LA RIFORMA DEL SENATO La storia degli studi e delle iniziative
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LA RIFORMA DEL SENATO La storia degli studi e delle iniziative
INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE Prima che si concluda il dibattito parlamentare, la direzione della « Rassegna » chiama docenti ed esperti a collaborare alla rubrica affinchè esprimano la loro opinione sulle questioni legislative di interesse più rilevante (*) LA RIFORMA DEL SENATO La storia degli studi e delle iniziative intraprese per migliorare il funzionamento del bicameralismo italiano, nella vigenza dello Statuto e poi della Costituzione della Repubblica, è quanto mai ricca e suggestiva. Basti ricordare, qui, per il periodo statutario l'articolo del Cavour sul Risorgimento del 27 maggio 1848 e f sistema bicamerale e sulla funzione ed attribuzioni della seconda Camera che impegnò tutta la dottrina italiana dal Palma alVArcoleo, al Mortara, al Mosca, all'Orlando, al Romano, da Francesco Ruffini cui Antonio Scialoja e gli uomini politici più rappresentativi dal Luzzatti al Tittonì, dallo Sturzo al Gentile. La problematica post-risorgimentale si è profilata, anche nell'attuale ordinamento costituzionale e si è riaperta Vantica discussione dottrinale con gli interventi del Ruini, del Mortati, del Ferrari, del Lavagna, del Rizzo, del Guarino, di Adriano Olivetti ed Amedeo Giannini, mentre, sul piano parlamentare, si vogliono qid ricordare le conclusioni della Commissione senatoriale presieduta dal Sen, Enrico De Nicola, il progetto dellOn, Riccio, il disegno di legge costituzionale presentato dal I Governo Segni: « Modifiche della durata e della composizione del Senato della Repubblica ». Nella presente legislatura pendono all'esame della Commissione speciale del Senato i due progetti, l'uno governativo: ^Modifica della durata e della composizione del Senato della Repubblica » {250) e l'altro di iniziativa del compianto Senatore Luigi Sturzo : ^ Modifiche agli articoli 57, 59 e 60 della Costituzione », che pubblichiamo integralmente. (*) / docenti e gli esperti che intendono collaborare alla rubrica possono scrivere alla Direzione della Rassegna (Via Frattina, 89 - Roma) indicando il tema che desidererebbero trattare. 1514 RASSEGNA PARLAMENTARE -5i •3^ 4^ -TP Ji. w DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE PRESENTATO DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (FANFANI) E DAL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA (GONELLA) DI CONCERTO COL MINISTRO DELL'INTERNO (TAMBRONI) Comunicato alla Presidenza il 14 novembre 1958 MODIFICA DELLA DURATA E DELLA COMPOSIZIONE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA Onorevoli Senatori, — Nelle dichiarazioni programmatiche del Governo è stato espresso il proposito di presentare al Parlamento un disegno di legge costituzionale recante modifiche alla Costituzione in materia di durata e di composizione del Senato della Repubblica. Negli ultimi mesi della passata legislatura sono statti oggetto di dibattito, in ambedue i rami del Parlamento, sia un analogo disegno di legge costituzionale presentato dal Governo, sia proposte di legge di iniziativa parlamentare. Nel corso dei dibattiti parlamentari, vari emendamenti furono proposti su tali materie, e alcuni furono pure accolti. Il presente disegno di legge costituzionale intende dare adeguata soluzione a detti problemi, e si basa essenzialmente sul testo già approvato dalla Camera dei deputati. A tale testo vengono apportate modifiche che non toccano la sostanza e che mirano semplicemente a tenere presenti voti espressi nel corso della discussione svolta nell'altro ramo del Parlamento. Le finalità di questo progetto sono due: o) parificare la durata del Senato e della Camera; b) attuare l'integrazione del Senato. 1. Essendo, a termine della Costituzione, diversa la durata delle due Assemblee legislative^ è possibile che si abbia un diverso se non opposto orientamento politico dei due rami del Parlamento dovuto ad una diversa composizione politica delle due Assemblee. Infatti, mentre la Camera viene rieletta, con configurazione politica che può essere diversa dalla precedente, il Senanto si trova nel suo ultimo anno di vita e conserva la sua configurazione politica. Le difficoltà si complicherebbero ulteriormente se la successiva elezione del Senato portasse ad una configurazione politica ancora diversa da quella che la Camera ha avuto nelle elezioni dell'anno precedente. Inoltre, è evidente che l'opinione pubblica non è favorevole al ripetersi delle elezioni generali a distanza di un anno, elezioni che possono anche coincidere con quelle comunali o provinciali o regionali, o essere molto prossime ad esse. Per tali motivi il presente disegno di legge stabilisce l'uguale durata delle due Camere determinandola in anni 5. 2. Autorevoli Comitati senatoriali hanno ripetutamente auspicata la cosiddetta « integrazione » del Senato, e tale finalità intende, in secondo luogo, raggiungere il presente disegno di legge. INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1515 Questa esigenza incominciò ad emergere nel 1953, quando i 107 « senatori di diritto », nominati per la prima composizione del Senato in base alla III Disposizione transitoria della Costituzione, non ritornarono più al Senato. Ora, si fa presente Fopportunità di attenuare la sproporzione numerica che con il venir meno dei 107 senatori di diritto si è accentuata nella composizione delle due Camere; si desidera cioè un migliore equilibrio fra di esse, in modo che il sistema bicamerale abbia maggiori garanzie di organico funzionamento. Integrare il Senato non significa attuare una riforma strutturale e funzionale di questo ramo del Parlamento, poiché si lascia invariata la sua posizione costituzionale nei confronti della Camera, e non la si muta nelle sue attribuzioni e prerogative. Anche il principio fondamentale delle elettività a base regionale è tenuto fermo, poiché nulla è cambiato per quanto riguarda i collegi periferici. Se si accresce il numero dei senatori di diritto o di nomina a vita, non si intende con ciò introdurre categorie nuove di senatori, ma semplicemente aumentare i senatori di queste due categorie già previste dalla Costituzione. 3. Per realizzare detta integrazione, la prima proposta del presente disegno di legge riguarda i senatori di diritto a vita; si stabilisce che siano senatori di diritto a vita, salvo rinuncia, non solo gli ex Presidenti della Repubblica, come prevede attualmente la Costituzione, ma anche gli ex Presidenti delle Assemblee legislative elette dopo il 1945. Accogliendo un emendamento presentato nel corso di un precedente dibattito parlamentare, si è aggiunta, nel presente disegno di legge, la norma che, per essere senatore di diritto a vita, un ex Presidente di una delle due Camere deve essere rimasto in carica per almeno tre anni consecutivi. 4. Gli attuali senatori a vita di nomina presidenziale sono stati portati da cinque a dieci come nel precedente disegno di legge. Ai cinque già previsti dalla Costituzione e per gli indicati titoli (articolo 58, comma secondo) si aggiungono altri cinque per i quali si prevedono titoli diversi, fondati sul riconoscimento di attività svolte nel campo dell'Amministrazione statale o dell'Amministrazione regionale, provinciale e comunale, come pure nel campo giudiziario e militare e in quello del sindacalismo e del giornalismo. Si mira ad allargare l'apporto al Senato di esperienze maturate nell'esercizio di cariche pubbliche, senza introdurre nella Costituzione alcun principio nuovo, ma solo allargando la sfera di applicazione del già ammesso principio della nomina presidenziale. Anche con il proposto aumento, è evidente che la sfera di applicazione di un principio già vigente resta limitata ad una assoluta minoranza numerica, rispetto al numero dei membri eletti, in modo da non turbare la configurazione politica determinata dal suffragio. 5. All'aumento dei senatori elettivi si provvede in base ai criteri che si intende ora illustrare. In primo luogo, l'aumento non può essere superiore ad 1/4 degli attuali membri elettivi, in secondo luogo, l'integrazione è attuata non attraverso nomine presidenziali di membri aggregati, bensì attraverso la istituzione di un Collegio unico nazionale al quale è assegnato il predetto numero di seggi integrativi. Anche con questo aumento il Senato avrà un numero di senatori inferiore a quello di cui fu composto il primo Senato della Repubblica in virtù dei « senatori di diritto ». Si deve pure rilevare che anche con l'aumento proposto il numero dei senatori sarà di poco superiore alla metà dei membri della Camera dei deputati. 1516 RASSEGNA PARLAMENTARE Il raggiungimento di un equilibrio fra le due Assemblee è del massimo interesse, qualora si tengano presenti i 7 casi nei quali le due Camere debbono deliberare riunite, e qualora si consideri che potrebbe accadere che il Senato, considerato nella sua totalità, abbia nella votazione in comune con la Camera, una disponibilità di voti perfino inferiore a quella del numero dei membri della Camera appartenenti a un solo partito. Basterebbe, cioè un solo partito della Camera a neutralizzare la volontà di tutta la rappresentanza senatoriale. La proposta di aumento numerico ha la sua ragione d'essere anche in motivi concernenti il funzionamento stesso del Senato. Infatti è stato osservato che la limitata composizione numerica delle commissioni, specialmente in sede legislativa, può dar luogo a delle difficoltà di lavoro che sono di gran lunga superiori a quelle della Camera nella quale, per trattare le stesse materie, vi è, in ogni commissione, un numero quasi doppio di componenti. Solo lo spirito di sacrificio e di dedizione dei senatori ha consentito alle commissioni del Senato di lavorare di pari passo con quelle della Camera, senza alcun ritardo nell'esame dei provvedimenti. 6. Il principio democratico della eletlività, come pure il criterio di votazione su «base regionale», sancito dalla Costituzione, è rigorosamente rispettato dalla nostra proposta di integrazione. Conferma di ciò si trova nel fatto che Fattribuzione dei seggi al Collegio unico nazionale, prevista da questo disegno di legge, ha luogo non con una elezione di secondo grado (come in sistemi dì altri Paesi), ma in base ai voti ottenuti da ciascun raggruppamento politico in sede regionale. Coloro che presentano candidature con un determinato emblema nei singoli collegi regionali possono presentare candidature con lo stesso emblema anche nel Collegio unico nazionale. 7. I risultati elettorali vengono rispettati, essendo l'integrazione rigorosamente proporzionale ai voti ottenuti da ciascun raggruppamento nelle elezioni nei collegi delle Regioni. La proporzionalità non è in rapporto ai seggi, ma in rapporto ai voti, e ciò al fine di non recare danno alle formazioni minori che non raggiungano quozienti localmente, o abbiano larghi resti i quali, non utilizzati localmente, verrebbero, con questo nuovo sistema dell'integrazione, sicuramente e totalmente utilizzati in sede nazionale. Perciò, non solo la elettività ma anche la proporzionalità è rispettata, ed è per questa ragione che si sono respinte le proposte di integrare il Senato attraverso nomine, anziché attraverso elezioni, oppure di integrarlo per un periodo superiore alla normale durata dì una legislatura con il possibile effetto di alterarne la configurazione politica quale può risultare da future elezioni. 8. Nelle liste del collegio unico nazionale possono essere ammessi solo coloro che abbiano già meritato il suffragio elettorale, ed hanno quindi esercitato il mandato parlamentare. In tal modo è assicurato al Senato l'apporto di una larga esperienza politica, convalidata dai risultati di precedenti suffragi. 