MARI Azione avverso il silenzio Il nuovo processo amministrativo
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MARI Azione avverso il silenzio Il nuovo processo amministrativo
L’AZIONE AVVERSO IL SILENZIO di Giuseppina Mari 1 Premessa. La tutela avverso il silenzio: evoluzione della disciplina e degli orientamenti giurisprudenziali sino al Codice del processo amministrativo. Nel Libro I, Titolo III (dedicato a “Azioni e domande”), Capo II (intitolato “Azioni di cognizione”) viene disciplinata l’azione avverso il silenzio (art. 31), la cui instaurazione dà inizio ad un rito speciale disciplinato nel Libro IV, Titolo III (“Tutela contro l’inerzia della pubblica amministrazione”) all’art. 117. La tutela giurisdizionale avverso il silenzio serbato dalla p.a. è completata dalla disciplina, nell’ambito dell’azione di condanna (art. 30), della domanda di risarcimento del danno subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (previsto dal previgente art. 2-bis l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 69 del 2009 ed abrogato dal medesimo Codice). La previsione di un rito speciale – camerale e rapido - per la contestazione dell’inosservanza da parte della pubblica pubblicazione dell’obbligo di provvedere entro termini predefiniti e certi era già contenuta nell’art. 21-bis l. n. 1034 del 1971, introdotto dalla l. n. 205 del 2000. Il Codice ripropone la disciplina precedente con alcune novità ed alcuni chiarimenti. Le principali novità recate dal Codice, oggetto di puntuale esame infra, attengono: a) alla previsione dell’onere di notificare il ricorso ad almeno uno dei controinteressati, entro un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento; b) alla possibilità che la nomina del commissario ad acta da parte del giudice avvenga nella stessa sentenza che definisce il giudizio (come previsto più in generale, con un evidente intento di velocizzare l’intervento sostitutivo in caso di mancata conformazione alla sentenza, dall’art. 34, co. 1, lett. e, con riferimento alla sentenza che conclude il giudizio ordinario di cognizione); c) all’ammissibilità della proposizione di motivi aggiunti avverso l’eventuale provvedimento espresso o altro atto connesso con l’oggetto della controversia che sopravvenga nel corso del giudizio (con la precisazione che l’impugnazione deve avvenire nei termini e deve seguire il rito previsti per il provvedimento impugnato incidentalmente); d) all’ammissibilità dell’azione di risarcimento del c.d. danno da ritardo (di cui all’art. 30, co. 4) che venga proposta congiuntamente all’azione avverso il silenzio (con la precisazione che, ove ciò avvenga, il giudice “può” definire con il rito speciale la seconda, e trattare con il rito ordinario la prima); e) all’esplicito chiarimento che il potere del giudice di conoscere della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio è circoscritto ai casi di attività vincolata o in cui non residuino ulteriori margini di esercizio del potere discrezionale e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dalla p.a.. Le predette novità rappresentano una risposta a dubbi sorti in conseguenza dell’introduzione, nel 2000, di un rito speciale per la contestazione dell’inerzia amministrativa. E’ noto, infatti, che con riguardo alla tutela del cittadino nei confronti dell’inerzia della p.a. ante l. n. 205 del 2000 e, quindi, in assenza di una specifica norma processuale, la giurisprudenza, nel tentativo di elaborare soluzioni di tutela quanto più coerenti possibili con il tradizionale modello di giudizio amministrativo di carattere tipicamente impugnatorio, aveva inizialmente equiparato il comportamento inerte della p.a. ad un provvedimento tacito o implicito di diniego dell’istanza avverso il quale erano ammessi i tradizionali rimedi contro i provvedimenti negativi1 — vale a dire l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo con deduzione anche dei pretesi vizi sostanziali2 del diniego sussistente per fictio iuris3. 1 Cons. St., sez. IV, 6 dicembre 1955, n. 946, in Cons. St., 1955, 1331; Id., sez. VI, 19 maggio 1954, n. 397. Cons. St., sez. V, 25 maggio 1956, n. 418, in Riv. amm., 1957, 131. 