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IL PROGETTO “PICCOLI SCIENZIATI”: STORIE E PERCORSI “Non
IL PROGETTO “PICCOLI SCIENZIATI”:
STORIE E PERCORSI
“Non avere maestro è come non avere a chi domandare e, ancora più
profondamente, non avere colui davanti al quale domandare a se stessi”
Maria Zambrano (2008)
Cristina Mariani [1], Enrico Giliberti [2], Federico Corni [3]
Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche, Indirizzo Didattica delle
Scienze, Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Modena e Reggio
Emilia; Istit. Comprensivo di Tione (TN)
[2]
Dipartimento dell’Educazione e Scienze Umane, Facoltà di Scienze della
Formazione, Università di Modena e Reggio Emilia
[3]
Dipartimento di Fisica e Facoltà di Scienze della Formazione, Università di
Modena e Reggio Emilia
[1]
Abstract
I percorsi didattici “Quantità e qualità”, “L’acqua e il suo movimento”, “Energia”
sono accomunati da vari elementi, tra cui la presenza di una storia, intesa
come sfondo integratore di attività e riflessioni connesse ad un esperimento,
che concorre allo stimolo di capacità di tipo creativo-immaginativo e logicodeduttivo. L’esperimento, connesso alla situazione problematica della storia,
è proposto con una serie di domande che aiutano ad evidenziarne aspetti
strutturali, relazionali e funzionali, al fine di favorire la formulazione di ipotesi
e di interpretazioni. Le proposte didattiche tengono presente il presupposto
che l’acquisizione di conoscenze e competenze scientifiche sono favorite se
il bambino è direttamente implicato nel processo di apprendimento sia dal
punto di vista emotivo che cognitivo e che, per evitare fratture tra il sapere
quotidiano e il sapere scientifico, quest’ultimo deve essere costruito dai modi
di ragionare del bambino, che vanno guidati e fatti evolvere dall’azione didattica. Nel presente articolo presentiamo sia le caratteristiche delle storie
che concorrono al raggiungimento delle finalità preposte, sia una sintesi della
struttura dei tre percorsi.
1. Introduzione
Per una persona che ragiona ed agisce in modo “scientifico” sono necessari degli
strumenti cognitivi (Fuchs, 2007; 2009) adeguati per poter gestire 4 elementi
strettamente interconnessi: la formulazione di ipotesi, la focalizzazione della
domanda, l’esperimento, la modellizzazione. Il pensiero metaforico-figurativo
caratterizzato dalla fantasia, dalla metafora, dal ritmo e dalla narrazione, dalle
immagini, dal linguaggio orale, dall’emozione, è la sorgente per la formazione
delle ipotesi, mentre il pensiero romantico, inteso come uno strumento atto
a sviluppare il senso della realtà esterna, accompagna lo sviluppo della
alfabetizzazione e la formulazione di domande necessarie per l’indagine di
situazioni problematiche (Egan, 1988). Tuttavia per il senso comune l’impatto
emotivo, la creatività e l’immaginazione sono elementi estranei al pensiero
logico-deduttivo delle scienze, da confinare in ambito umanistico.
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Poiché nel processo di insegnamento/apprendimento scientifico non si tratta
solo di sviluppare conoscenze e strumenti per congetturare, ma anche i “modi”
per far apprendere gli strumenti necessari al ragionamento e alla costruzione
di significati, i percorsi che sono presentati in questo articolo indicano
all’insegnante, e forniscono agli alunni, anche gli strumenti metodologici per
interpretare i fenomeni. La riflessione di tipo didattico-metodologico ci ha
portato a condividere l’idea della filosofa Zambrano che “Educare significa
risvegliare – o aiutare a risvegliarsi – alla realtà in modo che la realtà non
sommerga l’essere e ciò che gli è proprio, non lo opprima né precipiti su di
lui; educare significa fare in modo che non esca dalla realtà, in mancanza di
quell’assistenza che l’essere umano deve pagare come pegno costante a tutto
ciò che lo circonda.” (Zambrano, 2008). Mettere in primo piano il bambino, nel
suo rapporto con la realtà, si è “tradotto” nel considerare i recenti indirizzi della
scienza cognitiva, secondo cui la comprensione implica strutture immaginative
correlate al linguaggio ed al pensiero figurativo. Secondo la moderna scienza
cognitiva la comprensione umana è basata sul pensiero figurativo embodied,
(Johnson, 1987; Talmy, 1988, 2000, 2005) e su strutture immaginative che
nascono dal precoce rapporto sensoriale con la realtà, caratterizzate dal fatto
di svilupparsi molto precocemente nella mente del bambino (Grady, 2005) e di
essere utilizzate per concettualizzare i processi fisici (diSessa,1993; Halloun
e Hestenes, 1985; Fuchs, 2009).