9. Nel collegio unico nazionale la elezione avviene sulla base della anzianità parlamentare, determinata non secondo il criterio del numero delle leslature — non essendo piìi le legislature riconosciute dalla Costituzione — ma secondo il criterio della durata temporale delFesercizio del mandato parlamentare per ogni candidato. La Consulta nazionale e l'Assemblea costituente non sono considerate come «legislature», diversamente da quanto ammettevano precedenti progetti relativi a tale materia; si è preferito considerarle come Assemblee nelle quali la funzione INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1517 esercitata riveste carattere di funzione parlamentare, anche se non elettiva, come nei caso della Consulta. Si è avuto riguardo più che alla natura delle Assemblee, alla natura del mandato in esse esercitato, e l'anzianità di coloro che sono stati membri di queste assemblee dovrebbe essere computata per la durata delle As~ semblee stesse. Un apposito Albo di anzianità parlamentare, che viene tenuto aggiornato dal Presidente del Senato d'intesa con quello della Camera, servirà per accertare tutte le anzianità e per tenerle aggiornate. Nel caso in cui si abbia pari anzianità di mandato parlamentare, sono previsti titoli di precedenza in base ai più importanti uffici ricoperti nel Parlamento o nel Governo, oppure in base al maggior numero di suffragi individuali ottenuti nell'ultima elezione, quando si debba scegliere fra candidati che non abbiano ricoperto alcun ufficio ne! Parlamento o nel Governo. Nel caso in cui due candidati abbiano ricoperto uguale ufficio, la precedenza è determinata dalla durata complessiva di esercizio dell'ufficio. 10. Nel corso dei dibattiti parlamentari è stata affacciata una critica seconto la quale il sistema proposto concederebbe troppo alla discrezionalità dei gruppi politici nella presentazione delle candidature. A tale proposito conviene rilevare che nella formazione delle liste per il Collegio unico nazionale i presentatori sono vincolati a limitazioni particolari che non esistono nella presentazione delle candidature nei collegi regionali. Infatti, le candidature del Collegio unico nazionale debbono essere assegnate esclusivamente agli ex parlamentari e non ad un qualsiasi candidato liberamente scelto da un partito, e l'ordine di precedenza di questi candidati nelle liste del Collegio unico nazionale non è determinato dalla volontà dei partiti, ma è rigorosamente stabilito dall'anzianità parlamentare risultante dall'Albo. Sembra ovvio rilevare, ma conviene tenerlo presente in rapporto alle obiezioni mosse, che in una lista caratterizzata da un contrassegno non potrà essere ammesso quel parlamentare che non appartenga più al gruppo individuato da tale contrassegno, e ciò è logico, poiché altrimenti nelle liste centrali non verrebbe rispettata la rappresentanza proporzionale di voti ottenuti da ciascun raggruppamento. Del resto, non diversamente avviene per le candidature locali dalle quali un partito può escludere chi non appartiene più al partito stesso. Occorre inoltre ribadire che nelle liste centrali non potranno mai essere aggiunti candidati non parlamentari, e da nessun partito potrà mai essere mutato l'ordine stabilito dall'Albo delle anzianità. Questi sono tutti corollari del principio al quale si ispira il presente disegno di legge: la integrazione deve essere proporzionale alle forze politiche specificamente espresse per ogni raggruppamento, dal suffragio elettorale. 11. Infine, ad evitare equivoci nella interpretazione, si stabilisce che tutte le disposizioni contenute nella nuova legge, entrano in vigore con la prima convocazione dei comizi elettorali successivi alla pubblicazione della legge medesima. 12. Queste nostre conclusioni, che si presentano al Parlamento, prendono sempre le mosse da un lungo e approfondito esame compiuto all'inizrio della passata legislatura da un autorevole Comitato senatoriale costituito con componenti di tutti i partiti e posto sotto una guida particolarmente illuminata. Tale Comitato era arrivato a conclusioni che sono state in larga misura accolte nella elaborazione del presente progetto. È evidente che nel formulare queste norme si è voluto prescindere da ogni considerazione di situazioni particolari e contingenti, e si è mirato esclusivamente a dare un nuovo contributo per garantire al massimo la funzionalità degli istituti parlamentari. ìà 1518 RASSEGNA PARLAMENTARE DISEGNO DI LEGGE ART. 1. — Il primo comma dell'art. 60 della Costituzione è modificato com segue : <( La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cmque anni ». ART. 2. —• AlFart. 51 della Costituzione sono aggiunti i seguenti comma* « È inoltre attribuito ad un Collegio unico nazionale un numero di senatori pari ad un quarto di quello attribuito complessivamente alle Regioni. (c I candidati per le liste del Collegio unico nazionale sono scelti tra coloro che hanno esercitato il mandato parlamentare e vengono collocati nell'ordine dì anzianità stabilito dal presente articolo. « A ciascuna lista del Colleeio unico nazionale, distinta da un contrassegno, è assegnato un numero di seggi proporzionale ai voti complessivamente riportati con lo stesso contrassegno nei collegi delle Regioni. e: Il Presidente del Senato, d'intesa con il Presidente della Camera dei deputati, tiene aggiornato l'Albo di parlamentari nell'ordine di anzianità determinato dalla durata del mandato parlamentare, esercitato almeno una volta dopo il 1945. I mandati alla Consulta nazionale e all'Assemblea costituente si considerano mandati parlamentari. « Solo a parità di durata del mandato parlamentare, è data precedenza, nelTordine, a chi abbia ricoperto la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Presidente di Assemblea legislativa, Presidente di Commissione parlamentare permanente, Alto Commissario, Sottosegretario di Stato, Presidente di Gruppo parlamentare, Questore e Segretario di una Camera, ed infine a chi abbia ottenuto nelle ultime elezioni un maggior numero di suffragi individuali. Solo a parità di carica ricoperta, la precedenza, nell'ordine in ciascuna carica, è determinata dalla durata complessiva di esercizio della medesima ». ART. 3. •— Dopo il primo comma deirarticolo 59 della Costituzione è inserito il seguente: (c Sono inoltre senatori di diritto e a vita, salvo rinuncia, gli ex Presidenti dell'Assemblea costituente e chi, dopo il 1945, è stato, per almeno tre anni consecutivi, Presidente del Senato o della Camera dei deputati. ». ART. 4. — L'ultimo comma dell'articolo 59 della Costituzione è modificato come segue: a II Presidente della Repubblica può nominare a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientir:co, artistico e letterario e cinque cittadini che hanno svolto eminente attività nel campo dell'Amministrazione statale e locale, della Magistratura, delle Forze armate, del sindacalismo e del giomahsmo ». ART. 5. — Tutte le disposizioni della presente legge entrano in vigore con la prima convocazione dei comizi elettorali successiva alla pubblicazione della legge medesima. # # * INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1519 DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE D'INIZIATIVA DEL SENATORE STURZO Comunicato alla Presidenza il 28 novembre 1958 MODIFICHE AGLI ARTICOLI 57, 59 E 60 DELLA COSTITUZIONE Onorevoli Senatori, — II disegno di legge costituzionale n. 250 presentato al Senato dal Governo con il titolo : « Modifica della durata e della composizione del Senato della Repubblica » contiene disposizioni che meritano seria attenzione, prima fra le quali, in modo speciale, l'istituzione con legge costituzionale di un collegio unico per l'elezione di un quarto di senatori che direi privilegiati. Il collegio unico nella nostra legislazione elettorale fu introdotto quando ancora non vigeva la Costituzione del 1948; l'averlo mantenuto anche dopo con legge elettorale non giustifica la insita contraddittorietà con il disposto fondamentale della Costituzione, contenuto negli articoli 56 e 58 che la Camera dei deputati e il Senato sono eletti a suffragio universale e diretto. Il collegio unico non comporta la votazione diretta dell'elettore, né la sua libera scelta, trattandosi di una risultante indiretta e rigida. Inoltre, per il Senato, la lista nazionale contraddice al disposto organico della base regionale fissata all'articolo 57 della Costituzione. È vero che nella relazione, premessa al citato disegno di legge, viene dichiarato restare fermo il principio della circoscrizione regionale per l'elezione di un senatore per ogni 200 mila abitanti, riguardando la proposta una nuova categoria di senatori di diritto, quasi fosse una specie di sostituzione dei 107 senatori di diritto creati in base alla III disposizione transitoria della Costituzione solamente per la prima composizione del Senato. In sostanza, il disegno di legge in parola tende a creare una categoria di senatori a numero limitato (un quarto dei senatori periferici) quali benemeriti esperti della vita pubblica nazionale, indipendentemente e dal merito personale e dalla scelta elettorale. Questo sembra a me un assurdo costituzionale e spiacemi doverlo notare in un disegno di legge governativo. Si ha l'impressione che venga istituita una polizza di assicurazione al posto di senatore, a favore dei parlamentari piti anziani, una specie di giustificazione di quelli fra i tanti che o sono stanchi delle lotte elettorali ovvero dubitano della probabilità di rielezione e preferiscono la scelta attraverso l'inserzione nel collegio elettorale nazionale a lista rigida automatica. Invero, l'albo dei parlamentari fissa i posti dei candidabili per ordine di anzianità; a parità di anzianità prevalgono coloro che hanno coperto uflìci ministeriali o parlamentari con un'esatta precisazione di graduazione: i più anziani di elezione e di carica saranno i sicuri fortunati, doppiamente fortunati in vita (cioè nel periodo della nomina elettorale) et post mortem (cioè nel periodo del senatorato di diritto) distribuiti proporzionalmente al risultato dei senatori elettivi in base alle percentuali ottenute dai gruppi a contrassegno collegato. Tutto ciò non solo è contrario alla base regionale del Senato, ma alla stessa elettività del Senato, e non corrisponde (se si vuol fare un riferimento alla III disposizione transitoria della Costituzione) alla finalità avuta di dare im premio ad personam per i servizi resi prima e durante il regime fascista. Qui i servizi resi sono non valutabili, mancando un organo di scelta per meriti assoluti e comparativi, come si dice per il personale impiegatizio, sia da parte dei formulatori dell'albo, sia da parte degli elettori e neppure da coloro che ne presenteranno l'obbUgatoria candidatura, cioè i partiti. Insomma, questi nuovi sessanta e più senatori 1520 RASSEGNA PARLAMENT.