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Eruzioni vulcaniche
LE ERUZIONI VULCANICHE Eruzione del 1944 del Vesuvio. Da Timelife, Volcano, 1982 Time-Life Books Inc. I vulcani sono aperture sulla superficie terrestre dalle quali rocce fuse o gas o, in genere, entrambi, fuoriescono dall'interno della terra. E sono anche i rilievi edificati intorno all'apertura dall'accumulo del materiale emesso. E i vulcani sono pure l'insieme strutturale che, dalla zona profonda di fusione attraverso la litosfera condiziona la risalita del fuso, il magma, fino alla superficie. Da un punto di vista piu’ generale, in relazione al ruolo svolto dai vulcani nell’evoluzione planetaria, essi possono essere considerati grandi separatori chimici di un fluido (il magma) da una sorgente parzialmente fusa (generalmente il mantello), e il loro continuo funzionamento ha progressivamente permesso la formazione dei diversi involucri che costituiscono le porzioni superiori del globo terrestre. Strutturalmente i vulcani possono essere ricondotti ad una geometria schematica nella quale si distinguono quattro zone (fig. 2.1): 1) la zona di eruzione, che ha estensione verticale variabile (da decine di metri a qualche chilometro) e comprende quella parte del sistema in cui il magma non e' piu' soggetto ad ostacoli passivi che ne possano arrest are l'ascesa; 2) la zona di differenziazione, che comprende quella parte di crosta superiore nella quale i magmi possono arrestarsi per tempi piu' o meno lunghi, cambiando la loro composizione a seguito di processi 1 piu' o meno complessi. La sosta del magma avviene in genere negli ultimi 10 km di crosta terrestre, in corrispondenza di importanti discontinuita' litologiche e porta alla formazione delle cosidette camere magmatiche; 3) la zona di alimentazione , che corrisponde al lungo percorso compiuto dal magma per trasferirsi dalla zona di formazione alla superficie; essa puo’ essere identificata con lo spessore di litosfera al di sotto del vulcano e si puo’ semplicisticamente assumere che nel corso dell’ascesa il magma non cambi le sue caratteristiche fisico-chimiche; 4) la zona di produzione, che comprende quella porzione di involucro terrestre, in genere l’astenosfera, nella quale le rocce si trovano in condizioni da fondere parzialmente. Il magma cosi’ formatosi percola verso l'alto creando rivoli sempre piu' importanti che convergono in una zona di stoccaggio profondo (spesso alla transizione tra mantello e crosta). Qui il magma si accumula fino a raggiungere condizioni idonee perche' singole masse di fuso si stacchino ed inizino la loro risalita verso la superficie. Fig. 2.1 - A sinistra: Ricostruzione di un vulcano dalle radici alla superficie: il Kilauea nelel isole Hawaii visto attraverso una accurata tomografia sismica ….. e un po’ di immaginazione. M.P.Ryan USGS Prof. Pap. 1350, 2, cap.52; A destra: Rappresentazione schematica delle diverse parti nelle quali e’ divisibile un sitema vulcanico 2 I prodotti che da un vulcano escono sulla superficie possono essere costituiti da frammenti di rocce solide "vecchie", strappate dal substrato ed eiettate in superficie dai gas, oppure da materiale "nuovo", allo stato liquido, originato dalla fusione parziale delle rocce della parte profonda del sistema. Tale materiale si chiama “magma ”. La fuoriuscita in superficie di gas e materiale gia' solido e/o ancora fuso e' una eruzione vulcanica. Quando il materiale emesso e' rappresentato essenzialmente dal magma e dai gas da esso liberatisi, l'eruzione e’ magmatica. L’eruzione e’ esplosiva se il magma e’ emesso in forma frammentata, effusiva se invece il magma esce come continuo liquido (fig.2.2). Alcune eruzioni sono caratterizzate dal coinvolgimento di gas generato dal riscaldamento di acqua esterna al magma: esse sono dette idroeruzioni (o idroesplosioni). Molte idroesplosioni eiettano in superficie solamente frammenti solidi di rocce preesistenti e prendono il nome di eruzioni freatiche. Altre emettono anche brandelli e particelle di magma fuso e vengono chiamate eruzioni idromagmatiche (freatomagmatiche se l'acqua non e' superficiale). Fig.2.2 - a sinistra: Eruzioni effusive: una grande colata lavica dell’Etna si espande lentamente nella valle del Leone il 28 Settembre 1989. CNR-Gruppo Nazionale per la Vulcanologia, Mt. Etna: the 1989 eruption, Giardini, Pisa, 1990; a destra: eruzione esplosiva del 21 Aprile 1990, vulcano Redoubt (Alaska). La colonna eruttiva si innalza non dal cratere ma da una grande colata piroclastica che scorre sul fianco nord del vulcano. Una piccola colonna di vapore bianco esce dal cratere sommitale. Foto di J.Warren tratta dal sito http://www.avo.alaska.edu/avo3/volc/redou/volcintro.htm I prodotti emessi in forma frammentata, allo stato liquido o solido, prendono il nome di tefra (o prodotti piroclastici), mentre il magma emesso come continuo liquido e’ chiamato lava (fig.2.3). Le rocce che si formano per raffreddamento del magma sono dette rocce magmatiche o ignee. Se il consolidamento si realizza dopo l'emissione in superficie le rocce sono chiamate estrusive o vulcaniche, mentre, se il magma non raggiunge la superficie e il consolidamento avviene in profondita', si formano le rocce intrusive o plutoniche. Il raffreddamento e la solidificazione della lava porta alla formazione delle rocce effusive, mentre rocce piroclastiche sono il risultato del consolidamento, talora per processi secondari, dei tefra. L'apertura attraverso la quale il materiale vulcanico fuoriesce in superficie e' la bocca eruttiva, ed il canale attraverso il quale il magma ris ale e' il condotto eruttivo. Se il condotto non e' tubulare ma e' costituito da fratture, queste sono anche dette dicchi di alimentazione (fig.2.5). Singole eruzioni, o eruzioni ripetute da una stessa bocca, in genere portano alla formazione di colline o montagne di forma spesso abbastanza regolare: sono i coni vulcanici. La sommita' di tali coni e' troncata ed occupata da una depressione a forma di scodella o di imbuto chiamata cratere. 3 La geometria del condotto e’ l’elemento che porta ad una prima distinzione a carattere estremamente generale che classicamente viene ricordata al momento in cui si tenta di entrare nella sistematica delle forme vulcaniche. Vulcani centrali sono quelli il cui condotto principale e’ "mono dimensionale", tubolare, mentre vulcani lineari sono quelli a condotto "bidimensionale", laminare. Fig.2.3 - Lave e Tefra. A sinistra: la lava dell’eruzione del 1669 dell’Etna che copri’ vasta parte della citta’ di Catania e circondo’ il Castello Ursino arrivando a circa un terzo della sua altezza. Tratto dal sito http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_andman2.html . A destra: Un deposito di pomici esposto vicino a Burfells (Islanda). Foto Colgan, tratto dal sito: http://www.casdn.neu.edu/~geology Fig.2.4 - Schema semplificato di un vulcano centrale e nomenclatura dei principali elementi strutturali 4 Fig.2.5 - Oltre che attraverso condotti “tubolari’, il magma risale attraverso fratture che prendono il nome di dicchi di alimentazione. Nella figura sono mostrate le diverse geometria e i diversi rapporti con l’apparato centrale che i dicchi possono avere. Fig.2.6 - Vulcani centrali e vulcani lineari A sinistra: un esempio geometricamente quasi perfetto di vulcano centrale: il cono del Karymsky (circa 1500 m) nella penisola di Kamtchatka, situato al centro di una caldera di 5 km di diametro il cui bordo settentrionale e’ ben visibile a destra nella foto. L’ultima eruzione del Karymsky risale al 1976. Foto del 1994-1995 Kamchatka Calendar tratta dal sito: http://volcano.und.edu/vwdocs/volc_images/north_asia/kamchatka/Karymsky.html A destra: Le dorsali oceaniche rappresentano l’esempio migliore di grandi vulcani lineari. L’immagine mostra la morfologia (generata al computer) della dorsale del Pacifico Orientale, intorno a 9 gradi Nord. Il sottile asse centrale della dorsale, piu’ rilevato (in rosso), mostra l’area di massimo vulcanismo. La faglia trasforme di Clipperton taglia la dorsale al tetto della figura. La vista e’ verso Nord. Da: U.S. Geological Survey's This Dynamic Earth, tratta dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/Submarine/plates/diverg/fast.html 5 IL MAGMA Il magma e’ una sostanza naturale ad alta temperatura, parzialmente o totalmente fusa, che costituisce un sistema chimico-fisico complesso nel quale prevale una fase liquida di composizione silicatica nella quale sono disciolte quantita’ variabili di specie gassose. In natura esistono anche liquidi magmatici a prevalente composizione carbonatica (magmi carbonatitici), ma si tratta di casi rari e particolari su cui non ci soffermeremo. Le proprieta' fisiche dei magmi sono sostanzialmente riconducibili alle proprieta' degli ioni Si4+ e O2- che di essi sono i costituenti piu' importanti. Il Silicio ha alta carica (4+), piccolo raggio ionico (0.39Å) e numero di coordinazione 4 con l'Ossigeno. Cio' fa si' che le sue forze di campo ionico e di legame con l'Ossigeno siano molto piu' forti di quelle degli altri ioni piu' comuni. L'Alluminio ha legami meno forti del Silicio ma piu' forti rispetto a Ca, Mg, Na, ecc. Sotto certi aspetti Si ed Al giocano ruoli analoghi nei solidi cristallini e vetrosi. I moderni concetti sullo stato strutturale dei liquidi silicatici sono basati sul modello di Zachariasen, secondo il quale, in tali liquidi, gli atomi sono legati tra loro da forze simili a quelle che agiscono tra gli stessi atomi nei cristalli, mancando pero' di simmetria e di catene a lungo periodo. Gli anioni O2- sono quindi gia' distribuiti ai vertici di unita' strutturali fondamentali tetraedriche, centrate da cationi Si4+o Al3+. In fusi molto ricchi di silice i tetraedri [SiO 4]4- sono legati tra loro in polimeri piu' o meno complessi mentre gli altri cationi tendono a legarsi con l'Ossigeno genererando legami ionici piu' deboli e riducendo il grado di polimerizzazione del sistema. Si4+ e, in minor misura, Al3+, possono essere quindi definiti come cationi “costruttori di reticolo", mentre i cationi che occupano posizioni intratetraedriche sono detti "modificatori di reticolo". Questi ultimi possono essere accomodati in quantita' fino al 20% del totale dei cationi senza che il reticolo tridimensionale dei tetraedri si rompa in unita' minori. Fig.2.7 - Il magma e’ un liquido ricco in silice la cui struttura puo’ essere studiata su ve tri sintetici di composizione opportuna. La struttura di un vetro e’ infatti analoga a quella del liquido che, per brusco raffreddamento, lo ha generato. I tetraedri che costituiscono l’unita’ strutturale fondamentale dei silicati sono rappresentati da triangoli gialli al cui centro e’ situato il Silicio (o l’Alluminio), rappresentato da 6 punti piccoli blu, e il cui vertice perpendicolare al foglio e’ occupato da Ossigeno, rappresentato da cerchi vuoti La complessa struttura dei liquidi silicatici si riflette sulle loro proprieta' fisiche; fra di esse di particolare interesse vulcanologico sono la viscosita' e la densita', perche' tali proprieta' condizionano fortemente le modalita' di risalita e fuoriuscita dei magmi. Composizione dei magmi I magmi sono sistemi multicomponenti, chimicamente complessi, variabili in composizione, temperatura, contenuto di cristalli e di volatili. La variabilita’ dei magmi riflette la diversita’ della loro storia evolutiva. La loro generazione avviene in genere per fusione parziale dell’astenosfera, ma puo’ realizzarsi anche per fusione di rocce della crosta terrestre (magmi anatettici). Dopo la formazione, essi possono subire cambiamenti considerevoli prima di arrivare in superficie. Essi possono fermarsi per tempi anche molto lunghi in camere magmatiche piu' o meno superficiali e modificare la loro composizione chimica in seguito a processi di cristallizzazione e segregazione dei cristalli formati (frazionamento dei magmi), oppure di reazione con le rocce che li circondano (assimilazione). Molte camere magmatiche funzionano come sistemi aperti: esse possono essere periodicamente rifornite e periodicamente svuotate; tra magmi di nuovo arrivo e magma residente si realizzano allora processi di mescolamento. I principali fattori che controllano le caratteristiche chimiche e mineralogiche dei magmi emessi sono: 1la natura della "sorgente", della roccia cioe' che, fondendo parzialmente, genera i magmi; 2il grado di fusione parziale della sorgente; 3il grado di cristallizzazione del magma formato; 4l'entita' del frazionamento di cristalli subito dal magma; 5l'entita' della "contaminazione" subita dal magma al contatto con le rocce incassanti; 6l'entita' del mescolamento tra magmi e la loro composizione. Fusione Parziale percentuali di fusione uguali di rocce diverse danno luogo a fusi a composizione diversa percentuali di fusione diverse di rocce uguali danno luogo a fusi a composizione diversa fuso Frazionamento man mano che il magma raffredda esso cristallizza; i cristalli hanno composizione diversa da quella del magma; il liquido residuo ha composizione diversa da quello iniziale raffreddamento fuso cristalli liquido iniziale fuso fuso = + liquido residuo Fig.2.8 - A sinistra: La fusione di una roccia costituita da minerali diversi e’ un processo che inizia a temperatura fissata dalla natura dei componenti e dalla pressione, ma che puo’ abbracciare un intervallo di temperatura piu’ o meno ampio in funzione delle proporzioni tra i minerali. La frazione di roccia che fonde e’ tanto maggiore quanto piu’ la temperatura e’ al di sopra della temperatura di inizio del processo, e la composizione del fuso varia, oltre che al variare della roccia-madre, al variare di tale frazione. A destra: Un liquido magmatico raffreddando, cristallizza parzialmente lasciando liquidi sempre meno caldi e a composizione sempre diversa dal liquido iniziale. I cristalli hanno in genere densita’ superiore al liquido e in determinate circostanze possono separarsi da esso. I processi di questo tipo prendono il nome di “frazionamento”. 7 raffreddamento del magma riscaldamento e fusione dell'incassante liquido iniziale = + liquido residuo fuso neogenerato + + residuo refrattario cristalli rocce incassanti Assimilazione Al contatto con rocce piu' fredde il magma cede calore, raffredda e quindi cristallizza. Se la quantita' di calore ceduto e' sufficiente a fondere porzioni dell'incassante, tra liquido residuo e fuso neogenerato si potra' avere mescolamento magma contaminato cristalli formatisi dal magma caldo magma piu' freddo (residente) + magma piu' caldo = + magma ibrido (mescolato) Mescolamento tra magmi Fig.2.9 - A sinistra: il processo di “digestione” da parte di un magma di porzioni piu’ o meno cospicue di rocce solide prende il nome di assimilazione. Da notare che il magma “contaminato” che il processo produce, puo’ contenere minerali in totale disequilibrio e di provenienza totalmente diversa. A destra: quando due masse magmatiche a temperatura e composizione diversa vengono a contatto, la piu' calda cede calore, raffredda e cristallizza mentre la piu' fredda si scalda (ed i cristalli che eventualmente essa conteneva fondono). All'equilibrio termico i due liquidi si mescolano (con tempi che dipendono dal rapporto tra le loro viscosita') e formano magmi ibridi. In conseguenza del diverso combinarsi di questi fattori i magmi possono avere composizioni assai diverse. Tali composizioni possono essere studiate solo in parte (attraverso l’analisi delle rocce vulcaniche e magmatiche in generale), dal momento che, nel corso dell’eruzione o anche della migrazione verso la superficie, gran parte dei gas si separano dal fuso e abbandonano il sistema. Nei magmi eruttati, e quindi nelle rocce vulcaniche, sono solo 10 gli elementi chimici che, insieme, costituiscono piu' del 99% di tutto il materiale presente sulla Terra, con l'ossigeno che , da solo, ne forma quasi il 50%. Dal momento che le proporzioni tra l'ossigeno e gli altri elementi sono fissate dalle rispettive valenze, e' abitudine riportare le composizioni di magmi e rocce in termini di ossidi piuttosto che di elementi. Una tale procedura non e’ altro comunque che un metodo conveniente di schedatura chimica per tabulare e confrontare tra loro composizioni le unita' essenziali sono in realta' ioni e gruppi ionici. Il costituente piu' abbondante delle rocce magmatiche e' la silice (SiO2) che varia tra valori minimi di 35-40% in peso a valori massimi superiori al 75%. L’aumentare del contenuto in silice e’ accompagnato da diminuzioni piu’ o meno rego lari di tutti gli altri componenti tranne gli alcali (Na2O e K2O). Semplificando in maniera brutale, i magmi (e le rocce magmatiche) relativamente ricchi in elementi che costituiscono i minerali che si formano temperatura piu’ alta (Mg, Ca) possono essere 8 considerati piu’ “primitivi” dei magmi ricchi invece in elementi (Na, K) che entrano preferibilmente nei minerali “piu’ freddi”. Tabella 2.1 - Abbondanza media degli elementi nelle rocce vulcaniche elemento % in peso ossigeno 46.42 silicio 27.59 alluminio 8.08 ferro 6.08 calcio 3.61 sodio 2.83 potassio 2.58 magnesio 2.09 titanio 0.72 fosforo 0.16 altri 0.84 Tabella 2.2 - Abbondanza media dei principali ossidi nelle rocce. basalto SiO2 TiO2 Al2O3 Fe2O3 FeO MnO MgO CaO Na2O K2O P2O5 49.2 1.8 15.7 3.8 7.1 0.2 6.7 9.5 2.9 1.1 0.4 hawaiite 47.5 3.2 15.7 4.9 7.4 0.2 5.6 7.9 4.0 1.5 0.7 mugearite trachite andesite dacite 50.5 2.1 16.7 4.9 5.9 0.3 3.2 6.1 4.7 2.5 0.7 61.2 0.7 17.0 3.0 2.3 0.1 0.9 2.3 5.5 5.0 0.2 57.9 0.9 17.0 3.3 4.0 0.1 3.3 6.8 3.5 1.6 0.2 latite 65.0 0.6 15.9 2.4 2.3 0.1 1.8 4.3 3.8 2.2 0.2 61.2 0.8 16.0 3.3 2.1 0.1 2.2 4.3 3.7 3.9 0.3 riolite 72.8 0.3 13.3 1.5 1.1 0.1 0.4 1.1 3.6 4.3 0.1 basa nite tefrite 44.3 2.5 14.7 3.9 7.5 0.2 8.5 10.2 3.5 2.0 0.7 47.8 1.8 17.0 4.1 5.2 0.2 4.7 9.2 3.7 4.5 0.6 fonolite 56.2 0.6 19.0 2.8 2.0 0.2 1.1 2.7 7.8 5.2 0.2 Nefelinite 40.6 2.7 14.3 5.5 6.2 0.3 6.4 11.9 4.8 3.5 1.1 Fig.2.10 - Contenuto relativo di alcali e SiO2 nelle rocce vulcaniche e nei magmi. Le variazioni reciproche dei componenti chimici delle rocce magmatiche non seguono quindi leggi stocastiche ma mostrano tra loro relazioni razionali, spesso di valore generale, che sono il risultato 9 dei processi liquido-cristalli che sono alla base delle maggiori variazioni' composizionali dei magmi. A livello di regolarita' di variazione la somma degli alcali (Na2O+K2O) e la silice sono i due parametri piu' significativi, le cui variazioni reciproche permettono di definire con buona approssimazione i campi occupati dai principali t ipi di roccia vulcanica (e di magmi). Si trova quindi che tutte le rocce di un certo tipo, cioe' con un certo nome (definito storicamente su basi mineralogiche, o chimiche) cadono in una campo relativamente ristretto di variabilita' SiO 2-( Na2O+K2O) (fig.2.10). I volatili nei magmi - La natura dei gas magmatici (“componenti volatili”) puo’ essere studiata attraverso il campionamento e l’analisi diretta delle emissioni da fumarole o da colate laviche, come pure attraverso l’analisi della composizione di piccole porzioni di fuso intrappolate da cristalli (“inclusioni vetrose e fluide”). Nel primo caso la precisa stima della composizione dei gas originariamente liberatisi dal magma e’ difficoltosa a causa delle reazioni che si svolgono successivamente all’interno della miscela gassosa e tra gas e ambiente al variare di temperatura e pressione. Per una stima della composizione pre-eruttiva dei gas, le composizioni misurate vanno sempre corrette e trasformate in concentrazioni di equilibrio e devono essere associate a un analisi dei prodotti degassati. Nel secondo caso si possono ottenere informazioni affidabili sulla quantita’ e natura dei volatili presenti nel magma, ma le dimensioni del campione impediscono in genere l’analisi delle specie meno abbondanti. Fig.2.11 - Fumarola del vulcano Kilauea (isole Hawaii). Cristalli gialli di Zolfo nativo si sono depositati attorno alla fenditura fumarolica per raffreddamento dei vapori ricchi in Zolfo elementare. Foto di R.L. Christiansen, 1973. Tratta dal sito: http://volcanoes.usgs.gov/Products/Pglossary/fumarole.html L’analisi diretta dei gas vulcanici ha mostrato che essi contengono un limitato numero di elementi come specie molecolari diverse: H, C, O, S, N, Cl, F, Br. L’idrogeno e’ l’elemento piu’ abbondante, essenzialmente presente come H2O e, in misura molto minore come H2. L’anidride carbonica CO2 e’ dominante tra le specie del Carbonio, tra le quali e’ presente anche CO. L’anidride solforosa (SO2) e il solfuro d’idrogeno (H2S) sono le specie principali dello Zolfo. Gli alogeni sono essenzialmente presenti come acidi (HCl, HF, HBr), mentre l’azoto e’ presente esclusivamente come N2. I rapporti tra le diverse specie sono abbastanza variabili da vulcano a vulcano, ma in ogni caso H2O e CO2 sono sempre le specie di gran lunga predominanti. 10 Fig.2.12 - Composizione di equilibrio (temperature e pressione sono indicate) di gas campionati nel corso di eruzioni La quantita’ di volatili disciolti nei magmi prima dell’essoluzione e’ assai variabile. I magmi piu’ primitivi sono in genere i piu’ poveri in volatili (spesso con un contenuto complessivo inferiore all’1% in peso). Al diminuire della temperatura e all’aumentare del grado di evoluzione de l magma quasi tutte le specie volatili tendono ad aumentare la loro concentrazione nel fuso (con l’eccezione delle specie dello S). Le concentrazioni massime complessive, per magmi stagnanti a medio-bassa pressione, non dovrebbero superare il 5 -6% in peso. 11 Temperatura e densita’ dei magmi - A pressione atmosferica, i magmi hanno temperature e densita’ comprese rispettivamente tra 700 e 1200°C e 2300 e 2700 kg/m3. La variabilta' delle temperature e delle densita’ delle diverse composizioni di magma e' abbastanza limitata e tipica di ciascuna composizione. I magmi piu’ “freddi” (e quindi piu’ evoluti) sono anche i meno densi in virtu’ della loro composizione, povera negli elementi piu’ pesanti (essenzialmente Fe) e ricca in quelli piu’ leggeri (essenzialmente silicio e alluminio). Temperatura e densita’ aumentano con l’aumentare della pressione. La temperatura dei magmi puo’ essere misurata direttamente sulle colate di lava attraverso termocoppie inserite nella lava o pirometri per la misura a distanza, oppure valutata attraverso lo studio dei cosidetti “geotermometri” (associazioni di minerali e minerali-vetro la cui composizione e’ molto sensibile alle variazioni di temperatura) e delle inclusioni vetrose nei minerali. Fig. 2.13 - La variabilita' della composizione e della temperatura dei magmi Fig.2.14 -Misure di temperatura delle lave. A sin: misura attraverso termocoppie inserite direttamente nella colata. Nel caso fotografato la misura e’ facile perche’ il flusso di lava e’ quasi fermo, e’ comodo avvicinarsi ad esso e restarci il tempo sufficiente perche’ la termocoppia si equilibri nel fuso (foto di P. Mouginis-Mark). Ma non e’ sempre cosi’, e un famoso vulcanologo, George Walker, una volta ebbe a dire: “la temperatura di una colata di lava e’ inversamente proporzionale al confort del vulcanologo che fa la misura!”. A destra: misurata a distanza attraverso strumenti all’origine predisposti per misurare le temperature negli altoforni. Tratte dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/ 1 Fig. 2.15 - Da sinistra: variazione della densita' dei magmi in funzione della temperatura (pressione = 1 bar), della pressione e della composizione, espressa dal contenuto in silice. Termometria ottica - Un cristallo in crescita da un magma puo’, in particolari circostanze (per es. una crescita rapida), intrappolare piccolissime gocce del fuso dal quale si sta formando. Nelle rocce vulcaniche (soprattutto se piroclastiche) queste gocce di magma appaiono “congelate” nel minerale che le ospita e sono costituite da vetro e da una bolla dovuta alla contrazione differenziale del vetro rispetto al cristallo. La tecnica fondamentale nello studio termometrico delle inclusioni e’ basata sull'osservazione al microscopio ottico dei cambiamenti nelle inclusioni in condizioni di riscaldamento controllato. La temperatura alla quale si ha omogenizzazione totale dell'inclusione in una sola fase liquida dopo la fusione del vetro (con riassorbimento della bolla di contrazione) può essere considerata equivalente alla temperatura minima di intrappolamento che, vista la relativa incompressibilità dei liquidi silicatici (che rende trascurabile la correzione per la pressione), la temperatura di omogenizzazione viene considerata equivalente alla temperatura di cristallizzazione del minerale ospite. Viscosita’ dei magmi - Si puo’ definire viscosita' la resistenza opposta da una sostanza a deformarsi sotto l'azione di una sollecitazione meccanica. Per sostanze fluide la viscosita’ e’ la resistenza opposta allo scorrimento. dx/dt σ z 2 Una forza di taglio σ applicata ad un fluido imprime ad esso una velocita' dv=dx/dt che dipende da una costante propria del fluido che e’ la viscosita’ η. σ = η(dx/dt) All'interno del suo spessore z, il fluido e' caratterizzato da un gradiente di velocita' (dv/dz). Si ha quindi: σ = η(dv/dz) Per uno stress applicato costante, ugualmente costante sara' la velocita' di flusso. Al momento in cui lo stress e' rimosso il liquido smette di fluire. La viscosita' tangenziale nei fluidi e' allora definita dal rapporto tra lo sforzo applicato e la "deformazione" (espressa da un gradiente di velocita'): Fig.2.16 - I diversi possibili comportamenti in un diagramma che illustra la velocita’ acquisita da un fluido viscoso in relazione alla forza ad esso applicata. OA = fluido newtoniano a bassa viscosita' OB = fluido newtoniano ad alta viscosita' OCD = fluido di Bingham con soglia di snervamento = OC OEF = fluido pseudoplastico I fluidi che seguono questa legge, conosciuta come legge di Newton della viscosita’, vengono detti newtoniani. In un grafico [σ in funzione di dv/dz] il loro comportamento e’ rappresentato da rette passanti per l'origine, con pendenza uguale a η. Esistono altri fluidi, non newtoniani, che hanno comportamento diverso. In particolare lo scorrimento dei fluidi detti di Bingham e’ condizionato dal superamento di una soglia minima di sforzo applicato (limite di plasticita’ o soglia di snervamento). Quando tale soglia e’ superata, il comportamento di questi fluidi diviene identico a quello dei fluidi newtoniani. L’unita’ di misura della viscosita’ nel sistema CGS e’ il poise che corrisponde alla forza che deve essere applicata su un cm2 di superficie per mantenere una differenza di velocita’ di un cm/s tra due strati distanti un cm. Nel sistema SI l’unita’ di misura e’ il Pascal secondo (Pa s = 10 poise). 3 Fig.2.17 - La notevole variabilita’ della viscosita’ dei magmi e’ valutabile attraverso le forme della lava raffreddata. Sin. alto : lava basaltica a bassa viscosita’, Hawaii 1987; sin. basso: lava riolitica ad alta viscosita’, Lipari; destra: lava ad altissima viscosita’, “spina” del vulcano La Pelee’ (Martinica) estrusa alal fine dell’eruzione del 1902 I principali fattori che influiscono sulla viscosita’ dei magmi sono: la composizione chimica, la temperatura, il contenuto in elementi volatil, il contenuto in particelle solide. Piu’ alto e' il contenuto in silice, piu' alta e' la viscosita'. Lo stato strutturale dei fusi silicatici da’ ragione del ruolo del silicio nell'aumentare la viscosita' del fuso, nonche' del ruolo degli ioni a debole carica nel diminuirla. Piu' alta e' la temperatura, piu' bassa e' la viscosita'. La variabilita' della temperatura delle diverse composizioni magmatiche reali e' modesta, essendo in genere il campo delle temperature abbastanza tipico di ogni composizione. I magmi hanno infatti scarsa capacita' di fluire a temperature significativamente inferiori alle loro temperature di totale fusione (detta anche temperatura di liquidus), e, d'altra parte, e' molto difficile che in natura si formino magmi soprariscaldati. Quando i volatili sono disciolti nel magma essi tendono ad abbassarne la viscosita'. All'interno del fuso essi sono infatti generalmente presenti come anioni monovalenti (F-, Cl-, OH-, HCO3-, ecc.) che, sostituendo l'ossigeno ai vertici dei tetraedri, impediscono la connessione tra tetraedri, interrompendo la catena - O - Si - O - Si - OH. Diverso e' il discorso quando le condizioni del sistema inducono la liberazione dei gas che formano bolle che tendono ad abbandonare il magma. Il sistema e' allora bifase (gas+liquido) e la parte liquida, impoverita in volatili, sara' piu' viscosa del sistema omogeneo (monofase liquido) di partenza; ma la miscela liquido + bolle (di fatto una schiuma) nel suo complesso avra' viscosita' inferiore a quella del monofase liquido. Le particelle solide presenti nei fusi silicatici possono essere costituite da cristalli o da xenoliti. La loro presenza aumenta la viscosita' del magma semplicemente a causa degli effetti di frizione. Conseguenza di cio' e' anche l'aumento marcato della soglia di snervamento nei fusi silicatici quando il liquido comincia a cristallizzare. 4 108 108 riolite riolite (900°C) 106 106 dacite dacite (1000°C) 104 104 andesite (1150°C) andesite 102 1150° 102 1050° basalto 1250° 1 1 basalto (1250°C) 10 20 30 40 50 volume % di cristalli 800 1000 1200 1400 temperatura (°C) 0 1 2 H 2O % in peso 3 Fig.2.18 - Variazioni della viscosita' dei fusi magmatici. A sinistra: in funzione della temperatura alla pressione di 1 bar. (tutte le composizioni sono prive di volatili); al centro: in funzione della quantita' di cristalli presenti nel fuso. (valori calcolati per una tefrite leucititica del Vesuvio con contenuto in H2O costante di 0.7% in peso); a destra: in funzione del contenuto in acqua disciolta, con temperatura costante per ogni composizione e pressione di 1 bar La solubilita’ dei componenti volatili nei magmi - Una delle caratteristiche piu' tipiche dell'attivita' vulcanica e' la liberazione, qualche volta tranquilla, qualche altra violentissima, dei gas contenuti nel magma. 