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D. GALLINA, A proposito dei resti di alcune torri

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D. GALLINA, A proposito dei resti di alcune torri
A PROPOSITO DEI RESTI DI ALCUNE TORRI
BASSOMEDIEVALI DEL III SECOLO a.C.
IN FRANCIACORTA (BRESCIA)
di
DARIO GALLINA
penna e tirare dritto, se non si scoprisse che alla base delle
loro convinzioni sulle fortificazioni sta una figura della caratura di Mario Mirabella Roberti, alla cui memoria sono dedicate queste mie annotazioni. Che fare quindi, se non armarsi
di pazienza e confrontarsi senza preconcetti?
IL CASTRUM DI COCCAGLIO E GLI SCAVI DEL 1955
PRESSO LA TORRE OCCIDENTALE
STORICI LOCALI E ACCADEMICI A CONFRONTO
L’assurdità del titolo di questo contributo è presto spiegata, ma richiede una piccola premessa. Ho più volte notato
che gli storici e gli archeologi di matrice accademica, quando si trovano alle prese con un territorio o un tema per il
quale gli studi sono solamente di estrazione locale, spesso
non amano impegnarsi in defatiganti lotte di revisione o di
confutazione, e risolvono il problema con una sommaria
damnatio memoriae: per non disperdere il proprio tempo o
per non crearsi antipatie, fanno finta di nulla e scrivono come
se nessuno esistesse prima di loro. Ne risultano quindi due
distinte produzioni, con la differenza che quella maggiormente
professionale si distingue in negativo per alterigia e superficiale conoscenza del territorio, e quella degli studiosi locali
si caratterizza invece per limitatezza di competenze e indomabile cocciutaggine, senza che gli uni ricavino beneficio
alcuno dai pregi degli altri.
A questo proposito, si presenta in questa sede il caso della Franciacorta (Tav. 1, Fig. 1), ovvero del territorio collinare
bresciano delimitato a nord del lago d’Iseo, a ovest dal fiume
Oglio che costituisce lo storico confine con Bergamo, a sud
dalla bassa pianura e rivolto ad est in direzione della città,
poiché qui un curioso intreccio di storici dilettanti e di studiosi professionisti ha toccato anche il tema dell’edilizia storica e in particolare delle torri di fortificazione. Le datazioni
a tutt’oggi proposte per alcune di queste torri oscillano, anzi
periclitano, tra il III secolo a.C. e il XIII d.C., proprio in ragione del mancato dialogo tra i due opposti schieramenti:
1400 anni di disaccordo, non c’è male...
Come si sa, il tema/totem del quale gli storici locali sono
fedeli servitori è quello delle “origini”: essi aspirano a risalire
il più possibile indietro nel tempo, e nel contempo a dimostrare che il loro paese è quello di più antico insediamento tra i
circonvicini, o che – ecco un altro vanto ricorrente – la loro
chiesa è matrice di tutte quelle dei comuni limitrofi. In ottemperanza a questo assunto si tende in prima battuta a forzare la
situazione e i dati dei quali si è in possesso, e in seguito ad
“innamorarsi” di un periodo o, meglio ancora, di un popolo
che diviene la chiave storiografica per spiegare tutti le evidenze materiali. In Franciacorta, gli schieramenti l’un contro l’altro armati (peraltro pronti a valzer di mutevoli alleanze) che
hanno fatto scuola sono così capeggiati: Stefano Dotti da
Rovato, appassionato studioso di toponomastica neolitica (!) e
sostenitore della fittissima presenza insediativa etrusca; Cesare Esposito da Coccaglio, convinto assertore di una radice romano-repubblicana del territorio; Andrea Lorenzoni da
Rodengo Saiano, accanito studioso di topografia romana ed
etimologista con la passione per i Galli/Celti (LORENZONI 1962);
Natale Partegiani da Coccaglio, suo degno erede.
Nella disputa, che per alcuni decenni ha infiammato gli
animi, vennero peraltro in vario modo coinvolti tre protagonisti degli studi di archeologia e storia bresciana del ’900:
Mario Mirabella Roberti, indimenticato Soprintendente alle
Antichità della Lombardia fra gli anni ’50 e ’70, Gaetano
Panazza, direttore nello stesso periodo dei Musei Civici di
Brescia e specialista d’architettura ed arte medievale e rinascimentale di fama europea, e infine monsignor Paolo
Guerrini, intelligente e vulcanico studioso di storia della
chiesa e del territorio bresciano.