\RE rappresenterebbero se stessi e non la nazione; li sceglierebbe un Albo muto, non un essere vivente, l'elettorato o il Presidente della Repubblica o lo stesso Senato per cooptazione, nessuno: la sorte cieca. L'inconveniente della mancata scelta si ripercuoterà nella stessa composizione delle due Camere. Da un lato le nuove reclute di candidati premeranno sulle direzioni locali e centrali dei partiti per avere posto nelle liste per la Camera dei deputati; gli anziani fra i deputati uscenti saranno, anche loro malgrado, risospinti al Senato. La scelta fra Camera e Senato favorirà spesso i meno dotati e meno rappresentativi, mentre la Camera abbonderà di giovani senza suflSciente preparazione ed esperienza della vita pubblica; così i due corpi non miglioreranno, e il passaggio, o travaso che sia, non favorirà la formazione della tradizione dì corpo sia della Camera che del Senato. Capisco che queste preoccupazioni di psicologia politica potranno sembrare fuori luogo nell'esame di un disegno di legge a carattere partitico; ma non posso non darvi rilievo, se non altro per quei pochi che mi comprendono e per quegli altri che in avvenire si daranno la pena di leggere queste pagine. Debbo aggiungere, a completare la mia critica, che l'equivoco su cui si fonda il disegno di legge è lo stesso di quello che inficiò il disegno presentato durante il Ministero Segni : cioè una pretesa integrazione del Senato, Segni pose tale precisazione nel titolo del disegno di legge; Fanfani, pur omettendola, ne dà risalto nella relazione. Tale finalità dal punto dei fatti è inesatta e per giunta contraddice alla lettera della Costituzione: il Senato non sorse monco; la disposizione transitoria non lo integrò; nella seconda e nell'attuale legislatura il Senato non è stato incompleto, non lo potrebbe essere. Pertanto Timmissione di 60 albisti a titolo fìsso non è e non può essere integrazione. Quello che si vuole, e può essere legittimo di fronte a una Camera di quasi 600 deputati, è che il Senato ne abbia almeno 300. A questo scopo basta ridurre il quorum della popolazione per ogni senatore a 160 mila invece di 200; si avrebbe così un aumento adeguato in rapporto al quorum dei deputati che è di 80 mila abitanti. Qualora si preferiscano dei candidati qualificati, si fissino categorie di scelta, non mai albi a graduatoria obbligata. Per completare i miei rilievi al disegno di legge costituzionale presentato dal Governo, debbo far notare che l'articolo quarto divide in due serie i dieci posti attribuiti al Presidente della Repubblica; però nella prima, sotto l'aggettivo sociale, possono essere inclusi i sindacalisti che figurano anche nella seconda serie; così nella categoria dei letterati potrebbero trovare posto i veri giornalisti qualificabili come tali, secondo una costante e nobile tradizione italiana. A parte ciò, sarà bene precisare se la parola sindacalisti sia esclusiva per i sindacati operai e non comprenda anche quelli degli agricoltori, industriali grandi medi e piccoli, nonché i dirigenti di imprese, gli impiegati e ogni altra categoria, dovendo tutti essere considerati lavoratori in una Repubblica basata sul lavoro. Prescindendo da altre critiche particolari passo a dare ragione del disegno di legge che ho l'onore di presentare, nella speranza che la Commissione voglia tenerne conto nell'esame di quello governativo, utilizzarlo per gli emendamenti, o addirittura adottarlo come il più rispondente allo scopo. Partendo dal riconoscimento dell'utilità di aumentare il numero dei senatori, escludo l'idea delle due categorie di senatori quale risulta dal disegno di legge governativo, (gli attuali a candidature regionali e i nuovi fino a un quarto a candidature nazionali in lista automatica), e propongo unico tipo di elezione — quella vigente per regioni — abbassando il quorum di popolazione per ciascun senatore da duecentomila a centosessantamila, cioè il doppio del quorum fissato per relezione dei deputati; l'aumento previsto si aggirerebbe a circa 80 senatori. Il rafforzamento qualitativo del Senato come non si raggiunge con l'albo fisso di deputati e senatori proposto dal Governo, neppure si raggiungerebbe con l'au- INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1521 mento dei posti di senatori ad elezione libera da me proposto; e mentre la soluzione governativa tenderebbe a fossilizzare e anchilosare il corpo legislativo, con le elezioni di personale di risulta che ad ogni legislatura verrebbe immesso a mezzo di un albo fisso; con le tendenze rinnovatrici dei partiti e di maggioranze parlamentari, le nuove elezioni quinquennali potrebbero portare elementi freschi e validi senza trovare la barriera di un numero d'inamovibiU con qualifica di cariche avute, che evitando la lotta elettorale si troverebbero più o meno installati a vita senza nomina vitalizia. L'unica via legittima e chiara per un gruppo qualificato sarebbe quella di affidare al Presidente della Repubblica la scelta di senatori di alti meriti per quelle personalità che difficilmente correrebbero l'alea di una elezione né si piegherebbero facilmente alla disciplina di partito. È questo il motivo che, a lieve modifica di mia precedente proposta, mi ha suggerito di portare il numero dei senatori di scelta presidenziale a venti e di allargarne convenientemente le categorie. Prima di conchiudere sento il dovere di fare una dichiarazione. L'aumento del numero dei senatori non può essere fine a se stesso, né potrebbe dirsi strettamente necessario al funzionamento del Senato, il quale ha dato prova nella passata legislatura di una regolare attività ed elevato contributo alla legislazione, purtroppo numerosa e in parte di semplice formalistica o di categoria, quale si è insinuata nelle abitudini della nostra democrazia. , La riforma del Senato nei suoi scopi, nella sua organicità, nella sua funzionalità é quella che si richiede; ma non si è avuta fin oggi un'adeguata iniziativa proprio per l'ostacolo avanzato del numero dei senatori e della tesi dell'integrazione. L'idea che si ebbe dai Costituenti di un Senato doppione della Camera non regge; il Senato ha in certi affari voce prevalente; in altri affari voce secondaria. Non è il momento che io svolga questo tema; ne ho fatto cenno in due dei miei discorsi in Aula; mi riservo di ritornarvi di proposito. Qui mi basta affermare che il mio disegno di legge mira solo a correggere quello governativo nei suoi lati deficienti e nella sua impostazione non esattamente costituzionale, per avviare sopra una strada più sicura il comune desiderio di un aumento di senatori. Che se la discussione del Senato porterà di nuovo ad un nulla di fatto, non sarò io a dolermi della piccola fatica della presentazione del presente disegno di legge, nella speranza di poter in seguito esporre le mie idee a viva voce nell'Aula senatoria. DISEGNO DI LEGGE ART. 1. — Il secondo e terzo comma dell'articolo 57 della Costituzione sono modificati come segue: « A ciascuna Regione é attribuito un senatore per centosessantamila abitanti o per frazione superiore a ottantamila. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette. La Valle d'Aosta ha un solo senatore ». ART. 2. — L'articolo 59 della Costituzione é sostituito dal seguente: «È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubbhca, Presidente dell'Assemblea Costituente o, per almeno quattro anni consecutivi. Presidente di uno dei due rami del Parlamento. Il Presidente della Repubblica può nominare senatore a vita venti cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, sanitario, scientifico, artistico, letterario e per eminenti servizi resi nel campo della politica, nella magistratura, nell'amministrazione civile e militare dello Stato e nelle amministrazioni regionali, provinciali e comunali m qualità di Presidente o di Sindaco ». 1522 RASSEGNA PARLAMENTARE ART. 3. — Il primo comma dell'articolo 60 della Costituzione è sostituito dal seguente: « La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica sono eletti per 5 anni ». ART. 4. —• La presente legge entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 41* ^ ^ ^ "TT "TT VINCENZO MAZZE!, Prof. Ubero docente nella Università di Roma. Nonostante le critiche che da più parti vengono mosse alla Costituzione repubblicana, può affermarsi tranquillamente che la Carta costituzionale italiana è una delle migliori — anzi forse la migliore — fra le costituzioni dell'ultimo dopoguerra: è una delle migliori perchè è la pili aperta alle esigenze dei tempi nuovi e rappresenta un notevole tentativo di superamento del regime parlamentare di marca ottocentesca, tradizionale nei paesi dell'occidente europeo. Un'attuazione integrale della Costituzione, non solo nella lettera ma sopratutto nel suo spirito, potrebbe dare una prova tangibile di quanto affermiamo. Fino a quando le istituzioni più caratteristicamente innovatrici previste dalla nuova Costituzione e più capaci di incidere profondamente nella struttura dello Stato e di sollecitare un'evoluzione in senso democratico-sociale dello stesso costume politico (ordinamento regionale, referendum, rappresentanza unitaria delle forze sindacali ecc.) non troveranno attuazione e non saranno pienamente ed organicamente operanti, la vita dello Stato repubblicano, nel suo meccanismo istituzionale, non può discostarsi in modo sostanziale da quella dei vecchi regimi parlamentari. Con la conseguenza che fatalmente si avverte il disagio derivante dall'antinomia tra la realtà sociale fortemente mutata e la concreta realtà istituzionale tuttora sostanzialmente ancorata a vecchi schemi inadeguati. Bisogna peraltro riconoscere che vi sono nella Costituzione istituti in cui il sofi5o innovatore non ha operato, o ha operato in modo timido ed incerto così da lasciare talune istituzioni con un ordinamento ibrido, sospeso tra il vecchio e il nuovo, e quindi in definitiva non rispondente alle esigenze peculiari dello Stato contemporaneo. La logica avrebbe voluto che, una volta adottata la profonda innovazione dell'ordinamento regionale e una volta attribuita rilevanza giuridico-costituzionale ai sindacati, la seconda camera fosse l'espressione delle Regioni in quanto tali (cioè prese in considerazione come unità organiche e non già come circoscrizioni da tenere presenti nel procedimento INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1523 elettorale) e delle forze del lavoro organizzate, che costituiscono la realtà più nuova, e direi dominante, negli Stati contemporanei. La logica dello stesso sistema costituzionale nuovo avrebbe, insomma, voluto che la seconda Camera fosse espressione del sistema delle autonomie sociali (locali e professionali) caratteristico del nuovo ordinamento, in contrapposto al vecchio regime centralizzatore e in definitiva oppressore della concreta vita della libertà che si manifesta e vive in modo effettuale solo attraverso l'autonomia dei gruppi sociali e il riconoscimento della loro spontanea virtù creatrice. Il pluralismo sociale, indeclinabile premessa filosofico-politica di una democrazia sociale che voglia preservare le libertà ed ottenerne il massimo dispiegamento, avrebbe potuto trovare nella seconda Camera espressione specifica, arricchendo il nostro sistema rappresentativo e realizzando un Parlamento più rispondente alla reale vita sociale e politica del Paese, e quindi più autorevole di un Parlamento composto di due Camere formate su basi strettamente politiche e partitiche ed aventi fra loro differenze molto lievi e prive di seria giustificazione razionale. Quanto meno, se non si voleva fare il passo più ardito di inserire nel sistema rappresentativo nazionale le forze sindacali in considerazione del fatto che sono presenti nel Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, bisognava che il Senato (in analogia a quanto avviene negli Stati Federali) fosse concepito e formato come espressione delle Regioni e che il sistema di elezione prescelto fosse tale da assicurare un tipo di rappresentanza nettamente differenziato da quello della Camera dei Deputati e una maggiore qualificazione degli eletti per esperienza, capacità e prestigio personale. Queste tesi furono oggetto di discussioni in Costituente, ma prevalsero perplessità e pregiudizi intellettuali pseudo-democratici (come la diffidenza nei confronti di qualsiasi forma di rappresentanza degli interessi e nei confronti dell'elezione di secondo grado che spesso garantisce scelte più meditate e qualificate), e sopratutto il gioco degli interessi elettorali immediati di taluni grossi partiti usi a riguardare la struttura delle istituzioni al lume dei calcoli sui possibili conseguimenti contingenti. Ne venne fuori un sistema in cui la premessa « il Senato è eletto a base regionale » (art. 57) nel prosieguo delle disposizioni costituzionaH (artt. 57 comma 2^ e 3"", 58, 59) si svuota completamente di qualsiasi reale significato strutturale: così che, in definitiva, il Senato si presenta come un doppione della Camera e da essa si distingue solo per l'età minima pochi scelti dal Presidente della Repubblica). 