I percorsi che illustriamo riflettono i punti di vista sopra illustrati e propongono
lo “storytelling” e la metafora come strumenti per favorire la creatività e l’immaginazione, propedeutici alla successiva formulazione di ipotesi o di domande
di tipo scientifico, che possono sorgere spontaneamente nel bambino. I percorsi, inoltre, sono costruiti in un’ottica curricolare verticale, non dall’“argomento”, ma dal ragionamento del bambino.
In sintesi i percorsi e lo storytelling, da noi indirizzati alla scuola primaria, sono
una modalità per rispondere alle necessità, identificate come basilari, di:
coinvolgere il bambino emotivamente e cognitivamente
costruire percorsi che si sviluppino in modo verticale seguendo il concatenamento dei ragionamenti
proporre un supporto metodologico che favorisca il passaggio dalla
descrizione, all’interpretazione, alla formulazione di domande scientifiche, alla pratica sperimentale e alla modellizzazione, che oltre a
fornire certe conoscenze costituiscono un metodo per imparare a ragionare.
caratterizzare e differenziare le idee precoci di quantità, intensità, forza-potere (Fuchs, 2007), elementi della conoscenza spontanea individuale che possano servire per la costruzione di significati scientifici.
2. Narrazione e didattica della scienza
L’introduzione di una storia nei percorsi risponde alla necessità di coinvolgere
il bambino emotivamente e cognitivamente nelle lezioni di scienze, nonché
di fornire un supporto metodologico all’insegnante e una indicazione
metodologica all’allievo.
Nella ricerca in didattica delle scienze ci sono numerosi esempi che
propongono l’uso della narrazione. Sono prevalentemente narrazioni a sfondo
storico di fatti e personaggi scientifici, ma non solo.
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Di seguito è presentata una selezione della vasta bibliografia, che è stata
raggruppata secondo tre macro categorie funzionali all’uso della narrazione
come ambiente per l’educazione scientifica: coinvolgimento emotivo (Egan,
1989; Bruner, 1994; Campbell, 1996; Hadzigeorgiou, 2006; Klassen, 2007;
Kokkotas, 2008; Sallis 2008); coinvolgimento cognitivo ed euristico (Lehane,
Peete, 1977; White, 1981; Egan, 1989; Bruner, 1994; Ellis, 2000; Kokkotas,
2008; Avraamidou, Obsborne, 2009); stimolazione all’immaginazione e al
processo di decontestualizzazione (Egan, 1989; White, 1981; Noddings,
Witherell,1991; Casey et al., 2004; Shiro, 2004; Klassen, 2007).
Coinvolgimento emotivo
“La narrazione”, secondo Bruner (1994), “creando curiosità, anticipazione,
può contribuire a creare un ambiente affettivo e a coinvolgere gli studenti a
raccontare, come si può facilmente vedere attraverso le esperienze personali
in cui si ascoltano storie. Apprendimento e memorizazione sono aumentate
se si verificano in un contesto emotivo”.
Le storie, definite da Egan (1989) “strumenti per orientare le emozioni”, offrono
l’opportunità di un tipo di rievocazione del processo di apprendimento che
incoraggia sia l’impegno, l’implicazione con il contenuto, sia lo sviluppo delle
strutture della memoria a lungo termine (Klassen, 2007). Lo stesso autore
individua cinque distinti contesti che sono importanti nel coinvolgere gli studenti:
teorico, pratico, sociale, storico e affettivo. In conformità a questi cinque elementi,
l’autore costruisce un modello di insegnamento e apprendimento, chiamato
Story-Driven Contestual Approach (SDCA), in cui la storia assume un ruolo
fondamentale nel coinvolgere il discente affettivamente. “La narrazione può
essere considerata come una vera e propria strategia che ha la potenzialità
di contribuire all’“umanizzazione” dell’insegnamento, al miglioramento del
clima nelle classi di scienze e allo sviluppo di atteggiamenti positivi verso
l’apprendimento della scienza. In questo contesto, la comprensione di concetti
scientifici migliora.” (Kokkotas, 2008). Anche altri autori, tra cui Hadzigeorgiou
(2006), ritengono che la narrazione possa essere considerata una via per
umanizzare l’insegnamento e l’apprendimento nelle scienze, in particolare
nella Fisica.