0.3 2000 3 kb 1500 2 kb 0.2 1000 1 kb 0.1 500 10 0 2 4 6 8 H2O peso % 8 riolite (850°C) 6 4 basalto (1200°C) 2 0 1 2 3 Fig.2.19 - Solubilita' dei volatili nei fusi silicatici: a sinistra: la solubilita' dell'acqua e della CO2 e' maggiore nei fusi riolitici che in quelli basaltici. A destra: composizioni di saturazione H2O+CO2 a diverse pressioni (fase vapore presente) in fusi riolitici a 850 gradi e saturi in H2O+CO2. Ridisegnato da Wallace & Anderson, 2000, Encyclopedia of Volcanoes, Academic Press, san Diego 4 Pressione (kb) Nel corso della sua risalita verso la superficie il magma, contenente volatili disciolti, raggiunge ad un certo momento, per decompressione, la sovrasaturazione in tali componenti. Essi si liberano e tendono ad abbandonare il sistema che ora e’ costituito da un fuso silicatico, particelle solide e gas in svolgimento. Le diverse modalita' di formazione del piromagma condizionano le differenti tipologie di eruzione vulcanica. 5 I dati esistenti indicano comunque che la componente di gran lunga prevalente tra le specie volatili disciolte nel magma e' l'H2O, cui si associano quantita', talora rilevanti di CO2, mentre minore abbondanza presentano HCl, HF, H2S, SO2, SO3, S, gas rari, N2, NH3. In linea di principio, nei magmi silicatici, la solubilita' di ogni componente volatile 1. aumenta all'aumentare della pressione 2. diminuisce all'aumentare della temperatura 3. diminuisce all'aumentare della quantita' degli altri volatili 4. varia di poco, a T costante, al variare della composizione del fuso Formazione e migrazione dei magmi Il mantello terrestre e' un solido cristallino che si trova ad una temperatura in genere vicina alla sua temperatura di solidus (cioe' la temperatura alla quale esso comincia a fondere). In circostanze adatte e particolari, esso puo’ arrivare ad intersecare la curva del solidus, tipica della sua composizione e delle condizioni fisiche (essenzialmente la pressione) che le competono. Si formano allora quantita' di liquido variabili in funzione della quantita' di calore disponibile. In prima approssimazione il grado di fusione parziale e’ proporzionale alla differenza (∆T) tra la temperatura a cui il processo sta avvenendo e la temperatura di solidus: ∆T=(Ql/Cp)f dove Ql e' il calore latente di fusione, Cp il calore specifico del liquido a pressione costante e f la porzione di fuso formata (da 0 a 1). Fig.2.20 - Diagramma semplificato che mostra come il gradiente geotermico medio (geoterma) non sia compatibile con l'inizio della fusione ("solidus") di un mantello "normale" (cioe' anidro). La generazione di magma puo' avvenire per fusione per decompressione in seguito a risalita di mantello (freccia nera) o per fusione di mantello modificato da fluidi, che ne abbassano la temperatura di solidus (solidus idrato). Modificato da Perfit M.R. & Davidson J.P, 2000: Plate tectonics and Volcanism, in Encyclopedia of Volcanoes, Academic Press. In condizioni "normali" il mantello (costituito da rocce peridotitiche) e' secco e l'aumento di temperatura con la profondita' (indicato dalla geoterma) non e' compatibile con l'inizio della fusione ("solidus"). I magmi si formano attraverso due meccanismi connessi a particolari condizioni geodinamiche: 1. fusione parziale di un mantello normale (secco) causata da una diminuzione di pressione connessa alla risalita di masse calde profonde (vulcanismo dei punti caldi e dei margini divergenti); 6 2. fusione parziale di un mantello modificato da fluidi che idratano il mantello e ne abbassano la temperatura di solidus (vulcanismo dei margini convergenti). Il magma si forma per lo piu’ a seguito della fusione parziale di peridotiti del mantello astenosferico. In un tale sistema, plastico ad alta viscosita’, quando sufficiente liquido e' prodotto (il sistema diventa permeabile), esso puo' migrare verso la superficie mentre la matrice solida e’ libera di deformarsi, collassando. La mobilita' del liquido prodotto viene controllata essenzialmente da tre parametri: (1) la gravita', che agisce sul contrasto di densita' liquido/solido; (2) la presenza eventuale di pressioni differenziali che possono facilitare la risalita del liquido; (3) le variazioni di energia di superficie, che favoriscono la concentrazione del liquido in corrispondenza degli spigoli lungo i quali si realizza un contatto multiplo tra granuli minerali (giunzioni triple). In queste condizioni il magma si sposta con una velocita’ (Vm) che dipende dalla viscosita’ e dalla densita’: Vm = ∆ρgR2f/ηX dove ∆ρ e’ il contrasto di densita' tra roccia e magma, g e' l'accelerazione di gravita', R il raggio medio dei cristalli, f la frazione di fuso formato, η la sua viscosita', X una costante che dipende dalla porosita' e permeabilita' del mezzo e dalle dimensioni dei canali di scorrimento. La mobilita' del magma e' quindi tanto maggiore quanto piu' leggero e' il liquido rispetto al solido, e quanto meno viscoso e' il liquido. Cio' significa che quando il magma in migrazione incontra rocce a densita' minore di quelle a cui si era formato, esso rallentera' e potra' accumularsi; una situazione analoga si potra' avere a seguito di un rallentamento legato ad un aumento di viscosita' della testa della colonna in risalita se questa, per esempio, incontra rocce piu' fredde. Quando il magma raggiunge gli strati superiori dell'involucro terrestre (la litosfera) esso e' soggetto a meccanismi di trasferimento condizionati dal comportamento rigido del mezzo attraversato. Vari meccanismi possono essere invocati per la risalita dei magmi: - "fusione zonale" e “stoping” (il magma risale fratturando e fondendo in parte le rocce sovrastanti i cui residui affondano nel liquido); - tettonica compressiva o traslazionale che "strizzerebbe" il magma verso la superficie); - “galleggiamento” del magma all'interno di rocce piu' dense. 7 Fig.2.21 - Fratture riempite di lava (“dicchi”) nell’isola di Tenerife (Arcipelago delle Canarie, foto Santacroce a sin.) e nella Provincia del Capo, Sud Africa (foto D.L. Reid, A.J. Erlank ,D.C. Rex, S. Afr. J. Geol., 1991). http://www.uct.ac.za/depts/geolsci/dlr/karoo.html Nel corso dell’ascesa il magma potra' in realta' seguire leggi diverse a causa della variabilita' dei caratteri fisici della litosfera, ma il meccanismo certamente piu’ frequente e' la migrazione del magma all’interno di fratture, di cui sono evidenza i “dicchi” che tagliano i fianchi erosi di molti vulcani, ma anche il basamento sedimentario o metamorfico o il mantello litosferico. Il progressivo accumulo di magma alla base della litosfera puo’ creare una sovrapressione sufficiente ad originare una frattura che si apre lentamente dal basso verso l'alto. Il magma riempie la frattura fino a che essa raggiunge una lunghezza critica, superata la quale la frattura migra lentamente verso l'alto richiudendosi verso il basso con una velocita' di risalita che dipende dal contrasto di densita' tra magma ed incassante. Fig.2.22 - Dicchi emergenti per erosione differenziale - Isola di Tenerife (arcipelago delle Canarie) Foto Santacroce 8 Al passaggio mantello litosferico-crosta (“Moho”) la densita' delle rocce incassanti si abbassa ed ai magmi (in genere piu' densi) e' preclusa la risalita per semplice contrasto di densita'. Ma l’apertura della frattura comporta la depressurizzazione del magma alla base della frattura stessa, con conseguente abbassamento della solubilta' dei volatili e liberazione di bolle di gas. Queste “gonfiano” il fuso, ne riducono la densita' apparente e lo trascinano verso l'alto. La propagazione delle fratture e’ facilitata ed accelerata da un altro fenomeno: i volatili liberati dal magma alla punta della frattura sono chimicamente aggressivi (HCl, HF, H2S, ecc.) e, reagendo con l'incassante, ne riducono significativamente la resistenza alla fratturazione: ne conseguira' che la frattura potra' propagarsi anche senza aver raggiunto la sua lunghezza critica. La fuoriuscita del magma I volatili disciolti nel magma condizionano in larga misura la natura delle eruzioni vulcaniche. Al momento della loro formazione i magmi sono in genere lontani dalla saturazione in volatili, ma nel corso della risalita verso la superficie essi si avvicinano progressivamente alle condizioni di saturazione. Sappiamo infatti che la solubilita' dei volatili nel magma diminuisce al diminuire della pressione e quindi, in prima approssimazione, della profondita'. Quando la loro pressione parziale uguaglia la pressione confinante, i volatili cominceranno a liberarsi dal magma come fase indipendente (essoluzione dei gas). Piu' alto e' il contenuto in volatili disciolti, piu' elevata sara’ la profondita' alla quale comincia l'essoluzione. L'essoluzione dei componenti volatili indotta dall’abbassamento di pressione prende il nome di essoluzione per decompressione o ebollizione primaria dal momento che essa si riflette nella formazione di bolle che tenderanno ad abbandonare il sistema. In questo esse sono pero’ ostacolate dalla viscosita’ del fuso, che aumenta anche in relazione alla essoluzione dei volatili. Al crescere della quantita' di bolle che non riescono a liberarsi, il rapporto di volume gas/liquido aumenta, il sistema “gonfia” e, in condizioni di condotto non ostruito, la velocita' di risalita aumenta. Se il magma esce in questa condizione (cioe’ come liquido continuo contenente una quantita' variabile di bolle), si avra’ l’emissione di colate laviche e l’eruzione sara’ detta effusiva. Ma nei magmi piu’ ricchi in gas, che sono anche i piu’ viscosi, la superficie di essoluzione e’ piu’ profonda e l'aumento del rapporto tra bolle incapaci di abbandonare il sistema e liquido puo’ proseguire fino a essere non piu' compatibile con un sistema liquido continuo: si arriva cosi’ alla frammentazione del magma, che uscira' in superficie come miscela gas-particelle liquide (e solide). Sono queste le eruzioni esplosive. 9 Fig.2.23 - Eruzioni effusive ed eruzioni esplosive. Le eruzioni effusive sono legate a magmi piu’ poveri in volatili e, in genere, meno viscosi. La superficie di essoluzione dei volatili e’ abbastanza superficiale. I magmi emessi nel corso delle eruzioni esplosive sono piu’ ricchi in volatili, piu’ freddi e piu’ viscosi. Di conseguenza piu' elevata e' la profondita' alla quale comincia l'essoluzione dei gas e maggiore e’ la difficolta’ dei gas essolti a liberarsi. Quando il rapporto tra bolle e liquido raggiunge un valore limite non piu' compatibile con un sistema liquido continuo il magma frammenta (e livello di frammentazione e' detta la profondita' nel condotto a cui il fenomeno si verifica). Fig. 2.24 - Sopra: Spettacolare visione notturna di una modesta esplosione stromboliana del Cerro Negro, un vulcano del Nicaragua, nel 1968. Copyright Robert Decker , dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/. A destra litografia di V.Day e figlio raffigurante una fase esplosiva dell’eruzione del Vesuvio dell'ottobre 1822. In G. Poullet Scrope, Masson, 1864. http://www.dgv.unina.it/vesuvio/XIXb.html 10 LA DISTRIBUZIONE DEI VULCANI SULLA SUPERFICIE TERRESTRE La maggior parte dei vulcani attivi si trova distribuito nelle zone di espansione e di subduzione. E’ in corrispondenza di tali aree, infatti, che, all'interno della Terra, si realizzano le condizioni per la formazione dei magmi e per il loro trasporto verso la superficie terrestre. Alcuni vulcani sono pero’ ubicati all’interno delle placche, in connessione a situazioni geodinamiche particolari: “punti caldi” e “rifts continentali”. Vulcani delle zone di espansione Piu’ del 60% del magma che fuoriesce sulla superficie terrestre si forma lungo i margini divergenti, in corrispondenza delle dorsali medio-oceaniche (che non sempre si trovano, pero’, in mezzo agli oceani). Esse costituiscono catene lunghe migliaia di chilometri che si elevano per 10003000 m. dal fondo degli oceani e rappresentano il piu’ grande e continuo sistema vulcanico della Terra. Fig.2.26 - Sezione schematica attraverso una dorsale oceanica. Le frecce nere mostrano le linee di flusso divergenti e simmetriche del mantello astenosferico al di sotto della zona assiale. Al di sopra di una certa profondita' l'astenosfera in risalita incontra condizioni che ne provocano la fusione parziale e i fusi si muovono convergendo verso l’asse della dorsale. Da qui, attraverso processi piu’ o meno complessi, essi fuoriescono creando nuova crosta oceanica. L'astenosfera “impoverita” da questo processo continua a risalire e, fluendo lateralmente, va a formare nuovo mantello litosferico, anch’esso “impoverito”.Ridisegnato da S.J. Sparks, 1992, Magma Generation in the Earth In: Understanding the Earth, Cambridge University Press, 91-114 In corrispondenza dell’asse delle dorsali si ha continua, lenta ascesa di mantello caldo astenosferico che spinge da parte la litosfera fredda. Il mantello in risalita e' sottoposto ad un forte abbassamento di pressione, massimo al di sotto dell'asse della dorsale. I principi della termodinamica e studi sperimentali mostrano che ad un abbassamento di pressione corrisponde una diminuzione della temperatura di inizio della fusione. E’ facile quindi che la decompressione provochi la fusione parziale e quindi la formazione di magma, che si separa dal solido e va a formare serbatoi magmatici subsuperficiali che alimentano il vulcanismo. In queste condizioni di formazione i magmi hanno composizione essenzialmente basaltica. Essi, sia che arrivino in superficie come lave basaltiche o raffreddino in profondita’ a dare intrusioni gabbriche, formano nuova crosta oceanica. Alla formazione di nuova litosfera contribuisce anche, fluendo lateralmente, l'astenosfera “impoverita” dalla separazione del magma. Nonostante la sua sostanziale continuita’ il sistema vulcanico delle dorsali oceaniche e’ divisibile in segmenti di lunghezza variabile, i piu’ estesi dei quali sono limitati da grandi zone di frattura trasversali rispetto alla dorsale. 1100 2000 1500 10 50 60 80 20 40 30 100 150 50 temperatura (°C) Fig.2.27 - Fusione per decompressione dell’astenosfera. Porzioni di mantello a temperatura diversa in funzione della profondita’ di provenienza (tre casi mostrati) risalgono verso la superficie e intersecano la curva di solidus (inizio della fusione). Le curve tratteggiate mostrano l’entita’ della fusione parziale in volume %. Ridisegnato da S.J. Sparks, 1992, Magma Generation in the Earth In: Understanding the Earth, Cambridge University Press, 91-114 Vulcani degli archi insulari e dei margini continentali Uno degli apparenti paradossi delle subduzione e’ che lo sprofondamento di materiale denso e freddo in un’astenosfera solida (anch’essa fredda o comunque al di sotto della sua temperatura di inizio di fusione), e’ tipicamente associato a esteso magmatismo. La spiegazione e’ in realta’ abbastanza semplice e coinvolge due fenomeni diversi: - l’acqua introdotta nel cuneo astenosferico soprastante la placca in subduzione abbassa la temperatura di inizio di fusione delle rocce dell’astenosfera e consente la formazione di magmi (fusione parziale della peridotite idrata, vedi fig. 2.20) in un intervallo abbastanza ristretto di profondita’ (intorno ai 100150 km). La risalita di questi magmi e’ all’origine della formazione degli archi vulcanici. Il vulcanismo in quest'ambiente può essere altamente esplosivo a causa dell'elevato contenuto in volatili del magma. - la discesa della placca dentro l’astenosfera induce lo spostamento verso l’alto di porzioni calde di astenosfera, provocandone la fusione parziale (per decompressione) e la generazione di magma. Il vulcanismo dei bacini retroarco e’ legato a questo processo. Ove la collisione si realizzi tra due placche oceaniche, il vulcanismo di retroarco avra’ caratteristiche molto vicine a quelle dei margini in distensione. Ove invece il bacino retroarco sia impostato su crosta continentale, i magmi che fuoriescono avranno alta probabilita’ di essere modificati per processi di interazione con la crosta, i vulcani saranno piu’ esplosivi e saranno comuni le grandi eruzioni ignimbritiche. Gli archi sono caratterizzati da una catena di vulcani subparallela alla fossa, spesso suddivisa in segmenti separati da zone prive di vulcanismo (che dovrebbero essere connesse a placche a angolo di immersione molto basso). Tale segmentazione puo’ essere significativamente condizionata dalle strutture della placca superiore, ma in genere riflette la geometria della placca subdotta, e in particolare la sua articolazione in “fette” (slabs) a diversa immersione. La distanza tra i vulcani di un arco (“volcano spacing”) non e’ casuale e in media puo’ essere assunta intorno ai 70 km. Vulcani interni alle placche I vulcani non si trovano soltanto sui margini delle placche litosferiche ma anche, piu’ raramente, al loro interno, in corrispondenza di strutture tettoniche particolari (“rift valleys continentali”) e di quelli che vengono chiamati “punti caldi” (hot spots) . I punti caldi vengono interpretati come manifestazioni superficiali di celle di convezione tubulari (“pennacchi caldi” o hot plumes), stazionarie all’interfaccia nucleo-mantello (fig.I.3), che portano continuamente in superficie materiale caldo astenosferico. Lo scorrimento di una placca litosferica sopra un punto caldo e’ marcato da un allineamento di vulcani di cui solo il piu’ recente (ancora sul punto caldo) e' attivo. Queste catene vulcaniche, di cui le isole Hawaii sono l’esempio piu’ didattico e famoso (fig.2.29), rappresentano punti di riferimento fondamentali per ricostruire il movimento delle placche. Fig.2.28 - Il magma viene generato in un volume relativamente ristretto di astenosfera al di sopra della placca in subduzione. L’instabilita’ fluidodinamica del magma, meno denso del mantello solido circostante, induce la formazione, a distanza grossolanamente costante una dall’altra, di colonne permanenti di risalita di magma. La profondita’ all’incirca costante alla quale si forma il magma fa’ si che la distribuzione in superficie dei vulcani sia controllata dalla geometria della placca in subduzione. Ridisegnato da: Moores and Twiss, Tectonics, Freeman & Co., New York, 1995 Fig.2.29 - Illustrazione schematica del movimento della placca pacifica sopra il punto caldo di Hawaii, fisso nella sua posizione, che illustra la formazione della catena vulcanica delle Hawaii. Tratto dal sito dell’USGS, Hawaiian Volcanoes Observatory, modificato da un disegno di Maurice Krafft. Le rift valleys continentali e i grandi impilamenti di colate laviche (plateaux basaltici) sui quali le rift valleys in genere si impostano, possono essere interpretate come strutture legate ai fenomeni iniziali della separazione tra placche litosferiche. E’ probabile che anch’esse siano da mettere in relazione con la presenza di punti caldi. Alcuni punti caldi si trovano infatti al centro di “giunzioni triple” che, formatesi all’interno di una placca, portano progressivamente alla sua frammentazione in tre parti. L’esempio piu’ chiaro di questa situazione e’ rappresentato dal punto triplo dell’Afar (fig.2.31). Su di esso confluiscono il Mar Rosso (margine divergente “giovane” che separa la placca nubiana da quella araba), il Golfo di Aden (margine divergente “maturo” che separa la placca araba da quella somala) e la Rift Valley est-africana (margine divergente “embrionale” che separa la placca somala da quella nubiana). Fig.2.30 - Posizione dei principali punti caldi. Modificato da USGS, This Dynamic Planet Fig.2.31 - Schema della tettonica a placche nell’area del punto triplo dell’Afar. Le parti scure (M.Rosso e Golfo di Aden, indicano la natura oceanica della crosta. Modificato da Kearey & Vine, in Tettonica Globale, Zanichelli,1994 Eruzioni effusive di magmi viscosi Le colate di lava a composizione “intermedia” (andesitica, dacitica, ecc.) sono caratterizzate da superfici costituite da blocchi grossolanamente poliedrici che passano in basso a lava massiva. Nella parte interna queste lave sono talvolta finemente stratificate, frequentemente con i cristalli isorientati; questa foliazione e’ attribuibile all’attrito sviluppato in regime di flusso laminare. Le lave piu’ viscose (a composizione riolitica o trachitica) hanno litologie molto variabil. Ossidiane nere, vetrose, compatte costituiscono talvolta uno spesso guscio rigido attorno al corpo principale litoide; esse si formano per brusco sovraraffreddamento del magma. Nelle ossidiane sono spesso presenti sferuliti, aggregati radiali di feldspato alcalino e silice, che si formano per ricristallizzazione secondaria. Livelli pomicei o ossidianaceo-pomicei si possono ritrovare intercalati con livelli ossidianacei e livelli sferulitici, e testimoniano dell’essoluzione dei volatili (pochi) presenti nel magma durante lo scorrimento della colata. La componente litologica principale della maggior parte delle colate riolitiche e’ la lava litoide finemente foliata, che si forma per micro- e criptocristallizzazione del magma durante o dopo la messa in posto. Bande e lenti di perlite si formano per idratazione dell’ossidiana che assorbe acqua dall’atmosfera circostante; lo spessore della corteccia perlitica cresce con il tempo (a parita’ di altre condizioni quali composizione dell’ossidiana e clima) secondo leggi abbastanza precise (il quadrato dello spessore cresce tra 0.5 e 30 micron2 ogni 1000 anni). Fig. 2.44 - Lava andesitico-basaltica a blocchi del Monte Shasta (USA). La colata e’ lunga 6 km, spessa 110 m e ha circa 9700 anni. La Highway 97 si vede nella parte bassa della foto. U.S. Geological Survey (Figure 5 from Miller,1980). Fig. 2.45 - Tipica morfologia di una colata lavica viscosa a composizione trachitica. Vulcano Hayligub nella catena dell’Erta’ Ale (Afar, Etiopia). Foto Barberi, g.c. La superficie superiore delle colate viscose e’ tipicamente rugosa e a blocchi e su di essa si riconoscono spesso creste arcuate, grossolanamente concentriche, convesse nel senso del flusso. Queste creste sono state interpretate in vari modi: rampe rigide legate alla foliazione, pieghe sulla superficie (analoghe alle corde delle lave basiche), “spremiture” di magma piu’ fluido attraverso lacerazioni della crosta viscosa. Nel caso della colata ossidianacea delle Rocche Rosse a Lipari la foliazione subverticale indica che le creste, in quel caso, rappresentano strutture a rampa (fig. 2.48). Fig. 2.46 - Foto area della Big Glass Mountain, un complesso di colate ossidianacee nelle Medicine Lake Highlands, ad est del Monte Shasta (USA). I flussi hanno viscosita' molto elevata con fronti ripidi e superfici superiori irregolari dominati dalla presenza di creste concentriche con la convessita' rivolta nel senso del flusso, chiamati "ogive". Da Greeley, 1977, in Cas & Wright, Volcanic Successions, Allen & Unwin, London, 1987 Fig. 2.47 - Sezione longitudinale, schematica e ideale di una colata riolitica mostrante le diverse litologie presenti.. Ridisegnato da Cas & Wright, Volcanic Successions, Allen & Unwin, London, 1987 ogiva breccia di tetto } ossidiana foliata breccia basale Fig. 2.48 - Sezione schematica longitudinale della colata ossidianacea delle Rocche Rosse (Lipari) mostrante l'andamento fittamente foliato della parte centrale della colata e le tipiche strutture a rampa ("ogive") che in pianta hanno l'andamento arcuato, convesso nel senso del flusso illustrato dalla foto area di figura F0504033. Modificato da Hall, 1978 in Cas & Wright, Volcanic Successions, Allen & Unwin, London, 1987 DUOMI DI LAVA Quando la viscosita’ (o meglio la soglia di snervamento) del magma e’ talmente alta da impedirne il flusso, esso tende ad impilarsi al di sopra della bocca eruttiva formando ripidi rilievi che prendono il nome di duomi vulcanici; non e' raro che le strutture domiche non arrivino in superficie ma si arrestino a bassissima profondita, deformando la superficie del terreno senza perforarla ("criptoduomi" o "duomi intrusivi"). Fig.2.49 A: Rappresentazione schematica dei principali tipi di duomo lavico; B: duomi endogeni e duomi esogeni con i numeri che indicano la successione cronologica di messa in posto In relazione alle loro modalita' di accrescimento i duomi possono essere distinti in endogeni ed esogeni. Nel primo caso (piu’ tipico e frequente) il duomo si accresce progressivamente dall'interno, deformando e gonfiando (spesso fino a romperli) gli strati lavici precedentemente usciti; nel caso dei duomi esogeni (per esempio il Colle Umberto, formatosi tra il 1895 ed il 1899 sul fianco nordoccidentale del Vesuvio), la crescita procede per accumulo progressivo di lave viscose attorno alla bocca, con il condotto che si "allunga" al procedere dell'estrusione e l'eta' di messa in posto (contrariamente al caso precedente) diminuisce dalla base al tetto del duomo. I duomi esogeni (detti anche cupole di ristagno) sono il risultato piu’ di una morfologia inadatta allo scorrimento che della elevata viscosita’ della lava. Fig. 2.50 - Duomo esogeno cresciuto nel cratere del Novarupta, Alaska, dopo l’eruzione del 1912 che porto’ al collasso calderico del Katmai. Foto di G.Iwatsuko, USGS, http://vulcan.wr.usgs.gov/Imgs/Jpg/Katmai/ Fig. 2.52 - Vista dall’aereo del Panum Crater (Mono Craters, California) e del duomo di lava innestato nel cratere. Il duomo rappresenta l’ultimo episodio eruttivo del sistema dei Mono Craters essendo datato circa al 1350 d.C. Si noti la parte sommitale “sgonfiata” del duomo. http://quake.wr.usgs.gov/VOLCANOES/LongValley/gall ery/30714277-001_caption.html Fig. 2.51 - Duomo lavico dacitico nel cratere della Soufriere di St. Vincent (Antille). Foto J.L. Cheminee’, in: Les Observatoires volcanologiques francais. IPG Paris (senza data). Fig. 2.53 - La protrusione solida (o spina) fuoriuscita dal cratere della Montagna Pelee (Martinica) dopo l’eruzione del 1902. Il diametro di base era di circa 100 m ed l’altezza di 300 m (con una velocita’ massima di innalzamento che raggiunse i 13 m in un giorno). La sua erosione fu pero’ molto rapida ed oggi non ne rimane praticamente piu’ traccia. Da La Croix, 1904, La Montagne Pelee et ses eruptions, Masson , Parigi Fig.2.54 - Il duomo lavico Showa-Shinzan (405 m) nell’isola di Hokkaido (Giappone) si e’ formato nel 1943 e fa parte del complesso vulcanico dell’Usu. Scaricato dal sito http://www.aist.go.jp/GSJ/~jdehn/vphoto/ss-xusu.jpg/, Fig.2.55 - Sopra: Il primo duomo lavico formatosi all’interno del cratere creato dall’eruzione del 18 Maggio 1980 del Monte St Helens (stato di Washington, USA). Questo duomo fu distrutto durante l’eruzione del 22 Luglio 1980. Sotto: la crescita del duomo tra il 1980 e il 1986. Foto di R.I. Tilling; schema di Topinka. Dal sito http://vulcan.wr.usgs.gov/Imgs/Gif/MSH/Graphics/Domes/ Mentre un duomo esogeno in crescita ha l’aspetto di un panettone ben lievitato con una sommita’ cupoliforme abbastanza regolare, i duomi “vecchi” tendono ad afflosciarsi (sgonfiandosi) nella parte sommitale formando depressioni pseudo crateriche (Fig.2.52). LE ERUZIONI EFFUSIVE Si dicono effusive quelle eruzioni nelle quali il magma esce in superficie come flusso liquido ad alta temperatura (colata lavica). Un’eruzione effusiva richiede in linea generale che il contenuto in gas e la viscosita’ del magma non siano elevati. I magmi basici rispondono a tali requisiti, mentre la maggior parte dei magmi evoluti od intermedi hanno viscosita’ e contenuti originari di volatili tali da provocarne la frammentazione prima dell'emissione. Perche’ un magma evoluto o intermedio sia emesso come lava e’ necessario, in linea di principio, che si sia verificato un impoverimento in gas attraverso la fuga graduale dei volatili attraverso fumarole e sorgenti termali oppure attraverso una fase esplosiva iniziale che coinvolga gran parte dei gas, concentratisi nelle porzioni superiori della massa magmatica. Quest'ultimo caso comporta che le effusioni laviche di magmi evoluti ed intermedi rappresentino spesso gli eventi terminali di eruzioni complesse, iniziate con fasi esplosive. Fig.2.32 - Eruzione effusiva (magmi basici, poco viscosi) del 1968 dell’Halemaumau (Kilauea, Hawaii). Foto di R.Fiske http://wwwhvo.wr.usgs.gov La morfologia delle colate laviche e le distanze che esse sono capaci di percorrere possono essere molto variabili in funzione soprattutto di tre fattori: - il tasso di emissione, cioe’ la quantita’ di magma che esce per unita’ di tempo; - la viscosita’ del magma e il valore della sua soglia di snervamento; la pendenza del terreno su cui la colata si muove. Tabella 2.2 - Tassi effusivi di alcune colate laviche a composizione basaltica vulcano anno composizione tasso eruttivo (m3/sec) Laki (Islanda Etna Etna 1783 1865-1975 (17 eruzioni) 1975 basalto basaltohawaiite hawaiite 5000 15-45 0.3-0.5 1 Etna Etna Mauna Loa (Hawaii) Askja (Islanda) Paricutin (Messico) 1989 1991-92 1851-1950 (10 eruzioni) 1961 1943-1952 hawaiite hawaiite basalto 0.4-0.9 0.8-35 100 basalto 33-800 andesite basaltica 0.7 andesite Vesuvio 1906 tefrite fonolitica 0.8-60 modificato da Cas R.A.F & Wright J.V., Volcanic Successions,Allen & Unwin, London, 1987 Come regola generale, quanto piu’ alto e’ il tasso di emissione (che puo’ variare tra 1 e 5000 m3/s) tanto piu’ lontano arrivera’ la colata (portate elevate implicano raffreddamento piu’ lento e quindi piu’ lento aumento della viscosita’). Tabella 2.3 - Tassi effusivi di alcune colate laviche a composizione andesitica e dacitica vulcano anno dell'eruzione tasso effusivo medio (m3/sec) Santorini 1886-1870 0.7 Santiaguito 1922 - 1983 0.4 Mount Lamington 1951-1956 5.8 Bezymianny 1955-1983 1.8 Colima 1975-76 0.05 Augustine 1976 11.6 St. Helens 1980-1983 0.5 Usu (Meji Shinzan) 1910 3.5 Usu (Showa-Shinzan) 1943-1945 1.2 Usu (Usu-Shinzan) 1977-1983 0.6 modificato da Newhall & Melson, 1983 in Cas R.A.F & Wright J.V., Volcanic Successions,Allen & Unwin, London, 1987 Le colate laviche piu' estese hanno composizione basaltica e sono state eruttate da grandi fratture, lunghe decine o centinaia di km, sia in ambiente continentale (basalti dei plateaux) che sottomarino (basalti dei fondi oceanici). La piu' grande eruzione effusiva storica e’ quella di Laki (1783]), in Islanda: da frattura lunga 25 km, in sette mesi, furono emessi circa 12 km3 di lave basaltiche che coprirono un'area di 565 km2 e raggiunsero distanze di oltre 50 km dal punto di emissione. Le lave basiche eruttate da vulcani centrali, da sorgenti puntiformi o da fratture di modesta lunghezza hanno volumi molto piu' ridotti (<0.5 km3) e coprono aree molto minori. Fig.2.33 - Colata lavica dell’Aprile 2000 (Pu’u O’o, Kilauea, Hawaii). Tratta dal sito http://wwwhvo.wr.usgs.gov 2 Colate basiche subaeree Colate subaeree di lava basica possono formarsi in seguito alla fuoriuscita di magma liquido da bocche centrali o fissurali, al trabocco di un lago di lava che riempiva un cratere, oppure alla ricomposizione di un flusso liquido continuo dalla abbondante ricaduta di brandelli lavici ancora fusi a seguito di attivita' di fontana di lava. Fig.2.34 - Eruzione lavica fissurale (8 settembre 1977) nell’area di Krafla (Islanda). Solarfilma, Reykjavik, Iceland (foto di Sigurdur Porarinsson) Molte delle caratteristiche delle colate basiche sono documentate dagli studi effettuati su prodotti recenti ed attuali dell'isola di Hawaii, cui si rifa' anche gran parte della nomenclatura di questi prodotti. Due tipi di colata basica possono sostanzialmente essere distinti: - Colate pahoehoe sono dette quelle lave la cui superficie e' liscia od ondulata, a corde o a budella: esse si formano quando la lava fluida scorre al disotto di una crosticina sottile ancora plastica che si raggrinza e si piega formando creste sottili. Le corde sono generalmente convesse verso valle, ma esse possono essere anche allineate parallelamente alla direzione del flusso. Quando la crosta che si forma e’ piu’ spessa, e' comune che al di sotto di essa si formino tubi e tunnels. Essi sono importanti perche' la loro formazione riduce notevolmente la perdita di calore attraverso la superficie di una colata e le permette di percorrere lunghe distanze. I tubi in genere si formano per progressiva costruzione di un tetto al di sopra di un flusso lavico incanalato all'interno di argini da lui costruiti. Sebbene tipici delle colate pahoehoe, i tubi di lava si possono formare anche nelle colate aa. 3 Fig.2.35 - Sezioni longitudinali schematiche dei due principali tipi di colate basaltiche subaeree. Ridisegnata da Lockwood e Lipman, Bull. Volcanol. 