1524 RASSEGNA PARLAMENTARE Il Senato, tuttavia, inizialmente vide fra i suoi componenti personalità di alto rilievo in virtù della III disposizione transitoria della Costituzione che prevedeva per la sola prima comparizione la nomina a senatori di personalità che avevano acquisito particolari benemerenze nella lotta contro il regime fascista. Venuti meno questi membri di diritto previsti dalla disposizione transitoria, il Senato risultava ridotto numericamente alle proporzioni previste dalla Costituzione e diventava più evidente la diversità di configurazione politica della seconda Camera dalla Camera dei deputati conseguente al sistema elettorale adottato, che, seppur non privo di qualche pregio, ha però il gravissimo difetto di portare ad una notevole sperequazione nel rapporto fra elettori ed eletti dei vari raggruppamenti politici a tutto vantaggio dei partiti più forti. Le varie proposte succedutesi per la modifica della composizione del Senato sono state ispirate solo dall'esigenza di eliminare l'accennata sperequazione rappresentativa e dal desiderio di vedere aumentato il numero complessivo dei senatori per portarlo al livello o presso a poco, di quello della sua prima composizione. Anziché studiare seriamente una riforma del Senato, si cominciò a sostenere la pretesa necessità di una integrazione del Senato, che, in linea di diritto, non aveva bisogno di alcuna (( integrazione » perchè già composto così come previsto nella Costituzione e niente affatto incompleto. Ma la cosa più grave è che la pretesa esigenza di « integrazione » del Senato, dopo aver fatto perdere molto tempo a tanti egregi parlamentari e a diverse Commissioni Speciali, è sfociata in disegni di legge costituzionale per la modifica della durata e della composizione del Senato della Repubblica, di cui uno di iniziativa governativa (disegno di legge n. 250), e in una ponderosa relazione redatta dal senatore Basco, la quale, per la singolare inconsistenza giuridica e politica delle argomentazioni addotte a sostegno del macchinoso progetto governativo (incompetenza non imputabile ad incapacità dell'autore) finisce per svelare chiaramente la gravità dell'iniziale errore di impostazione. dopo avere coscienziosamente ricordato Infatti inratti, u relatore l5osco — uopo avere coscienziosamenie ricoraa:o le vicende della questione della composizione della seconda Camera nei lavori preparatori, dell'Assemblea Costituente e nei successivi progetti, e dopo avere messo in rilievo che la preoccupazione dominante dell'Assemblea Costituente fu a di imprimere a ciascuna Camera una diversa configurazione », pur volendosi identiche le funzioni delle due camere, e che tale esigenza è tuttora sentita -— non è riuscito (ed era inevitabile) a fornire una seria giustificazione razionale del sistema proposto dal Governo consistente nell'a elezione a base nazionale » di cento senatori « tra INCÓNTRI SUI PROÈLEMI DELLA LEGISLAZIONE 15^5 coloro che esercitano il mandato parlamentare », su elenchi nazionali (formati in base all'anzianità parlamentare e a talune cariche governative ricoperte), e in proporzione dei voti validi complessivi riportati dai candidati nei collegi regionali con lo stesso contrassegno di ciascun elenco (che è come dire in proporzione dei voti riportati da ciascun partito). È evidente, anzitutto, che la profonda esigenza di una riforma strutturale del Senato, e perfino la più modesta esigenza di accentuazione della diversità di configurazione tra le due Camere sono del tutto eluse con questo progetto il quale è destinato, tra l'altro, a sicura impopolarità perchè ne è palese il carattere di espediente tendente a rendere praticamente senatori vitalizi un buon numero di parlamentari, gravemente attenuando il processo di ricambio delle rappresentanze che è garanzìa di funzionalità e genuinità di ogni vera democrazia, ed altrettanto evidente la minorazione di libertà di scelta degli eletti da parte degli elettori. Scendendo ad un esame del disegno di legge costituzionale proposto dal Governo, viene subito fatto di domandarsi se è proprio il caso far luogo a una modifica della Costituzione — che sarebbe poi la prima modifica della Carta costituzionale — semplicemente per aumentare il numero dei senatori, quando a ciò può facilmente provvedersi mediante opportune modifiche alla legge elettorale senatoriale. La risposta al quesito non può che essere negativa per chiunque esamini serenamente la questione. Il relatore crede di potersi sbarazzare della proposta di aumento del numero dei senatori per la via naturale, cioè mediante modifica della legge elettorale che abbassi il quorum degli abitanti (per es. un senatore ogni 150 abitanti, anziché ogni 200.000), con il rilievo, definito di « grande importanza », che tale metodo di modifica della composizione del Senato ha incontrato difficoltà nell'approvazione (il testo approvato dal Senato il 22 novembre 1957 fu oggetto di critiche da parte della Camera, e in seconda lettura non fu approvato neppure dal Senato), e quindi, insistendo per questa via, la tanto desiderata « integrazione » finirebbe per andare in fumo. È facile rispondere che, dopo tutto, l'aumento dei senatori non è un'esigenza imperiosa, perchè il Senato ha funzionato anche con l'attuale numero di componenti. E non ci si venga a dire che l'aumento del numero dei Senatori è necessario perchè nei sette casi in cui la Costituzione prevede la riunione dei membri delle due camere in seduta comune « il Senato, considerato nella sua totalità^ ha nella votazione in comune con la Camera una disponibilità di voti perfino inferiore a quella del numero dei membri della Camera appartenenti a un solo partito » e « basterebbe un solo partito 1526 RASSEGNA PARLAMENTARE della Camera a neutralizzare la volontà di tutta la rappresentanza senatoriale » : perchè il Parlamento, riunito in seduta comune, è una assemblea diversa dalle due Camere e rispetto alla quale, quindi, non può neppure porsi il problema del peso — in seno a detta Assemblea comune di deputati e senatori (alla quale, in sede di elezione del Presidente della Repubblica, si aggiungono anche delegati regionali) — della Camera dei Deputati e del Senato come corpi collegiali. Che dire, poi, dell'altro argomento adottato per escludere la via naturale di aumento dei senatori, consistente nella pretesa grave difficoltà di modificare i collegi elettorah senatoriali ormai divenuti « collegi storici ».'7 La relazione parla addirittura di « consuetudine in via di formazione dei collegi storici ». A parte il fatto evidente che l'aumento della popolazione, specie se particolarmente accentuato in determinate zone, renderà prima o poi inevitabile la modificazione dei collegi... storici, perchè mai, se veramente vi è necessità di aumentare per ragioni di funzionalità il numero dei Sefermare formazione Si afferma, a sostegno del disegno governativo, che esso rispetterebbe il principio di elettività al quale sarebbe essenziale che l'eletto sia investito del mandato in virtù dei voti liberamente dati dall'elettore, e che rispetterebbe anche il principio democratico perchè l'elettore è libero di scegliere fra i candidati a recanti i contrassegni ammessi ». Ma ciò non è vero; perchè una elezione veramente democratica implica non solo la investitura in virtù dei voti degli elettori, ma anche una specìfica possibilità di scelta da parte degli elettori rispetto ai singoli candidati (e non già solamente rispetto ai loro contrassegni politici), una formulazione del proprio voto da parte degli elettori con un minimo di conoscenza diretta del candidato da eleggere e una inesistenza di situazioni precostituite e rigide in fatto di candidature. Del pari inconsistente l'argomento opposto alla giusta obiezione che il sistema proposto comporta un massiccio invecchiamento dell'assemblea senatoriale. Il dire che i senatori eletti in sede nazionale lasceranno il posto alle più giovani leve politiche, non toglie affatto che il sistema Senato anziani eletti in sede nazionale possano trovarsi in condizioni fisiche assolutamente precarie e tali da non consentire di espletare il mandato, si dovrebbe fare affidamento « sul senso di responsabilità dello stesso parla- INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIÓNE 1527 mentare ». In un mondo politico in cui l'istituto delle dimissioni appare come un'abitudine dei buoni tempi antichi del tutto superata e le responsabili rinuncie ad un incarico o ad una carica (specie se retribuita: ma dove sono più, ormai, le cariche onorifiche?) diventano sempre più un fatto raro, e talvolta persino mal giudicato, un ragionamento del tipo di quello della relazione appare di una singolare ingenuità. Si sa, infatti, che i meccanismi istituzionali sono validi se predisposti non in relazione al... migliore dei modi possible e a ciò che dovrebbe essere, ma in relazione a ciò che è e alle diffuse debolezze ed insufficienze degli uomini. Così pure, non vale rispondere all'obiezione che, col predetto sistema di elezione in sede nazionale in base a lista rigida automatica, si finisce per assicurare al parlamentare una elezione a vita, osservando che può variare ad ogni consultazione elettorale il numero dei senatori eletti in sede nazionale con un determinato contrassegno, che l'ordine delle precedenze può mutare per cariche sopraggiunte e che può esservi esclusione del parlamentare dal gruppo cui appartiene con perdita di contrassegno. Perchè è chiaro che si tratta di variazioni che incidono solo marginalmente e in un numero certo molto rilevante di casi si avrebbe proprio l'assicurazione al parlamentare dell'elezione a vita. La verità è che il problema della costituzione del Senato va approfondito con larghezza di vedute, al di là dei limitati interessi di partito o, peggio, degli interessi personali, con una visione organica del problema generale della rappresentanza politica nello Stato contemporaneo e nel quadro degli istituti più caratteristici e innovatori della Costituzione; ed è assolutamente sconsigliabile qualsiasi modifica alla Costituzione che non poggia su serie basi razionali, giuridiche e politiche. * ENRICO MOLE', Senatore della Repubblica, L'on. Paratore, con l'autorità di ex Presidente e di Senatore a vita, ha raccolto la tenace e appassionata iniziativa del compianto e indimenintegrazione concretezza abito mentale, con più pacato secondamento degH umori dell'Assemblea. E riprendendo l'esame del problema, col sussidio e il consenso, salvo qualche isolata riserva, di una Commissione speciale alla quale il Presidente Merzaeora ha chiamato i raonresentanti di tutti i grnnnì. ha ranìda- 1528 RASSEGNA PARLAMÉNTARÈ mente preparato un disegno di legge, che viene portato all'esame dell'Assemblea. La necessità di rivedere la formazione del Senato nel sistema bicamerale che sancisce la esistenza di due rappresentanze sovrane di pari valore politico, appare evidente, quando per la cessazione del mandato concesso una tantum dalla Costituzione nelle sue disposizioni transitorie ai Senatori di diritto, il numero di 224 senatori — un terzo appena dei deputati — si rivelò inadeguato. Inadeguato nella partecipazione alle Assemblee plenarie del Parlamento, perchè nella nomina del Capo dello Stato e dei Giudici costituzionali e negli altri provvedimenti eccezionali di sua competenza, il voto del Senato ha un valore quasi nullo di fronte a quello della Camera. Inadeguato anche nel lavoro quotidiano e permanente della formazione delle leggi, che, quando è necessario sostituire all'Assemblea legiferante le Commissioni con potere deliberante, viene affidata ai dieci o undici commissarii che sono sufficienti a costituire una valida maggioranza. Poiché sono chiamato a