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Eruzioni vulcaniche

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Eruzioni vulcaniche
LE ERUZIONI VULCANICHE
Eruzione del 1944 del Vesuvio. Da Timelife, Volcano, 1982 Time-Life Books Inc.
I vulcani sono aperture sulla superficie terrestre dalle quali rocce fuse o gas o, in genere,
entrambi, fuoriescono dall'interno della terra. E sono anche i rilievi edificati intorno all'apertura
dall'accumulo del materiale emesso. E i vulcani sono pure l'insieme strutturale che, dalla zona profonda
di fusione attraverso la litosfera condiziona la risalita del fuso, il magma, fino alla superficie.
Da un punto di vista piu’ generale, in relazione al ruolo svolto dai vulcani nell’evoluzione
planetaria, essi possono essere considerati grandi separatori chimici di un fluido (il magma) da una
sorgente parzialmente fusa (generalmente il mantello), e il loro continuo funzionamento ha
progressivamente permesso la formazione dei diversi involucri che costituiscono le porzioni superiori
del globo terrestre.
Strutturalmente i vulcani possono essere ricondotti ad una geometria schematica nella quale si
distinguono quattro zone (fig. 2.1):
1) la zona di eruzione, che ha estensione verticale variabile (da decine di metri a qualche chilometro) e
comprende quella parte del sistema in cui il magma non e' piu' soggetto ad ostacoli passivi che ne
possano arrest are l'ascesa;
2) la zona di differenziazione, che comprende quella parte di crosta superiore nella quale i magmi
possono arrestarsi per tempi piu' o meno lunghi, cambiando la loro composizione a seguito di processi
1
piu' o meno complessi. La sosta del magma avviene in genere negli ultimi 10 km di crosta terrestre, in
corrispondenza di importanti discontinuita' litologiche e porta alla formazione delle cosidette camere
magmatiche;
3) la zona di alimentazione , che corrisponde al lungo percorso compiuto dal magma per trasferirsi dalla
zona di formazione alla superficie; essa puo’ essere identificata con lo spessore di litosfera al di sotto
del vulcano e si puo’ semplicisticamente assumere che nel corso dell’ascesa il magma non cambi le sue
caratteristiche fisico-chimiche;
4) la zona di produzione, che comprende quella porzione di involucro terrestre, in genere l’astenosfera,
nella quale le rocce si trovano in condizioni da fondere parzialmente. Il magma cosi’ formatosi percola
verso l'alto creando rivoli sempre piu' importanti che convergono in una zona di stoccaggio profondo
(spesso alla transizione tra mantello e crosta). Qui il magma si accumula fino a raggiungere condizioni
idonee perche' singole masse di fuso si stacchino ed inizino la loro risalita verso la superficie.
Fig. 2.1 - A sinistra: Ricostruzione di un vulcano dalle
radici alla superficie: il Kilauea nelel isole Hawaii visto
attraverso una accurata tomografia sismica ….. e un po’
di immaginazione. M.P.Ryan USGS Prof. Pap. 1350, 2,
cap.52; A destra: Rappresentazione schematica delle
diverse parti nelle quali e’ divisibile un sitema vulcanico
2
I prodotti che da un vulcano escono sulla superficie possono essere costituiti da frammenti di
rocce solide "vecchie", strappate dal substrato ed eiettate in superficie dai gas, oppure da materiale
"nuovo", allo stato liquido, originato dalla fusione parziale delle rocce della parte profonda del sistema.
Tale materiale si chiama “magma ”.
La fuoriuscita in superficie di gas e materiale gia' solido e/o ancora fuso e' una eruzione
vulcanica. Quando il materiale emesso e' rappresentato essenzialmente dal magma e dai gas da esso
liberatisi, l'eruzione e’ magmatica. L’eruzione e’ esplosiva se il magma e’ emesso in forma
frammentata, effusiva se invece il magma esce come continuo liquido (fig.2.2). Alcune eruzioni sono
caratterizzate dal coinvolgimento di gas generato dal riscaldamento di acqua esterna al magma: esse
sono dette idroeruzioni (o idroesplosioni). Molte idroesplosioni eiettano in superficie solamente
frammenti solidi di rocce preesistenti e prendono il nome di eruzioni freatiche. Altre emettono anche
brandelli e particelle di magma fuso e vengono chiamate eruzioni idromagmatiche (freatomagmatiche
se l'acqua non e' superficiale).
Fig.2.2 - a sinistra: Eruzioni effusive: una grande colata lavica dell’Etna si espande lentamente nella valle del Leone il 28
Settembre 1989. CNR-Gruppo Nazionale per la Vulcanologia, Mt. Etna: the 1989 eruption, Giardini, Pisa, 1990; a destra:
eruzione esplosiva del 21 Aprile 1990, vulcano Redoubt (Alaska). La colonna eruttiva si innalza non dal cratere ma da una
grande colata piroclastica che scorre sul fianco nord del vulcano. Una piccola colonna di vapore bianco esce dal cratere
sommitale. Foto di J.Warren tratta dal sito http://www.avo.alaska.edu/avo3/volc/redou/volcintro.htm
I prodotti emessi in forma frammentata, allo stato liquido o solido, prendono il nome di tefra (o
prodotti piroclastici), mentre il magma emesso come continuo liquido e’ chiamato lava (fig.2.3).
Le rocce che si formano per raffreddamento del magma sono dette rocce magmatiche o ignee.
Se il consolidamento si realizza dopo l'emissione in superficie le rocce sono chiamate estrusive
o vulcaniche, mentre, se il magma non raggiunge la superficie e il consolidamento avviene in
profondita', si formano le rocce intrusive o plutoniche.
Il raffreddamento e la solidificazione della lava porta alla formazione delle rocce effusive,
mentre rocce piroclastiche sono il risultato del consolidamento, talora per processi secondari, dei tefra.
L'apertura attraverso la quale il materiale vulcanico fuoriesce in superficie e' la bocca eruttiva,
ed il canale attraverso il quale il magma ris ale e' il condotto eruttivo. Se il condotto non e' tubulare ma
e' costituito da fratture, queste sono anche dette dicchi di alimentazione (fig.2.5).
Singole eruzioni, o eruzioni ripetute da una stessa bocca, in genere portano alla formazione di
colline o montagne di forma spesso abbastanza regolare: sono i coni vulcanici. La sommita' di tali coni
e' troncata ed occupata da una depressione a forma di scodella o di imbuto chiamata cratere.
3
La geometria del condotto e’ l’elemento che porta ad una prima distinzione a carattere
estremamente generale che classicamente viene ricordata al momento in cui si tenta di entrare nella
sistematica delle forme vulcaniche. Vulcani centrali sono quelli il cui condotto principale e’ "mono dimensionale", tubolare, mentre vulcani lineari sono quelli a condotto "bidimensionale", laminare.
Fig.2.3 - Lave e Tefra. A sinistra: la lava dell’eruzione del 1669 dell’Etna che copri’ vasta parte della citta’ di Catania
e circondo’ il Castello Ursino arrivando a circa un terzo della sua altezza. Tratto dal sito
http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_andman2.html .
A destra: Un deposito di pomici esposto vicino a Burfells (Islanda). Foto Colgan, tratto dal sito:
http://www.casdn.neu.edu/~geology
Fig.2.4 - Schema semplificato di un vulcano centrale e nomenclatura dei principali elementi strutturali
4
Fig.2.5 - Oltre che attraverso condotti “tubolari’, il magma risale attraverso fratture che prendono il nome di
dicchi di alimentazione. Nella figura sono mostrate le diverse geometria e i diversi rapporti con l’apparato
centrale che i dicchi possono avere.
Fig.2.6 - Vulcani centrali e vulcani lineari
A sinistra: un esempio geometricamente quasi perfetto di vulcano centrale: il cono del Karymsky (circa 1500 m) nella
penisola di Kamtchatka, situato al centro di una caldera di 5 km di diametro il cui bordo settentrionale e’ ben visibile a
destra nella foto. L’ultima eruzione del Karymsky risale al 1976. Foto del 1994-1995 Kamchatka Calendar tratta dal sito:
http://volcano.und.edu/vwdocs/volc_images/north_asia/kamchatka/Karymsky.html
A destra: Le dorsali oceaniche rappresentano l’esempio migliore di grandi vulcani lineari. L’immagine mostra la morfologia
(generata al computer) della dorsale del Pacifico Orientale, intorno a 9 gradi Nord. Il sottile asse centrale della dorsale, piu’
rilevato (in rosso), mostra l’area di massimo vulcanismo. La faglia trasforme di Clipperton taglia la dorsale al tetto della
figura. La vista e’ verso Nord. Da: U.S. Geological Survey's This Dynamic Earth, tratta dal sito:
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/Submarine/plates/diverg/fast.html
5
IL MAGMA
Il magma e’ una sostanza naturale ad alta temperatura, parzialmente o totalmente fusa, che
costituisce un sistema chimico-fisico complesso nel quale prevale una fase liquida di composizione
silicatica nella quale sono disciolte quantita’ variabili di specie gassose. In natura esistono anche liquidi
magmatici a prevalente composizione carbonatica (magmi carbonatitici), ma si tratta di casi rari e
particolari su cui non ci soffermeremo.
Le proprieta' fisiche dei magmi sono sostanzialmente riconducibili alle proprieta' degli ioni Si4+
e O2- che di essi sono i costituenti piu' importanti. Il Silicio ha alta carica (4+), piccolo raggio ionico
(0.39Å) e numero di coordinazione 4 con l'Ossigeno. Cio' fa si' che le sue forze di campo ionico e di
legame con l'Ossigeno siano molto piu' forti di quelle degli altri ioni piu' comuni. L'Alluminio ha
legami meno forti del Silicio ma piu' forti rispetto a Ca, Mg, Na, ecc. Sotto certi aspetti Si ed Al
giocano ruoli analoghi nei solidi cristallini e vetrosi. I moderni concetti sullo stato strutturale dei liquidi
silicatici sono basati sul modello di Zachariasen, secondo il quale, in tali liquidi, gli atomi sono legati
tra loro da forze simili a quelle che agiscono tra gli stessi atomi nei cristalli, mancando pero' di
simmetria e di catene a lungo periodo. Gli anioni O2- sono quindi gia' distribuiti ai vertici di unita'
strutturali fondamentali tetraedriche, centrate da cationi Si4+o Al3+. In fusi molto ricchi di silice i
tetraedri [SiO 4]4- sono legati tra loro in polimeri piu' o meno complessi mentre gli altri cationi tendono
a legarsi con l'Ossigeno genererando legami ionici piu' deboli e riducendo il grado di polimerizzazione
del sistema.
Si4+ e, in minor misura, Al3+, possono essere quindi definiti come cationi “costruttori di
reticolo", mentre i cationi che occupano posizioni intratetraedriche sono detti "modificatori di
reticolo". Questi ultimi possono essere accomodati in quantita' fino al 20% del totale dei cationi senza
che il reticolo tridimensionale dei tetraedri si rompa in unita' minori.
Fig.2.7 - Il magma e’ un liquido ricco in silice la cui struttura puo’ essere studiata su ve tri sintetici di
composizione opportuna. La struttura di un vetro e’ infatti analoga a quella del liquido che, per brusco
raffreddamento, lo ha generato. I tetraedri che costituiscono l’unita’ strutturale fondamentale dei silicati
sono rappresentati da triangoli gialli al cui centro e’ situato il Silicio (o l’Alluminio), rappresentato da
6
punti piccoli blu, e il cui vertice perpendicolare al foglio e’ occupato da Ossigeno, rappresentato da
cerchi vuoti
La complessa struttura dei liquidi silicatici si riflette sulle loro proprieta' fisiche; fra di esse di
particolare interesse vulcanologico sono la viscosita' e la densita', perche' tali proprieta' condizionano
fortemente le modalita' di risalita e fuoriuscita dei magmi.
Composizione dei magmi
I magmi sono sistemi multicomponenti, chimicamente complessi, variabili in composizione,
temperatura, contenuto di cristalli e di volatili.
La variabilita’ dei magmi riflette la diversita’ della loro storia evolutiva. La loro generazione
avviene in genere per fusione parziale dell’astenosfera, ma puo’ realizzarsi anche per fusione di rocce
della crosta terrestre (magmi anatettici). Dopo la formazione, essi possono subire cambiamenti
considerevoli prima di arrivare in superficie. Essi possono fermarsi per tempi anche molto lunghi in
camere magmatiche piu' o meno superficiali e modificare la loro composizione chimica in seguito a
processi di cristallizzazione e segregazione dei cristalli formati (frazionamento dei magmi), oppure di
reazione con le rocce che li circondano (assimilazione). Molte camere magmatiche funzionano come
sistemi aperti: esse possono essere periodicamente rifornite e periodicamente svuotate; tra magmi di
nuovo arrivo e magma residente si realizzano allora processi di mescolamento.
I principali fattori che controllano le caratteristiche chimiche e mineralogiche dei magmi emessi
sono:
1la natura della "sorgente", della roccia cioe' che, fondendo parzialmente, genera i
magmi;
2il grado di fusione parziale della sorgente;
3il grado di cristallizzazione del magma formato;
4l'entita' del frazionamento di cristalli subito dal magma;
5l'entita' della "contaminazione" subita dal magma al contatto con le rocce incassanti;
6l'entita' del mescolamento tra magmi e la loro composizione.
Fusione Parziale
percentuali di fusione uguali
di rocce diverse danno luogo a
fusi a composizione diversa
percentuali di fusione diverse
di rocce uguali danno luogo a
fusi a composizione diversa
fuso
Frazionamento
man mano che il magma raffredda esso cristallizza; i cristalli hanno
composizione diversa da quella del magma; il liquido residuo ha
composizione diversa da quello iniziale
raffreddamento
fuso
cristalli
liquido
iniziale
fuso
fuso
=
+
liquido
residuo
Fig.2.8 - A sinistra: La fusione di una roccia costituita da minerali diversi e’ un processo che inizia a temperatura fissata
dalla natura dei componenti e dalla pressione, ma che puo’ abbracciare un intervallo di temperatura piu’ o meno ampio in
funzione delle proporzioni tra i minerali. La frazione di roccia che fonde e’ tanto maggiore quanto piu’ la temperatura e’ al
di sopra della temperatura di inizio del processo, e la composizione del fuso varia, oltre che al variare della roccia-madre, al
variare di tale frazione. A destra: Un liquido magmatico raffreddando, cristallizza parzialmente lasciando liquidi sempre
meno caldi e a composizione sempre diversa dal liquido iniziale. I cristalli hanno in genere densita’ superiore al liquido e in
determinate circostanze possono separarsi da esso. I processi di questo tipo prendono il nome di “frazionamento”.
7
raffreddamento del magma
riscaldamento e fusione dell'incassante
liquido
iniziale
=
+
liquido
residuo
fuso neogenerato
+ +
residuo
refrattario
cristalli
rocce incassanti
Assimilazione
Al contatto con rocce piu' fredde il magma cede calore,
raffredda e quindi cristallizza. Se la quantita' di calore
ceduto e' sufficiente a fondere porzioni dell'incassante, tra
liquido residuo e fuso neogenerato si potra' avere
mescolamento
magma
contaminato
cristalli formatisi
dal magma caldo
magma piu' freddo
(residente)
+
magma
piu' caldo
=
+
magma
ibrido
(mescolato)
Mescolamento tra magmi
Fig.2.9 - A sinistra: il processo di “digestione” da parte di un magma di porzioni piu’ o meno cospicue di
rocce solide prende il nome di assimilazione. Da notare che il magma “contaminato” che il processo
produce, puo’ contenere minerali in totale disequilibrio e di provenienza totalmente diversa. A destra:
quando due masse magmatiche a temperatura e composizione diversa vengono a contatto, la piu' calda
cede calore, raffredda e cristallizza mentre la piu' fredda si scalda (ed i cristalli che eventualmente essa
conteneva fondono). All'equilibrio termico i due liquidi si mescolano (con tempi che dipendono dal
rapporto tra le loro viscosita') e formano magmi ibridi.
In conseguenza del diverso combinarsi di questi fattori i magmi possono avere composizioni assai
diverse. Tali composizioni possono essere studiate solo in parte (attraverso l’analisi delle rocce
vulcaniche e magmatiche in generale), dal momento che, nel corso dell’eruzione o anche della
migrazione verso la superficie, gran parte dei gas si separano dal fuso e abbandonano il sistema.
Nei magmi eruttati, e quindi nelle rocce vulcaniche, sono solo 10 gli elementi chimici che,
insieme, costituiscono piu' del 99% di tutto il materiale presente sulla Terra, con l'ossigeno che , da solo,
ne forma quasi il 50%. Dal momento che le proporzioni tra l'ossigeno e gli altri elementi sono fissate
dalle rispettive valenze, e' abitudine riportare le composizioni di magmi e rocce in termini di ossidi
piuttosto che di elementi. Una tale procedura non e’ altro comunque che un metodo conveniente di
schedatura chimica per tabulare e confrontare tra loro composizioni le unita' essenziali sono in realta'
ioni e gruppi ionici.
Il costituente piu' abbondante delle rocce magmatiche e' la silice (SiO2) che varia tra valori
minimi di 35-40% in peso a valori massimi superiori al 75%. L’aumentare del contenuto in silice e’
accompagnato da diminuzioni piu’ o meno rego lari di tutti gli altri componenti tranne gli alcali (Na2O e
K2O). Semplificando in maniera brutale, i magmi (e le rocce magmatiche) relativamente ricchi in
elementi che costituiscono i minerali che si formano temperatura piu’ alta (Mg, Ca) possono essere
8
considerati piu’ “primitivi” dei magmi ricchi invece in elementi (Na, K) che entrano preferibilmente nei
minerali “piu’ freddi”.
Tabella 2.1 - Abbondanza media degli elementi nelle rocce vulcaniche
elemento
% in peso
ossigeno
46.42
silicio
27.59
alluminio
8.08
ferro
6.08
calcio
3.61
sodio
2.83
potassio
2.58
magnesio
2.09
titanio
0.72
fosforo
0.16
altri
0.84
Tabella 2.2 - Abbondanza media dei principali ossidi nelle rocce.
basalto
SiO2
TiO2
Al2O3
Fe2O3
FeO
MnO
MgO
CaO
Na2O
K2O
P2O5
49.2
1.8
15.7
3.8
7.1
0.2
6.7
9.5
2.9
1.1
0.4
hawaiite
47.5
3.2
15.7
4.9
7.4
0.2
5.6
7.9
4.0
1.5
0.7
mugearite trachite andesite dacite
50.5
2.1
16.7
4.9
5.9
0.3
3.2
6.1
4.7
2.5
0.7
61.2
0.7
17.0
3.0
2.3
0.1
0.9
2.3
5.5
5.0
0.2
57.9
0.9
17.0
3.3
4.0
0.1
3.3
6.8
3.5
1.6
0.2
latite
65.0
0.6
15.9
2.4
2.3
0.1
1.8
4.3
3.8
2.2
0.2
61.2
0.8
16.0
3.3
2.1
0.1
2.2
4.3
3.7
3.9
0.3
riolite
72.8
0.3
13.3
1.5
1.1
0.1
0.4
1.1
3.6
4.3
0.1
basa nite tefrite
44.3
2.5
14.7
3.9
7.5
0.2
8.5
10.2
3.5
2.0
0.7
47.8
1.8
17.0
4.1
5.2
0.2
4.7
9.2
3.7
4.5
0.6
fonolite
56.2
0.6
19.0
2.8
2.0
0.2
1.1
2.7
7.8
5.2
0.2
Nefelinite
40.6
2.7
14.3
5.5
6.2
0.3
6.4
11.9
4.8
3.5
1.1
Fig.2.10 - Contenuto relativo di alcali e SiO2 nelle rocce vulcaniche e nei magmi.
Le variazioni reciproche dei componenti chimici delle rocce magmatiche non seguono quindi
leggi stocastiche ma mostrano tra loro relazioni razionali, spesso di valore generale, che sono il risultato
9
dei processi liquido-cristalli che sono alla base delle maggiori variazioni' composizionali dei magmi. A
livello di regolarita' di variazione la somma degli alcali (Na2O+K2O) e la silice sono i due parametri piu'
significativi, le cui variazioni reciproche permettono di definire con buona approssimazione i campi
occupati dai principali t ipi di roccia vulcanica (e di magmi). Si trova quindi che tutte le rocce di un certo
tipo, cioe' con un certo nome (definito storicamente su basi mineralogiche, o chimiche) cadono in una
campo relativamente ristretto di variabilita' SiO 2-( Na2O+K2O) (fig.2.10).
I volatili nei magmi - La natura dei gas magmatici (“componenti volatili”) puo’ essere studiata
attraverso il campionamento e l’analisi diretta delle emissioni da fumarole o da colate laviche, come
pure attraverso l’analisi della composizione di piccole porzioni di fuso intrappolate da cristalli
(“inclusioni vetrose e fluide”). Nel primo caso la precisa stima della composizione dei gas
originariamente liberatisi dal magma e’ difficoltosa a causa delle reazioni che si svolgono
successivamente all’interno della miscela gassosa e tra gas e ambiente al variare di temperatura e
pressione. Per una stima della composizione pre-eruttiva dei gas, le composizioni misurate vanno
sempre corrette e trasformate in concentrazioni di equilibrio e devono essere associate a un analisi dei
prodotti degassati. Nel secondo caso si possono ottenere informazioni affidabili sulla quantita’ e natura
dei volatili presenti nel magma, ma le dimensioni del campione impediscono in genere l’analisi delle
specie meno abbondanti.
Fig.2.11 - Fumarola del vulcano Kilauea (isole Hawaii). Cristalli gialli di Zolfo nativo si
sono depositati attorno alla fenditura fumarolica per raffreddamento dei vapori ricchi in
Zolfo elementare. Foto di R.L. Christiansen, 1973. Tratta dal sito:
http://volcanoes.usgs.gov/Products/Pglossary/fumarole.html
L’analisi diretta dei gas vulcanici ha mostrato che essi contengono un limitato numero di
elementi come specie molecolari diverse: H, C, O, S, N, Cl, F, Br. L’idrogeno e’ l’elemento piu’
abbondante, essenzialmente presente come H2O e, in misura molto minore come H2. L’anidride
carbonica CO2 e’ dominante tra le specie del Carbonio, tra le quali e’ presente anche CO. L’anidride
solforosa (SO2) e il solfuro d’idrogeno (H2S) sono le specie principali dello Zolfo. Gli alogeni sono
essenzialmente presenti come acidi (HCl, HF, HBr), mentre l’azoto e’ presente esclusivamente come N2.
I rapporti tra le diverse specie sono abbastanza variabili da vulcano a vulcano, ma in ogni caso H2O e
CO2 sono sempre le specie di gran lunga predominanti.
10
Fig.2.12 - Composizione di equilibrio (temperature e pressione sono indicate) di gas campionati nel corso di eruzioni
La quantita’ di volatili disciolti nei magmi prima dell’essoluzione e’ assai variabile. I magmi piu’
primitivi sono in genere i piu’ poveri in volatili (spesso con un contenuto complessivo inferiore all’1%
in peso). Al diminuire della temperatura e all’aumentare del grado di evoluzione de l magma quasi tutte
le specie volatili tendono ad aumentare la loro concentrazione nel fuso (con l’eccezione delle specie
dello S). Le concentrazioni massime complessive, per magmi stagnanti a medio-bassa pressione, non
dovrebbero superare il 5 -6% in peso.
11
Temperatura e densita’ dei magmi - A pressione atmosferica, i magmi hanno temperature e densita’
comprese rispettivamente tra 700 e 1200°C e 2300 e 2700 kg/m3. La variabilta' delle temperature e
delle densita’ delle diverse composizioni di magma e' abbastanza limitata e tipica di ciascuna
composizione. I magmi piu’ “freddi” (e quindi piu’ evoluti) sono anche i meno densi in virtu’ della loro
composizione, povera negli elementi piu’ pesanti (essenzialmente Fe) e ricca in quelli piu’ leggeri
(essenzialmente silicio e alluminio). Temperatura e densita’ aumentano con l’aumentare della
pressione.
La temperatura dei magmi puo’ essere misurata direttamente sulle colate di lava attraverso
termocoppie inserite nella lava o pirometri per la misura a distanza, oppure valutata attraverso lo studio
dei cosidetti “geotermometri” (associazioni di minerali e minerali-vetro la cui composizione e’ molto
sensibile alle variazioni di temperatura) e delle inclusioni vetrose nei minerali.
Fig. 2.13 - La variabilita' della composizione e della temperatura dei magmi
Fig.2.14 -Misure di temperatura delle lave. A sin: misura attraverso termocoppie inserite direttamente nella colata. Nel caso
fotografato la misura e’ facile perche’ il flusso di lava e’ quasi fermo, e’ comodo avvicinarsi ad esso e restarci il tempo
sufficiente perche’ la termocoppia si equilibri nel fuso (foto di P. Mouginis-Mark). Ma non e’ sempre cosi’, e un famoso
vulcanologo, George Walker, una volta ebbe a dire: “la temperatura di una colata di lava e’ inversamente proporzionale al
confort del vulcanologo che fa la misura!”. A destra: misurata a distanza attraverso strumenti all’origine predisposti per
misurare le temperature negli altoforni. Tratte dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/
1
Fig. 2.15 - Da sinistra: variazione della densita' dei magmi in funzione della temperatura (pressione = 1 bar), della
pressione e della composizione, espressa dal contenuto in silice.
Termometria ottica - Un cristallo in crescita da un magma puo’, in particolari circostanze (per es. una
crescita rapida), intrappolare piccolissime gocce del fuso dal quale si sta formando. Nelle rocce
vulcaniche (soprattutto se piroclastiche) queste gocce di magma appaiono “congelate” nel minerale che
le ospita e sono costituite da vetro e da una bolla dovuta alla contrazione differenziale del vetro rispetto
al cristallo.
La tecnica fondamentale nello studio termometrico delle inclusioni e’ basata sull'osservazione al
microscopio ottico dei cambiamenti nelle inclusioni in condizioni di riscaldamento controllato. La
temperatura alla quale si ha omogenizzazione totale dell'inclusione in una sola fase liquida dopo la
fusione del vetro (con riassorbimento della bolla di contrazione) può essere considerata equivalente alla
temperatura minima di intrappolamento che, vista la relativa incompressibilità dei liquidi silicatici (che
rende trascurabile la correzione per la pressione), la temperatura di omogenizzazione viene considerata
equivalente alla temperatura di cristallizzazione del minerale ospite.
Viscosita’ dei magmi - Si puo’ definire viscosita' la resistenza opposta da una sostanza a deformarsi
sotto l'azione di una sollecitazione meccanica. Per sostanze fluide la viscosita’ e’ la resistenza opposta
allo scorrimento.
dx/dt
σ
z
2
Una forza di taglio σ applicata ad un fluido imprime ad esso una velocita' dv=dx/dt che dipende da una
costante propria del fluido che e’ la viscosita’ η.
σ = η(dx/dt)
All'interno del suo spessore z, il fluido e' caratterizzato da un gradiente di velocita' (dv/dz). Si ha
quindi:
σ = η(dv/dz)
Per uno stress applicato costante, ugualmente costante sara' la velocita' di flusso. Al momento in cui lo
stress e' rimosso il liquido smette di fluire. La viscosita' tangenziale nei fluidi e' allora definita dal
rapporto tra lo sforzo applicato e la "deformazione" (espressa da un gradiente di velocita'):
Fig.2.16 - I diversi possibili comportamenti in un
diagramma che illustra la velocita’ acquisita da un fluido
viscoso in relazione alla forza ad esso applicata.
OA
=
fluido newtoniano a bassa viscosita'
OB
=
fluido newtoniano ad alta viscosita'
OCD
=
fluido di Bingham con soglia di
snervamento = OC
OEF
=
fluido pseudoplastico
I fluidi che seguono questa legge, conosciuta come legge di Newton della viscosita’, vengono
detti newtoniani. In un grafico [σ in funzione di dv/dz] il loro comportamento e’ rappresentato da rette
passanti per l'origine, con pendenza uguale a η.
Esistono altri fluidi, non newtoniani, che hanno comportamento diverso. In particolare lo
scorrimento dei fluidi detti di Bingham e’ condizionato dal superamento di una soglia minima di sforzo
applicato (limite di plasticita’ o soglia di snervamento). Quando tale soglia e’ superata, il
comportamento di questi fluidi diviene identico a quello dei fluidi newtoniani.
L’unita’ di misura della viscosita’ nel sistema CGS e’ il poise che corrisponde alla forza che deve
essere applicata su un cm2 di superficie per mantenere una differenza di velocita’ di un cm/s tra due strati
distanti un cm. Nel sistema SI l’unita’ di misura e’ il Pascal secondo (Pa s = 10 poise).
3
Fig.2.17 - La notevole variabilita’ della viscosita’ dei
magmi e’ valutabile attraverso le forme della lava
raffreddata. Sin. alto
: lava basaltica a bassa viscosita’,
Hawaii 1987; sin. basso: lava riolitica ad alta viscosita’,
Lipari; destra: lava ad altissima viscosita’, “spina” del
vulcano La Pelee’ (Martinica) estrusa alal fine dell’eruzione
del 1902
I principali fattori che influiscono sulla viscosita’ dei magmi sono: la composizione chimica, la
temperatura, il contenuto in elementi volatil, il contenuto in particelle solide.
Piu’ alto e' il contenuto in silice, piu' alta e' la viscosita'. Lo stato strutturale dei fusi silicatici da’
ragione del ruolo del silicio nell'aumentare la viscosita' del fuso, nonche' del ruolo degli ioni a debole
carica nel diminuirla.
Piu' alta e' la temperatura, piu' bassa e' la viscosita'. La variabilita' della temperatura delle diverse
composizioni magmatiche reali e' modesta, essendo in genere il campo delle temperature abbastanza
tipico di ogni composizione. I magmi hanno infatti scarsa capacita' di fluire a temperature
significativamente inferiori alle loro temperature di totale fusione (detta anche temperatura di liquidus),
e, d'altra parte, e' molto difficile che in natura si formino magmi soprariscaldati.
Quando i volatili sono disciolti nel magma essi tendono ad abbassarne la viscosita'. All'interno
del fuso essi sono infatti generalmente presenti come anioni monovalenti (F-, Cl-, OH-, HCO3-, ecc.) che,
sostituendo l'ossigeno ai vertici dei tetraedri, impediscono la connessione tra tetraedri, interrompendo la
catena - O - Si - O - Si - OH. Diverso e' il discorso quando le condizioni del sistema inducono la
liberazione dei gas che formano bolle che tendono ad abbandonare il magma. Il sistema e' allora bifase
(gas+liquido) e la parte liquida, impoverita in volatili, sara' piu' viscosa del sistema omogeneo (monofase
liquido) di partenza; ma la miscela liquido + bolle (di fatto una schiuma) nel suo complesso avra'
viscosita' inferiore a quella del monofase liquido.
Le particelle solide presenti nei fusi silicatici possono essere costituite da cristalli o da xenoliti.
La loro presenza aumenta la viscosita' del magma semplicemente a causa degli effetti di frizione.
Conseguenza di cio' e' anche l'aumento marcato della soglia di snervamento nei fusi silicatici quando il
liquido comincia a cristallizzare.
4
108
108
riolite
riolite (900°C)
106
106
dacite
dacite (1000°C)
104
104
andesite (1150°C)
andesite
102
1150°
102
1050°
basalto 1250°
1
1
basalto (1250°C)
10
20
30
40 50
volume % di cristalli
800 1000 1200 1400
temperatura (°C)
0
1
2
H 2O % in peso
3
Fig.2.18 - Variazioni della viscosita' dei fusi magmatici. A sinistra: in funzione della temperatura alla pressione di 1
bar. (tutte le composizioni sono prive di volatili); al centro: in funzione della quantita' di cristalli presenti nel fuso.
(valori calcolati per una tefrite leucititica del Vesuvio con contenuto in H2O costante di 0.7% in peso); a destra: in
funzione del contenuto in acqua disciolta, con temperatura costante per ogni composizione e pressione di 1 bar
La solubilita’ dei componenti volatili nei magmi - Una delle caratteristiche piu' tipiche dell'attivita'
vulcanica e' la liberazione, qualche volta tranquilla, qualche altra violentissima, dei gas contenuti nel
magma.