43, 1980 - Colate aa: La superficie di una colata aa, in contrasto con quella liscia di una colata pahoehoe, e' estremamente irregolare, frammentata, spinosa, scoriacea. Verso il basso sfuma lentamente nel corpo lavico massivo. Le colate aa scorrono spesso come torrenti ben individualizzati limitati da argini che essi stessi hanno costruito. La transizione da pahoehoe ad aa sembra essere connessa ad un aumento della viscosita'. Fig. 2.36 - Superficie di una colata pahoehoe ancora calda e in lento movimento. Foto di D.W.Peterson, USGS, riprodotta da Magma Transport and Storage, ed. M.P.Ryan, Wiley & Sons, 1990 Fig. 2.37 - La chiesa del villaggio di San Juan Parangaricutiro (Messico) coperta dalla lava emessa tra il 1943 e il 1952 dal cono Paricutin (sullo sfondo). Si noti la superficie “aa” della lava. Foto di Francisco Medina in 4 Mexican Volcanoes Calendar, 1998, L. e V. Godinez ed.Mexico City Fig. 2.38 - Eruzione dell’Etna nel Maggio 1992. Una colata di tipo tendenzialmente aa (si vedano gli argini entro i quali essa scorre) fuoriesce da un tunnel. Su questa colata fu effettuato un intervento riuscito di deviazione del flusso con esplosivo. Barberi et al., 1992, L’eruzione 1991-1992 dell’Etna, Giardini, Pisa. Plateaux Basaltici I basalti fissurali emessi in aree continentali danno luogo a grandi colate la cui sovrapposizione porta alla formazione dei plateaux basaltici. Queste strutture si sviluppano nell'arco di centinaia di migliaia e di milioni di anni in aree geodinamiche particolari (sono in genere associati agli stati embrionali e precoci dei rifts continentali). Si tratta per lo piu' di colate pahoehoe, ma le superfici raramente sono conservate. L'imponenza delle singole colate (o l'esistenza di un lago di lava solidificato) fa' si' che i tempi di raffreddamento delle medesime siano relativamente lunghi, con conseguente frequente sviluppo di strutture particolari che prendono il nome di fessurazioni (o giunzioni) colonnari. Il raffreddamento comporta una contrazione e si sviluppa dalle zone esterne della colata (la base ed il tetto) verso l'interno. Le tensioni che si realizzano nel corso del raffreddamento producono fratturazioni regolari perpendicolari alla superficie di raffreddamento e quindi normalmente verticali: si formano in questo modo delle vere e proprie colonne a contorno poligonale. Il fatto che le colonne si sviluppino progressivamente verso l'interno puo' comportare lo sviluppo di fessurazioni complementari ad andamento suborizzontale. Le colonne possono avere spessore di decine di metri, in funzione dello spessore originario della massa e della storia del raffreddamento, e diametro di pochi decimetri. Le colonne non sempre sono verticali (quando lo sono vengono anche chiamate "canne d'organo") ma possono mostrare andamenti assai variabili. Fig. 2.40 (a destra) - Spettacolari colonne basaltiche vecchie di 50 milioni di anni nell’isola di Staffs, lungo la costa occidentale della Scozia. In Volcano, Time-Life Books. 1982, Alexandria, Virginia, riprodotta col permesso del Direttore, NERC Copyright Reserved, London. Fig. 2.39 - A sinistra: Fotografia aerea mostrante la vistosissima tettonica distensiva ad a direzione NO-SE che interessa i basalti fissurali della Serie Stratoide dell’Afar (Afar Centrale, Etiopia). Fig. 2.41 - Scarpata di una faglia che taglia le colate basaltiche della Serie Stratoide dell’Afar (regione di Gawwah, Afar Orientale). In Varet J., Geology of Central 5 and Southern Afar, 1978, Editions du centre National de la Recherche Scientifique, Paris. I basalti dei fondi oceanici La formazione delle lave a cuscino ("pillow lava") puo' essere considerata il processo piu' tipico delle rocce basiche emesse in ambiente subacqueo. Tali lave sono certamente le rocce vulcaniche piu' abbondanti sulla terra, pavimentando tutti gli oceani. Anche se la loro composizione prevalente e' basaltica, sono note lave a pillow di variabilita' composizionale notevole. I pillows si formano quando la lava, calda e fluida, entra in contatto con grandi quantita' di acqua. La struttura risulta dalla protrusione di lobi allungati, quasi come dentifricio strizzato fuori dal tubetto. In affioramento i pillows sono in genere sferoidali ed ellissoidali, ma sezioni parallele alla direzione di flusso possono mostrarli estremamente appiattiti ed allungati. In figura F0504062 e' illustrata la maniera attraverso la quale i pillows si formano mentre la lava scorre, nonche' il modo di poter riconoscere la direzione di scorrimento. La sommita' di ciascun pillow e' in genere convessa verso l'alto al momento della formazione; questo fatto e' spesso usato per riconoscere la posizione dritta o rovesciata di strati poaleovulcanici contenenti lave a pillows. Al momento della loro formazione i pillows hanno una sottile crosta vetrosa formatasi in seguito al rapido raffreddamento subito dalla superficie del magma. Tale crosta si altera facilmente in minerali cloritico-argillosi (“palagonite”) che vanno a riempire gli interstizi tra pillow e pillow. 6 Fig.2.42 - Lave a cuscino sui fondali della zona di frattura di Vema, nella porzione centrale della dorsale medioatlantica. Foto IFREMER durante la campagna Vemanaute, in Nicolas A., 1990, The Mid-)ceanic Ridges, Springer Verlag. Fig.2.43 - Sezione trasversale ideale di una colata subacquea a cuscini illustrante lo sviluppo dei pillows nel senso della propagazione della colata. Ridisegnato da Hargreaves & Ayres, 1979, Canadian J. Earth Sci., 16,1452-1466 7 LE ERUZIONI ESPLOSIVE Le eruzioni che comportano la fuoriuscita di una miscela di gas e materiale frammentato (liquido e/o solido) sono definite esplosive. Il passaggio da liquido continuo a liquido frammentato e’ il risultato di un processo nel quale la tendenza dei gas liberatisi a separarsi dal fuso silicatico e’ contrastata dalla viscosita’ del fuso stesso. In funzione del rapporto tra la quantita’ di gas che si libera dal liquido sul livello di essoluzione e quella che si allontana dal sistema, il magma potra’ diventare piu’ o meno vescicolato (cioe’ gonfiera’, riducendo la sua densita’ apparente) e potra’ anche arrivare ad avere un contenuto di bolle talmente elevato da non essere geometricamente piu’ capace di conservare la continuita’ del liquido. Le velocita' di formazione, di crescita e di spostamento delle bolle al di sopra del livello di essoluzione sono fortemente influenzata dalle proprieta' del magma liquido, in particolare dal contenuto e solubilita' in elementi volatili e dalla viscosita'. La crescita delle bolle e' controllata principalmente: (1) dalla diffusione dei volatili dal magma nelle bolle; (2) dalla velocita' con la quale la pressione si abbassa mentre la miscela gas+bolle sale; se il condotto e' aperto, in ogni punto della colonna di magma la pressione operante e' la pressione della colonna di magma: l'abbassamento di questa pressione nel corso della risalita delle bolle e' chiamata decompressione. Lo studio degli effetti della diffusione e della decompressione sulla crescita delle bolle dimostrano che: (1) le bolle inizialmente crescono rapidamente per diffusione, ma poi gli effetti di decompressione prevalgono; (2) le dimensioni finali delle bolle sono tanto piu' piccole quanto piu' veloce e' la risalita del magma; (3) viscosita' elevate del magma (>106 poises) inibiscono fortemente la crescita delle bolle e producono forti eccessi di pressione interna. Le bolle dei magmi viscosi, quindi, non sono soltanto piu' piccole di quelle che crescono in magmi fluidi, ma esplodono piu' violentemente a causa della maggiore sovrapressione interna. (4) all'aumentare del contenuto in volatili del magma e dei valori della diffusivita', aumentano le dimensioni massime raggiungibili dalle bolle. In condizioni ideali il magma frammenta al momento in cui la frazione di volume di bolle nella miscela e' approssimativamente uguale a 0.77. A partire dal livello di frammentazione, la miscela gas-particelle accelera fino a raggiungere i valori massimi all’uscita dal condotto. La velocita’ di uscita e’ funzione della pressione di gas sul livello di frammentazione, che e’ a sua volta controllata dalla quantita’ e dalla composizione dei volatili essolti. Fig. 2.56 - Sequenza di nucleazione, crescita e rottura delle bolle di gas in una colonna di magma a condotto aperto. Modificato e ridisegnato da Sparks, 1978, J.Volcanol. Geotherm. Res., 3, 1-37. Fig. 2.57 - destra: valori della pressione di volatili esercitata da miscele H2O/CO2 in funzione della quantita' totale in peso di gas essolti al momento della frammentazione esplosiva del magma. sinistra: la pressione di gas al livello di frammentazione condiziona la velocita' di uscita della miscela gas-particelle. Interazione acqua-magma L'acqua puo' venire in contatto con il magma in diversi modi: (1) spostandosi lentamente attraverso il substrato fino ad incontrare una massa magmatica; (2) con l'apertura di fratture eruttive che incontrano acquiferi profondi (falde freatiche) o superficiali (laghi, mari, ghiacciai); (3) riversandosi direttamente in condotti vulcanici che tagliano gli acquiferi quando la pressione dei gas magmatici e' bassa; ecc. In ognuna di queste situazioni il contatto col magma induce un rapido cambio di stato dell’acqua con conseguente violenta espansione del vapore. Parleremo di attivita' idromagmatica o idrovulcanica (freatomagmatica se l'acqua coinvolta nell'interazione non e' superficiale) quando l'interazione tra magma ed acqua produce effetti su entrambi i termini interagenti, volatilizzando l'acqua ed aumentando la frammentazione del magma. Fig. 2.58 - Il meccanismo dell'interazione (detto “fuel-coolant”) comporta processi ciclici di brevissima durata (da microsecondi a millisecondi), ciascuno dei quali inizia con il contatto magmaacqua, prosegue con il sovrariscaldamento dell'acqua e la nucleazione di bolle, con la coalescenza tra bolle adiacenti e la formazione di una pellicola di vapore al contatto tra magma e acqua, col divenire instabile della pellicola e con la frammentazione del magma, producendo particelle di magma su cui un nuovo ciclo puo' ricominciare. La dimensione media finale delle particelle prodotte in un processo di questo tipo puo' essere identificata con la lunghezza d'onda delle instabilta' all'interfaccia magma-acqua, mentre l'intervallo tra ciascun ciclo di interazione esplosiva puo' essere messo in relazione al tempo che le instabilita' al contatto impiegano a formarsi. FONTE: Ridisegnato da F.Dobran, F.Barberi, C.Casarosa: Modeling of Volcanological Processes and Simulation of Volcanic Eruptions.1990, Giardini, Pisa Molti esempi naturali suggeriscono che l’interazione e’ estremamente piu’ efficace se il magma entra gia' frammentato in contatto con l’acqua: la grande superficie di contatto, in questo caso, permette una rapida, significativa ed efficiente conversione di energia termica in energia meccanica. Esistono d'altra parte depositi idromagmatici nei quali le particelle juvenili non presentano alcun grado di vescicolazione, per le quali quindi non puo' essere invocata una frammentazione magmatica precedente l'interazione. La cosa piu' verosimile e' che, in circostanze favorevoli (comunque da chiarire), il contatto tra magma ed acqua possa produrre, per esempio, onde di stress capaci di indurre deformazioni fragili nel magma inducendovi una fratturazione sufficiente ad aumentare la superficie di contatto con l'acqua oltre il limite per cui l'interazione esplosiva puo' avere luogo. Fig. 2.59 - Esplosione di vapore (chiamata anche esplosione litoranea) del 3 Febbraio 1988 all’isola di Hawaii. Si notino i frammenti di lava prodotti dall’interazione esplosiva tra magma e acqua.. Foto di J.D. Griggs tratta da http://wwwhvo.wr.usgs.gov/gallery/kilauea/erupt/24ds241 Fig. 2.60 - "Efficienza" dell'interazione magma/acqua espressa (qualitativamente) in funzione del rapporto tra le masse delle due sostanze interagenti e dell'energia liberata dal processo. Ridisegnato da K.H.Wohletz, 1983: Mechanisms of hydrovolcanic pyroclast formation, J.Volcanol. Geotherm. Res., 17, 31-63 L'efficienza dell'interazione tra magma e acqua, intesa come rapporto tra massimo lavoro potenziale ed energia termica del magma, e’ una funzione del rapporto di massa tra acqua e magma: essa cresce progressivamente fino ad un massimo corrispondente ad un rapporto di poco inferiore a 1:1, per poi diminuire rapidamente all’aumentare della massa d’acqua coinvolta (Fig.2.60). Un esempio analogico che ci puo’ aiutare a meglio comprendere il fenomeno puo’ essere cercato in cucina: a molti e’ certamente capitato di rimanere piu’ o meno gravemente ustionati a seguito della violenta reazione che si verifica quando gocce di acqua entrano in contatto con olio molto caldo; il liquido schizzato via che vi ha scottato e’ olio, non acqua (che si e’ vaporizzata all’istante), e il fenomeno che si e’ realizzato e’ esattamente una interazione “fuel-coolant” come quella, illustrata nella figura 2.58, con l’olio che ha fatto la parte del magma (il “fuel”). La classificazione delle eruzioni esplosive L'attivita' vulcanica puo' essere osservata a scala temporale molto variabile. Lo stile di attivita' ed il tipo di prodotti emessi possono cambiare nel giro di minuti, o di giorni, o di mesi nel corso di un'eruzione, in funzione dei cambiamenti che possono riguardare la composizione del magma, la sua cristallinita', la quantita' di volatili in gioco, l'allargamento della bocca eruttiva, l'ingresso di acqua nel condotto, ecc. Col termine di fase eruttiva possiamo intendere il perdurare piu' o meno lungo di uno stile eruttivo omogeneo ed essenzialmente continuo, seppure di intensita' variabile. Vi sono eruzioni caratterizzate fondamentalmente da una singola fase eruttiva, ma, per lo piu', le eruzioni vulcaniche esplosive sono caratterizzate da piu fasi, siano esse ripetitive ed intervallate da periodi piu' o meno lunghi di stasi oppure estremamente mutevoli per stile, energia e durata dei periodi di stasi separanti una fase dall'altra. Una eruzione puo' quindi, in ultima analisi, essere definita come l'insieme, cronologicamente ben definito, di piu' fasi eruttive. Un'eruzione esplosiva si dice magmatica quando l'esplosivita' e' legata all'espansione dei gas originariamente contenuti nel magma; viene invece definita freatica un'esplosione provocata dalla violenta vaporizzazione di acqua esterna al sistema magmatico, susseguente al riscaldamento provocato dal magma stesso che, solitamente non viene coinvolto nel processo. Si chiamano infine idromagmatiche (o idroclastiche) quelle esplosioni in cui gas magmatici ed acqua non magmatica sono parimenti partecipi del fenomeno. Fig. 2.61 - Classificazione delle eruzioni vulcaniche esplosive proposta da Walker nel 1973. L'indice D rappresenta l'area inclusa dall'isopaca = 1/100 dello spessore massimo, e l'indice F e' la percentuale in peso di particelle fini (diametro<1 mm) presenti nel deposito all'intersezione dell'asse principale di dispersione con l'isopaca = 1/10 dello spessore massimo (vedi approfondimento). Ridisegnato e modificato da Walker G.P.L., 1973, Geol. Runschau, 62, 431-446 Negli ultimi anni, come base di riferimento non rigida, molti autori hanno seguito uno schema classificativo delle eruzioni esplosive basato su due parametri: l’area di dispersione e il grado di frammentazione dei depositi di caduta (fig. 2.61). La misura dell'area di dispersione e' l'area (D nelle figure 2.61 e 2.62) inclusa dalla curva isopaca (che unisce tutti i punti in cui i depositi di caduta di una data eruzione hanno lo stesso spessore) relativa all'1% dello spessore massimo (0.01 Smax). Il valore di D varia dai pochi ettari coperti dai depositi di caduta delle eruzioni hawaiiane e stromboliane alle migliaia di km2 dei depositi di caduta delle eruzioni pliniane ed ultrapliniane. La misura del grado di frammentazione F e' la percentuale di materiale piu' fine di un millimetro determinata in campioni raccolti all'intersezione della curva isopaca (0.1 Smax) con l'asse principale di dispersione del deposito di caduta (figg. 2.61 e 2.62). Fig. 2.62 - Rappresentazione schematica e semplificata della distribuzione dei depositi di caduta attorno alla zona di emissione. A: variazione ideale dello spessore del deposito misurato lungo l’asse principale di dispersione in funzione della distanza dal punto di emissione. B: proiezione sul piano delle curve ideali che uniscono i punti nei quali il deposito mostra spessori uguali (curve “isopache”; spessori in cm). L’asse principale di dispersione coincide con l’asse maggiore dell’ellisse che definisce idealmente l’area di dispersione; nella figura, per semplicita’, esso e’ unico, ma esistono casi frequenti di dispersione delle particelle piu’ complesse. Deve essere chiaro che l’asse principale di dispersione non coincide con la direzione del vento prevalente nel corso dell’eruzione, ma rappresenta la risultante vettoriale del campo dei venti incontrato dalle particelle durante la caduta. C: schema tridimensionale di un ideale deposito di caduta dove viene mostrato il significato dell’indice di dispersione D ed il punto di misura dell’indice di frammentazione F utilizzati nella classificazione di fig.4.6. La figura C e’ ripresa (modificata) da un disegno di G. Mastrolorenzo in Cortini & Scandone, Un’Introduzione alla Vulcanologia, 1987, Liguori Ed. Napoli. Qualunque sia la causa dell'esplosione, sia essa subaerea o subacquea, i frammenti che si formano possoni (a) essere semplicemete trasportati attraverso l'aria o l'acqua e quindi ricadere sulla superficie (depositi piroclastici di caduta), oppure (b) muoversi lungo la superficie del terreno in correnti di flusso piu' o meno dense, piu' o meno fluidizzate (depositi piroclastici di flusso). Fig. 2.63 - Schema riassuntivo semplificato dei diversi processi che possono portare alla formazione di depositi piroclastici Ridisegnato e modificato da Fisher & Schmincke, 1984, Pyroclastic Rocks, Springer Verlag Fig. 2.64 - Possibili provenienze e meccanismi di formazione dei depositi piroclastici subacquei. Ridisegnato e modificato da Fisher & Schmincke, 1984, Pyroclastic Rocks, Springer Verlag L’indice di esplosivita’ vulcanica (VEI) La “taglia” o la “grandezza” di un’eruzione storica descritta dipende molto dall’esperienza dell’osservatore e dal suo soggettivo punto di vista. Sfortunatamente la vulcanologia non possiede una scala di magnitudo strumentale come quella usata dai sismologi per i terremoti. Tuttavia vi sono diverse misure ed informazioni che possono aiutare nella classificazione quantitativa delle eruzioni: l’altezza della colonna eruttiva, il volume dei prodotti eruttati, le distanze raggiunte dai clasti balistici, ecc. Combinando insieme dati quantitativi e descrizioni soggettive, Newhall and Self (1982) hanno proposto l’utilizzo dell’Indice di Esplosivita’ Vulcanica (VEI) che e’ oggi quasi universalmente usato. Il VEI presenta qualche somiglianza con la scala di magnitudo Richter usata per i terremoti. Esso e’ infatti un indice semplice variabile da 0 a 8, con ciacun intervallo unitario che rappresenta un incremento di “energia” di circa un fattore 10. Si noti che i criteri per l’assegnazione del VEI mostrano (intenzionali) sovrapposizioni che, da una parte impongono di usare piu’ criteri per l’assegnazione ad un evento di un dato VEI, e dall’altra parte indicano come uno stesso VEI possa caratterizzare eruzioni di dinamica ed effetti assai diversi. Cosi’. per esempio, un VEI = 4 potra’ essere proprio di un’eruzione pliniana caratterizzata da una colonna sostenuta alta 25 km, cosi’ come di un’eruzione vulcaniana a colonna molto piu’ bassa e meno stabile che, nel caso di ugual volume di prodotti emessi, avra’ anche durata molto maggiore. Questa non univoca corrispondenza tra valore del VEI e tipo di eruzione non deve essere vista come inadeguatezza del VEI a definire le eruzioni. Quello che deve essere ben compreso e’ che il VEI cerca di dare una misura dell’energia liberata nel corso dell’eruzione e non la descrizione delle modalita’ di tale liberazione. Tabella 2.4 - i diversi tipi di osservazioni e di dati che possono condurre a definire l’Indice di Esplosivita’ Vulcanica (VEI) di un’eruzione sulla base di dati osservazionali. VEI Descrizione generale 0 Non esplosiva <104 Volume dei prodotti (m3) Altezza della colonna <0.1 (km) Descrizione qualitativa “mite” Tipo di eruzione hawaiiana 1 Debole 104 -105 107 3 Moderataforte 108 0.1-1 1-5 3-15 “effusiva” 2 Moderata “esplosiva” 4 Forte 109 1010 6 Molto forte 1011 10-25 >25 >25 “esplosiva” “severa” “severa” “violenta ” hawaiiana- stromboliana vulcaniana vulcanian stromboliana vulcaniana subpliniana a subplinia na <1 <1-6 <1-6 6-12 Durata esplos. <1 continua (ore) Iniezione in troposfera trascurabile Minore Moderata Iniezione in stratosfera Nessuna Nessuna Nessuna Modificato da Newhall & Self, 1982 Sostanziale Sostanzia le Possibile Sicura 5 Molto forte “violenta” parossistica Pliniana 6-12 Sostanziale 7 Molto forte 1012 >25 8 Molto forte >1012 >25 parossistic terrificante colossale a cataclismic a Pliniana Ultraplinia Ultrapliniana Ultraplinia na na >12 Sostanzial e significativa significativ a >12 Sostanzial e Significati va >12 Sostanziale Significativa SCHEDA N.1: l’eruzione del Vesuvio nel 1906: un esempio della variabilita’ dello stile eruttivo nel corso di una singola eruzione Nei primi mesi del 1906 il Vesuvio si trovava in condizioni di condotto aperto. Un’importante volume di magma si era accumulato a bassa profondita’ per il frequente arrivo di masse di magma profondo. Si era cosi’ formata una camera magmatica circondata da un sistema geotermico a seguito del riscaldamento delle rocce incassanti e dei fluidi in esse presenti. A piu’ riprese il magma da questa camera aveva iniettato fratture ed aveva fatto eruzioni laviche sui fianchi del vulcano. Il 4 Aprile una nuova massa di magma profondo entro’ nel la camera pressando verso l’esterno il magma residente, molto viscoso. Vennero cosi’ riattivate vecchie fratture eruttive e colate di lava di magma residente fuoriuscirono dal queste fratture. E’ questa la fase effusiva dell’eruzione che duro’ fino alla sera del 7 Aprile. Alle dieci di sera del 7 Aprile il magma fresco comincia ad entrare in eruzione. Esso e’ ricco iin volatili e la sua emissione avviene attraverso altissime fontane di lava. Questa fase, detta delle fontane di lava, dura cinque ore e mezzo e porta all’esaurimento del magma ultimo arrivato. A seguito della vigorosa estrazione la colonna di magma scende nel condotto al di sotto dell’intersezione con l’acquifero geotermico. I fluidi in pressione subiscono una brutale decompressione esplosiva che ha come risultato la decapitazione del cono vesuviano. Subito dopo, sono circa le quattro del mattino dell’otto aprile, dalla grande voragine formatasi si alza una alta colonna eruttiva dalla quale ricadono sottovento ceneri e lapilli. Questa fase di colonna sostenuta, alimentata soprattutto dai gas del sistema geotermico che interagiscono col magma, dura circa trenta ore, fino alla mattina del nove aprile. La temperatura dei fluidi geotermici, che si e’ molto abbassata, e l’alto rapporto tra acqua e magma inducono la ripetuta formazione di basse colonne di vapore cariche di cenere dalle quali, a seguito della condensazione del vapor d’acqua, ricadono piogge fangose. L’eruzione si esaurisce lentamente in questo modo e termina il 21 Aprile. La colonna eruttiva La miscela gas-particelle che fuoriesce dalla bocca di un vulcano e viene iniettata nell’atmosfera prende il nome di colonna eruttiva. Le proprieta' fisiche della colonna ed i processi fluidodinamici che si realizzano al suo interno influenzano i differenti stili delle eruzioni esplosive. Una colonna eruttiva puo' essere convenientemente divisa in tre porzioni principali che, dal basso, prendono il nome di: 1. zona di spinta dei gas, 2. zona di spinta convettiva, 3. zona dell’ombrello. Fig. 2.65 - Dalla camera magmatica alla stratosfera. La figura mostra le differenti zone, la variazione qualitativa delle principali proprieta’ fisiche della miscela eruttiva e i principali processi associati con la risalita del magma e la formazione della colonna eruttiva. Modificato da Cioni R., Marianelli P., Santacroce R e Sbrana A., 2000: Plinian and Subplinian eruptions, in Encyclopedia of Volcanoes, 477-494, Academic Press. La zona di spinta dei gas rappresenta la parte basale della colonna dove il movimento e' dominato dal momento del flusso gas-particelle e gli effetti legati alla spinta di galleggiamento sono trascurabili. All'interno del condotto e alla bocca l'espansione dei volatili accelera la miscela gas-particelle fino ad una velocita' massima in uscita che puo' essere considerata come condizione di velocita' iniziale alla base della colonna. Le osservazioni fatte ed analisi teoriche indicano che essa varia da circa 100 m/sec nelle deboli eruzioni stromboliane a piu' di 600 m/sec nelle grandi eruzioni pliniane. La zona di spinta dei gas ha altezze variabili da poche centinaia di metri a 1-2 km nelle eruzioni piu' grandi. Il flusso ascendente e' caratterizzato da una rapida decelerazione e diminuzione della densita' globale della colonna. Quando la spinta dei gas si e’ esaurita la miscela eruttiva potra’ avere densita’ superiore o inferiore a quella dell’atmosfera circostante. Nel primo caso la colonna non puo’ alzarsi ulteriormente e collassa. Nel secondo caso si ha la formazione di una colonna eruttiva passando alla zona di spinta convettiva. La colonna e' ora meno densa dell'atmosfera, turbolenta e vorticosa, e sale per semplice contrasto di densita' con velocita’ che variano da poche decine ad oltre 200 m/sec. Le densita’ dell’atmosfera e della miscela eruttiva diminuiscono verso l'alto con continuita', convergendo fino ad uguagliarsi nuovamente. Al di sopra di questa altezza, che segna il passaggio alla zona dell’ombrello, la colonna risale per inerzia. In prima approssimazione, l'altezza di una colonna eruttiva e' tanto maggiore quanto maggiore e’ il flusso termico. E’ quindi possibile calcolare per diverse temperature della miscela eruttiva e per diversi valori del tasso eruttivo, l’altezza raggiungibile dalla colonna. Fig. 2.66 - Relazione tra tasso eruttivo ed altezza della colonna eruttiva. L'area tratteggiata e' inclusa tra le curve calcolate per temperature della miscela all’uscita di 600 e 800°C. Modificato da Sparks, 1986: The dimensions and dynamics of volcanic eruption columns. Bull. Volcanol., 48, 3-15 Eruzioni hawaiiane e stromboliane Le eruzioni di questo tipo possono avere carattere centrale o fissurale, ma, in quest'ultimo caso, l'attivita' tende comunque sempre a localizzarsi su un numero limitato di punti eruttivi allineati lungo la frattura. Esse eiettano esplosivamente scorie e brandelli di magma relativamente fluido e sono spesso accompagnate dalla effusione di colate laviche. Fig. 2.67 - Fontane di lava allineate su una frattura. Attivita’ hawaiiana nel corso dell’eruzione del febbraio 1984 del Piton de la Fournaise (Isola della Reunion). Benard R. & Krafft M.: Au Coeur de la Fournaise, Editions Nourault/Benard Nell'attivita' hawaiiana la colonna eruttiva e' essenzialmente una fontana di lava incandescente formatasi in seguito allo zampillare pressoche' continuo di magma dalla bocca, con la frammentazione del magma che si realizza nelle porzioni terminali ascendenti dello spruzzo (e non nel condotto). L'altezza delle fontane di lava e' generalmente inferiore ai 200 metri con le velocita' iniziali di eiezione che sono dell'ordine di qualche decina di metri per secondo. I prodotti tipici dell'attivita' hawaiiana sono grossi brandelli lavici molto fluidi e poco vescicolati che ricadono balisticamente intorno alla bocca, dando spesso origine a coni di scorie saldate. Non e' insolito che al di sopra della fontana di lava si alzino piccole colonne convettive (alte qualche centinaio di metri) che prendono in carica le particelle cineritiche formate dagli spruzzi di lava. Fig. 2.68- Eruzione stromboliana del vulcano Cerro Negro (Nicaragua) nel 1968. Foto di Robert Decker.tratta dal sito http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/south_america/cerro_negro.html Fig. 2.69 - Schema di attivita’ stromboliana legata alla esplosione di grosse bolle risalite lentamente e cresciute al di sotto della superficie di un lago di lava. L'attivita' stromboliana puo' essere persistente e caratterizzare per decenni o secoli (come e' il caso appunto dello Stromboli) lo stesso centro eruttivo, ma in genere i coni stromboliani sono apparati monogenici formatisi nel corso di singole eruzioni della durata di poche settimane o pochi mesi. L'attivita' stromboliana tipicamente e' caratterizzata da esplosioni discrete separate da pause di durata molto variabile (da meno di un secondo a diverse ore). Si pensa che tali esplosioni ricorrenti siano generate dall'esplosione di grosse bolle di gas (diametri fino a 10 m) che frantuma la superficie del magma (una sorta di lago di lava). Condizione indispensabile perche' queste condizioni possano realizzarsi e' una moderata viscosita' del magma che consenta la formazione di grosse bolle e la loro risalita relativamente rapida. Se le esplosioni si verificano in rapida successione puo' formarsi una colonna eruttiva sostenuta di altezza massima di 5-10 km (osservata per esempio nel corso dell'eruzione del 1973 di Heimaey in Islanda). Fig. 2.70 - Eruzione stromboliana sull’isola di Heimaey (Islanda) nel 1973.. Foto di Svienn Eirikksen tratta dal sito http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/europe_west_asia/heimaey/heimaey.html Eruzioni pliniane e subpliniane Tacito, Epistolae, libro VI, 16 e segg. .....il nono giorno prima delle calende di settembre verso l'ora settima mia madre gli mostra una nube inconsueta per forma e grossezza .....una nube stava sorgendo il cui aspetto fra gli alberi si assimilava sopratutto al pino. Essa infatti, levatasi verticalmente come un altissimo tronco si allargava in alto come con dei rami, probabilmente perche', innalzatasi prima spinta da una corrente ascendente, esauritasi poi o per cessazione della sua spinta o perche' vinta dal suo stesso peso, distesamente si espandeva .... dette ordine di porre in mare le quadriremi Gia' la cenere pioveva sulle navi, sempre piu' calda e densa quanto piu' esse si avvicinavano. E si vedevano gia' pomici e ciottoli anneriti e bruciati dal fuoco... Dopo una breve esitazione esclama: "Dirigiti verso Pomponiano!".. Questi si trovava a Stabia pronto a fuggire non appena il vento si fosse calmato. Ma questo era invece favorevole a mio zio che veniva in direzione opposta .... Frattanto dal monte Vesuvio in molte parti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi Nel frattempo il livello del cortile si era tanto alzato per la caduta di cenere e pomici che non sarebbe piu' potuto uscire dalla stanza se avesse piu' oltre atteso .... Si consultarono tra loro se dovessero restare in casa o uscire all'aperto dal momento che la casa era colpita da frequenti e lunghe scosse .... Gia' altrove faceva giorno, ma la' era notte, piu' densa e fitta di ogni altra notte .... Intanto le fiamme ed un odore sulfureo annunziatore delle fiamme fanno si che gli altri fuggano .... Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso dal momento che il vapore che aumentava gli impedi', come io penso, il respiro Le eruzioni esplosive magmatiche caratterizzate da tassi eruttivi molto elevati cui si associano altissime colonne eruttive da cui ricadono imponenti quantita' di materiale piroclastico che coprono centinaia o migliaia di km2, sono chiamate "pliniane". Il nome deriva da Plinio il Giovane che, in due lettere a Tacito descrisse la morte dello zio, Plinio il Vecchio, nell'eruzione del 79 d.C. del Vesuvio che distrusse Pompei e molte altre citta' circumvesuviane. La frequenza di queste eruzioni e' bassa, e solo poche sono avvenute in tempi relativamente vicini e sono state descritte e studiate direttamente in modo conveniente. I depositi lasciati dalle eruzioni pliniane sono tuttavia abbastanza frequenti nella storia geologica recente della Terra: da essi possono essere tratte notevoli informazioni sulla dinamica di questo tipo di eventi. Queste eruzioni sono associate, nella grandissima maggioranza dei casi, allo svuotamento di camere magmatiche superficiali. Negli ultimi 100.000 anni la loro intensita' (la quantita’ di magma Tacito, Epistolae, libro VI, 20 e segg. .... partito lo zio passai il restante tempo a studiare Molti giorni prima si era sentita una scossa di terremoto, senza pero' che ad essa si desse molta importanza perche' in Campania era normale. Ma in quella notte fu cosi' forte che sembro' che non si scuotesse ma che crollasse ogni cosa .... Gia' faceva giorno da un'ora gia' erano crollate le case intorno .... allora finalmente ci parve bene uscire dalla citta' I carri andavano indietro e neppure con il sostegno di pietre restavano nello stesso punto Inoltre si vedeva il mare riassorbito in se' stesso e quasi respinto dal terremoto .... dal lato opposto una nera ed orrenda nube squarciata dal rapido volteggiare di un vento infuocato si apriva in lunghe lingue di fuoco ne' passo' molto tempo che quella nube discese a terra e copri' il mare Aveva avvolto e nascosto Capri e tolto dalla vista il promontorio di Miseno .... Cadeva gia' della cenere mi volto e vedo una densa caligine che quale torrente spargendosi per terra ci incalzava .... si fa notte, ma non di quelle nuvolose o senza luna, ma come quando ci si trova in un luogo chiuso spente le luci .... fece un po' piu' chiaro. Ne' questo ci sembrava giorno ma piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Se non che il fuoco si arresto' piu' lontano nuova oscurita' e nuovo nembo di fitta cenere .... Finalmente si attenuo' quella caligine e svani' come in fumo e nebbia. Quindi fece proprio giorno Intanto continuavano le scosse di terremoto emesso per unita’ di tempo) e' variata tra 106 e 109 kg/sec e ugualmente di tre ordini di grandezza e' la variabilta' della magnitudo (il volume totale di magma emesso) di tali eruzioni (1011-1014 kg). Fig. 2.71 - Eruzione del vulcano St Helens (USA) del 18 Maggio 1980: la base della colonna pliniana vista da sudest. Foto di D.A.Swanson. Cortesia dell’USGS Intensita' e magnitudo delle eruzioni pliniane sono correlate positivamente in modo molto significativo. Questo e’ dovuto al progressivo allargamento del condotto in seguito all’erosione effettuata dalla miscela in rapida risalita e al conseguente aumento del tasso eruttivo. I massimi valori dell’intensita’ sottintendono quindi massime ampiezze del condotto, ed e' facile pensare che quanto piu' grande e' la camera (e quindi quanto piu' e' il magma da eruttare), tanto piu' lunga sara' l'eruzione e tanto piu' efficace sara' l'erosione. Fig. 2.73- La massa totale di materiale emesso nel corso delle eruzioni pliniane (“magnitudo”) mostra una ragionevole correlazione positiva con il tasso eruttivo (“intensita”). Ridisegnato da Carey & Sigurdsson (1989), Bull. Volcanol., 51, 28-40 Fig. 2.72 - Eruzione del vulcano St Helens (USA) del 18 Maggio 1980: la colonna eruttiva raggiunse l’altezza massima di circa 20 km. Foto di Austin Post. Cortesia dell’USGS Fig. 2.74 - Variazione del tasso eruttivo e della massa emessa in funzione del tempo per una eruzione ipotetica che inizia avendo il condotto un raggio di 30 m. Col procedere del tempo, in seguito all'erosione operata dalla miscela gas -particelle, il raggio si allarga ad un tasso costante di 5 cm/min. Ridisegnato da Carey & Sigurdsson (1989), Bull. Volcanol., 51, 28 -40 I prodotti di molte eruzioni pliniane indicano la transizione da una attivita' di caduta ad una di flusso. In genere questa transizione e' attribuita al collasso (parziale o totale, finale o ricorrente) della colonna eruttiva connesso alle mutate condizioni nel corso dell'eruzione. Il collasso puo' avere due spiegazioni: (1) aumento dell’intensita’ (2) diminuzione del contenuto di volatili Fig. 2.75 - Stabilita’ di una colonna eruttiva in funzione del tasso eruttivo, del raggio della bocca, della velocita’ di uscita della miscela eruttiva e della quantita’ di volatili essolti. Partendo da condizioni convettive (colonna sostenuta), il collasso della colonna puo’ essere conseguenza di un aumento del tasso eruttivo (percorso 1, generalizzabile per grandi eruzioni ignimbritiche) o di un progressivo impoverimento in volatili (percorso 2, generalizzabile per le eruzioni pliniane di magnitudo medio bassa). Modificato da Wilson et al. (1980), Geophys.J.R.Soc., 63, 117-148 Eruzioni surtseyane e freatomagmatiche L’attivita’ esplosiva magmatica varia nella tra due estremi di intensita’ e magnitudo costituiti dalle eruzioni hawaiiane e pliniane. Le caratteristiche fondamentali dei due tipi di attivita' possono venire schematizzate molto semplicemente nel quadro seguente: Attivita’ esplosiva hawaiiana pliniana Viscosita’ magma bassa alta Contenuto in gas modesto elevato Tasso eruttivo (intensita’) basso e poco variabile alto e variabile nel tempo Livello di frammentazione superficiale profondo Massa totale emessa (magnitudo) generalmente modesta spesso enormi Entro certi limiti ogni possibile combinazione delle variabili in gioco e' possibile*, giustificando la variabilta' dell'attivita' esplosiva ed i nomi diversi che ad essa sono stati attribuiti. Questo spettro continuo di fenomenologie esplosive legate ad una frammentazione dovuta ai gas magmatici trova equivalenti nell'ambito dei processi di interazione acqua-magma. Cosi' magmi che in condizioni "normali" darebbero esplosioni hawaiiane o stromboliane, interagendo con acquiferi superficiali o poco profondi daranno luogo ad esplosioni di ceneri che prendono il nome di "surtseyane" dall'isola di Surtsey, formatasi nel 1963 nel mare d'Islanda a seguito di una eruzione di questo tipo (che, una volta emersa la bocca, passo' ad una classica attivita' stromboliana). Fig. 2.76 - Anello di tufo formatosi a seguito di attivita’ surtseyana. Depressione della Dancalia (Etiopia e Eritrea). CNR-CNRS Afar Team, 1970 Le esplosioni surtseyane sono caratterizzate dalla formazione di colonne convettive di vapore e cenere mai molto alte. L'accumulo delle ceneri intorno alla bocca porta alla formazione di tipici coni e anelli di cenere (o di tufo) perfettamente regolari (nel caso in cui il trasporto e la deposizione del materiale sia avvenuto essenzialmente in acqua) o anche fortemente asimmetrici nel caso in cui il trasporto sia stato prevalentemente subaereo. Fig. 2.77 - Asmara, un cono di cenere formatosi a seguito di attivita’ surtseyana, della parte centrale della Depressione della Dancalia (Etiopia e Eritrea). Coni e anelli di cenere sono il risultato di attivita’ abbastanza simile legata all’interazione del magma con acqua superficiale piu’ (coni) o meno (anelli) profonda. CNR-CNRS Afar Team, 1970. I corrispondenti idrovulcanici delle eruzioni pliniane (esplosioni freatopliniane ) si realizzano in genere nel corso di eruzioni pliniane quando la pressione dei gas magmatici si riduce permettendo l'ingresso nel condotto di acqua proveniente dagli acquiferi tagliati dal condotto medesimo. Le eruzioni Fig. 2.78 - Capelinhos, Azzorre, 1957. Eruzione idromagmatica. Si noti l’anello basale di surge. Tratto dal sito: http://magic.geol.ucsb.edu/~fisher/hydro.htm freatopliniane danno luogo a colonne eruttive la cui altezza e' sempre inferiore a quelle delle eruzioni magmatiche (ricordiamo infatti che l'altezza della colonna e' funzione diretta del flusso termico e che l'interazione con acqua, ovviamente, ha come effetto immediato la drastica riduzione della temperatura della miscela gas-particelle), e spesso sono non sostentabili (collasso continuo di colonna ). Fig. 2.79 - Foto del Cerro Colorado, un anello di tufo nel Messico settentrionale (area vulcanica di Pinacate). La forma asimmetrica con il bordo sudoccidentale dell’anello piu’ alto e’ dovuta ai venti presenti al momento dell’eruzione. Tratto dal sito: http://magic.geol.ucsb.edu/~fisher/hydro.htm Eruzioni vulcaniane Le eruzioni vulcaniane sono eruzioni esplosive di magnitudo modesta o moderata caratterizzate da una breve durata (secondi o minuti) e dall’emissione di magma ad alta viscosita’, a volte semisolido, in forma di frammenti poco vescicolati e abbondante cenere. Un’eruzione vulcaniana puo’ consistere di un singolo evento esplosivo o, piu’ frequentemente, di una serie pulsante di esplosioni. Il termine fu Fig. 2.80 - Bomba “a crosta di pane”. Pendici del cono de La Fossa nell’isola di Vulcano (Eolie). Foto di R.Santacroce coniato dal vulcanologo Mercalli per descrivere la sequenza di esplosioni verificatasi all’isola di Vulcano (arcipelago delle Eolie) tra il 3 Agosto 1888 e il 17 Maggio 1890. Le esplosioni tipiche degli eventi vulcaniani sono accompagnate da eiezione balistica di blocchi e bombe (tipiche sono le bombe A B C aria compressa segue l'onda d'urto l'onda d'urto verso l'esterno si propaga gas-magma in miscela decompressione e accelerazione il fronte di rarefazione magma stazionariomolto viscoso & gas 500 m (frammentazione)si propaga verso il basso D E e cenere fine aria calda cenere fine aria ingobata viene piroclastici flussi Fig. 2.81- Illustrazione schematica della sequenza di eventi (da A a E, in poche decine di secondi) che porta a una singola esplosione vulcaniana. Leggermente modificata e ridisegnata da Morrissey e Mastin, “Vulcanian Eruptions”, in Encyclopedia of Volcanoes, Academic Press, 2000. “a crosta di pane”), da violente onde d’urto atmosferiche e, spesso, da surges basali. I meccanismi invocati per spiegare le esplosioni vulcaniane comportano l’accumulo di gas (magmatici o di interazione con acqua) al di sotto di un “tappo rigido” e la loro rapida decompressione fino alla violenta liberazione. Fig. 2.82 - 5 Ottobre 1998. Esplosione vulcaniana del vulcano Tavurvur nella caldera si Rabaul, Papua, Nuova Guinea. Siamo alla fine (E) della sequenza schematizzata in fig.2 Foto di J.W. Evert tratta dal sito http://volcanoes.usgs.gov/Products/Pglossary/vulcanian.html Fig. 2.83 - Esplosione vulcaniana del duomo Soufriere Hill a Montserrat, Indie Occidentali, nel 1999. Siamo alla fase D della sequenza schematizzata in fig.2. Immagine presa su un sito Internet non piu’ ritrovato. Flussi piroclastici E' frequente che le eruzioni esplosive generino miscele gas-particelle troppo dense per dare origine a colonne eruttive sostenute. Esse formano allora flussi che si spostano sul terreno sotto l'influenza della gravita'. Questi flussi vennero riconosciuti come fenomeni vulcanici primari durante le eruzioni della Pelee in Martinica e della Soufriere di Saint Vincent all’inizio del 1900. Tradizionalmente essi vengono suddivisi in due classi, colate piroclastiche e surges piroclastici, intese come termini estremi, rispettivamente ad alta ed a bassa concentrazione, di uno spettro di variabilita' basato sulla quantita’ di particelle. Fondamentali differenze esistono agli estremi dello spettro, ma sempre piu' frequente e' il riconoscimento di depositi che non possono univocamente essere connessi all'uno od all'altro dei termini estremi. Colate e surges piroclastici sono sistemi composizionali complessi in cui i processi di trasporto e di deposizione non sono uniformi ne’ spazialmente ne’ temporalmente. Le colate piroclastiche possono generarsi in seguito a meccanismi diversi che possono sostanzialmente essere riferiti a due tipi principali: 1. Collasso di duomo o esplosione laterale 2. Collasso pulsante, parziale o continuo di colonna eruttiva collasso parziale di colonna collasso gravitativo di duomo nube di cenere colata piroclastica duomo collasso totale di colonna esplosione direzionale di duomo esplosione di criptoduomo innescata da una frana frana collasso continuo di colonna ("boiling over") Fig. 2.84 - Meccanismi di formazione delle colate piroclastiche. La colata piroclastica vera e propria e' un flusso gravitativo ad alta concentrazione di particelle che si muove radente il suolo. La nube di cenere, meno concentrata, formera' depositi indipendenti. I depositi lasciati dalle colate piroclastiche hanno volumi variabilissimi (da pochi milioni di m3 a decine di km3). Le colate di piccolo volume, originate per esplosione o collasso di duomi, tendono ad incanala rsi nelle valli ed ad accumularsi nelle depressioni, mentre le grandi colate formano coltri estese che, in qualche caso, hanno spessore sufficiente a coprire e peneplanare la topografia. Il materiale juvenile che costituisce i depositi puo’avere gradi di vescicolazione molto diversi: si puo’ andare da blocchi densi, a scorie bollose a pomici. In funzione di questa variabilita’ le colate assumono nomi diversi: nubi ardenti o colate di cenere e blocchi (frammenti non vescicolati), colate di scorie, colate di cenere e pomici. Fig. 2.85 - Colate piroclastiche originatesi per collasso parziale di colonna scendono dal vulcano Mayon (Filippine) il 23 settembre del 1984. L’altezza massima raggiunta dalla colonna eruttiva fu di circa 15 km. Non vi furono vittime grazie alla tempestiva evacuazione raccomandata dai vulcanologi del Philippine Institute of Volcanology and Seismology. Foto di C.G. Newhall tratta dal sito: http://volcanoes.usgs.gov/Imgs/Jpg/Mayon/32923351-020_large.jpg Fig. 2.86 - Dicembre 1902. Una colata piroclastica originata per esplosione del duomo della Montagna Pelee (Martinica) sta scorrendo lungo la Riviere Blanche prima di arrivare al mare. Sono queste le piu’ antiche foto di questi fenomeni. Foto di La Croix A, 1904, La Montaigne Pelee et ses eruptions, Parigi, Masson. Le grandi colate di pomici e ceneri sono capaci di percorrere grandi distanze, superiori a quelle di altri flussi particolati spinti dalla gravita' (per es. frane o valanghe). Cio’ avviene perche’ esse si spostano in regime di (almeno) parziale fluidizzazione . La fluidizzazione e' un processo per il quale un insieme di particelle solide puo' acquistare le proprieta' reologiche di un fluido grazie a un flusso di gas ascendente con velocita V che sostiene e separa le singole particelle. Fig. 2.87 - Rappresentazione schematica dei processi di fluidizzazione stazionaria. Una corrente gassosa e' iniettata verso l'alto in una massa granulare appoggiata ad una griglia con una velocita' V. Al di sopra del valore Vfm (velocita' minima di fluidizzazione) le particelle cessano di stare in contatto ed il sistema si comporta come un fluido. G e' la frazione di fase solida. Nei sistemi monodispersivi tutte le particelle vengono fluidizzate contemporaneamente. Nei sistemi polidispersivi si possono for-mare regimi di fluidizzazione aggregativa. Nei sistemi polidispersivi (costituiti cioe' da particelle diverse per dimensioni, densita' e forma) quali possono essere considerati i flussi piroclastici non e' possibile che tutte le particelle vengano fluidizzate contemporaneamente e si verificano fenomeni di segregazione ed elutriazione. La segregazione consiste nell'ordinamento delle particelle lungo la verticale in funzione delle loro dimensioni e/o densita'. Il grado di segregazione dipende dall'ampiezza dell'intervallo di dimensioni e/o densita' presente nella massa fluidizzata e dalla Energia di Fluidizzazione che puo' essere definita dal rapporto V/Vfm. Se in un sistema polidispersivo la segregazione e' trascurabile questo significa che V/V fm vale circa 1: il regime di fluidizzazione e' cioe' prossimo alla fluidizzazione incipiente L'elutriazione - Man mano che la velocita' del fluido ascendente aumenta, le particelle piu' piccole e meno dense salgono verso la parte superiore della nube mentre le piu' grandi e piu' dense (non fluidizzate) restano in basso. Per ogni sistema polidispersivo esiste un valore della velocita' del fluido ascendente al di sopra del quale le particelle piu' piccole e meno dense cominciano a venire allontanate dalla massa principale che si arricchisce cosi' indirettamente nelle particelle piu' grandi e piu' dense. Per ogni velocita' del gas le particelle ricadranno allora in tre gruppi differenti: segregate (le piu’ grandi e dense), elutriate (le piu’ fini) e fluidizzate. Tanto la segregazione quanto l'elutriazione sono processi che dipendono dal tempo, e non ci si puo' aspettare che entrambi abbiano funzionato "fino in fondo" in sistemi fluidizzati solo per breve tempo. Il considerare le colate piroclastiche come sistemi piu' o meno fluidizzati comporta di discutere le modalita' attraverso le quali esse, una volta postesi in movimento, sono in grado di mantenere, piu' o meno lungamente, il loro stato fluidizzato. Tre classici modelli di fluidizzazione traslazionale (relativi cioe' a casi in cui il materiale fluidizzato possiede un proprio movimento orizzontale) possono trovare soddisfacente corrispondenza vulcanologica 1. Fluidizzazione basale 2. Autofluidizzazione 3. Fluidizzazione alla prua Fluidizzazione basale U Il gas fluidizzante e' liberato lungo la superficie sulla quale scorre la massa particellata: e' il caso delle colate piroclastiche ad alta temperatura che scorrono su di un substrato acquoso o vegetato - vapor d'acqua o gas di combustione generano il fluido gassoso ascendente. Fluidizzazione alla prua U Al fronte di una massa densa che si sposta a grande velocita' si forma, per attrito col substrato, un saliente (la "prua") al di sotto del quale si infiltra aria che viene ingobata nella massa particellata. aria Autofluidizzazione U Il gas fluidizzante e' emesso direttamente da singole particelle della massa in movimento (e' il caso di frammenti di magma ancora caldi e gas-emittenti). Fig. 2.88 - Rappresentazione schematica di alcuni casi di fluidizzazione traslazionale. La massa particellata si sposta sul substrato con velocita' U. Surges piroclastici Col termine anglosassone di “surge” (letteralmente “ondata, maroso”) si indicano flussi piroclastici mo lto espansi a bassa concentrazione di particelle che fluiscono in maniera turbolenta. Il surge e' un flusso instabile ed effimero che si realizza a seguito di un impulso (od una serie di impulsi) la cui energia cinetica diminuisce rapidamente, mentre la colata piroclastica e' un flusso piu' stabile, alimentato in modo piu' continuo, e capace di mantenere la sua energia cinetica per un tempo relativamente lungo. In virtu’ di queste loro caratteristiche, i surges sono poco controllati dalla topografia sulla quale scorrono. Tradizionalmente vengono distinti tre tipi di surge piroclastico: (1) - Base-surge (2) - Ground surge (3) - Ash cloud surge I base surges sono tipicamente associati con eruzioni freatiche e freatomagmatiche. Il nome fu coniato a seguito dell’osservazione di fenomeni analoghi che accompagnano le esplosioni nucleari. La miscela gas-particelle si espande radialmente attorno alla bocca formando un tipico "collare" alla base della colonna eruttiva (si veda anche la figura 2.78). L’interazione acqua- magma che e’ all’origine di questi fenomeni e’ spesso caratterizzata da un rapporto acqua/magma elevato con formazione di miscele che sono in genere piu' fredde se paragonate ai ground surges ed agli ash cloud surges. Distingueremo allora i surges “freddi e bagnati” da quelli “caldi e secchi” (con temperatura superiore alla temperatura critica dell’acqua) sulla base della presenza abbondante di vapore. Se la temperatura scende al di sotto del punto di condensazione del vapore, l’acqua liquida costituisce un componente addizionale della miscela e al surge puo’ essere dato il nome di “uragano di fango”. Fig. 2.89 - L’eruzione del vulcano Taal (Filippine) del 1965 fu caratterizzata da una colonna eruttiva (a sinistra) che raggiunse l’altezza massima di 20 km cui si accompagno’ la messa in posto di un “base surge”. Questa nube piatta, turbolenta, costituita da gas, fango, cenere, lapilli e blocchi si espanse lateralmente alla velocita’ di un uragano. La foto in alto mostra gli effetti del surge sui tronchi delle palme a 4 km dalla bocca Fotografie di J.G. Moore, U.S. Geological Survey, Sett. 1965. Base-surge e esplosioni nucleari - “Operation Crossroads” era il nome in codice degli esperimenti sull’uso militare delle bombe atomiche eseguiti dagli USA nella laguna dell’atollo di Bikini, nell’oceano Pacifico. Nel Luglio del 1946 l’Esercito e la Marina statunitense fecero esplodere due bombe nucleari, una sulla superficie della laguna e l’altra sott’acqua. Il test aveva lo scopo di valutare gli effetti di un attacco atomico su una flotta di navi (reale, costituita da navi “sacrificabili” sia della flotta americana che delle flotte tedesca e giapponese, bottino di guerra). La posizione dell’Esercito USA era che l’avvento della bomba atomica rendeva le flotte di navi da battaglia obsolete. La Marina non era ovviamente dello stesso avviso. Il test “sopra l’acqua” ebbe il nome in codice di “Able” e fu eseguito il primo Luglio 1946. Poche navi affondarono o furono fisicamente danneggiate dalla forza dell’esplosione, mentre molte presero fuoco. Il test sott’acqua (“Baker”) fu effettuato il 25 Luglio e anche in quel caso la gran parte delle navi non fu danneggiata significativamente. Un effetto generale fu pero’ quello di rendere tutte le navi troppo radioattive per poter essere operative in tempi brevi. La bomba aveva una potenza di 23.000 tonnellate di tritolo, la stessa della bomba che era stata sganciata su Nagasaki il 9 Agosto del 1945. Fig. 2.90 - Il test “Able” (bomba sulla superficie della laguna di Bikini) eseguito il primo Luglio 1946. Le foto delle esplosioni sono di Bill Cunningham. Tratte dal sito: http://www.aracnet.com/~pdxavets/crossroa.htm L’onda d’urto subacquea si espanse a grande velocita’ e raggiunse la superficiie in pochi millisecondi, formando una nube di condensazione a forma di duomo con alla base un collare circolare che si espandeva radente l’acqua con la velocita’ di un uragano e che fu chiamato “base-surge”. Fig. 2.91 - Il test sott’acqua (“Baker”) effettuato il 25 Luglio 1946. Le foto delle esplosioni sono di Bill Cunningham tratte dal sito: http://www.aracnet.com/~pdxavets/crossroa.htm Sotto il nome di ground surges vengono raggruppati fenomeni con origine abbastanza diversa: esplosioni direzionali ["directed blasts"], collassi delle parti esterne a granulometria fine di una colonna eruttiva, proiezioni dalla testa di una colata piroclastica in movimento. I depositi di ground surge si trovano quasi sempre alla base di sequenze piroclastiche complesse, ed e' questo il fattore comune che giustifica l'essere considerati insieme di fenomeni diversi. Gli ash cloud surges sono originati dalla nube di ceneri elutriate, fluttuante al di sopra e dietro la colata piroclastica, che dal corpo della colata si allontanano in ruscelli instabili di gas e cenere. L'energia di questo tipo di surge e' interamente acquisita dalla colata piroclastica che lo genera. LA VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ E IL MONITORAGGIO DEI VULCANI Quasi 1500 vulcani sono stati attivi sulla Terra negli ultimi 10.000 anni. Cinquanta di questi entrano in media in eruzione ogni anno. In alcuni casi si tratta di vulcani ad attività semipersistente o, comunque, molto frequente (il Kilauea, l'Etna, lo Stromboli, il Sakurajima, ecc.). In altri casi si tratta invece di vulcani che si sono ridestati dopo lunghi periodi di riposo o che, addirittura, erano considerati estinti (il Lamington, a Papua-Nuova Guinea, nel 1951; il Bezymianny in Kamtchatka nel 1956, el Chichon in Messico nel 1982, il Pinatubo nelle Filippine nel 1991, ecc.). Anche i residenti campani ignoravano la natura vulcanica del Vesuvio prima dell'eruzione del 79 d.C. che rase al suol Pompei, ercolano e tutta l’area circumvesuviana. Fig. 1 - Dati relativi alle vittime ed alle persone colpite da disastri naturali nel periodo 1966-1990 (dati del CRED Disaster Event Database, Stop Disaster n.13, 1993). Si noti come le eruzioni vulcaniche abbiano il rapporto piu' alto tra vittime e persone colpite dal disastro. A partire dall'anno 1000 si stima a 3-500.000 il numero delle persone morte come consequenza diretta dell'attività vulcanica. Un tale numero può non apparire enorme, sopratutto se paragonato alle perdite di vite umane causate da altri tipi di disastri naturali (fig.1), ma l'attività vulcanica costituisce comunque un pericolo importante per numerose regioni della Terra, tra cui l'Italia e potrebbe avere in futuro, come probabilmente ha avuto nel passato geologico, effetti molto piu' drammatici di quelli fin qui esperimentati dalla storia conosciuta dell'uomo. Basti pensare, a questo proposito, alle ipotesi correnti sugli immani effetti climatici che potrebbero essere imputabili ad eruzioni di magnitudo enorme e che l'uomo finora ha avuto la fortuna di non vedere. Le eruzioni vulcaniche hanno poi un impatto socio-economico che va al di là del numero di vite umane perse: distruzioni, carestie, sterilizzazione del territorio, inquinamento delle acque, traumi sociali. La vulcanologia moderna non può piu' limitarsi a sviluppare e migliorare le conoscenze di base del fenomeno vulcanico, ma deve porsi l'obiettivo di contribuire alla individuazione dei pericoli ed alla prevenzione dei rischi legati all'attività dei vulcani. Pericolosità e Rischio vulcanici Il rischio (risk), come ben noto, è la possibilità di una perdita (vite, proprietà, capacità produttive, funzionalità del territorio, ecc.) la cui valutazione implica la quantificazione della relazione (UNESCO, 1972): rischio = valore x vulnerabilità x pericolosità. 