È inutile nascondersi che molte delle teorie dei nostri storici locali appaiono al nostro giudizio alquanto bizzarre, e
davvero verrebbe la tentazione di cassarle con un tratto di
Il veneziano Marin Sanudo così descriveva Coccaglio
nel 1483: «Cochay ch’è una villa cussì dicta, e mia 1/2 luntan
de Roado. Et è uno castello di terren con fosse et ponte
levador; non vi sta castelan, ma è pieno di canave de vin, et
di fen; et è una chiesia de S. Maria plebe di Cochay, et questo è buono per coraria, che il vino suo non sia da predatori
rapito et tolto» (Marin Sanudo 1483). Questa ironica del borgo
è, tutto sommato, ancora percepibile nelle (sempre più rare)
abitazioni bassomedievali che non hanno subito pesanti ristrutturazioni: un accesso maggiore al piano terreno, adibito
a cantina e abitazione, e al primo piano un’apertura di carico
del fienile. È inoltre sufficiente uno sguardo al catasto moderno del centro storico del paese (Tav. 1, Fig. 2) per riconoscere l’antico perimetro del piccolo castello-ricetto medievale e del fossato che lo cingeva, all’interno del quale si trovano la pieve di Santa Maria (A) e l’antistante chiesa (ex
battistero) di San Giovanni (C) che, pur attraverso molte ristrutturazioni e rifacimenti, non nascondono la loro origine
medievale.
In questo contesto fortificatorio appare giustificata la
posizione della torre settentrionale (B), rinforzata da un avancorpo quattrocentesco, posta a difesa dell’accesso alla strada
che già in età romana collegava Bergamo e Brescia, così come
è plausibile – anche se incerta – l’individuazione, pur sulla
scorta delle sole fondazioni, di una torre meridionale (F). Va
invece riconosciuto che la collocazione delle torri occidentale (D) ed orientale (E) è così arretrata rispetto al filo del perimetro murato da risultare incongrua. Anche ipotizzando infatti che queste due torri siano più antiche della costituzione
del ricetto medievale, rimane da spiegare perché il ricetto
stesso le abbia inglobate rendendole parzialmente inutili alla
difesa, anziché reimpiegarle.
Gli scavi nel castrum di Coccaglio furono sollecitati a
più riprese dallo storico locale Cesare Esposito, sia di persona presso il soprintendente Mario Mirabella Roberti, sia
per mezzo del “Giornale di Brescia” del quale egli era corrispondente. L’indagine più interessante ai nostri fini fu
condotta nel 1955 presso la torre occidentale (Tav. 1, Figg.
4 e 5), che giaceva seminterrata in una sorta di giardino
pensile. Così l’Esposito descrive i rinvenimenti (ESPOSITO
1955): «Il Soprintendente alle antichità prof. Mario Mirabella Roberti, ha compiuto l’altro giorno un nuovo
sopraluogo agli scavi di Coccaglio per accertarne il risultato che è davvero positivo. A circa due metri sotto il livello
stradale e a pochi centimetri dalla ciclopica muraglia messa in luce della torre ovest si sono trovati i resti di un bivacco con cenere, fuliggine, piccole ossa, i cocci di una pentola in terracotta e, quello che più conta, la base di una scodella o anfora con impressa la caratteristica “planta pedis”
e delle lettere, cioè il marchio di un fabbricante del secondo secolo dell’era volgare. Sono stati poi trovati allo stesso
livello, un po’ discosti, moltissimi cocci di anfore e vasi e
tegole sicuramente dell’epoca romana. Addossato allo spigolo sud est della torre ma a livello più alto, e cioè quello
dello interramento successivo, una tomba di un fanciullo
contenente, fra il terriccio d’infiltrazione e le ossa, un vasetto, purtroppo rotto nel ricupero e pezzi di vetro antico.