Coinvolgimento cognitivo
Lo “Storytelling” aiuta lo sviluppo della comprensione romantica facendo sorgere negli studenti senso di mistero e di meraviglia, tanto da aiutare la comprensione di concetti scientifici attraverso il desiderio di trascendere la realtà quotidiana, facendo uso della fantasia degli studenti (Egan, 1986, 1989a,
1989b). A sostegno della narrazione come elemento che favorisce la comprensione, Bruner (1991) tra le dieci caratteristiche del testo narrativo, inteso come un testo che opera come strumento della mente nella costruzione
della realtà”, individua nella narrazione la componente ermeneutica, perché
“le vicende dei protagonisti e gli avvenimenti che costituiscono una narrazione sono scelte e strutturate in termini di una storia o presunta trama che
poi li “contiene”. Allo stesso tempo, il “tutto” (la storia presunta rappresentata
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mentalmente) dipende per la sua formazione dalle parti che lo comparti che
la compongono per la sua sopravvivenza.
Stimolazione all’immaginazione e al processo di decontestualizzazione
Secondo Kokkotas (2008) il raccontar storie potrebbe essere considerato
come uno strumento potente ed efficace per insegnare concetti scientifici in
studenti della scuola primaria, perché li motiva, coinvolgendoli emotivamente,
in modo che possano sviluppare la comprensione romantica, stimolare l’immaginazione, la loro aspirazione e i condurli alla comprensione concettuale.
Anche secondo altri autori, come Egan (1989a), la narrazione intesa come
arte del discorso può facilitare lo sviluppo dell’immaginazione.
Noddings e Witherell (1991) sostegno che “impariamo tramite la narrazione”.
Ancora più importante è il fatto che attraverso essa arriviamo a capire noi
stessi, gli altri e anche le materie che insegniamo e che impariamo. Le storie
possono aiutarci a capire rendendo l’astratto concreto e accessibile. Ciò che
è solo vagamente percepito a livello di principio può diventare vivo e potentemente concreto. Inoltre, le storie ci motivano. Quello che abbiamo capito, a
livello astratto, non ci può muovere all’azione, mentre la storia lo fa.
3. Caratteristiche delle storie e mediazione semiotica
In questo paragrafo presentiamo le caratteristiche che rendono la storia uno
sfondo integratore e alcuni aspetti legati alla conduzione dell’esperimento
attorno al quale si snoda la situazione problematica della storia stessa.
L’esperimento di scienze è proposto con gli occhiali della mediazione semiotica
(Bartolini Bussi et al., submitted) che integra e arricchisce la conduzione di
un esperimento che prevede la previsione e il confronto tra le ipotesi e le
osservazioni, introducendo richieste puntuali di esplorazione dello strumento
(oggetto o apparato sperimentale) e incrementando la richiesta di produzione
di “segni” (disegni, verbalizzazioni orali o scritte, gesti) individuali. Tali segni
vengono richiesti come risposta ad una domanda posta da un personaggio
della storia e poi focalizzati dall’insegnante e discussi collettivamente. Queste
richieste ed indicazioni di attività sono proposte in risposta al fatto che non è
sufficiente svolgere un esperimento e/o fornire uno strumento agli allievi per
realizzare la costruzione di significati. In altre parole, la sola attività svolta in
laboratorio con l’uso di strumenti può rivelarsi del tutto inefficace se non è
adeguatamente sostenuta dalla consapevolezza, da parte degli insegnanti,
dei significati scientifici da costruire e delle strategie didattiche da mettere
in opera e, da parte degli allievi, di una sistematica riflessione personale. Le
risposte dei bambini costituiscono dei testi situati, strettamente legati al compito
e alla situazione problematica a cui gli allievi sono posti di fronte, frasi (parole,
gesti, disegni) individuali che i bambini usano per descrivere o interpretare
il fenomeno osservato, espresse nel linguaggio comune. Al loro interno,
l’insegnante individua delle parole “pivot”, cioè dei vocaboli che rappresentano
i concetti elementari, le parole del linguaggio comune dette dai bambini, che
evidenzia ad esempio con tecniche di rispecchiamento (Lumbelli, 2001). Le
parole “pivot” possono riferirsi sia alla situazione problematica, richiamando
azioni strumentali, immagini figurative del processo osservato, espressioni del
linguaggio naturale, sia al dominio scientifico, perché costituiscono i precursori
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dei segni verbali “scientifici”, dei concetti scientifici. Talvolta esse sono termini
ibridi, prodotti e utilizzati all’interno della classe, che esprimono un primo
tentativo di distacco dal contesto, pur mantenendo il legame con esso, per
non perderne il significato. La polisemia delle parole “pivot” fa sì che possano
essere utilizzate come elemento di transizione per favorire il passaggio dal
contesto problematico situato, al contesto scientifico. L’esplorazione semiotica
dell’esperimento è avviata da una domanda, da un “task”, riferita alla situazione
problematica posta da una storia. La storia quindi costituisce un medium non
solo per la domanda, ma anche per l’attività sperimentale, e di conseguenza
per i testi situati e per i testi scientifici che da essa sono sollecitati. Grazie al
testo narrativo della storia l’oggetto dell’esperimento è inserito in un contesto
specifico che coinvolge emotivamente il bambino il quale, sotto la guida
dell’insegnante, assume un ruolo attivo nello sviluppo e nell’utilizzazione di
schemi d’uso. Il bambino, sollecitato ad entrare ed uscire più volte dalla storia,
è facilitato nel processo di astrazione. A conclusione della storia è richiesta al
bambino una narrazione individuale, intesa come libero atto creativo, se pur
condizionata dal percorso logico e dalle attività laboratoriali appena terminate.