3 G.B. GARRONE, Silenzio della pubblica amministrazione (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. disc. pubbl., XIV, Torino, 1999, 156 ss., osserva come la denominazione silenzio-rifiuto richiami “le origini della figura, quando la 2 A partire dagli anni sessanta la medesima giurisprudenza mutava orientamento, qualificando il silenzio come mero comportamento, da cui non sarebbe stato possibile desumere alcuna volontà dell’amministrazione4. Si riteneva che la pretesa dedotta in giudizio dal ricorrente fosse rivolta unicamente ad ottenere l’emanazione di un atto che definisse per la prima volta il rapporto tra p.a. e cittadino e che l’oggetto della cognizione del giudice fosse limitato all’accertamento del contrasto tra il comportamento negativo e l’obbligo di provvedere5. Un passo verso la via dell’effettività della tutela giurisdizionale del cittadino a fronte del mancato esercizio del potere da parte della p.a., venne compiuto da una successiva decisione dell’Adunanza plenaria6, nella quale, sia pure con riferimento ai soli atti amministrativi vincolati, era ammessa la possibilità per il g.a., investito della richiesta di tutela a fronte di un comportamento omissivo della p.a., di non limitarsi ad accertare l’illegittimità del silenzio serbato, ma di estendere la propria cognizione alla fondatezza dell’istanza del ricorrente. In tale contesto si inseriva il rito speciale di cui all’art. 21-bis l. n. 1034 del 1971, come introdotto dall’art. 2 l. n. 205 del 2000, caratterizzato dall’essere diviso in due fasi - una prima fase necessaria di cognizione, che si concludeva con sentenza succintamente motivata assunta in camera di consiglio, ed una seconda (eventuale) fase di esecuzione in cui era prevista la nomina di un commissario ad acta – e da termini processuali particolarmente brevi (decisione entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso) e tali da non costituire ostacolo ad una rapida risoluzione della controversia7. La particolare celerità e semplicità del rito aveva indotto la giurisprudenza a ritenere che detto giudizio fosse finalizzato al mero accertamento dell’obbligo di provvedere della p.a. e alla conseguente condanna della p.a. ad adottare un provvedimento espresso, senza estensione del sindacato del giudice al rapporto intercorrente tra istante e amministrazione8. La disciplina del rito avverso il silenzio si è arricchita, successivamente, per effetto della riscrittura nel 2005 dell’art. 2 l. n. 241 del 1990 (disciplinante l’obbligo di concludere il procedimento giurisprudenza interpretava l’inerzia come atto negativo tacito, al fine di configurare un atto impugnabile davanti al giudice amministrativo”. 4 Cons. St., Ad. plen., 3 maggio 1960, n. 8, in Giur. it., 1960, III, 257. 5 In argomento cfr. F.G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 239, che rileva come “la pluralità di configurazioni che dottrina e giurisprudenza, nel tempo, hanno assegnato al fenomeno del silenzio amministrativo sul piano dogmatico ha ineludibilmente condizionato il modo di costruire il processo avverso di esso e, segnatamente, la individuazione dell’oggetto del giudizio”. La ricostruzione della tutela avverso il silenzio operata da Cons. St., Ad. plen., 3 maggio 1960, n. 8, cit., riaffermava il carattere necessariamente successivo all’esercizio del potere amministrativo della tutela giurisdizionale di legittimità. L’orientamento seguito dalla plenaria nel 1960 venne criticato da parte della dottrina, che considerò le relative conclusioni come una minima forma di tutela, se non addirittura come un sostanziale diniego di giustizia: A.M. SANDULLI, Sul regime attuale del silenzio-inadempimento della pubblica Amministrazione, in Riv. dir. proc., 1977, 169 ss. 6 Cons. St., Ad. plen., 10 marzo 1978, n. 10, in Cons. St., 1978, I, 335 e in Riv. dir. proc., 1979, 395, con commento di G. GRECO, Silenzio della pubblica amministrazione e problemi di effettività della tutela di interessi legittimi. In argomento, inoltre, G. SALA, Problemi del processo amministrativo nella giurisprudenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato: III – Oggetto del processo e silenzio dell’amministrazione, in Dir. proc. amm., 1984, 147. 