La tomba, che pare non sia la sola è del quarto secolo. I
cocci ed i frammenti sono anteriori e presumibilmente sono
stati deposti nella fossa che a quel tempo circondava la torre. È pertanto chiaramente dimostrato che la torre stessa
era “preesistente” all’epoca della tomba e a quella dei cocci
e del bivacco. La tomba è stata scoperta dallo stesso prof.
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Mirabella che se n’era accorto da un mattone rosseggiante».
Quindi il Mirabella in persona, nel corso di un sopralluogo, ebbe l’acutezza di individuare la tomba ad incinerazione
che, dopo un più accurato studio dei materiali ceramici, fu datata con sicurezza all’età tiberiana; quel che più conta è però
che la tomba si addossava al piede della torre, ed era a sua
volta posteriore ad un muretto in ciottoli (Tav. 1, Fig. 3).
La fotografia pubblicata sembra in effetti lasciare pochi dubbi sul rapporto stratigrafico, anche se è ugualmente
possibile che i corsi di fondazione della torre fossero stati
messi in opera con esattezza a ridosso della parete verticale
della trincea che tagliava una stratificazione precedente di
età romana. Il successo degli scavi condusse anche ad indagare, ma con minor fortuna archeologica, l’interno della torre
orientale del borgo (est), inglobata in edifici posteriori e
tuttora ravvisabile dalla piazza antistante. Anche le indagini archeologiche condotte in questi anni nel centro del paese hanno registrato una stratificazione assai consistente se
paragonata a quella di altri paesi della zona, e che comprende indubbie fasi di età romana ed altomedievale (GALLINA 1998; BREDA 2002).
La più antica fortificazione romana della Lombardia e
forse dell’Italia settentrionale: così fu definita la torre occidentale dal Mirabella Roberti, in una lettera indirizzata al
comune franciacortino (cit. in ESPOSITO 1986, p. 65). Pochi
anni più tardi, in sede di pubblicazione (MIRABELLA ROBERTI 1963, p. 319, n. 2), il Soprintendente temperò un poco la
sua originaria risolutezza, concludendo comunque che le torri di Coccaglio «sono l’opera più imponente di fortificazione
romana nel territorio di Brixia e suggeriscono un castrum
con quattro torri fra aggeri in terra o muri di più modesto
lavoro. Una tomba di età tiberiana aderiva alla torre occidentale presso un muro in ciottoli. È il più sicuro termine
ante quem: la forte struttura isodoma fa pensare sia almeno
cesariana o sillana».
La datazione della torre, certificata dalla diretta partecipazione del Mirabella al momento decisivo dello scavo, rappresentò il trionfo degli storici locali che, in aspro contrasto con i
diffidenti e ben più cauti “professori” cittadini, andavano sostenendo l’antica romanità di Coccaglio, dando così la possibilità a Cesare Esposito (ESPOSITO 1986, pp. 60-61) di vendicarsi delle sferzanti ironie con cui erano stati derisi i suoi precedenti studi: «Questo primo risultato suscitò qualche reazione. Ad esempio, mons. Guerrini, che non aveva mai voluto
riconoscere la romanità del nostro Castello (...) s’inchinò a
denti stretti a quanto dimostrato dalla Soprintendenza (...). Un
altro professore cittadino [con ogni probabilità Gaetano Panazza], esperto in materia, venne a dirmi che anche la Soprintendenza poteva sbagliare, e che non si trattava di una torre di
difesa antica... Un altro competente [forse Giovanni Coradazzi?
vd. CORADAZZI 1974], autore di una monografia sulle strade
romane, venne apposta a Coccaglio per convincermi che non
si trattava affatto di una torre romana, perché non aveva scopo per i romani costruire una torre qui».
Come si vede, i toni erano accesi, propri di un sentimento
di rivincita, e non senza motivo: il Guerrini aveva infatti così
commentato (GUERRINI 1956, p. 136-137) le ricerche topografiche che i nostri appassionati andavano svolgendo in
Franciacorta: «Alla scoperta di “Tetellus”, l’enigmatica “mansio” sulla strada Bergamo-Brescia segnata negli Itinerari fra
Telgate e Brescia, si sono arditamente lanciati in una gara
podistico-filologica molto divertente e interessante, tre audaci
moschettieri dell’archeologia bresciana. Ha aperto la corsa
Cesare Esposito (...) al quale è succeduto di rincalzo il prof.