dare notizia di un problema di cui ho partecipato a tutta la gestazione faticosa, cercherò di riassumere con la maggiore brevità e chiarezza le fasi alterne di questa vexata decennale quaestio che si trascina fra lunghi abbandoni e improvvise riprese. Posta all'ordine del giorno dal primo Senato repubblicano e affidata più tardi alla superiore competenza giuridica e autorità parlamentare di Enrico de Nicola, presidente di una Commissione formata dai rappresentanti di tutte le correnti politiche, sembrò dovesse risolversi rapidamente subito dopo le elezioni del 1953. E non possiamo non ricordare Vimpegno di onore proclamato pubblicamente dall'on. De Gasperi, all'inizio della campagna elettorale, per invitare i più anziani e insigni uomini politici a non affrontare le fatiche dei comizi, dando loro la certezza che sarebbero rientrati nel secondo Senato con la legge di revisione costituzionale. Gli eventi non corrisposero alle aspettazioni. Venne a mancare quasi improvvisamente l'on. De Gasperi e gli uomini che gh successero alla direzione del Governo, o perchè non avessero come lui il sicuro controllo del partito di maggioranza o perchè le nuove formazioni sorte dai comizi avessero mutato parere, trascurarono e non furono in grado di dare esecuzione all'impegno, malgrado ne mantenessero il formale riconoscimento. E rimasero dolorosamente esclusi dall'aula, per avere prestato fede alla promissio boni viri, che sembrava riassumesse la volontà unanime dei partiti, uomini politici di largo credito per il loro passato democratico e la partecipazione coraggiosa alla Resistenza e alla Costi- INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1529 tuente repubblicana, di cui buona parte, furono nella lunga attesa falciati dalla morte. Fino alla seconda metà del 1954 continuò, tuttavia, alacremente il lavoro preparatorio di Enrico De Nicola, che fissò in un documento riassuntivo i principii di massima e i criteri direttivi della integrazione. Le ventidue risoluzioni di tale documento riassuntivo sollecitavano la nomina — accanto ai Senatori eletti in sede regionale dagli elettori, nella misura di un terzo del loro numero complessivo — di senatori scelti in un albo formato per anzianità parlamentare, con preferenza di quelli che avevano rivestito cariche nelle assemblee o avevano partecipato al governo, in modo tuttavia da mantenere inalterato il rapporto di forze creato in ciascuna elezione dal responso della volontà popolare. La integrazione (da operare ex lege con una specie di elezione di secondo grado fra coloro che avevano già riscosso più volte la fiducia degli elettori) veniva ad essere così quantitativa, con l'aumento del numero, e qualitativa con assicurare la permanenza nella camera alta degli uomini di maggiore esperienza e competenza e il rispetto sia pure mediato del principio elettivo come base del mandato. E questi criteri direttivi furono affidati a un Comitato di redazione, scelto dal Presidente d'accordo con i gruppi e formato da cinque membri (Zoli, Terracini, Bo, Paolucci, Mole pres.) con una delega fiduciaria, perchè formulasse gli articoli del progetto di revisione costituzionale. Ma — come fu come non fu — è inutile ricordarlo anche per evitare ritorni di fiamme polemiche ^— cominciarono a manifestarsi i dispareri proprio su questi principi di massima. Sorsero opposizioni e dissensi che dettero origine ad altri schemi di progetti, e si avanzarono proposte di varia ampiezza, configuranti riformette o addirittura riforme di fondo, che alternavano o snaturavano il primitivo concetto ed ebbero vita contrastata ed effimera nello stesso gruppo di maggioranza, così da consigliare un referendum della Democrazia cristiana, risultato sostanzialmente favorevole ma non molto chiaro nelle sue espressioni verbali. E la conseguenza fu che il Comitato ristretto di redazione del progetto, venendo a cadere la delega, fondata su una ormai inesistente identità di propositi, ebbe una sorte paradossale. Divenuto, come il fu Mattia Pascal, vivo e morto nello stesso tempo, aggiornò sine die i suoi lavori in attesa di un accordo. E questo non essendosi verificato, il Comitato, sospeso nelle sue funzioni, finì con Tessere abrogato per desuetudine o silenziosamente revocato per la fine del suo mandato. E si autosoppresse, come disse argutamente l'on. Zoli, senza spargimento di sangue. Onde le ventidue risoluzioni dell'on. De Nicola, malgrado il favore iniziale di 1530 RASSEGNA PARLAMENTARE tutta la Commissione, non ebbero articolazione in un progetto di legge e rimasero nel Limbo delle cose non nate. La singolarità della situazione era, tuttavia, nel contrasto fra parole e fatti. Di fronte all'evidente sostanziale accantonamento della integrazione, era la continua solenne affermazione della sua necessità, fatta da tutti ì Presidenti dell'Assemblea, e da tutti i Presidenti del Consiglio nelle comunicazioni di tutti i governi successivi. Trascorsero così quattro anni in una situazione veramente abnorme di paralisi parlamentare per cui un'assemblea rappresentativa autonoma e sovrana che dovrebbe spontaneamente e liberamente correggersi, rivedersi, perfezionarsi, fissare disciplina, norme e criterii, rinunciò a questa sua preminente se non esclusiva gelosa funzione vitale. E l'inerzia parlamentare durò fino a quando il potere esecutivo sostituendosi al potere legislativo presentò, nel 1957, alla vigilia dell'anticipato scioglimento del Senato, un progetto governativo che proponeva le norme della sua integrazione, nello stesso tempo in cui chiedeva al Senato di legittimare l'anticipata sua fine rinunciando a un anno della sua maggiore normale durata costituzionale, col parificare il suo ciclo di vita a quello minore della Camera, fissato in cinque anni. Quello che avvenne è noto: questa proposta promiscua fu il sasso, anzi il masso gettato nello stagno. Il progetto governativo, per quanto riguardava la integrazione del Senato, attribuiva g^^un collegio unico nazionale un numero di senatori pari ad un quarto di quello attribuito complessivamente alle Regioni, assegnando a ciascuna lista del collegio unico, distinta da un contrassegno e composta di parlamentari collocati in ordine di anzianità, un numero di seggi proporzionale ai voti complessivamente riportati con lo stesso contrassegno nei collegi della Regione. E proponeva di aumentare il numero dei Senatori a vita, aggiungendo per legge gli ex Presidenti della Costituente e delle Assemblee legislative dopo il 1945 e attribuendo alla facoltà del Presidente della Repubblica la nomina di dieci cittadini meritevoli per eminenti attività svolte nel campo politico amministrativo giudiziario militare. Questo progetto venne all'esame del Senato insieme ad un progetto Sturzo d'integrazione numerica e qualificativa a base elettorale che attribuiva a ciascuna regione un Senatore per 160.000 abitanti e per frazione superiore a 80.000 (anziché per 200.000) oltre un Senatore per milione di abitanti o per frazione superiore a 500.000, da eleggersi direttamente dagli elettori col voto aggiunto a uno dei candidati iscritti nell'albo nazionale, formato da parlamentari eletti, dal 1946 in poi, almeno per tre volte. --•^>1=*fcc^S-. INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1531 Si verificò in quell'occasione una così completa e vivace diversità di opinioni e di condotta fra Senato e Camera, anche fra i due gruppi parlamentari dello stesso partito di maggioranza, che si parlò addirittura (e a sproposito come noi dimostrammo) di conflitto di poteri. A distanza di tre anni non è necessario né opportuno indugiare su quegli eventi perchè rappresentano un nihil actum ai fini del problema così m senso positivo che in senso negativo. Ma forse si può affermare che il Senato, per il particolare stato di animo di quel momento, volle reagire alla contemporaneità e contestualità delle due proposte, perchè nella integrazione, improvvisamente ripresa dopo tanti anni d'inerzia, e nella diminuzione della durata, per coonestare con un'autosoppressione alla vigilia di uno scioglimento anticipato, vide come un sarcastico invito non a rinnovarsi o morire, ma a integrarsi per morire. Onde avvenne quello che avvenne. La prima Commissione senatoria ignorò tutti gli articoli del progetto governativo tranne quello relativo alla durata minore della funzione senatoria che respinse, e limitò la integrazione all'aumento di numero dei senatori elettivi (uno per 140.000 e poi 150.000 abitanti) in esecuzione della volontà di tutti i gruppi parlamentari, che per non dividersi e dare alla manifestazione del Senato l'autorità di un voto unanime di concordia, sia pure transattiva, dettero a me l'oneroso incarico di una dichiarazione conforme ed unica nell'Assemblea, suscitando le immeritate proteste del senatore Sturzo... per abuso di rappresentanza e le piacevolezze dell'amico Rapelli, e di altri meno amici, che mi attribuirono la riformetta numerica, la cui paternità apparteneva a tutti e soprattutto ai senatori del suo partito, meno che a me, che la disconobbi. La Camera non accettò il testo del Senato, profondamente modificandolo, con emendamenti aggiuntivi: ridusse la durata del Senato a cinque anni, elevò il numero dei senatori di nomina presidenziale a quindici, estendendo la carica di Senatore a vita ai Presidenti dell'Assemblea, rimandò il progetto, diviso in tre articoli, al Senato, che non avendo la maggioranza necessaria, lo respinse. E ora dinanzi al terzo Senato fu ripreso il problema. Un nuovo disegno di legge presentò il Governo il 14 novembre 1958 corrispondente al vecchio con alcune varianti, e in più con l'esplicita norma che dovrebbe aver valore solo dopo la nuova convocazione dei comizi elettorali. Anche il senatore Sturzo rinnovò il suo progetto, eliminando tuttavia l'albo nazionale dei parlamentari, da eleggere dagli elettori col voto aggiunto. Ora, esaminando il testo discusso emendato e proposto (dopo un rapido esame critico, dei progetti precedenti) della commissione speciale, presie- \ M 1532 RASSEGNA PARLAMENTARE duta dal senatore Paratore, che viene ora alla cognizione del Senato con una chiara e perspicua relazione del senatore Bosco, non possiamo non rilevare che rappresenta indubbiamente un perfezionamento, sia dal lato tecnico giuridico che da quello della formulazione organica. Rimangono — nella loro pienezza — salvo qualche particolare innovazione di tecnica e di regolamentazione, i criteri dominanti fin dai primi lavori, attraverso gli studii della commissione De Nicola. Scartata la opportunità di una integrazione numerica, che oltre ad essere solo quantitativa e non qualitativa, è difficile a concretarsi (le modificazioni delle circoscrizioni elettorali si appalesano spesso addirittura impossibili) mantengono il loro vigore, nella loro sostanza se anche si è ricorso ad alcuni accorti procedimenti per avvicinarle alla concreta realtà, la maggior parte delle risoluzioni, fissate nel documento riassuntivo da Enrico de Nicola. Anzitutto la integrazione proposta non altera i rapporti delle forze. È vero — bensì — che insieme con le riproposte nomine dei Presidenti delle Assemblee si aumentano da cinque a dieci i senatori presidenziali a vita, come « cittadini benemeriti per eminenti servizii » (la modifica della dizione dai termini troppo specifici a termini più ampi e generici è opportuna, come la esperienza ha dimostrato). Ed è su questo punto che qualche gruppo ha avanzato riserve che è facile in un modo o nell'altro comunque superare. Ma il progetto dà esecuzione al principio assolutamente inderogabile che la integrazione non può, in nessun modo e caso, modificare la proporzione delle forze politiche quale risulta dal responso delle urne. Modificare con qualunque metodo i rapporti numerici fra gruppi elettivi ed eletti così da sconvolgere maggioranza o minoranza, ingrossando o assottigliando