Questa narrazione costituisce un immediato mezzo offerto all’insegnante in
cui verificare il processo di internalizzazione (Vygotskij, 1979).
Caratteristiche della storia
1) Alcuni personaggi hanno particolari caratteristiche in cui il bambino possa
facilmente identificarsi o riconoscerne funzioni, ruoli e metodi. Tre sono i personaggi fissi in tutte le storie (Fig. 1): Pico, Rupert e Merlo.
Fig. 1 - Pico, Rupert e Merlo, i tre personaggi comuni alle storie
Pico è un “piccolo scienziato” creativo, generoso, curioso, che sa stupirsi della
natura, porta sempre con sé il blocchetto degli schizzi e una valigetta con del
materiale che all’occorrenza può servire per sperimentare, per verificare le
ipotesi. Poiché ha già raggiunto un certo livello di conoscenza della scienza
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e sulla scienza, pone la domanda che, proprio perché posta nel “modo
scientifico”, aiuta i bambini a focalizzare ad esempio gli elementi rilevanti,
favorendo l’ingresso dei bambini nella zona di sviluppo prossimale (Vygotskij,
1987).
Rupert è un simpatico ranocchio, un po’ sfortunato e confusionario, istintivo
e pieno di iniziativa: rappresenta l’atteggiamento di chi ancora non ha un
metodo scientifico per indagare la realtà. La sua curiosità spontanea e genuina
non viene mai sottovalutata, ma va guidata per diventare più mirata. Come i
bambini, Rupert all’inizio è inesperto e deve imparare a riflettere.
Merlo è un uccello, come tale può volare e osservare i fenomeni da più punti
di vista. In modo esplicito fornisce dei suggerimenti di tipo metodologico
invitando i bambini a confrontare diversi esperimenti, identificando parametri
e variabili in gioco.
2) Il bambino in aula è uno dei personaggi della storia perché è chiamato
in modo esplicito ad agire con gli esperimenti per fornire aiuto e risposte ai
personaggi. La sua partecipazione è attiva nella ricezione degli esperimenti,
nella fase di assemblaggio e di osservazione dell’esperimento, nel rispondere
alle domande di Pico che lo interroga in prima persona per aiutare Rupert o
altri personaggi che devono risolvere delle situazioni problematiche.
3) La storia pone situazioni problematiche. Ad esempio Rupert nelle prime
scene della storia Rupert e il sogno di una piscina ha il problema di riempire
la piscina al “giusto” livello (Fig. 2).
Fig. 2 - Uno sfondo della storia di Rupert
La ricerca di una soluzione pone a sua volta una serie di quesiti che diventano
le domande che Pico rivolge ai bambini che sono invitati ad agire sul modello
idraulico in aula e a formulare ipotesi, spiegazioni, descrizioni, confronti,…
4) Ci sono delle interruzioni, dei gap per dare spazio alla riflessione, alla formulazione di ipotesi, alla sperimentazione, alla discussione. “Una storia è
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composta da elementi narrative e da blanks e da gaps” (Sternberg, 1978). “Le
storie possono dire la verità, ma mai tutta la verità. I blanks sono necessari, i
dettagli che non hanno alcun rapporto con la trama devono essere esclusi poiché possono deviare l’attenzione dell’ascoltatore. I gaps, d’altra parte, devono
essere lasciati aperti per l’immaginazione degli ascoltatori” (Kubli 2001). Nella
storia sono presenti dei gaps che hanno la funzione di potenziare lo spazio
per pensare e formulare ipotesi: i gaps permettono l’inserimento dell’esperimento e del bambino con la sua potenza immaginativa. Il gap si apre quindi
con una domanda di Pico. I quesiti possono richiedere quattro principali tipi di
risposta rispetto:
a) alla struttura e funzionamento di oggetti, relazione tra le parti, ricerca
di regolarità
b) alla previsione del comportamento di un fenomeno in determinate condizioni
c) all’interpretazione di un fenomeno osservato
d) alla risoluzione di una situazione problematica.