0.3
2000
3 kb
1500 2 kb
0.2
1000
1 kb
0.1
500
10
0
2
4
6
8
H2O peso %
8
riolite (850°C)
6
4
basalto (1200°C)
2
0
1
2
3
Fig.2.19 - Solubilita' dei volatili nei fusi silicatici: a
sinistra: la solubilita' dell'acqua e della CO2 e' maggiore
nei fusi riolitici che in quelli basaltici. A destra:
composizioni di saturazione H2O+CO2 a diverse pressioni
(fase vapore presente) in fusi riolitici a 850 gradi e saturi
in H2O+CO2. Ridisegnato da Wallace & Anderson, 2000,
Encyclopedia of Volcanoes, Academic Press, san Diego
4
Pressione (kb)
Nel corso della sua risalita verso la superficie il magma, contenente volatili disciolti, raggiunge
ad un certo momento, per decompressione, la sovrasaturazione in tali componenti. Essi si liberano e
tendono ad abbandonare il sistema che ora e’ costituito da un fuso silicatico, particelle solide e gas in
svolgimento. Le diverse modalita' di formazione del piromagma condizionano le differenti tipologie di
eruzione vulcanica.
5
I dati esistenti indicano comunque che la componente di gran lunga prevalente tra le specie
volatili disciolte nel magma e' l'H2O, cui si associano quantita', talora rilevanti di CO2, mentre minore
abbondanza presentano HCl, HF, H2S, SO2, SO3, S, gas rari, N2, NH3.
In linea di principio, nei magmi silicatici, la solubilita' di ogni componente volatile
1. aumenta all'aumentare della pressione
2. diminuisce all'aumentare della temperatura
3. diminuisce all'aumentare della quantita' degli altri volatili
4. varia di poco, a T costante, al variare della composizione del fuso
Formazione e migrazione dei magmi
Il mantello terrestre e' un solido cristallino che si trova ad una temperatura in genere vicina alla
sua temperatura di solidus (cioe' la temperatura alla quale esso comincia a fondere). In circostanze
adatte e particolari, esso puo’ arrivare ad intersecare la curva del solidus, tipica della sua composizione
e delle condizioni fisiche (essenzialmente la pressione) che le competono. Si formano allora quantita' di
liquido variabili in funzione della quantita' di calore disponibile. In prima approssimazione il grado di
fusione parziale e’ proporzionale alla differenza (∆T) tra la temperatura a cui il processo sta avvenendo
e la temperatura di solidus:
∆T=(Ql/Cp)f
dove Ql e' il calore latente di fusione, Cp il calore specifico del liquido a pressione costante e f la
porzione di fuso formata (da 0 a 1).
Fig.2.20 - Diagramma semplificato che mostra come il
gradiente geotermico medio
(geoterma) non sia
compatibile con l'inizio della fusione ("solidus") di un
mantello "normale" (cioe' anidro). La generazione di
magma puo' avvenire per fusione per decompressione in
seguito a risalita di mantello (freccia nera) o per fusione
di mantello modificato da fluidi, che ne abbassano la
temperatura di solidus (solidus idrato). Modificato da
Perfit M.R. & Davidson J.P, 2000: Plate tectonics and
Volcanism, in Encyclopedia of Volcanoes, Academic
Press.
In condizioni "normali" il mantello (costituito da rocce peridotitiche) e' secco e l'aumento di
temperatura con la profondita' (indicato dalla geoterma) non e' compatibile con l'inizio della fusione
("solidus"). I magmi si formano attraverso due meccanismi connessi a particolari condizioni
geodinamiche:
1. fusione parziale di un mantello normale (secco) causata da una diminuzione di pressione connessa
alla risalita di masse calde profonde (vulcanismo dei punti caldi e dei margini divergenti);
6
2. fusione parziale di un mantello modificato da fluidi che idratano il mantello e ne abbassano la
temperatura di solidus (vulcanismo dei margini convergenti).
Il magma si forma per lo piu’ a seguito della fusione parziale di peridotiti del mantello
astenosferico. In un tale sistema, plastico ad alta viscosita’, quando sufficiente liquido e' prodotto (il
sistema diventa permeabile), esso puo' migrare verso la superficie mentre la matrice solida e’ libera di
deformarsi, collassando. La mobilita' del liquido prodotto viene controllata essenzialmente da tre
parametri: (1) la gravita', che agisce sul contrasto di densita' liquido/solido; (2) la presenza eventuale di
pressioni differenziali che possono facilitare la risalita del liquido; (3) le variazioni di energia di
superficie, che favoriscono la concentrazione del liquido in corrispondenza degli spigoli lungo i quali si
realizza un contatto multiplo tra granuli minerali (giunzioni triple).
In queste condizioni il magma si sposta con una velocita’ (Vm) che dipende dalla viscosita’ e
dalla densita’:
Vm = ∆ρgR2f/ηX
dove ∆ρ e’ il contrasto di densita' tra roccia e magma, g e' l'accelerazione di gravita', R il raggio
medio dei cristalli, f la frazione di fuso formato, η la sua viscosita', X una costante che dipende dalla
porosita' e permeabilita' del mezzo e dalle dimensioni dei canali di scorrimento.
La mobilita' del magma e' quindi tanto maggiore quanto piu' leggero e' il liquido rispetto al
solido, e quanto meno viscoso e' il liquido.
Cio' significa che quando il magma in migrazione incontra rocce a densita' minore di quelle a
cui si era formato, esso rallentera' e potra' accumularsi; una situazione analoga si potra' avere a seguito
di un rallentamento legato ad un aumento di viscosita' della testa della colonna in risalita se questa, per
esempio, incontra rocce piu' fredde.
Quando il magma raggiunge gli strati superiori dell'involucro terrestre (la litosfera) esso e'
soggetto a meccanismi di trasferimento condizionati dal comportamento rigido del mezzo attraversato.
Vari meccanismi possono essere invocati per la risalita dei magmi:
- "fusione zonale" e “stoping” (il magma risale fratturando e fondendo in parte le rocce sovrastanti i
cui residui affondano nel liquido);
- tettonica compressiva o traslazionale che "strizzerebbe" il magma verso la superficie);
- “galleggiamento” del magma all'interno di rocce piu' dense.
7
Fig.2.21 - Fratture riempite di lava (“dicchi”) nell’isola di Tenerife (Arcipelago delle Canarie, foto Santacroce a
sin.) e nella Provincia del Capo, Sud Africa (foto D.L. Reid, A.J. Erlank ,D.C. Rex, S. Afr. J. Geol., 1991).
http://www.uct.ac.za/depts/geolsci/dlr/karoo.html
Nel corso dell’ascesa il magma potra' in realta' seguire leggi diverse a causa della variabilita' dei
caratteri fisici della litosfera, ma il meccanismo certamente piu’ frequente e' la migrazione del magma
all’interno di fratture, di cui sono evidenza i “dicchi” che tagliano i fianchi erosi di molti vulcani, ma
anche il basamento sedimentario o metamorfico o il mantello litosferico. Il progressivo accumulo di
magma alla base della litosfera puo’ creare una sovrapressione sufficiente ad originare una frattura che
si apre lentamente dal basso verso l'alto. Il magma riempie la frattura fino a che essa raggiunge una
lunghezza critica, superata la quale la frattura migra lentamente verso l'alto richiudendosi verso il basso
con una velocita' di risalita che dipende dal contrasto di densita' tra magma ed incassante.
Fig.2.22 - Dicchi emergenti per erosione differenziale - Isola di Tenerife (arcipelago delle Canarie) Foto Santacroce
8
Al passaggio mantello litosferico-crosta (“Moho”) la densita' delle rocce incassanti si abbassa ed
ai magmi (in genere piu' densi) e' preclusa la risalita per semplice contrasto di densita'. Ma l’apertura
della frattura comporta la depressurizzazione del magma alla base della frattura stessa, con conseguente
abbassamento della solubilta' dei volatili e liberazione di bolle di gas. Queste “gonfiano” il fuso, ne
riducono la densita' apparente e lo trascinano verso l'alto.
La propagazione delle fratture e’ facilitata ed accelerata da un altro fenomeno: i volatili liberati
dal magma alla punta della frattura sono chimicamente aggressivi (HCl, HF, H2S, ecc.) e, reagendo con
l'incassante, ne riducono significativamente la resistenza alla fratturazione: ne conseguira' che la frattura
potra' propagarsi anche senza aver raggiunto la sua lunghezza critica.
La fuoriuscita del magma
I volatili disciolti nel magma condizionano in larga misura la natura delle eruzioni vulcaniche. Al
momento della loro formazione i magmi sono in genere lontani dalla saturazione in volatili, ma nel
corso della risalita verso la superficie essi si avvicinano progressivamente alle condizioni di saturazione.
Sappiamo infatti che la solubilita' dei volatili nel magma diminuisce al diminuire della pressione e
quindi, in prima approssimazione, della profondita'. Quando la loro pressione parziale uguaglia la
pressione confinante, i volatili cominceranno a liberarsi dal magma come fase indipendente (essoluzione
dei gas). Piu' alto e' il contenuto in volatili disciolti, piu' elevata sara’ la profondita' alla quale comincia
l'essoluzione.
L'essoluzione dei componenti volatili indotta dall’abbassamento di pressione prende il nome di
essoluzione per decompressione o ebollizione primaria dal momento che essa si riflette nella
formazione di bolle che tenderanno ad abbandonare il sistema. In questo esse sono pero’ ostacolate dalla
viscosita’ del fuso, che aumenta anche in relazione alla essoluzione dei volatili.
Al crescere della quantita' di bolle che non riescono a liberarsi, il rapporto di volume gas/liquido
aumenta, il sistema “gonfia” e, in condizioni di condotto non ostruito, la velocita' di risalita aumenta.
Se il magma esce in questa condizione (cioe’ come liquido continuo contenente una quantita'
variabile di bolle), si avra’ l’emissione di colate laviche e l’eruzione sara’ detta effusiva. Ma nei magmi
piu’ ricchi in gas, che sono anche i piu’ viscosi, la superficie di essoluzione e’ piu’ profonda e l'aumento
del rapporto tra bolle incapaci di abbandonare il sistema e liquido puo’ proseguire fino a essere non piu'
compatibile con un sistema liquido continuo: si arriva cosi’ alla frammentazione del magma, che
uscira' in superficie come miscela gas-particelle liquide (e solide). Sono queste le eruzioni esplosive.
9
Fig.2.23 - Eruzioni effusive ed eruzioni esplosive. Le eruzioni effusive sono legate a magmi piu’ poveri in
volatili e, in genere, meno viscosi. La superficie di essoluzione dei volatili e’ abbastanza superficiale. I
magmi emessi nel corso delle eruzioni esplosive sono piu’ ricchi in volatili, piu’ freddi e piu’ viscosi. Di
conseguenza piu' elevata e' la profondita' alla quale comincia l'essoluzione dei gas e maggiore e’ la
difficolta’ dei gas essolti a liberarsi. Quando il rapporto tra bolle e liquido raggiunge un valore limite non
piu' compatibile con un sistema liquido continuo il magma frammenta (e livello di frammentazione e' detta
la profondita' nel condotto a cui il fenomeno si verifica).
Fig. 2.24 - Sopra: Spettacolare visione notturna di una
modesta esplosione stromboliana del Cerro Negro, un
vulcano del Nicaragua, nel 1968. Copyright Robert Decker ,
dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/. A destra litografia di
V.Day e figlio raffigurante una fase esplosiva dell’eruzione
del Vesuvio dell'ottobre 1822. In G. Poullet Scrope,
Masson, 1864. http://www.dgv.unina.it/vesuvio/XIXb.html
10
LA DISTRIBUZIONE DEI VULCANI SULLA SUPERFICIE TERRESTRE
La maggior parte dei vulcani attivi si trova distribuito nelle zone di espansione e di subduzione.
E’ in corrispondenza di tali aree, infatti, che, all'interno della Terra, si realizzano le condizioni per la
formazione dei magmi e per il loro trasporto verso la superficie terrestre. Alcuni vulcani sono pero’
ubicati all’interno delle placche, in connessione a situazioni geodinamiche particolari: “punti caldi” e
“rifts continentali”.
Vulcani delle zone di espansione
Piu’ del 60% del magma che fuoriesce sulla superficie terrestre si forma lungo i margini
divergenti, in corrispondenza delle dorsali medio-oceaniche (che non sempre si trovano, pero’, in
mezzo agli oceani). Esse costituiscono catene lunghe migliaia di chilometri che si elevano per 10003000 m. dal fondo degli oceani e rappresentano il piu’ grande e continuo sistema vulcanico della Terra.
Fig.2.26 - Sezione schematica attraverso una dorsale oceanica. Le frecce nere mostrano le linee di flusso
divergenti e simmetriche del mantello astenosferico al di sotto della zona assiale. Al di sopra di una certa
profondita' l'astenosfera in risalita incontra condizioni che ne provocano la fusione parziale e i fusi si
muovono convergendo verso l’asse della dorsale. Da qui, attraverso processi piu’ o meno complessi, essi
fuoriescono creando nuova crosta oceanica. L'astenosfera “impoverita” da questo processo continua a
risalire e, fluendo lateralmente, va a formare nuovo mantello litosferico, anch’esso
“impoverito”.Ridisegnato da S.J. Sparks, 1992, Magma Generation in the Earth In: Understanding the
Earth, Cambridge University Press, 91-114
In corrispondenza dell’asse delle dorsali si ha continua, lenta ascesa di mantello caldo
astenosferico che spinge da parte la litosfera fredda. Il mantello in risalita e' sottoposto ad un forte
abbassamento di pressione, massimo al di sotto dell'asse della dorsale. I principi della termodinamica e
studi sperimentali mostrano che ad un abbassamento di pressione corrisponde una diminuzione
della temperatura di inizio della fusione. E’ facile quindi che la decompressione provochi la fusione
parziale e quindi la formazione di magma, che si separa dal solido e va a formare serbatoi magmatici
subsuperficiali che alimentano il vulcanismo. In queste condizioni di formazione i magmi hanno
composizione essenzialmente basaltica. Essi, sia che arrivino in superficie come lave basaltiche o
raffreddino in profondita’ a dare intrusioni gabbriche, formano nuova crosta oceanica. Alla formazione
di nuova litosfera contribuisce anche, fluendo lateralmente, l'astenosfera “impoverita” dalla
separazione del magma.
Nonostante la sua sostanziale continuita’ il sistema vulcanico delle dorsali oceaniche e’
divisibile in segmenti di lunghezza variabile, i piu’ estesi dei quali sono limitati da grandi zone di
frattura trasversali rispetto alla dorsale.
1100
2000
1500
10
50
60
80
20 40
30
100
150
50
temperatura (°C)
Fig.2.27 - Fusione per decompressione dell’astenosfera. Porzioni di mantello a temperatura diversa in funzione della
profondita’ di provenienza (tre casi mostrati) risalgono verso la superficie e intersecano la curva di solidus (inizio della
fusione). Le curve tratteggiate mostrano l’entita’ della fusione parziale in volume %. Ridisegnato da S.J. Sparks, 1992,
Magma Generation in the Earth In: Understanding the Earth, Cambridge University Press, 91-114
Vulcani degli archi insulari e dei margini continentali
Uno degli apparenti paradossi delle subduzione e’ che lo sprofondamento di materiale denso e
freddo in un’astenosfera solida (anch’essa fredda o comunque al di sotto della sua temperatura di inizio
di fusione), e’ tipicamente associato a esteso magmatismo. La spiegazione e’ in realta’ abbastanza
semplice e coinvolge due fenomeni diversi:
- l’acqua introdotta nel cuneo astenosferico soprastante la placca in subduzione abbassa la temperatura
di inizio di fusione delle rocce dell’astenosfera e consente la formazione di magmi (fusione parziale
della peridotite idrata, vedi fig. 2.20) in un intervallo abbastanza ristretto di profondita’ (intorno ai 100150 km). La risalita di questi magmi e’ all’origine della formazione degli archi vulcanici. Il vulcanismo
in quest'ambiente può essere altamente esplosivo a causa dell'elevato contenuto in volatili del magma.
- la discesa della placca dentro l’astenosfera induce lo spostamento verso l’alto di porzioni calde di
astenosfera, provocandone la fusione parziale (per decompressione) e la generazione di magma. Il
vulcanismo dei bacini retroarco e’ legato a questo processo. Ove la collisione si realizzi tra due placche
oceaniche, il vulcanismo di retroarco avra’ caratteristiche molto vicine a quelle dei margini in
distensione. Ove invece il bacino retroarco sia impostato su crosta continentale, i magmi che
fuoriescono avranno alta probabilita’ di essere modificati per processi di interazione con la crosta, i
vulcani saranno piu’ esplosivi e saranno comuni le grandi eruzioni ignimbritiche.
Gli archi sono caratterizzati da una catena di vulcani subparallela alla fossa, spesso suddivisa in
segmenti separati da zone prive di vulcanismo (che dovrebbero essere connesse a placche a angolo di
immersione molto basso). Tale segmentazione puo’ essere significativamente condizionata dalle
strutture della placca superiore, ma in genere riflette la geometria della placca subdotta, e in particolare
la sua articolazione in “fette” (slabs) a diversa immersione. La distanza tra i vulcani di un arco
(“volcano spacing”) non e’ casuale e in media puo’ essere assunta intorno ai 70 km.
Vulcani interni alle placche
I vulcani non si trovano soltanto sui margini delle placche litosferiche ma anche, piu’
raramente, al loro interno, in corrispondenza di strutture tettoniche particolari (“rift valleys
continentali”) e di quelli che vengono chiamati “punti caldi” (hot spots) .
I punti caldi vengono interpretati come manifestazioni superficiali di celle di convezione tubulari
(“pennacchi caldi” o hot plumes), stazionarie all’interfaccia nucleo-mantello (fig.I.3), che portano
continuamente in superficie materiale caldo astenosferico. Lo scorrimento di una placca litosferica sopra
un punto caldo e’ marcato da un allineamento di vulcani di cui solo il piu’ recente (ancora sul punto
caldo) e' attivo. Queste catene vulcaniche, di cui le isole Hawaii sono l’esempio piu’ didattico e famoso
(fig.2.29), rappresentano punti di riferimento fondamentali per ricostruire il movimento delle placche.
Fig.2.28 - Il magma viene generato in un volume
relativamente ristretto di astenosfera al di sopra della
placca in subduzione. L’instabilita’ fluidodinamica del
magma, meno denso del mantello solido circostante,
induce la formazione, a distanza grossolanamente
costante una dall’altra, di colonne permanenti di risalita
di magma. La profondita’ all’incirca costante alla quale si
forma il magma fa’ si che la distribuzione in superficie
dei vulcani sia controllata dalla geometria della placca in
subduzione. Ridisegnato da: Moores and Twiss,
Tectonics, Freeman & Co., New York, 1995
Fig.2.29 - Illustrazione schematica del movimento della
placca pacifica sopra il punto caldo di Hawaii, fisso nella
sua posizione, che illustra la formazione della catena
vulcanica delle Hawaii. Tratto dal sito dell’USGS,
Hawaiian Volcanoes Observatory, modificato da un
disegno di Maurice Krafft.
Le rift valleys continentali e i grandi impilamenti di colate laviche (plateaux basaltici) sui quali
le rift valleys in genere si impostano, possono essere interpretate come strutture legate ai fenomeni
iniziali della separazione tra placche litosferiche. E’ probabile che anch’esse siano da mettere in
relazione con la presenza di punti caldi. Alcuni punti caldi si trovano infatti al centro di “giunzioni
triple” che, formatesi all’interno di una placca, portano progressivamente alla sua frammentazione in
tre parti. L’esempio piu’ chiaro di questa situazione e’ rappresentato dal punto triplo dell’Afar
(fig.2.31). Su di esso confluiscono il Mar Rosso (margine divergente “giovane” che separa la placca
nubiana da quella araba), il Golfo di Aden (margine divergente “maturo” che separa la placca araba da
quella somala) e la Rift Valley est-africana (margine divergente “embrionale” che separa la placca
somala da quella nubiana).
Fig.2.30 - Posizione dei principali punti caldi. Modificato da USGS, This Dynamic Planet
Fig.2.31 - Schema della tettonica a placche nell’area del punto triplo dell’Afar. Le parti scure (M.Rosso e Golfo di Aden,
indicano la natura oceanica della crosta. Modificato da Kearey & Vine, in Tettonica Globale, Zanichelli,1994
Eruzioni effusive di magmi viscosi
Le colate di lava a composizione “intermedia” (andesitica, dacitica, ecc.) sono caratterizzate da
superfici costituite da blocchi grossolanamente poliedrici che passano in basso a lava massiva. Nella
parte interna queste lave sono talvolta finemente stratificate, frequentemente con i cristalli isorientati;
questa foliazione e’ attribuibile all’attrito sviluppato in regime di flusso laminare.
Le lave piu’ viscose
(a composizione riolitica o trachitica) hanno litologie molto variabil.
Ossidiane nere, vetrose, compatte costituiscono talvolta uno spesso guscio rigido attorno al corpo
principale litoide; esse si formano per brusco sovraraffreddamento del magma. Nelle ossidiane sono
spesso presenti sferuliti, aggregati radiali di feldspato alcalino e silice, che si formano per
ricristallizzazione secondaria. Livelli pomicei o ossidianaceo-pomicei si possono ritrovare intercalati
con livelli ossidianacei e livelli sferulitici, e testimoniano dell’essoluzione dei volatili (pochi) presenti
nel magma durante lo scorrimento della colata. La componente litologica principale della maggior parte
delle colate riolitiche e’ la lava litoide finemente foliata, che si forma per micro- e
criptocristallizzazione del magma durante o dopo la messa in posto. Bande e lenti di perlite si formano
per idratazione dell’ossidiana che assorbe acqua dall’atmosfera circostante; lo spessore della corteccia
perlitica cresce con il tempo (a parita’ di altre condizioni quali composizione dell’ossidiana e clima)
secondo leggi abbastanza precise (il quadrato dello spessore cresce tra 0.5 e 30 micron2 ogni 1000
anni).
Fig. 2.44 - Lava andesitico-basaltica a blocchi del Monte
Shasta (USA). La colata e’ lunga 6 km, spessa 110 m e
ha circa 9700 anni. La Highway 97 si vede nella parte
bassa della foto. U.S. Geological Survey (Figure 5 from
Miller,1980).
Fig. 2.45 - Tipica morfologia di una colata lavica viscosa
a composizione trachitica. Vulcano Hayligub nella catena
dell’Erta’ Ale (Afar, Etiopia). Foto Barberi, g.c.
La superficie superiore delle colate viscose e’ tipicamente rugosa e a blocchi e su di essa si riconoscono
spesso creste arcuate, grossolanamente concentriche, convesse nel senso del flusso. Queste creste sono
state interpretate in vari modi: rampe rigide legate alla foliazione, pieghe sulla superficie (analoghe alle
corde delle lave basiche), “spremiture” di magma piu’ fluido attraverso lacerazioni della crosta viscosa.
Nel caso della colata ossidianacea delle Rocche Rosse a Lipari la foliazione subverticale indica che le
creste, in quel caso, rappresentano strutture a rampa (fig. 2.48).
Fig. 2.46 - Foto area della Big Glass Mountain, un complesso di colate ossidianacee nelle
Medicine Lake Highlands, ad est del Monte Shasta (USA). I flussi hanno viscosita' molto
elevata con fronti ripidi e superfici superiori irregolari dominati dalla presenza di creste
concentriche con la convessita' rivolta nel senso del flusso, chiamati "ogive". Da Greeley,
1977, in Cas & Wright, Volcanic Successions, Allen & Unwin, London, 1987
Fig. 2.47 - Sezione longitudinale, schematica e ideale di una colata riolitica mostrante le
diverse litologie presenti.. Ridisegnato da Cas & Wright, Volcanic Successions, Allen &
Unwin, London, 1987
ogiva
breccia di tetto
}
ossidiana foliata
breccia basale
Fig. 2.48 - Sezione schematica longitudinale della colata ossidianacea delle Rocche Rosse (Lipari) mostrante
l'andamento fittamente foliato della parte centrale della colata e le tipiche strutture a rampa ("ogive") che in
pianta hanno l'andamento arcuato, convesso nel senso del flusso illustrato dalla foto area di figura F0504033.
Modificato da Hall, 1978 in Cas & Wright, Volcanic Successions, Allen & Unwin, London, 1987
DUOMI DI LAVA
Quando la viscosita’ (o meglio la soglia di snervamento) del magma e’ talmente alta da impedirne il
flusso, esso tende ad impilarsi al di sopra della bocca eruttiva formando ripidi rilievi che prendono il
nome di duomi vulcanici; non e' raro che le strutture domiche non arrivino in superficie ma si arrestino
a bassissima profondita, deformando la superficie del terreno senza perforarla ("criptoduomi" o
"duomi intrusivi").
Fig.2.49 A: Rappresentazione schematica dei principali tipi di duomo lavico; B: duomi endogeni e duomi esogeni
con i numeri che indicano la successione cronologica di messa in posto
In relazione alle loro modalita' di accrescimento i duomi possono essere distinti in endogeni ed
esogeni. Nel primo caso (piu’ tipico e frequente) il duomo si accresce progressivamente dall'interno,
deformando e gonfiando (spesso fino a romperli) gli strati lavici precedentemente usciti; nel caso dei
duomi esogeni (per esempio il Colle Umberto, formatosi tra il 1895 ed il 1899 sul fianco
nordoccidentale del Vesuvio), la crescita procede per accumulo progressivo di lave viscose attorno alla
bocca, con il condotto che si "allunga" al procedere dell'estrusione e l'eta' di messa in posto
(contrariamente al caso precedente) diminuisce dalla base al tetto del duomo. I duomi esogeni (detti
anche cupole di ristagno) sono il risultato piu’ di una morfologia inadatta allo scorrimento che della
elevata viscosita’ della lava.
Fig. 2.50 - Duomo esogeno cresciuto nel cratere del
Novarupta, Alaska, dopo l’eruzione del 1912 che porto’
al collasso calderico del Katmai. Foto di G.Iwatsuko,
USGS, http://vulcan.wr.usgs.gov/Imgs/Jpg/Katmai/
Fig. 2.52 - Vista dall’aereo del Panum Crater (Mono
Craters, California) e del duomo di lava innestato nel
cratere. Il duomo rappresenta l’ultimo episodio eruttivo
del sistema dei Mono Craters essendo datato circa al
1350 d.C. Si noti la parte sommitale “sgonfiata” del
duomo.
http://quake.wr.usgs.gov/VOLCANOES/LongValley/gall
ery/30714277-001_caption.html
Fig. 2.51 - Duomo lavico dacitico nel cratere della
Soufriere di St. Vincent (Antille). Foto J.L. Cheminee’,
in: Les Observatoires volcanologiques francais. IPG
Paris (senza data).
Fig. 2.53 - La protrusione solida (o spina) fuoriuscita dal
cratere della Montagna Pelee (Martinica) dopo l’eruzione
del 1902. Il diametro di base era di circa 100 m ed
l’altezza di 300 m (con una velocita’ massima di
innalzamento che raggiunse i 13 m in un giorno). La sua
erosione fu pero’ molto rapida ed oggi non ne rimane
praticamente piu’ traccia. Da La Croix, 1904, La
Montagne Pelee et ses eruptions, Masson , Parigi
Fig.2.54 - Il duomo lavico Showa-Shinzan
(405 m)
nell’isola di Hokkaido (Giappone) si e’ formato nel 1943
e fa parte del complesso vulcanico dell’Usu. Scaricato dal
sito http://www.aist.go.jp/GSJ/~jdehn/vphoto/ss-xusu.jpg/,
Fig.2.55 - Sopra: Il primo duomo lavico formatosi
all’interno del cratere creato dall’eruzione del 18 Maggio
1980 del Monte St Helens (stato di Washington, USA).
Questo duomo fu distrutto durante l’eruzione del
22
Luglio 1980. Sotto: la crescita del duomo tra il 1980 e il
1986. Foto di R.I. Tilling; schema di Topinka. Dal sito
http://vulcan.wr.usgs.gov/Imgs/Gif/MSH/Graphics/Domes/
Mentre un duomo esogeno in crescita ha l’aspetto di un panettone ben lievitato con una
sommita’ cupoliforme abbastanza regolare, i duomi “vecchi” tendono ad afflosciarsi (sgonfiandosi)
nella parte sommitale formando depressioni pseudo crateriche (Fig.2.52).
LE ERUZIONI EFFUSIVE
Si dicono effusive quelle eruzioni nelle quali il magma esce in superficie come flusso liquido ad alta
temperatura (colata lavica). Un’eruzione effusiva richiede in linea generale che il contenuto in gas e la
viscosita’ del magma non siano elevati. I magmi basici rispondono a tali requisiti, mentre la maggior
parte dei magmi evoluti od intermedi hanno viscosita’ e contenuti originari di volatili tali da
provocarne la frammentazione prima dell'emissione. Perche’ un magma evoluto o intermedio sia
emesso come lava e’ necessario, in linea di principio, che si sia verificato un impoverimento in gas
attraverso la fuga graduale dei volatili attraverso fumarole e sorgenti termali oppure attraverso una fase
esplosiva iniziale che coinvolga gran parte dei gas, concentratisi nelle porzioni superiori della massa
magmatica. Quest'ultimo caso comporta che le effusioni laviche di magmi evoluti ed intermedi
rappresentino spesso gli eventi terminali di eruzioni complesse, iniziate con fasi esplosive.
Fig.2.32 - Eruzione effusiva (magmi basici, poco viscosi) del 1968 dell’Halemaumau (Kilauea,
Hawaii). Foto di R.Fiske http://wwwhvo.wr.usgs.gov
La morfologia delle colate laviche e le distanze che esse sono capaci di percorrere possono essere
molto variabili in funzione soprattutto di tre fattori:
- il tasso di emissione, cioe’ la quantita’ di magma che esce per unita’ di tempo;
- la viscosita’ del magma e il valore della sua soglia di snervamento;
la pendenza del terreno su cui la colata si muove.
Tabella 2.2 - Tassi effusivi di alcune colate laviche a composizione basaltica
vulcano
anno
composizione
tasso eruttivo
(m3/sec)
Laki (Islanda
Etna
Etna
1783
1865-1975
(17 eruzioni)
1975
basalto
basaltohawaiite
hawaiite
5000
15-45
0.3-0.5
1
Etna
Etna
Mauna Loa (Hawaii)
Askja (Islanda)
Paricutin (Messico)
1989
1991-92
1851-1950
(10 eruzioni)
1961
1943-1952
hawaiite
hawaiite
basalto
0.4-0.9
0.8-35
100
basalto
33-800
andesite basaltica 0.7
andesite
Vesuvio
1906
tefrite fonolitica
0.8-60
modificato da Cas R.A.F & Wright J.V., Volcanic Successions,Allen & Unwin, London, 1987
Come regola generale, quanto piu’ alto e’ il tasso di emissione (che puo’ variare tra 1 e 5000 m3/s) tanto
piu’ lontano arrivera’ la colata (portate elevate implicano raffreddamento piu’ lento e quindi piu’ lento
aumento della viscosita’).
Tabella 2.3 - Tassi effusivi di alcune colate laviche a composizione andesitica e dacitica
vulcano
anno dell'eruzione
tasso effusivo medio
(m3/sec)
Santorini
1886-1870
0.7
Santiaguito
1922 - 1983
0.4
Mount Lamington
1951-1956
5.8
Bezymianny
1955-1983
1.8
Colima
1975-76
0.05
Augustine
1976
11.6
St. Helens
1980-1983
0.5
Usu (Meji Shinzan)
1910
3.5
Usu (Showa-Shinzan)
1943-1945
1.2
Usu (Usu-Shinzan)
1977-1983
0.6
modificato da Newhall & Melson, 1983 in Cas R.A.F & Wright J.V.,
Volcanic Successions,Allen & Unwin, London, 1987
Le colate laviche piu' estese hanno composizione basaltica e sono state eruttate da grandi
fratture, lunghe decine o centinaia di km, sia in ambiente continentale (basalti dei plateaux) che
sottomarino (basalti dei fondi oceanici).
La piu' grande eruzione effusiva storica e’ quella di Laki (1783]), in Islanda: da frattura lunga
25 km, in sette mesi, furono emessi circa 12 km3 di lave basaltiche che coprirono un'area di 565 km2 e
raggiunsero distanze di oltre 50 km dal punto di emissione.
Le lave basiche eruttate da vulcani centrali, da sorgenti puntiformi o da fratture di modesta
lunghezza hanno volumi molto piu' ridotti (<0.5 km3) e coprono aree molto minori.