7 Sul rito introdotto dall'art. 2 l. n. 205 del 2000 le analisi dottrinarie sono numerose; senza alcuno scopo di esaustività, si ricordano: S. GIACCHETTI, Il « ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione » e « le macchine di Munari », in Cons. St., 2001, II, 471; A. LAMBERTI, Il ricorso avverso il silenzio, in Verso il nuovo processo amministrativo, a cura di V. CERULLI IRELLI, Torino, 2000, 239; S. PELILLO, Il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, in www.giust.it, 2001, 9; N. SAITTA, Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio, ivi, 2001, 7-8; L. TARANTINO, Giudizio amministrativo e silenzio della pubblica Amministrazione (art. 2), in Il nuovo processo amministrativo dopo la l. 21 luglio 2000 n. 205, a cura di F. CARINGELLA E M. PROTTO, Milano, 2001, 31; B. SASSANI, Prime considerazioni sulla nuova procedura del silenzio, in Giust. civ., 2000, II, 455; G. GRECO, L'art. 2, della l. 21 luglio 2000 n. 205, in Dir. proc. amm., 2002, 1; M.A. SANDULLI, Le nuove misure di snellimento del processo amministrativo nella l. n. 205 del 2000, in Giust. civ., 2000, II, 441; A. TRAVI, Giudizio sul silenzio e nuovo processo amministrativo, in Foro it., 2002, III, 227; V. PARISIO (a cura di), Inerzia della pubblica amministrazione e tutela giurisdizionale. Una prospettiva comparata, Milano, 2002; B. TONOLETTI, Commento all’art. 2, in Commentario alla legge 21 luglio 2000, n. 205. Le nuove leggi civili commentate, a cura di A. TRAVI, Padova, 2001, 574; G. MONTEDORO, Il giudizio avverso il silenzio, in Codice della giustizia amministrativa, diretto da G. MORBIDELLI, Milano, 2008, 280 ss.. 8 Cons. St., Ad. plen., 9 gennaio 2002, n.1, in Foro it., 2002, III, 227, con nota di A. TRAVI, Giudizio sul silenzio, cit... amministrativo con un provvedimento espresso ed entro un termine predefinito): il legislatore ha attribuito al giudice adito con il ricorso ex art. 21-bis l. n. 1034 cit. il potere di “conoscere della fondatezza dell’istanza” (senza ulteriori specificazioni in ordine all’ambito e ai limiti di detto potere cognitorio e decisorio del giudice) ed ha espressamente sottratto il ricorso in questione al termine decadenziale previsto per l’azione di annullamento, introducendo per esso un più ampio termine di “prescriptio brevis”9. La disciplina risultante dai diversi interventi normativi riferiti poneva diversi dubbi interpretativi, cui il Codice ha fornito in parte soluzione. 2. Ricorso avverso il silenzio e riparto di giurisdizione. Inammissibilità del ricorso in caso di istanze volte a far valere diritti soggettivi. L’art. 7 c.p.a. devolve alla giurisdizione amministrativa - in ossequio alle norme costituzionali (art. 103 Cost., in particolare) e alla lettura delle stesse fornita dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 204 del 2004 e 191 del 2006 - le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo. E’ a tale disposizione che occorre fare riferimento anche allo scopo di individuare le ipotesi in cui le controversie attinenti a comportamenti inerti della p.a. rientrano nella giurisdizione del g.a. La disciplina dell’azione avverso il silenzio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. è infatti costituita esclusivamente da norme sul processo, che presuppongono, senza fondarla, la giurisdizione del g.a.: come chiarito anche con riferimento al previgente art. 21-bis l. TAR, detta disciplina non fa del silenzio una materia autonoma, distinta da quella materia su cui la domanda del privato rimasta inevasa verte10 (come confermato dall’art. 133 c.p.a. che non menziona le controversie avverso l’inerzia della p.a. tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a.11). La giurisprudenza è pertanto pacifica nell’affermare che il difetto di giurisdizione relativo al rapporto sostanziale non potrebbe essere aggirato mediante l'istituto del silenzio-inadempimento perché la norma meramente processuale che ne prevede la tutela non fonda la giurisdizione del giudice amministrativo12. Ciò implica che il rimedio in questione non è esperibile quando il g.a. è privo di giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta inevasa, vale a dire quando il rapporto giuridico sottostante il silenzio serbato dall'amministrazione involga posizioni di diritto soggettivo (come, ad esempio, nel caso di pretese patrimoniale del pubblico dipendente nei confronti della p.a.), concernendo detto rimedio, piuttosto, l’esplicazione di potestà pubblicistiche e, in particolare, le ipotesi di mancato esercizio dell'attività amministrativa13. 