Alla fine di più atti correlati, il compito può essere formulato in termini di
ricerca e progettazione, stimolando i bambini alla formulazione autonoma di
domande.
Una forte strutturazione della sequenza narrativa della storia intorno ai gaps
può aiutare a tener vicino e intersecare i piani della logica e dell’immaginazione
e favorire il continuo passaggio da un piano all’altro favorendo una sinergia tra
le facoltà intellettive, logiche e creative, in gioco nell’apprendimento.
5) Il bambino è direttamente coinvolto nella storia con attività manuali e cognitive. Le attività sperimentali (Fig. 3) non sono mai pura esplorazione, ma
sono sempre corredate di schede atte a sollecitare la riflessione del bambino.
a
b
Fig. 3 - Un apparato sperimentale e un oggetto che possono essere studiati
con una prospettiva semiotica nel percorso l’acqua e il suo movimento (a) e
l’energia (b)
6) Gli elementi di fantasia sono minimizzati per permettere al bambino di
entrare e uscire dalla storia con facilità. Di conseguenza la storia è verosimile
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perché gli elementi di fantasia, presenti per risvegliare l’immaginazione,
l’attenzione e la curiosità del bambino, sono ridotti al minimo, in modo che il
bambino possa entrare nella fantasia ma uscirne quando vuole.
Ad esempio il contesto è sempre verosimile, costituito da paesaggi,
ambienti naturali, lunapark…; i personaggi sono umani come Pico o animali
antropomorfizzati come Merlo o Rupert che conservano tratti sia pittorici che
di vita molto simile a quelli dell’animale di riferimento.
7) La Storia è costruita intorno a passaggi logici. Pertanto il tempo degli
avvenimenti è segnato non tanto dagli eventi narrativi quanto dai passaggi
logico-problematici. Se una modellizzazione avviene in un ambiente di
storytelling, caratterizzato dai passaggi logici, e quindi concatenati, la
conoscenza che si costruisce sui fenomeni e sulla natura sarà percepita non
come un evento isolato, ma piuttosto inserita in una rete dinamica di relazioni.
8) Alcuni eventi sono conclusi alla fine della storia ma i bambini possono
continuare la storia. In tal modo, dopo che il bambino ha iniziato a costruire
alcuni significati scientifici “accompagnato” dalla storia narrata, raccontando
la propria storia si chiarisce meglio ciò che ha capito o che non ha capito e
offre all’insegnante l’opportunità di valutare il processo di internalizzazione
(Vygotski,1987). Il racconto individuale, libero o a tema, inventato dal bambino
può ripercorrere accadimenti narrativi o dare vita e personificazione al “concetto”
scientifico che ha costruito o che è in fase di costruzione. Richieste di narrazioni
individuali rispondono ad esempio a domande come le seguente: Raccontami…
come se tu fossi l’acqua che scorre…”, “…come se tu fossi le pale del mulino…”
“Immagina di essere lo zucchero messo in un bicchiere d’acqua…”.
9) Nella storia ogni cosa suggerisce il metodo scientifico: la terminologia usata nei dialoghi; la presenza di situazioni problematiche; le domande “scientifiche” di Pico; l’invito a formulare ipotesi; l’esecuzione di esperimenti, con
richiesta di osservazione, confronto, interpretazione, modellizzazione (Fig. 4),
rappresentazione (disegno, mimi,…); il focus sulle variabili rilevanti; la richiesta di riflessione su aspetti grammaticali e sintattici, come ad esempio l’uso
del “si” impersonale o riflessivo, che spesso distoglie l’attenzione dalla relazione causa-effetto.
Fig. 4 - Due diversi esempi di modellizzazione
10) La storia è divisa in atti e ciascun atto in scene. Il percorso risulta modulare, facilmente scomponibile e componibile. In tal modo possono essere selezionate le parti da adattare alla programmazione di classe e al curricolo verticale. La presenza di alcuni corollari di approfondimento può essere utile per
percorsi personalizzati. La presenza di una struttura ricorrente (personaggi,
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icone, struttura, paesaggi, struttura delle schede che guidano con domande
l’esperimento) crea un ritmo che facilita l’apprendimento del metodo
11) Nella storia sono integrati molti linguaggi: verbale, figurativo, gestuale,
scritto.