nelle Assemblee le rappresentanze dei partiti espresse dal voto degli elettori (a meno che non si snaturi il carattere elettivo dell'Assemblea), significherebbe falsare la volontà sovrana del paese, cioè togliere alla rappresentanza politica il carattere e il valore di rappresentanza popolare. Questo potè avvenire in un sistema bicamerale, in cui, una delle Camere, quella vitalizia, fosse di nomina regia. E avvenne in Inghilterra quando il re decise di nominare un numero di Pari, capace di spostare la maggioranza della Camera dei Lords, contraria alle riforme democratiche, per assicurarne l'approvazione; ma, sia detto a lode della Monarchia inglese, questo avvenne proprio per sottomettere la volontà reazionaria della nobiltà alla volontà popolare espressa dalla Camera dei Comuni. Ma in regime repubblicano i senatori integranti, scelti per legge fra i già eletti dal popolo (elezione ex lege di secondo grado) in base ai titoli della comprovata fiducia popolare, della esperienza e della capacità devono essere in proporzione dei senatori direttamente espressi dai comizi INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1533 gruppi mate nei comizi. Secondo criterio inderogabile: Fintegrazione, comunque avvenga, deve garantire un pari numero di senatori integranti ai membri delle due Camere, che abbiano titoli uguali secondo la legge. E il progetto provvede a queste esigenze. Data la natura di questo scritto, è fuor di luogo riprodurre le norme dei varii articoli, già pubblicati col testo completo nelle riviste. Accenniamo brevemente ai punti più notevoli o che hanno un valore innovativo. La affermazione di principio dell'art. 57 dello Statuto, per cui il Senato si afferma eletto a base regionale, viene sostituito secondo la realtà concreta e l'esattezza giuridica, dalla testuale affermazione che, mentre le Regioni eleggono un senatore per ogni duecentomila abitanti o frazione superiore a centomila, cento senatori a base nazionale, sono eletti tra coloro che esercitano il mandato parlamentare, metà senatori e metà deputati. Sono scelti fra gl'iscritti in due albi di anzianità: uno per il Senato e uno per la Camera, formati dal Presidente del Senato, sentito il Presidente della Camera. La iscrizione per assicurare una pari condicio è regolata nei particolari più minuziosi per i senatori, i deputati e per quelli che hanno esercitato successivamente l'uno e l'altro mandato e fra coloro che hanno uguale anzianità, funzionando come titolo preferenziale nell'ordifie, le cariche coperte nell'Assemblea o nel Governo (Presidente, Vice Presidente delle Camere, Ministro) e poi, a parità Presidente di Commissione o Giunte parlamentari permanenti. Presidenti di Gruppi, Sottosegretario di Stato, via via seguitando nell'importanza delle funzioni. Poiché il numero degli eletti si determina in proporzione delle forze dei vari partiti, è necessario, per quanto riguarda la qualificazione e l'appartenenza- politica, riprodurre dalla relazione Bosco la illustrazione dell'art. 7 che disciplina la formazione degli albi, c( L'iscrizione negli albi avviene per i parlamentari (che sono e de<( vono essere in carica) con l'indicazione del contrassegno col quale sono (( stati eletti, salvo che risultino iscritti a un Gruppo parlamentare corri(( spondente a formazione politica che faccia uso di un diverso contras« segno, nel qual caso viene loro attribuito quest'ultimo contrassegno. a I parlamentari eletti con un contrassegno usato notoriamente da una « determinata formazione politica, qualora risultino iscritti, al momento « della formazione dell'Albo, in un gruppo parlamentare nel quale con« fluiscono o formazioni politiche che non abbiano un proprio contras« segno (Gruppi di indipendenti) o più formazioni politiche (Gruppi misti), « sono iscritti negli Albi con l'indicazione del contrassegno con il quale * * 1534 R,\SSEGNA P.\RL.\MENT.\RE € furono eletti, semprechè venga accordato l'assenso da parte del Presia dente del Gruppo parlamentare, al quale corrisponde la formazione poa litica che fa notoriamente uso di tale contrassesno. Pertanto, se, all'atto d della formazione degli Albi, un parlamentare risulti iscritto in un Gruppo a al quale non corrisponde una formazione politica usufruente di un fi proprio contrassegno, potrà conservare il contrassegno di elezione, sol« tanto se il Presidente del Gruppo parlamentare, a cui corrisponde questo fi contrassegno, accordi il proprio assenso. Se l'assenso non è accordato, il fi parlamentare è tenuto ad indicare un altro contrassegno col quale sarà fi distinto negli Albi scegliendolo, purché non contrasti con le disposizioni fi di legge in materia, la di fuori di quelli che sono stati notoriamente in fi uso di determinate formazioni politiche. a I parlamentari possono altresì, di propria iniziativa, e indipendentefi mente dairappartenenza a un determinato Gruppo, chiedere l'attribuzione fi negli Albi di un contrassegno diverso da quello col quale furono eletti; fi se il contrassegno richiesto è notoriamente in uso di una formazione fi politica occorre ugualmente richiedere e ottenere l'assenso del Presifi dente del Gruppo parlamentare al quale corrisponde il contrassegno ri« chiesto. Se invece il parlamentare richieda l'attribuzione di un contrasfi sesno che non è o non è stato notoriamente in uso di una formazione fi pohtica, Fiscnzione sarà fatta col contrassegno da lui richiesto, purché fi conforme alle prescrizioni di lesse ». per evitare errori od voci, nel settore piti delicato della inteerazione. * * * E ora dovremmo parlare della norma che parifica la durata della Camera e del Senato. È una contami?'iatìo, che non è più presentata alla limento im È argomento che se sarà opportuno esamineremo a parte, serenamente. * COSTANTINO MORTATI, Prof, ord. nella Università di Roma, 1. È ben noto come la Costituente, posta di fronte al problema delle seconda Camera, si scontrò di fronte alla difficoltà di conciliare la posi INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1535 zione di piena parità con l'altra Camera (che sembrava imposta dalla finar Utà garantista perseguita dalla maggioranza) con l'esigenza di differenziarla da quest'ultima, evitando di farne un suo doppione e così pregiudicare l'assolvimento di quella funzione di freno, che avrebbe dovuto costituire la sua principale ragion d'essere. Poiché nessuna delle numerose soluzioni prospettate allo scopo di conseguire la differenziazione che si ricercava ebbe a riportare successo, e poiché ad effettuarla nessun contributo era da attendere né dalla a base regionale », applicata in modo da svuotarla di concreto rilievo, né dal metodo elettorale solo in apparenza uninominalistico, si finì con il farla derivare, per un lato, dalla maggiore durata, e per l'altro, dall'età più elevata richiesta per l'elettorato attivo e passivo. Un altro elemento però che venne considerato necessario a dare alla Camera alta una peculiare caratterizzazione fu la limitazione del numero dei componenti, apparsa necessaria (in integrazione del fattore dell'età dei componenti) per farne una (( Camera di riflessione » : inteso tale termine nel senso di far derivare dalla ristrettezza della sua composizione la possibilità di un rendimento qualitativamente superiore a quello da attendere da un'assemblea pletorica, e ciò sotto l'espetto dell'approfondimento delle discussioni e della maggiore meditazione delle decisioni. Era anche implicito in tale orientamento che dovesse essere soddisfatta l'esigenza di una selezione più accurata dei componenti: esigenza che trovò espressione nel tentativo compiuto di limitare la scelta degli eleggibili mediante la predisposizione di determinate categorie. E se pure la proposta non riuscì a conseguire l'approvazione, tuttavia la fedeltà al fine da raggiungere avrebbe dovuto essere avvertita dai partiti e condurli tecnicismo conseguimento Tale aspettativa non è stata soddisfatta, ed al problema, rimasto così aperto, si tenta ora di dare una soluzione con i progetti in discussione. - - j - 2. Le proposte che sembrano godere del consenso della maggioranza ritengono di poterla conseguire attraverso due vie : da una parte, con la nomina, in collegio nazionale, di ex parlamentari scelti secondo un criterio di anzianità, dall'altra con l'ampliamento del numero dei senatori a vita. Il primo degli obiettivi si vuole che sia raggiunto in collegamento con l'aumento del numero dei senatori, aumento che è poi prospettato anche quale autonoma finalità della riforma. Sicché converrà fermarsi pre- 1536 RASSEGNA PARLAMENTARE liminarmente ad esaminare tale suo aspetto onde accertare quanto siano giustificate le ragioni addotte a sostenerla. La prima, (che sembra essere quella considerata fondamentale) si basa sulla necessità di attenuare lo squilibrio numerico' fra le due Camere, onde evitare l'attuale depotenziamento deirinfluenza del Senato nelle riunioni del Parlamento in seduta comune. A parte ogni rilievo circa l'esattezza della valutazione che si fa di tale squilibrio, in sé considerato, è da osservare come l'esigenza di ehminarlo in tanto potrebbe essere ammessa in quanto la struttura delle due assemblee fosse notevolmente differenziata, distribuzione in oenuna di esse. Lo proprio nel momento in cui, con la proposta unificazione della durata delle Camere, si elimina il principale elemento di distinzione. Sembra chiaro infatti che se i partecipanti aUe sedute comuni derivano da elezioni effettuate contemporaneamente sulla base di sistemi elettorali sostanzialmente analoghi, ed in rappresentanza degli stessi partiti, la distribuzione dei voti avverrà sulla base non già dell'appartenenza dei medesimi all'una o all'altra delle Camere, bensì dello schieramento partitico. Si vuole, in altri termini, dire che quanto più si attenuano, fino a annullarle, le diversità della composizione dei due organi, tanto meno appare rilevante il rispetto di una proporzione fra le rispettive rappresentanze nelle sedute comuni. Ancora meno persuasivo appare l'altro motivo, pure addotto a sostegno della progettata « integrazione », di accrescere la funzionalità delle commissioni senatorie. Basta osservare come la ristrettezza del numero dei membri delle medesime, per il fatto stesso di ridurre il numero degli interventi, consente di rendere più agevoh e rapide le deliberazioni, e così di far loro mantenere senza difficoltà lo stesso ritmo di lavoro delle commissioni della Camera : come del resto risulta dimostrato dai risultati dell'attività esplicata nel, primo decennio della loro istituzione, e come è altresì comprovato dall'esperienza di altri paesi (per esempio gli U.S.A.) le cui assemblee parlamentari presentano un'uguale, o più rilevante sproporzione nel numero dei rispettivi membri. Si dice nella relazione governativa che tale rendimento si è potuto ottenere in virtù dello spirito di sacrificio e della dedizione dei senatori : ma non sono forse tah qualità inerenti al mandato politico, che esige l'assorbimento dell'intera attività degli eletti nei compiti ad esso relativi? D'altra parte, non è un mistero come l'effettiva partecipazione alle sedute delle più numerose commissioni della Camera sia tutt'altro che elevata, ciò che induce a chiederai 59 ATTUALITÀ PARLAMENTARI 1537 possa lamento 3. In sostanza, sembra che nessuna ragione seria suffraghi il proposto amphamento e che il prospettarlo quale necessario ed urgente corrisponda solo ad interessi di partito. Che sia così risulta confermato dall'espediente cui si pensa di ricorrere per effettuarlo, e dal quale si attende anche il risultato di un elevamento qualitativo della Camera alta. Si tratta di vedere se la via prescelta sia effettivamente idonea a farlo conseguire. Ma, prima ancora, converrà fermarsi sull'aspetto costituzionale della soluzione vagheggiata onde accertare la sua conformità ed regionale. Ove il primo dei