1 In vulcanologia, la pericolosità (hazard) è la probabilità che una determinata area sia interessata da fenomeni vulcanici potenzialmente distruttivi entro un determinato periodo di tempo. Essa deve essere riferita a fenomeni ben definiti, per cui un'area a pericolosità zero per un certo tipo di evento (per es., lo scorrimento di colate laviche) può essere a pericolosità elevata per un tipo di evento diverso (per es. la ricaduta di materiale piroclastico). Inoltre, se l’impatto sul territorio del fenomeno pericoloso è differenziabile per intensità (per esempio di pressione di carico nel caso della caduta di cenere e pomici o di pressione dinamica per i flussi piroclastici e le colate di fango), la pericolosità deve essere riferita a una soglia ben definita. Quando si parla di pericolosità di un’eruzione si deve quindi avere chiaro che essa è l’insieme delle pericolosità relative ai diversi fenomeni (nella loro variabilità) che possono verificarsi. Il valore è la quantificazione in denaro di tutto ciò (numero di persone e costruzioni, impianti industriali, terreno agricolo, ecc.) che è suscettibile di danno in conseguenza dell’evento distruttivo considerato. La vulnerabilità è la frazione di valore (tra 0 e 1) che si aspetta verrà perduto nel corso dell’evento considerato. Per la valutazione del rischio, è quindi ovvio che non si può fare a meno di dati di carattere socio-economico sul territorio, in genere abbastanza estranei alle competenze del vulcanologo. La valutazione della pericolosità di un vulcano costituisce invece uno degli obiettivi prioritari della moderna vulcanologia. L'assunzione base per questa valutazione è che eventi di uno stesso tipo interesseranno in futuro le stesse aree con le stesse modalità. e con la stessa frequenza media di quanto verificatosi nel passato. Quanto piu' lungo è. il periodo dei dati attendibili disponibili, e quanto piu' numerosi sono questi dati, tanto piu' attendibile sarà. la valutazione della pericolosità.. La conoscenza della storia eruttiva di un vulcano rappresenta quindi la base indispensabile per la comprensione del suo funzionamento e, conseguentemente, per ogni tentativo di valutazione e mitigazione dei pericoli connessi alla ripresa di attività.. Il problema "pericolosità vulcanica" in realtà deve essere affrontato in maniera abbastanza diversa in relazione alle condizioni in cui si trova il vulcano considerato. Dovremo pertanto riferirci (Crandell e Mullineaux, 1978) a: 1. pericolosità. a breve termine o immediata connessa a vulcani che eruttano frequentemente e si trovano sostanzialmente in condizioni di condotto aperto (Etna, Kilauea, Piton de la Fournaise, Sakurajima, Asama, Stromboli, Sangay, Arenal, ecc.). Si possono far rientrare in questa categoria anche il St.Helens (dopo il Maggio 1980) o il Merapi il cui condotto è in realtà "dinamicamente" ostruito da un duomo in progressivo accrescimento. La frequenza elevata dei fenomeni eruttivi dello stesso tipo rende piu' facile anche la previsione "empirica" che si basa appunto sulla ripetibilità del fenomeno. In effetti tutti i successi nella previsione sono stati ottenuti finora su vulcani di questo tipo (Minakami, 1974; Swanson et al, 1983; Decker, 1987; Klein et al., 1987). 2. pericolosità. a lungo termine o potenziale connessa a vulcani la cui frequenza eruttiva è. bassa e si trovano in condizioni di condotto ostruito. Nel primo caso l'evento atteso risulta abbastanza ben definito; il record dei fenomeni eruttivi osservati è relativamente abbondante e il problema della valutazione della pericolosità (e del rischio) è reso meno drammatico dalla consuetudine al fenomeno della popolazione residente. Per gli eventi con pericolosità a breve termine, la comunità vulcanologica deve essere impegnata e preparata essenzialmente nel cercare di prevedere "quando" l'eruzione avrà luogo e, in molti casi, "dove". La valutazione della pericolosità molto spesso deve essere intesa in senso "dinamico", cioè., soprattutto per eruzioni effusive, essa dovrà essere mirata alla previsione, in corso di eruzione, delle aree nelle 2 quali è atteso il danno, con continui aggiustamenti in funzione dell'evoluzione delle caratteristiche eruttive (ubicazione delle bocche, morfologia delle zone di scorrimento, tasso di efflusso, proprietà reologiche della lava). Nel caso di vulcani caratterizzati da lunghi periodi di riposo, la valutazione della pericolosità (e del rischio) è un esercizio molto piu' complesso e delicato. Questi vulcani (il Vesuvio può essere considerato come esempio della categoria) hanno fatto registrare nella loro storia eruzioni con esplosività, intensità, magnitudo molto variabili. Come nel caso dei terremoti sarebbe opportuno basare la valutazione della pericolosità su parametri quali l'intensità massima* e l'intensità corrispondente a un certo periodo di ritorno. Tabella 1 - Le eruzioni storiche che hanno provocato piu’ vittime. Eruzione Pinatubo, Filippine Lago Nyos (Camerun) Ruiz, Colombia El Chichon, Mexico Nyiragongo, Zaire Agung, Indonesia Hibok Hibok, Filippine Lamington, Nuova Guinea Merapi, Indonesia Rabaul, Nuova Guinea Merapi, Indonesia Kelut, Indonesia Taal, Filippine Santa Maria, Guatemala Mont Pelée, Martinique Soufriere, St. Vincent Awu, Indonesia Ritter, Nuova Guinea Krakatau, Indonesia Galunggung, Indonesia Cotopaxi, Ecuador Awu, Indonesia Ruiz, Colombia Mayon, Filippine Galunggung, Indonesia Tambora, Indonesia Mayon, Filippine Unzen, Japan Asama, Giappone Lakagigar (Laki), Iceland Gamalama, Indonesia Papandajan, Indonesia Makian, Indonesia Cotopaxi, Ecuador * Anno 1991 1986 1985 1982 1977 1963 1951 1951 1951 1937 1930 1919 1911 1902 1902 1902 1892 1888 1883 1882 1877 1856 1845 1825 1822 1815 1814 1792 1783 1783 1775 1772 1760 1741 Vittime 870 1,700 25,000 2,000 300 1,900 500 2,942 1,300 507 1,369 5,110 1,335 6,000 29,000 1,565 1,500 3,000 36,000 4,000 1,000 3,000 700 1,500 4,000 92,000 1,200 14,300 1,150 9,300 1,300 3,000 2,000 1,000 Causa principale Colate di fango e tefra Nube di gas (CO2) Colate di fango Colate piroclastiche Colate di lava Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate di fango Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate piroclastiche Colate di fango Tsunami Tsunami Colate di fango Colate di fango Colate di fango Colate di fango Colate di fango Colate di fango Carestia e colate piroclastiche Colate piroclastiche Collasso di settore, tsunami Colate piroclastiche Carestia Colate piroclastiche Colate piroclastiche e frane Colate di fango Colate di fango È da rilevare la sostanziale differenza che il termine intensità ha in vulcanologia rispetto alla sismologia. L'intensità di un terr è un parametro empirico che dipende dal danno osservato in un sito ed è quindi, tra l'altro, funzione della distanza dall'epicentro. L'intensità di un'eruzione dipende invece, secondo la definizione di Carey e Sigurdsonn (1988), dal tasso di emissione del magma (la magnitudo è la massa totale eruttata) senza alcun riferimento al danno provocato nei vari punti del territorio colpito. 3 Oshima, Giappone Awu, Indonesia Merapi, Indonesia Komagatake, Giappone Raung, Indonesia Vesuvio, Italia Kelut, Indonesia 1741 1701 1672 1640 1638 1631 1586 1,475 3,000 300 700 1,000 4,000 10,000 Tsunami Colate di fango Colate piroclastiche Tsunami Colate di fango Colate piroclastiche Colate di fango modificato da: Volcanic Emergency Management. UNDRO, United Nations, 1985 Il primo parametro (intensità massima) può condurre, se usato da solo, a conclusioni di dubbia utilità o errate. Ad esempio può condurre a considerare ugualmente pericolosi due vulcani che abbiano sperimentato la stessa intensità massima indipendentemente dalla frequenza con cui tale evento si verifica. È pertanto necessario considerare anche la frequenza degli eventi. Purtroppo, per quanto ben studiata sia, la storia eruttiva di un vulcano non consente di ricavare leggi magnitudo-frequenza con l'attendibilità statistica ottenibile nelle zone sismiche con record di eventi di pari lunghezza temporale. Nonostante le difficoltà., è all'ottenimento di una legge di questo tipo che devono tendere le ricerche sui vulcani, con la complicazione che non esiste un unico parametro (esempio: magnitudo, intensità.) che possa esprimere la pericolosità di un'eruzione. Per ogni dato vulcano la possibilità di ridurre i danni legati al verificarsi di un evento eruttivo sarà tanto maggiore quanto meglio saranno state eseguite le operazioni seguenti (fig.8.2): (1) Previsione dell'eruzione, cioè la indicazione del tempo e del luogo di accadimento dell'evento. La possibilità di una buona previsione è legata all'esperienza acquisita su ogni dato vulcano, e sarà quindi, come già abbiamo accennato, molto maggiore nei vulcani a pericolosità immediata che in quelli a pericolosità potenziale. Presupposto comunque indispensabile è l'esistenza ed il corretto funzionamento di un sistema strumentale di monitoraggio (che in genere, anche se un pò impropriamente, viene definito "di sorveglianza"). A parità di altre condizioni, la qualità delle reti di monitoraggio sarà direttamente proporzionale alla qualità della previsione. (2) Definizione dei possibili scenari eruttivi e della loro probabilità d'occorrenza. (3) Delimitazione delle zone potenzialmente minacciate dai diversi fenomeni pericolosi connessi ai possibili scenari, e del diverso grado di minaccia. Le operazioni (2) e (3) dovrebbero portare alla zonazione della pericolosità vulcanica attraverso la stesura di carte tematiche che devono essere il punto di partenza per qualsiasi politica di prevenzione e di mitigazione dei danni provocati dalle eruzioni vulcaniche. Attualmente, la zonazione della pericolosità non può che essere basata sull'applicazione del principo dell'attualismo, nella presunzione che l'attività futura del vulcano seguirà la logica di comportamento mostrata nel passato. Dalla storia eruttiva di un dato vulcano si può allora tentare di ricavare un modello del comportamento del vulcano, e da questo si potrà stimare: - l'eruzione di massima intensità, con una stima della sua frequenza - l'evento massimo atteso a breve-medio termine Questi dati, trasportati sulle carte in termini di distribuzione spaziale di intensità prevista per i diversi fenomeni, sono essenziali per procedere alle successive operazioni:. (4) Censimento del valore danneggiabile dall'eruzione (popolazioni esposte e patrimonio socioeconomico-culturale) e valutazione della sua vulnerabilità nei diversi possibili scenari. (5) Preparazione di piani di protezione civile per l'intervento in emergenza e di piani per la pianificazione a lungo termine dell'uso del territorio, a carattere preventivo, che riducano il valore danneggiabile e la sua vulnerabilità. Il monitoraggio vulcanico e la previsione delle eruzioni 4 Il passaggio da uno stato di quiescenza ad uno eruttivo implica la migrazione di magma verso la superficie. Nel risalire il magma esercita una spinta sulle rocce entro le quali si sta aprendo il cammino, le solleva inarcandole e le frattura. Lungo le fratture i gas vulcanici, piu' caldi e chimicamente diversi rispetto ai fluidi superficiali, sfuggono verso la superficie. Ogni eruzione vulcanica, in linea di principio, dovrebbe quindi essere preceduta e preannunziata da una serie piu' o meno complessa di fenomeni precursori. Ed in effetti è noto da tempo che molte eruzioni sono precedute da terremoti e vistose deformazioni del suolo. Con questa consapevolezza gli sforzi maggiori sono stati finora dedicati alla ricerca di relazioni temporali di tipo probabilistico tra le caratteristiche dell'attività sismica o delle deformazioni del suolo e le eruzioni. Solo in tempi relativamente recenti, e su pochi vulcani, si sono cominciati ad usare metodi deterministici basati sulle variazioni di parametri fisici e chimici verosimilmente indotte dall'avvicinarsi del magma alla superficie terrestre (variazioni locali dei campi gravimetrico e magnetico, della composizione chimica dei gas fumarolici e delle acqua, del flusso di calore, del campo elettrico). Il termine monitoraggio dei vulcani (spesso impropriamente si parla di "sorveglianza") si riferisce all'insieme delle osservazioni e delle misure che vengono eseguite per documentare i cambiamenti che si verificano nello stato di un vulcano durante un'eruzione e, sopratutto, prima dell'eruzione e che possono essere utilizzati come fenomeni precursori. Monitoraggio geofisico (1) Deformazioni del suolo - In linea di principio, il sollevamento del suolo eventualmente indotto dalla risalita del magma è il risultato di un rigonfiamento localizzato e comporta quindi un aumento della pendenza (il "tilt" degli inglesi) del vulcano (fig.8.3). I caposaldi delle reti di misura si sollevano in modo differenziale uno rispetto all'altro fino al momento dell'eruzione per poi seguire rapidamente la strada opposta (non necessariamente tornando sulle posizioni di partenza) a seguito del rilascio di pressione nel serbatoio magmatico (è un pò come iniettare lentamente d'acqua in un contenitore elastico fino a provocarne la rottura ed osservarne la superficie in lenta espansione nella fase di riempimento ed in rapida contrazione al momento della rottura). I cambiamenti di forma di un vulcano sono seguiti attraverso misure di deformazione del suolo. Queste possono essere effettuate con metodi diversi: 5 Fig.2. A sinistra: le spettacolari eruzioni del Pu`u `O`o (rift valley orientale del Kilauea, Hawaii, 1983 - 1986) furono accompagnate da significative variazioni di inclinazioni di pendio (tilt) sulla sommità del vulcano, circa 20 km lontano dalla bocca. Foto di J.D. Griggs il 4 Febbraio 1985, A destra in alto: Una serie di crateri, coni e fratture distribuiti tra la caldera del Kilauea e il Pu’òo costituisce la Rift Valley Orientale del Kilauea. Prima di eruttare al Pu’òo, il magma entra nella camera magmatica principale sotto la caldera per poi spostarsi verso il Pu’òo. I tiltmetri erano ubicati sul fondo della caldera, presso il bordo occidentale (in basso a sinistra nella foto). . A destra in basso: il grafico mostra dodici mesi di registrazioni di un tiltmetro (“Uwekahuna”) ubicato sul ordo della caldera. Quando lo strumento registra un aumento dell’angolo di pendio, la sommità del Kilauea si sta rigonfiando a causa dell’ingresso di nuovo magma nella camera sommitale. Il brusco abbassamento del tilt mostra lo spostamento del magma dalla camera sotto la caldera alla bocca del Pu’u Òo e precede di pochissimo il rinforzarsi dell’attività a quella bocca. FONTE: http://volcanoes.usgs.gov/ - la clinometria (o tiltmetria) misura in continuo con grande precisione (a meno di un microradiante ~ 0.000006°) i cambiamenti degli angoli di pendio. Un tiltmetro elettronico, come la livella di un muratore, usa un piccolo contenitore riempito di liquido con una “bolla” per misurare i cambiamenti di pendenza (tilt). L’entità dello spostamento della bolla è misurato da elettrodi e viene correlato con l’entità del tilt. Per dare un'idea del livello di precisione raggiunto si immagini un asse di legno lungo un chilometro poggiato su un terreno perfettamente orizzontale e si immagini l'aumento della pendenza provocato da una moneta inserita sotto una estremità dell'asse: esso è di circa un microradiante! - la livellazione di precisione è utilizzata per misurare, attraverso campagne periodiche su reti di caposaldi opportunamente stabilite, gli spostamenti verticali subiti dai diversi caposaldi. - la distanziometria - i cambiamenti nella distanza sull'orizzontale tra caposaldi opportunamente fissati vengono invece misurati con strumenti portatili a laser od a raggi infrarossi di grande precisione (EDM = electronic distance measurement). Vi è una grande variabilità nella precisione degli strumenti che dipende dagli scopi per i quali essi vengono utilizzati. Nel monitoraggio dei vulcani gli EDM usati hanno distanze di impiego medio-corte (<10 - <50 km) con accuratezza della misura nell’ordine dei 5 mm. Lo sviluppo di reti satellitarie permette anche l'impiego di reti GPS (global positioning systems). Fig. 3. Un distanziometro elettronico (EDM) trasmette e riceve un segnale elettronico. La sfasatura di lunghezza d’onda del segnale di ritorno rispetto al segnale trasmesso è funzione della distanza dal riflettore. http://volcanoes.usgs.gov/ 6 Fig. 4 . A sinistra: La distanza tra due caposaldi opportunamente posizionati all’interno della caldera del Mauna Loa (Hawaii) aumentò di circa 50 cm negli stadi iniziali delle eruzioni del 1975 e del 1984. USGS . A destra: Il grafico mostra la progressiva diminuzione della distanza tra due caposaldi ubicati sul duomo e la stazione EDM sul fondo del cratere prima dell’eruzione del 14 Maggio 1982 del St. Helens (linea verticale rossa). La contrazione della distanza è dovuta al rigonfiamento del duomo sotto la spinta di magma fresco. Col passare dei giorni il gradiente di contrazione diviene sempre piu’ forte (il 2 Maggio il duomo si espanse di 2 cm, il 13 Maggio di 2 metri). Sulla base di queste misure e dell’aumentata attività sismica, l’11 Maggio gli scienziati lanciarono la previsione di un’eruzione attesa entro una settimana. http://volcanoes.usgs.gov/About/What/Monitor/Deformation/EDMMSH.html (2) Attività sismica - Muovendosi verso la superficie il magma deve farsi spazio fratturando e spostando le rocce solide che lo circondano. Queste fratture e questi spostamenti producono delle onde sismiche che si trasmettono attraverso la porzione solida del vulcano e possono venire raccolte da sensori (sismometri, accelerometri) posti sulla superficie e, convertiti in segnali elettronici, registrate da sismografi. I dati sismici vengono analizzati per determinare il momento in cui il terremoto si è verificato, la sua localizzazione e la sua magnitudo. Una corretta "mappatura" dell'attività sismica ed una corretta interpretazione del significato dei differenti segnali sismici può permettere la ricostruzione dei movimenti del magma nella sua migrazione verso la superficie. Ma sulla classificazione dei segnali sismici in aree di vulcanismo attivo non vi è oggi generale accordo tra gli studiosi. Una sintesi semplificata proposta (Dorel, 1994) è la seguente: 7 Fig.5. Esempi di segnali sismici di origine vulcanica registrati al vulcano St. Helens nel corso del 1980. Per ogni segnale viene mostrato il sismogramma registrato a tre differenti distanze (D) dall'epicentro. Le sigle a sinistra di ciascun segnale identificano il sismografo.(A) = sisma a bassa frequenza (Magnitudo = 3.2); (B) = sisma ad alta frequenza (M=3.2); (C) = sisma superficiale (eruzione del 22 Luglio 1980); (D) = tremore. FONTE: da Malone et al., 1981, in Bourdier, 1994, Le Volcanisme, Editions BRGM, Orleans. - sismi ad alta frequenza (HF) - si tratta di segnali relativi ad onde di frequenza superiore ai 10 Hz, con fasi P (primaria) e S (secondaria) ben definite e con inizio netto (Fig.5A). Questi sismi hanno un aspetto simile a quello dei terremoti "tettonici" e dovrebbero rivelare la fratturazione del mezzo rigido e freddo, incassante la massa magmatica; - sismi a bassa frequenza (BF) - sono segnali relativi ad onde di frequenza inferiore ai 10 Hz, con fasi P e S mal definite (fig.5B), il che rende problematica la localizzazione della sorgente. Essi in genere precedono di poco ed accompagnano le eruzioni e dovrebbero rivelare deformazioni interne ad una massa semirigida ad alta temperatura (le pareti della camera, un magma molto viscoso, ecc.); - tremore vulcanico - si tratta di sequenze prolungate di sismi (in genere BF) talmente vicini nel tempo da dare luogo ad una specie di vibrazione continua (fig.5C). Il tremore è un fenomeno che in genere accompagna l'eruzione piuttosto che precederla ed è in relazione diretta con il movimento del magma; - fenomeni di superficie - in questa categoria vengono raggruppati tutti i segnali sismici la cui origine è molto superficiale: esplosioni gassose, frane, ecc. (fig.5D). (3) Variazioni della accelerazione di gravità - Una variazione temporale dell'accelerazione di gravità può essere indotta da due meccanismi: (1) una variazione di quota, oppure (2) una variazione della distribuzione dei contrasti di densità nel sottosuolo. Le variazioni di quota sono associate alle deformazioni del suolo (espansione e contrazione), mentre le variazioni del contrasto di densità possono essere causate da spostamenti di massa (per esempio un'intrusione) o da cambiamenti di stato fisico come l'aumento della vescicolazione del magma. Esiste quindi un'ambiguità di fondo nell'interpretare le variazioni temporali della gravità in quanto, per esempio, una diminuzione di gravità può essere spiegata sia da un aumento della quota che da una diminuzione di densità in una parte del substrato. Quest'ambiguità può essere rimossa effettuando simultaneamente, ogni volta che la rete di caposaldi viene battuta, misure della gravità e livellazioni di precisione. Una volta note le variazioni di quota, le variazioni di gravità possono essere corrette sulla base del gradiente ∆g/∆h che può essere considerato costante, una volta nota la densità del substrato (il che non è cosi' semplice). I gravimetri consentono attualmente una precisione dell'ordine dei 5 microgal (µGal) il che corrisponde grosso modo ad un cambiamento di quota di 1,5 mm. Se una variazione di gravità osservata è dovuta solo alla variazione di quota, la variazione di gravità residua (∆g') dopo la correzione sarà nulla. Una ∆g' positiva rileverà un apporto di massa nel substrato , mentre una ∆g' negativa indicherà una perdita di massa. 8 Fig. 6. Il sistema di monitoraggio del Vesuvio gestito dall’Osservatorio Vesuviano (tratto dal sito: http://www.osve.unina.it/vesgen.htm, riferito come aggiornato al Marzo 1999) (4) Variazioni del campo magnetico - Negli ultimi 15 anni è stato visto in modo chiaro (ma l'idea era assai piu' vecchia) che cambiamenti nella distribuzione delle masse all'interno di edifici vulcanici sono accompagnate da variazioni anomale di qualche nanoteslas (nT) del campo magnetico terrestre. (5) Variazioni di resistività - La resistività elettrica di una roccia diminuisce all'aumentare della temperatura; se la roccia fonde la resistività diminuisce bruscamente; piu' alto è il contenuto in fluidi di una roccia e piu' bassa è la sua resistività, ed un fluido ad alta temperatura è meno resistivo di uno a bassa temperatura. A causa di queste proprietà le misure di resistività possono essere utili nel monitoraggio dei vulcani (fig.8.6). (6) Variazioni del flusso di calore - Essendo bassa la conducibilità termica delle rocce, il trasporto di calore per conduzione verso la superficie è lento in confronto alla velocità di risalita del magma. Questo significa che variazioni significative nel flusso di calore legate all'approssimarsi alla superficie di masse magmatiche avranno probabilità pressochè nulla di essere registrate prima dell'eruzione. Il trasporto di calore per convezione è invece molto piu' rapido in quanto il calore si propaga alla velocità dei fluidi che lo trasportano (acqua, vapore, gas magmatici). In periodi di quiete le anomalie termiche nelle aree vulcaniche sono in genere localizzate a siti di risalita preferenziale di fluidi caldi profondi: campi fumarolici, sorgenti termali, faglie attive. In genere, all'approssimarsi di condizioni eruttive (il magma sta risalendo) si nota un aumento progressivo del volume e della temperatura dei fluidi emessi, nonchè l'apparizione di nuove zone di risalita di fluidi caldi. Il rilevamento di queste anomalie può essere fatto tramite misure puntuali, periodiche o continue, oppure con tecniche di teledetezione aeroportata o satellitare (ad esempio la termografia all'infrarosso che consiste nell'analisi delle variazioni spaziali dell'emissione di raggi infrarossi da parte della superficie). Monitoraggio geochimico Il trasporto di calore per convezione è molto piu' rapido di quello per conduzione in quanto il calore si propaga alla velocità dei fluidi che lo trasportano (acqua, vapore, gas magmatici). In periodi di quiete le anomalie termiche nelle aree vulcaniche sono in genere localizzate a siti di risalita preferenziale di fluidi caldi profondi: campi fumarolici, sorgenti termali, faglie attive. Il principio 9 generale sul quale si basa il monitoraggio geochimico dei vulcani è che, all'approssimarsi di condizioni eruttive (il magma sta risalendo), si noti un aumento progressivo del volume e della temperatura dei fluidi emessi, un aumento della quantità di componenti di provenienza magmatica nella miscela gassosa, l'apparizione di nuove zone di risalita di fluidi caldi. Il rilevamento di queste variazioni termiche e composizionali può essere fatto tramite misure puntuali, periodiche o continue, oppure con tecniche di detezione a distanza. Fig.7. Il COSPEC (“correlation spectrometer”) è uno strumento che viene utilizzato per misure a distanza su emissioni gassose di qualsiasi natura. Lo strumento effettua misure attraverso pennacchi di fumo spinti dal vento. Il principio base è quello di determinare il contenuto in gas non atmosferico nel pennacchio attraverso il confronto tra lo spettro della luce naturale riflessa dall’aria pura e quello riflesso dal pennacchio. Da questi dati si può calcolare con una certa approssimazione il volume emesso dalla sorgente di gas in un dato intervallo di tempo. Nella foto l’effettuazione di una misura COSPEC da un sito fisso. Gli strumenti possono essere montati su veicoli.: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/working_on_volcs/gas3. html Fig.8. Lidar è un acronimo per “Light Detection and Ranging”, una tecnica di misurazione a distanza che usa la luce laser in modo simile a come il sonar usa il suono, o il radar usa le onde radio. L’idea di base è semplice: un impulso laser viene emesso verso il cielo notturno e la quantità di luce riflessa dall’atmosfera è misurata in funzione del tempo. La quantità di luce riflessa da ogni altezza (che, nota la velocità della luce, sarà determinata dal tempo di registrazione) è proporzionale alla densità dell’atmosfera e, fatte le opportune tarature, alla sua composizione. FONTE: http://users.aber.ac.uk/ozone/lidar.html Fig.9. Esempi di precursori geochimici in vulcani della Kamtchatka (Russia). A sinistra: variazioni del contenuto in Radon nelle acque termali del Karymsky (ridisegnato da Chirkov, 1975). A destra: variazioni del rapporto S/Cl nelle fumarole del Sheveluch (ridisegnato da Menyailov, 1975). Aumenti dei contenuti di Radon nelle acque termali e aumenti del rapporto S/Cl dei gas fumarolici sono stati ripetutamente osservati in coincidenza con eruzioni di vulcani della Kamtchatka, ma l'approccio è essenzialmente empirico e non può fornire altro che una generica informazione su una 10 condizione di "anomalia" nello stato del vulcano. Un contributo conoscitivo importante è venuto dagli studi sistematici sui gas eruttivi, che hanno consentito di classificare i gas che fuoriescono dalle manifestazioni fumaroliche in termini di componenti di provenienza magmatica, contrapposta ad una provenienza superficiale o geotermica. La prossimità al "polo magmatico" consente di stimare condizioni di magma prossimo alla superficie (questo sopratutto se le misure vengono eseguite periodicamente e si assiste ad una progressiva variazione di composizione verso il vertice "magmatico"). La composizione dei gas delle fumarole del Nevado del Ruiz, prossime al polo magmatico nonostante la loro bassa temperatura, consenti', tre settimane prima dell'eruzione del 1985, di stabilire la condizione di elevata pericolosità del vulcano. Fig. 10. Diagramma triangolare che illustra le concentrazioni relatiive di zolfo, cloro ed anidride carbonica nei gas fumarolici di vari vulcani. La freccia indica la direzione di avvicinamento al "polo" magmatico. Si noti come la composizione dei gas del Nevado del Ruiz (Colombia), nonostante la bassa temperatura (85.5°C), era molto vicina alle composizioni magmatiche tipiche di vulcani in attività semipersistente (Erta 'Ale, Ngauruhoe) (la misura è sttata eseguita tre settimane prima dell'eruzione del 1985). Ridisegnato e modificato da Barberi et al., 1989 Previsione delle eruzioni I primi successi nella previsione delle eruzioni sono venuti dalla sorveglianza continua dei vulcani di Hawaii mediante reti sismiche e tiltmetriche. I fenomeni osservati sul vulcano Kilauea (lento sollevamento dell'area sommitale accompagnato da sismi ad alta frequenza fino all'eruzione e successiva rapido abbassamento durante l'eruzione con sismicità a bassa frequenza) sono spiegabili con la presenza di una camera magmatica superficiale ripetutamente alimentata e svuotata. Al Kilauea i fenomeni precursori di un'eruzione non sono distinguibili da quelli di un'intrusione superficiale senza eruzione. Nel periodo 1959-1980 sarebbero avvenute 46 intrusioni di magma, 21 senza eruzione e 25 con eruzione. Il tempo che intercorre tra l'apparire di fenomeni precursori inequivocabili e l'inizio dell'eruzione è molto breve (al massimo qualche giorno, spesso poche ore). 11 Fig.11. Esempi di precursori geofisici di un vulcano in attività semipersistente e condotto aperto, il Kilauea (isole Hawaii). Sopra: Variazioni nel tempo della pendenza (tilt) dei fianchi del vulcano (in microradianti) registrate nell'area sommitale del vulcano. L'andamento ricorrente è caratterizzato da un graduale sollevamento (inflation) seguita da un brusco abbassamento (deflation) in coincidenza dell'evento effusivo (freccie verso l'alto) o intrusivo (freccie verso il basso). Kilauea Iki, Mauna Ulu e Pu'u 'Òo sono le tre bocche a piu' riprese attivatesi nell'intervallo di tempo considerato. Sotto: dettaglio di sei mesi di attività del Pu'u 'Òo che mostra come l'alternanza espansione-contrazione/eruzione tipico delle eruzioni maggiori si ripeta, a scala minore, anche nel caso anche nel caso dei ricorrenti episodi di fontana di lava ('episodi eruttivi"). È ben evidente anche la distribuzione temporale della sismicità, con sismi a bassa frequenza (scala di sinistra) che accompagnano e seguono l'eruzione, e sismi ad alta frequenza (scala di destra) che la precedono. Ridisegnato e modificato daTilling et al., 1987. Fenomeni simili sono stati osservati anche in altri vulcani caratterizzati da condizioni di condotto aperto e frequenti eruzioni laviche (Etna, Sakurajima, Piton de la Fournaise).. Anche nel caso dell'attività esplosiva i successi riportati nella previsione sono quasi tutti basati sulla ripetitività di un determinato fenomeno, che ha consentito di ricavare una legge empirica di funzionamento del vulcano studiato: numero dei terremoti nei 5 giorni precedenti l’eruzione (Asama), ripetuti processi di espansione-contrazione (Usu, Sakurajima). I vulcanologi del Servizio Geologico Americano sono stati capaci di predire tutte le eruzioni del St Helens successive all'evento catastrofico del 18 Maggio 1980 e alla prima eruzione "minore" avvenuta una settimana dopo. Si è trattato di brevi eruzioni esplosive di piccola-media energia con colonne sostenute alte 10-20 km, caduta di piroclastiti e scorrimento di colate piroclastiche, chiuse dall’emissione di lave viscose a formare un duomo lavico). 