Per il nostro scopo didattico il character designer (Arcadio Lobato) ha scelto
nuance, tonalità, gradazioni e combinazioni di colore per facilitare l’ingresso
del bambino dentro la storia. Vibrazione della luce e tipo di paesaggio sono
pennellati per creare un effetto di bellezza perché “la bellezza” è di per sé
educativa.
4. Percorsi: considerazioni generali, contenuti e struttura
Nel paragrafo introduttivo abbiamo dichiarato che i percorsi proposti vogliono
rispondere a quattro necessità da noi individuate come basilari per l’insegnamento/apprendimento delle scienze. L’uso della storia, con le caratteristiche
sopra illustrate, risponde alle prime tre, mentre la struttura e il contenuto del
percorso rispondono al quarto punto: caratterizzare e differenziare quantità,
intensità, forza-potere, come elementi della conoscenza spontanea individuale che possano servire per la costruzione di significati scientifici (si rimanda
all’articolo Corni et al. del presente volume). L’accompagnamento dell’insegnante nella costruzione di significati è supportato dalla sequenza ricorsiva
che viene più volte ripetuta in modo ciclico nei vari percorsi:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Episodio della storia che pone una situazione problematica.
Domande di Pico
Formulazione d’ipotesi individuali (testi scritti, disegni)
Esperimento (approccio strumentale e ciclo Previsione
Esperimento Confronto)
Osservazione e interpretazione individuale (testi scritti, disegni)
Confronto tra le ipotesi iniziali e le osservazioni e le interpretazioni
Discussione collettiva guidata dall’insegnante.
Modellizzazione
I percorsi che sono presentati riflettono la posizione pedagogica che vuole
valorizzare i due soggetti del processo di apprendimento/insegnamento e la
loro reciproca relazione: da un lato il bambino, protagonista della costruzione del
proprio sapere, coinvolto in modo attivo per mettere in campo idee, focalizzare
le variabili del problema, formulare una ipotesi personale di descrizione/
interpretazione attraverso l’esplorazione e l’uso di oggetti che fanno parte di
diversi esperimenti (un modello idraulico, giocattoli…); dall’altro l’insegnante,
che sollecita il confronto fra pari e nello stesso tempo è riferimento esperto per
i bambini, promuovendo l’evoluzione verso il sapere scientifico, guidando la
transizione da frasi ed esperienza contestualizzate verso la generalizzazione
e l’astrazione.
I percorso sono: “Quantità e qualità”, che si riferisce alle gestalt di quantità e
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intensità; “L’acqua e il suo movimento” che introduce i concetti elementari di
spinta, corrente, resistenza; il percorso “Energia”, come ente regolatore dei
processi naturali.
Percorso Quantità e Qualità
Il percorso è finalizzato alla costruzione dei prerequisiti per lo studio delle
scienze, proponendo la caratterizzazione e la differenziazione delle gestalt
di quantità e intensità mediante giochi, attività di discussione e riflessione,
esperimenti di facile realizzazione, guidati dall’insegnante.
Quantità
Il percorso “quantità” risponde alla finalità di condurre il bambino ad individuare
il concetto di quantità estensiva attraverso alcune sue caratteristiche
(produzione, trasferimento, conservazione, somma, sottrazione).
Il percorso, che è sostenuto da una storia che si ambienta in un lunapark, vede
le azioni di alcuni personaggi in riferimento a una serie di scambi di gelato
(Fig. 5), di spostamenti da dentro a fuori il lunapark e di confronti tra bicchieri
di diverse dimensioni, contenenti diverse quantità di bibita, che pongono delle
domande ai bambini, stimolano la discussione e la riflessione sulle proprietà
della quantità, sia di quella numerabile, sia di quella non separabile in unità
discrete, sia di quella raggruppabile. Per operare sulle proprietà della quantità
di sostanza si introducono anche i concetti di spazio, di tempo e di sistema.
Gli esperimenti proposti rispetto alla quantità di sostanza fluida (non
numerabile, non composta di unità discrete, come ad esempio l’acqua) hanno
la finalità di aiutare gli alunni a differenziare le gestalt di quantità e intensità.
Quest’attività persegue contemporaneamente sia finalità utili alle scienze che
alla matematica.
Le finalità specifiche per le scienze sono:
riconoscimento delle variabili rilevanti del processo (volume di acqua,
altezza del livello, capacità/sezione del contenitore)
rendersi conto della necessità di fissare una variabile (parametro) e
di osservare la variazione di una variabile in funzione della variazione
di un’altra
discriminare tra parametri e variabili
differenziare il concetto di quantità di sostanza da quello di altezza
identificare il concetto di contenitore.