Fig.2.33 - Colata lavica dell’Aprile 2000 (Pu’u O’o, Kilauea, Hawaii).
Tratta dal sito http://wwwhvo.wr.usgs.gov
2
Colate basiche subaeree
Colate subaeree di lava basica possono formarsi in seguito alla fuoriuscita di magma liquido da
bocche centrali o fissurali, al trabocco di un lago di lava che riempiva un cratere, oppure alla
ricomposizione di un flusso liquido continuo dalla abbondante ricaduta di brandelli lavici ancora fusi a
seguito di attivita' di fontana di lava.
Fig.2.34 - Eruzione lavica fissurale (8 settembre 1977) nell’area di Krafla
(Islanda). Solarfilma, Reykjavik, Iceland (foto di Sigurdur Porarinsson)
Molte delle caratteristiche delle colate basiche sono documentate dagli studi effettuati su
prodotti recenti ed attuali dell'isola di Hawaii, cui si rifa' anche gran parte della nomenclatura di questi
prodotti. Due tipi di colata basica possono sostanzialmente essere distinti:
- Colate pahoehoe sono dette quelle lave la cui superficie e' liscia od ondulata, a corde o a budella: esse
si formano quando la lava fluida scorre al disotto di una crosticina sottile ancora plastica che si
raggrinza e si piega formando creste sottili. Le corde sono generalmente convesse verso valle, ma esse
possono essere anche allineate parallelamente alla direzione del flusso. Quando la crosta che si forma
e’ piu’ spessa, e' comune che al di sotto di essa si formino tubi e tunnels. Essi sono importanti perche'
la loro formazione riduce notevolmente la perdita di calore attraverso la superficie di una colata e le
permette di percorrere lunghe distanze. I tubi in genere si formano per progressiva costruzione di un
tetto al di sopra di un flusso lavico incanalato all'interno di argini da lui costruiti. Sebbene tipici delle
colate pahoehoe, i tubi di lava si possono formare anche nelle colate aa.
3
Fig.2.35 - Sezioni longitudinali schematiche dei due principali tipi di colate basaltiche
subaeree. Ridisegnata da Lockwood e Lipman, Bull. Volcanol. 43, 1980
- Colate aa: La superficie di una colata aa, in contrasto con quella liscia di una colata pahoehoe, e'
estremamente irregolare, frammentata, spinosa, scoriacea. Verso il basso sfuma lentamente nel corpo
lavico massivo. Le colate aa scorrono spesso come torrenti ben individualizzati limitati da argini che
essi stessi hanno costruito. La transizione da pahoehoe ad aa sembra essere connessa ad un aumento
della viscosita'.
Fig. 2.36 - Superficie di una colata pahoehoe ancora
calda e in lento movimento. Foto di D.W.Peterson,
USGS, riprodotta da Magma Transport and Storage, ed.
M.P.Ryan, Wiley & Sons, 1990
Fig. 2.37 - La chiesa del villaggio di San Juan
Parangaricutiro (Messico) coperta dalla lava emessa tra il
1943 e il 1952 dal cono Paricutin (sullo sfondo). Si noti
la superficie “aa” della lava. Foto di Francisco Medina in
4
Mexican Volcanoes Calendar, 1998, L. e V. Godinez
ed.Mexico City
Fig. 2.38 - Eruzione dell’Etna nel Maggio 1992. Una colata di tipo tendenzialmente
aa (si vedano gli argini entro i quali essa scorre) fuoriesce da un tunnel. Su questa
colata fu effettuato un intervento riuscito di deviazione del flusso con esplosivo.
Barberi et al., 1992, L’eruzione 1991-1992 dell’Etna, Giardini, Pisa.
Plateaux Basaltici
I basalti fissurali emessi in aree continentali danno luogo a grandi colate la cui sovrapposizione
porta alla formazione dei plateaux basaltici. Queste strutture si sviluppano nell'arco di centinaia di
migliaia e di milioni di anni in aree geodinamiche particolari (sono in genere associati agli stati
embrionali e precoci dei rifts continentali). Si tratta per lo piu' di colate pahoehoe, ma le superfici
raramente sono conservate. L'imponenza delle singole colate (o l'esistenza di un lago di lava
solidificato) fa' si' che i tempi di raffreddamento delle medesime siano relativamente lunghi, con
conseguente frequente sviluppo di strutture particolari che prendono il nome di fessurazioni (o
giunzioni) colonnari. Il raffreddamento comporta una contrazione e si sviluppa dalle zone esterne
della colata (la base ed il tetto) verso l'interno. Le tensioni che si realizzano nel corso del
raffreddamento producono fratturazioni regolari perpendicolari alla superficie di raffreddamento e
quindi normalmente verticali: si formano in questo modo delle vere e proprie colonne a contorno
poligonale. Il fatto che le colonne si sviluppino progressivamente verso l'interno puo' comportare lo
sviluppo di fessurazioni complementari ad andamento suborizzontale. Le colonne possono avere
spessore di decine di metri, in funzione dello spessore originario della massa e della storia del
raffreddamento, e diametro di pochi decimetri. Le colonne non sempre sono verticali (quando lo sono
vengono anche chiamate "canne d'organo") ma possono mostrare andamenti assai variabili.
Fig. 2.40 (a destra) - Spettacolari colonne basaltiche
vecchie di 50 milioni di anni nell’isola di Staffs, lungo la
costa occidentale della Scozia. In Volcano, Time-Life
Books. 1982, Alexandria, Virginia, riprodotta col permesso
del Direttore, NERC Copyright Reserved, London.
Fig. 2.39 - A sinistra: Fotografia aerea mostrante la
vistosissima tettonica distensiva ad a direzione NO-SE
che interessa i basalti fissurali della Serie Stratoide
dell’Afar (Afar Centrale, Etiopia).
Fig. 2.41 - Scarpata di una faglia che taglia le colate
basaltiche della Serie Stratoide dell’Afar (regione di
Gawwah, Afar Orientale). In Varet J., Geology of Central
5
and Southern Afar, 1978, Editions du centre National de
la Recherche Scientifique, Paris.
I basalti dei fondi oceanici
La formazione delle lave a cuscino ("pillow lava") puo' essere considerata il processo piu' tipico
delle rocce basiche emesse in ambiente subacqueo. Tali lave sono certamente le rocce vulcaniche piu'
abbondanti sulla terra, pavimentando tutti gli oceani. Anche se la loro composizione prevalente e'
basaltica, sono note lave a pillow di variabilita' composizionale notevole. I pillows si formano quando
la lava, calda e fluida, entra in contatto con grandi quantita' di acqua. La struttura risulta dalla
protrusione di lobi allungati, quasi come dentifricio strizzato fuori dal tubetto. In affioramento i pillows
sono in genere sferoidali ed ellissoidali, ma sezioni parallele alla direzione di flusso possono mostrarli
estremamente appiattiti ed allungati. In figura F0504062 e' illustrata la maniera attraverso la quale
i pillows si formano mentre la lava scorre, nonche' il modo di poter riconoscere la direzione di
scorrimento. La sommita' di ciascun pillow e' in genere convessa verso l'alto al momento della
formazione; questo fatto e' spesso usato per riconoscere la posizione dritta o rovesciata di strati
poaleovulcanici contenenti lave a pillows. Al momento della loro formazione i pillows hanno una
sottile crosta vetrosa formatasi in seguito al rapido raffreddamento subito dalla superficie del magma.
Tale crosta si altera facilmente in minerali cloritico-argillosi (“palagonite”) che vanno a riempire gli
interstizi tra pillow e pillow.
6
Fig.2.42 - Lave a cuscino sui fondali della zona di frattura
di Vema, nella porzione centrale della dorsale medioatlantica. Foto IFREMER durante la campagna
Vemanaute, in Nicolas A., 1990, The Mid-)ceanic Ridges,
Springer Verlag.
Fig.2.43 - Sezione trasversale ideale di una
colata subacquea a cuscini illustrante lo
sviluppo dei pillows nel senso della
propagazione della colata. Ridisegnato da
Hargreaves & Ayres, 1979, Canadian J.
Earth
Sci.,
16,1452-1466
7
LE ERUZIONI ESPLOSIVE
Le eruzioni che comportano la fuoriuscita di una miscela di gas e materiale frammentato
(liquido e/o solido) sono definite esplosive. Il passaggio da liquido continuo a liquido frammentato e’ il
risultato di un processo nel quale la tendenza dei gas liberatisi a separarsi dal fuso silicatico e’
contrastata dalla viscosita’ del fuso stesso. In funzione del rapporto tra la quantita’ di gas che si libera
dal liquido sul livello di essoluzione e quella che si allontana dal sistema, il magma potra’ diventare
piu’ o meno vescicolato (cioe’ gonfiera’, riducendo la sua densita’ apparente) e potra’ anche arrivare ad
avere un contenuto di bolle talmente elevato da non essere geometricamente piu’ capace di conservare
la continuita’ del liquido.
Le velocita' di formazione, di crescita e di spostamento delle bolle al di sopra del livello di
essoluzione sono fortemente influenzata dalle proprieta' del magma liquido, in particolare dal contenuto
e solubilita' in elementi volatili e dalla viscosita'.
La crescita delle bolle e' controllata principalmente:
(1) dalla diffusione dei volatili dal magma nelle bolle;
(2) dalla velocita' con la quale la pressione si abbassa mentre la miscela gas+bolle sale; se il
condotto e' aperto, in ogni punto della colonna di magma la pressione operante e' la
pressione della colonna di magma: l'abbassamento di questa pressione nel corso della
risalita delle bolle e' chiamata decompressione.
Lo studio degli effetti della diffusione e della decompressione sulla crescita delle bolle dimostrano che:
(1) le bolle inizialmente crescono rapidamente per diffusione, ma poi gli effetti di decompressione
prevalgono;
(2) le dimensioni finali delle bolle sono tanto piu' piccole quanto piu' veloce e' la risalita del magma;
(3) viscosita' elevate del magma
(>106 poises) inibiscono fortemente la crescita delle bolle e
producono forti eccessi di pressione interna. Le bolle dei magmi viscosi, quindi, non sono soltanto
piu' piccole di quelle che crescono in magmi fluidi, ma esplodono piu' violentemente a causa della
maggiore sovrapressione interna.
(4) all'aumentare del contenuto in volatili del magma e dei valori della diffusivita', aumentano le
dimensioni massime raggiungibili dalle bolle.
In condizioni ideali il magma frammenta al momento in cui la frazione di volume di bolle nella miscela
e' approssimativamente uguale a 0.77. A partire dal livello di frammentazione, la miscela gas-particelle
accelera fino a raggiungere i valori massimi all’uscita dal condotto. La velocita’ di uscita e’ funzione
della pressione di gas sul livello di frammentazione, che e’ a sua volta controllata dalla quantita’ e
dalla composizione dei volatili essolti.
Fig. 2.56 - Sequenza di nucleazione, crescita e rottura delle bolle di gas in una colonna di magma a
condotto aperto. Modificato e ridisegnato da Sparks, 1978, J.Volcanol. Geotherm. Res., 3, 1-37.
Fig. 2.57 - destra: valori della pressione di volatili esercitata da miscele H2O/CO2 in funzione
della quantita' totale in peso di gas essolti al momento della frammentazione esplosiva del
magma. sinistra: la pressione di gas al livello di frammentazione condiziona la velocita' di
uscita della miscela gas-particelle.
Interazione acqua-magma
L'acqua puo' venire in contatto con il magma in diversi modi: (1) spostandosi lentamente
attraverso il substrato fino ad incontrare una massa magmatica; (2) con l'apertura di fratture eruttive che
incontrano acquiferi profondi (falde freatiche) o superficiali (laghi, mari, ghiacciai); (3) riversandosi
direttamente in condotti vulcanici che tagliano gli acquiferi quando la pressione dei gas magmatici e'
bassa; ecc.
In ognuna di queste situazioni il contatto col magma induce un rapido cambio di stato
dell’acqua con conseguente violenta espansione del vapore. Parleremo di attivita' idromagmatica o
idrovulcanica (freatomagmatica se l'acqua coinvolta nell'interazione non e' superficiale) quando
l'interazione tra magma ed acqua produce effetti su entrambi i termini interagenti, volatilizzando
l'acqua ed aumentando la frammentazione del magma.
Fig. 2.58 - Il meccanismo dell'interazione
(detto “fuel-coolant”) comporta processi ciclici di
brevissima durata (da microsecondi a millisecondi), ciascuno dei quali inizia con il contatto magmaacqua, prosegue con il sovrariscaldamento dell'acqua e la nucleazione di bolle, con la coalescenza tra
bolle adiacenti e la formazione di una pellicola di vapore al contatto tra magma e acqua, col divenire
instabile della pellicola e con la frammentazione del magma, producendo particelle di magma su cui
un nuovo ciclo puo' ricominciare. La dimensione media finale delle particelle prodotte in un
processo di questo tipo puo' essere identificata con la lunghezza d'onda delle instabilta' all'interfaccia
magma-acqua, mentre l'intervallo tra ciascun ciclo di interazione esplosiva puo' essere messo in
relazione al tempo che le instabilita' al contatto impiegano a formarsi.
FONTE: Ridisegnato da F.Dobran, F.Barberi, C.Casarosa: Modeling of Volcanological Processes
and Simulation of Volcanic Eruptions.1990, Giardini, Pisa
Molti esempi naturali suggeriscono che l’interazione e’ estremamente piu’ efficace se il magma
entra gia' frammentato in contatto con l’acqua: la grande superficie di contatto, in questo caso, permette
una rapida, significativa ed efficiente conversione di energia termica in energia meccanica. Esistono
d'altra parte depositi idromagmatici nei quali le particelle juvenili non presentano alcun grado di
vescicolazione, per le quali quindi non puo' essere invocata una frammentazione magmatica precedente
l'interazione. La cosa piu' verosimile e' che, in circostanze favorevoli (comunque da chiarire), il
contatto tra magma ed acqua possa produrre, per esempio, onde di stress capaci di indurre deformazioni
fragili nel magma inducendovi una fratturazione sufficiente ad aumentare la superficie di contatto con
l'acqua oltre il limite per cui l'interazione esplosiva puo' avere luogo.
Fig. 2.59 - Esplosione di vapore (chiamata anche esplosione litoranea) del 3 Febbraio
1988 all’isola di Hawaii. Si notino i frammenti di lava prodotti dall’interazione
esplosiva tra magma e acqua.. Foto di J.D. Griggs tratta da
http://wwwhvo.wr.usgs.gov/gallery/kilauea/erupt/24ds241
Fig. 2.60 - "Efficienza" dell'interazione magma/acqua espressa
(qualitativamente) in funzione del rapporto tra le masse delle due
sostanze interagenti e dell'energia liberata dal processo. Ridisegnato da
K.H.Wohletz,
1983: Mechanisms of hydrovolcanic pyroclast
formation, J.Volcanol. Geotherm. Res., 17, 31-63
L'efficienza dell'interazione tra magma e acqua, intesa come rapporto tra massimo lavoro
potenziale ed energia termica del magma, e’ una funzione del rapporto di massa tra acqua e magma:
essa cresce progressivamente fino ad un massimo corrispondente ad un rapporto di poco inferiore a 1:1,
per poi diminuire rapidamente all’aumentare della massa d’acqua coinvolta (Fig.2.60). Un esempio
analogico che ci puo’ aiutare a meglio comprendere il fenomeno puo’ essere cercato in cucina: a molti
e’ certamente capitato di rimanere piu’ o meno gravemente ustionati a seguito della violenta reazione
che si verifica quando gocce di acqua entrano in contatto con olio molto caldo; il liquido schizzato via
che vi ha scottato e’ olio, non acqua (che si e’ vaporizzata all’istante), e il fenomeno che si e’ realizzato
e’ esattamente una interazione “fuel-coolant” come quella, illustrata nella figura 2.58, con l’olio che ha
fatto la parte del magma (il “fuel”).
La classificazione delle eruzioni esplosive
L'attivita' vulcanica puo' essere osservata a scala temporale molto variabile. Lo stile di attivita'
ed il tipo di prodotti emessi possono cambiare nel giro di minuti, o di giorni, o di mesi nel corso di
un'eruzione, in funzione dei cambiamenti che possono riguardare la composizione del magma, la sua
cristallinita', la quantita' di volatili in gioco, l'allargamento della bocca eruttiva, l'ingresso di acqua nel
condotto, ecc. Col termine di fase eruttiva possiamo intendere il perdurare piu' o meno lungo di uno
stile eruttivo omogeneo ed essenzialmente continuo, seppure di intensita' variabile. Vi sono eruzioni
caratterizzate fondamentalmente da una singola fase eruttiva, ma, per lo piu', le eruzioni vulcaniche
esplosive sono caratterizzate da piu fasi, siano esse ripetitive ed intervallate da periodi piu' o meno
lunghi di stasi oppure estremamente mutevoli per stile, energia e durata dei periodi di stasi separanti
una fase dall'altra. Una eruzione puo' quindi, in ultima analisi, essere definita come l'insieme,
cronologicamente ben definito, di piu' fasi eruttive.
Un'eruzione esplosiva si dice magmatica quando l'esplosivita' e' legata all'espansione dei gas
originariamente contenuti nel magma; viene invece definita freatica un'esplosione provocata dalla
violenta vaporizzazione di acqua esterna al sistema magmatico, susseguente al riscaldamento provocato
dal magma stesso che, solitamente non viene coinvolto nel processo. Si chiamano infine
idromagmatiche (o idroclastiche) quelle esplosioni in cui gas magmatici ed acqua non magmatica
sono parimenti partecipi del fenomeno.
Fig. 2.61 - Classificazione delle eruzioni vulcaniche esplosive
proposta da Walker nel 1973. L'indice D rappresenta l'area
inclusa dall'isopaca = 1/100 dello spessore massimo, e l'indice
F e' la percentuale in peso di particelle fini (diametro<1 mm)
presenti nel deposito all'intersezione dell'asse principale di
dispersione con l'isopaca = 1/10 dello spessore massimo (vedi
approfondimento). Ridisegnato e modificato da Walker
G.P.L., 1973, Geol. Runschau, 62, 431-446
Negli ultimi anni, come base di riferimento non rigida, molti autori hanno seguito uno schema
classificativo delle eruzioni esplosive basato su due parametri: l’area di dispersione e il grado di
frammentazione dei depositi di caduta (fig. 2.61). La misura dell'area di dispersione e' l'area (D nelle
figure 2.61 e 2.62) inclusa dalla curva isopaca (che unisce tutti i punti in cui i depositi di caduta di una
data eruzione hanno lo stesso spessore) relativa all'1% dello spessore massimo (0.01 Smax). Il valore di
D varia dai pochi ettari coperti dai depositi di caduta delle eruzioni hawaiiane e stromboliane alle
migliaia di km2 dei depositi di caduta delle eruzioni pliniane ed ultrapliniane. La misura del grado di
frammentazione F e' la percentuale di materiale piu' fine di un millimetro determinata in campioni
raccolti all'intersezione della curva isopaca (0.1 Smax) con l'asse principale di dispersione del deposito
di caduta (figg. 2.61 e 2.62).
Fig. 2.62 - Rappresentazione schematica e semplificata della distribuzione dei depositi di caduta attorno alla zona di
emissione. A: variazione ideale dello spessore del deposito misurato lungo l’asse principale di dispersione in funzione della
distanza dal punto di emissione. B: proiezione sul piano delle curve ideali che uniscono i punti nei quali il deposito mostra
spessori uguali (curve “isopache”; spessori in cm). L’asse principale di dispersione coincide con l’asse maggiore dell’ellisse
che definisce idealmente l’area di dispersione; nella figura, per semplicita’, esso e’ unico, ma esistono casi frequenti di
dispersione delle particelle piu’ complesse. Deve essere chiaro che l’asse principale di dispersione non coincide con la
direzione del vento prevalente nel corso dell’eruzione, ma rappresenta la risultante vettoriale del campo dei venti incontrato
dalle particelle durante la caduta. C: schema tridimensionale di un ideale deposito di caduta dove viene mostrato il
significato dell’indice di dispersione D ed il punto di misura dell’indice di frammentazione F utilizzati nella classificazione
di fig.4.6. La figura C e’ ripresa (modificata) da un disegno di G. Mastrolorenzo in Cortini & Scandone, Un’Introduzione
alla Vulcanologia, 1987, Liguori Ed. Napoli.
Qualunque sia la causa dell'esplosione, sia essa subaerea o subacquea, i frammenti che si
formano possoni (a) essere semplicemete trasportati attraverso l'aria o l'acqua e quindi ricadere sulla
superficie (depositi piroclastici di caduta), oppure (b) muoversi lungo la superficie del terreno in
correnti di flusso piu' o meno dense, piu' o meno fluidizzate (depositi piroclastici di flusso).
Fig. 2.63 - Schema riassuntivo semplificato dei diversi processi che possono portare alla formazione di depositi piroclastici
Ridisegnato e modificato da Fisher & Schmincke, 1984, Pyroclastic Rocks, Springer Verlag
Fig. 2.64 - Possibili provenienze e meccanismi di formazione dei depositi piroclastici subacquei. Ridisegnato e modificato
da Fisher & Schmincke, 1984, Pyroclastic Rocks, Springer Verlag
L’indice di esplosivita’ vulcanica (VEI)
La “taglia” o la “grandezza” di un’eruzione storica descritta dipende molto dall’esperienza
dell’osservatore e dal suo soggettivo punto di vista. Sfortunatamente la vulcanologia non possiede una
scala di magnitudo strumentale come quella usata dai sismologi per i terremoti. Tuttavia vi sono
diverse misure ed informazioni che possono aiutare nella classificazione quantitativa delle eruzioni:
l’altezza della colonna eruttiva, il volume dei prodotti eruttati, le distanze raggiunte dai clasti balistici,
ecc. Combinando insieme dati quantitativi e descrizioni soggettive, Newhall and Self (1982) hanno
proposto l’utilizzo dell’Indice di Esplosivita’ Vulcanica (VEI) che e’ oggi quasi universalmente usato.
Il VEI presenta qualche somiglianza con la scala di magnitudo Richter usata per i terremoti. Esso e’
infatti un indice semplice variabile da 0 a 8, con ciacun intervallo unitario che rappresenta un
incremento di “energia” di circa un fattore 10. Si noti che i criteri per l’assegnazione del VEI mostrano
(intenzionali) sovrapposizioni che, da una parte impongono di usare piu’ criteri per l’assegnazione ad
un evento di un dato VEI, e dall’altra parte indicano come uno stesso VEI possa caratterizzare eruzioni
di dinamica ed effetti assai diversi. Cosi’. per esempio, un VEI = 4 potra’ essere proprio di un’eruzione
pliniana caratterizzata da una colonna sostenuta alta 25 km, cosi’ come di un’eruzione vulcaniana a
colonna molto piu’ bassa e meno stabile che, nel caso di ugual volume di prodotti emessi, avra’ anche
durata molto maggiore. Questa non univoca corrispondenza tra valore del VEI e tipo di eruzione non
deve essere vista come inadeguatezza del VEI a definire le eruzioni. Quello che deve essere ben
compreso e’ che il VEI cerca di dare una misura dell’energia liberata nel corso dell’eruzione e non la
descrizione delle modalita’ di tale liberazione.
Tabella 2.4 - i diversi tipi di osservazioni e di dati che possono condurre a definire l’Indice di Esplosivita’ Vulcanica (VEI) di
un’eruzione sulla base di dati osservazionali.
VEI
Descrizione generale
0
Non
esplosiva
<104
Volume dei prodotti
(m3)
Altezza della colonna
<0.1
(km)
Descrizione qualitativa “mite”
Tipo di eruzione
hawaiiana
1
Debole
104 -105
107
3
Moderataforte
108
0.1-1
1-5
3-15
“effusiva”
2
Moderata
“esplosiva”
4
Forte
109
1010
6
Molto
forte
1011
10-25
>25
>25
“esplosiva” “severa”
“severa”
“violenta
”
hawaiiana- stromboliana vulcaniana vulcanian
stromboliana vulcaniana subpliniana
a
subplinia
na
<1
<1-6
<1-6
6-12
Durata esplos.
<1
continua (ore)
Iniezione in troposfera trascurabile Minore
Moderata
Iniezione in stratosfera Nessuna
Nessuna
Nessuna
Modificato da Newhall & Self, 1982
Sostanziale Sostanzia
le
Possibile
Sicura
5
Molto forte
“violenta”
parossistica
Pliniana
6-12
Sostanziale
7
Molto
forte
1012
>25
8
Molto forte
>1012
>25
parossistic terrificante colossale
a
cataclismic
a
Pliniana Ultraplinia Ultrapliniana
Ultraplinia
na
na
>12
Sostanzial
e
significativa significativ
a
>12
Sostanzial
e
Significati
va
>12
Sostanziale
Significativa
SCHEDA N.1: l’eruzione del Vesuvio nel 1906: un esempio della variabilita’ dello stile eruttivo nel
corso di una singola eruzione
Nei primi mesi del 1906 il Vesuvio si trovava in condizioni di condotto aperto. Un’importante volume di magma si era
accumulato a bassa profondita’ per il frequente arrivo di masse di magma profondo. Si era cosi’ formata una camera
magmatica circondata da un sistema geotermico a seguito del riscaldamento delle rocce incassanti e dei fluidi in esse
presenti. A piu’ riprese il magma da questa camera aveva iniettato fratture ed aveva fatto eruzioni laviche sui fianchi
del vulcano.
Il 4 Aprile una nuova massa di magma profondo entro’ nel la camera pressando verso l’esterno il magma residente,
molto viscoso. Vennero cosi’ riattivate vecchie fratture eruttive e colate di lava di magma residente fuoriuscirono dal
queste fratture. E’ questa la fase effusiva dell’eruzione che duro’ fino alla sera del 7 Aprile.
Alle dieci di sera del 7 Aprile il magma fresco comincia ad entrare in eruzione. Esso e’ ricco iin volatili e la sua
emissione avviene attraverso altissime fontane di lava. Questa fase, detta delle fontane di lava, dura cinque ore e
mezzo e porta all’esaurimento del magma ultimo arrivato.
A seguito della vigorosa estrazione la colonna di magma scende nel condotto al di sotto dell’intersezione con l’acquifero
geotermico. I fluidi in pressione subiscono una brutale decompressione esplosiva che ha come risultato la decapitazione
del cono vesuviano.
Subito dopo, sono circa le quattro del mattino dell’otto aprile, dalla grande voragine formatasi si alza una alta colonna
eruttiva dalla quale ricadono sottovento ceneri e lapilli. Questa fase di colonna sostenuta, alimentata soprattutto dai gas
del sistema geotermico che interagiscono col magma, dura circa trenta ore, fino alla mattina del nove aprile.
La temperatura dei fluidi geotermici, che si e’ molto abbassata, e l’alto rapporto tra acqua e magma inducono la ripetuta
formazione di basse colonne di vapore cariche di cenere dalle quali, a seguito della condensazione del vapor d’acqua,
ricadono piogge fangose. L’eruzione si esaurisce lentamente in questo modo e termina il 21 Aprile.
La colonna eruttiva
La miscela gas-particelle che fuoriesce dalla bocca di un vulcano e viene iniettata
nell’atmosfera prende il nome di colonna eruttiva. Le proprieta' fisiche della colonna ed i processi
fluidodinamici che si realizzano al suo interno influenzano i differenti stili delle eruzioni esplosive.
Una colonna eruttiva puo' essere convenientemente divisa in tre porzioni principali che, dal
basso, prendono il nome di: 1. zona di spinta dei gas, 2. zona di spinta convettiva, 3. zona
dell’ombrello.
Fig. 2.65 - Dalla camera magmatica alla stratosfera. La figura mostra le differenti zone, la variazione
qualitativa delle principali proprieta’ fisiche della miscela eruttiva e i principali processi associati
con la risalita del magma e la formazione della colonna eruttiva. Modificato da Cioni R., Marianelli
P., Santacroce R e Sbrana A., 2000: Plinian and Subplinian eruptions, in Encyclopedia of Volcanoes,
477-494, Academic Press.
La zona di spinta dei gas rappresenta la parte basale della colonna dove il movimento e' dominato dal
momento del flusso gas-particelle e gli effetti legati alla spinta di galleggiamento sono trascurabili.
All'interno del condotto e alla bocca l'espansione dei volatili accelera la miscela gas-particelle fino ad
una velocita' massima in uscita che puo' essere considerata come condizione di velocita' iniziale alla
base della colonna. Le osservazioni fatte ed analisi teoriche indicano che essa varia da circa 100 m/sec
nelle deboli eruzioni stromboliane a piu' di 600 m/sec nelle grandi eruzioni pliniane. La zona di spinta
dei gas ha altezze variabili da poche centinaia di metri a 1-2 km nelle eruzioni piu' grandi. Il flusso
ascendente e' caratterizzato da una rapida decelerazione e diminuzione della densita' globale della
colonna. Quando la spinta dei gas si e’ esaurita la miscela eruttiva potra’ avere densita’ superiore o
inferiore a quella dell’atmosfera circostante. Nel primo caso la colonna non puo’ alzarsi ulteriormente e
collassa. Nel secondo caso si ha la formazione di una colonna eruttiva passando alla zona di spinta
convettiva. La colonna e' ora meno densa dell'atmosfera, turbolenta e vorticosa, e sale per semplice
contrasto di densita' con velocita’ che variano da poche decine ad oltre 200 m/sec. Le densita’
dell’atmosfera e della miscela eruttiva diminuiscono verso l'alto con continuita', convergendo fino ad
uguagliarsi nuovamente. Al di sopra di questa altezza, che segna il passaggio alla zona dell’ombrello, la
colonna risale per inerzia.
In prima approssimazione, l'altezza di una colonna eruttiva e' tanto maggiore quanto maggiore e’
il flusso termico. E’ quindi possibile calcolare per diverse temperature della miscela eruttiva e per
diversi valori del tasso eruttivo, l’altezza raggiungibile dalla colonna.
Fig. 2.66 - Relazione tra tasso eruttivo ed altezza della colonna eruttiva.
L'area tratteggiata e' inclusa tra le curve calcolate per temperature della
miscela all’uscita di 600 e 800°C. Modificato da Sparks, 1986: The
dimensions and dynamics of volcanic eruption columns. Bull.
Volcanol., 48, 3-15
Eruzioni hawaiiane e stromboliane
Le eruzioni di questo tipo possono avere carattere centrale o fissurale, ma, in quest'ultimo caso,
l'attivita' tende comunque sempre a localizzarsi su un numero limitato di punti eruttivi allineati lungo la
frattura. Esse eiettano esplosivamente scorie e brandelli di magma relativamente fluido e sono spesso
accompagnate dalla effusione di colate laviche.
Fig. 2.67 - Fontane di lava allineate su una frattura. Attivita’ hawaiiana nel corso
dell’eruzione del febbraio 1984 del Piton de la Fournaise (Isola della Reunion). Benard
R. & Krafft M.: Au Coeur de la Fournaise, Editions Nourault/Benard
Nell'attivita' hawaiiana la colonna eruttiva e' essenzialmente una fontana di lava incandescente
formatasi in seguito allo zampillare pressoche' continuo di magma dalla bocca, con la frammentazione
del magma che si realizza nelle porzioni terminali ascendenti dello spruzzo (e non nel condotto).
L'altezza delle fontane di lava e' generalmente inferiore ai 200 metri con le velocita' iniziali di eiezione
che sono dell'ordine di qualche decina di metri per secondo. I prodotti tipici dell'attivita' hawaiiana
sono grossi brandelli lavici molto fluidi e poco vescicolati che ricadono balisticamente intorno alla
bocca, dando spesso origine a coni di scorie saldate. Non e' insolito che al di sopra della fontana di lava
si alzino piccole colonne convettive (alte qualche centinaio di metri) che prendono in carica le
particelle cineritiche formate dagli spruzzi di lava.
Fig. 2.68- Eruzione stromboliana del vulcano Cerro Negro (Nicaragua) nel 1968. Foto di Robert Decker.tratta dal sito
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/south_america/cerro_negro.html
Fig. 2.69 - Schema di attivita’ stromboliana legata alla esplosione di grosse bolle risalite
lentamente e cresciute al di sotto della superficie di un lago di lava.
L'attivita' stromboliana puo' essere persistente e caratterizzare per decenni o secoli (come e' il
caso appunto dello Stromboli) lo stesso centro eruttivo, ma in genere i coni stromboliani sono apparati
monogenici formatisi nel corso di singole eruzioni della durata di poche settimane o pochi mesi.
