragione, Oscar. Grazie di avermelo
ricordato.»
«Di nulla, dottore. Al suo servizio. Torni quando
vuole.»
Ecco, Dio. La tua visita, invece, continuo ad
aspettarla. Vieni. Non esitare. Vieni, anche se ho
molta gente intorno in questo momento. Mi
farebbe davvero piacere.
A domani, baci,
Oscar.
***
Caro Dio,
Peggy Blue è partita. È ritornata dai suoi genitori.
Non sono stupido, so benissimo che non la
rivedrò mai più.
Non ti scriverò perché sono troppo triste.
Abbiamo passato la nostra vita insieme, Peggy e io, e
adesso mi ritrovo solo, calvo, rammollito e stanco
nel mio letto. Che brutta cosa invecchiare!
Oggi non ti voglio più bene.
Oscar.
***
Caro Dio,
grazie di essere venuto.
Hai scelto davvero il momento giusto, perché
non stavo bene. Forse anche perché eri rimasto
turbato dalla mia lettera di ieri...
Quando mi sono svegliato, ho pensato che
avevo novant'anni e ho girato la testa verso la
finestra per guardare la neve.
E allora ho indovinato che venivi. Era mattino.
Ero solo sulla terra. Era talmente presto che gli
uccelli dormivano ancora, che persino l'infermiera
di notte, la signora Ducru, aveva dovuto
schiacciare un pisolino e tu cercavi di fabbricare l'alba.
Facevi fatica, ma insistevi. Il cielo impallidiva.
Tingevi l'aria di bianco, di grigio, di azzurro,
respingevi la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi.
È stato allora che ho capito la differenza fra te e
noi: tu sei un tipo infaticabile! Uno che non si
stanca. Sempre al lavoro. Ed ecco il giorno! Ed
ecco la notte! Ed ecco la primavera! Ed ecco
l'inverno! Ed ecco Peggy Blue! Ed ecco Oscar! Ed
ecco Nonna Rosa! Che salute di ferro!
Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo
segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse
la prima volta.
Allora ho seguito il tuo consiglio con impegno.
La prima volta. Contemplavo la luce, i colori, gli
alberi, gli uccelli, gli animali. Sentivo l'aria che mi
passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le
voci che salivano nel corridoio come nella volta di
una cattedrale. Mi trovavo vivo. Fremevo di pura
gioia. La felicità di esistere. Ero incantato.
Grazie, Dio, di aver fatto questo per me. Avevo
l'impressione che mi prendessi per mano e che
mi conducessi nel cuore del mistero a
contemplarlo. Grazie.
A domani, baci,
Oscar.
P. S. Il mio desiderio: puoi rifare il colpo della
prima volta ai miei genitori? Nonna Rosa credo
che lo conosca già. E poi anche a Peggy, se hai il
tempo...
***
Caro Dio,
oggi ho cent'anni. Come Nonna Rosa. Dormo
molto ma mi sento bene.
Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la
vita è uno strano regalo.
All'inizio lo si sopravvaluta, questo regalo:
si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo
si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto,
si sarebbe quasi pronti a gettarlo. Infine ci si
rende conto che non era un regalo, ma solo un
prestito. Allora si cerca di meritarlo. Io che ho
cent'anni, so di che cosa parlo. Più si invecchia,
più bisogna dar prova di gusto per apprezzare
la vita. Si deve diventare raffinati, artisti.
Qualunque cretino può godere della vita a dieci o
a vent'anni, ma a cento, quando non ci si può
più muovere, bisogna avvalersi della propria
intelligenza.
Non so se li ho convinti del tutto.
Valli a trovare. Finisci il lavoro. Io sono un po'
stanco.
A domani, baci,
Oscar.
***
Caro Dio,
centodieci anni. Sono tanti. Credo di cominciare
a morire.
Oscar.
***
Caro Dio,
il ragazzino è morto.
Sarò sempre una signora in rosa ma non sarò
più Nonna Rosa. Lo ero soltanto per Oscar.
Si è spento stamattina, durante la mezz'ora in
cui i suoi genitori e io siamo andati a prendere
un caffè. Lo ha fatto senza di noi. Penso che
abbia aspettato quel momento per risparmiarci.
Come se volesse evitarci la violenza di vederlo
scomparire. Era lui, in realtà, a vegliare su di noi.
Ho il cuore grosso, ho il cuore pesante, Oscar
vi abita e non posso scacciarlo. Bisogna che tenga
ancora le mie lacrime per me, fino a stasera,
perché non voglio confrontare la mia pena con
quella, inesprimibile, dei suoi genitori.
Grazie di avermi fatto conoscere Oscar. Grazie
a lui ero divertente, inventavo delle leggende, me
ne intendevo persino di catch. Grazie a lui ho riso
e ho conosciuto la gioia. Mi ha aiutata a credere
in te. Sono piena di un amore ardente, me ne ha
dato tanto che ne ho per tutti gli anni a venire.
A presto,
Nonna Rosa.
P. S. Negli ultimi tre giorni, Oscar aveva posato
un biglietto sul suo comodino. Credo che ti
riguardi, Ci aveva scritto: «Solo Dio ha il diritto di
svegliarmi».
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