Le finalità comuni a matematica e scienze sono:
comprensione dei numeri come strumenti matematici atti ad esprimere
rapporti quantitativi tra oggetti o parti di oggetti
riconoscere le molteplici relazioni che possono esistere tra un oggetto
continuo o discreto e la parte di quell’oggetto che è stata usata come
unità di misura
comprendere il carattere arbitrario della dimensione della parte (l’unità
di misura) che è usata per determinare la misura dell’intero oggetto
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comprendere l’origine della misura matematica per creare varie
rappresentazioni numeriche dell’oggetto.
Fig. 5 - Una scena della storia Quantità
Qualità
Il percorso comprende diversi contesti di studio: colore e intensità del colore;
calore e temperatura; volume e altezza; volume e pressione; zucchero e
dolcezza. Vi è quindi sempre un’associazione tra una grandezza estensiva e
una grandezza intensiva.
Il percorso ha lo scopo di aiutare i bambini a differenziare tra quantità e
intensità attraverso lo studio di alcune caratteristiche. Attraverso la storia si
evidenzia che l’intensità si media, non si somma, e che ciò che è percepito o
misurato come intensità (mediante l’immagine di verticalità) è la conseguenza
di come la quantità di sostanza si distribuisce in un contenitore.
Ad esempio, nel percorso che ha come contesto di studio il calore e la
temperatura, la storia suggerisce una serie di assaggi e travasi di cioccolata,
ai quali fanno seguito degli esperimenti con cui si vuole far riflettere sull’effetto
di diverse somministrazioni di quantità di calore in un volume di acqua e sul
processo di raggiungimento dell’equilibrio termico.
In modo parallelo si procede per gli altri contesti.
I percorsi sono significativi solo se accompagnati da una riflessione
sul linguaggio utilizzato e sulla sua evoluzione. Trattando le grandezze
estensive attraverso la metafora di sostanza si possono utilizzare i modi di
dire comunemente impiegati per riferirsi a sostanze. Così si potrà dire: “un
corpo contiene una certa quantità di calore, ma non una certa quantità di
temperatura”, Si possono pure utilizzare gli aggettivi molto e poco: un sistema
può avere molto o poco calore, ma non molta o poca temperatura. Si può
anche dire che un sistema non ha carica o non ha quantità di moto per dire
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che il valore della carica e della quantità di moto rispettivamente sono uguali
a zero. Per contro non si dovrebbe dire che un sistema non ha temperatura.
L’acqua e il suo movimento
La storia Rupert e il sogno di una piscina racconta le avventure di una rana di
nome Rupert, che ha il problema di come riempire una piscina (rappresentata
nell’apparato sperimentale da un contenitore) connessa a un acquedotto
(rappresentato da un contenitore più profondo rispetto alla piscina) dal quale si
può estrarre l’acqua da tre diversi punti di attacco posti a tre diverse altezze. La
storia è divisa in due atti. Il primo atto è diviso in tre scene: la prima si riferisce
alla connessione della piscina al punto di attacco più alto dell’acquedotto, il
secondo al collegamento al punto intermedio che permette il riempimento
ottimale della piscina, e il terzo alla connessione al punto più basso che, se
non è chiuso il rubinetto, causa la fuoriuscita dell’acqua dalla piscina.
Questa storia è finalizzata all’individuazione e alla differenziazione della
grandezza estensiva (quantità di acqua come quantità di sostanza) e della
differenza di pressione (differenza di potenziale) rappresentata dal dislivello
fra due superfici libere, come grandezze rilevanti per il trasferimento dell’acqua
in un sistema di vasi comunicanti.
Nell’attività proposta l’artefatto presenta tre possibilità di raccordo a diversa
altezza, lasciando fissi tutti gli altri parametri. In tal modo è data agli allievi
la possibilità di focalizzare una variabile alla volta (dislivello), secondo alcuni
riferimenti spaziali (attacco alto, medio, basso) che andranno mentalmente
“interpolati” mediante l’applicazione degli schemi d’uso ad un artefatto idraulico mentale che permette l’esplorazione anche di situazioni continue o “al
limite”. In questa fase emerge un controllo consapevole sui singoli componenti (recipiente con caratteristica di capacità, quantità di sostanza, tubo con
caratteristiche di lunghezza e sezione, rubinetto) e un parziale controllo sulla
loro reciproca relazione (equilibrio e dislivello).
Energia: l’approccio all’energia a partire dalla gestalt forza/potere
Il tema dell’energia è stato scelto per il suo carattere di trasversalità alle
discipline e come contesto paradigmatico in cui costruire un linguaggio e un
approccio comune.