L'attivita' stromboliana tipicamente e' caratterizzata da esplosioni discrete separate da pause di durata
molto variabile (da meno di un secondo a diverse ore). Si pensa che tali esplosioni ricorrenti siano
generate dall'esplosione di grosse bolle di gas (diametri fino a 10 m) che frantuma la superficie del
magma (una sorta di lago di lava). Condizione indispensabile perche' queste condizioni possano
realizzarsi e' una moderata viscosita' del magma che consenta la formazione di grosse bolle e la loro
risalita relativamente rapida. Se le esplosioni si verificano in rapida successione puo' formarsi una
colonna eruttiva sostenuta di altezza massima di 5-10 km (osservata per esempio nel corso
dell'eruzione del 1973 di Heimaey in Islanda).
Fig. 2.70 - Eruzione stromboliana sull’isola di Heimaey (Islanda) nel 1973.. Foto di Svienn Eirikksen tratta dal sito
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/europe_west_asia/heimaey/heimaey.html
Eruzioni pliniane e subpliniane
Tacito, Epistolae, libro VI, 16 e segg.
.....il nono giorno prima delle calende di settembre verso l'ora settima mia madre gli mostra una nube inconsueta per forma
e grossezza
.....una nube stava sorgendo il cui aspetto fra gli alberi si assimilava sopratutto al pino. Essa infatti, levatasi
verticalmente come un altissimo tronco si allargava in alto come con dei rami, probabilmente perche', innalzatasi prima
spinta da una corrente ascendente, esauritasi poi o per cessazione della sua spinta o perche' vinta dal suo stesso peso,
distesamente si espandeva
.... dette ordine di porre in mare le quadriremi Gia' la cenere pioveva sulle navi, sempre piu' calda e densa quanto piu'
esse si avvicinavano. E si vedevano gia' pomici e ciottoli anneriti e bruciati dal fuoco... Dopo una breve esitazione esclama:
"Dirigiti verso Pomponiano!".. Questi si trovava a Stabia pronto a fuggire non appena il vento si fosse calmato. Ma
questo era invece favorevole a mio zio che veniva in direzione opposta
.... Frattanto dal monte Vesuvio in molte parti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi
Nel frattempo il livello
del cortile si era tanto alzato per la caduta di cenere e pomici che non sarebbe piu' potuto uscire dalla stanza se avesse piu'
oltre atteso
.... Si consultarono tra loro se dovessero restare in casa o uscire all'aperto dal momento che la casa era colpita da frequenti
e lunghe scosse
.... Gia' altrove faceva giorno, ma la' era notte, piu' densa e fitta di ogni altra notte
.... Intanto le fiamme ed un odore sulfureo annunziatore delle fiamme fanno si che gli altri fuggano
.... Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso dal momento che il vapore che aumentava gli impedi', come io
penso, il respiro
Le eruzioni esplosive magmatiche caratterizzate da tassi eruttivi molto elevati cui si associano
altissime colonne eruttive da cui ricadono imponenti quantita' di materiale piroclastico che coprono
centinaia o migliaia di km2, sono chiamate "pliniane". Il nome deriva da Plinio il Giovane che, in due
lettere a Tacito descrisse la morte dello zio, Plinio il Vecchio, nell'eruzione del 79 d.C. del Vesuvio che
distrusse Pompei e molte altre citta' circumvesuviane. La frequenza di queste eruzioni e' bassa, e solo
poche sono avvenute in tempi relativamente vicini e sono state descritte e studiate direttamente in
modo conveniente. I depositi lasciati dalle eruzioni pliniane sono tuttavia abbastanza frequenti nella
storia geologica recente della Terra: da essi possono essere tratte notevoli informazioni sulla dinamica
di questo tipo di eventi.
Queste eruzioni sono associate, nella grandissima maggioranza dei casi, allo svuotamento di
camere magmatiche superficiali. Negli ultimi 100.000 anni la loro intensita' (la quantita’ di magma
Tacito, Epistolae, libro VI, 20 e segg.
.... partito lo zio passai il restante tempo a studiare
Molti giorni prima si era sentita una scossa di terremoto, senza pero'
che ad essa si desse molta importanza perche' in Campania era normale. Ma in quella notte fu cosi' forte che sembro' che
non si scuotesse ma che crollasse ogni cosa
.... Gia' faceva giorno da un'ora gia' erano crollate le case intorno
.... allora finalmente ci parve bene uscire dalla citta'
I carri
andavano indietro e neppure con il sostegno di pietre
restavano nello stesso punto Inoltre si vedeva il mare riassorbito in se' stesso e quasi respinto dal terremoto
.... dal lato opposto una nera ed orrenda nube squarciata dal rapido volteggiare di un vento infuocato si apriva in lunghe
lingue di fuoco ne' passo' molto tempo che quella nube discese a terra e copri' il mare Aveva avvolto e nascosto Capri e
tolto dalla vista il promontorio di Miseno
.... Cadeva gia' della cenere
mi volto e vedo una densa caligine che quale torrente spargendosi per terra ci incalzava
.... si fa notte, ma non di quelle nuvolose o senza luna, ma come quando ci si trova in un luogo chiuso spente le luci
.... fece un po' piu' chiaro. Ne' questo ci sembrava giorno ma piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Se non che il fuoco
si arresto' piu' lontano nuova oscurita' e nuovo nembo di fitta cenere
.... Finalmente si attenuo' quella caligine e svani' come in fumo e nebbia. Quindi fece proprio giorno
Intanto
continuavano le scosse di terremoto
emesso per unita’ di tempo) e' variata tra 106 e 109 kg/sec e ugualmente di tre ordini di grandezza e' la
variabilta' della magnitudo (il volume totale di magma emesso) di tali eruzioni (1011-1014 kg).
Fig. 2.71 - Eruzione del vulcano St Helens (USA) del 18 Maggio 1980: la base della colonna pliniana
vista da sudest. Foto di D.A.Swanson. Cortesia dell’USGS
Intensita' e magnitudo delle eruzioni pliniane sono correlate positivamente in modo molto
significativo. Questo e’ dovuto al progressivo allargamento del condotto in seguito all’erosione
effettuata dalla miscela in rapida risalita e al conseguente aumento del tasso eruttivo. I massimi valori
dell’intensita’ sottintendono quindi massime ampiezze del condotto, ed e' facile pensare che quanto piu'
grande e' la camera (e quindi quanto piu' e' il magma da eruttare), tanto piu' lunga sara' l'eruzione e
tanto piu' efficace sara' l'erosione.
Fig. 2.73- La massa totale di materiale emesso nel corso
delle eruzioni pliniane (“magnitudo”) mostra una
ragionevole correlazione positiva con il tasso eruttivo
(“intensita”). Ridisegnato da Carey & Sigurdsson (1989),
Bull. Volcanol., 51, 28-40
Fig. 2.72 - Eruzione del vulcano St Helens (USA) del 18
Maggio 1980: la colonna eruttiva raggiunse l’altezza
massima di circa 20 km. Foto di Austin Post. Cortesia
dell’USGS
Fig. 2.74 - Variazione del tasso eruttivo e della massa
emessa in funzione del tempo per una eruzione ipotetica
che inizia avendo il condotto un raggio di 30 m. Col
procedere del tempo, in seguito all'erosione operata dalla
miscela gas -particelle, il raggio si allarga ad un tasso
costante di 5 cm/min.
Ridisegnato da Carey & Sigurdsson
(1989), Bull.
Volcanol., 51, 28 -40
I prodotti di molte eruzioni pliniane indicano la transizione da una attivita' di caduta ad una di
flusso. In genere questa transizione e' attribuita al collasso (parziale o totale, finale o ricorrente) della
colonna eruttiva connesso alle mutate condizioni nel corso dell'eruzione. Il collasso puo' avere due
spiegazioni:
(1)
aumento dell’intensita’
(2)
diminuzione del contenuto di volatili
Fig. 2.75 - Stabilita’ di una colonna eruttiva in funzione del tasso eruttivo, del raggio della bocca, della velocita’
di uscita della miscela eruttiva e della quantita’ di volatili essolti. Partendo da condizioni convettive (colonna
sostenuta), il collasso della colonna puo’ essere conseguenza di un aumento del tasso eruttivo (percorso 1,
generalizzabile per grandi eruzioni ignimbritiche) o di un progressivo impoverimento in volatili (percorso 2,
generalizzabile per le eruzioni pliniane di magnitudo medio bassa). Modificato da Wilson et al. (1980),
Geophys.J.R.Soc., 63, 117-148
Eruzioni surtseyane e freatomagmatiche
L’attivita’ esplosiva magmatica varia nella tra due estremi di intensita’ e magnitudo costituiti
dalle eruzioni hawaiiane e pliniane. Le caratteristiche fondamentali dei due tipi di attivita' possono
venire schematizzate molto semplicemente nel quadro seguente:
Attivita’ esplosiva
hawaiiana
pliniana
Viscosita’ magma
bassa
alta
Contenuto in gas
modesto
elevato
Tasso eruttivo (intensita’)
basso e poco variabile alto e variabile nel tempo
Livello di frammentazione
superficiale
profondo
Massa totale emessa (magnitudo) generalmente modesta
spesso enormi
Entro certi limiti ogni possibile combinazione delle variabili in gioco e' possibile*, giustificando la
variabilta' dell'attivita' esplosiva ed i nomi diversi che ad essa sono stati attribuiti. Questo spettro
continuo di fenomenologie esplosive legate ad una frammentazione dovuta ai gas magmatici trova
equivalenti nell'ambito dei processi di interazione acqua-magma. Cosi' magmi che in condizioni
"normali" darebbero esplosioni hawaiiane o stromboliane, interagendo con acquiferi superficiali o poco
profondi daranno luogo ad esplosioni di ceneri che prendono il nome di "surtseyane" dall'isola di
Surtsey, formatasi nel 1963 nel mare d'Islanda a seguito di una eruzione di questo tipo (che, una volta
emersa la bocca, passo' ad una classica attivita' stromboliana).
Fig. 2.76 - Anello di tufo formatosi a seguito di attivita’ surtseyana. Depressione
della Dancalia (Etiopia e Eritrea). CNR-CNRS Afar Team, 1970
Le esplosioni surtseyane sono caratterizzate dalla formazione di colonne convettive di vapore e
cenere mai molto alte. L'accumulo delle ceneri intorno alla bocca porta alla formazione di tipici coni e
anelli di cenere (o di tufo) perfettamente regolari (nel caso in cui il trasporto e la deposizione del
materiale sia avvenuto essenzialmente in acqua) o anche fortemente asimmetrici nel caso in cui il
trasporto sia stato prevalentemente subaereo.
Fig. 2.77 - Asmara, un cono di cenere formatosi a seguito di attivita’ surtseyana,
della parte centrale della Depressione della Dancalia (Etiopia e Eritrea). Coni e
anelli di cenere sono il risultato di attivita’ abbastanza simile legata
all’interazione del magma con acqua superficiale piu’ (coni) o meno (anelli)
profonda. CNR-CNRS Afar Team, 1970.
I corrispondenti idrovulcanici delle eruzioni pliniane (esplosioni freatopliniane ) si realizzano in
genere nel corso di eruzioni pliniane quando la pressione dei gas magmatici si riduce permettendo
l'ingresso nel condotto di acqua proveniente dagli acquiferi tagliati dal condotto medesimo. Le eruzioni
Fig. 2.78 - Capelinhos, Azzorre,
1957. Eruzione
idromagmatica. Si noti l’anello basale di surge. Tratto
dal sito: http://magic.geol.ucsb.edu/~fisher/hydro.htm
freatopliniane danno luogo a colonne eruttive la cui altezza e' sempre inferiore a quelle delle eruzioni
magmatiche (ricordiamo infatti che l'altezza della colonna e' funzione diretta del flusso termico e che
l'interazione con acqua, ovviamente, ha come effetto immediato la drastica riduzione della temperatura
della miscela gas-particelle), e spesso sono non sostentabili (collasso continuo di colonna ).
Fig. 2.79 - Foto del Cerro Colorado, un anello di tufo nel Messico settentrionale (area vulcanica di Pinacate). La forma
asimmetrica con il bordo sudoccidentale dell’anello piu’ alto e’ dovuta ai venti presenti al momento dell’eruzione.
Tratto dal sito: http://magic.geol.ucsb.edu/~fisher/hydro.htm
Eruzioni vulcaniane
Le eruzioni vulcaniane sono eruzioni esplosive di magnitudo modesta o moderata caratterizzate
da una breve durata (secondi o minuti) e dall’emissione di magma ad alta viscosita’, a volte semisolido,
in forma di frammenti poco vescicolati e abbondante cenere. Un’eruzione vulcaniana puo’ consistere di
un singolo evento esplosivo o, piu’ frequentemente, di una serie pulsante di esplosioni. Il termine fu
Fig. 2.80 - Bomba “a crosta di pane”. Pendici del cono de La
Fossa nell’isola di Vulcano (Eolie). Foto di R.Santacroce
coniato dal vulcanologo Mercalli per descrivere la sequenza di esplosioni verificatasi all’isola di
Vulcano (arcipelago delle Eolie) tra il 3 Agosto 1888 e il 17 Maggio 1890. Le esplosioni tipiche degli
eventi vulcaniani sono accompagnate da eiezione balistica di blocchi e bombe (tipiche sono le bombe
A
B
C
aria compressa
segue l'onda d'urto
l'onda d'urto
verso l'esterno si propaga
gas-magma in miscela
decompressione
e accelerazione
il fronte di
rarefazione
magma
stazionariomolto viscoso
& gas
500 m
(frammentazione)si propaga
verso il basso
D
E
e cenere fine aria calda
cenere fine
aria
ingobata viene
piroclastici flussi
Fig. 2.81- Illustrazione schematica della sequenza di eventi (da A a E, in poche decine di secondi)
che porta a una singola esplosione vulcaniana. Leggermente modificata e ridisegnata da Morrissey
e Mastin, “Vulcanian Eruptions”, in Encyclopedia of Volcanoes, Academic Press, 2000.
“a crosta di pane”), da violente onde d’urto atmosferiche e, spesso, da surges basali. I meccanismi
invocati per spiegare le esplosioni vulcaniane comportano l’accumulo di gas (magmatici o di
interazione con acqua) al di sotto di un “tappo rigido” e la loro rapida decompressione fino alla violenta
liberazione.
Fig. 2.82 - 5 Ottobre 1998. Esplosione vulcaniana del vulcano
Tavurvur nella caldera si Rabaul, Papua, Nuova Guinea. Siamo
alla fine (E) della sequenza schematizzata in fig.2 Foto di J.W.
Evert tratta dal sito
http://volcanoes.usgs.gov/Products/Pglossary/vulcanian.html
Fig. 2.83 - Esplosione vulcaniana del duomo Soufriere Hill
a Montserrat, Indie Occidentali, nel 1999. Siamo alla fase
D della sequenza schematizzata in fig.2. Immagine presa
su un sito Internet non piu’ ritrovato.
Flussi piroclastici
E' frequente che le eruzioni esplosive generino miscele gas-particelle troppo dense per dare
origine a colonne eruttive sostenute. Esse formano allora flussi che si spostano sul terreno sotto
l'influenza della gravita'. Questi flussi vennero riconosciuti come fenomeni vulcanici primari durante le
eruzioni della Pelee in Martinica e della Soufriere di Saint Vincent all’inizio del 1900.
Tradizionalmente essi vengono suddivisi in due classi, colate piroclastiche e surges piroclastici,
intese come termini estremi, rispettivamente ad alta ed a bassa concentrazione, di uno spettro di
variabilita' basato sulla quantita’ di particelle. Fondamentali differenze esistono agli estremi dello
spettro, ma sempre piu' frequente e' il riconoscimento di depositi che non possono univocamente essere
connessi all'uno od all'altro dei termini estremi.
Colate e surges piroclastici sono sistemi composizionali complessi in cui i processi di trasporto e di
deposizione non sono uniformi ne’ spazialmente ne’ temporalmente.
Le colate piroclastiche possono generarsi in seguito a meccanismi diversi che possono
sostanzialmente essere riferiti a due tipi principali:
1. Collasso di duomo o esplosione laterale
2. Collasso pulsante, parziale o continuo di colonna eruttiva
collasso parziale di colonna
collasso gravitativo di duomo
nube di
cenere
colata
piroclastica
duomo
collasso totale di colonna
esplosione direzionale di duomo
esplosione di criptoduomo innescata
da una frana
frana
collasso continuo di colonna ("boiling over")
Fig. 2.84 - Meccanismi di formazione delle colate piroclastiche. La colata piroclastica vera e propria e' un
flusso gravitativo ad alta concentrazione di particelle che si muove radente il suolo. La nube di cenere, meno
concentrata, formera' depositi indipendenti.
I depositi lasciati dalle colate piroclastiche hanno volumi variabilissimi (da pochi milioni di m3 a
decine di km3). Le colate di piccolo volume, originate per esplosione o collasso di duomi, tendono ad
incanala rsi nelle valli ed ad accumularsi nelle depressioni, mentre le grandi colate formano coltri estese
che, in qualche caso, hanno spessore sufficiente a coprire e peneplanare la topografia. Il materiale
juvenile che costituisce i depositi puo’avere gradi di vescicolazione molto diversi: si puo’ andare da
blocchi densi, a scorie bollose a pomici. In funzione di questa variabilita’ le colate assumono nomi
diversi: nubi ardenti o colate di cenere e blocchi (frammenti non vescicolati), colate di scorie, colate
di cenere e pomici.
Fig. 2.85 - Colate piroclastiche originatesi per collasso parziale di colonna scendono dal vulcano Mayon
(Filippine) il 23 settembre del 1984. L’altezza massima raggiunta dalla colonna eruttiva fu di circa 15 km. Non
vi furono vittime grazie alla tempestiva evacuazione raccomandata dai vulcanologi del Philippine Institute of
Volcanology and Seismology. Foto di C.G. Newhall tratta dal sito:
http://volcanoes.usgs.gov/Imgs/Jpg/Mayon/32923351-020_large.jpg
Fig. 2.86 - Dicembre 1902. Una colata piroclastica originata per esplosione del duomo della
Montagna Pelee (Martinica) sta scorrendo lungo la Riviere Blanche prima di arrivare al mare.
Sono queste le piu’ antiche foto di questi fenomeni. Foto di La Croix A, 1904, La Montaigne
Pelee et ses eruptions, Parigi, Masson.
Le grandi colate di pomici e ceneri sono capaci di percorrere grandi distanze, superiori a quelle di altri
flussi particolati spinti dalla gravita' (per es. frane o valanghe). Cio’ avviene perche’ esse si spostano in
regime di (almeno) parziale fluidizzazione .
La fluidizzazione e' un processo per il quale un insieme di particelle solide puo' acquistare le proprieta'
reologiche di un fluido grazie a un flusso di gas ascendente con velocita V che sostiene e separa le
singole particelle.
Fig. 2.87 - Rappresentazione schematica dei processi di fluidizzazione stazionaria. Una corrente gassosa e'
iniettata verso l'alto in una massa granulare appoggiata ad una griglia con una velocita' V. Al di sopra del
valore Vfm (velocita' minima di fluidizzazione) le particelle cessano di stare in contatto ed il sistema si
comporta come un fluido. G e' la frazione di fase solida. Nei sistemi monodispersivi tutte le particelle
vengono fluidizzate contemporaneamente. Nei sistemi polidispersivi si possono for-mare regimi di
fluidizzazione aggregativa.
Nei sistemi polidispersivi (costituiti cioe' da particelle diverse per dimensioni, densita' e forma)
quali possono essere considerati i flussi piroclastici non e' possibile che tutte le particelle vengano
fluidizzate contemporaneamente e si verificano fenomeni di segregazione ed elutriazione.
La segregazione consiste nell'ordinamento delle particelle lungo la verticale in funzione delle
loro dimensioni e/o densita'. Il grado di segregazione dipende dall'ampiezza dell'intervallo di
dimensioni e/o densita' presente nella massa fluidizzata e dalla Energia di Fluidizzazione che puo'
essere definita dal rapporto V/Vfm. Se in un sistema polidispersivo la segregazione e' trascurabile
questo significa che V/V fm vale circa 1: il regime di fluidizzazione e' cioe' prossimo alla fluidizzazione
incipiente
L'elutriazione - Man mano che la velocita' del fluido ascendente aumenta, le particelle piu'
piccole e meno dense salgono verso la parte superiore della nube mentre le piu' grandi e piu' dense (non
fluidizzate) restano in basso. Per ogni sistema polidispersivo esiste un valore della velocita' del fluido
ascendente al di sopra del quale le particelle piu' piccole e meno dense cominciano a venire allontanate
dalla massa principale che si arricchisce cosi' indirettamente nelle particelle piu' grandi e piu' dense.
Per ogni velocita' del gas le particelle ricadranno allora in tre gruppi differenti: segregate (le piu’
grandi e dense), elutriate (le piu’ fini) e fluidizzate. Tanto la segregazione quanto l'elutriazione sono
processi che dipendono dal tempo, e non ci si puo' aspettare che entrambi abbiano funzionato "fino in
fondo" in sistemi fluidizzati solo per breve tempo.
Il considerare le colate piroclastiche come sistemi piu' o meno fluidizzati comporta di discutere
le modalita' attraverso le quali esse, una volta postesi in movimento, sono in grado di mantenere, piu' o
meno lungamente, il loro stato fluidizzato. Tre classici modelli di fluidizzazione traslazionale (relativi
cioe' a casi in cui il materiale fluidizzato possiede un proprio movimento orizzontale) possono trovare
soddisfacente corrispondenza vulcanologica
1. Fluidizzazione basale
2. Autofluidizzazione
3. Fluidizzazione alla prua
Fluidizzazione basale
U
Il gas fluidizzante e' liberato lungo la superficie sulla quale scorre la massa particellata:
e' il caso delle colate piroclastiche ad alta
temperatura che scorrono su di un substrato
acquoso o vegetato - vapor d'acqua o gas di
combustione generano il fluido gassoso
ascendente.
Fluidizzazione alla prua
U
Al fronte di una massa densa che si sposta a
grande velocita' si forma, per attrito col substrato, un saliente (la "prua") al di sotto del
quale si infiltra aria che viene ingobata nella
massa particellata.
aria
Autofluidizzazione
U
Il gas fluidizzante e' emesso direttamente da
singole particelle della massa in movimento
(e' il caso di frammenti di magma ancora caldi
e gas-emittenti).
Fig. 2.88 - Rappresentazione schematica di alcuni casi di fluidizzazione
traslazionale. La massa particellata si sposta sul substrato con velocita' U.
Surges piroclastici
Col termine anglosassone di “surge”
(letteralmente “ondata, maroso”) si indicano flussi
piroclastici mo lto espansi a bassa concentrazione di particelle che fluiscono in maniera turbolenta. Il
surge e' un flusso instabile ed effimero che si realizza a seguito di un impulso (od una serie di impulsi)
la cui energia cinetica diminuisce rapidamente, mentre la colata piroclastica e' un flusso piu' stabile,
alimentato in modo piu' continuo, e capace di mantenere la sua energia cinetica per un tempo
relativamente lungo.
In virtu’ di queste loro caratteristiche, i surges sono poco controllati dalla topografia sulla quale
scorrono. Tradizionalmente vengono distinti tre tipi di surge piroclastico:
(1) - Base-surge
(2) - Ground surge
(3) - Ash cloud surge
I base surges sono tipicamente associati con eruzioni freatiche e freatomagmatiche. Il nome fu coniato
a seguito dell’osservazione di fenomeni analoghi che accompagnano le esplosioni nucleari. La miscela
gas-particelle si espande radialmente attorno alla bocca formando un tipico "collare" alla base della
colonna eruttiva (si veda anche la figura 2.78). L’interazione acqua- magma che e’ all’origine di questi
fenomeni e’ spesso caratterizzata da un rapporto acqua/magma elevato con formazione di miscele che
sono in genere piu' fredde se paragonate ai ground surges ed agli ash cloud surges. Distingueremo
allora i surges “freddi e bagnati” da quelli “caldi e secchi” (con temperatura superiore alla temperatura
critica dell’acqua) sulla base della presenza abbondante di vapore. Se la temperatura scende al di sotto
del punto di condensazione del vapore, l’acqua liquida costituisce un componente addizionale della
miscela e al surge puo’ essere dato il nome di “uragano di fango”.
Fig. 2.89 - L’eruzione del vulcano Taal (Filippine) del
1965 fu caratterizzata da una colonna eruttiva (a sinistra)
che raggiunse l’altezza massima di 20 km
cui si
accompagno’ la messa in posto di un
“base surge”.
Questa nube piatta, turbolenta, costituita da gas, fango,
cenere, lapilli e blocchi si espanse lateralmente alla
velocita’ di un uragano. La foto in alto mostra gli effetti
del surge sui tronchi delle palme a 4 km dalla bocca
Fotografie di J.G. Moore, U.S. Geological Survey, Sett.
1965.
Base-surge e esplosioni nucleari - “Operation Crossroads” era il nome in codice degli esperimenti
sull’uso militare delle bombe atomiche eseguiti dagli USA nella laguna dell’atollo di Bikini,
nell’oceano Pacifico. Nel Luglio del 1946 l’Esercito e la Marina statunitense fecero esplodere due
bombe nucleari, una sulla superficie della laguna e l’altra sott’acqua. Il test aveva lo scopo di valutare
gli effetti di un attacco atomico su una flotta di navi (reale, costituita da navi “sacrificabili” sia della
flotta americana che delle flotte tedesca e giapponese, bottino di guerra). La posizione dell’Esercito
USA era che l’avvento della bomba atomica rendeva le flotte di navi da battaglia obsolete. La Marina
non era ovviamente dello stesso avviso.
Il test “sopra l’acqua” ebbe il nome in codice di “Able” e fu eseguito il primo Luglio 1946.
Poche navi affondarono o furono fisicamente danneggiate dalla forza dell’esplosione, mentre molte
presero fuoco.
Il test sott’acqua (“Baker”) fu effettuato il 25 Luglio e anche in quel caso la gran parte delle
navi non fu danneggiata significativamente. Un effetto generale fu pero’ quello di rendere tutte le navi
troppo radioattive per poter essere operative in tempi brevi. La bomba aveva una potenza di 23.000
tonnellate di tritolo, la stessa della bomba che era stata sganciata su Nagasaki il 9 Agosto del 1945.
Fig. 2.90 - Il test “Able” (bomba sulla superficie della
laguna di Bikini) eseguito il primo Luglio 1946. Le foto
delle esplosioni sono di Bill Cunningham. Tratte dal
sito:
http://www.aracnet.com/~pdxavets/crossroa.htm
L’onda d’urto subacquea si espanse a grande velocita’ e raggiunse la superficiie in pochi millisecondi,
formando una nube di condensazione a forma di duomo con alla base un collare circolare che si
espandeva radente l’acqua con la velocita’ di un uragano e che fu chiamato “base-surge”.
Fig. 2.91 - Il test sott’acqua (“Baker”) effettuato il 25 Luglio 1946. Le foto delle
esplosioni sono di Bill Cunningham tratte dal sito:
http://www.aracnet.com/~pdxavets/crossroa.htm
Sotto il nome di ground surges vengono raggruppati fenomeni con origine abbastanza diversa:
esplosioni direzionali ["directed blasts"], collassi delle parti esterne a granulometria fine di una colonna
eruttiva, proiezioni dalla testa di una colata piroclastica in movimento. I depositi di ground surge si
trovano quasi sempre alla base di sequenze piroclastiche complesse, ed e' questo il fattore comune che
giustifica l'essere considerati insieme di fenomeni diversi.
Gli ash cloud surges sono originati dalla nube di ceneri elutriate, fluttuante al di sopra e dietro
la colata piroclastica, che dal corpo della colata si allontanano in ruscelli instabili di gas e cenere.
L'energia di questo tipo di surge e' interamente acquisita dalla colata piroclastica che lo genera.
LA VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITÀ E IL MONITORAGGIO
DEI VULCANI
Quasi 1500 vulcani sono stati attivi sulla Terra negli ultimi 10.000 anni. Cinquanta di questi entrano
in media in eruzione ogni anno. In alcuni casi si tratta di vulcani ad attività semipersistente o,
comunque, molto frequente (il Kilauea, l'Etna, lo Stromboli, il Sakurajima, ecc.). In altri casi si tratta
invece di vulcani che si sono ridestati dopo lunghi periodi di riposo o che, addirittura, erano
considerati estinti (il Lamington, a Papua-Nuova Guinea, nel 1951; il Bezymianny in Kamtchatka
nel 1956, el Chichon in Messico nel 1982, il Pinatubo nelle Filippine nel 1991, ecc.). Anche i
residenti campani ignoravano la natura vulcanica del Vesuvio prima dell'eruzione del 79 d.C. che
rase al suol Pompei, ercolano e tutta l’area circumvesuviana.
Fig. 1 - Dati relativi alle vittime ed alle persone colpite da disastri naturali nel periodo 1966-1990 (dati del CRED Disaster Event
Database, Stop Disaster n.13, 1993). Si noti come le eruzioni vulcaniche abbiano il rapporto piu' alto tra vittime e persone colpite dal
disastro.
A partire dall'anno 1000 si stima a 3-500.000 il numero delle persone morte come consequenza
diretta dell'attività vulcanica. Un tale numero può non apparire enorme, sopratutto se paragonato alle
perdite di vite umane causate da altri tipi di disastri naturali (fig.1), ma l'attività vulcanica costituisce
comunque un pericolo importante per numerose regioni della Terra, tra cui l'Italia e potrebbe avere
in futuro, come probabilmente ha avuto nel passato geologico, effetti molto piu' drammatici di quelli
fin qui esperimentati dalla storia conosciuta dell'uomo. Basti pensare, a questo proposito, alle ipotesi
correnti sugli immani effetti climatici che potrebbero essere imputabili ad eruzioni di magnitudo
enorme e che l'uomo finora ha avuto la fortuna di non vedere. Le eruzioni vulcaniche hanno poi un
impatto socio-economico che va al di là del numero di vite umane perse: distruzioni, carestie,
sterilizzazione del territorio, inquinamento delle acque, traumi sociali.
La vulcanologia moderna non può piu' limitarsi a sviluppare e migliorare le conoscenze di base del
fenomeno vulcanico, ma deve porsi l'obiettivo di contribuire alla individuazione dei pericoli ed alla
prevenzione dei rischi legati all'attività dei vulcani.
Pericolosità e Rischio vulcanici
Il rischio (risk), come ben noto, è la possibilità di una perdita (vite, proprietà, capacità produttive,
funzionalità del territorio, ecc.) la cui valutazione implica la quantificazione della relazione
(UNESCO, 1972):
rischio = valore x vulnerabilità x pericolosità.
1
In vulcanologia, la pericolosità (hazard) è la probabilità che una determinata area sia
interessata da fenomeni vulcanici potenzialmente distruttivi entro un determinato periodo di tempo.
Essa deve essere riferita a fenomeni ben definiti, per cui un'area a pericolosità zero per un certo tipo
di evento (per es., lo scorrimento di colate laviche) può essere a pericolosità elevata per un tipo di
evento diverso (per es. la ricaduta di materiale piroclastico). Inoltre, se l’impatto sul territorio del
fenomeno pericoloso è differenziabile per intensità (per esempio di pressione di carico nel caso della
caduta di cenere e pomici o di pressione dinamica per i flussi piroclastici e le colate di fango), la
pericolosità deve essere riferita a una soglia ben definita. Quando si parla di pericolosità di
un’eruzione si deve quindi avere chiaro che essa è l’insieme delle pericolosità relative ai diversi
fenomeni (nella loro variabilità) che possono verificarsi.
Il valore è la quantificazione in denaro di tutto ciò (numero di persone e costruzioni, impianti
industriali, terreno agricolo, ecc.) che è suscettibile di danno in conseguenza dell’evento distruttivo
considerato.
La vulnerabilità è la frazione di valore (tra 0 e 1) che si aspetta verrà perduto nel corso dell’evento
considerato.
Per la valutazione del rischio, è quindi ovvio che non si può fare a meno di dati di carattere
socio-economico sul territorio, in genere abbastanza estranei alle competenze del vulcanologo. La
valutazione della pericolosità di un vulcano costituisce invece uno degli obiettivi prioritari della
moderna vulcanologia. L'assunzione base per questa valutazione è che eventi di uno stesso tipo
interesseranno in futuro le stesse aree con le stesse modalità. e con la stessa frequenza media di
quanto verificatosi nel passato. Quanto piu' lungo è. il periodo dei dati attendibili disponibili, e
quanto piu' numerosi sono questi dati, tanto piu' attendibile sarà. la valutazione della pericolosità..