9 Sull’art. 2 l. n. 241 del 1990: A. POLICE, Il dovere di concludere il procedimento e il silenzio inadempimento, in Codice dell’azione amministrativa, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, 2011, 226 ss.; F. FIGORILLI, A GIUSTI, Commento all’art. 2, in La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, a cura di N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO, Torino, 2005, 127 ss.; F. FIGORILLI, M. RENNA, Commento all’art. 2, in Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, a cura di A. BARTOLINI, S. FANTINI, G. FERRARI, Roma, 2010, 105 ss.. 10 In giurisprudenza, ex multis, Cons. St., sez. IV, 19 marzo 2009, n. 1645, in Foro amm. CdS, 2009, 691; Id., 2 novembre 2004, n. 7088, ivi, 2004, 3136; TAR Puglia, Bari, sez. II, 22 marzo 2011, n. 457, in Foro amm.-TAR, 2011, 970. 11 M. DI LULLO, Tutela contro l’inerzia della pubblica amministrazione (Art. 117), in Codice del processo amministrativo, a cura di M. SANINO, Torino, 2011, 492. 12 Cons. St., sez. III, 1 febbraio 2012, n. 501; Id., sez. V, 17 settembre 2010, n. 6947, in Foro amm. CdS, 2010, 1869; Id., 26 febbraio 2010, n. 1146, ivi, 394; Id., sez. VI, 7 gennaio 2008, n. 33, ivi, 2008, 131; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 24 gennaio 2012, n. 24; TAR Lazio, Roma, sez. II, 7 novembre 2011, n. 8531, in Foro amm.-TAR, 2011, 3505; TAR Campania, Napoli, sez. V, 6 luglio 2011, n. 3564, in Foro amm.-TAR, 2011, 2461. 13 Cons. St., Ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1, cit.: “è determinante che il silenzio riguardi l'esercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del privato si configuri come un interesse legittimo”. Tra le più recenti, cfr. Cons. St., sez. III, 7 dicembre 2011, n. 6437, che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso proposto per far dichiarare l’illegittimità del silenzio mantenuto da un Comune sull’istanza con cui i soci privati di una società mista (per la gestione di una farmacia comunale) avevano chiesto di emanare un atto d’indirizzo relativo ai Come ripetutamente evidenziato dalla giurisprudenza la situazione giuridica soggettiva che si pone al cospetto del potere amministrativo, anche qualora si contesti l’omissione del relativo esercizio, ha natura di interesse legittimo stante la peculiarità del mancato tempestivo esercizio del potere rispetto ad un mero “comportamento” omissivo (al quale la giurisdizione del g.a. non potrebbe estendersi, in base ai chiarimenti forniti dalla Consulta nelle richiamate sentenze del 2004 e del 2006) disciplinato e reso rilevante dalle norme di diritto comune che sanzionano la colpevole inerzia di chi sia obbligato ad attivarsi: il ritardo nell’esercizio di un potere autoritativo ha, infatti, una rilevanza specifica alla stregua di “regole di azione che hanno, nella loro formulazione, una “causa” direttamente pubblicistica che sottrae l’amministrazione alla regole di diritto comune e la colloca sul piano delle determinazioni (negative) di tipo autoritativo”14. Recependo questi principi, il Codice, al co. 4 del medesimo art. 7, chiarisce ulteriormente che le controversie relative - non solo ad atti e provvedimenti, ma anche - a “omissioni” delle pubbliche amministrazioni sono attribuite alla “giurisdizione generale di legittimità” del g.a.. L'azione avverso l’inerzia è inammissibile quando l’istanza abbia avuto ad oggetto atti della p.a. correlati a posizioni di diritto soggettivo, pur se riferibili ad una situazione apparente di inerzia; in tale caso l’istante può ottenere una tutela più diretta ed immediata tramite un'azione di accertamento. Tale ultimo principio va tenuto fermo per tutte le controversie relative a diritti soggettivi, sia rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario, sia riconducibili a materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo15. Quanto alla competenza, il giudice territorialmente competente a sindacare la legittimità del silenzio e a dichiarare, se del caso, l’obbligo di provvedere, è lo stesso che sarebbe territorialmente competente a sindacare il provvedimento ove esso venisse emanato16. 