La gestalt forza-potere (capacità a generare o fare qualcosa) è importante
nel momento in cui si vanno a considerare i processi, essendo le differenze il
motore dell’universo.
Le differenze di potenziale, che siano di livello, di potenziale elettrico, di
concentrazione, di temperatura, sono ciò che innescano i processi e che
caratterizzano le catene di energia. La forza/potere di un processo è data
dalla quantità per unità di tempo che cade di potenziale e dalla caduta di
potenziale stessa.
L’energia a scuola non è messa in relazione né alla differenza di potenziale
né alle grandezze estensive (quantità). Piuttosto, lo studio dell’energia è
rappresentato dalle varie forme di energia, senza però far comprendere come
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l’aggettivo dell’energia sia semplicemente indice della quantità coinvolta. Il
modello energetico proposto nel percorso, si ispira a quello del Karlsruher
Physikkurs (Herrmann, 2000) in cui l’energia è definita a partire dalle sue
proprietà di conservazione e introdotta come ente regolatore dei processi
naturali. In questo senso viene superata sia l’idea di “trasformazione
dell’energia”, introducendo il concetto di “trasferimento di energia” fra portatori,
sia quella di esistenza di diverse “forme di energia”, pensando l’energia come
entità sempre associata a un “portatore” (Herrmann, 2000).
Il percorso “energia” è curricolare, può essere sviluppato dalla scuola primaria
alla secondaria di primo grado, e parte dalla differenziazione delle gestalt
di forza/potere, intensità, quantità. Sfruttando una storia che fa da sfondo
integratore sono affrontati i concetti di interazione e di effetto dell’interazione,
la caduta di potenziale, la catena di energia, il concetto di conservazione. Il
punto di partenza è la gestalt forza/potere, perché questo è il punto di vista
del bambino ma se ne cerca anche il superamento attraverso l’identificazioni
della associazione tra le cadute e gli innalzamenti di potenziale di diverse
grandezze estensive.
La struttura della storia
1) Atto 1: Analisi di un processo per identificare l’agente e il paziente in termini
di FDG forza/potere. Nella storia, che ha come situazione problematica la
necessità di spostare dei vasi di fiori caricati su un carretto (Fig. 6), si possono
facilmente identificare personaggi o elementi che spingono, che agiscono, o
che resistono a qualcuno o a qualcosa che spinge, o che subisce una azione.
Fig. 6 - Una scena del percorso Energia
La scena è descritta con parole che enfatizzano questi concetti rispetto alla
FDG di forza/potere. Pico nei gap invita i bambini in aula a ipotizzare cosa
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succerà nella storia e ad eseguire dei semplici esperimenti con dei giocattoli
per mettere in evidenza le relazioni e le variabili in gioco.
2) Atto 2: nella storia è presentata una panoramica di “portatori” scarichi e
carichi. Come esperimenti sono suggerite numerose semplici attività di tipo
sensoriale per favorire l’identificazione del portatore e del potenziale. Gli
esperimenti e i fenomeni cui si riferisce la storia (temporali, fiumi con diversa
portata e pendenza, pozze d’acqua calda e fredda, mulini eolici, dighe, segherie,
cibo…) si prestano ad attività di identificazione e di classificazione di “portatori”
e di potenziali. Al termine del secondo atto e delle attività sperimentali guidate
mediante schede didattiche, il bambino viene accompagnato a riconoscere
che durante un processo cala il potenziale di ciò che è a monte e aumenta
quello di chi è a valle del trasferitore. Con il termine trasferitore si definisce
l’elemento fisico (meccanico o biologico), che determina l’accoppiamento tra
due o più portatori. Nell’interazione con il trasferitore l’energia si trasferisce sul
secondo portatore, che acquista potenziale.
3) Atto 3: La storia è solo funzionale all’introduzione dei giocattoli che
verranno utilizzati per costruire il concetto di energia e delle schede didattiche
funzionali allo scopo. I giochi sono studiati con l’obiettivo di identificare il
portatore carico e scarico in ingresso e in uscita. Gli esperimenti sono guidati
da domande sulla struttura dell’oggetto, sulla relazione delle singole parti, sul
loro funzionamento, al fine di favorire l’individuazione dei portatori carichi e
scarichi e la costruzione schematica della singola interazione.
Gli stessi giochi, come passo successivo, possono essere studiati ponendo
l’accento sul trasferitore e “smontando” un singolo processo visto in relazione
diretta di causa-effetto, osservandolo ad un maggior livello di dettaglio, costruendo catene complesse.
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