Stefano Dotti di Rovato (...). I due benemeriti podisti dopo una
larga e attenta perlustrazione di tutta la Bassa Franciacorta
con rilievi di antichi fondi stradali dell’epoca romana, sono
arrivati alla conclusione che la famosa “Tetellus” esisteva nel
territorio di Cazzago S. Martino (...). Ma il record della gara
podistico-archeologica della Franciacorta alla ricerca di
“Tetellus” è toccato all’avv. prof. Andrea Lorenzoni di
Rodengo, il quale (...) arriva a collocare la località Tetellus
nientemeno che a Passirano e precisamente al “Cantone di
sopra” ciò che (...) ci sembra una vera e solenne... cantonata!
(...) Questi difficili studi di archeologia e toponomastica richiedono anche da parte di studiosi dilettanti, un minimo di
preparazione seria e scientifica e non possono essere abbandonati alla fantasia soggettiva di nessuno, se no si corre il
rischio di essere qualificati quasi i Paneroni della Storia».
Paneroni, chi era costui? Qui l’ironia sfoggiata dal Guerrini confina con l’offesa, poiché Giovanni Paneroni (18711950) era un gelataio ambulante (sic) bresciano le cui teorie astronomiche (sic) divennero presto proverbiali, e si capisce presto anche il perché: sosteneva infatti, tramite conferenze e pubblicazioni a proprie spese, che la terra è piatta
e sta ferma al centro dell’universo, e che il sole è una piccola sfera di due metri di diametro che le gira attorno...
(MASSENZA 1994).
La datazione così alta della torre di Coccaglio, certificata dal Soprintendente in persona, non saziò del tutto gli
appetiti degli storici locali, e anzi divenne lo spunto per
retrodatare ulteriormente il castrum alla fine del III secolo
a.C., arditamente individuandolo come una delle fortificazione apprestate dai Romani a nord del Po in occasione delle lotte contro gli Insubri (ESPOSITO 1986; PARTEGIANI 1997).
Questa collocazione cronologica, forse proprio per la contemporanea presenza in scena di Romani e Galli, accontentò finalmente tutti i nostri appassionati.
CONSEGUENZE DELLA DATAZIONE ALL’ETÀ REPUBBLICANA DELLA TORRE DI COCCAGLIO
A questo punto, si innescò il meccanismo dell’estensione per verosimiglianza, attribuendo la medesima datazione
ad altre torri della Franciacorta che mostrassero qualche tratto in comune con quella di Coccaglio: divennero così del III
secolo a.C. anche la torre in località Spina di Cologne, posta
sull’estremità occidentale del Montorfano (DONNI 1983), e
quella della località Rocca di Rodengo (PROSPERO 1999, p.
104; vd. per un’opinione contraria GALLINA 2002), e si sostenne infine che le diverse torri, contestualmente alle fortificazioni di Nigoline di Adro, facevano addirittura parte di
un unico sistema difensivo (DOTTI 1977, 58-63).
Tralasciamo qui di analizzare in dettaglio le conseguenze
di topografia storica che ne sono derivate, e ci basti segnalare che le tre torri in questione sono state utilizzate come
capisaldi per la ricostruzione della viabilità romana tra Bergamo e Brescia anche da eminenti studiosi, con le conseguenze che è facile immaginare. Almeno fino ad anni recentissimi, ai quali rimontano la messe di dati forniti dal
Menant (MENANT 1993) per la Lombardia orientale e le ricerche dell’Archetti sulla Franciacorta (tra i molti contributi si veda almeno ARCHETTI 1996), la diffusione di queste
convinzioni è stata oltremodo favorita anche dalla povertà
di informazioni storiche sull’assetto del territorio e del potere in età comunale e signorile.
Posto come ovvio che, seppure è storicamente accettato
che i Romani costruirono fortificazioni a nord del Po per difendersi dagli Insubri, ciò non individua necessariamente
Coccaglio come sede militare, la prima obiezione che è opportuno muovere a queste conclusioni è che, se veramente
tutte queste strutture fossero così antiche, sarebbero assai più
consistenti di quanto rinvenuto a Brixia stessa, dove è invece
necessario attendere l’inizio del I secolo a.C. per registrare
nell’area del foro e del tempio capitolino l’erezione di edifici
monumentali. Anche l’assetto centuriato del territorio, e il
conseguente sviluppo e strutturazione della trama insediativa delle villae sono – com’è da tempo noto – almeno di età
tardo-repubblicana e augustea (TOZZI 1972).