principi predetti si interpreti nel senso del rapporto diretto fra elettori ed eleggibili, così da conferire ai primi la facoltà di esprimere un giudizio in ordine alle qualità dei secondi e di influenzarne con i loro voti l'elezione, si deve dedurre che adesso non si accorda il sistema proposto, dato che l'elezione in sede nazionale si produrrebbe quale effetto automatico del numero dei voti assegnati ad ogni partito nelle sedi circoscrizionali, sicché l'influenza degli elettori assumerebbe, se mai, un valore solo negativo nel senso che essi potrebbero essere indotti a non dare la loro adesione ad un partito solo al fine di ostacolare l'elezione di uno o più degh iscritti nella lista nazionale. È da notare che l'interpretazione ora prospettata è quella che si è fatta valere in sede di approvazione delle leggi elettorali del 1948 e del 1953 per osteggiare la riproduzione defla norma di cui alla legge del 1946 che consentiva l'elezione in sede nazionale anche dei candidati non riusciti eletti nelle circoscrizioni. Muovendo da analogo presupposto si è inoltre considerato inammissibile tale interpretazione, perchè un regime di democrazia di massa, quale discende dal suffragio universale sulla base di una struttura partitica, l'influenza dei singoli elettori nella scelta dei rappresentanti politici non può che assumere un valore tanto esiguo da annullarsi (come del resto è comprovato dalla modestissima percentuale dei voti di preferenza. E si può anche notare, a riprova di quanto tali voti operino piuttosto in senso negativo sul costume politico. m quali moderne sembra (anche 1538 RASSEGNA PARLAMENTARE presupponendo una disponibilità di personalità idonee, nonché una capacità selettiva da parte delle organizzazioni di partito ben lungi da riscontrarsi in Italia), secondo cui il voto popolare dovrebbe essere utilizzato solo per la determinazione del numero dei seggi spettanti ad ognuno dei partiti in lizza, rimanendo invece riservata a questi non solo la designazione di coloro che dovranno coprire i seggi, ma altresì la facoltà di mutare le persone dei titolari a seconda dei compiti da svolgere di volta in volta. Più difficile a superare appare invece l'ostacolo costituito dall'obbligo del rispetto della base regionale. Ma, come si é osservato, tale base è venuta a perdere il significato che originariamente n costituente pensava di attribuirle, sicché nessuna sostanziale modifica costituzionale (quando si mantenga ferma la correzione disposta dall'art. 57 a favore delle regioni minori) può ritenersi discendere dal considerare la base stessa come mero principio direttivo per la legge elettorale. Se nessuna difficoltà di principio, sotto l'aspetto considerato, può opporsi alla soluzione proposta, giudizio negativo in ordine alla medesima deve invece essere formulato in considerazione della sua inidoneità a realizzare quella « integrazione qualitativa », dalla quale solamente la riforma potrebbe trarre il proprio titolo di legittimazione. Si legge nella relazione senatoria che il metodo patrocinato riduce e non accresce l'influenza dei partiti nella designazione delle candidature: ma non ci si avvede che proprio in tale riduzione (o meglio annuUamento di ogni influenza) sta il punto più debole della riforma, poiché al posto di essa si introduce un criterio, quale quello della mera anzianità _ (all'infuori di ogni considerazione di età, di condizioni di salute, di rendimento) che in nessun caso potrebbe essere assunto per la selezione delle capacità politiche, ed è perfino rigettato nella scelta dei funzionari amministrativi da investire degli uffici direttivi. Né si dica che la rinnovazione del mandato per periodi più o meno lunghi di tempo costituisca di per sé titolo di idoneità, perché si tratta di investiture appartenenti al passato, ed invece alla base del principio rappresentativo sta proprio l'esigenza di una espressa, periodica riconsacrazione, e questa nella specie non verrebbe effettuata né dal corpo elettorale, né da nessun altro. L'assurdo della proposta si palesa nella sua luce più evidente nelle applicazioni (pur logiche irrazionalità) che se ne fanno, quando per precedenza mai ricoperto alcun incarico rispetto ad un altro che abbia esercitato le funzioni di ministro o di presidente del consiglio, e ciò solo in virtù del giuoco delle anzianità rispettive. INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1539 4. Passando ora all'altra categoria, dei senatori vitalizi, che dovrebbe alimentare il Senato di nuovi membri particolarmente qualificati, è da osservare che, se essa sfugge al rimprovero finora mosso all'altra proposta, incorre invece in quello del mancato rispetto del principio elettivo, che non può non ripercuotersi sulla possibilità di mantenere in piedi la posizione di parità voluta dalla costituzione, e che non potrebbe provenire da nessun altro titolo che non sia quello dell'uguaglianza di efficienza rappresentativa derivabile, secondo il principio democratico, dalla diretta investitura popolare. Non vale dire, in contrario, che l'ampliamento del numero stabihto dall'art. 59 non introduce un principio nuovo, limitandosi ad ampliare la sfera di applicazione di quello già previsto, perchè ogni allargamento di una categoria cui la costituzione volle dare carattere del tutto eccezionale viene ad alterarne il significato ed a modificare la funzionalità del sistema. Neppure vale richiamarsi alla esiguità del numero dei componenti vitalizi rispetto a quelli elettivi, perchè, data la situazione politica del Paese e la difficoltà di comporre le mag sufficienti a sostenere un determinato indirizzo politico, i voti dei 10 per determinanti maggioranze stesse. 5. Se si potesse superare la pregiudiziale fatta valere contro l'ammissibilità delle proposte in esame, sarebbe da osservare nel merito delle medesime: a) che preferibile alla disposizione del progetto governativo (che limita la scelta del Presidente della Repubblica a determinate categorie — fra cui quella dei funzionari potrebbe determinare un potenziaconservatrici affida senno della personalità che deve effettuarla; b) che, una volta ritenuto titolo valido di qualificazione per la nomina vitalizia le cariche politiche ricoperte, non appare razionale limitare queste solo alla presidenza delle assemblee, sembrando più logico includere in esse almeno un'altra più proposto .poi buisce ai presidenti delle Camere, poiché tale carattere inerisce alle cariche, e non è pensabile che si perpetui dopo la loro cessazione. Al di là delle deficienze particolari messe in luce, una considerazione più generale i progetti in esame suggeriscono a chi ritenga che il vero problema della rappresentanza politica sia quello di attuare mezzi di collegamento fra Stato e forze sociali i quali integrino o correggano quello 1540 RASSEGNA PARLAMENTARE operantesi attraverso le odierne organizzazioni di partito: che essi cioè non solo non fanno fare alcun passo avanti verso la meta da raggiungere ma se ne allontanano ancor più, se non altro perchè contribuiscono ad ottundere nei partiti quella sensibilità, già tanto scarsa, all'esigenza prospettata. # MARINO BON VALSASSINA, Professore ine, nelle Università di Pisa e di Perugia, Una valutazione giuridicamente costruttiva, utile ai fini tecnico-legislativi, dei progetti di riforma del Senato che dovranno essere esaminati dal Parlamento in sede di revisione costituzionale, presuppone la determinazione dei criteri di pohtica costituzionale cui la riforma stessa ha da ispirarsi ed alla cui stregua i vari testi proposti debbono essere giudicati. Peccherebbe di astrattezza una critica dei disegni di legge, formulati al riguardo dalla Commissione speciale del Senato e dal Governo, nonché del progetto Sturzo, la quale prescindesse dagli orientamenti ormai acquisiti alla riforma, perchè univocamente desumibili dall'impostazione datale in seno alle Commissioni competenti, nonché dalle deliberazioni delle Assemblee parlamentari, le quali nel corso della passata legislatura dibatterono la questione. Si potrebbe osservare, ad esempio, che alcune delle finalità tradizionalmente attribuite alla Seconda Camera — quella d'integrare la rappresentanza politica realizzantesi nella Camera popolare, o di garantire la stabilità dell'ordinamento e la conservazione di determinati valori giuridici da frettolosi mutamenti — non sono assolte, né possono esserlo, da un'Assemblea la quale derivi in maniera integrale e diretta dal suffragio universale, al pari dell'altra, né se ne diversifichi per la fissazione di speciali requisiti di eleggibilità dei suoi componenti. Tale osservazione, in sé tutt'altro che infondata od arbitraria, perde tuttavia ogni pregio quale contributo dottrinale alla riforma, allorché risulti che gli organi del potere di revisione — sia direttamente, sia a mezzo delle Commissioni espresse dal proprio seno — recisamente escludono un mutamento della struttura del Senato che ne tocchi l'origine popolare, che possa comunque far pensare a correttivi del suffragio universale. Occorre, pertanto, ai circoscritti fini di queste notazioni critiche, le quali s'inseriscono nel dibattito in corso, collocarsi su un piano di concretezza, di aderenza alla realtà storico-politica attuale, per esaminare la rispondenza di testi e formule alle impostazioni ufficialmente e reiteratamente INfCONtRl Stri PROBLEMI DELLA LEGISLAZIÓNE l541 auermate dagli esponenti delle forze politiche dominanti. È d'uopo rinunciare ad esprimere, in questa sede, giudizi di valore sulle impostazioni stesse, ad apprezzarne l'intrinseco pregio, e prescindere dalla propria visione ideologica, dalle opinioni professate sul piano della filosofia delle istituzioni e della politica costituzionale. Tale io credo sia l'ufficio del giurista, il solo rispondente alla sua vocazione ed alle esigenze del suo lavoro intellettuale, anche quando questo esorbiti dalla stretta interpretazione ed applicazione dello jus conditum ed egli assurga a consigliere e mentore del legislatore, ad ispiratore di norme e costruttore d'istituti. L'Assemblea Costituente, allorché dettò il titolo riguardante il Parlamento, scelse il sistema bicamerale perfetto o paritario, scostandosi dalla tendenza costituzionale, oggi assai diffusa, del bicamerahsmo ed. imperfetto o limitato. Nell'esplicazione della potestà legislativa come in quella del controllo politico sul Governo, le due Camere ricevettero attribuzioni identiche; da tale parità di poteri si ritenne scaturisse l'esigenza di farle derivare entrambe dal suffragio universale diretto. Anche differenziazioni non incompatibili con la comune origine popolare, quali la limitazione della eleggibilità a determinate categorie qualificate ed un effettivo ancoramento della rappresentanza senatoria alla sua base regionale, furono scartate dall'Assemblea. Le categorie aggiunte ai senatori eletti — senalimi presidenzial tate nel numero dei componenti, da non influire sulla configurazione politica del Senato. Questo risultò, per l'elevato quorum di popolazione fissato per ciascun senatore, assai poco numeroso, sia in relazione ad un'attività politica e legislativa identica a quella della Camera (ma che dev'essere svolta da un numero assai inferiore di parlamentari) sia per lo squilibrio numerico fra le due Assemblee, particolarmente avvertito nelle sette ipotesi in cui è previsto che le Camere si riuniscano e deliberino in seduta comune. La (( piccola riforma » del Senato, che oggi s'intende varare, mira per immissione dei 107 costituenti fomiti pe composizione sue attribuzioni; ne esclude Va integrazione qualitativa », pur chiesta autorevolmente in luogo di quella quantitativa; vuole, insomma, un sistema bicamerale potenziato numericamente, con Assemblee di durata identica — nemmeno in ciò, dunque differenziate — ma mutato. 