La conoscenza della storia eruttiva di un vulcano rappresenta quindi la base indispensabile
per la comprensione del suo funzionamento e, conseguentemente, per ogni tentativo di valutazione e
mitigazione dei pericoli connessi alla ripresa di attività..
Il problema "pericolosità vulcanica" in realtà deve essere affrontato in maniera abbastanza
diversa in relazione alle condizioni in cui si trova il vulcano considerato. Dovremo pertanto riferirci
(Crandell e Mullineaux, 1978) a:
1. pericolosità. a breve termine o immediata connessa a vulcani che eruttano frequentemente e si
trovano sostanzialmente in condizioni di condotto aperto (Etna, Kilauea, Piton de la Fournaise,
Sakurajima, Asama, Stromboli, Sangay, Arenal, ecc.). Si possono far rientrare in questa categoria
anche il St.Helens (dopo il Maggio 1980) o il Merapi il cui condotto è in realtà "dinamicamente"
ostruito da un duomo in progressivo accrescimento. La frequenza elevata dei fenomeni eruttivi dello
stesso tipo rende piu' facile anche la previsione "empirica" che si basa appunto sulla ripetibilità del
fenomeno. In effetti tutti i successi nella previsione sono stati ottenuti finora su vulcani di questo
tipo (Minakami, 1974; Swanson et al, 1983; Decker, 1987; Klein et al., 1987).
2. pericolosità. a lungo termine o potenziale connessa a vulcani la cui frequenza eruttiva è. bassa e
si trovano in condizioni di condotto ostruito.
Nel primo caso l'evento atteso risulta abbastanza ben definito; il record dei fenomeni eruttivi
osservati è relativamente abbondante e il problema della valutazione della pericolosità (e del rischio)
è reso meno drammatico dalla consuetudine al fenomeno della popolazione residente. Per gli eventi
con pericolosità a breve termine, la comunità vulcanologica deve essere impegnata e preparata
essenzialmente nel cercare di prevedere "quando" l'eruzione avrà luogo e, in molti casi, "dove". La
valutazione della pericolosità molto spesso deve essere intesa in senso "dinamico", cioè., soprattutto
per eruzioni effusive, essa dovrà essere mirata alla previsione, in corso di eruzione, delle aree nelle
2
quali è atteso il danno, con continui aggiustamenti in funzione dell'evoluzione delle caratteristiche
eruttive (ubicazione delle bocche, morfologia delle zone di scorrimento, tasso di efflusso, proprietà
reologiche della lava).
Nel caso di vulcani caratterizzati da lunghi periodi di riposo, la valutazione della pericolosità
(e del rischio) è un esercizio molto piu' complesso e delicato. Questi vulcani (il Vesuvio può essere
considerato come esempio della categoria) hanno fatto registrare nella loro storia eruzioni con
esplosività, intensità, magnitudo molto variabili. Come nel caso dei terremoti sarebbe opportuno
basare la valutazione della pericolosità su parametri quali l'intensità massima* e l'intensità
corrispondente a un certo periodo di ritorno.
Tabella 1 - Le eruzioni storiche che hanno provocato piu’ vittime.
Eruzione
Pinatubo, Filippine
Lago Nyos (Camerun)
Ruiz, Colombia
El Chichon, Mexico
Nyiragongo, Zaire
Agung, Indonesia
Hibok Hibok, Filippine
Lamington, Nuova Guinea
Merapi, Indonesia
Rabaul, Nuova Guinea
Merapi, Indonesia
Kelut, Indonesia
Taal, Filippine
Santa Maria, Guatemala
Mont Pelée, Martinique
Soufriere, St. Vincent
Awu, Indonesia
Ritter, Nuova Guinea
Krakatau, Indonesia
Galunggung, Indonesia
Cotopaxi, Ecuador
Awu, Indonesia
Ruiz, Colombia
Mayon, Filippine
Galunggung, Indonesia
Tambora, Indonesia
Mayon, Filippine
Unzen, Japan
Asama, Giappone
Lakagigar (Laki), Iceland
Gamalama, Indonesia
Papandajan, Indonesia
Makian, Indonesia
Cotopaxi, Ecuador
*
Anno
1991
1986
1985
1982
1977
1963
1951
1951
1951
1937
1930
1919
1911
1902
1902
1902
1892
1888
1883
1882
1877
1856
1845
1825
1822
1815
1814
1792
1783
1783
1775
1772
1760
1741
Vittime
870
1,700
25,000
2,000
300
1,900
500
2,942
1,300
507
1,369
5,110
1,335
6,000
29,000
1,565
1,500
3,000
36,000
4,000
1,000
3,000
700
1,500
4,000
92,000
1,200
14,300
1,150
9,300
1,300
3,000
2,000
1,000
Causa principale
Colate di fango e tefra
Nube di gas (CO2)
Colate di fango
Colate piroclastiche
Colate di lava
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate di fango
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Colate di fango
Tsunami
Tsunami
Colate di fango
Colate di fango
Colate di fango
Colate di fango
Colate di fango
Colate di fango
Carestia e colate piroclastiche
Colate piroclastiche
Collasso di settore, tsunami
Colate piroclastiche
Carestia
Colate piroclastiche
Colate piroclastiche e frane
Colate di fango
Colate di fango
È da rilevare la sostanziale differenza che il termine intensità ha in vulcanologia rispetto alla sismologia. L'intensità di un terr
è un parametro empirico che dipende dal danno osservato in un sito ed è quindi, tra l'altro, funzione della distanza dall'epicentro.
L'intensità di un'eruzione dipende invece, secondo la definizione di Carey e Sigurdsonn (1988), dal tasso di emissione del magma (la
magnitudo è la massa totale eruttata) senza alcun riferimento al danno provocato nei vari punti del territorio colpito.
3
Oshima, Giappone
Awu, Indonesia
Merapi, Indonesia
Komagatake, Giappone
Raung, Indonesia
Vesuvio, Italia
Kelut, Indonesia
1741
1701
1672
1640
1638
1631
1586
1,475
3,000
300
700
1,000
4,000
10,000
Tsunami
Colate di fango
Colate piroclastiche
Tsunami
Colate di fango
Colate piroclastiche
Colate di fango
modificato da: Volcanic Emergency Management. UNDRO, United Nations, 1985
Il primo parametro (intensità massima) può condurre, se usato da solo, a conclusioni di dubbia utilità
o errate. Ad esempio può condurre a considerare ugualmente pericolosi due vulcani che abbiano
sperimentato la stessa intensità massima indipendentemente dalla frequenza con cui tale evento si
verifica. È pertanto necessario considerare anche la frequenza degli eventi. Purtroppo, per quanto
ben studiata sia, la storia eruttiva di un vulcano non consente di ricavare leggi magnitudo-frequenza
con l'attendibilità statistica ottenibile nelle zone sismiche con record di eventi di pari lunghezza
temporale. Nonostante le difficoltà., è all'ottenimento di una legge di questo tipo che devono tendere
le ricerche sui vulcani, con la complicazione che non esiste un unico parametro (esempio:
magnitudo, intensità.) che possa esprimere la pericolosità di un'eruzione.
Per ogni dato vulcano la possibilità di ridurre i danni legati al verificarsi di un evento eruttivo
sarà tanto maggiore quanto meglio saranno state eseguite le operazioni seguenti (fig.8.2):
(1) Previsione dell'eruzione, cioè la indicazione del tempo e del luogo di accadimento dell'evento.
La possibilità di una buona previsione è legata all'esperienza acquisita su ogni dato vulcano, e sarà
quindi, come già abbiamo accennato, molto maggiore nei vulcani a pericolosità immediata che in
quelli a pericolosità potenziale. Presupposto comunque indispensabile è l'esistenza ed il corretto
funzionamento di un sistema strumentale di monitoraggio (che in genere, anche se un pò
impropriamente, viene definito "di sorveglianza"). A parità di altre condizioni, la qualità delle reti di
monitoraggio sarà direttamente proporzionale alla qualità della previsione.
(2) Definizione dei possibili scenari eruttivi e della loro probabilità d'occorrenza.
(3) Delimitazione delle zone potenzialmente minacciate dai diversi fenomeni pericolosi connessi ai
possibili scenari, e del diverso grado di minaccia.
Le operazioni (2) e (3) dovrebbero portare alla zonazione della pericolosità vulcanica attraverso la
stesura di carte tematiche che devono essere il punto di partenza per qualsiasi politica di prevenzione
e di mitigazione dei danni provocati dalle eruzioni vulcaniche. Attualmente, la zonazione della
pericolosità non può che essere basata sull'applicazione del principo dell'attualismo, nella
presunzione che l'attività futura del vulcano seguirà la logica di comportamento mostrata nel passato.
Dalla storia eruttiva di un dato vulcano si può allora tentare di ricavare un modello del
comportamento del vulcano, e da questo si potrà stimare:
- l'eruzione di massima intensità, con una stima della sua frequenza
- l'evento massimo atteso a breve-medio termine
Questi dati, trasportati sulle carte in termini di distribuzione spaziale di intensità prevista per i diversi
fenomeni, sono essenziali per procedere alle successive operazioni:.
(4) Censimento del valore danneggiabile dall'eruzione (popolazioni esposte e patrimonio socioeconomico-culturale) e valutazione della sua vulnerabilità nei diversi possibili scenari.
(5) Preparazione di piani di protezione civile per l'intervento in emergenza e di piani per la
pianificazione a lungo termine dell'uso del territorio, a carattere preventivo, che riducano il valore
danneggiabile e la sua vulnerabilità.
Il monitoraggio vulcanico e la previsione delle eruzioni
4
Il passaggio da uno stato di quiescenza ad uno eruttivo implica la migrazione di magma verso
la superficie. Nel risalire il magma esercita una spinta sulle rocce entro le quali si sta aprendo il
cammino, le solleva inarcandole e le frattura. Lungo le fratture i gas vulcanici, piu' caldi e
chimicamente diversi rispetto ai fluidi superficiali, sfuggono verso la superficie. Ogni eruzione
vulcanica, in linea di principio, dovrebbe quindi essere preceduta e preannunziata da una serie piu' o
meno complessa di fenomeni precursori. Ed in effetti è noto da tempo che molte eruzioni sono
precedute da terremoti e vistose deformazioni del suolo. Con questa consapevolezza gli sforzi
maggiori sono stati finora dedicati alla ricerca di relazioni temporali di tipo probabilistico tra le
caratteristiche dell'attività sismica o delle deformazioni del suolo e le eruzioni. Solo in tempi
relativamente recenti, e su pochi vulcani, si sono cominciati ad usare metodi deterministici basati
sulle variazioni di parametri fisici e chimici verosimilmente indotte dall'avvicinarsi del magma alla
superficie terrestre (variazioni locali dei campi gravimetrico e magnetico, della composizione
chimica dei gas fumarolici e delle acqua, del flusso di calore, del campo elettrico). Il termine
monitoraggio dei vulcani (spesso impropriamente si parla di "sorveglianza") si riferisce all'insieme
delle osservazioni e delle misure che vengono eseguite per documentare i cambiamenti che si
verificano nello stato di un vulcano durante un'eruzione e, sopratutto, prima dell'eruzione e che
possono essere utilizzati come fenomeni precursori.
Monitoraggio geofisico
(1) Deformazioni del suolo - In linea di principio, il sollevamento del suolo eventualmente indotto
dalla risalita del magma è il risultato di un rigonfiamento localizzato e comporta quindi un aumento
della pendenza (il "tilt" degli inglesi) del vulcano (fig.8.3). I caposaldi delle reti di misura si
sollevano in modo differenziale uno rispetto all'altro fino al momento dell'eruzione per poi seguire
rapidamente la strada opposta (non necessariamente tornando sulle posizioni di partenza) a seguito
del rilascio di pressione nel serbatoio magmatico (è un pò come iniettare lentamente d'acqua in un
contenitore elastico fino a provocarne la rottura ed osservarne la superficie in lenta espansione nella
fase di riempimento ed in rapida contrazione al momento della rottura). I cambiamenti di forma di
un vulcano sono seguiti attraverso misure di deformazione del suolo. Queste possono essere
effettuate con metodi diversi:
5
Fig.2. A sinistra: le spettacolari eruzioni del Pu`u `O`o (rift valley orientale del Kilauea, Hawaii, 1983 - 1986) furono accompagnate
da significative variazioni di inclinazioni di pendio (tilt) sulla sommità del vulcano, circa 20 km lontano dalla bocca. Foto di J.D.
Griggs il 4 Febbraio 1985, A destra in alto: Una serie di crateri, coni e fratture distribuiti tra la caldera del Kilauea e il Pu’òo
costituisce la Rift Valley Orientale del Kilauea. Prima di eruttare al Pu’òo, il magma entra nella camera magmatica principale sotto
la caldera per poi spostarsi verso il Pu’òo. I tiltmetri erano ubicati sul fondo della caldera, presso il bordo occidentale (in basso a
sinistra nella foto). . A destra in basso: il grafico mostra dodici mesi di registrazioni di un tiltmetro (“Uwekahuna”) ubicato sul ordo
della caldera. Quando lo strumento registra un aumento dell’angolo di pendio, la sommità del Kilauea si sta rigonfiando a causa
dell’ingresso di nuovo magma nella camera sommitale. Il brusco abbassamento del tilt mostra lo spostamento del magma dalla
camera sotto la caldera alla bocca del Pu’u Òo e precede di pochissimo il rinforzarsi dell’attività a quella bocca.
FONTE: http://volcanoes.usgs.gov/
- la clinometria (o tiltmetria) misura in continuo con grande precisione (a meno di un microradiante
~ 0.000006°) i cambiamenti degli angoli di pendio. Un tiltmetro elettronico, come la livella di un
muratore, usa un piccolo contenitore riempito di liquido con una “bolla” per misurare i cambiamenti
di pendenza (tilt). L’entità dello spostamento della bolla è misurato da elettrodi e viene correlato con
l’entità del tilt. Per dare un'idea del livello di precisione raggiunto si immagini un asse di legno
lungo un chilometro poggiato su un terreno perfettamente orizzontale e si immagini l'aumento della
pendenza provocato da una moneta inserita sotto una estremità dell'asse: esso è di circa un
microradiante!
- la livellazione di precisione è utilizzata per misurare, attraverso campagne periodiche su reti di
caposaldi opportunamente stabilite, gli spostamenti verticali subiti dai diversi caposaldi.
- la distanziometria - i cambiamenti nella distanza sull'orizzontale tra caposaldi opportunamente
fissati vengono invece misurati con strumenti portatili a laser od a raggi infrarossi di grande
precisione (EDM = electronic distance measurement). Vi è una grande variabilità nella precisione
degli strumenti che dipende dagli scopi per i quali essi vengono utilizzati. Nel monitoraggio dei
vulcani gli EDM usati hanno distanze di impiego medio-corte (<10 - <50 km) con accuratezza della
misura nell’ordine dei 5 mm. Lo sviluppo di reti satellitarie permette anche l'impiego di reti GPS
(global positioning systems).
Fig. 3. Un distanziometro elettronico (EDM) trasmette e riceve un segnale elettronico. La sfasatura di lunghezza d’onda del segnale
di ritorno rispetto al segnale trasmesso è funzione della distanza dal riflettore.
http://volcanoes.usgs.gov/
6
Fig. 4 . A sinistra: La distanza tra due caposaldi opportunamente posizionati all’interno della caldera del Mauna Loa (Hawaii)
aumentò di circa 50 cm negli stadi iniziali delle eruzioni del 1975 e del 1984. USGS . A destra: Il grafico mostra la progressiva
diminuzione della distanza tra due caposaldi ubicati sul duomo e la stazione EDM sul fondo del cratere prima dell’eruzione del 14
Maggio 1982 del St. Helens (linea verticale rossa). La contrazione della distanza è dovuta al rigonfiamento del duomo sotto la spinta
di magma fresco. Col passare dei giorni il gradiente di contrazione diviene sempre piu’ forte (il 2 Maggio il duomo si espanse di 2
cm, il 13 Maggio di 2 metri). Sulla base di queste misure e dell’aumentata attività sismica, l’11 Maggio gli scienziati lanciarono la
previsione di un’eruzione attesa entro una settimana.
http://volcanoes.usgs.gov/About/What/Monitor/Deformation/EDMMSH.html
(2) Attività sismica - Muovendosi verso la superficie il magma deve farsi spazio fratturando e
spostando le rocce solide che lo circondano. Queste fratture e questi spostamenti producono delle
onde sismiche che si trasmettono attraverso la porzione solida del vulcano e possono venire raccolte
da sensori (sismometri, accelerometri) posti sulla superficie e, convertiti in segnali elettronici,
registrate da sismografi. I dati sismici vengono analizzati per determinare il momento in cui il
terremoto si è verificato, la sua localizzazione e la sua magnitudo. Una corretta "mappatura"
dell'attività sismica ed una corretta interpretazione del significato dei differenti segnali sismici può
permettere la ricostruzione dei movimenti del magma nella sua migrazione verso la superficie. Ma
sulla classificazione dei segnali sismici in aree di vulcanismo attivo non vi è oggi generale accordo
tra gli studiosi. Una sintesi semplificata proposta (Dorel, 1994) è la seguente:
7
Fig.5. Esempi di segnali sismici di origine vulcanica registrati al vulcano St. Helens nel corso del 1980. Per ogni segnale viene
mostrato il sismogramma registrato a tre differenti distanze (D) dall'epicentro. Le sigle a sinistra di ciascun segnale identificano il
sismografo.(A) = sisma a bassa frequenza (Magnitudo = 3.2); (B) = sisma ad alta frequenza (M=3.2); (C) = sisma superficiale
(eruzione del 22 Luglio 1980); (D) = tremore. FONTE: da Malone et al., 1981, in Bourdier, 1994, Le Volcanisme, Editions BRGM,
Orleans.
- sismi ad alta frequenza (HF) - si tratta di segnali relativi ad onde di frequenza superiore ai 10 Hz,
con fasi P (primaria) e S (secondaria) ben definite e con inizio netto (Fig.5A). Questi sismi hanno un
aspetto simile a quello dei terremoti "tettonici" e dovrebbero rivelare la fratturazione del mezzo
rigido e freddo, incassante la massa magmatica;
- sismi a bassa frequenza (BF) - sono segnali relativi ad onde di frequenza inferiore ai 10 Hz, con
fasi P e S mal definite (fig.5B), il che rende problematica la localizzazione della sorgente. Essi in
genere precedono di poco ed accompagnano le eruzioni e dovrebbero rivelare deformazioni interne
ad una massa semirigida ad alta temperatura (le pareti della camera, un magma molto viscoso, ecc.);
- tremore vulcanico - si tratta di sequenze prolungate di sismi (in genere BF) talmente vicini nel
tempo da dare luogo ad una specie di vibrazione continua (fig.5C). Il tremore è un fenomeno che in
genere accompagna l'eruzione piuttosto che precederla ed è in relazione diretta con il movimento del
magma;
- fenomeni di superficie - in questa categoria vengono raggruppati tutti i segnali sismici la cui origine
è molto superficiale: esplosioni gassose, frane, ecc. (fig.5D).
(3) Variazioni della accelerazione di gravità - Una variazione temporale dell'accelerazione di
gravità può essere indotta da due meccanismi: (1) una variazione di quota, oppure (2) una variazione
della distribuzione dei contrasti di densità nel sottosuolo. Le variazioni di quota sono associate alle
deformazioni del suolo (espansione e contrazione), mentre le variazioni del contrasto di densità
possono essere causate da spostamenti di massa (per esempio un'intrusione) o da cambiamenti di
stato fisico come l'aumento della vescicolazione del magma. Esiste quindi un'ambiguità di fondo
nell'interpretare le variazioni temporali della gravità in quanto, per esempio, una diminuzione di
gravità può essere
spiegata sia da un aumento della quota che da una diminuzione di densità in una parte del substrato.
Quest'ambiguità può essere rimossa effettuando simultaneamente, ogni volta che la rete di caposaldi
viene battuta, misure della gravità e livellazioni di precisione. Una volta note le variazioni di quota,
le variazioni di gravità possono essere corrette sulla base del gradiente ∆g/∆h che può essere
considerato costante, una volta nota la densità del substrato (il che non è cosi' semplice). I gravimetri
consentono attualmente una precisione dell'ordine dei 5 microgal (µGal) il che corrisponde grosso
modo ad un cambiamento di quota di 1,5 mm. Se una variazione di gravità osservata è dovuta solo
alla variazione di quota, la variazione di gravità residua (∆g') dopo la correzione sarà nulla. Una ∆g'
positiva rileverà un apporto di massa nel substrato , mentre una ∆g' negativa indicherà una perdita di
massa.
8
Fig. 6. Il sistema di monitoraggio del Vesuvio gestito dall’Osservatorio Vesuviano (tratto dal sito:
http://www.osve.unina.it/vesgen.htm, riferito come aggiornato al Marzo 1999)
(4) Variazioni del campo magnetico - Negli ultimi 15 anni è stato visto in modo chiaro (ma l'idea
era assai piu' vecchia) che cambiamenti nella distribuzione delle masse all'interno di edifici vulcanici
sono accompagnate da variazioni anomale di qualche nanoteslas (nT) del campo magnetico terrestre.
(5) Variazioni di resistività - La resistività elettrica di una roccia diminuisce all'aumentare della
temperatura; se la roccia fonde la resistività diminuisce bruscamente; piu' alto è il contenuto in fluidi
di una roccia e piu' bassa è la sua resistività, ed un fluido ad alta temperatura è meno resistivo di uno
a bassa temperatura. A causa di queste proprietà le misure di resistività possono essere utili nel
monitoraggio dei vulcani (fig.8.6).
(6) Variazioni del flusso di calore - Essendo bassa la conducibilità termica delle rocce, il trasporto
di calore per conduzione verso la superficie è lento in confronto alla velocità di risalita del magma.
Questo significa che variazioni significative nel flusso di calore legate all'approssimarsi alla
superficie di masse magmatiche avranno probabilità pressochè nulla di essere registrate prima
dell'eruzione. Il trasporto di calore per convezione è invece molto piu' rapido in quanto il calore si
propaga alla velocità dei fluidi che lo trasportano (acqua, vapore, gas magmatici). In periodi di
quiete le anomalie termiche nelle aree vulcaniche sono in genere localizzate a siti di risalita
preferenziale di fluidi caldi profondi: campi fumarolici, sorgenti termali, faglie attive. In genere,
all'approssimarsi di condizioni eruttive (il magma sta risalendo) si nota un aumento progressivo del
volume e della temperatura dei fluidi emessi, nonchè l'apparizione di nuove zone di risalita di fluidi
caldi. Il rilevamento di queste anomalie può essere fatto tramite misure puntuali, periodiche o
continue, oppure con tecniche di teledetezione aeroportata o satellitare (ad esempio la termografia
all'infrarosso che consiste nell'analisi delle variazioni spaziali dell'emissione di raggi infrarossi da
parte della superficie).
Monitoraggio geochimico
Il trasporto di calore per convezione è molto piu' rapido di quello per conduzione in quanto il calore
si propaga alla velocità dei fluidi che lo trasportano (acqua, vapore, gas magmatici). In periodi di
quiete le anomalie termiche nelle aree vulcaniche sono in genere localizzate a siti di risalita
preferenziale di fluidi caldi profondi: campi fumarolici, sorgenti termali, faglie attive. Il principio
9
generale sul quale si basa il monitoraggio geochimico dei vulcani è che, all'approssimarsi di
condizioni eruttive (il magma sta risalendo), si noti un aumento progressivo del volume e della
temperatura dei fluidi emessi, un aumento della quantità di componenti di provenienza magmatica
nella miscela gassosa, l'apparizione di nuove zone di risalita di fluidi caldi. Il rilevamento di queste
variazioni termiche e composizionali può essere fatto tramite misure puntuali, periodiche o continue,
oppure con tecniche di detezione a distanza.
Fig.7. Il COSPEC (“correlation spectrometer”) è uno
strumento che viene utilizzato per misure a distanza su
emissioni gassose di qualsiasi natura. Lo strumento effettua
misure attraverso pennacchi di fumo spinti dal vento. Il
principio base è quello di determinare il contenuto in gas non
atmosferico nel pennacchio attraverso il confronto tra lo
spettro della luce naturale riflessa dall’aria pura e quello
riflesso dal pennacchio. Da questi dati si può calcolare con
una certa approssimazione il volume emesso dalla sorgente di
gas in un dato intervallo di tempo. Nella foto l’effettuazione
di una misura COSPEC da un sito fisso. Gli strumenti
possono essere montati su veicoli.:
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/working_on_volcs/gas3.
html
Fig.8. Lidar è un acronimo per “Light Detection and
Ranging”, una tecnica di misurazione a distanza che usa la
luce laser in modo simile a come il sonar usa il suono, o il
radar usa le onde radio. L’idea di base è semplice: un
impulso laser viene emesso verso il cielo notturno e la
quantità di luce riflessa dall’atmosfera è misurata in funzione
del tempo. La quantità di luce riflessa da ogni altezza (che,
nota la velocità della luce, sarà determinata dal tempo di
registrazione) è proporzionale alla densità dell’atmosfera e,
fatte le opportune tarature, alla sua composizione.
FONTE: http://users.aber.ac.uk/ozone/lidar.html
Fig.9. Esempi di precursori geochimici in vulcani della Kamtchatka (Russia). A sinistra: variazioni del contenuto in Radon nelle
acque termali del Karymsky (ridisegnato da Chirkov, 1975). A destra: variazioni del rapporto S/Cl nelle fumarole del Sheveluch
(ridisegnato da Menyailov, 1975).
Aumenti dei contenuti di Radon nelle acque termali e aumenti del rapporto S/Cl dei gas fumarolici
sono stati ripetutamente osservati in coincidenza con eruzioni di vulcani della Kamtchatka, ma
l'approccio è essenzialmente empirico e non può fornire altro che una generica informazione su una
10
condizione di "anomalia" nello stato del vulcano. Un contributo conoscitivo importante è venuto
dagli studi sistematici sui gas eruttivi, che hanno consentito di classificare i gas che fuoriescono dalle
manifestazioni fumaroliche in termini di componenti di provenienza magmatica, contrapposta ad una
provenienza superficiale o geotermica. La prossimità al "polo magmatico" consente di stimare
condizioni di magma prossimo alla superficie (questo sopratutto se le misure vengono eseguite
periodicamente e si assiste ad una progressiva variazione di composizione verso il vertice
"magmatico"). La composizione dei gas delle fumarole del Nevado del Ruiz, prossime al polo
magmatico nonostante la loro bassa temperatura, consenti', tre settimane prima dell'eruzione del
1985, di stabilire la condizione di elevata pericolosità del vulcano.
Fig. 10. Diagramma triangolare che illustra le concentrazioni relatiive di zolfo, cloro ed anidride carbonica nei gas fumarolici di vari
vulcani. La freccia indica la direzione di avvicinamento al "polo" magmatico. Si noti come la composizione dei gas del Nevado del
Ruiz (Colombia), nonostante la bassa temperatura (85.5°C), era molto vicina alle composizioni magmatiche tipiche di vulcani in
attività semipersistente (Erta 'Ale, Ngauruhoe) (la misura è sttata eseguita tre settimane prima dell'eruzione del 1985). Ridisegnato e
modificato da Barberi et al., 1989
Previsione delle eruzioni
I primi successi nella previsione delle eruzioni sono venuti dalla sorveglianza continua dei vulcani di
Hawaii mediante reti sismiche e tiltmetriche. I fenomeni osservati sul vulcano Kilauea (lento
sollevamento dell'area sommitale accompagnato da sismi ad alta frequenza fino all'eruzione e
successiva rapido abbassamento durante l'eruzione con sismicità a bassa frequenza) sono spiegabili
con la presenza di una camera magmatica superficiale ripetutamente alimentata e svuotata. Al
Kilauea i fenomeni precursori di un'eruzione non sono distinguibili da quelli di un'intrusione
superficiale senza eruzione. Nel periodo 1959-1980 sarebbero avvenute 46 intrusioni di magma, 21
senza eruzione e 25 con eruzione. Il tempo che intercorre tra l'apparire di fenomeni precursori
inequivocabili e l'inizio dell'eruzione è molto breve (al massimo qualche giorno, spesso poche ore).
11
Fig.11. Esempi di precursori geofisici di un vulcano in attività semipersistente e condotto aperto, il Kilauea (isole Hawaii). Sopra:
Variazioni nel tempo della pendenza (tilt) dei fianchi del vulcano (in microradianti) registrate nell'area sommitale del vulcano.
L'andamento ricorrente è caratterizzato da un graduale sollevamento (inflation) seguita da un brusco abbassamento (deflation) in
coincidenza dell'evento effusivo (freccie verso l'alto) o intrusivo (freccie verso il basso). Kilauea Iki, Mauna Ulu e Pu'u 'Òo sono le tre
bocche a piu' riprese attivatesi nell'intervallo di tempo considerato. Sotto: dettaglio di sei mesi di attività del Pu'u 'Òo che mostra
come l'alternanza espansione-contrazione/eruzione tipico delle eruzioni maggiori si ripeta, a scala minore, anche nel caso anche nel
caso dei ricorrenti episodi di fontana di lava ('episodi eruttivi"). È ben evidente anche la distribuzione temporale della sismicità, con
sismi a bassa frequenza (scala di sinistra) che accompagnano e seguono l'eruzione, e sismi ad alta frequenza (scala di destra) che la
precedono. Ridisegnato e modificato daTilling et al., 1987.
Fenomeni simili sono stati osservati anche in altri vulcani caratterizzati da condizioni di
condotto aperto e frequenti eruzioni laviche (Etna, Sakurajima, Piton de la Fournaise)..
Anche nel caso dell'attività esplosiva i successi riportati nella previsione sono quasi tutti
basati sulla ripetitività di un determinato fenomeno, che ha consentito di ricavare una legge empirica
di funzionamento del vulcano studiato: numero dei terremoti nei 5 giorni precedenti l’eruzione
(Asama), ripetuti processi di espansione-contrazione (Usu, Sakurajima). I vulcanologi del Servizio
Geologico Americano sono stati capaci di predire tutte le eruzioni del St Helens successive all'evento
catastrofico del 18 Maggio 1980 e alla prima eruzione "minore" avvenuta una settimana dopo. Si è
trattato di brevi eruzioni esplosive di piccola-media energia con colonne sostenute alte 10-20 km,
caduta di piroclastiti e scorrimento di colate piroclastiche, chiuse dall’emissione di lave viscose a
formare un duomo lavico).
12
Fig.12. Le eruzioni del vulcano St. Helens (USA) successive alla grande eruzione del 18 Maggio 1980 sono state previste sulla base di
un complesso sistema di monitoraggio comprendente reti sismiche, clinometriche, distanziometriche, altimetriche, nonchè misure in
continuo dell'emissione di anidride solforosa (sulfur dioxide). Nell'esempio sono mostrati i precursori dell'eruzione del 19 Marzo
1983; le tre barre rosse in alto a destra ("finestre di previsione dell'eruzione") mostrano l'approssimazione progressivamente ridotta
nella successione delle previsioni. Ridisegnato da dati dell'USGS
Fig.13. La contrazione cumulativa (in m) misurata da una rete di caposaldi distanziometrici posti tra una piccola faglia ed il fianco
occidentale del duomo lavico in crescita nel cratere del St. Helens è stata usata con successo come precursore principale delle
eruzioni verificatesi dopo il 1980. Le frecce verticali gialle indicano l'eruzione, le barre azzurre la finestra di previsione. Ridisegnato
da Swanson et al., 1983.
Esse sono state precedute da diversi fenomeni precursori: aumento dell'energia sismica, espansione
del duomo lavico, sollevamento del suolo, aumento dell'emissione di anidride solforosa. Il controllo
delle deformazioni del suolo è stato però il metodo che ha consentito le previsioni piu' accurate. La
qualità della previsione è migliorata con l'esperienza: le prime 13 eruzioni dopo il Giugno 1980 sono
state infatti previste con anticipo molto breve (da poche decine di minuti a poche ore), mentre le
13
sette eruzioni successive sono state previste con anticipo variabile da tre giorni a tre settimane. Non
ci sono stati casi di falso allarme: tutte le eruzioni preannunciate si sono effettivamente verificate.