12 Fig.12. Le eruzioni del vulcano St. Helens (USA) successive alla grande eruzione del 18 Maggio 1980 sono state previste sulla base di un complesso sistema di monitoraggio comprendente reti sismiche, clinometriche, distanziometriche, altimetriche, nonchè misure in continuo dell'emissione di anidride solforosa (sulfur dioxide). Nell'esempio sono mostrati i precursori dell'eruzione del 19 Marzo 1983; le tre barre rosse in alto a destra ("finestre di previsione dell'eruzione") mostrano l'approssimazione progressivamente ridotta nella successione delle previsioni. Ridisegnato da dati dell'USGS Fig.13. La contrazione cumulativa (in m) misurata da una rete di caposaldi distanziometrici posti tra una piccola faglia ed il fianco occidentale del duomo lavico in crescita nel cratere del St. Helens è stata usata con successo come precursore principale delle eruzioni verificatesi dopo il 1980. Le frecce verticali gialle indicano l'eruzione, le barre azzurre la finestra di previsione. Ridisegnato da Swanson et al., 1983. Esse sono state precedute da diversi fenomeni precursori: aumento dell'energia sismica, espansione del duomo lavico, sollevamento del suolo, aumento dell'emissione di anidride solforosa. Il controllo delle deformazioni del suolo è stato però il metodo che ha consentito le previsioni piu' accurate. La qualità della previsione è migliorata con l'esperienza: le prime 13 eruzioni dopo il Giugno 1980 sono state infatti previste con anticipo molto breve (da poche decine di minuti a poche ore), mentre le 13 sette eruzioni successive sono state previste con anticipo variabile da tre giorni a tre settimane. Non ci sono stati casi di falso allarme: tutte le eruzioni preannunciate si sono effettivamente verificate. I successi ottenuti nella previsione delle eruzioni esplosive del St. Helens non devono indurre a eccessivo ottimismo sulla capacità di previsione delle eruzioni di vulcani in condizioni di condotto ostruito e da lungo tempo quiescenti. Un vulcano di questo tipo per il quale la previsione ha avuto comunque successo è il Pinatubo, nelle Filippine, che nel Giugno 1991 rientrò violentemente in attività dopo un riposo di circa 450 anni. Il 2 Aprile del 1991 si verificò una modesta esplosione freatica al cratere, con emissione di cenere e vapore. Il vulcano in quel momento non era dotato di alcun sistema di monitoraggio. In brevissiomo tempo l'Istituto di Vulcanologia e Sismologia delle Filippine (PHIVOLCS) in collaborazione con l'USGS degli Stati Uniti installarono una rete di sismografi e successivamente cominciarono a raccogliere dati sul contenuto in anidride solforosa del pennacchio di vapore emesso dalla zona craterica. Nessun altro tipo di sorveglianza strumentale fu organicamente approntato. Fig.14. Una “grande, grigia nube eruttiva a forma di fungo” e alta 20 km si alza dal vulcano nella mattina di mercoledi’ 12 Giugno. Cenere e pomici ricadono su vaste aree sottovento e colate piroclastiche scendono lungo le valli. http://pubs.usgs.gov/pinatubo/ La brusca diminuzione dell'emissione di SO2 del 5 Giugno fu interpretata come evidenza della presenza di magma molto prossimo alla superficie (in grado di ostruire i canali di degassamento fino ad allora seguiti). Il 6 Giugno fu deciso di innalzare il livello di allarme ["eruzione possibile entro due settimane]. Il fortissimo aumento della sismicità a bassa frequenza registrato il 7 Giugno fu invece l'elemento che suggeri' di passare (8 Giugno) al livello successivo ["eruzione possibile entro 24 ore"]. L'apparizione del tremore e lo scorrimento della prima colata piroclastica portarono PHIVOLCS a dichiarare l'"eruzione in corso" il 9 Giugno alle 15.15, e ad estendere l'area di evacuazione ad un raggio di 20 km intorno alla zona craterica. Come schematicamente descritto nella tabella F0507161 il provvedimento fu quanto mai opportuno perchè il vulcano incrementò progressivamente la violenza dei suoi fenomeni raggiungendo il suo massimo il 15 Giugno, con nove ore di esplosioni quasi ininterrotte, una colonna eruttiva oscillante in altezza, con punte massime fino a 40 km, ed il semicontinuo scorrimento di veloci colate piroclastiche capaci di arrivare fino a 18 km dal cratere. Secondo stime ufficiali (che, per alcuni versi sembrano contraddittorie o decisamente sopradimensionate), le vittime furono 847 (+23 dispersi), delle quali 310 dovute ai fenomeni eruttivi (essenzialmente il crollo delle coperture e le colate di fango) e 537 alle malattie epidemiche diffusesi 14 nei centri di raccolta; il 94% di questi decessi ha riguardato la comunità degli Aeta, indigeni seminomadi che abitavano le pendici piu' alte del vulcano. Circa 1.200.000 persone hanno subito un qualche danno dall'eruzione, e piu' di 40.000 abitazioni, 4500 aule scolastiche e 98 ospedali e centri medici sono stati totalmente distrutti. Circa 1300 km2 di territorio agrigolo o forestato sono stati censiti come devastati. Per circa 184.000 persone (130.000 dei quali Aeta) si è posto il problema di un reinsediamento permanente. Fig.15. Nel corso della fase piu’ violenta dell’eruzione, il 15 Giugno, gigantesche colate piroclastiche si formano a seguito del ripetuto collasso della colonna eruttiva http://eos.pgd.hawaii.edu/ppages/pinatubo/2.eruption/index.html Fig.16. Cronologia degli eventi esplosivi verificatisi tra il 12 e il 15 Giugno, determinata sulla base di osservazioni dirette, immagini radar e dati sismici. Le barre verticali corrispondono a singole, brevi eruzioni, ciascuna associata a una colonna eruttiva. Le barre intere e con freccia si riferiscono a eventi per i quali l’altezza della colonna è fornita da dati ardar. Le aree in grigio raffigurano l’emissione continua di tefra.. Ridisegnata e modificata da http://pubs.usgs.gov/ Non vi è dubbio che il successo ottenuto dai vulcanologi filippini e statunitensi debba essere considerato rimarchevole. Ma non vi è neppure dubbio che esso non deve indurre troppo all'ottimismo sulla prevedibilità delle grandi eruzioni esplosive (la magnitudo dell'eruzione del Pinatubo è confrontabile con quella dell'eruzione pliniana del 79 d.C. del Vesuvio, che però ebbe una dinamica assai differente) che si verificano dopo lunghissimi periodi di riposo. Vi è innanzi tutto da sottolineare come l'evoluzione dei fenomeni sia stata molto "linearè, con un progressivo parallelo aumento dei segnali strumentali e dell'attività direttamente osservabile. Nella sostanza delle cose il Pinatubo ha cominciato a dare chiari segni di risveglio fin da Aprile (ma se ci fosse stata una qualche rete di monitoraggio probabilmente si sarebbe avuto qualche segnale anche in precedenza), ed al 15 momento in cui veniva dichiarata la possibilità di un'eruzione entro 24 ore (8 Giugno), di fatto l'eruzione stessa era già cominciata con l'emergenza di un duomo lavico, accompagnata da ripetute esplosioni ed emissione Fig.17. L’eruzione del 15 Giugno 1991 del Pinatubo è stata la seconda piu’ grande eruzione del ventesimo secolo. La distribuzione dei depositi di colata piroclastica e di lahar è mostrata nella figura insieme al’andamento della nube eruttiva nel corso del 15 Giugno. Leggermente modificato da: http://geology.wr.usgs.gov/ di cenere. Il tutto con una gradualità nell'aumentare dell'intensità dei fenomeni quasi "ideale" per coloro che avevano la responsabilità della previsione e della gestione dell'emergenza. Dal momento dell'inizio dell'emergenza nessuna regressione o pausa nella progressione dei fenomeni premonitori è stata osservata. Ciò ha fatto si' che nessun falso allarme sia stato lanciato, con conseguente assenza di ripercussioni negative sulla fiducia nel sistema di monitoraggio e sulla capacità di saperne interpretare i segnali, sia per i responsabili della definizione dei livelli di allerta che per la popolazione. Altri elementi favorevoli per il successo degli interventi di protezione civile nel corso dell'emergenza Pinatubo, sono stati la bassa densità di popolazione e la primitività delle infrastrutture urbanistiche e socio-economiche dell'area maggiormente esposta al pericolo. Ciò ha permesso alle autorità di procedere all'evacuazione solo al momento in cui è stato dichiarato il livello di allarme 4 ("eruzione possibile entro 24 ore" - 7 Giugno, ore 18.30) e di riuscire ad evacuare effettivamente tutta l'area prevista (compresa in un raggio di 20 km dalla zona craterica) entro la sera dell'11 Giugno, prima dell'inizio della fase piu' violenta dell'eruzione (ma ben dopo la proclamazione del livello di allarme 5, "eruzione in atto" - 9 Giugno, ore 15.15). 16 Tab. 2. Cronologia dei precursori e degli eventi eruttivi dell'eruzione del Pinatubo (Filippine) del 1991. Informazioni e dati di Phivolcs e USGS 2 Aprile - esplosione freatica; cenere e vapore 5 Aprile installati primi sismografi sismi ad alta frequenza (30180 5 Aprile Livello di allarme 1 "magmatic, tectonic or eventi/g) fino al 6.Giugno. hydrothermal disturbance" 13 Maggio prima misura COSPEC emissione SO2= 500 tonn/g 16 Maggio Livello di allarme 2 "probable magmatic intrusion could lead to eruption" 3 Giugno 3-4 Giugno 4-6 Giugno 6 Giugno 07.30-08.00 7 Giugno mattino 7 Giugno 18.30 8 Giugno 9 Giugno 9 Giugno 9-12 Giugno 12 Giugno 15.25 0.500 ca. 06.00-14.50 14.55 15.15 mattino 13 Giugno 22.52-23.05 08.41 14 Giugno 13.09 13.53-14.08 15.20 15 Giugno 18.53 22.18 23.21 01.15 02.57 05.17-09.00 10.27 11.17-13.42 15 Giugno - prima eiezione di cenere - frequenti e brevi eiezioni di cenere - calma Livello di allarme 3 "eruption possible within 2 weeks" - calma emissione SO2= 800 tonn/g dal 20 al 28.5 emissione SO2 =2000 tonn/g; 5000 tonn/g fino al 4.6; SO2= 260 tonn/g il 5.6 - 1500-2000 sismi ad alta frequenz Livello di allarme 4 "eruption possible within 24 hrs" - emergenza duomo; emissione vapore - eiezione di cenere - semicontinua emissione di ceneri; nubi basse di vapore - prima colata piroclastica Livello di Allarme 5 "eruption in progress" - numerose colate piroclastiche (4-5 km percorsi) - 3 esplosioni "maggiori' (piu' violenta alle 08.51). Colonna sostenuta di 20 km. Lapilli e ceneri di caduta. Colate piroclastiche. - altra serie di forti esplosioni. Colonna di 25 km. - altra violenta esplosione. Colonna sostenuta, caduta di cenere - grossa esplosione - colonna di 25 km, caduta di ceneri - esplosioni intermittenti piu' piccole - grossa esplosione - colonna di 30 km. caduta di cenere - esplosione minore - esplosione minore - esplosione minore - esplosioni accompagnate da colate piroclast. verso SE (velocità di 70-80 km/ora) - sette esplosioni ad intervalli compresi tra 7 e 79 min; colonne fino a 25 km e larghe alla base 15-18 km. Colate piroclast. a 16 km dalla bocca - grossa esplosione - colonna di 40 km - 5 grosse esplosioni succedutesi quasi senza soluzione di continuità. Altezza non rilevabile per visibilità zero. caduta di pomicie cenere. danger zone raggio 10 km "prepararsi all'evacuazioe" danger zone raggio 20 km "evacuare" - sismi a bassa frequenza; - tremore discontinuo -tremore continuo fino circa al 20 Giugno tarda mattina 11 Giugno: evacuazione completata danger zone raggio 40 km 15/16 Giu. 18 Giugno - altre esplosioni non registrate con precisione 17.6- 20.7 21.7-3.9 4 Settembre 4 Settembre - esplosioni minori ad una media di 3 per giorno - esplosioni minori ad una media di 2 per giorno - ultima esplosione minore registrata Livello di allarme 3 attività sismica in riduzione danger zone raggio 20 km danger zone raggio 10 km 17 Campi Flegrei 1982-84 - Non sempre il comportamento di un vulcano quiescente da lungo tempo ha la linearità mostrata dal Pinatubo. I Campi Flegrei sono una complessa struttura vulcanica costituita da una grande caldera, formatasi circa 35.000 anni fa in seguito ad una gigantesca eruzione esplosiva (probabilmente piu' di 100 km3 di magma emesso), all'interno della quale si è successivamente sviluppata una lunga storia di sollevamenti, eruzioni esplosive e collassi. Anche se quiescenti dal 1538, quando l'ultima eruzione portò alla nascita del Monte Nuovo, i Campi Flegrei rappresentano certamente un'area di vulcanismo attivo, con manifestazioni termali intense ed evidenti, frequenti terremoti e lenti movimenti verticali del suolo ("bradisismi"). Circa 400.000 persone vivono all'interno della caldera flegrea, la cui porzione orientale è occupata dai quartieri occidentali di Napoli ed al cui centro si trova la città di Pozzuoli (72.000 abitanti). L'ultima crisis bradiisimica è durata dall'estate 1982 alla fine del 1984; in questo periodo si è avuto un vistoso sollevamento del suolo a forma pressochè perfettamente conica, con vertice su Pozzuoli ed altezza di 185 cm. Questo sollevamento è stato accompagnato da cambi nella composizione chimica dei gas fumarolici della Solfatara (un cratere formatosi circa 4.000 anni fa nei pressi di Pozzuoli), da diminuzione dell'accelerazione di gravità e da forte sismicità superficiale, in crescita all'aumentare del sollevamento. I precursori "classici" di un'eruzione c'erano tutti (compresi due violentissimi "sciami" sismici) e nell'Ottobre 1993 furono evacuate circa 40.000 persone dal rione "Terra" di Pozzuoli, essenzialmente per lo stato delle abitazioni, giudicate sismicamente insicure. La situazione pareva dovesse quindi sfociare in un'eruzione in tempi relativamente rapidi. Ma cosi', finora, non è stato. Dal gennaio 1985, infatti, il suolo ha smesso di sollevarsi ed il bradisisma si è invertito (con un lento abbassamento che si è arrestato intorno al 1990 lasciando una deformazione positiva residua di piu' di un metro), la sismicità è praticamente cessata, e le anomalie geochimiche sono rientrate. Ma certamente l'attenzione non può essere allentata. I Campi Flegrei continuano a rappresentare un'area ad altissimo rischio, ed il confronto tra le esperienze del Pinatubo nel 1991 e dei Campi Flegrei nel 1982-84 (e 1970-72) mostra che l'avvicinamento all'eruzione segue strade che possono essere molto diverse da vulcano a vulcano. La pericolistà vulcanica Diversi sono i fenomeni vulcanici pericolosi come diversi sono i pericoli associati a ciascun fenomeno: la caduta di piroclastiti; le colate di lava; i flussi piroclastici; le colate di fango; i gas vulcanici; le nubi eruttive. 18 Fig. 18 - I diversi fenomeni vulcanici capaci di generare danni a cose e persone. Nel caso di frane e lahar non è necessario che il vulcano sia in attività. Dal sito dell’USGS: http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/What/hazards.html Ricaduta di piroclastiti - Un’eruzione esplosiva scaglia nell’atmosfera frammenti di roccia solida e di magma fuso insieme a gas vulcanici con forza che può essere tremenda. I frammenti piu’ grossi (bombe e blocchi) di norma ricadono lungo traiettorie balistiche a distanze non superiori ai 2-3 km dalla bocca. I frammenti piu’piccoli, ceneri e lapilli, vengono trascinati in alto e formano imponenti colonne eruttive che possono facilmente superare i 20 km di altezza. Fig. 19 - Il peso delle ceneri cadute nel corso dell’eruzione del Pinatubo (Filippine) del 1991 ha provocato la “seduta” sulla cda di questo DC10. La nube eruttiva dell’eruzione dette luogo complessivamente a undici emergenze in volo, con rottura dei motori in tre casi. Foto scattata da R.L. Rieger, U.S. Navy il 17 Giugno del 1991. Tratta dal sito: http://nndc3.ngdc.noaa.gov/cgibin/wt/nndcp 3 I pericoli principali sono legati all'impatto diretto ed al carico statico sulle coperture degli edifici che può portare al loro collasso. Le linee elettriche e telefoniche possono essere danneggiate e distrutte. La copertura sotto la cenere dei terreni agricoli può danneggiare significativamente i raccolti e può avere effetti letali, se ingerita, per il bestiame al pascolo. La dispersione di cenere nell'atmosfera può ridurre o azzerare la visibilità creando problemi al traffico aereo e terrestre, mentre la dispersione di gas vulcanici nella stratosfera può schermare la radiazione solare e produrre abbassamenti significativi della temperatura media terrestre. I sistemi fognari possono essere intasati, ed i serbatoi d'acqua non protetti possono essere contaminati. Pochi centimetri di copertura sul manto stradale possono provocare problemi seri al traffico. 10 Fig. 20 - Visibilità ridotta a causa della caduta di cenere nel corso dell’eruzione del Galunggung (Giava) nell’agosto del 1982. Da Volcanic Emergency Management. UNDRO, United Nations, 1985 Fig. 21 - Una casa nel villaggio di Heimaey (Islanda) sepolta sotto i lapilli emessi nel corso dell’eruzione dell’Eldfell del 1973. Nota che il tetto è intatto grazie alla sua forte pendenza. Da Volcanic Emergency Management. UNDRO, United Nations, 1985 Colate di lava - Anche se una colata eccezionalmente veloce (30-100 km/ora) del Nyiragongo, Zaire, nel 1977 uccise circa 300 persone, le colate di lava raramente rappresentano una minaccia per la vita umana. Esse infatti si muovono molto lentamente (da pochi cm a pochi m all’ora). Nel loro scorrimento, tuttavia, le colate di lava distruggono tutto quanto incontrato e, in questo caso, la pericolosità non è graduabile: la distruzione è totale o, praticamente, nulla. Fig. 22 - Un vecchio schizzo mostrante la Etna e Catania durante l’eruzione del 1669. Si vede sul fondo (verso NNO) la sommità fumante dell’Etna mentre una colonna eruttiva si alza a basse quote da una bocca sul fianco Sude del vulcano (Monti Rossi). Le lave distrussero alcuni paesi e arrecarono seri danni a Catania. Tratta dal sito: http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_erupt1.html Fig. 23 - Riproduzione di un affresco nella cattedrale di Catania mostrante le lave dell’eruzione dell’Etna del 1969. Si noti al centro in basso della pittura l’alta torre della Cattedrale medievale che fu distrutta dal terremoto del 1693 insieme a gran parte della città. Il Castello Ursino (che si vede in basso a sinistra circondato dalla lava) è sopravvissuto tanto all’eruzione che al terremoto. Tratta dal sito: http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_erupt1.html 19 Fig24 - Il 7 Novembre 1928 la lava dell’Etna invade la cittadina di Mascali e lentamente la divora: non un solo edificio rimarrà in piedi. Foto di ignoto tratta dal sito: http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_1928.html Fig. 25 - Improvvise esplosioni di metano si verificano con una certa frequenza nelle vicinanze di colate laviche. Il metano, generato al momento in cui la vegetazione viene sepolta dalla lava, si sposta nel sottosuolo attraverso pori e fratture e riempie cavità sotterranee. Nella foto una nube di cenere scura risale a seguito di una grossa esplosione di metano al fianco del fronte di una lenta colata del Mauna Loa (Hawaii). Tratta dal sito: http://volcanoes.usgs.gov/Products/Pglossary/methane.html Colate e dei surges piroclastici - 20 Fig. 26 - L’eruzione del vulcano St. Helens del 18 Maggio 1980 fu caratterizzata nelle sua fasi iniziali da una serie di violente esplosioni che dettero luogo a un surge (il cosiddetto ‘lateral blast”) che devastò un’area di 600 km2, trinciando come fossero fili d’erba tronchi del diametro di due metri, raggiungendo distanze superiori ai 25 km dalla bocca. Al diminuire della velocità e della temperatura del surge, sul bordo esterno dell’area devastata, gli alberi rimasero in piedi, ma le loro foglie vennero bruciate o seccate dal calore del surge. Questa “zona disseccata” è visibile sullo sfondo della foto, in transizione alla copertura boschiva ancora verde. Foto di L.Topinka il 4 Maggio 1981 tratta dal sito: http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/Effects/MSHsurge_effects.html Le aree investite dai flussi piroclastici vengono totalmente devastate: queste valanghe ad alta velocità (>80 km) di cenere, frammenti di roccia e gas caldi abbattono, frantumano, seppelliscono o trascinano via qualunque ostacolo si frapponga al loro cammino. Le elevate temperature della nube (sopra i 200 e fino a 700°) possono bruciare il materiale combustibile (legno e carburanti), la vegetazione, le case. Fig. 27 - Nel 1902 la cittadina di Saint Pierre, in Martinica, fu rasa al suolo da un surge piroclastico emesso dal vulcano La Pelee, visibile sullo sfondo della foto. I morti furono quasi 30.000. Da Lacroix A., 1904: La Montaigne Pelee et ses eruptions. Masson et C.ie, Paris. Benchè la variabilità dei flussi piroclastici sia molto alta in termini di dimensioni, velocità, densità, temperatura e distanza percorsa, anche i flussi piu’ piccoli, meno caldi, meno densi e meno veloci hanno capacità distruttiva totale sulle aree direttamente investite. Danni importanti a cose e persone 21 sono anche attendibili ai margini delle aree colpite a causa delle alte temperature e dei gas. Le colate piroclastiche (a densità maggiore) tendono in genere a scorrere sui fondovalle, lasciando depositi anche imponenti. I flussi a concentrazione bassa di particelle (surges) seguono invece percorsi scarsamente condizionati dalla morfologia e lasciano depositi spesso molto sottili. La rimobilizzazione da parte delle acqua meteoriche dei depositi lasciati dalle colate piroclastiche induce la formazione di lahar per tempi anche lunghi dopo l’eruzione. Lahar possono anche essere generati direttamente dai flussi piroclastici che erodono, fondono e si mischiano con ghiaccio e neve. Fig. 28 - Una colate piroclastica scende dal vulcano Galunggung, Indonesia durante l’eruzione del Giugno 1982. Foto di John Dvorak, U.S. Geological Survey, tratta dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/southeast_asia/indonesia/pyro.html Fig. 29 - Eruzione del vulcano Unzen, Giappone. Il fronte espanso di una colata piroclastica raggiunge la periferia settentrionale di Shimabara nel primo mattino del 24 Giugno 1993. Foto del Nagasaki Photo Service Co., Ltd., tratta dal sito: http://hakone.eri.utokyo.ac.jp/kazan/unzenp.html Colate di fango e colate o frane di detriti (lahars, debris avalanches, debris flows) - “Lahar” è una parola indonesiana che descrive una miscela di acqua e frammenti di roccia che fluisce lungo i fianchi di una montagna e che, nella letteratura internazionale, ha assunto un significato ampio includendo praticamente ogni tipo di flusso fangoso (flusso fluviale diluito, colata di detrito, flusso iperconcentrato, ecc.) che trasporta materiale solido di natura vulcanica. Si tratta di flussi in cui il fango è, dal punto di vista dinamico anche se non volumetrico (ne basta un decimo del volume totale), la 22 componente dominante della dispersione. Nei flussi piu’ eterogenei (colate di detrito) il fango ha un doppio ruolo: di supporto per i frammenti grossolani e di smorzamento degli attriti; in tal modo la competenza della colata è tale che possono essere trasportati blocchi di 1 m di diametro anche per velocità di soli 50 cm/sec. Le dimensioni dei lahar e la loro velocità possono variare entro limiti molto ampi: i lahar piu’ grandi possono avere ampiezza di centinaia di metri, spessore di decine di metri e velocità di decine di km/ora. Nella parte superiore dei lahar tutti i punti si muovono alla stessa velocità: si forma perciò una sorta di strato superficiale, detto tappo rigido, che si muove indeformato, quasi galleggiante, sulla massa sottostante. Il suo spessore è funzione diretta della coesione del fango, inversa della densità e del gradiente topografico: diminuendo quest'ultimo il tappo si inspessisce verso il basso fino ad occupare l'intero spessore del flusso. A questo punto aumenta l'attrito col fondo, la colata frena e si blocca; i materiali restano cosi' "congelati" nella giacitura e nella posizione che occupavano durante il movimento, giacitura e posizione che sono tipicamente casuali e disordinate. Rispetto alle modalità di formazione, i lahar sono riferibili a tre categorie: (1) - Quelli che sono il risultato diretto ed immediato di eruzioni: eruzioni attraverso laghi, coperture nevose o ghiacciai; grandi piogge che cadono immediatamente dopo o durante un'eruzione; scorrimento di colate piroclastiche entro corsi d'acqua. (2) - Quelli che sono indirettamente legati ad un'eruzione o che avvengono poco dopo un'eruzione: innesco della formazione del lahar causato da un terremoto o dalle deformazioni del vulcano che possono causare il rapido svuotamento di un lago o la formazione di valanghe di detrito sciolto e di rocce alterate. (3) - Quelli che non sono connessi in alcun modo ad un'attività vulcanica contemporanea: mobilitazione di tefra sciolti da parte di piogge torrentizie o di acque di fusione dei ghiaccia; collasso di versanti instabili (in particolare se costituiti da rocce alterate ricche in minerali argillosi e inzuppate di acqua). Il tipo piu' comune di lahar si forma probabilmente negli stati finali di un'eruzione quando grandi quantità di piroclastiti deposte sui fianchi del vulcano si imbevono di acqua per le abbondanti piogge che comunemente accompagnano le eruzioni esplosive. Benchè massima durante le eruzioni, la probabilità della formazione di colate di fango deve essere comunque considerata permanente nelle aree perivulcaniche coperte da depositi piroclastici sciolti: nelle zone tropicali tifoni e piogge monsoniche prolungano infatti il pericolo per diversi anni dopo l’eruzione fino alla pressochè completa rimozione dei depositi vulcanici. Lahar innescati da piogge: il Pinatubo (Filippine). Fig.30 - I depositi delle colate piroclastiche dell’eruzione del Giugno 1991 hanno profondamente cambiato la morfologia del vulcano Pinatubo nelle Filippine andando a riempire tutte le valli fluviali fino a distanza di 10-15 km dalla bocca (aree chiare nella foto). Con pioggie di 2-4 metri annui, concentrate nella stagione dei monsoni (Giugno-Ottobre) migliaia di lahar si sono originati da questi depositi.tratto dal sito http://volcanoes.usgs.gov 23 Fig. 31 - Nell’estate del 1991 si contavano da tre a cinque lahars al giorno che sovraccaricavano la rete fluviale eprovocavano continue esondazioni.Tratto dal sito: http://volcanoes.usgs.gov Fig. 32: I danni sono stati enormi. Nei primi cinque anni successivi all’eruzione ci sono state 100.000 persone costrette all’evacuazione ogni anno; 120.000 ettari di territorio sono stati coperti da piu’ di un metro di sedimento e forse un milione di ettari è stato colpito da inondazioni http://volcanoes.usgs.gov Lahar innescati da neve e ghiaccio fusi: il Nevado del Ruiz (Colombia). Fig.33 - Il 13 Novembre 1985 una modesta eruzione esplosiva del Nevado del Ruiz in Colombia generò una colonna eruttiva e una serie di colate piroclastiche che ricoprirono il ghiacciao posto sulla cima del vulcano. Nella foto i depositi vulcanici scuri sono ricoperti da neve fresca caduta successivamente all’eruzione. I frammenti di roccia calda fondono, erodono e si mescolano con ghiaccio e neve formando canali larghi e profondi. Si calcola che circa il 10% della coltre ghiacciata venne complessivamente fusa. La miscela di acqua, ghiaccio, pomici, cenere e frammenti di roccia si rovesciò dalla cima e dai fianchi del vulcano nelle valli fluviali. foto di T. Pierson scattata il 26 Novembrre del 1985 24 Fig.34 - I lahar relativamente piccoli formatisi alla sommità del vulcano nello scendere per diversi km lungo i fianchi del Ruiz erosero i fondo valle, presero il carico il materiale sciolto e si accrebbero sempre di piu’. Qui siamo alle sorgenti del fiume Guali’ nella parte settentrionale del Ruiz e si vedono i diversi percorsi iniziali attraverso i quali i lahar scendono a valle. foto di N. Banks scattata il 18 Dicembre del 1985 Fig.35 - I lahars scendono a 60 km/ora lungo il corso del Guali’, erodendo e inglobando tutto quanto incontrato, acqua, suolo, alberi, rocce. Nella discesa a valle, alcuni lahar aumentano di 4 volte il loro volume iniziale. In valli strette come quelle del Guali’, i lahar raggiungono 50 metri di spessore Foto di R. Janda scattata il 18 Dicembre 1985. Fig.36 -I paesi e le case situate a quote abbastanza alte rispetto al letto del fiume percorso dal lahar scampano alla distruzione. Foto di R. Janda scattata il 26 Dicembre1985 Fig. 37 - Quattro ore dopo l’inizio dell’eruzione i lahars hanno percorso oltre 100 km lasciando dietro solo morte e distruzione. La zona piu’ colpita è quella occupata dalla città di Armero situata allo sbocco del canyon del Rio Lagunillas e che era al centro di questa foto. Tre quarti dei 28.700 abitanti morirono. Foto di J. Marso della fine Novembre 1985. http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/What/Lahars/RuizLahars.ht ml 25 I gas vulcanici. Tutti i magmi contengono rilevanti quantità di gas disciolti che vengono liberati sia nel corso delle eruzioni che in periodi di apparente quiescenza. I gas vulcanici sono costituiti , oltre che da acqua, da CO, CO2 e vari composti dello Zolfo, del Cloro, del Fluoro, dell'Idrogeno e dell'Azoto. Il monossido di Carbonio (CO) è tossico anche per piccole concentrazioni ed è pericoloso perchè inodoro. Anche l'anidride carbonica (CO2) è inodora e, in concentrazioni superiori al 3-4%, diventa estremamente pericolosa in quanto può provocare asfissia senza sintomi premonitori; essendo piu' pesante dell'aria, essa tende a fluire e concentrarsi nelle zone morfologicamente depresse. Alcune eruzioni freatiche (Dieng, Filippine, nel 1979; Lago Nyos, Camerun, nel 1986) sono state accompagnate da emissione di gas(sopratutto CO2) particolarmente intensa: tali gas, fluendo rapidamente verso valle, hanno provocato la morte di molte centinaia di persone ignare del pericolo che stava sopraggiungendo. L'anidride solforica (SO3) e l'anidride solforosa (SO2) sono tossici ma generalmente avvertibili prima di raggiungere concentrazioni pericolose a causa del loro odore intenso ed irritante. La reazione con goccioline di acqua nell’atmosfera può indurre piogge acide. L'acido solfidrico (H2S) è ben riconoscibile in piccole concentrazioni per il tipico odore di uova marce; a concentrazioni elevate esso diventa però pressochè inodore ed è pericoloso in quanto tossico per le vie respiratorie. Azoto ed Idrogeno si combinano a dare ammoniaca (NH3) che è tossica, ma in genere reagisce rapidamente con gas acidi (HCl, HF, ecc.) a dare composti innocui. Il Fluoro, che in alte concentrazioni è tossico, può essere assorbito nella cenere vulcanica che cade al suolo e può contaminare gravemente i pascoli e le falde acquifere. L’iniezione in stratosfera di goccioline minutissime di composti acidi originati per reazione dei gas vulcanici con acqua può avere conseguenze avvertibili sul clima: gli acidi formano infatti un aerosol capace di riflettere la radiazione solare e quindi di raffreddare la troposfera. L’effetto del raffreddamento si farà sentire in un periodo successivo all'eruzione variabile tra i due ed i sette