1542 RASSEGNA PARLAMENTARE A tal fine — scartato per ragioni non prive di consistenza l'abbassamento del quorum degli abitanti, che turberebbe un equilibrio politico elettorale ormai consolidatosi sulla base di « collegi storici » — si è proposto di attuare l'aumento mediante l'attribuzione di cento seggi ad un collegio unico nazionale, senza modificare il vigente sistema in sede regionale. Nelle liste rigide di tale collegio, nell'ordine di anzianità parlamentare, dovrebbero essere iscritti deputati e senatori in carica, ed essi verrebbero eletti in proporzione al numero dei voti riportati, nei collegi regionali, dalle liste recanti il medesimo loro contrassegno. Il sistema proposto va incontro, a mio avviso, ai seguenti rilievi. Anzitutto, checché sia detto nelle relazioni ai disegni di legge, esso inficia il principio dell'elezione diretta, sancito nell'art. 58 della Costituzione. Quante volte la scelta d'un candidato non è l'immediato oggetto del voto degli elettori, i quali manifestano la puntuale volontà di proporlo ad un dato ufficio, ma ne è il risultato riflesso o mediato, deve parlarsi di suffragio indiretto. In seno a tale categoria generica, potrà ulteriormente distinguersi fra le designazioni che si svolgono attraverso due o più cicli elettivi e quelle che risultano da un artificio normativo, per cui una lista per Ma escludersi l'esistenza d'un rapporto diretto fra gli elettori ed un candidato ch'essi non hanno personalmente votato. Poiché la riforma dovrà, eventualmente, attuarsi con legge costituzionale, il suo contrasto con il principio stabilito dall'art. 58 non costituisce un ostacolo all'adozione del vagheggiato metodo per l'accrescimento numerico del Senato. È d'uopo, tuttavia, che i fautori della riforma, ed i parlamentari che saranno chiamati a votarla, si rendano esatto conto delle sue implicazioni teoriche. In secondo luogo, appare assai discutibile il criterio selettivo dei parlamentari, designati ad integrare la composizione del Senato. Né la stessa Assemblea, né il Capo dello Stato, né gli elettori hanno modo di scegliere fra i vecchi parlamentari, che per il solo titolo dell'anzianità accederanno al laticlavio, anche se per più legislature abbiano brillato per la loro scarsa rappresentatività e carenza d'iniziative, mentre non lo otterranno tanti loro colleghi più dotati, ma più giovani. Solo una visione gerontocratica del sistema parlamentare, ovvero il proposito di trasformare il Senato in un dignitoso ritiro per i componenti incanutiti della classe politica, potrebbero giustificare siffatto criterio integrativo. Ancora, se si ritiene di dover immettere artificiosamente nell'alta Assemblea un certo numero di personalità non direttamente scelte dagli elettori, logico e rispondente al dichiarato scopo del suo potenziamento INCONTRI SUI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIONE 1543 reclutare tali Senatori com poste. Il mondo accademico e quello economico — tanto per fare due esempi — sono ricchi di personahtà inidonee ad affrontare una campagna elettorale, ma che sui banchi di Palazzo Madama, e nel lavoro delle Commissioni recherebbero un contributo prezioso all'attività parlamenero davvero al Senato quella fisionomia differenziata rispetto che per vocazione istituzionale esso dovrebbe possedere. Se eterna è ritenuto democraticamente ed elezionisticamente corper i parlamentari anziani — per i quali neppure si può invocare l'argomento dell'inidoneità elettorale — esso non cesserebbe certo d'essere tale se si sostituissero, a quella, altre categorie di beneficiari. La^t but non least, il sistema che si discute ribadirebbe ulteriormente e renderebbe ancor più stabile la soggezione dei parlamentari ai partiti, i quali con l'esclusione di un senatore o di un deputato dal gruppo parlamentare cui appartengono gli eletti con un determinato contrassegno, pocom gomento è troppo dehcato e grave per essere, qui, incidentalmente affrontato : basti averne fatto cenno come a motivo di grave momento per non aderire alla riforma proposta. A proposito dell'aumento del numero dei senatori a vita, da cinque a dieci secondo il disegno governativo e quello della Commissione speciale, da cinque a venti secondo la proposta Sturzo, mi sembra possano farsi le osservazioni seguenti. In linea teorica, nel quadro di una riforma organica e funzionale del Senato, può apparire convincente soluzione l'affidare al Capo dello Stato la nomina di un rilevante numero di Senatori, scelti in seno a categorie qualificate, indipendenti dai partiti ed atti a portare un contributo tecnico o morale di elevato livello ai lavori dell'Assemblea. Tuttavia, siffatta soluzione contrasta con il criterio, saldamente affermatosi, di non alterare la configurazione politica del Senato, determinata dal suffragio, e di limitare la categoria dei Senatori a vita ad una minoranza men che esigua. D'altro canto, attribuire al Presidente della Repubblica la facoltà di nominare cinque o dieci persone, vuol dire costringerlo a compiere una scelta arbitraria fra i possibih destinatari, per altissime benemerenze, di siffatta designazione. Non ci sono, infatti, cinque o dieci persone i cui meriti sociali, scientifici, artistici o letterari, ovvero le cui benemerenze per servizi resi al Paese, superino obiettivamente quelli d'altre cinquanta o cento persone, non meno degne di entrare in Senato senza affrontare una campagna elettorale e potenzialmente non meno utili al prestigio e ad un fecondo espletamento delle funzioni di quell'Assemblea. i 1544 RASSEGNA PARLAMENTARE Inoltre, poiché non è prevista alcuna segnalazione, alla scelta presidenziale, di candidature idonee da parte di corpi accademici, o professionali, o d'istituti che potrebbero guidare la nomina con opportune indicazioni, è in concreto possibile che le personali preferenze del Presidente della Repubblica nel campo delle arti figurative, o della musica, ispirino scelte, certo degne, ma comparativamente affatto opinabili. Sembra, pertanto, che l'elevazione a dieci dei senatori di nomina presidenziale possa accettarsi come adeguamento del numero previsto dalla Costituzione alle nuove dimensioni della Assemblea, ma che non debba accrescersene ulteriormente U. numero. Solo nel quadro d'una diversa concezione della rappresentatività del Senato e della sua formazione strutturale, sarebbe pensabile il potenziamento d'una categoria di parlamentari che nel Senato attuale — come in quello « integrato y> secondo il fondamentale orientamento dei disegni di legge — costituisce un'anomaHa ed il rehquato di propositi costituenti respinti dalle dominanti forze pohtiche. In punto: durata del Senato, tutti i progetti concordano nel ridurre la durata stessa a cinque anni, pareggiandola a quella della Camera e facendo così coincidere, di regola, l'elezione dell'uno e dell'altro ramo del Parlamento. I motivi addotti sono essenzialmente due: impedire che da consultazioni elettorali differenziate nel tempo traggano origine due Assemblee di diverso e magari opposto orientamento politico; evitare troppo frequenti convocazioni del popolo aUe urne. n primo motivo si appalesa infondato sotto un duphce profilo. Anzitutto, se il bicamerahsmo ha una ragion d'essere, questa consiste nella coesistenza e collaborazione costituzionale di due Assemblee che non siano l'una il doppione dell'altra, che pur rispecchiando gli orientamenti e le strutture d'una medesima società politica, non ne forniscano due immagini identiche ma ne rappresentino ciascuna, in prevalenza, aspetti e caratteri particolari. Se fra le due Camere dovesse non sussistere mai alcuna difformità di atteggiamenti politici, od anche di fondamentali impostazioni, un evidente principio di economia dell'attività costituzionale imporrebbe l'adozione del monocameralismo. Tutt'al più, si potrebbero realizzare i benefici del doppio esame della legislazione dividendo l'unica Camera in due distinte sezioni, dalle quah i progetti di legge verrebbero separatamente discussi ed approvati. Quanto all'eventualità di conflitti fra le due Assemblee d'un ordinamento bicamerale paritario — eventuahtà che appare drammatizzata nelle relazioni ai due disegni di legge costituzionale —• basterebbe fare ricorso alle procedure ed agl'istituti di conciliazione che in altri ordinamenti as- INCÓNTRI SIJI PROBLEMI DELLA LEGISLAZIÓNE 1545 Sicurano il superamento di conflitti del genere. Occorre altresì non dimenticare che vi è un custode della Costituzione, garante del regolare funzionamento degl'istituti da essa previsti, cui spetta il potere-dovere d'intervenire, in siffatte ipotesi, col persuasivo mezzo dello scioglimento, la cui mera possibiUtà è prevedibile renda assai raro il verificarsi di aspri e prolungati conflitti fra le Camere. Il motivo della presunta inopportunità di troppo frequenti elezioni, è altrettanto privo di pregio. Da un punto di vista teorico, o di principio, esso risulta addirittura in contrasto con le esigenze d'una rappresentanza democratica, la quale sarà tanto più legittima e genuina quanto più di frequente rimuoverà la propria composizione concreta, per mezzo della designazione popolare. Balza agli occhi la contradditorietà di siffatto argomento con la proclamata esigenza di far derivare la composizione di entrambe le Camere dal suffragio universale diretto. Da un punto di vista pratico, gl'inconvenienti d'una troppo frequente convocazione dei comizi elettorali sono innegabili. Essi, però, dipendono in gran parte dall'entità della posta in palio, nonché dall'artificiosa esasperazione della contesa elettorale, che nel nostro Paese suole impostarsi nei termini d'un fittizio manicheismo politico. Elezioni anche frequenti, le quali avessero ad oggetto la designazione dei soli senatori o dei soli deputati, talché fosse impossibile dipingerle all'elettorato come idonee a capovolgere, in caso di vittoria di determinati partiti, le basi stesse della nostra convivenza poUtico-sociale, presenterebbero inconvenienti assai minori e forse contribuirebbero a diradare l'atmosfera pseudo-apocalittica, che alle elezioni generali itahane ha spesso conferito tragicomici aspetti. A favore d'una durata differenziata del Senato e della Camera milideterminato in proposito formulati Commissione corrobora per Se opportuno orientarla in tutt'altro senso, al fine di consolidare ed estendere i vantaggi del sistema vigente e mai applicato, nonché di approfondire la differenziazione, oggi evanescente, delle due Assemblee. La rinnovazione parziale del Senato ogni due o tre anni risponderebbe allo scopo e priverebbe di ogni appiglio le obiezioni di quanti affermano che la maggior durata dell'assemblea senatoriale si risolve in una sua minore rappresentatività. Ritengo, infine, di dovermi associare ad alcuni rilievi critici sulla 1546 RASSEGNA PARLAMENTARE riforma, così come appare concepita ed impostata, espressi dal Senatore Sturzo nella relazione al suo progetto e dall'on. Lucifredi, a titolo personale, nella relazione al primo disegno governativo. L'esigenza di riformare il Senato, di dare ad esso « una più idonea strutturazione », di differenziarlo organicamente e funzionalmente dalla Camera, enucleando un suo ruolo costituzionale inconfondibile ed integrandolo sul piano qualitativo e non meramente quantitativo, non può essere soddisfatta entro gli angusti schemi delle revisioni costituzionali suggerite dal Governo e dalla Commissione speciale. Occorre un ripensamento coraggioso della struttura del nostro Parlamento bicamerale e dei rapporti fra i suoi due rami. Finché la discussione sarà impostata su ritocchi marginah del sistema vigente, non sarà possibile risolverne la fondamentale antinomia, introdotta dai costituenti allorché vollero un bicameralismo pieno, perfettamente paritario, e insieme l'istituzione di due Assemblee che fossero, sotto i profili della rappresentatività e della conformazione politica, l'una il doppione dell'altra.