I successi ottenuti nella previsione delle eruzioni esplosive del St. Helens non devono indurre a
eccessivo ottimismo sulla capacità di previsione delle eruzioni di vulcani in condizioni di condotto
ostruito e da lungo tempo quiescenti. Un vulcano di questo tipo per il quale la previsione ha avuto
comunque successo è il Pinatubo, nelle Filippine, che nel Giugno 1991 rientrò violentemente in
attività dopo un riposo di circa 450 anni.
Il 2 Aprile del 1991 si verificò una modesta esplosione freatica al cratere, con emissione di cenere e
vapore. Il vulcano in quel momento non era dotato di alcun sistema di monitoraggio. In brevissiomo
tempo l'Istituto di Vulcanologia e Sismologia delle Filippine (PHIVOLCS) in collaborazione con
l'USGS degli Stati Uniti installarono una rete di sismografi e successivamente cominciarono a
raccogliere dati sul contenuto in anidride solforosa del pennacchio di vapore emesso dalla zona
craterica. Nessun altro tipo di sorveglianza strumentale fu organicamente approntato.
Fig.14. Una “grande, grigia nube eruttiva a forma di fungo” e alta 20 km si alza dal vulcano nella mattina di mercoledi’ 12 Giugno.
Cenere e pomici ricadono su vaste aree sottovento e colate piroclastiche scendono lungo le valli.
http://pubs.usgs.gov/pinatubo/
La brusca diminuzione dell'emissione di SO2 del 5 Giugno fu interpretata come evidenza della
presenza di magma molto prossimo alla superficie (in grado di ostruire i canali di degassamento fino
ad allora seguiti). Il 6 Giugno fu deciso di innalzare il livello di allarme ["eruzione possibile entro
due settimane]. Il fortissimo aumento della sismicità a bassa frequenza registrato il 7 Giugno fu
invece l'elemento che suggeri' di passare (8 Giugno) al livello successivo ["eruzione possibile entro
24 ore"]. L'apparizione del tremore e lo scorrimento della prima colata piroclastica portarono
PHIVOLCS a dichiarare l'"eruzione in corso" il 9 Giugno alle 15.15, e ad estendere l'area di
evacuazione ad un raggio di 20 km intorno alla zona craterica. Come schematicamente descritto
nella tabella F0507161 il provvedimento fu quanto mai opportuno perchè il vulcano incrementò
progressivamente la violenza dei suoi fenomeni raggiungendo il suo massimo il 15 Giugno, con
nove ore di esplosioni quasi ininterrotte, una colonna eruttiva oscillante in altezza, con punte
massime fino a 40 km, ed il semicontinuo scorrimento di veloci colate piroclastiche capaci di
arrivare fino a 18 km dal cratere.
Secondo stime ufficiali (che, per alcuni versi sembrano contraddittorie o decisamente
sopradimensionate), le vittime furono 847 (+23 dispersi), delle quali 310 dovute ai fenomeni eruttivi
(essenzialmente il crollo delle coperture e le colate di fango) e 537 alle malattie epidemiche diffusesi
14
nei centri di raccolta; il 94% di questi decessi ha riguardato la comunità degli Aeta, indigeni
seminomadi che abitavano le pendici piu' alte del vulcano. Circa 1.200.000 persone hanno subito un
qualche danno dall'eruzione, e piu' di 40.000 abitazioni, 4500 aule scolastiche e 98 ospedali e centri
medici sono stati totalmente distrutti. Circa 1300 km2 di territorio agrigolo o forestato sono stati
censiti come devastati. Per circa 184.000 persone (130.000 dei quali Aeta) si è posto il problema di
un reinsediamento permanente.
Fig.15. Nel corso della fase piu’ violenta dell’eruzione, il 15 Giugno, gigantesche colate piroclastiche si formano a seguito del
ripetuto collasso della colonna eruttiva
http://eos.pgd.hawaii.edu/ppages/pinatubo/2.eruption/index.html
Fig.16. Cronologia degli eventi esplosivi verificatisi tra il 12 e il 15 Giugno, determinata sulla base di osservazioni dirette, immagini
radar e dati sismici. Le barre verticali corrispondono a singole, brevi eruzioni, ciascuna associata a una colonna eruttiva. Le barre
intere e con freccia si riferiscono a eventi per i quali l’altezza della colonna è fornita da dati ardar. Le aree in grigio raffigurano
l’emissione continua di tefra.. Ridisegnata e modificata da http://pubs.usgs.gov/
Non vi è dubbio che il successo ottenuto dai vulcanologi filippini e statunitensi debba essere
considerato rimarchevole. Ma non vi è neppure dubbio che esso non deve indurre troppo
all'ottimismo sulla prevedibilità delle grandi eruzioni esplosive (la magnitudo dell'eruzione del
Pinatubo è confrontabile con quella dell'eruzione pliniana del 79 d.C. del Vesuvio, che però ebbe
una dinamica assai differente) che si verificano dopo lunghissimi periodi di riposo. Vi è innanzi tutto
da sottolineare come l'evoluzione dei fenomeni sia stata molto "linearè, con un progressivo parallelo
aumento dei segnali strumentali e dell'attività direttamente osservabile. Nella sostanza delle cose il
Pinatubo ha cominciato a dare chiari segni di risveglio fin da Aprile (ma se ci fosse stata una qualche
rete di monitoraggio probabilmente si sarebbe avuto qualche segnale anche in precedenza), ed al
15
momento in cui veniva dichiarata la possibilità di un'eruzione entro 24 ore (8 Giugno), di fatto
l'eruzione stessa era già cominciata con l'emergenza di un duomo lavico, accompagnata da ripetute
esplosioni ed emissione
Fig.17. L’eruzione del 15 Giugno 1991 del Pinatubo è stata la seconda piu’ grande eruzione del ventesimo secolo. La distribuzione
dei depositi di colata piroclastica e di lahar è mostrata nella figura insieme al’andamento della nube eruttiva nel corso del 15
Giugno. Leggermente modificato da: http://geology.wr.usgs.gov/
di cenere. Il tutto con una gradualità nell'aumentare dell'intensità dei fenomeni quasi "ideale" per
coloro che avevano la responsabilità della previsione e della gestione dell'emergenza. Dal momento
dell'inizio dell'emergenza nessuna regressione o pausa nella progressione dei fenomeni premonitori è
stata osservata. Ciò ha fatto si' che nessun falso allarme sia stato lanciato, con conseguente assenza
di ripercussioni negative sulla fiducia nel sistema di monitoraggio e sulla capacità di saperne
interpretare i segnali, sia per i responsabili della definizione dei livelli di allerta che per la
popolazione. Altri elementi favorevoli per il successo degli interventi di protezione civile nel corso
dell'emergenza Pinatubo, sono stati la bassa densità di popolazione e la primitività delle
infrastrutture urbanistiche e socio-economiche dell'area maggiormente esposta al pericolo. Ciò ha
permesso alle autorità di procedere all'evacuazione solo al momento in cui è stato dichiarato il livello
di allarme 4 ("eruzione possibile entro 24 ore" - 7 Giugno, ore 18.30) e di riuscire ad evacuare
effettivamente tutta l'area prevista (compresa in un raggio di 20 km dalla zona craterica) entro la sera
dell'11 Giugno, prima dell'inizio della fase piu' violenta dell'eruzione (ma ben dopo la proclamazione
del livello di allarme 5, "eruzione in atto" - 9 Giugno, ore 15.15).
16
Tab. 2. Cronologia dei precursori e degli eventi eruttivi dell'eruzione del Pinatubo (Filippine) del 1991.
Informazioni e dati di Phivolcs e USGS
2 Aprile
- esplosione freatica; cenere e vapore
5 Aprile
installati primi sismografi
sismi ad alta frequenza (30180
5 Aprile
Livello di allarme 1 "magmatic, tectonic or
eventi/g) fino al 6.Giugno.
hydrothermal disturbance"
13 Maggio
prima misura COSPEC
emissione SO2= 500 tonn/g
16 Maggio
Livello di allarme 2 "probable magmatic
intrusion could lead to eruption"
3 Giugno
3-4 Giugno
4-6 Giugno
6 Giugno
07.30-08.00
7 Giugno
mattino
7 Giugno
18.30
8 Giugno
9 Giugno
9 Giugno
9-12 Giugno
12 Giugno
15.25
0.500 ca.
06.00-14.50
14.55
15.15
mattino
13 Giugno
22.52-23.05
08.41
14 Giugno
13.09
13.53-14.08
15.20
15 Giugno
18.53
22.18
23.21
01.15
02.57
05.17-09.00
10.27
11.17-13.42
15 Giugno
- prima eiezione di cenere
- frequenti e brevi eiezioni di cenere
- calma
Livello di allarme 3 "eruption possible
within 2 weeks"
- calma
emissione SO2= 800 tonn/g
dal 20 al 28.5 emissione SO2
=2000 tonn/g;
5000 tonn/g fino al 4.6;
SO2= 260 tonn/g il 5.6
- 1500-2000 sismi ad alta
frequenz
Livello di allarme 4 "eruption possible
within 24 hrs"
- emergenza duomo; emissione vapore
- eiezione di cenere
- semicontinua emissione di ceneri;
nubi basse di vapore
- prima colata piroclastica
Livello di Allarme 5 "eruption in progress"
- numerose colate piroclastiche (4-5 km percorsi)
- 3 esplosioni "maggiori' (piu' violenta alle
08.51). Colonna sostenuta di 20 km.
Lapilli e ceneri di caduta. Colate piroclastiche.
- altra serie di forti esplosioni. Colonna di 25 km.
- altra violenta esplosione. Colonna sostenuta,
caduta di cenere
- grossa esplosione - colonna di 25 km,
caduta di ceneri
- esplosioni intermittenti piu' piccole
- grossa esplosione - colonna di 30 km.
caduta di cenere
- esplosione minore
- esplosione minore
- esplosione minore
- esplosioni accompagnate da colate
piroclast. verso SE (velocità di 70-80 km/ora)
- sette esplosioni ad intervalli compresi tra 7 e
79 min; colonne fino a 25 km e larghe alla base
15-18 km. Colate piroclast. a 16 km dalla bocca
- grossa esplosione - colonna di 40 km
- 5 grosse esplosioni succedutesi quasi senza
soluzione di continuità. Altezza non rilevabile
per visibilità zero. caduta di pomicie cenere.
danger zone
raggio 10 km
"prepararsi
all'evacuazioe"
danger zone
raggio 20 km
"evacuare"
- sismi a bassa frequenza;
- tremore discontinuo
-tremore continuo fino circa
al 20 Giugno
tarda mattina
11 Giugno:
evacuazione
completata
danger zone
raggio 40 km
15/16 Giu.
18 Giugno
- altre esplosioni non registrate con precisione
17.6- 20.7
21.7-3.9
4 Settembre
4 Settembre
- esplosioni minori ad una media di 3 per giorno
- esplosioni minori ad una media di 2 per giorno
- ultima esplosione minore registrata
Livello di allarme 3
attività sismica in riduzione
danger zone
raggio 20 km
danger zone
raggio 10 km
17
Campi Flegrei 1982-84 - Non sempre il comportamento di un vulcano quiescente da lungo tempo ha
la linearità mostrata dal Pinatubo. I Campi Flegrei sono una complessa struttura vulcanica costituita
da una grande caldera, formatasi circa 35.000 anni fa in seguito ad una gigantesca eruzione esplosiva
(probabilmente piu' di 100 km3 di magma emesso), all'interno della quale si è successivamente
sviluppata una lunga storia di sollevamenti, eruzioni esplosive e collassi. Anche se quiescenti dal
1538, quando l'ultima eruzione portò alla nascita del Monte Nuovo, i Campi Flegrei rappresentano
certamente un'area di vulcanismo attivo, con manifestazioni termali intense ed evidenti, frequenti
terremoti e lenti movimenti verticali del suolo ("bradisismi"). Circa 400.000 persone vivono
all'interno della caldera flegrea, la cui porzione orientale è occupata dai quartieri occidentali di
Napoli ed al cui centro si trova la città di Pozzuoli (72.000 abitanti). L'ultima crisis bradiisimica è
durata dall'estate 1982 alla fine del 1984; in questo periodo si è avuto un vistoso sollevamento del
suolo a forma pressochè perfettamente conica, con vertice su Pozzuoli ed altezza di 185 cm. Questo
sollevamento è stato accompagnato da cambi nella composizione chimica dei gas fumarolici della
Solfatara (un cratere formatosi circa 4.000 anni fa nei pressi di Pozzuoli), da diminuzione
dell'accelerazione di gravità e da forte sismicità superficiale, in crescita all'aumentare del
sollevamento. I precursori "classici" di un'eruzione c'erano tutti (compresi due violentissimi "sciami"
sismici) e nell'Ottobre 1993 furono evacuate circa 40.000 persone dal rione "Terra" di Pozzuoli,
essenzialmente per lo stato delle abitazioni, giudicate sismicamente insicure. La situazione pareva
dovesse quindi sfociare in un'eruzione in tempi relativamente rapidi. Ma cosi', finora, non è stato.
Dal gennaio 1985, infatti, il suolo ha smesso di sollevarsi ed il bradisisma si è invertito (con un lento
abbassamento che si è arrestato intorno al 1990 lasciando una deformazione positiva residua di piu'
di un metro), la sismicità è praticamente cessata, e le anomalie geochimiche sono rientrate. Ma
certamente l'attenzione non può essere allentata. I Campi Flegrei continuano a rappresentare un'area
ad altissimo rischio, ed il confronto tra le esperienze del Pinatubo nel 1991 e dei Campi Flegrei nel
1982-84 (e 1970-72) mostra che l'avvicinamento all'eruzione segue strade che possono essere molto
diverse da vulcano a vulcano.
La pericolistà vulcanica
Diversi sono i fenomeni vulcanici pericolosi come diversi sono i pericoli associati a ciascun
fenomeno:
la caduta di piroclastiti;
le colate di lava;
i flussi piroclastici;
le colate di fango;
i gas vulcanici;
le nubi eruttive.
18
Fig. 18 - I diversi fenomeni vulcanici capaci di generare
danni a cose e persone. Nel caso di frane e lahar non è
necessario che il vulcano sia in attività. Dal sito dell’USGS:
http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/What/hazards.html
Ricaduta di piroclastiti - Un’eruzione esplosiva scaglia nell’atmosfera frammenti di roccia solida e di
magma fuso insieme a gas vulcanici con forza che può essere tremenda. I frammenti piu’ grossi
(bombe e blocchi) di norma ricadono lungo traiettorie balistiche a distanze non superiori ai 2-3 km
dalla bocca. I frammenti piu’piccoli, ceneri e lapilli, vengono trascinati in alto e formano imponenti
colonne eruttive che possono facilmente superare i 20 km di altezza.
Fig. 19 - Il peso delle ceneri cadute nel corso dell’eruzione del
Pinatubo (Filippine) del 1991 ha provocato la “seduta” sulla cda
di questo DC10. La nube eruttiva dell’eruzione dette luogo
complessivamente a undici emergenze in volo, con rottura dei
motori in tre casi. Foto scattata da R.L. Rieger, U.S. Navy il 17
Giugno del 1991. Tratta dal sito: http://nndc3.ngdc.noaa.gov/cgibin/wt/nndcp 3
I pericoli principali sono legati all'impatto diretto ed al carico statico sulle coperture degli edifici che
può portare al loro collasso. Le linee elettriche e telefoniche possono essere danneggiate e distrutte.
La copertura sotto la cenere dei terreni agricoli può danneggiare significativamente i raccolti e può
avere effetti letali, se ingerita, per il bestiame al pascolo. La dispersione di cenere nell'atmosfera può
ridurre o azzerare la visibilità creando problemi al traffico aereo e terrestre, mentre la dispersione di
gas vulcanici nella stratosfera può schermare la radiazione solare e produrre abbassamenti
significativi della temperatura media terrestre. I sistemi fognari possono essere intasati, ed i serbatoi
d'acqua non protetti possono essere contaminati. Pochi centimetri di copertura sul manto stradale
possono provocare problemi seri al traffico.
10
Fig. 20 - Visibilità ridotta a causa della caduta di cenere nel corso
dell’eruzione del Galunggung (Giava) nell’agosto del 1982. Da
Volcanic Emergency Management. UNDRO, United Nations, 1985
Fig. 21 - Una casa nel villaggio di Heimaey (Islanda) sepolta sotto
i lapilli emessi nel corso dell’eruzione dell’Eldfell del 1973. Nota
che il tetto è intatto grazie alla sua forte pendenza. Da Volcanic
Emergency Management. UNDRO, United Nations, 1985
Colate di lava - Anche se una colata eccezionalmente veloce (30-100 km/ora) del Nyiragongo, Zaire,
nel 1977 uccise circa 300 persone, le colate di lava raramente rappresentano una minaccia per la vita
umana. Esse infatti si muovono molto lentamente (da pochi cm a pochi m all’ora). Nel loro
scorrimento, tuttavia, le colate di lava distruggono tutto quanto incontrato e, in questo caso, la
pericolosità non è graduabile: la distruzione è totale o, praticamente, nulla.
Fig. 22 - Un vecchio schizzo mostrante la Etna e Catania durante
l’eruzione del 1669. Si vede sul fondo (verso NNO) la sommità
fumante dell’Etna mentre una colonna eruttiva si alza a basse
quote da una bocca sul fianco Sude del vulcano (Monti Rossi).
Le lave distrussero alcuni paesi e arrecarono seri danni a
Catania. Tratta dal sito:
http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_erupt1.html
Fig. 23 - Riproduzione di un affresco nella cattedrale di Catania
mostrante le lave dell’eruzione dell’Etna del 1969. Si noti al
centro in basso della pittura l’alta torre della Cattedrale medievale
che fu distrutta dal terremoto del 1693 insieme a gran parte della
città. Il Castello Ursino (che si vede in basso a sinistra circondato
dalla lava) è sopravvissuto tanto all’eruzione che al terremoto.
Tratta dal sito:
http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_erupt1.html
19
Fig24 - Il 7 Novembre 1928 la lava dell’Etna invade la cittadina di Mascali e lentamente la divora: non un solo edificio rimarrà in
piedi. Foto di ignoto tratta dal sito: http://www.geo.mtu.edu/~boris/ETNA_1928.html
Fig. 25 - Improvvise esplosioni di metano si verificano con una certa frequenza nelle vicinanze di colate laviche. Il metano, generato al
momento in cui la vegetazione viene sepolta dalla lava, si sposta nel sottosuolo attraverso pori e fratture e riempie cavità sotterranee.
Nella foto una nube di cenere scura risale a seguito di una grossa esplosione di metano al fianco del fronte di una lenta colata del Mauna
Loa (Hawaii). Tratta dal sito: http://volcanoes.usgs.gov/Products/Pglossary/methane.html
Colate e dei surges piroclastici -
20
Fig. 26 - L’eruzione del vulcano St. Helens del 18 Maggio 1980 fu caratterizzata nelle sua fasi iniziali da una serie di violente esplosioni
che dettero luogo a un surge (il cosiddetto ‘lateral blast”) che devastò un’area di 600 km2, trinciando come fossero fili d’erba tronchi del
diametro di due metri, raggiungendo distanze superiori ai 25 km dalla bocca. Al diminuire della velocità e della temperatura del surge,
sul bordo esterno dell’area devastata, gli alberi rimasero in piedi, ma le loro foglie vennero bruciate o seccate dal calore del surge.
Questa “zona disseccata” è visibile sullo sfondo della foto, in transizione alla copertura boschiva ancora verde. Foto di L.Topinka il 4
Maggio 1981 tratta dal sito:
http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/Effects/MSHsurge_effects.html
Le aree investite dai flussi piroclastici vengono totalmente devastate: queste valanghe ad alta velocità
(>80 km) di cenere, frammenti di roccia e gas caldi abbattono, frantumano, seppelliscono o trascinano
via qualunque ostacolo si frapponga al loro cammino. Le elevate temperature della nube (sopra i 200 e
fino a 700°) possono bruciare il materiale combustibile (legno e carburanti), la vegetazione, le case.
Fig. 27 - Nel 1902 la cittadina di Saint Pierre, in Martinica, fu rasa al suolo da un surge piroclastico emesso dal vulcano La Pelee,
visibile sullo sfondo della foto. I morti furono quasi 30.000. Da Lacroix A., 1904: La Montaigne Pelee et ses eruptions. Masson et C.ie,
Paris.
Benchè la variabilità dei flussi piroclastici sia molto alta in termini di dimensioni, velocità, densità,
temperatura e distanza percorsa, anche i flussi piu’ piccoli, meno caldi, meno densi e meno veloci
hanno capacità distruttiva totale sulle aree direttamente investite. Danni importanti a cose e persone
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sono anche attendibili ai margini delle aree colpite a causa delle alte temperature e dei gas. Le colate
piroclastiche (a densità maggiore) tendono in genere a scorrere sui fondovalle, lasciando depositi
anche imponenti. I flussi a concentrazione bassa di particelle (surges) seguono invece percorsi
scarsamente condizionati dalla morfologia e lasciano depositi spesso molto sottili. La rimobilizzazione
da parte delle acqua meteoriche dei depositi lasciati dalle colate piroclastiche induce la formazione di
lahar per tempi anche lunghi dopo l’eruzione. Lahar possono anche essere generati direttamente dai
flussi piroclastici che erodono, fondono e si mischiano con ghiaccio e neve.
Fig. 28 - Una colate piroclastica scende dal vulcano Galunggung, Indonesia durante l’eruzione del Giugno 1982. Foto di John Dvorak,
U.S. Geological Survey, tratta dal sito: http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/southeast_asia/indonesia/pyro.html
Fig. 29 - Eruzione del vulcano Unzen, Giappone. Il fronte espanso di una colata piroclastica raggiunge la periferia settentrionale di
Shimabara nel primo mattino del 24 Giugno 1993. Foto del Nagasaki Photo Service Co., Ltd., tratta dal sito: http://hakone.eri.utokyo.ac.jp/kazan/unzenp.html
Colate di fango e colate o frane di detriti (lahars, debris avalanches, debris flows) - “Lahar” è una
parola indonesiana che descrive una miscela di acqua e frammenti di roccia che fluisce lungo i fianchi
di una montagna e che, nella letteratura internazionale, ha assunto un significato ampio includendo
praticamente ogni tipo di flusso fangoso (flusso fluviale diluito, colata di detrito, flusso
iperconcentrato, ecc.) che trasporta materiale solido di natura vulcanica. Si tratta di flussi in cui il fango
è, dal punto di vista dinamico anche se non volumetrico (ne basta un decimo del volume totale), la
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componente dominante della dispersione. Nei flussi piu’ eterogenei (colate di detrito) il fango ha un
doppio ruolo: di supporto per i frammenti grossolani e di smorzamento degli attriti; in tal modo la
competenza della colata è tale che possono essere trasportati blocchi di 1 m di diametro anche per
velocità di soli 50 cm/sec. Le dimensioni dei lahar e la loro velocità possono variare entro limiti molto
ampi: i lahar piu’ grandi possono avere ampiezza di centinaia di metri, spessore di decine di metri e
velocità di decine di km/ora. Nella parte superiore dei lahar tutti i punti si muovono alla stessa velocità:
si forma perciò una sorta di strato superficiale, detto tappo rigido, che si muove indeformato, quasi
galleggiante, sulla massa sottostante. Il suo spessore è funzione diretta della coesione del fango, inversa
della densità e del gradiente topografico: diminuendo quest'ultimo il tappo si inspessisce verso il basso
fino ad occupare l'intero spessore del flusso. A questo punto aumenta l'attrito col fondo, la colata frena
e si blocca; i materiali restano cosi' "congelati" nella giacitura e nella posizione che occupavano
durante il movimento, giacitura e posizione che sono tipicamente casuali e disordinate.
Rispetto alle modalità di formazione, i lahar sono riferibili a tre categorie:
(1) - Quelli che sono il risultato diretto ed immediato di eruzioni: eruzioni attraverso laghi, coperture
nevose o ghiacciai; grandi piogge che cadono immediatamente dopo o durante un'eruzione;
scorrimento di colate piroclastiche entro corsi d'acqua.
(2) - Quelli che sono indirettamente legati ad un'eruzione o che avvengono poco dopo un'eruzione:
innesco della formazione del lahar causato da un terremoto o dalle deformazioni del vulcano che
possono causare il rapido svuotamento di un lago o la formazione di valanghe di detrito sciolto e di
rocce alterate.
(3) - Quelli che non sono connessi in alcun modo ad un'attività vulcanica contemporanea:
mobilitazione di tefra sciolti da parte di piogge torrentizie o di acque di fusione dei ghiaccia; collasso di
versanti instabili (in particolare se costituiti da rocce alterate ricche in minerali argillosi e inzuppate di
acqua).
Il tipo piu' comune di lahar si forma probabilmente negli stati finali di un'eruzione quando grandi
quantità di piroclastiti deposte sui fianchi del vulcano si imbevono di acqua per le abbondanti piogge
che comunemente accompagnano le eruzioni esplosive. Benchè massima durante le eruzioni, la
probabilità della formazione di colate di fango deve essere comunque considerata permanente nelle
aree perivulcaniche coperte da depositi piroclastici sciolti: nelle zone tropicali tifoni e piogge
monsoniche prolungano infatti il pericolo per diversi anni dopo l’eruzione fino alla pressochè
completa rimozione dei depositi vulcanici.
Lahar innescati da piogge: il Pinatubo (Filippine).
Fig.30 - I depositi delle colate piroclastiche dell’eruzione del
Giugno 1991 hanno profondamente cambiato la morfologia del
vulcano Pinatubo nelle Filippine andando a riempire tutte le
valli fluviali fino a distanza di 10-15 km dalla bocca (aree
chiare nella foto). Con pioggie di 2-4 metri annui, concentrate
nella stagione dei monsoni (Giugno-Ottobre) migliaia di lahar
si sono originati da questi depositi.tratto dal sito
http://volcanoes.usgs.gov
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Fig. 31 - Nell’estate del 1991 si contavano da tre a cinque
lahars al giorno che sovraccaricavano la rete fluviale
eprovocavano continue esondazioni.Tratto dal sito:
http://volcanoes.usgs.gov
Fig. 32: I danni sono stati enormi. Nei primi cinque anni
successivi all’eruzione ci sono state 100.000 persone costrette
all’evacuazione ogni anno; 120.000 ettari di territorio sono
stati coperti da piu’ di un metro di sedimento e forse un milione
di ettari è stato colpito da inondazioni
http://volcanoes.usgs.gov
Lahar innescati da neve e ghiaccio fusi: il Nevado del Ruiz (Colombia).
Fig.33 - Il 13 Novembre 1985 una modesta eruzione esplosiva
del Nevado del Ruiz in Colombia generò una colonna eruttiva e
una serie di colate piroclastiche che ricoprirono il ghiacciao
posto sulla cima del vulcano. Nella foto i depositi vulcanici
scuri sono ricoperti da neve fresca caduta successivamente
all’eruzione. I frammenti di roccia calda fondono, erodono e si
mescolano con ghiaccio e neve formando canali larghi e
profondi. Si calcola che circa il 10% della coltre ghiacciata
venne complessivamente fusa. La miscela di acqua, ghiaccio,
pomici, cenere e frammenti di roccia si rovesciò dalla cima e
dai fianchi del vulcano nelle valli fluviali. foto di T. Pierson
scattata il 26 Novembrre del 1985
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Fig.34 - I lahar relativamente piccoli formatisi alla sommità
del vulcano nello scendere per diversi km lungo i fianchi del
Ruiz erosero i fondo valle, presero il carico il materiale sciolto
e si accrebbero sempre di piu’. Qui siamo alle sorgenti del
fiume Guali’ nella parte settentrionale del Ruiz e si vedono i
diversi percorsi iniziali attraverso i quali i lahar scendono a
valle. foto di N. Banks scattata il 18 Dicembre del 1985
Fig.35 - I lahars scendono a 60 km/ora lungo il corso del
Guali’, erodendo e inglobando tutto quanto incontrato, acqua,
suolo, alberi, rocce. Nella discesa a valle, alcuni lahar
aumentano di 4 volte il loro volume iniziale. In valli strette
come quelle del Guali’, i lahar raggiungono 50 metri di
spessore Foto di R. Janda scattata il 18 Dicembre 1985.
Fig.36 -I paesi e le case situate a quote abbastanza alte
rispetto al letto del fiume percorso dal lahar scampano
alla distruzione. Foto di R. Janda scattata il 26
Dicembre1985
Fig. 37 - Quattro ore dopo l’inizio dell’eruzione i lahars hanno
percorso oltre 100 km lasciando dietro solo morte e
distruzione. La zona piu’ colpita è quella occupata dalla città
di Armero situata allo sbocco del canyon del Rio Lagunillas e
che era al centro di questa foto. Tre quarti dei 28.700 abitanti
morirono. Foto di J. Marso della fine Novembre 1985.
http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/What/Lahars/RuizLahars.ht
ml
25
I gas vulcanici. Tutti i magmi contengono rilevanti quantità di gas disciolti che vengono liberati sia nel
corso delle eruzioni che in periodi di apparente quiescenza. I gas vulcanici sono costituiti , oltre che da
acqua, da CO, CO2 e vari composti dello Zolfo, del Cloro, del Fluoro, dell'Idrogeno e dell'Azoto.
Il monossido di Carbonio (CO) è tossico anche per piccole concentrazioni ed è pericoloso perchè
inodoro.
Anche l'anidride carbonica (CO2) è inodora e, in concentrazioni superiori al 3-4%, diventa
estremamente pericolosa in quanto può provocare asfissia senza sintomi premonitori; essendo piu'
pesante dell'aria, essa tende a fluire e concentrarsi nelle zone morfologicamente depresse. Alcune
eruzioni freatiche (Dieng, Filippine, nel 1979; Lago Nyos, Camerun, nel 1986) sono state
accompagnate da emissione di gas(sopratutto CO2) particolarmente intensa: tali gas, fluendo
rapidamente verso valle, hanno provocato la morte di molte centinaia di persone ignare del pericolo che
stava sopraggiungendo.
L'anidride solforica (SO3) e l'anidride solforosa (SO2) sono tossici ma generalmente avvertibili prima di
raggiungere concentrazioni pericolose a causa del loro odore intenso ed irritante. La reazione con
goccioline di acqua nell’atmosfera può indurre piogge acide.
L'acido solfidrico (H2S) è ben riconoscibile in piccole concentrazioni per il tipico odore di uova marce;
a concentrazioni elevate esso diventa però pressochè inodore ed è pericoloso in quanto tossico per le
vie respiratorie.
Azoto ed Idrogeno si combinano a dare ammoniaca (NH3) che è tossica, ma in genere reagisce
rapidamente con gas acidi (HCl, HF, ecc.) a dare composti innocui.
Il Fluoro, che in alte concentrazioni è tossico, può essere assorbito nella cenere vulcanica che
cade al suolo e può contaminare gravemente i pascoli e le falde acquifere.
L’iniezione in stratosfera di goccioline minutissime di composti acidi originati per reazione dei
gas vulcanici con acqua può avere conseguenze avvertibili sul clima: gli acidi formano infatti un
aerosol capace di riflettere la radiazione solare e quindi di raffreddare la troposfera. L’effetto del
raffreddamento si farà sentire in un periodo successivo all'eruzione variabile tra i due ed i sette anni.
Fig. 38 - Immagine Landsat dei laghi Nyos e Monoum, in Camerun. Mappa elaborata da Sarah Sherman, Aprile 2000, in tratta dal sito:
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/africa/nyos.html.
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Il 26 Agosto del 1986 un enorme volume di anidride carbonica fu emesso dal Lago Nyos in Camerun e
uccise circa 1700 persone. Due anni piu’ tardi un fenomeno simile si ripetè nel lago Monoum, sempre
in Camerun, e 37 persone persero la vita. Il lago Nyos
occupa un maar formatosi circa 400 anni fa nel corso di di un’eruzione probabilmente freatica. Il lago
ha un diametro di circa 1800 e una profondità di 208 m. L’ipotesi piu’ seguita per spiegare il fenomeno
implica la continua emissione di CO2 di origine magmatica sul fondo del lago e la progressiva
saturazione in gas delle acque del lago, senza scambi sostanziali tra acque profonde e superficiali. A
causa della pressione maggiore, le acque profonde contengono in soluzione molta piu’ CO2 delle acque
superficiali. Un evento improvviso (terremoto, eruzione freatica, ?) anche modesto, capace di
rovesciare la stratificazione del lago, avrebbe portato l’acqua profonda alla superficie e indotto la
liberazione di enormi quantità di gas.