LE TORRI DELLA FRANCIACORTA A CONFRONTO
In seconda battuta, è necessario verificare queste presunte
somiglianze tra le diverse torri, poiché questa concatenazio-
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Carta della Franciacorta. Il cerchio segnala le torri oggetto dell’articolo; il quadrato le altre torri capitozzate citate; il tratteggio indica le
vie di età romana secondo le diverse ipotesi.
Coccaglio. Mappa catastale moderna.
Coccaglio. La sezione di scavo presso la torre occidentale di Coccaglio (da ESPOSITO 1986): a sinistra si notano lo spigolo della torre, e in adiacenza il cavo della
tomba con materiali di età tiberiana, che giace al di sopra di un muretto in ciottoli.
Coccaglio. Particolare del fianco E della torre occidentale.
Coccaglio. La torre al termine degli scavi del 1955 (da ESPOSITO 1986).
Tav. I
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Colombaro di Cortefranca. Il troncone di torre rotolato a valle sul monte Alto (fotografia: Andrea
Breda).
Tav. 2 – Fotopiani e rilievo grafico della tessitura muraria a confronto.
ne di “parentele” non regge la prova di un esame più attento,
anche se il confronto presenta alcune difficoltà. Il primo problema è dato dallo stato di conservazione dei manufatti: benché le torri qui considerate siano conservate in altezza per
alcuni metri, in nessuna di esse rimane traccia di aperture, il
che è peraltro usuale per questo tipo di costruzioni nelle qua-
li l’ingresso era situato almeno al primo piano ed era raggiunto con una scala esterna in legno.
La capitozzatura delle torri è del resto riconducibile con
buona sicurezza ad una causa nota, cioè ad un decreto della
Serenissima del 1445: pur avendo infatti la Repubblica Veneta conquistato il contado bresciano già dal 1426, fu allora
542
ordinata la demolizione di tutti gli apparati fortificati che,
ormai inutili perché inglobati nel dominio di terraferma,
erano divenuti il ricetto delle resistenze non ancora debellate
e del brigantaggio organizzato. In Franciacorta sono abbastanza numerosi i casi che pare corretto ricondurre a questa
disposizione, poiché nei pressi delle torri non si rinviene il
crollo informe della muratura, ma un intero settore della
canna, che quindi fu fatto saltare con opere di mina e cadde
a terra senza ridursi in frammenti. Facciamo riferimento alla
torre del Monte Alto presso Colombaro di Cortefranca
(Tav. 1, Fig. 6; cfr. VALSECCHI 2001, pp. 156-157), dove il
blocco è rotolato a valle per alcune centinaia di metri senza
spezzarsi, nonché alla torre a ridosso del fossato meridionale del castrum di Erbusco, per concludere con le “nostre”
torri della Rocca di Rodengo (GALLINA 2002) e della Spina
di Cologne, dove pure i tronconi di muratura sono scivolati
in un canalone del declivio settentrionale del Montorfano.
Non si può certo dire che in ambito bresciano gli studi
di archeologia dell’edilizia storica siano immaturi o di recente sviluppo in virtù dei fondamentali contributi di Gian
Pietro Brogiolo (BROGIOLO 1989) e della sua scuola (CORTELLETTI, CERVIGNI 2000) per la città e l’area gardesana, di
Andrea Breda (BREDA 2002) e dell’Unità di Salvaguardia
del Patrimonio Archeologico, Architettonico, Artistico della Franciacorta e del Sebino bresciano (USPAAA 1993) per
la Franciacorta, e infine grazie all’esemplare studio dedicato a Cividate Camuno (BIANCHI, MACARIO, ZONCA 1999). Poiché in questi studi la datazione dei manufatti è però affidata
più alla cronotipologia delle aperture che all’analisi delle
tessiture murarie, il caso delle nostre torri mozzate risulta
alquanto difficile da definire con gli strumenti metodologici già sperimentati. È necessario quindi, con tutte le cautele
che questa situazione suggerisce, affidarsi alla sola analisi
della muratura.