3. L’obbligo di provvedere quale presupposto dell’azione avverso il silenzio. Il Codice non si occupa espressamente di chiarire, esulando dalla disciplina processuale dell’inerzia della p.a., le ipotesi in cui sussiste, a fronte di un’istanza, un obbligo dell’amministrazione di provvedere, la cui omissione possa essere stigmatizzata con l’azione avverso l’inerzia17; in mancanza, l’inerzia non è qualificabile come silenzio-inadempimento e l’eventuale ricorso proposto non può che essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione18. A tale riguardo, è necessario continuare a fare riferimento ai principi elaborati dalla giurisprudenza, che ravvisa in capo alla p.a. un obbligo di provvedere, in primo luogo, quando la legge espressamente attribuisce al privato il potere di presentare un'istanza, così riconoscendogli la titolarità di una situazione qualificata e differenziata. Indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che impongano alla p.a. di pronunciarsi su un’istanza, il relativo obbligo sussiste, inoltre, anche quando esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento espresso in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un'esplicita pronuncia (dette ipotesi sono state individuate dalla rapporti tra il Comune ed i soci stessi, atteso che in tal caso la controversia attiene ai rapporti contrattuali regolati dall’atto costitutivo della società e dai patti parasociali e rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario. 14 Cons. St., VI, 12 gennaio 2009, n. 65, in Foro amm. CdS, 2009, 212. 15 Cons. St., sez. III, 1 febbraio 2012, n. 501, in Foro amm. CdS, 2012, 267; Id., sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487, ivi, 2010, 1268; Id., sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 215, ivi, 2008, 155; Id., 7 gennaio 2008, n. 33, ivi, 131; TAR Lazio, Roma, sez. III, 14 dicembre 2011, n. 9737, in Foro amm.-TAR, 2011, 3983; Id., sez. I, 2 novembre 2011, n. 8354, ivi, 2011, 3488; TAR Campania, Salerno, sez. I, 7 settembre 2011, n. 1488, ivi, 2833. 16 Cons. St., sez. III, 26 giugno 2012, n. 3727 (con riguardo al silenzio serbato su un’istanza volta ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana). 17 Preliminarmente occorre ricordare “come l’inerzia nell'esercizio della potestà amministrativa, possa essere contrastata con un’azione finalizzata ad ottenere l’accertamento dell’obbligo di provvedere, sia in una fase anteriore al procedimento, come nel caso di mancato avvio o mancata adozione di atti preparatori, che in una fase successiva ... in cui l’Amministrazione resistente ha dato avvio al procedimento senza tuttavia concluderlo”: TAR Lombardia, Milano, 4 settembre 2012, n. 2220. 18 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010, 583: “in assenza dell’obbligo di provvedere, il privato non può azionare alcuna situazione soggettiva giuridicamente tutelata”. giurisprudenza facendo applicazione del principio generale della doverosità dell'azione amministrativa, integrato dalle regole di ragionevolezza e buona fede)19. Si tratta, in particolare, dei casi di istanza volta ad ottenere un provvedimento favorevole presentata da colui che ha un interesse differenziato e qualificato ad un bene della vita per il cui conseguimento è necessario l'intermediazione del potere amministrativo: il richiedente è titolare di una situazione giuridica che lo legittima, pur in assenza di una norma specifica che gli attribuisca un autonomo diritto di iniziativa, a presentare un'istanza dalla quale nasce in capo p.a. l’obbligo di pronunciarsi20. In caso di istanze presentate per sollecitare l’esercizio di poteri di controllo e repressivi della p.a. nei confronti di terzi, la giurisprudenza distingue tra istanza ed esposto – solamente la prima essendo idonea a radicare una posizione di interesse tutelata – in base all'esistenza, o meno, in capo al privato di uno specifico e rilevante interesse che valga a differenziare la sua posizione da quella della collettività21. Infine, secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, l'istanza del privato diretta ad ottenere il riesame da parte della p.a. di un atto autoritativo non impugnato tempestivamente dal medesimo, non comporta, di regola, la configurazione di un obbligo di provvedere, risultando inficiate, altrimenti, le ragioni di certezza delle situazioni giuridiche e di efficienza gestionale alla base dell'agire autoritativo della p.a. e della inoppugnabilità dopo il termine di decadenza dei relativi atti22; l’obbligo di provvedere è stato ravvisato, peraltro, nel caso specifico in cui, a seguito dell’istanza di riesame, la p.a. abbia deciso di attivare il procedimento, senza poi concluderlo in violazione dell’art. 2 l. n. 24123. La sussistenza di un obbligo di provvedere è stata specificamente esclusa dalla giurisprudenza con riguardo alla sollecitazione dei poteri di autotutela della p.a., trattandosi di potere tipicamente discrezionale sia nella determinazione del contenuto del provvedimento che nell’an del 19 Cons. St., sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487, cit.; Id., sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318, in Guida al dir., 2007, 31, 72; Id., sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975, in Foro amm. CdS, 2004, 3513; Id., 2 novembre 2004, n. 7068, ivi, 3129; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 22 marzo 2012, n. 529; TAR Campania, Salerno, sez. II, 10 febbraio 2012, n. 187; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 14 ottobre 2011, n. 1766, in Foro amm.