Fig. 39 - bestiame ucciso per asfissia dalla nube uscita il 26 Agosto 1986 dal Lago Nyo. Da Dangerous Earth,Wiley &
Sons, 1996.
Fig. 40 - Il Lago Nyos, Camerun. Foto di Jack Lockwood, U.S. Geological Survey, tratta dal sito:
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/africa/nyos.html.
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Fig. 41 -Ricostruzione schematica della “eruzione gassosa” del Lago Nyos, Camerun, nel 1986. Da Dangerous Earth,Wiley & Sons,
1996
Le ceneri nell’atmosfera. Negli ultimi 15 ani piu’ di 80 voli commerciali hanno avuto problemi con la
cenere vulcanica. In sette casi si è avuta perdita di energia dei motori in volo e l’incidente grave è stato
evitato per pochissimo. I danni possibili per un’aeromobile che passa attraverso una nube eruttiva
dipendono dalla concentrazione dei gas e delle particelle nella nube e dalla durata del transito e dalle
azioni del pilota per uscirne.
Fig. 42 - Nube eruttiva del vulcano Kliuchevskoi, nella penisola della Kamchatka, Russia, 1 Ottobre 1994 La colonna è alta circa 20 km.
Allontanandosi dal vulcano la cenere che cade al suolo forma una densa cortina che costituisce una seria minaccia per le aeromobili.
Questa nube si estendeva per piu’ di 800 km sotto vento e copriva un’area di 150.000 km2. I piloti che si vengono a trovare sottovento
rispetto a una nube di questo tipo hanno gravi difficoltà a distinguere una nube eruttiva da una normale nube di vapore acqueo.
L’individuazione della dispersione delle colonne eruttive è cruciale per la sicurezza del trafficoa ereo: la cenere può provocare l’arresto
dei motori in meno di un minuto. Immagini dello Space Shuttle Endeavour (missione STS 68). Tratto da:
http://volcanoes.usgs.gov/Hazards/Effects/Ash+Aircraft.html
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La cenere ingerita dai reattori ne riduce le prestazioni e può causarne il cedimento. Il vetro
formatosi per fusione della cenere depostasi sulle parti calde del motore può infatti ostruire piu’ o
meno parzialmente gli ugelli del carburante, rivestire le turbine e il bruciatore e ridurre cosi’
l’efficienza del mescolamento tra aria e carburante, con giri a vuoto, ritorni di fiamma e perdita di
spinta. La cenere può anche abradere seriamente parti mobili del motore come il compressore o le
lame della turbina. La cenere, costituita da frammenti di vetro e di rocce dure, è anche molto
abrasiva e può facilmente danneggiare ogni superficie esterna (vetri della cabina di pilotaggio, le luci
di atterraggio, i deflettori sulle ali, il timone di coda, il radar.
Fig. 43 - Nel Pacifico settentrionale e nella Russia orientale i corridoi aerei passano sopra o nei pressi di piu’ di 100 vulcani
potenzialmente attivi (triangoli rossi). Ogni anno si verificano in media 5 eruzioni le cui nubi si spostano in genere verso Est e
Nordest. Cenere vulcanica è presente alla quota di 10.000 metri, usuale per gli aeroplani, in media 4 giorni all’anno. USGS Volcanic
Ash-Danger to Aircraft in the North Pacific. Tratto dal sito: http://wrgis.wr.usgs.gov/fact-sheet/fs030-97/
La cenere, attraverso i motori e l’impianto di ventilazione, può facilmente entrare all’interno
dell’aeroplano e, oltre che spndersi nella cabina, può provocare danni ai sistemi elettronici
dell’apparecchio, compresi i generatori e gli strumenti di navigazione.
Fig. 44 - Diverse volte nell’estate del 1992 nubi di cenere emesse dal vulcano Spurr, in Alaska, hanno ostacolato il traffico aereo
attraversando gli Stati Uniti settentrionali e il Canada. La carta mostra i movimenti di una nube eruttiva tra il 16 e il 17 Settembre.
David Schneider, Michigan Technological University.), tratto dal sito:
http://www.geo.mtu.edu/
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Fig. 45- Foto dallo Shuttle nello spazio mostrante la nube eruttiva del vulcano Spurr che circonda il globo terrestre. Alaska
Volcanological Observatory, USGS, tratto dal sito:
http://www.avo.alaska.edu/avo3/volc/spurr/volcintro.htm
Fig. 46 - La mattina del 19 Settembre 1994 i due coni vulcanici posti ai lati opposti della caldera di Rabaul (Papua, Nuova Guinea,
entrarono in eruzione. Lo Space Shuttle Discovery prese la foto 24 ore dopo l’inizio dell’eruzione. Si vede il grande ombrello della
colonna eruttiva spinto a ovest da venti stratosferici relativamente deboli. Alla base della colonna è visibile una nube leggermente
piu’ scura, distribuita da venti piu’ bassi. Immagine presa dallo Space Shuttle Discover il 19-9-1994 (STS64-116-064). Dal sito:
http://www.ssd.noaa.gov/VAAC/
Eruzioni freatiche - Le eruzioni freatiche sono fenomeni relativamente frequenti in tutti quegli
apparati vulcanici in cui l'alternanza di strati permeabili ed impermeabili comporta l'esistenza di
acquiferi confinati. In questi casi l'elevato flusso di calore comporta la possibilità che l'acqua di
questi acquiferi abbia temperature prossime all'ebollizione. Un'esplosione di vapore sarà il risultato
dell'aumento della temperatura del sistema fino a valori che comportino una pressione di vapore
superiore alla pressione di carico (+ la resistenza tensile delle rocce della copertura). Esplosioni di
questo tipo hanno in genere durata assai breve e comportano il violento rilascio di vapore
surriscaldato e la proiezione balistica di blocchi e frammenti provenienti dalla copertura rocciosa. Le
condizioni perchè avvenga un'eruzione freatica rappresentano stati transitori nell'assetto strutturale di
30
un edificio vulcanico: talora sono provocate da eventi sismici che inducono una fratturazione
attraverso la quale acque piu' profonde e piu' calde possono risalire rapidamente in
acquiferi subsuperficiali
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destabilizzandoli; in altri casi l'alto flusso termico puo' comportare una intensa attivita' idrotermale con conseguente
diffusa alterazione delle rocce; questa a sua volta puo' creare una copertura impermeabile che impedisce la perdita di
calore per convezione e portare alle condizioni adatte al realizzarsi di esplosioni freatiche.
Benche' generalmente modesti questi eventi possono essere assai pericolosi, vuoi perche' in genere
improvvisi, poco prevedibili sia come ubicazione che come tempo, vuoi perche' non e' raro che le eruzioni freatiche
rappresentino fenomeni di innesco di eruzioni magmatiche di dimensioni e pericolosita' assai maggiori.
Gli effetti climatici delle eruzioni vulcaniche
Vi e da tempo grande interesse e dibattito sul ruolo che le attivita’ umane inducono sul clima del pianeta attraverso
sia l’uso dei combustibili fossili che la produzione di gas clorofluorocarbonici (CFC). Alcuni pensano che le l’uomo
incida sulla nostra atmosfera molto di meno di quanto non facciano i processi naturali, per esempio le eruzioni
vulcaniche. E’ quindi interessante capire il ruolo che l’attivita’ vulcanica svolge nell’influenzare il clima.
Qualunque sia la provenienza, pare chiaro che i cambiamenti nella composizione dell’atmosfera terrestre possono
avere tre effetti principali: i) variazioni nella quantita’ di ozono, ii) riscaldamento, iii) raffreddamento.
”Effetto Ozono”: L’intensa radiazione luminosa nella stratosfera (> 12km circa) produce ozono (O3) attraverso la
scomposizione della molecola ossigeno (O2) in due atomi O, molto reattivi, che rapidamente si legano a molecole O2
a dare O3. L’Ozono assorbe la radiazione ultravioletta (UV) e, in questo processo, esso e’ scomposto di nuovo in una
molecola e in un atomo di ossigeno. Questo processo continuo di produzione e di distruzione di ozono ha portato al
raggiungimento di una concentrazione di ozono d’equilibrio nella stratosfera. Nella stratosfera al disopra
dell’Antartide da alcuni anni e’ stato osservato un forte calo della concentrazione di Ozono (il “buco” dell’ozono)
che normalmente viene attribuito alla enorme produzione di gas CFC. La diminuzione di Ozono nella stratosfera ha
come risultato una maggior penetrazione dei raggi ultravioletti. Il pericolo connesso al fenomeno e’ legato alla
capacita’ dei raggi UV di danneggiare il DNA delel cellule.
Sembra che l’effetto Ozono non abbia alcuna influenza sulla temperatura.
I Clorofuorocarburi (CFC, noti anche col nome industriale di Freon) sono una famiglia di composti chimici che si
producono fin dagli anni ’30 in quanto alternativa non tossica e non infiammabile a sostanze, come l’ammoniaca,
utilizzate per e loro proprietà refrigeranti e di propellenti . Negli anni il loro uso è cresciuto a dismisura e grandi
quantità di CFC sono state immesse in atmosfera dove, in natura, è presente molto poco Cloro..
La radiazione ultravioletta negli alti strati
dell’atmosfera rompe i legami molecolari dei CFC e
libera Cl che, formando ClO + O2 per reazione con
le molecole di O3, ha forte potere distruttivo sullo
strato di ozonoSebbene le emissioni di CFC siano in
sensibile diminuzione in conseguenza di accordi
internazionali per la protezione dell’ambiente, i
tempi di residenza in atmosfera dei CFC compresi
tra 20 e 100 anni ci inducono a temere che i danni
inferti allo strato di ozono continueranno per tutto il
ventunesimo secolo.
Unità Dobson - La figura mostra la colonna di aria
che sovrasta un’area di 10° x 5 del Labrador°. Se la
quantità totale di ozono presente in questa colonna
venisse compressa a condizioni standard di
temperatura e pressione (STP = 0°C e 1.0 atm),
essa, sull’area considerata di area 10° x 5°, avrebbe
uno spessore di circa 3 mm. Una Unità Dobson
(DU) corrisponde allo spessore di 0,01 mm a STP;
la quantità di ozono sopra il Labrador nell’esempio
considerato è quindi 300 DU.
31
Fig.47- Il “buco” nello strato di Ozono al di sopra dell’emisfero meridionale il
26 settembre 2001 e 2002 (TOMS = total ozone mapping spectrmeters). tratto dal
sito: www.cs.ruu.nl/wais/html/na-dir/ozone-depletion/.html
Riscaldamento Globale (“Effetto Serra”): Alcuni gas (soprattutto anidride carbonica e vapor d’acqua, ma anche
metano, N2O e CFC) permettono alle radiazioni solari con corta lunghezza d’onda (UV e visibile) di penetrare
attraverso l’atmosfera e di raggiungere la superficie della Terra. Gli stesi gas assorbono le radiazioni a alta
lunghezza (infrarosso IF) che dalla Terra si irradiano verso lo spazio. L’intrappolamento di questa energia termica
infrarossa ha come risultato un riscaldamento globale. Un tale fenomeno e’ stato evidente fin dall’inizio della
Rivoluzione Industriale e sembra essere principalmente legato ai gas di combustione.
Fig. 48 - La stazione NOAA al Polo Sud ove vengono svolte ricerche e fatte
misure sulla composizione dei gas atmosferici
Raffreddamento Globale: Le particelle sospese in atmosfera (cenere, polvere, goccioline di acido) possono bloccare
la luce del sole e ridurre cosi’ l’insolazione terrestre , abbassando la temperatura media del globo. La presenza di
queste particelle spesso genera tramonti di un rosso eccezionale dovute alla diffusione nella stratosfera e nella
troposfera superiore delle lunghezze d’onda del rosso da parte delle particelle.
31
Fig. 49 - Uno spettacolare tramonto rosso sul Pacifico.
Le eruzioni vulcaniche possono avere contribuire a modificare la composizione dei gas atmosferici in modo
e misura diversi.
Influenza sull’effetto ozono: sebbene HCl sia un efficace distruttore di ozono e un comune componente dei gas
vulcanici, gli ultimi studi hanno dimostrato che la gran parte dell’acido cloridrico di origine vulcanica non raggiunge
la stratosfera e non ha quindi possibilita’ di reagire con l’ozono. D’altra parte misure effettuate nel 1991 dopo le
eruzioni del Pinatubo (Filippine) e dell’Hudson (Cile) hanno rivelato un forte aumento della perdita di ozono. La
spiegazione risiede nel fatto che le particelle o gli aerosols generati dall’eruzione e trasportati in stratosfera
forniscono superfici sulle quali avvengono le reazioni chimiche. Le particelle vulcaniche, pur non avendo parte
attiva nella distruzione dell’ozono operata dai CFC, la favoriscono. Fortunatamente, al massimo in 2-3 anni, le
ceneri vulcaniche ricadono sulla superficie terrestre dando quindi vita breve al loroo contributo alla distruzione
dell’ozono.
Influenza sull’effetto serra: le eruzioni vulcaniche possono contribuire al riscaldamento globale attraverso
l’emissione di CO2. Tuttavia la quantita’ di questo gas prodotta annualmente dalle attivita’ dell’uomo e’ in media
100 volte maggiore del contributo medio dei vulcani (10 miliardi contro 100 milioni di tonnellate). Il piccolo
contributo vulcanico al riscaldamento globale e’ comunque totalmente annullato e sovracompensato dal significativo
effetto di raffreddamento globale di alcune eruzioni. In buona sostanza, senza l’influenza “raffreddante” di eruzioni
quali quelle del Chichon (1982) e del Pinatubo (1991) il riscaldamento globale per effetto serra registrato a partire
dagli anni ’80 sarebbe stato decisamente piu’ marcato.
Fig. 50 - La quantita’ di ozono al di sopra dell’Antartide e’ diminuita notevolmente a partire dagli anni 80,
ma il 2002 sembra segnare un recupero rispetto agi anni precedenti. Tratto dal sito:
http://jwocky.gsfc.nasa.gov/eptoms/dataqual/ozone.html
32
Fig.51 - L’andamento dell’anomalia termica terrestre (temperatura dell’aria) come ricostruita dall’Unita’di
Ricerca sul Clima dell’Universita’ dell’West Anglia (UK). Tratta dal sito http://www.cru.uea.ac.uk/
Influenza sul raffreddamento globale: Le grandi eruzioni vulcaniche esplosive iniettano nella stratosfera enormi
quantita' di microparticelle silicatiche e di gas. Fino agli inizi degli anni 70 si riteneva che le finissime particelle
solide potessero rimanere a lungo nella stratosfera, e potessero quindi essere le principali responsabili di sensibili
raffreddamenti sulla superficie terrestre. In un quadro di questo tipo il "rischio climatico" di una eruzione era
semplicemente legato alla massa di materiale solido che arrivava nella stratosfera. Una tale conclusione contrasta
pero’ con la mancanza di variazioni climatiche sensibili in concomitanza di molte grandi eruzioni esplosive, come
ad esempio quella del Katmai nel 1912.
Oggi sappiamo che l'effetto delle ceneri vulcaniche si esaurisce molto rapidamente (al massimo in pochi
mesi) a seguito della loro deposizione sulla superficie terrestre, deposizione accelerata e favorita da fenomeni di
aggregazione particellare. Piu' duraturi sono gli effetti legati alla presenza nella stratosfera di prodotti acidi; tali
acidi, in goccioline minutissime, formano un aerosol capace di riflettere la radiazione solare e quindi di raffreddare
la troposfera. Non e' ben definibile il periodo successivo all'eruzione durante il quale l'effetto del raffreddamento si
fa sentire: esso e' comunque grossolanamente valutabile tra i due ed i sette anni, e varia in funzione di numerosi
fattori quali lo spessore dell'aerosol, le dimensioni delle goccioline di acido, la concentrazione di tale acido, il
regime dei venti e quindi la latitudine alla quale si e' verificata l'eruzione. Gli acidi che costituiscono l'aerosol
possono essere diversi: solforico, solfidrico, cloridico, fluoridico. Di gran lunga prevalente e' pero' sempre l'acido
solforico che si ritiene prodotto per reazione tra l'anidride solforosa emessa dal vulcano e l'acqua atmosferica
durante la risalita. I risultati delle eruzioni piu' recenti sembrano quindi indicare che la causa che determina
l'influenza sul clima di un'eruzione vulcanica e' la quantita' di acido solforico immessa nella stratosfera. Ma tale
quantita' e' assai variabile da eruzione ad eruzione e, sopratutto, da magma a magma. Eruzioni vulcaniche
coinvolgenti volumi di magma dell'ordine del km3 sono relativamente frequenti sulla superficie terrestre, ma da esse
in genere non sono attendibili cambiamenti climatici di alcun genere in quanto la quantita' di acido solforico
immessa nella stratosfera non supera il milione di tonnellate, quantita' certamente insufficiente a provocare
raffreddamenti sensibili nella troposfera.
A causa della natura e della geometria della circolazione atmosferica, le grandi eruzioni esplosive che
avvengono a latitudini basse hanno effetti climatici maggiori di quelle che avvengono a latitudini medie e alte. I
materiali eruttati in questi casi tendono a rimanere circoscritti alle latitudini alle quali sono stati emessi.
Esempi di eruzioni capaci di indurer raffreddamento a scala globale
Laki (1783): L'eruzione ebbe inizio nel Giugno 1783 e duro' ininterrottamente per otto mesi. Durante questo periodo
piu' di 12 km3 di lava furono emessi da 115 crateri allineati lungo una frattura di 25 km, originando il piu' grande
campo lavico mai prodotto in tempi storici (565 km2 di superficie coperta). Furono emessi anche 0.3 km3 di prodotti
piroclastici (cenere e lapilli), ma il carattere dell'eruzione fu essenzialmente effusivo, molto diverso quindi da quello
esplosivo e catastrofico che 32 anni dopo avrebbe caratterizzato l'eruzione del Tambora. I danni maggiori provocati
dall'eruzione di Laki derivarono dai gas vulcanici. Qualcosa come 100 milioni di tonnellate di gas tossici (per lo piu'
anidride solforosa) portarono alla formazione di una nebbia bluastra su tutta l'Islanda ed i raccolti ed i pascoli
andarono completamente distrutti. Nei due-tre anni successivi la carestia porto' alla morte del 75% del bestiame e
33
del 24% degli abitanti. Ma gli effetti della nebbia bluastra non furono ristretti all'Islanda. Essa si sposto' lentamente
verso Ovest e, attraverso tutta l'Europoa centrosettentrionale raggiunse, cinquanta giorni dopo il suo primo apparire
in Islanda, le montagne dell'Altair in Cina. L'inverno tra il 1783 ed il 1784 fu estremamente rigido in tutto l'emisfero
settentrionale: negli Stati Uniti, nel Dicembre 1783- Febbraio 1784, si registrarono temperature medie, mai piu'
raggiunte fino ad oggi, di quasi 5 gradi sotto la media degli ultimi 225 anni. L'ondata di freddo non si esauri' nel
1784; anche nei due inverni successivi furono registrate temperature fortemente al di sotto della media. Una
interessante curiosita’ riguarda Benjamin Franklin che, all’epoca, suggeri’ la possibilita’ che il gran freddo fosse
dovuto al blocco della radiazione solare indotto dalle ceneri e dai gas dell’eruzione di Laki.
Fig.52 - L’effetto di raffreddamento globale che alcune
eruzioni possono avere e’ ben mostrato da questa figura
dove, nei quattro oannelli superiori, sono confrontate le
anomalie medie annue della temperatura globale prima
e dopo le eruzioni (indicate come tempo “0”). Il quinto
pannello e’ la “sommatoria” dei quattro precedenti e
mostra come effetti significativi di raffreddamento siano
stati registrati nei trentasei mesi successivi alle eruzioni.
L’ultimo pannello mostra la storia della temperatura
prima e dopo l’eruzione del Pinatubo del 1991. Tratta
dal sito:
http://www.cru.uea.ac.uk/cru/info/volcano/
Tambora (1815): Verso la meta' di Giugno del 1816 i contadini del Brabante meridionale, e specialmente quelli
della zona di Waterloo, erano stanchi e molto preoccupati. Giusto un anno era passato da quella spaventosa
battaglia e decine di migliaia di cadaveri erano rimasti sul terreno: uomini, cavalli e muli. Avevano passato
l'estate a seppellire i morti con le carogne degli animali che appestavano l'aria, ed ora che finalmente tutto era
finito, ecco un nuovo duro lavoro da fare, e senza essere pagati: costruire un enorme tumulo alto 46 metri per
mettervi sopra un pesantissimo leone di ghisa, simbolo della vittoria decisiva degli alleati contro Napoleone. Un
lavoro durissimo per fare una cosa inutile e molto brutta: quel tumulo a fianchi ripidi era un pugno in un occhio
inserito nel paesaggio dolce ed ondulato di quella terra sabbiosa e fertile dei dintorni di Bruxelles. Ma che gusto
poteva mai avere questo nuovo re dei Paesi Bassi che il Congresso di Vienna aveva imposto non solo alla sua
patria, l'Olanda, ma anche al Belgio ed al Lussemburgo? Per ridurre la Francia entro confini piu' angusti,
34
Valloni e Fiamminghi cattolici erano finiti sotto Guglielmo I, ed anche se tutti ammiravano suo figlio, il
giovane principe d'Orange che, appena ventitreenne, aveva comandato il piu' grosso contingente dell'armata di
Wellington, ed era anche rimasto ferito, non si poteva dimenticare che il re era calvinista ed anacronicamente
retrivo.
Fig.53 - Laki, Islanda. I coni di scorie allineati lungo la frattura eruttiva del 1783. Tratta dal
sitohttp://www.norvol.hi.is/laki2.html
Comunque il duro lavoro per i contadini fiamminghi non era una cosa nuova. C'erano abituati perche',
per un padrone o per l'altro, il lavoro della terra era sempre stato duro. Quanto al problema religioso, non era
una cosa loro: la Santa Alleanza aveva deciso che non ci sarebbero piu' state lotte tra Cristiani, protestanti,
cattolici od ortodossi che fossero. Prussia, Austria e Russia lo garantivano: dunque, perche' preoccuparsi? Ed
infatti la preoccupazione piu' grande era l'andamento stagionale. Si era alle porte dell'estate e la primavera non
era ancora arrivata: freddo, neve e gelo sembrava che non dovessero piu' finire. E poi quei tramonti infuocati
che nessuno, nemmeno i piu' vecchi, aveva mai visto. Il cielo era corrrucciato contro la protervia degli uomini,
o forse i cannoni di Napoleone avevano cambiato il clima? Certo, quell'indimenticabile 18 Giugno dell'anno
prima, quasi 900 cannoni avevano tuonato fino a notte inoltrata. Ed il fumo denso ed acre della polvere da sparo
aveva appestato l'aria per molti giorni. La pace duratura sospirata per tanti anni e promessa ora dalle grandi
potenze, nasceva sotto una cattiva stella. Ed a Luglio nevico'. Il raccolto del grano, dell'orzo e della segale era
perduto, ma se l'Agosto fosse stato caldo, si potevano salvare il mais e, ancora piu' importanti, le patate. Ma
anche in Agosto il freddo rimase intenso. Quasi tutto il raccolto ando' perduto non solo nel Brabante, ma in tutto
il Settentrione, dalla Francia alla Germania, passando per il Belgio e l'Olanda. Lo spettro della fame si distese su
quelle povere popolazioni, gia' cosi' duramente provate da vent'anni di guerra quasi ininterrotta. I prezzi delle
derrate alimentari salivano alle stelle, si mangiavano cani, gatti e topi, e molti furono i morti nella parte piu'
povera della popolazione che non aveva i mezzi sufficvienti per rifornirsi di cibo. L'anno dopo tutto torno'
normale, e cosi' negli anni successivi.
Il 1816 rimase nel ricordo di tutti come l'"anno senza estate".
L'attribuzione di questa calamita' naturale alla collera divina o all'azione delle bocche da fuoco nella
battaglia che pose fine all'avventura napoleonica, non avrebbe avuto senso se quella povera gente avesse saputo
che l'"anno senza estate" vi era stato anche al di la' dell'oceano. Nel Giugno 1816 infatti nevico' in tutte le
fiorenti ex colonie della Nuova Inghilterra e negli altri stati della giovane federazione americana che si
trovavano a Nord del quarantesimo parallelo. Il freddo perduro' per tutto il mese di Luglio, ed il 21 Agosto il
termometro scese sotto lo zero nel Maine e nel Connecticut. I raccolti andarono perduti, ma proprio da questa
crisi si comincio' a vedere applicati i principi di fratellanza degli antichi pionieri e la loro capacita'
organizzativa. L'ultima guerra con l'Inghilterra, finita da due anni senza vincitori ne' vinti, aveva rafforzato le
giovani strutture dello stato, ed il presidente Monroe si preoccupo' della fame del Nord: i rifornimenti
provenienti dai piu' caldi stati meridionali riuscirono ad impedire che la carestia si trasformasse in tragedia.
L'anno senza estate non era stato un capriccio della natura: sull'isola di Sumbawa, nell'arco insulare
della Sonda, che con i suoi 5000 km di lunghezza e' il piu' esteso del mondo, il 7 Aprile 1815 era infatti entrato
in eruzione il Tambora, un grande vulcano alto prima dell'eruzione probabilmente piu' di 4000 metri. L'eruzione
fu spaventosa. Tutta l'isola (24.500 km2, piu' di una volta e mezzo la Corsica) fu coperta da uno spesso strato di
cenere assieme ala contigua isola di Lombok ad occidente ed ad una parte dell'isola di Flores ad oriente. 83.000
35
persone morirono, o sepolte dalla cenere, o portate via dalle numerose onde di maremoto, o di fame, in quelle
terre rese desolate dal bianco lenzuolo di cenere che, come un sudario, ricopriva tutta l'isola. La quantita' di
prodotti piroclastici emessi e' stata valutata a 150 km3. Questa cifra, anche se non da tutti accettata, fa
dell'eruzione del 1815 del Tambora la piu' terrificante della storia dell'umanita'.
Fig. 54 - Il Tambora e’ uno stratovulcano che forma la penisola di Sanggar nell’isola di Sumbawa. Al livello del
mare il vulcano ha un diametro di circa 60 km, mentre il diametro della caldera formatasi nel corso dell’eruzione
del 1815 e’ di 6 km. La caldera e’ profonda piu’ di 1000 m. Foto presa dallo Shuttle nel Maggio 1992, tratta dal
sito:
http://volcano.und.nodak.edu/vwdocs/volc_images/southeast_asia/indonesia/tambora.html
Il 1816 rimase nel ricordo di tutti come l'"anno senza estate".
L'attribuzione di questa calamita' naturale alla collera divina o all'azione delle bocche da fuoco nella
battaglia che pose fine all'avventura napoleonica, non avrebbe avuto senso se quella povera gente avesse saputo
che l'"anno senza estate" vi era stato anche al di la' dell'oceano. Nel Giugno 1816 infatti nevico' in tutte le
fiorenti ex colonie della Nuova Inghilterra e negli altri stati della giovane federazione americana che si
trovavano a Nord del quarantesimo parallelo. Il freddo perduro' per tutto il mese di Luglio, ed il 21 Agosto il
termometro scese sotto lo zero nel Maine e nel Connecticut. I raccolti andarono perduti, ma proprio da questa
crisi si comincio' a vedere applicati i principi di fratellanza degli antichi pionieri e la loro capacita'
organizzativa. L'ultima guerra con l'Inghilterra, finita da due anni senza vincitori ne' vinti, aveva rafforzato le
giovani strutture dello stato, ed il presidente Monroe si preoccupo' della fame del Nord: i rifornimenti
provenienti dai piu' caldi stati meridionali riuscirono ad impedire che la carestia si trasformasse in tragedia.
L'anno senza estate non era stato un capriccio della natura: sull'isola di Sumbawa, nell'arco insulare
della Sonda, che con i suoi 5000 km di lunghezza e' il piu' esteso del mondo, il 7 Aprile 1815 era infatti entrato
in eruzione il Tambora, un grande vulcano alto prima dell'eruzione probabilmente piu' di 4000 metri. L'eruzione
fu spaventosa. Tutta l'isola (24.500 km2, piu' di una volta e mezzo la Corsica) fu coperta da uno spesso strato di
cenere assieme ala contigua isola di Lombok ad occidente ed ad una parte dell'isola di Flores ad oriente. 83.000
persone morirono, o sepolte dalla cenere, o portate via dalle numerose onde di maremoto, o di fame, in quelle
terre rese desolate dal bianco lenzuolo di cenere che, come un sudario, ricopriva tutta l'isola. La quantita' di
prodotti piroclastici emessi e' stata valutata a 150 km3. Questa cifra, anche se non da tutti accettata, fa
dell'eruzione del 1815 del Tambora la piu' terrificante della storia dell'umanita'.
36
anni
d.C.
A
anno
C
Agung
Hekla
1950-
Katmai
1900Krakatoa
anni x 1000
1850-
2-
Tambora 1815
Laki, 1783 Komagalake, 1641
????, 1601
????, 1259
Eldjia, 934
????, 623
Tambora
1-
1800Laki
d.C.
B
assenza di dati
????, 50 ????, 210
????, 260
a.C.
Katla
1750-
1-
Hekla-3, 1120
Thera (Santorini), 1390, Vesuvio ("Avellino"), ca.1400
Lanzarote
21700-
Hekla-4, 2690
3-
????, 3150
Pacay
1650-
Komagatake
M. Mazama, 4400
5-
Vesuvio
1600-
4-
Hekla-5, Thjorse, 5470
????
6-
????, 6060
7-
1550-
????, 6230
Vesuvio ("Mercato"), ca. 7000
????, 7240
????, 7500
????, 7710
????, 7310
????, 7910
815000
0
2
4
6
µequiv.H+ per kg di ghiaccio
2
????, 7640
4
6
8
10 12
µequival.H+ per kg di ghiaccio
Fig. 55 - A sinistra: acidita' media dei livelli annuali di ghiaccio del periodo 1972-1500 rilevata sul carotaggio effettuato a
Crete, in Groenlandia. I valori di acidita' al di sopra del livello di fondo di 1.2±0.1 mequiv. H+ per kg di ghiaccio sono da
attribuire alla ricaduta di acidi vulcanici (principalmente H2SO4) emessi da vulcani ubicati a Nord di 20° lat.Sud. A destra in
basso: Acidita' eccedente i 4 mequiv.H+ per kg di ghiaccio rilevata in due carotaggi continui effettuati nei ghiacci della
Groenlandia; i ghiacci carotati si sono formati negli ultimi 10.000 anni e le date hanno una precisione molto elevata (ca. 1-3
anni per gli ultimi 1500 anni, al massimo 10 anni per il periodo piu' antico). Non ci sono dati per il perido 44-552 d.C. A destra
in alto: Correlazione tra le variazioni di temperatura degli ultimi 1.400 anni nell'emisfero settentrionale e l'acidita' dei ghiacci
groenlandesi; i periodi anomalmente caldi corrispondono a periodi di acidita' anomalmente bassa dei ghiacci; il diagramma
rende conto, in modo indiretto, dell'effetto raffreddante, a scala dei tempi piu' ristretta di quella del diagramma (50 anni per
barra), delle eruzioni vulcaniche che hanno comportato la formazione di ingenti quantita' di aerosol acidi.
37
Scenari Eruttivi e Carte di Pericolosita’
Criteri per la valutazione della pericolosita’
La grande variabilita’ delle eruzioni vulcaniche comporta una grande variabilita’ di possibili
combinazioni di fenomeni pericolosi (caduta di ceneri, flussi piroclastici, colate di lava, emissione di gas,
collassi strutturali, colate di fango, ecc.), in alcuni casi caratterizzati da una potenziale gradualita’ del loro
impatto sul territorio e conseguentemente del pericolo a essi associato: la pressione statica dei depositi di
caduta, la pressione dinamica dei flussi piroclastici o delle colate di fango, la concentrazione dei gas tossici.