anni. Fig. 38 - Immagine Landsat dei laghi Nyos e Monoum, in Camerun. Mappa elaborata da Sarah Sherman, Aprile 2000, in tratta dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/africa/nyos.html. 26 Il 26 Agosto del 1986 un enorme volume di anidride carbonica fu emesso dal Lago Nyos in Camerun e uccise circa 1700 persone. Due anni piu’ tardi un fenomeno simile si ripetè nel lago Monoum, sempre in Camerun, e 37 persone persero la vita. Il lago Nyos occupa un maar formatosi circa 400 anni fa nel corso di di un’eruzione probabilmente freatica. Il lago ha un diametro di circa 1800 e una profondità di 208 m. L’ipotesi piu’ seguita per spiegare il fenomeno implica la continua emissione di CO2 di origine magmatica sul fondo del lago e la progressiva saturazione in gas delle acque del lago, senza scambi sostanziali tra acque profonde e superficiali. A causa della pressione maggiore, le acque profonde contengono in soluzione molta piu’ CO2 delle acque superficiali. Un evento improvviso (terremoto, eruzione freatica, ?) anche modesto, capace di rovesciare la stratificazione del lago, avrebbe portato l’acqua profonda alla superficie e indotto la liberazione di enormi quantità di gas. Fig. 39 - bestiame ucciso per asfissia dalla nube uscita il 26 Agosto 1986 dal Lago Nyo. Da Dangerous Earth,Wiley & Sons, 1996. Fig. 40 - Il Lago Nyos, Camerun. Foto di Jack Lockwood, U.S. Geological Survey, tratta dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/africa/nyos.html. 27 Fig. 41 -Ricostruzione schematica della “eruzione gassosa” del Lago Nyos, Camerun, nel 1986. Da Dangerous Earth,Wiley & Sons, 1996 Le ceneri nell’atmosfera. Negli ultimi 15 ani piu’ di 80 voli commerciali hanno avuto problemi con la cenere vulcanica. In sette casi si è avuta perdita di energia dei motori in volo e l’incidente grave è stato evitato per pochissimo. I danni possibili per un’aeromobile che passa attraverso una nube eruttiva dipendono dalla concentrazione dei gas e delle particelle nella nube e dalla durata del transito e dalle azioni del pilota per uscirne. Fig. 42 - Nube eruttiva del vulcano Kliuchevskoi, nella penisola della Kamchatka, Russia, 1 Ottobre 1994 La colonna è alta circa 20 km. Allontanandosi dal vulcano la cenere che cade al suolo forma una densa cortina che costituisce una seria minaccia per le aeromobili. Questa nube si estendeva per piu’ di 800 km sotto vento e copriva un’area di 150.000 km2. I piloti che si vengono a trovare sottovento rispetto a una nube di questo tipo hanno gravi difficoltà a distinguere una nube eruttiva da una normale nube di vapore acqueo. L’individuazione della dispersione delle colonne eruttive è cruciale per la sicurezza del trafficoa ereo: la cenere può provocare l’arresto dei motori in meno di un minuto. Immagini dello Space Shuttle Endeavour (missione STS 68). Tratto da: http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/Effects/Ash+Aircraft.html 28 La cenere ingerita dai reattori ne riduce le prestazioni e può causarne il cedimento. Il vetro formatosi per fusione della cenere depostasi sulle parti calde del motore può infatti ostruire piu’ o meno parzialmente gli ugelli del carburante, rivestire le turbine e il bruciatore e ridurre cosi’ l’efficienza del mescolamento tra aria e carburante, con giri a vuoto, ritorni di fiamma e perdita di spinta. La cenere può anche abradere seriamente parti mobili del motore come il compressore o le lame della turbina. La cenere, costituita da frammenti di vetro e di rocce dure, è anche molto abrasiva e può facilmente danneggiare ogni superficie esterna (vetri della cabina di pilotaggio, le luci di atterraggio, i deflettori sulle ali, il timone di coda, il radar. Fig. 43 - Nel Pacifico settentrionale e nella Russia orientale i corridoi aerei passano sopra o nei pressi di piu’ di 100 vulcani potenzialmente attivi (triangoli rossi). Ogni anno si verificano in media 5 eruzioni le cui nubi si spostano in genere verso Est e Nordest. Cenere vulcanica è presente alla quota di 10.000 metri, usuale per gli aeroplani, in media 4 giorni all’anno. USGS Volcanic Ash-Danger to Aircraft in the North Pacific. Tratto dal sito: http://wrgis.wr.usgs.gov/fact-sheet/fs030-97/ La cenere, attraverso i motori e l’impianto di ventilazione, può facilmente entrare all’interno dell’aeroplano e, oltre che spndersi nella cabina, può provocare danni ai sistemi elettronici dell’apparecchio, compresi i generatori e gli strumenti di navigazione. Fig. 44 - Diverse volte nell’estate del 1992 nubi di cenere emesse dal vulcano Spurr, in Alaska, hanno ostacolato il traffico aereo attraversando gli Stati Uniti settentrionali e il Canada. La carta mostra i movimenti di una nube eruttiva tra il 16 e il 17 Settembre. David Schneider, Michigan Technological University.), tratto dal sito: http://www.geo.mtu.edu/ 29 Fig. 45- Foto dallo Shuttle nello spazio mostrante la nube eruttiva del vulcano Spurr che circonda il globo terrestre. Alaska Volcanological Observatory, USGS, tratto dal sito: http://www.avo.alaska.edu/avo3/volc/spurr/volcintro.htm Fig. 46 - La mattina del 19 Settembre 1994 i due coni vulcanici posti ai lati opposti della caldera di Rabaul (Papua, Nuova Guinea, entrarono in eruzione. Lo Space Shuttle Discovery prese la foto 24 ore dopo l’inizio dell’eruzione. Si vede il grande ombrello della colonna eruttiva spinto a ovest da venti stratosferici relativamente deboli. Alla base della colonna è visibile una nube leggermente piu’ scura, distribuita da venti piu’ bassi. Immagine presa dallo Space Shuttle Discover il 19-9-1994 (STS64-116-064). Dal sito: http://www.ssd.noaa.gov/VAAC/ Eruzioni freatiche - Le eruzioni freatiche sono fenomeni relativamente frequenti in tutti quegli apparati vulcanici in cui l'alternanza di strati permeabili ed impermeabili comporta l'esistenza di acquiferi confinati. In questi casi l'elevato flusso di calore comporta la possibilità che l'acqua di questi acquiferi abbia temperature prossime all'ebollizione. Un'esplosione di vapore sarà il risultato dell'aumento della temperatura del sistema fino a valori che comportino una pressione di vapore superiore alla pressione di carico (+ la resistenza tensile delle rocce della copertura). Esplosioni di questo tipo hanno in genere durata assai breve e comportano il violento rilascio di vapore surriscaldato e la proiezione balistica di blocchi e frammenti provenienti dalla copertura rocciosa. Le condizioni perchè avvenga un'eruzione freatica rappresentano stati transitori nell'assetto strutturale di 30 un edificio vulcanico: talora sono provocate da eventi sismici che inducono una fratturazione attraverso la quale acque piu' profonde e piu' calde possono risalire rapidamente in acquiferi subsuperficiali 31 destabilizzandoli; in altri casi l'alto flusso termico puo' comportare una intensa attivita' idrotermale con conseguente diffusa alterazione delle rocce; questa a sua volta puo' creare una copertura impermeabile che impedisce la perdita di calore per convezione e portare alle condizioni adatte al realizzarsi di esplosioni freatiche. Benche' generalmente modesti questi eventi possono essere assai pericolosi, vuoi perche' in genere improvvisi, poco prevedibili sia come ubicazione che come tempo, vuoi perche' non e' raro che le eruzioni freatiche rappresentino fenomeni di innesco di eruzioni magmatiche di dimensioni e pericolosita' assai maggiori. Gli effetti climatici delle eruzioni vulcaniche Vi e da tempo grande interesse e dibattito sul ruolo che le attivita’ umane inducono sul clima del pianeta attraverso sia l’uso dei combustibili fossili che la produzione di gas clorofluorocarbonici (CFC). Alcuni pensano che le l’uomo incida sulla nostra atmosfera molto di meno di quanto non facciano i processi naturali, per esempio le eruzioni vulcaniche. E’ quindi interessante capire il ruolo che l’attivita’ vulcanica svolge nell’influenzare il clima. Qualunque sia la provenienza, pare chiaro che i cambiamenti nella composizione dell’atmosfera terrestre possono avere tre effetti principali: i) variazioni nella quantita’ di ozono, ii) riscaldamento, iii) raffreddamento. ”Effetto Ozono”: L’intensa radiazione luminosa nella stratosfera (> 12km circa) produce ozono (O3) attraverso la scomposizione della molecola ossigeno (O2) in due atomi O, molto reattivi, che rapidamente si legano a molecole O2 a dare O3. L’Ozono assorbe la radiazione ultravioletta (UV) e, in questo processo, esso e’ scomposto di nuovo in una molecola e in un atomo di ossigeno. Questo processo continuo di produzione e di distruzione di ozono ha portato al raggiungimento di una concentrazione di ozono d’equilibrio nella stratosfera. Nella stratosfera al disopra dell’Antartide da alcuni anni e’ stato osservato un forte calo della concentrazione di Ozono (il “buco” dell’ozono) che normalmente viene attribuito alla enorme produzione di gas CFC. La diminuzione di Ozono nella stratosfera ha come risultato una maggior penetrazione dei raggi ultravioletti. Il pericolo connesso al fenomeno e’ legato alla capacita’ dei raggi UV di danneggiare il DNA delel cellule. Sembra che l’effetto Ozono non abbia alcuna influenza sulla temperatura. I Clorofuorocarburi (CFC, noti anche col nome industriale di Freon) sono una famiglia di composti chimici che si producono fin dagli anni ’30 in quanto alternativa non tossica e non infiammabile a sostanze, come l’ammoniaca, utilizzate per e loro proprietà refrigeranti e di propellenti . Negli anni il loro uso è cresciuto a dismisura e grandi quantità di CFC sono state immesse in atmosfera dove, in natura, è presente molto poco Cloro.. La radiazione ultravioletta negli alti strati dell’atmosfera rompe i legami molecolari dei CFC e libera Cl che, formando ClO + O2 per reazione con le molecole di O3, ha forte potere distruttivo sullo strato di ozonoSebbene le emissioni di CFC siano in sensibile diminuzione in conseguenza di accordi internazionali per la protezione dell’ambiente, i tempi di residenza in atmosfera dei CFC compresi tra 20 e 100 anni ci inducono a temere che i danni inferti allo strato di ozono continueranno per tutto il ventunesimo secolo. Unità Dobson - La figura mostra la colonna di aria che sovrasta un’area di 10° x 5 del Labrador°. Se la quantità totale di ozono presente in questa colonna venisse compressa a condizioni standard di temperatura e pressione (STP = 0°C e 1.0 atm), essa, sull’area considerata di area 10° x 5°, avrebbe uno spessore di circa 3 mm. Una Unità Dobson (DU) corrisponde allo spessore di 0,01 mm a STP; la quantità di ozono sopra il Labrador nell’esempio considerato è quindi 300 DU. 31 Fig.47- Il “buco” nello strato di Ozono al di sopra dell’emisfero meridionale il 26 settembre 2001 e 2002 (TOMS = total ozone mapping spectrmeters). tratto dal sito: www.cs.ruu.nl/wais/html/na-dir/ozone-depletion/.html Riscaldamento Globale (“Effetto Serra”): Alcuni gas (soprattutto anidride carbonica e vapor d’acqua, ma anche metano, N2O e CFC) permettono alle radiazioni solari con corta lunghezza d’onda (UV e visibile) di penetrare attraverso l’atmosfera e di raggiungere la superficie della Terra. Gli stesi gas assorbono le radiazioni a alta lunghezza (infrarosso IF) che dalla Terra si irradiano verso lo spazio. L’intrappolamento di questa energia termica infrarossa ha come risultato un riscaldamento globale. Un tale fenomeno e’ stato evidente fin dall’inizio della Rivoluzione Industriale e sembra essere principalmente legato ai gas di combustione. Fig. 48 - La stazione NOAA al Polo Sud ove vengono svolte ricerche e fatte misure sulla composizione dei gas atmosferici Raffreddamento Globale: Le particelle sospese in atmosfera (cenere, polvere, goccioline di acido) possono bloccare la luce del sole e ridurre cosi’ l’insolazione terrestre , abbassando la temperatura media del globo. La presenza di queste particelle spesso genera tramonti di un rosso eccezionale dovute alla diffusione nella stratosfera e nella troposfera superiore delle lunghezze d’onda del rosso da parte delle particelle. 31 Fig. 49 - Uno spettacolare tramonto rosso sul Pacifico. Le eruzioni vulcaniche possono avere contribuire a modificare la composizione dei gas atmosferici in modo e misura diversi. Influenza sull’effetto ozono: sebbene HCl sia un efficace distruttore di ozono e un comune componente dei gas vulcanici, gli ultimi studi hanno dimostrato che la gran parte dell’acido cloridrico di origine vulcanica non raggiunge la stratosfera e non ha quindi possibilita’ di reagire con l’ozono. D’altra parte misure effettuate nel 1991 dopo le eruzioni del Pinatubo (Filippine) e dell’Hudson (Cile) hanno rivelato un forte aumento della perdita di ozono. La spiegazione risiede nel fatto che le particelle o gli aerosols generati dall’eruzione e trasportati in stratosfera forniscono superfici sulle quali avvengono le reazioni chimiche. Le particelle vulcaniche, pur non avendo parte attiva nella distruzione dell’ozono operata dai CFC, la favoriscono. Fortunatamente, al massimo in 2-3 anni, le ceneri vulcaniche ricadono sulla superficie terrestre dando quindi vita breve al loroo contributo alla distruzione dell’ozono. Influenza sull’effetto serra: le eruzioni vulcaniche possono contribuire al riscaldamento globale attraverso l’emissione di CO2. Tuttavia la quantita’ di questo gas prodotta annualmente dalle attivita’ dell’uomo e’ in media 100 volte maggiore del contributo medio dei vulcani (10 miliardi contro 100 milioni di tonnellate). Il piccolo contributo vulcanico al riscaldamento globale e’ comunque totalmente annullato e sovracompensato dal significativo effetto di raffreddamento globale di alcune eruzioni. In buona sostanza, senza l’influenza “raffreddante” di eruzioni quali quelle del Chichon (1982) e del Pinatubo (1991) il riscaldamento globale per effetto serra registrato a partire dagli anni ’80 sarebbe stato decisamente piu’ marcato. Fig. 50 - La quantita’ di ozono al di sopra dell’Antartide e’ diminuita notevolmente a partire dagli anni 80, ma il 2002 sembra segnare un recupero rispetto agi anni precedenti. Tratto dal sito: http://jwocky.gsfc.nasa.gov/eptoms/dataqual/ozone.html 32 Fig.51 - L’andamento dell’anomalia termica terrestre (temperatura dell’aria) come ricostruita dall’Unita’di Ricerca sul Clima dell’Universita’ dell’West Anglia (UK). Tratta dal sito http://www.cru.uea.ac.uk/ Influenza sul raffreddamento globale: Le grandi eruzioni vulcaniche esplosive iniettano nella stratosfera enormi quantita' di microparticelle silicatiche e di gas. Fino agli inizi degli anni 70 si riteneva che le finissime particelle solide potessero rimanere a lungo nella stratosfera, e potessero quindi essere le principali responsabili di sensibili raffreddamenti sulla superficie terrestre. In un quadro di questo tipo il "rischio climatico" di una eruzione era semplicemente legato alla massa di materiale solido che arrivava nella stratosfera. Una tale conclusione contrasta pero’ con la mancanza di variazioni climatiche sensibili in concomitanza di molte grandi eruzioni esplosive, come ad esempio quella del Katmai nel 1912. Oggi sappiamo che l'effetto delle ceneri vulcaniche si esaurisce molto rapidamente (al massimo in pochi mesi) a seguito della loro deposizione sulla superficie terrestre, deposizione accelerata e favorita da fenomeni di aggregazione particellare. Piu' duraturi sono gli effetti legati alla presenza nella stratosfera di prodotti acidi; tali acidi, in goccioline minutissime, formano un aerosol capace di riflettere la radiazione solare e quindi di raffreddare la troposfera. Non e' ben definibile il periodo successivo all'eruzione durante il quale l'effetto del raffreddamento si fa sentire: esso e' comunque grossolanamente valutabile tra i due ed i sette anni, e varia in funzione di numerosi fattori quali lo spessore dell'aerosol, le dimensioni delle goccioline di acido, la concentrazione di tale acido, il regime dei venti e quindi la latitudine alla quale si e' verificata l'eruzione. Gli acidi che costituiscono l'aerosol possono essere diversi: solforico, solfidrico, cloridico, fluoridico. Di gran lunga prevalente e' pero' sempre l'acido solforico che si ritiene prodotto per reazione tra l'anidride solforosa emessa dal vulcano e l'acqua atmosferica durante la risalita. I risultati delle eruzioni piu' recenti sembrano quindi indicare che la causa che determina l'influenza sul clima di un'eruzione vulcanica e' la quantita' di acido solforico immessa nella stratosfera. Ma tale quantita' e' assai variabile da eruzione ad eruzione e, sopratutto, da magma a magma. Eruzioni vulcaniche coinvolgenti volumi di magma dell'ordine del km3 sono relativamente frequenti sulla superficie terrestre, ma da esse in genere non sono attendibili cambiamenti climatici di alcun genere in quanto la quantita' di acido solforico immessa nella stratosfera non supera il milione di tonnellate, quantita' certamente insufficiente a provocare raffreddamenti sensibili nella troposfera. A causa della natura e della geometria della circolazione atmosferica, le grandi eruzioni esplosive che avvengono a latitudini basse hanno effetti climatici maggiori di quelle che avvengono a latitudini medie e alte. I materiali eruttati in questi casi tendono a rimanere circoscritti alle latitudini alle quali sono stati emessi. Esempi di eruzioni capaci di indurer raffreddamento a scala globale Laki (1783): L'eruzione ebbe inizio nel Giugno 1783 e duro' ininterrottamente per otto mesi. Durante questo periodo piu' di 12 km3 di lava furono emessi da 115 crateri allineati lungo una frattura di 25 km, originando il piu' grande campo lavico mai prodotto in tempi storici (565 km2 di superficie coperta). Furono emessi anche 0.3 km3 di prodotti piroclastici (cenere e lapilli), ma il carattere dell'eruzione fu essenzialmente effusivo, molto diverso quindi da quello esplosivo e catastrofico che 32 anni dopo avrebbe caratterizzato l'eruzione del Tambora. I danni maggiori provocati dall'eruzione di Laki derivarono dai gas vulcanici. Qualcosa come 100 milioni di tonnellate di gas tossici (per lo piu' anidride solforosa) portarono alla formazione di una nebbia bluastra su tutta l'Islanda ed i raccolti ed i pascoli andarono completamente distrutti. Nei due-tre anni successivi la carestia porto' alla morte del 75% del bestiame e 33 del 24% degli abitanti. Ma gli effetti della nebbia bluastra non furono ristretti all'Islanda. Essa si sposto' lentamente verso Ovest e, attraverso tutta l'Europoa centrosettentrionale raggiunse, cinquanta giorni dopo il suo primo apparire in Islanda, le montagne dell'Altair in Cina. L'inverno tra il 1783 ed il 1784 fu estremamente rigido in tutto l'emisfero settentrionale: negli Stati Uniti, nel Dicembre 1783- Febbraio 1784, si registrarono temperature medie, mai piu' raggiunte fino ad oggi, di quasi 5 gradi sotto la media degli ultimi 225 anni. L'ondata di freddo non si esauri' nel 1784; anche nei due inverni successivi furono registrate temperature fortemente al di sotto della media. Una interessante curiosita’ riguarda Benjamin Franklin che, all’epoca, suggeri’ la possibilita’ che il gran freddo fosse dovuto al blocco della radiazione solare indotto dalle ceneri e dai gas dell’eruzione di Laki. Fig.52 - L’effetto di raffreddamento globale che alcune eruzioni possono avere e’ ben mostrato da questa figura dove, nei quattro oannelli superiori, sono confrontate le anomalie medie annue della temperatura globale prima e dopo le eruzioni (indicate come tempo “0”). Il quinto pannello e’ la “sommatoria” dei quattro precedenti e mostra come effetti significativi di raffreddamento siano stati registrati nei trentasei mesi successivi alle eruzioni. L’ultimo pannello mostra la storia della temperatura prima e dopo l’eruzione del Pinatubo del 1991. Tratta dal sito: http://www.cru.uea.ac.uk/cru/info/volcano/ Tambora (1815): Verso la meta' di Giugno del 1816 i contadini del Brabante meridionale, e specialmente quelli della zona di Waterloo, erano stanchi e molto preoccupati. Giusto un anno era passato da quella spaventosa battaglia e decine di migliaia di cadaveri erano rimasti sul terreno: uomini, cavalli e muli. Avevano passato l'estate a seppellire i morti con le carogne degli animali che appestavano l'aria, ed ora che finalmente tutto era finito, ecco un nuovo duro lavoro da fare, e senza essere pagati: costruire un enorme tumulo alto 46 metri per mettervi sopra un pesantissimo leone di ghisa, simbolo della vittoria decisiva degli alleati contro Napoleone. Un lavoro durissimo per fare una cosa inutile e molto brutta: quel tumulo a fianchi ripidi era un pugno in un occhio inserito nel paesaggio dolce ed ondulato di quella terra sabbiosa e fertile dei dintorni di Bruxelles. Ma che gusto poteva mai avere questo nuovo re dei Paesi Bassi che il Congresso di Vienna aveva imposto non solo alla sua patria, l'Olanda, ma anche al Belgio ed al Lussemburgo? Per ridurre la Francia entro confini piu' angusti, 34 Valloni e Fiamminghi cattolici erano finiti sotto Guglielmo I, ed anche se tutti ammiravano suo figlio, il giovane principe d'Orange che, appena ventitreenne, aveva comandato il piu' grosso contingente dell'armata di Wellington, ed era anche rimasto ferito, non si poteva dimenticare che il re era calvinista ed anacronicamente retrivo. Fig.53 - Laki, Islanda. I coni di scorie allineati lungo la frattura eruttiva del 1783. Tratta dal sitohttp://www.norvol.hi.is/laki2.html Comunque il duro lavoro per i contadini fiamminghi non era una cosa nuova. C'erano abituati perche', per un padrone o per l'altro, il lavoro della terra era sempre stato duro. Quanto al problema religioso, non era una cosa loro: la Santa Alleanza aveva deciso che non ci sarebbero piu' state lotte tra Cristiani, protestanti, cattolici od ortodossi che fossero. Prussia, Austria e Russia lo garantivano: dunque, perche' preoccuparsi? Ed infatti la preoccupazione piu' grande era l'andamento stagionale. Si era alle porte dell'estate e la primavera non era ancora arrivata: freddo, neve e gelo sembrava che non dovessero piu' finire. E poi quei tramonti infuocati che nessuno, nemmeno i piu' vecchi, aveva mai visto. Il cielo era corrrucciato contro la protervia degli uomini, o forse i cannoni di Napoleone avevano cambiato il clima? Certo, quell'indimenticabile 18 Giugno dell'anno prima, quasi 900 cannoni avevano tuonato fino a notte inoltrata. Ed il fumo denso ed acre della polvere da sparo aveva appestato l'aria per molti giorni. La pace duratura sospirata per tanti anni e promessa ora dalle grandi potenze, nasceva sotto una cattiva stella. Ed a Luglio nevico'. Il raccolto del grano, dell'orzo e della segale era perduto, ma se l'Agosto fosse stato caldo, si potevano salvare il mais e, ancora piu' importanti, le patate. Ma anche in Agosto il freddo rimase intenso. Quasi tutto il raccolto ando' perduto non solo nel Brabante, ma in tutto il Settentrione, dalla Francia alla Germania, passando per il Belgio e l'Olanda. Lo spettro della fame si distese su quelle povere popolazioni, gia' cosi' duramente provate da vent'anni di guerra quasi ininterrotta. I prezzi delle derrate alimentari salivano alle stelle, si mangiavano cani, gatti e topi, e molti furono i morti nella parte piu' povera della popolazione che non aveva i mezzi sufficvienti per rifornirsi di cibo. L'anno dopo tutto torno' normale, e cosi' negli anni successivi. Il 1816 rimase nel ricordo di tutti come l'"anno senza estate". L'attribuzione di questa calamita' naturale alla collera divina o all'azione delle bocche da fuoco nella battaglia che pose fine all'avventura napoleonica, non avrebbe avuto senso se quella povera gente avesse saputo che l'"anno senza estate" vi era stato anche al di la' dell'oceano. Nel Giugno 1816 infatti nevico' in tutte le fiorenti ex colonie della Nuova Inghilterra e negli altri stati della giovane federazione americana che si trovavano a Nord del quarantesimo parallelo. Il freddo perduro' per tutto il mese di Luglio, ed il 21 Agosto il termometro scese sotto lo zero nel Maine e nel Connecticut. I raccolti andarono perduti, ma proprio da questa crisi si comincio' a vedere applicati i principi di fratellanza degli antichi pionieri e la loro capacita' organizzativa. L'ultima guerra con l'Inghilterra, finita da due anni senza vincitori ne' vinti, aveva rafforzato le giovani strutture dello stato, ed il presidente Monroe si preoccupo' della fame del Nord: i rifornimenti provenienti dai piu' caldi stati meridionali riuscirono ad impedire che la carestia si trasformasse in tragedia. L'anno senza estate non era stato un capriccio della natura: sull'isola di Sumbawa, nell'arco insulare della Sonda, che con i suoi 5000 km di lunghezza e' il piu' esteso del mondo, il 7 Aprile 1815 era infatti entrato in eruzione il Tambora, un grande vulcano alto prima dell'eruzione probabilmente piu' di 4000 metri. L'eruzione fu spaventosa. Tutta l'isola (24.500 km2, piu' di una volta e mezzo la Corsica) fu coperta da uno spesso strato di cenere assieme ala contigua isola di Lombok ad occidente ed ad una parte dell'isola di Flores ad oriente. 83.000 35 persone morirono, o sepolte dalla cenere, o portate via dalle numerose onde di maremoto, o di fame, in quelle terre rese desolate dal bianco lenzuolo di cenere che, come un sudario, ricopriva tutta l'isola. La quantita' di prodotti piroclastici emessi e' stata valutata a 150 km3. Questa cifra, anche se non da tutti accettata, fa dell'eruzione del 1815 del Tambora la piu' terrificante della storia dell'umanita'. Fig. 54 - Il Tambora e’ uno stratovulcano che forma la penisola di Sanggar nell’isola di Sumbawa. Al livello del mare il vulcano ha un diametro di circa 60 km, mentre il diametro della caldera formatasi nel corso dell’eruzione del 1815 e’ di 6 km. La caldera e’ profonda piu’ di 1000 m. Foto presa dallo Shuttle nel Maggio 1992, tratta dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/southeast_asia/indonesia/tambora.html Il 1816 rimase nel ricordo di tutti come l'"anno senza estate". L'attribuzione di questa calamita' naturale alla collera divina o all'azione delle bocche da fuoco nella battaglia che pose fine all'avventura napoleonica, non avrebbe avuto senso se quella povera gente avesse saputo che l'"anno senza estate" vi era stato anche al di la' dell'oceano. Nel Giugno 1816 infatti nevico' in tutte le fiorenti ex colonie della Nuova Inghilterra e negli altri stati della giovane federazione americana che si trovavano a Nord del quarantesimo parallelo. Il freddo perduro' per tutto il mese di Luglio, ed il 21 Agosto il termometro scese sotto lo zero nel Maine e nel Connecticut. I raccolti andarono perduti, ma proprio da questa crisi si comincio' a vedere applicati i principi di fratellanza degli antichi pionieri e la loro capacita' organizzativa. L'ultima guerra con l'Inghilterra, finita da due anni senza vincitori ne' vinti, aveva rafforzato le giovani strutture dello stato, ed il presidente Monroe si preoccupo' della fame del Nord: i rifornimenti provenienti dai piu' caldi stati meridionali riuscirono ad impedire che la carestia si trasformasse in tragedia. L'anno senza estate non era stato un capriccio della natura: sull'isola di Sumbawa, nell'arco insulare della Sonda, che con i suoi 5000 km di lunghezza e' il piu' esteso del mondo, il 7 Aprile 1815 era infatti entrato in eruzione il Tambora, un grande vulcano alto prima dell'eruzione probabilmente piu' di 4000 metri. L'eruzione fu spaventosa. Tutta l'isola (24.500 km2, piu' di una volta e mezzo la Corsica) fu coperta da uno spesso strato di cenere assieme ala contigua isola di Lombok ad occidente ed ad una parte dell'isola di Flores ad oriente. 83.000 persone morirono, o sepolte dalla cenere, o portate via dalle numerose onde di maremoto, o di fame, in quelle terre rese desolate dal bianco lenzuolo di cenere che, come un sudario, ricopriva tutta l'isola. La quantita' di prodotti piroclastici emessi e' stata valutata a 150 km3. Questa cifra, anche se non da tutti accettata, fa dell'eruzione del 1815 del Tambora la piu' terrificante della storia dell'umanita'. 36 anni d.C. A anno C Agung Hekla 1950- Katmai 1900Krakatoa anni x 1000 1850- 2- Tambora 1815 Laki, 1783 Komagalake, 1641 ????, 1601 ????, 1259 Eldjia, 934 ????, 623 Tambora 1- 1800Laki d.C. B assenza di dati ????, 50 ????, 210 ????, 260 a.C. Katla 1750- 1- Hekla-3, 1120 Thera (Santorini), 1390, Vesuvio ("Avellino"), ca.1400 Lanzarote 21700- Hekla-4, 2690 3- ????, 3150 Pacay 1650- Komagatake M. Mazama, 4400 5- Vesuvio 1600- 4- Hekla-5, Thjorse, 5470 ???? 6- ????, 6060 7- 1550- ????, 6230 Vesuvio ("Mercato"), ca. 7000 ????, 7240 ????, 7500 ????, 7710 ????, 7310 ????, 7910 815000 0 2 4 6 µequiv.H+ per kg di ghiaccio 2 ????, 7640 4 6 8 10 12 µequival.H+ per kg di ghiaccio Fig. 55 - A sinistra: acidita' media dei livelli annuali di ghiaccio del periodo 1972-1500 rilevata sul carotaggio effettuato a Crete, in Groenlandia. I valori di acidita' al di sopra del livello di fondo di 1.2±0.1 mequiv. H+ per kg di ghiaccio sono da attribuire alla ricaduta di acidi vulcanici (principalmente H2SO4) emessi da vulcani ubicati a Nord di 20° lat.Sud. A destra in basso: Acidita' eccedente i 4 mequiv.H+ per kg di ghiaccio rilevata in due carotaggi continui effettuati nei ghiacci della Groenlandia; i ghiacci carotati si sono formati negli ultimi 10.000 anni e le date hanno una precisione molto elevata (ca. 1-3 anni per gli ultimi 1500 anni, al massimo 10 anni per il periodo piu' antico). Non ci sono dati per il perido 44-552 d.C. A destra in alto: Correlazione tra le variazioni di temperatura degli ultimi 1.400 anni nell'emisfero settentrionale e l'acidita' dei ghiacci groenlandesi; i periodi anomalmente caldi corrispondono a periodi di acidita' anomalmente bassa dei ghiacci; il diagramma rende conto, in modo indiretto, dell'effetto raffreddante, a scala dei tempi piu' ristretta di quella del diagramma (50 anni per barra), delle eruzioni vulcaniche che hanno comportato la formazione di ingenti quantita' di aerosol acidi. 