-TAR, 2011, 3252. In argomento V. PARISIO, F. GAMBATO SPISANI, G. PAGLIARI, I riti speciali, in Il nuovo processo amministrativo, a cura di R. CARANTA, Bologna, 2011, 663. 20 Cons. St., sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318, cit.; TAR Campania, Salerno, sez. II, 8 marzo 2012, n. 453 (“La fonte dell'obbligo giuridico di provvedere consiste, di solito, in una norma di legge, di regolamento od in un atto amministrativo, ma non necessariamente deve derivare da una disposizione puntuale e specifica, potendosi, talora, desumere anche da prescrizioni di carattere generale e/o dai principi generali regolatori dell'azione amministrativa”; nella specie il TAR ha dichiarato illegittimo il silenzio serbato dal comune sulla richiesta di attribuzione del numero civico e di denominazione della strada in cui è ubicato l’immobile di proprietà del ricorrente); TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 17 gennaio 2012, n. 32; TAR Marche, sez. I, 28 agosto 2008, n. 961, in Foro amm.-TAR, 2008, 2034. Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 4 maggio 2011, n. 3838, ivi, 2011, 1606, che ha escluso l’obbligo di provvedere su un’istanza presentata al fine di conoscere le procedure di espropriazione in itinere per il completamento delle opere di urbanizzazione previste in un piano di zona, “non differenziandosi, la posizione della società ricorrente, da quella di tutti gli altri cittadini e soggetti dell'ordinamento alla corretta e tempestiva esecuzione delle opere di urbanizzazione cittadine, nei limiti delle disponibilità finanziarie e secondo le priorità attribuite dalla comunità”. 21 Tra le più recenti: Cons. St., sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 744, in Foro amm. CdS, 2011, 414: “il proprietario di un’area o di un fabbricato nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto è titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere se non vengono adottate le misure richieste , un provvedimento che ne spieghi le ragioni, con la conseguenza che il silenzio serbato sulla istanza-diffida integra gli estremi del silenzio-rifiuto sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente”. Nel medesimo senso: Id., 31 maggio 2007, n. 2857, ivi, 2007, 1486; Id., 7 luglio 2008, n. 3384, ivi, 2008, 2046. 22 Cons. St., sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270, in Resp. civ. e prev., 2010, 2590; Id., sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6234, in Foro amm. CdS,2008, 3419; Id., 11 maggio 2007, n. 2318, cit.; Id., sez. IV, 20 luglio 2005, n. 3909, in Foro amm. CdS, 2005, 2132. Diversamente, l’obbligo della p.a. di pronunciarsi su un’istanza di riesame di un precedente provvedimento di diniego è stato affermato nel caso in cui detta istanza sia stata presentata in pendenza del termine per proporre ricorso, difettando in tale caso l’intento di eludere la decadenza dall’impugnazione del diniego: Cons. St., sez. V, 10 ottobre 2006, n. 6056, in Dir. & giust., 2006, 41, 81. 23 Cons. St., sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487, cit. provvedere24. Più nel dettaglio, viene escluso che sia sufficiente una semplice istanza perché sorga l’obbligo dell’amministrazione di adottare un provvedimento di secondo grado; è necessario, piuttosto, che la stessa amministrazione abbia riconosciuto, a seguito di una verifica interna o anche di una segnalazione documentata da parte del soggetto interessato all’adozione del provvedimento, la sussistenza di un dovere di provvedere; quando ciò si verifica, al riscontro effettuato deve poi necessariamente seguire l’adozione del provvedimento finale nel termine prescritto dalla legge25. In ogni caso, in applicazione dei principi di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa, l’obbligo di provvedere, pur sussistente in astratto, viene in concreto escluso dalla giurisprudenza quando la domanda inoltrata dal privato sia manifestamente infondata o esorbitante dall’ambito delle pretese astrattamente riconducibili al rapporto amministrativo26, o manifestamente assurda27, o carente dei requisiti minimi di ammissibilità secondo la disciplina di settore28. 