Nel valutare la pericolosita’ vulcanica di un’area questi eventi “graduabili” non possono essere trattati
come fenomeni singoli: il pericolo connesso per esempio alla caduta di piroclastiti e’ molto diverso in funzione
degli spessori accumulati e non possono essere accomunati i pochi mm dannosi per i pascoli e le colture con le
centinaia di kg su m2 pericolose per la stabilita’ dei solai. Per questi fenomeni c’e’ quindi bisogno di definire
specifiche soglie funzionali al pericolo (X kg/m2, Y ppm/m3, ecc) e ciascuna soglia di ciascun fenomeno deve
essere considerato un pericolo diverso da valutare.
La pericolosita’ vulcanica di una determinata area in un determinato intervallo di tempo risulta quindi
dalla somma di diverse pericolosita’ “parziali”, ciascuna ottenuta attraverso il prodotto di tre diverse
probabilita’ concernenti: (i) il verificarsi dell’eruzione, (ii) il verificarsi nel corsio dell’eruzione del fenomeno
considerato (ricordando che ciascuna soglia di fenomeno graduabile e’ un fenomeno), (iii) il verificarsi del
fenomeno considerato nell’area considerata.
Il comportamento generalmente ripetitivo dei vulcani ad alta frequenza eruttiva, caratterizat da
condizioni di condotto aperto (es. Kilauea, Sakurajima, Piton de la Fournaise, Etna, etc.), permettono in genere
stime attendibili della frequenza delle eruzioni e dei principali fenomeni che nel corso di esse si verificano.
Diversamente, quanto si ha a che fare con vulcani quiescenti, il cui risveglio e’ necessariamente un evento poco
fequente, la probabilita’ di accadimento dell’eruzione e’ molto difficile da valutare cosi’ come la sua magnitudo
e la sequenza di fenomeni eruttivi. In questi casi la pericolosita’ puo’ esssere valutata nell’assunzione del futuro
verificarsi di un evento predeterminato (il piu’ grande, il piu’ frequente, il piu’ pericoloso, ecc.), ricavato dalla
storia eruttiva del vulcano considerato.
Analogamente a quanto in uso per i terremoti, un utile concetto e’ quello di Evento Massimo Atteso
(EMA), definito come il piu’energetico tra tutti i possibili entro un certo intervallo di tempo. Esso si puo’
applicare specialmente a quei vulcani la cui attivita’ ha mostrato andamenti ricorrenti e/o chiaramente definiti.
L’affidabilita’ dell’EMA dipende quindi dalla qualita’ delle conoscenze acquisite sulle modalita’ di
funzionamento del vulcano. La selezione di un EMA comporta l’assunzione di uno scenario atteso
dell’eruzione che, in accordo e per analogia con i dati storici e vulcanologici delle eruzioni passate, comprenda
le piu’ probabili associazione e sequenza di fenomeni eruttivi. Avendo in questo modo fissato l’eruzione e i
fenomeni, e’ possibile valutare la pericolosita’ relativa all’EMA soltanto sulla base della probabilita’ che il
singolo fenomeno interessi l’area considerata. La definizione di un EMA e’ particolarmente utile per la
valutazione della pericolosita’ di quei fenomeni la cui possibile distribuzione sul territorio puo’ essere
soddisfacentemente riprodotta attraverso la reiterazione di simulazioni numeriche in accordo con poche
importanti variabili vincolanti (per es. la caduta di piroclastiti in accordo con il campo dei venti, l’altezza di
colonna e la popolazione granulometrica).
L’uso dei dati delle simulazioni numeriche piuttosto che quelli storici o geologici ha come risultato
prodotti finali “filosoficamente” differenti: una distribuzione probabilistica del fenomeno simulato e una
frequenza storica del fenomeno registrato.
Zonazione della pericolosita’ legata alla ricaduta di piroclastiti.
La zonazione del pericolo relativo alla ricaduta di piroclastiti e' basata sulla relazione tra gli spessori osservati
nelle passate eruzioni e la loro distanza dal cratere, sul regime regionale dei venti e su modelli fisico-matematici
in grado di simulare il trasporto, la diffusione e la ricaduta delle particelle.
38
Fig. 55 - Carte di pericolosita' relative alla ricaduta di piroclastiti nell'area vesuviana. Le curve definiscono
l'estensione di aree con la stessa probabilita' di essere ricoperte da depositi di peso superiore ai 100 (sin) e 200
(destra) kg/m2 nel caso di un'eruzione subpliniana di magnitudo=0.2 km3; i valori di probabilita', dall'esterno,
sono: 5, 10, 20%. L'analisi della distribuzione di velocita' del vento (fino a 20km di altezza) su un periodo di 10
anni ha fornito i dati per l'esecuzione di piu' di 3000 diverse simulazioni; fissata quindi una determinata
concentrazione di particelle al suolo (nel caso a 100 e 200 kg/m2), si e' valutato su una maglia ricoprente il
dominio, il numero di volte, sul totale dei casi simulati, in cui la concentrazione a terra superava la soglia di
riferimento. La probabilita' di avere concentrazioni superiori alla soglia prefissata si e' assunta uguale, in ciascun
nodo della maglia, al rapporto fra il numero n di casi osservati e il numero totale dei casi simulati. E’ questo un
tipico caso di carta mostrante una distribuzione probabilistica ottenuta attraverso la simulazione numerica dei
depositi lasciati da un EMA. Da Nature, 1991.
Solo gli eventi subpliniani
(3ŠVEIŠ5) (n=14).
tutti gli eventi (n= 18)
Nola
Nola
Avellino
Avellino
Vesuvio
Vesuvio
Pompei
Pompei
Salerno
Salerno
Sorrento
Sorrento
0
10
20
km
1
2
4
6
>8
numero di eventi
per 19,000 anni
Fig.56 - Altra carta di pericolosita’ relativa alla ricaduta di piu’ di 200 kg/m2 di piroclastiti nell’area
vesuviana. In questo caso la carta e’ basata sulla frequenza storica di accadimento. A sinistra la
frequenza e’ relativa al totale di eventi esplosivi di magnitudo sufficiente a generare depositi di caduta
con carico eccedente la soglia indicata (18); a destra sul numero di eventi esplosivi classificabili come
subpliniani (14) e quindi di magnitudo confrontabile con quella dell’EMA
39
Fig. 57 - Carta preliminare di pericolosita’ vulcanica del vulcano Fuego (Guatemala) relativa alla ricaduta di
piroclastiti. I tre cerchi concentrici definiscono aree che possono essere coperte da 5, 10 e 20 cm di cenere. A
causa del campo dei venti, la caduta e’ meno probabile nei settori orientali, soprattutto da Maggio a
Novembre. Tratta dal sito: http://www.geo.mtu.edu/volcanoes/fuego/pic/f24.gif
Fig. 58 - In vulcani a eruzioni frequent,
come il Ruapehu in Nuova Zelanda, la
pericolosita’ legata alla copertura di
tefra puo’ essere valutata sulla base di
eventi prossimi e ben misurati. Nella
figura di sinistra sono riportate le curve
di uguale spessore (isopache) in mm di
tre modesti eventi esplosivi verificatisi tra
il 1995 e il 1996, uno dei quali e’
40
mostrato nella foto di destra. Tratto dal
sito
http://www.gns.cri.nz/earthact/volcanoes/
hazards/index.htm
Abbiamo gia’ detto che l’impatto sul territorio dei depositi di caduta dipende in gran parte dal loro spessore e
quindi dal loro peso. Sulla base dei danni potenziali indotti, la tabella seguente definisce 5 diverse “zone” per
spessori di cenere (non compattata) crescenti: <1mm, 1-5 mm, 5-100mm, 100-300mm , >300mm.
Spessore
di cenere
< 1 mm
1-5 mm
Possibili effetti dannosi
•
•
•
•
•
•
•
•
5-100 mm
•
•
•
•
•
•
100-300 mm
•
•
•
•
•
>300 mm
•
•
•
•
•
•
•
Irritazione a occhi e polmoni
chiusura aereoporti per possibili danni alle aeromobili
possibili modesti danni a veicoli, macchinari e case causati dalla capacita’ abrasiva
della cenere
possibile contaminazione degli impianti idraulici
traffico e viabilita’ in difficolta’ per visibilita’ ridotta
ampliamento degli effetti legati a <1mm di cenere, e inoltre:
possibili danni ai raccolti;
pochi capi di bestiame avranno problemi di salute, ma potrebbero esserci problemi di
cibo, di usura dei denti, di contaminazione dell’acqua;
modesti danni alle case indotti dalla penetrazione delle polveri fini (intasamento dei
filtri dell’aria condizionata, ecc.);
l’elettricita’ puo’ essere interrotta: se la cenere e’ umida e quindi conduttrice si
possono verificare cortocircuiti alle centraline;
il rifornimento d’acqua puo’ essere limitato o interrotto per mancanza di elettricita’
alle pompe;
i lisciviati chimici possono contaminare gli impianti idraulici;
ci sara’ comunque un grande consumo d’acqua necessaria per le operazioni di pulitura;
le strade vanno lavate e la rete fognaria potrebbe avere problemi;
macchine e impianti elettrici potrebberosubire danni.
ampliamento degli effetti legati a 1-5 mm di cenere, e inoltre:
seppellimento dei pascoli e delle piante basse; alcuni alberi perderanno le foglie ma la
maggior parte sopravvivera’; sotto piu’ di 50 mm di cenere l’erba dei pascoli morira’;
nelle aree urbane ci saranno garndi opearzioni di rimozione della cenere;
intorno a 100 mm di copertura i solai in legno possono cominciare ad avere problemi
soprattutto se la cenere che si deposita e’ bagnata;
il traffico puo’ arrestarsi a causa della cenere sulla strada e dei problemi alla
segnaletica ;
l’intasamento dei filtri dell’aria creera’ problemi ai motori
ampliamento degli effetti legati a 5-100 mm di cenere, e inoltre:
il pericolo di collasso dei solai diventa forte, soprattutto per le coperture piatte; e’
necessario provvedere a pulirle;
anche gli alberi sono danneggiati severamente, le foglie cadono, i rami si spezzano;
la rete di ditribuzione dell’energia elettrica non sara’ capace di sostenere i continui
corti circuiti e le rotture meccaniche (rami caduti, ecc.)
ampliamento degli effetti legati a 100-300 mm di cenere, e inoltre:
pesanti effetti sulla vegetazione: la maggior parte delle piante non sopravvivono;
pesanti perdite di bestiame;
moltissimi crolli di solai;
scomparsa della vita dagli specchi d’acqua dolce;
collasso delle rei elettrica e telefonica e delle telecomunicazioni in genere
le strade sono inservibile a meno che non vengano continuamente pulite.
Zonazione della pericolosita’ legata alla scorrimento di colate laviche
La definizione delle zone soggette a invasione da parte di colate di lava e' basata sulla frequenza con la quale le
aree in questione sono state coperte da colate di lava nel passato geologico recente, sulla distribuzione spaziale
delle bocche effusive, sulla lunghezza e la superficie "tipiche" delle colate di un dato vulcano, su considerazioni
topografiche che rendono una zona piu' o meno soggetta ad essere invasa da una colata lavica. La zonazione
40
della pericolosita' di vulcani per i quali sono disponibili una grande quantita' di dati geologici e storici potrebbe
essere eseguita sulla base di probabilita' numeriche statisticamente valide: cio' avrebbe comunque significato
solo per l'individuazione di grandi aree piu' o meno soggette all'invasione lavica. La definizione dei percorsi piu'
probabili, dato un punto di apertura della bocca, non puo' prescindere dall'applicazione di modelli reologici alla
topografia digitalizzata del vulcano.
Fig. 59 - Carta della zonazione della pericolosita’ da colate laviche (“ Lava flow hazard zones map”),
Mount Shasta (California). Le zone circolari mostrano un decremento di pericolo all’aumentare della
distanza dalla sommita’ del vulcano. La storia eruttiva recente suggerisce che la maggior parte delle
future colate di lava dovrebbe originarsi sul fianco nordorientale o in zona sommitale, nel settore “A”.
Mappa
di
Crandell
and
Nichols,
tratta
dal
sito:
http://volcanoes.usgs.gov/About/What/Assess/ShastaLava.html
L’isola di Hawaii e’ divisa in zone in accordo col grado di pericolosita’ legato all’invasione da colate di
lava. La definizione delle diverse zone e’ basata essenzialmente sulla localizzazione e la frequenza delle colate
storiche (dopo il 1800) e preistoriche (circa tra il 1300 e il 1800), ma tiene anche conto della topografia capace di
influenzare la distribuzione delle colate.
Tabella che descrive sinteticamente le aree a diversa pericolosita’ associata all’invasione di colate laviche nell’isola di Hawaii
Zona
1
% area
coperta
dal 1800
>25
% area
coperta negli
ultimi 750 anni
>65
chiarimenti
Includes summits and rift zones of Kilauea and Mauna Loa where vents have been
active in historic time.
2
15-25
25-75
Areas adjacent to and downslope of active rift zones
3
5-15
15-75
Areas gradationally less hazardous than Zone 2 because of greater distance from
recently active vents and/or because the topography makes it less likely that flows will
cover these areas
4
Circa 5
<15
Includes all of Hualalai, where the frequency of eruptions is lower than on Kilauea and
Mauna Loa. Flows typically cover large areas.
5
0
Circa 50
Areas currently protected from lava flows by the topography of the volcano.
6
0
Molto piccola Same as zone 5
7
0
0
20 percent of this area covered by lava in the last 10,000 yrs.
8
0
0
Only a few percent of this area covered in the past 10,000 yrs.
9
0
0
No eruption in this area for the past 60,000 yrs
USGS, Hawaiian Volcanological Observatory, http://pubs.usgs.gov/gip/hazards/maps.html
Ogni valutazione di pericolosita’ e’ basata sull’assunzione che l’attivita’ futura sara’ simile a quella passata.
I limiti delle diverse zone sono approssimati, e il cambio nel grado di pericolosita’ da una zona all’altra e’ graduale
42
piuttosto che brusco. All’interno di una singola zona la pericolosita’ puo’ variare a una scala troppo piccola per
essere mappata.
Fig.60 - Le zone a diversa pericolosita’ da invasione lavica in cui e’ divisa l’isola di
Hawaii. Il pericolo diminuisce da 1 a 9. USGS, Hawaiian Volcanological Observatory,
tratta dal sito; http://pubs.usgs.gov/gip/hazards/maps.html
Fig. 61 - (sx) Il Pu’u O’o, situato nella parte sudorientale del rift sommitale del Kilauea, in eruzione nel Giugno 1986. (dx) Una
casa del villaggio di Kalapana investita da una colata nel 1991. Tutto il villaggio fu sepolto sotto 15-20 metri di lava. (sx) Foto
di J.D. Griggs http://hvo.wr.usgs.gov/hazards/, (dx) Foto di J.B. Stokes, USGS
http://pubs.usgs.gov/gip/hazards/hazards.html#lava
44
Fig.62 - Simulazione numerica dei possibili percorsi di una colata lavica dell’Etna del 1992
(probabilita’ crescente dal rosso al celeste) confrontata con la superficie realmente coperta
(segnata in blu). Macedonio, Pareschi, Santacroce, inedito.
Zonazione della pericolosita’ legata alla scorrimento di surges e colate piroclastiche
Le zone pericolose in relazione allo scorrimento di colate e surges piroclastici hanno estensione molto
diversa nei diversi vulcani a causa dall'ampia variabilita' con cui questi eventi possono presentarsi. Alcuni
autori hanno definito una o piu' zone pericolose basandosi sull'estensione dei flussi piroclastici di epoca
storica o di altri intervalli temporali (Merapi: Pardyanto et al., 1978; Mayon: Pena e Newhall, 1984;
St.Helens: Crandell e Mullineaux, 1978). Altri autori hanno definito 2 o 3 zone con differente grado di
pericolosita' in funzione della possibile ubicazione della bocca eruttiva, o per la presenza nella storia eruttiva
di flussi piroclastici caratterizzati da volumi e frequenza diversi (Hood, Shasta, Soufriere della Guadalupa,
Asama, Rabaul, Campi Flegrei, Vesuvio, Nevado del Ruiz, Guagua Pichincha, ecc.). Modelli numerici
semplici (Malin e Sheridan, 1982) basati sul "cono di energia" (Fig.63), cioe' sul rapporto tra altezza del
collasso e percorso del flusso, sono stati utilizzati per generare carte di pericolosita' (ma in realta' la
probabilita'., anche qualitativa, di avere diverse altezze della colonna eruttiva, e quindi diverse estensioni al
suolo del flusso, non sono mai state discusse) per alcuni vulcani italiani (Campi Flegrei: Armienti e
Pareschi, 1987; Vesuvio: Armienti e Pareschi, 1987; Macedonio et al., 1988b; Vulcano: Sheridan e Malin,
1983; Frazzetta et al., 1984). Questi modelli costituiscono un approccio semplificato alla simulazione della
messa in posto dei flussi piroclastici. In particolare essi non possono descrivere ne' flussi generati da
esplosioni orientate ("lateral blasts") o da elutriazione della parte sommitale di flussi piu' densi ("ash
clouds"), ne' flussi che scorrono su topografie che li canalizzano (Armienti e Pareschi, 1987; Macedonio et
al., 1988b). Inoltre, lungo la direzione dell'"energy line", i modelli in questione prevedono una perdita
lineare di energia per attrito, e questa assunzione e' inesatta non solo perche' la perdita di energia e' una
funzione del cammino effettivo (e non della semplice distanza orizzontale dalla bocca), ma anche perche'
l'energia del flusso e' distribuita su aree perimetrali che sono proporzionali al quadrato della distanza dalla
bocca. A causa di questo tipo di limitazioni, questo modello, sebbene costituisca un passo in avanti rispetto
alla semplice analisi del record storico, fornisce solo grossolane indicazioni sulla distanza che un flusso
piroclastico, originatosi per collasso della colonna eruttiva da una certa altezza, e' in grado potenzialmente di
raggiungere.
44
distanza in km
Fig. 63 - Diagramma che illustra il concetto di "linea d'energia" (in alto) e "cono d'energia" (in basso). Lungo la sua
ideale linea d'energia una colata piroclastica subisce una perdita di energia per attrito compensata parzialmente dalla
conversione dell'energia potenziale in energia cinetica. La colata si arresta dove la sua linea di energia interseca la
superficie topografica. La pendenza della linea d'energia (= arctang del dislivello H diviso per la distanza percorsa L)
e' ovviamente legata alla mobilita' del flusso, e sara' tanto minore quanto minori saranno gli attriti. Nel caso di colata
piroclastica originata dal collasso di una colonna eruttiva il dislivello H sara' uguale all'altezza del vulcano aumentata
dell'altezza nella nube alla quale si realizza il collasso Hc (in questo caso, a parita' di latre condizioni, la pendenza
della linea d'energia diminuisce a causa degli attriti ridotti nel passaggio da [H+Hc] ad H. Linea A = colate di cenere e
blocchi; linea B = nubi ardenti; linea C = colate di cenere e pomici; linea D = colate di cenere e pomici che collassano
da 500 m al di sopra della bocca. (modificato da Malin e Sheridan, 1982, in Thouret, 1994).
Fig. 64 - potenziali vie di scorrimento preferenziali delle colate piroclastiche lungo i fianchi del vulcano Colima
(Messico). Sono anche indicate, con differenti colori, le diverse velocita’ attese lungo i diversi percorsi. Tratta dal sito
di MF Sheridan: http://www.eng.buffalo.edu/~mfs/
45
Fig. 65 - Simulazione computerizzata della distribuzione potenziale delle colate piroclastiche (in rosso) e di fango (in
giallo) al vulcano Popocatepetl (Messico). Sheridan MF et al, tratta dal sito: http://www.eng.buffalo.edu/~mf
Fig.66 - Il Merapi (Giava) e’ uno stratovulcano sulla cui
sommita’ e’ presente un duomno lavico instabile i cui frequenti
collassi generano colate piroclastiche che possono arrivare
fino a 10-13 km dalla vetta con velocita’ di punta superiori ai
110 km/ora. I depositi lasciati dalle colate piroclastiche
vengono spesso rimobilizzati in forma di lahar A sinistra e’
una carta di pericolosita’ “globale” per questo tipo di
attivita’, mentre qui sopra viene mostrata la distanza massima
raggiungibile da colate piroclastiche, lahar e nubi di cenere
associate alle colate. From Suryo and Clarke (1985), tratte dal
sito: http://www.vsi.dpe.go.id/mvohomepage.html
46
Colate di fango e colate o frane di detriti (lahars, debris avalanches, debris flows)
La definizione delle zone esposte a pericolo di scorrimento di colate di fango, analogamente a quanto accade per le colate e
i surges piroclastici, in genere e' basata sull'estensione e sulla frequenza osservate nel passato. Molti autori hanno
sviluppato mappe che mostrano gradi diversi di pericolosita' sulla base delle relazioni tra frequenza e "magnitudo" dei
flussi. Sulle carte di zonazione della pericolosita' relativa a tipi diversi di flussi piroclastici, le zone soggette all'invasione di
lahar e connesse inondazioni tipicamente si estendono piu' a valle rispetto ai flussi piroclastici "caldi" (Merapi, Baker,
Glacier Peak, Cotopaxi, Nevado del Ruiz, Ruapehu, Vesuvio). Diversamente da quanto si verifica per le nubi ardenti e,
soprattutto, per i surges piroclastici, il cui scorrimento spesso puo' interessare anche gli alti topografici, lo scorrimento delle
colate di fango tipicamente e' confinato alle valli e ristretto a pochi metri al di sopra del fondo valle (fig.23). Per quanto
riguarda i "debris flow", sono stati elaborati modelli matematici (Mizuyama et al., 1987) la cui applicabilita' e' ancora
limitata soprattutto per l'incertezza nella selezione dei parametri numerici da usare. La zonazione della pericolosita' per le
grandi frane connesse a collassi strutturali dei vulcani ("debris avalanches") e' in molte mappe combinata con la zonazione
relativa alle colate di fango. In realta' le grandi debris avalanches, molto piu' mobili dei lahars, possono spesso risalire
lungo le pareti delle valli e possono quindi oltrepassare gli spartiacque. Schuster e Crandell (1984) e Siebert et al. (1987),
considerando oltre cento casi reali, mostrano la possibilita' di stimare grossolanamente l'estensione dei fenomeni futuri di
questo tipo sulla base del loro volume e dell'altezza di distacco.
Fig. 67 - Mappa che mostra i pericoli attesi da un’eruzione del Nevado del Ruiz (Colombia). La mappa fu preparata da
INGEOMINAS (Ist.Naz. Geologia e Miniere) e circolo’ un mese prima del’eruzione dell 13 Novembre 1985. La mappa
mostra chiaramente l’alto pericolo connesso allo scorrimento di colate di fango della valle nella quale si trovava la
citta’ di Armero.
47
Fig. 68 - Carta di pericolosita’ vulcanica del M. Hood (Oregon, USA). I pericoli vengono distinti in prossimali
(fenomeni vulcanici “primari”) e distali (colate di fango) e, in entrambi i casi, il colore corrispondente alla lettera A
marca le aree a pericolosita’ maggiore. Vengono anche uindicati i tempi di percorrenza dei lahar per raggiungere le
localita’ indicate.
Fig.69 -Simulazioni numeriche (basate sul concetto della linea di energia , dello scorrimento di colate di fango (volumi
variabili da 2 km3, in giallo, a pochi milioni di m3, in blu) al Pico de Orizaba (Messico). Sheridan MF et al, tratta dal
sito: http://www.eng.buffalo.edu/~mf
48
Definizione dell’Eruzione Massima Attesa (EMA) e del suo scenario: il Vesuvio come esempio
Gli studi sui prodotti emessi dal Vesuvio nel corso della sua storia eruttiva hanno permesso di definirne la
variabilita’ delle eruzioni in termini di composizione dei prodotti, stile di attivita’, volume e energia. Il
comportamento eruttivo del vulcano e’ riconducibile all’alternanza irregolare tra periodi di attivita’ a condotto
aperto (attivita’ stromboliana persistente, frequenti effusioni laviche e sporadiche, piu’ voluminose ed
energetiche, eruzioni esplosive a forte componente freatomagmatica) e periodi di riposo di durata diversa
(connessi all’occlusione del condotto) interrotti da eruzioni prevalentemente esplosive di taglia ed energia molto
variabile.
L’ultima eruzione del Vesuvio, nel 1944, ha segnato il passaggio da condizioni di condotto aperto a
condizioni di condotto ostruito.
Dal 1944 il Vesuvio e’ in stato di quiescenza e non vi sono oggi indicazioni di sorta che fanno temere un
prossimo risveglio. Il vulcano, nel corso della sua storia, ha tuttavia sperimentato lunghe pause (che, in alcuni
casi, sono durate secoli o millenni) concluse da una ripresa di attivita’ che, in linea di principio, e’ stata tanto piu’
violenta quanto piu’ lungo e’ stato il periodo di riposo che l’ha preceduta.
Qualunque siano le condizioni del condotto, il modello oggi piu’ accreditato prevede un sistema vesuviano
caratterizzato dalla presenza di camere magmatiche superficiali alimentate in modo sostanzialmente stazionario
dall’arrivo periodico, grossolanamente regolare, di masse magmatiche profonde ad alta temperatura (11501200°C) a composizione tefritica. Su queste basi il volume di magma entrato nel sistema vesuviano dopo il 1944
e’ stimato nell’ordine dei 200 milioni di m3.
Tale volume, se emesso tutto nel corso di una singola eruzione esplosiva, darebbe luogo ad un’eruzione
subpliniana di magnitudo simile a quella del 1631.
L’eruzione del 1631 e’ stata per questo assunta come evento di riferimento per l’eruzione massima oggi
attesa al Vesuvio. Lo scenario dell’ “Evento Massimo Atteso a medio termine (EMA)” e’ il risultato della
combinazione di dati di terreno, di dati storici e di simulazioni numeriche basate su modelli fisici. La sequenza di
eventi attesa e’ schematicamente indicata nella Tabella sottostante.
fase eruttiva
Scenario eruttivo dellEvento Massimo Atteso al Vesuvio a medio termine
fenomeni
durata
Apertura
freatomagmatica
Colonna
Eruttiva
Sostenuta
Messa in posto
di flussi
piroclastici
Lento esaurimento
freatomagmatico
- Ripetute esplosioni
- Da moderati a forti terremoti
- Eiezione balistica di blocchi (2-3 km dalla bocca)
- Ricaduta sottovento di cenere (ca.10 km dalla bocca)
- Formazione di una colonna eruttiva alta 12-15 km
- ricaduta di cenere e lapilli (collasso dei solai a 10-30
km dalla bocca)
- Eiezione balistica di blocchi e bombe (3-5 km dalla
bocca)
- Tremore continuo e forte
- Destabilizzazione della colonna - collassi
- Scorrimento di colate e di surges piroclastici
- Possibile collasso strutturale della parte superiore del
cono vesuviano
- Forti terremoti isolati
- frane e debris flows
- moderate onde di tsunami
- ripetute esplosioni connesse all’interazione magmaacqua nel condotto
- ricaduta di cenere e fango; uragani di fango
- forti piogge; colate di fango; allagamenti
- terremoti isolati
area
interessata
(km2)
da minuti
ad ore
10-20
ore
200-300
ore
50
?
da giorni
a mesi
?
50-100
modificato da: SANTACROCE R. (1996) - Preparing Naples for Vesuvius. IAVCEI News, 1/2, 5-7
Combinando la distribuzione areale dei prodotti delle eruzioni storiche di magnitudo simile all’EMA con i
1300 km2 e’ stata associata all’EMA.
risultati delle simulazioni numeriche, un’area pericolosa di circa
49
All’interno di quest’area due zone sono state distinte sulla base del tipo e della dimensione dei fenomeni che
potenzialmente possono interessarle:
- una Zona Rossa (circa 210 km2) all’interno della quale vaste aree potrebbero essere soggette a distruzione
pressoche’ totale a causa dello scorrimento di colate e “surges” piroclastici, colate di fango ed alla ricaduta
imponente di blocchi, bombe e lapilli. Nelle eruzioni del 472 e del 1631 circa il 40% ed il 20% di questa zona
rispettivamente vennero devastati.
- una Zona Gialla (circa 1250 km2) potrebbe essere interessata da importante ricaduta di lapilli e cenere, con
carichi per metro quadrato superiore ai 300 kg. Nel 1631 circa 100 km2 furono coperti da piu’ di 300 kg/m2.
Le eruzioni esplosive provocano in genere perturbazioni atmosferiche che inducono forti piogge capaci
di rimobilizzare la copertura piroclastica generando lahar e inondazioni. Sebbene esaltato in coincoidenza con le
eruzioni, Il pericolo legato ai lahar deve essere considerato permanente nell’area circumvesuviana e non limitato
ai momenti di attivita’, come tragicamente mostrato dai luttuosi eventi del 5-6 Maggio 1998 nell’area di SarnoQuindici, a Est del Vesuvio (oltre cento morti). In considerazione di cio’ e sulla base di semplici calcoli
idrodinamici e’ stato necessario introdurre nella scenario su cui e’ basato il piano di emergenza una zona
caratterizzata da alta probabilita’ di inondazione ed allagamenti:
- la Zona Blu chepotrebbe essere soggetta a devastazioni connesse allo scorrimento di colate e torrenti fangosi
ed ad inondazioni ed alluvionamenti anche estesi. I fenomeni potrebbero essere presenti, seppure con intensita’
minore, anche nel caso che il campo dei venti non portasse importante deposizione di piroclastiti sul bacino
imbrifero della fossa di Nola. E’ ipotizzabile l’estensione della zona blu ai fondovalle del Clanio e del Quindici.
Napoli
Sant'Anastasia
estensione massima delle
colate e dei surges piroclastici
Somma Vesuviana
Pollena
S. Sebastiano
Ottaviano
San Giuseppe V.
Portici
Terzigno
Ercolano
Boscoreale
Torre del Greco
Pompei
Torre Annunziata
5 km
Napoli
nel 1631
durante gli
eventi subpliniani
durante gli
eventi pliniani
h= 0.3 km
pend. = 16°
h= 1.0 km
pend. = 16°
}
da modelli
fisici
Somma Vesuviana
Sant'Anastasia
Pollena
Ottaviano
S. Sebastiano
San Giuseppe V.
limiti della Zona Rossa
Portici
Terzigno
(confini amministrativi)
Ercolano
Torre del Greco
Boscoreale
Pompei
Torre Annunziata
5 km
Fig. 70 - Limiti della “Zona Rossa”, definiti dalle distanze percorse realmente nel passato da colate e surges piroclastici
generati nel corso di eruzioni subpliniane (tipo quella del 1631 o del 472) e dalle distanze virtuali dedotte dall’applicazione
di semplici modelli fisici . Ridisegnato da: Santacroce R et al. (2000):
50
collassi attesi dei solai
carico
Benevento
%
collassi
200
kg/m2
300
kg/m2
400
kg/m2
Caserta
7
19
Nola
42
Palma C.
Avellino
200
NAPOLI
Vesuvio
Torre d.Gr.
400 300
Pompei
5 km
Salerno
Sorrento
0
7.5 km
Eboli
Battipaglia
Zona Gialla
Fig. 71 - Limiti della “Zona Gialla”, definiti dalle aree copribili da piu’ di 300 kg/m2 di piroclatiti di caduta nel corso di una
eruzione del Veswuvio di magnitudo intorno a 0.1-0.2 km3. Sono riportate anche le isomasse al suolo relative a 200 e 400
kg/m2. Le linee tratteggiate mostrano le curve di isomassa al suolo misurate sui depositi dell’eruzione del 1631 (dati da Rosi
et al. g.c.) e suggeriscono le dimensioni della zona gialla che potrebbero venire realmente danneggiate dalla caduta di
piroclastiti nel corso di un’eruzione di quel tipo. L’inserto mostra la percentuale di solai che, sulla base di indagini
preliminari di vulnerabilita’, potrebbero collassare nell’area vesuviana sotto i differenti acrichi ipotizzati. Ridisegnato da:
Santacroce R et al..(2000).
Fig. 72 - La “Zona Blu”, definisce le aree soggette a scorrimento di colate di fango e a
inondazioni. L’area mostrata (a nordest del Vesuvio) e’ quella che piu’ facilmente sara’
sogetta ai fenomeni data la prevalena di venti dai quadranti sudoccidentali e la morfologia del
51
terreno particolarmente vulnerabile dell’area in azzurro
(conca di Nola). I punti azzurri
indicano i siti din cui c’e’ segnalazione storica di colate di fango.. Ridisegnato da: Santacroce
R et al..(2000).
52
Fly UP