37 Scenari Eruttivi e Carte di Pericolosita’ Criteri per la valutazione della pericolosita’ La grande variabilita’ delle eruzioni vulcaniche comporta una grande variabilita’ di possibili combinazioni di fenomeni pericolosi (caduta di ceneri, flussi piroclastici, colate di lava, emissione di gas, collassi strutturali, colate di fango, ecc.), in alcuni casi caratterizzati da una potenziale gradualita’ del loro impatto sul territorio e conseguentemente del pericolo a essi associato: la pressione statica dei depositi di caduta, la pressione dinamica dei flussi piroclastici o delle colate di fango, la concentrazione dei gas tossici. Nel valutare la pericolosita’ vulcanica di un’area questi eventi “graduabili” non possono essere trattati come fenomeni singoli: il pericolo connesso per esempio alla caduta di piroclastiti e’ molto diverso in funzione degli spessori accumulati e non possono essere accomunati i pochi mm dannosi per i pascoli e le colture con le centinaia di kg su m2 pericolose per la stabilita’ dei solai. Per questi fenomeni c’e’ quindi bisogno di definire specifiche soglie funzionali al pericolo (X kg/m2, Y ppm/m3, ecc) e ciascuna soglia di ciascun fenomeno deve essere considerato un pericolo diverso da valutare. La pericolosita’ vulcanica di una determinata area in un determinato intervallo di tempo risulta quindi dalla somma di diverse pericolosita’ “parziali”, ciascuna ottenuta attraverso il prodotto di tre diverse probabilita’ concernenti: (i) il verificarsi dell’eruzione, (ii) il verificarsi nel corsio dell’eruzione del fenomeno considerato (ricordando che ciascuna soglia di fenomeno graduabile e’ un fenomeno), (iii) il verificarsi del fenomeno considerato nell’area considerata. Il comportamento generalmente ripetitivo dei vulcani ad alta frequenza eruttiva, caratterizat da condizioni di condotto aperto (es. Kilauea, Sakurajima, Piton de la Fournaise, Etna, etc.), permettono in genere stime attendibili della frequenza delle eruzioni e dei principali fenomeni che nel corso di esse si verificano. Diversamente, quanto si ha a che fare con vulcani quiescenti, il cui risveglio e’ necessariamente un evento poco fequente, la probabilita’ di accadimento dell’eruzione e’ molto difficile da valutare cosi’ come la sua magnitudo e la sequenza di fenomeni eruttivi. In questi casi la pericolosita’ puo’ esssere valutata nell’assunzione del futuro verificarsi di un evento predeterminato (il piu’ grande, il piu’ frequente, il piu’ pericoloso, ecc.), ricavato dalla storia eruttiva del vulcano considerato. Analogamente a quanto in uso per i terremoti, un utile concetto e’ quello di Evento Massimo Atteso (EMA), definito come il piu’energetico tra tutti i possibili entro un certo intervallo di tempo. Esso si puo’ applicare specialmente a quei vulcani la cui attivita’ ha mostrato andamenti ricorrenti e/o chiaramente definiti. L’affidabilita’ dell’EMA dipende quindi dalla qualita’ delle conoscenze acquisite sulle modalita’ di funzionamento del vulcano. La selezione di un EMA comporta l’assunzione di uno scenario atteso dell’eruzione che, in accordo e per analogia con i dati storici e vulcanologici delle eruzioni passate, comprenda le piu’ probabili associazione e sequenza di fenomeni eruttivi. Avendo in questo modo fissato l’eruzione e i fenomeni, e’ possibile valutare la pericolosita’ relativa all’EMA soltanto sulla base della probabilita’ che il singolo fenomeno interessi l’area considerata. La definizione di un EMA e’ particolarmente utile per la valutazione della pericolosita’ di quei fenomeni la cui possibile distribuzione sul territorio puo’ essere soddisfacentemente riprodotta attraverso la reiterazione di simulazioni numeriche in accordo con poche importanti variabili vincolanti (per es. la caduta di piroclastiti in accordo con il campo dei venti, l’altezza di colonna e la popolazione granulometrica). L’uso dei dati delle simulazioni numeriche piuttosto che quelli storici o geologici ha come risultato prodotti finali “filosoficamente” differenti: una distribuzione probabilistica del fenomeno simulato e una frequenza storica del fenomeno registrato. Zonazione della pericolosita’ legata alla ricaduta di piroclastiti. La zonazione del pericolo relativo alla ricaduta di piroclastiti e' basata sulla relazione tra gli spessori osservati nelle passate eruzioni e la loro distanza dal cratere, sul regime regionale dei venti e su modelli fisico-matematici in grado di simulare il trasporto, la diffusione e la ricaduta delle particelle. 38 Fig. 55 - Carte di pericolosita' relative alla ricaduta di piroclastiti nell'area vesuviana. Le curve definiscono l'estensione di aree con la stessa probabilita' di essere ricoperte da depositi di peso superiore ai 100 (sin) e 200 (destra) kg/m2 nel caso di un'eruzione subpliniana di magnitudo=0.2 km3; i valori di probabilita', dall'esterno, sono: 5, 10, 20%. L'analisi della distribuzione di velocita' del vento (fino a 20km di altezza) su un periodo di 10 anni ha fornito i dati per l'esecuzione di piu' di 3000 diverse simulazioni; fissata quindi una determinata concentrazione di particelle al suolo (nel caso a 100 e 200 kg/m2), si e' valutato su una maglia ricoprente il dominio, il numero di volte, sul totale dei casi simulati, in cui la concentrazione a terra superava la soglia di riferimento. La probabilita' di avere concentrazioni superiori alla soglia prefissata si e' assunta uguale, in ciascun nodo della maglia, al rapporto fra il numero n di casi osservati e il numero totale dei casi simulati. E’ questo un tipico caso di carta mostrante una distribuzione probabilistica ottenuta attraverso la simulazione numerica dei depositi lasciati da un EMA. Da Nature, 1991. Solo gli eventi subpliniani (3ŠVEIŠ5) (n=14). tutti gli eventi (n= 18) Nola Nola Avellino Avellino Vesuvio Vesuvio Pompei Pompei Salerno Salerno Sorrento Sorrento 0 10 20 km 1 2 4 6 >8 numero di eventi per 19,000 anni Fig.56 - Altra carta di pericolosita’ relativa alla ricaduta di piu’ di 200 kg/m2 di piroclastiti nell’area vesuviana. In questo caso la carta e’ basata sulla frequenza storica di accadimento. A sinistra la frequenza e’ relativa al totale di eventi esplosivi di magnitudo sufficiente a generare depositi di caduta con carico eccedente la soglia indicata (18); a destra sul numero di eventi esplosivi classificabili come subpliniani (14) e quindi di magnitudo confrontabile con quella dell’EMA 39 Fig. 57 - Carta preliminare di pericolosita’ vulcanica del vulcano Fuego (Guatemala) relativa alla ricaduta di piroclastiti. I tre cerchi concentrici definiscono aree che possono essere coperte da 5, 10 e 20 cm di cenere. A causa del campo dei venti, la caduta e’ meno probabile nei settori orientali, soprattutto da Maggio a Novembre. Tratta dal sito: http://www.geo.mtu.edu/volcanoes/fuego/pic/f24.gif Fig. 58 - In vulcani a eruzioni frequent, come il Ruapehu in Nuova Zelanda, la pericolosita’ legata alla copertura di tefra puo’ essere valutata sulla base di eventi prossimi e ben misurati. Nella figura di sinistra sono riportate le curve di uguale spessore (isopache) in mm di tre modesti eventi esplosivi verificatisi tra il 1995 e il 1996, uno dei quali e’ 40 mostrato nella foto di destra. Tratto dal sito http://www.gns.cri.nz/earthact/volcanoes/ hazards/index.htm Abbiamo gia’ detto che l’impatto sul territorio dei depositi di caduta dipende in gran parte dal loro spessore e quindi dal loro peso. Sulla base dei danni potenziali indotti, la tabella seguente definisce 5 diverse “zone” per spessori di cenere (non compattata) crescenti: <1mm, 1-5 mm, 5-100mm, 100-300mm , >300mm. Spessore di cenere < 1 mm 1-5 mm Possibili effetti dannosi • • • • • • • • 5-100 mm • • • • • • 100-300 mm • • • • • >300 mm • • • • • • • Irritazione a occhi e polmoni chiusura aereoporti per possibili danni alle aeromobili possibili modesti danni a veicoli, macchinari e case causati dalla capacita’ abrasiva della cenere possibile contaminazione degli impianti idraulici traffico e viabilita’ in difficolta’ per visibilita’ ridotta ampliamento degli effetti legati a <1mm di cenere, e inoltre: possibili danni ai raccolti; pochi capi di bestiame avranno problemi di salute, ma potrebbero esserci problemi di cibo, di usura dei denti, di contaminazione dell’acqua; modesti danni alle case indotti dalla penetrazione delle polveri fini (intasamento dei filtri dell’aria condizionata, ecc.); l’elettricita’ puo’ essere interrotta: se la cenere e’ umida e quindi conduttrice si possono verificare cortocircuiti alle centraline; il rifornimento d’acqua puo’ essere limitato o interrotto per mancanza di elettricita’ alle pompe; i lisciviati chimici possono contaminare gli impianti idraulici; ci sara’ comunque un grande consumo d’acqua necessaria per le operazioni di pulitura; le strade vanno lavate e la rete fognaria potrebbe avere problemi; macchine e impianti elettrici potrebberosubire danni. ampliamento degli effetti legati a 1-5 mm di cenere, e inoltre: seppellimento dei pascoli e delle piante basse; alcuni alberi perderanno le foglie ma la maggior parte sopravvivera’; sotto piu’ di 50 mm di cenere l’erba dei pascoli morira’; nelle aree urbane ci saranno garndi opearzioni di rimozione della cenere; intorno a 100 mm di copertura i solai in legno possono cominciare ad avere problemi soprattutto se la cenere che si deposita e’ bagnata; il traffico puo’ arrestarsi a causa della cenere sulla strada e dei problemi alla segnaletica ; l’intasamento dei filtri dell’aria creera’ problemi ai motori ampliamento degli effetti legati a 5-100 mm di cenere, e inoltre: il pericolo di collasso dei solai diventa forte, soprattutto per le coperture piatte; e’ necessario provvedere a pulirle; anche gli alberi sono danneggiati severamente, le foglie cadono, i rami si spezzano; la rete di ditribuzione dell’energia elettrica non sara’ capace di sostenere i continui corti circuiti e le rotture meccaniche (rami caduti, ecc.) ampliamento degli effetti legati a 100-300 mm di cenere, e inoltre: pesanti effetti sulla vegetazione: la maggior parte delle piante non sopravvivono; pesanti perdite di bestiame; moltissimi crolli di solai; scomparsa della vita dagli specchi d’acqua dolce; collasso delle rei elettrica e telefonica e delle telecomunicazioni in genere le strade sono inservibile a meno che non vengano continuamente pulite. Zonazione della pericolosita’ legata alla scorrimento di colate laviche La definizione delle zone soggette a invasione da parte di colate di lava e' basata sulla frequenza con la quale le aree in questione sono state coperte da colate di lava nel passato geologico recente, sulla distribuzione spaziale delle bocche effusive, sulla lunghezza e la superficie "tipiche" delle colate di un dato vulcano, su considerazioni topografiche che rendono una zona piu' o meno soggetta ad essere invasa da una colata lavica. La zonazione 40 della pericolosita' di vulcani per i quali sono disponibili una grande quantita' di dati geologici e storici potrebbe essere eseguita sulla base di probabilita' numeriche statisticamente valide: cio' avrebbe comunque significato solo per l'individuazione di grandi aree piu' o meno soggette all'invasione lavica. La definizione dei percorsi piu' probabili, dato un punto di apertura della bocca, non puo' prescindere dall'applicazione di modelli reologici alla topografia digitalizzata del vulcano. Fig. 59 - Carta della zonazione della pericolosita’ da colate laviche (“ Lava flow hazard zones map”), Mount Shasta (California). Le zone circolari mostrano un decremento di pericolo all’aumentare della distanza dalla sommita’ del vulcano. La storia eruttiva recente suggerisce che la maggior parte delle future colate di lava dovrebbe originarsi sul fianco nordorientale o in zona sommitale, nel settore “A”. Mappa di Crandell and Nichols, tratta dal sito: http://volcanoes.usgs.gov/About/What/Assess/ShastaLava.html L’isola di Hawaii e’ divisa in zone in accordo col grado di pericolosita’ legato all’invasione da colate di lava. La definizione delle diverse zone e’ basata essenzialmente sulla localizzazione e la frequenza delle colate storiche (dopo il 1800) e preistoriche (circa tra il 1300 e il 1800), ma tiene anche conto della topografia capace di influenzare la distribuzione delle colate. Tabella che descrive sinteticamente le aree a diversa pericolosita’ associata all’invasione di colate laviche nell’isola di Hawaii Zona 1 % area coperta dal 1800 >25 % area coperta negli ultimi 750 anni >65 chiarimenti Includes summits and rift zones of Kilauea and Mauna Loa where vents have been active in historic time. 2 15-25 25-75 Areas adjacent to and downslope of active rift zones 3 5-15 15-75 Areas gradationally less hazardous than Zone 2 because of greater distance from recently active vents and/or because the topography makes it less likely that flows will cover these areas 4 Circa 5 <15 Includes all of Hualalai, where the frequency of eruptions is lower than on Kilauea and Mauna Loa. Flows typically cover large areas. 5 0 Circa 50 Areas currently protected from lava flows by the topography of the volcano. 6 0 Molto piccola Same as zone 5 7 0 0 20 percent of this area covered by lava in the last 10,000 yrs. 8 0 0 Only a few percent of this area covered in the past 10,000 yrs. 9 0 0 No eruption in this area for the past 60,000 yrs USGS, Hawaiian Volcanological Observatory, http://pubs.usgs.gov/gip/hazards/maps.html Ogni valutazione di pericolosita’ e’ basata sull’assunzione che l’attivita’ futura sara’ simile a quella passata. I limiti delle diverse zone sono approssimati, e il cambio nel grado di pericolosita’ da una zona all’altra e’ graduale 42 piuttosto che brusco. All’interno di una singola zona la pericolosita’ puo’ variare a una scala troppo piccola per essere mappata. Fig.60 - Le zone a diversa pericolosita’ da invasione lavica in cui e’ divisa l’isola di Hawaii. Il pericolo diminuisce da 1 a 9. USGS, Hawaiian Volcanological Observatory, tratta dal sito; http://pubs.usgs.gov/gip/hazards/maps.html Fig. 61 - (sx) Il Pu’u O’o, situato nella parte sudorientale del rift sommitale del Kilauea, in eruzione nel Giugno 1986. (dx) Una casa del villaggio di Kalapana investita da una colata nel 1991. Tutto il villaggio fu sepolto sotto 15-20 metri di lava. (sx) Foto di J.D. Griggs http://hvo.wr.usgs.gov/hazards/, (dx) Foto di J.B. Stokes, USGS http://pubs.usgs.gov/gip/hazards/hazards.html#lava 44 Fig.62 - Simulazione numerica dei possibili percorsi di una colata lavica dell’Etna del 1992 (probabilita’ crescente dal rosso al celeste) confrontata con la superficie realmente coperta (segnata in blu). Macedonio, Pareschi, Santacroce, inedito. Zonazione della pericolosita’ legata alla scorrimento di surges e colate piroclastiche Le zone pericolose in relazione allo scorrimento di colate e surges piroclastici hanno estensione molto diversa nei diversi vulcani a causa dall'ampia variabilita' con cui questi eventi possono presentarsi. Alcuni autori hanno definito una o piu' zone pericolose basandosi sull'estensione dei flussi piroclastici di epoca storica o di altri intervalli temporali (Merapi: Pardyanto et al., 1978; Mayon: Pena e Newhall, 1984; St.Helens: Crandell e Mullineaux, 1978). Altri autori hanno definito 2 o 3 zone con differente grado di pericolosita' in funzione della possibile ubicazione della bocca eruttiva, o per la presenza nella storia eruttiva di flussi piroclastici caratterizzati da volumi e frequenza diversi (Hood, Shasta, Soufriere della Guadalupa, Asama, Rabaul, Campi Flegrei, Vesuvio, Nevado del Ruiz, Guagua Pichincha, ecc.). Modelli numerici semplici (Malin e Sheridan, 1982) basati sul "cono di energia" (Fig.63), cioe' sul rapporto tra altezza del collasso e percorso del flusso, sono stati utilizzati per generare carte di pericolosita' (ma in realta' la probabilita'., anche qualitativa, di avere diverse altezze della colonna eruttiva, e quindi diverse estensioni al suolo del flusso, non sono mai state discusse) per alcuni vulcani italiani (Campi Flegrei: Armienti e Pareschi, 1987; Vesuvio: Armienti e Pareschi, 1987; Macedonio et al., 1988b; Vulcano: Sheridan e Malin, 1983; Frazzetta et al., 1984). Questi modelli costituiscono un approccio semplificato alla simulazione della messa in posto dei flussi piroclastici. In particolare essi non possono descrivere ne' flussi generati da esplosioni orientate ("lateral blasts") o da elutriazione della parte sommitale di flussi piu' densi ("ash clouds"), ne' flussi che scorrono su topografie che li canalizzano (Armienti e Pareschi, 1987; Macedonio et al., 1988b). Inoltre, lungo la direzione dell'"energy line", i modelli in questione prevedono una perdita lineare di energia per attrito, e questa assunzione e' inesatta non solo perche' la perdita di energia e' una funzione del cammino effettivo (e non della semplice distanza orizzontale dalla bocca), ma anche perche' l'energia del flusso e' distribuita su aree perimetrali che sono proporzionali al quadrato della distanza dalla bocca. A causa di questo tipo di limitazioni, questo modello, sebbene costituisca un passo in avanti rispetto alla semplice analisi del record storico, fornisce solo grossolane indicazioni sulla distanza che un flusso piroclastico, originatosi per collasso della colonna eruttiva da una certa altezza, e' in grado potenzialmente di raggiungere. 44 distanza in km Fig. 63 - Diagramma che illustra il concetto di "linea d'energia" (in alto) e "cono d'energia" (in basso). Lungo la sua ideale linea d'energia una colata piroclastica subisce una perdita di energia per attrito compensata parzialmente dalla conversione dell'energia potenziale in energia cinetica. La colata si arresta dove la sua linea di energia interseca la superficie topografica. La pendenza della linea d'energia (= arctang del dislivello H diviso per la distanza percorsa L) e' ovviamente legata alla mobilita' del flusso, e sara' tanto minore quanto minori saranno gli attriti. Nel caso di colata piroclastica originata dal collasso di una colonna eruttiva il dislivello H sara' uguale all'altezza del vulcano aumentata dell'altezza nella nube alla quale si realizza il collasso Hc (in questo caso, a parita' di latre condizioni, la pendenza della linea d'energia diminuisce a causa degli attriti ridotti nel passaggio da [H+Hc] ad H. Linea A = colate di cenere e blocchi; linea B = nubi ardenti; linea C = colate di cenere e pomici; linea D = colate di cenere e pomici che collassano da 500 m al di sopra della bocca. (modificato da Malin e Sheridan, 1982, in Thouret, 1994). Fig. 64 - potenziali vie di scorrimento preferenziali delle colate piroclastiche lungo i fianchi del vulcano Colima (Messico). Sono anche indicate, con differenti colori, le diverse velocita’ attese lungo i diversi percorsi. Tratta dal sito di MF Sheridan: http://www.eng.buffalo.edu/~mfs/ 45 Fig. 65 - Simulazione computerizzata della distribuzione potenziale delle colate piroclastiche (in rosso) e di fango (in giallo) al vulcano Popocatepetl (Messico). Sheridan MF et al, tratta dal sito: http://www.eng.buffalo.edu/~mf Fig.66 - Il Merapi (Giava) e’ uno stratovulcano sulla cui sommita’ e’ presente un duomno lavico instabile i cui frequenti collassi generano colate piroclastiche che possono arrivare fino a 10-13 km dalla vetta con velocita’ di punta superiori ai 110 km/ora. I depositi lasciati dalle colate piroclastiche vengono spesso rimobilizzati in forma di lahar A sinistra e’ una carta di pericolosita’ “globale” per questo tipo di attivita’, mentre qui sopra viene mostrata la distanza massima raggiungibile da colate piroclastiche, lahar e nubi di cenere associate alle colate. From Suryo and Clarke (1985), tratte dal sito: http://www.vsi.dpe.go.id/mvohomepage.html 46 Colate di fango e colate o frane di detriti (lahars, debris avalanches, debris flows) La definizione delle zone esposte a pericolo di scorrimento di colate di fango, analogamente a quanto accade per le colate e i surges piroclastici, in genere e' basata sull'estensione e sulla frequenza osservate nel passato. Molti autori hanno sviluppato mappe che mostrano gradi diversi di pericolosita' sulla base delle relazioni tra frequenza e "magnitudo" dei flussi. Sulle carte di zonazione della pericolosita' relativa a tipi diversi di flussi piroclastici, le zone soggette all'invasione di lahar e connesse inondazioni tipicamente si estendono piu' a valle rispetto ai flussi piroclastici "caldi" (Merapi, Baker, Glacier Peak, Cotopaxi, Nevado del Ruiz, Ruapehu, Vesuvio). Diversamente da quanto si verifica per le nubi ardenti e, soprattutto, per i surges piroclastici, il cui scorrimento spesso puo' interessare anche gli alti topografici, lo scorrimento delle colate di fango tipicamente e' confinato alle valli e ristretto a pochi metri al di sopra del fondo valle (fig.23). Per quanto riguarda i "debris flow", sono stati elaborati modelli matematici (Mizuyama et al., 1987) la cui applicabilita' e' ancora limitata soprattutto per l'incertezza nella selezione dei parametri numerici da usare. La zonazione della pericolosita' per le grandi frane connesse a collassi strutturali dei vulcani ("debris avalanches") e' in molte mappe combinata con la zonazione relativa alle colate di fango. In realta' le grandi debris avalanches, molto piu' mobili dei lahars, possono spesso risalire lungo le pareti delle valli e possono quindi oltrepassare gli spartiacque. Schuster e Crandell (1984) e Siebert et al. (1987), considerando oltre cento casi reali, mostrano la possibilita' di stimare grossolanamente l'estensione dei fenomeni futuri di questo tipo sulla base del loro volume e dell'altezza di distacco. Fig. 67 - Mappa che mostra i pericoli attesi da un’eruzione del Nevado del Ruiz (Colombia). La mappa fu preparata da INGEOMINAS (Ist.Naz. Geologia e Miniere) e circolo’ un mese prima del’eruzione dell 13 Novembre 1985. La mappa mostra chiaramente l’alto pericolo connesso allo scorrimento di colate di fango della valle nella quale si trovava la citta’ di Armero. 47 Fig. 68 - Carta di pericolosita’ vulcanica del M. Hood (Oregon, USA). I pericoli vengono distinti in prossimali (fenomeni vulcanici “primari”) e distali (colate di fango) e, in entrambi i casi, il colore corrispondente alla lettera A marca le aree a pericolosita’ maggiore. Vengono anche uindicati i tempi di percorrenza dei lahar per raggiungere le localita’ indicate. Fig.69 -Simulazioni numeriche (basate sul concetto della linea di energia , dello scorrimento di colate di fango (volumi variabili da 2 km3, in giallo, a pochi milioni di m3, in blu) al Pico de Orizaba (Messico). Sheridan MF et al, tratta dal sito: http://www.eng.buffalo.edu/~mf 48 Definizione dell’Eruzione Massima Attesa (EMA) e del suo scenario: il Vesuvio come esempio Gli studi sui prodotti emessi dal Vesuvio nel corso della sua storia eruttiva hanno permesso di definirne la variabilita’ delle eruzioni in termini di composizione dei prodotti, stile di attivita’, volume e energia. Il comportamento eruttivo del vulcano e’ riconducibile all’alternanza irregolare tra periodi di attivita’ a condotto aperto (attivita’ stromboliana persistente, frequenti effusioni laviche e sporadiche, piu’ voluminose ed energetiche, eruzioni esplosive a forte componente freatomagmatica) e periodi di riposo di durata diversa (connessi all’occlusione del condotto) interrotti da eruzioni prevalentemente esplosive di taglia ed energia molto variabile. L’ultima eruzione del Vesuvio, nel 1944, ha segnato il passaggio da condizioni di condotto aperto a condizioni di condotto ostruito. Dal 1944 il Vesuvio e’ in stato di quiescenza e non vi sono oggi indicazioni di sorta che fanno temere un prossimo risveglio. Il vulcano, nel corso della sua storia, ha tuttavia sperimentato lunghe pause (che, in alcuni casi, sono durate secoli o millenni) concluse da una ripresa di attivita’ che, in linea di principio, e’ stata tanto piu’ violenta quanto piu’ lungo e’ stato il periodo di riposo che l’ha preceduta. Qualunque siano le condizioni del condotto, il modello oggi piu’ accreditato prevede un sistema vesuviano caratterizzato dalla presenza di camere magmatiche superficiali alimentate in modo sostanzialmente stazionario dall’arrivo periodico, grossolanamente regolare, di masse magmatiche profonde ad alta temperatura (11501200°C) a composizione tefritica. Su queste basi il volume di magma entrato nel sistema vesuviano dopo il 1944 e’ stimato nell’ordine dei 200 milioni di m3. Tale volume, se emesso tutto nel corso di una singola eruzione esplosiva, darebbe luogo ad un’eruzione subpliniana di magnitudo simile a quella del 1631. L’eruzione del 1631 e’ stata per questo assunta come evento di riferimento per l’eruzione massima oggi attesa al Vesuvio. Lo scenario dell’ “Evento Massimo Atteso a medio termine (EMA)” e’ il risultato della combinazione di dati di terreno, di dati storici e di simulazioni numeriche basate su modelli fisici. La sequenza di eventi attesa e’ schematicamente indicata nella Tabella sottostante. fase eruttiva Scenario eruttivo dellEvento Massimo Atteso al Vesuvio a medio termine fenomeni durata Apertura freatomagmatica Colonna Eruttiva Sostenuta Messa in posto di flussi piroclastici Lento esaurimento freatomagmatico - Ripetute esplosioni - Da moderati a forti terremoti - Eiezione balistica di blocchi (2-3 km dalla bocca) - Ricaduta sottovento di cenere (ca.10 km dalla bocca) - Formazione di una colonna eruttiva alta 12-15 km - ricaduta di cenere e lapilli (collasso dei solai a 10-30 km dalla bocca) - Eiezione balistica di blocchi e bombe (3-5 km dalla bocca) - Tremore continuo e forte - Destabilizzazione della colonna - collassi - Scorrimento di colate e di surges piroclastici - Possibile collasso strutturale della parte superiore del cono vesuviano - Forti terremoti isolati - frane e debris flows - moderate onde di tsunami - ripetute esplosioni connesse all’interazione magmaacqua nel condotto - ricaduta di cenere e fango; uragani di fango - forti piogge; colate di fango; allagamenti - terremoti isolati area interessata (km2) da minuti ad ore 10-20 ore 200-300 ore 50 ? da giorni a mesi ? 50-100 modificato da: SANTACROCE R. (1996) - Preparing Naples for Vesuvius. IAVCEI News, 1/2, 5-7 Combinando la distribuzione areale dei prodotti delle eruzioni storiche di magnitudo simile all’EMA con i 1300 km2 e’ stata associata all’EMA. risultati delle simulazioni numeriche, un’area pericolosa di circa 49 All’interno di quest’area due zone sono state distinte sulla base del tipo e della dimensione dei fenomeni che potenzialmente possono interessarle: - una Zona Rossa (circa 210 km2) all’interno della quale vaste aree potrebbero essere soggette a distruzione pressoche’ totale a causa dello scorrimento di colate e “surges” piroclastici, colate di fango ed alla ricaduta imponente di blocchi, bombe e lapilli. Nelle eruzioni del 472 e del 1631 circa il 40% ed il 20% di questa zona rispettivamente vennero devastati. - una Zona Gialla (circa 1250 km2) potrebbe essere interessata da importante ricaduta di lapilli e cenere, con carichi per metro quadrato superiore ai 300 kg. Nel 1631 circa 100 km2 furono coperti da piu’ di 300 kg/m2. Le eruzioni esplosive provocano in genere perturbazioni atmosferiche che inducono forti piogge capaci di rimobilizzare la copertura piroclastica generando lahar e inondazioni. Sebbene esaltato in coincoidenza con le eruzioni, Il pericolo legato ai lahar deve essere considerato permanente nell’area circumvesuviana e non limitato ai momenti di attivita’, come tragicamente mostrato dai luttuosi eventi del 5-6 Maggio 1998 nell’area di SarnoQuindici, a Est del Vesuvio (oltre cento morti). In considerazione di cio’ e sulla base di semplici calcoli idrodinamici e’ stato necessario introdurre nella scenario su cui e’ basato il piano di emergenza una zona caratterizzata da alta probabilita’ di inondazione ed allagamenti: - la Zona Blu chepotrebbe essere soggetta a devastazioni connesse allo scorrimento di colate e torrenti fangosi ed ad inondazioni ed alluvionamenti anche estesi. I fenomeni potrebbero essere presenti, seppure con intensita’ minore, anche nel caso che il campo dei venti non portasse importante deposizione di piroclastiti sul bacino imbrifero della fossa di Nola. E’ ipotizzabile l’estensione della zona blu ai fondovalle del Clanio e del Quindici. Napoli Sant'Anastasia estensione massima delle colate e dei surges piroclastici Somma Vesuviana Pollena S. Sebastiano Ottaviano San Giuseppe V. Portici Terzigno Ercolano Boscoreale Torre del Greco Pompei Torre Annunziata 5 km Napoli nel 1631 durante gli eventi subpliniani durante gli eventi pliniani h= 0.3 km pend. = 16° h= 1.0 km pend. = 16° } da modelli fisici Somma Vesuviana Sant'Anastasia Pollena Ottaviano S. Sebastiano San Giuseppe V. limiti della Zona Rossa Portici Terzigno (confini amministrativi) Ercolano Torre del Greco Boscoreale Pompei Torre Annunziata 5 km Fig. 70 - Limiti della “Zona Rossa”, definiti dalle distanze percorse realmente nel passato da colate e surges piroclastici generati nel corso di eruzioni subpliniane (tipo quella del 1631 o del 472) e dalle distanze virtuali dedotte dall’applicazione di semplici modelli fisici . Ridisegnato da: Santacroce R et al. (2000): 50 collassi attesi dei solai carico Benevento % collassi 200 kg/m2 300 kg/m2 400 kg/m2 Caserta 7 19 Nola 42 Palma C. Avellino 200 NAPOLI Vesuvio Torre d.Gr. 400 300 Pompei 5 km Salerno Sorrento 0 7.5 km Eboli Battipaglia Zona Gialla Fig. 71 - Limiti della “Zona Gialla”, definiti dalle aree copribili da piu’ di 300 kg/m2 di piroclatiti di caduta nel corso di una eruzione del Veswuvio di magnitudo intorno a 0.1-0.2 km3. Sono riportate anche le isomasse al suolo relative a 200 e 400 kg/m2. Le linee tratteggiate mostrano le curve di isomassa al suolo misurate sui depositi dell’eruzione del 1631 (dati da Rosi et al. g.c.) e suggeriscono le dimensioni della zona gialla che potrebbero venire realmente danneggiate dalla caduta di piroclastiti nel corso di un’eruzione di quel tipo. L’inserto mostra la percentuale di solai che, sulla base di indagini preliminari di vulnerabilita’, potrebbero collassare nell’area vesuviana sotto i differenti acrichi ipotizzati. Ridisegnato da: Santacroce R et al..(2000). Fig. 72 - La “Zona Blu”, definisce le aree soggette a scorrimento di colate di fango e a inondazioni. L’area mostrata (a nordest del Vesuvio) e’ quella che piu’ facilmente sara’ sogetta ai fenomeni data la prevalena di venti dai quadranti sudoccidentali e la morfologia del 51 terreno particolarmente vulnerabile dell’area in azzurro (conca di Nola). I punti azzurri indicano i siti din cui c’e’ segnalazione storica di colate di fango.. Ridisegnato da: Santacroce R et al..(2000). 52