Già ad una prima analisi emerge con chiarezza che le
compagini murarie delle torri sono dissimili, e che la fortificazione della Rocca di Rodengo, realizzata con la pietra
calcarea locale detta “medolo” lavorata a bugnato grezzo e
non troppo rilevato, e con bisello angolare, è più simile ad
altre fortificazioni, pure site in Franciacorta, delle quali non
è mai stata messa in dubbio l’appartenenza al basso medioevo, come l’originario mastio del castello Oldofredi di Iseo
(USPAA 1993, p. 46) e la base della torre di casa Caprioli a
Sale di Gussago (LECHI 1974, pp. 418-419).
Per quanto attiene alle fortificazioni di Coccaglio e
Cologne, dove diverse sono la pezzatura dei conci e la lavorazione delle superfici a bugnato rigonfio e regolare, è
possibile che queste diversità derivino anche dalla scelta di
diverso materiale lapideo (il conglomerato del vicino
Montorfano), anche se non mancano alcune evidenti analogie con i resti delle torri urbane in medolo come quelle dei
Camignoni in via L. Cereto e degli Emili in via G. Rosa
(LECHI 1974, pp. 285-287).
Se poi ci affidiamo ai fotopiani e al rilievo grafico conseguente (Tav. 2), l’esempio più vicino a quello di Rodengo
è senza dubbio quello della base di torre e della cortina muraria ad essa associata che si conservano a Brescia in via
Brigida Avogadro, poco a nord della chiesa di San Pietro in
Oliveto (PANAZZA 1980, p. 104, fig. E133). È, questo, un
punto particolarmente complesso della topografia urbana,
poiché si trova all’estremità nord-orientale del colle Cidneo,
cioè laddove la città non si è mai espansa: qui si intrecciano
e sovrappongono infatti i resti delle cinte urbane di età romana, medievale e rinascimentale. La discussione di questo problema è intricata, ed è purtroppo necessario rinviarla
ad un’altra sede; è comunque possibile anticipare che, pur
senza una prova definitiva di carattere archeologico, è probabile che la torre e il muro di via Avogadro che qui si discutono appartengano al perimetro fortificato della fine della
fine del XII secolo, del quale è stato individuato un tratto
per la prima volta nel 1997 nel settore occidentale della città (BREDA, GALLINA 1998).
CONCLUSIONI
Per quanto esposto, mi sento quindi di escludere con
convinzione che la torre di Coccaglio sia databile al III secolo a.C., e ritengo inoltre che, anche accettandone la datazione all’età cesariana o sillana sostenuta dal Mirabella Roberti a causa della singolarità del caso coccagliese, non ne
derivi necessariamente che ad essa siano coeve quelle di
Cologne e di Rodengo. Quest’ultima, in particolare, in virtù delle somiglianze con la torre cittadina di via Avogadro,
pare correttamente inquadrabile nella seconda metà del
XII secolo. È ovvio infine che, ai fini di una corretta ricostruzione del contesto storico al quale appartiene l’erezione
di queste fortificazioni, dovranno concorrere tanto l’analisi
diretta dei manufatti, allargando il ventaglio dei confronti
almeno alla città e alla bassa Valcamonica, quanto un più
approfondito sforzo di concreta individuazione geografica
delle conoscenze storico-documentarie sul potere fondiario
e signorile che il Comune di Brescia, il vescovo e i suoi
vassalli, i grandi monasteri e le famiglie nobili esercitavano in Franciacorta.
APPENDICE
Lo studio che qui si presenta rientra nell’ambito del dottorato di ricerca in Archeologia Medievale presso l’Università degli
Studi dell’Aquila con tema “L’edilizia medievale in Franciacorta
(Brescia) tra XI e XIV secolo” (tutor: Prof.ssa Silvia Lusuardi
Siena). Ringrazio Andrea Breda per gli utili e attenti suggerimenti e per l’immagine 6 di Tav. 1. Spiace di non aver potuto
effettuare il fotopiano della torre di Coccaglio a causa della vegetazione che l’ha quasi completamente ricoperta negli ultimi
anni.
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