4. Il termine per la proposizione dell’azione. La circostanza che la situazione giuridica soggettiva dell’istante in relazione all’obbligo di provvedere della p.a. abbia natura di interesse legittimo non implica l’applicazione al rito speciale avverso l’inerzia della p.a. del termine decadenziale di sessanta giorni previsto per la proposizione dell’azione di annullamento. Al riguardo, il Codice conferma (art. 31, co. 1 e 2) quanto già previsto dall’art. 2, co. 8, l. n. 241 del 1990 (nel testo risultante dalle modifiche apportate nel 2005), disponendo che “l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento”. Anteriormente alle modifiche apportate dal legislatore del 2005, era invece discusso se il ricorso avverso il silenzio dovesse essere proposto entro il termine decadenziale previsto dall’art. 21 l. n. 1034 del 1971 per l’azione di annullamento, ovvero fosse proponibile fintanto che persistesse l’inadempimento della p.a.. Nonostante la tesi del silenzio come provvedimento tacito oggetto di impugnazione (riferita pocanzi) fosse stata abbandonata a partire dagli anni sessanta dello scorso secolo, parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva necessaria la proposizione del ricorso avverso il silenzio-rifiuto nel termine decadenziale di sessanta giorni29: le ragioni sottese all’orientamento in questione erano legate alla natura della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio – interesse legittimo – e alle connesse esigenze di certezza dei rapporti amministrativi. Alla tesi si opponeva un diverso orientamento propenso a ritenere tempestivo il ricorso proposto anche oltre il termine decadenziale, purché persistente l’inerzia della p.a.: l’orientamento in parola rilevava, infatti, come le esigenze di certezza del rapporti giuridici non potessero nella specie venire in rilievo, essendo piuttosto la stessa inerzia fonte di una situazione di incertezza in difetto di un atto idoneo a divenire incontestabile ed assistito dalla presunzione di legittimità, ed essendo riconosciuto 24 Cons. St., sez. V, 3 maggio 2012, n. 2549 (“L’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 ha disciplinato i presupposti e le forme dell’annullamento d’ufficio, ma non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all’autotutela amministrativa. Il potere di autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice”); Id., sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 919, in Foro amm. CdS, 2011, 589; Id., 6 luglio 2010, n. 4308, ivi, 2010, 1586; Id., sez. V, 30 dicembre 2011, n. 6995, ivi, 2011, 3716; Id., sez. IV, 20 luglio 2005, n. 3909, cit..; TAR Piemonte, Torino, sez. II, 13 ottobre 2011, n. 1097, in Foro amm.-TAR, 2011, 3032; TAR Umbria, Perugia, sez. I, 15 settembre 2011, n. 302, ivi, 2711; TAR Lazio, Roma, sez. II, 27 giugno 2011, n. 5661. 25 TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 5 marzo 2011, n. 324, in Guida al diritto, 2011, 9, 61. 26 Cons. St., sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318, cit.; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 22 marzo 2012, n. 529. 27 Cons. St., sez. IV, 5 luglio 2007, n. 3824, in Foro amm. CdS, 2007, 2137. 28 G. MONTEDORO, Il giudizio avverso il silenzio, cit., 284, che argomenta tale soluzione dall’art. 6, co. 1, lett. a), l. n. 241 del 1990; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010, 589; F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2012, 411. In giurisprudenza: TAR Puglia, Bari, sez. II, 14 gennaio 2009, n. 31, in Foro amm.-TAR, 2009, 232; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 24 ottobre 2008, n. 1828, in Foro amm.-TAR, 2008, 2904, che ha escluso la sussistenza di un obbligo di provvedere in caso di istanza non sottoscritta dal legale rappresentante della società (nella specie, una s.r.l.) interessata alla adozione del provvedimento. 29 Cons. St., sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256, in Foro amm. CdS, 2002, 1413. alla p.a. il potere/dovere di provvedere espressamente anche successivamente alla scadenza del termine30. Un ulteriore orientamento dottrinario assimilava il termine di cui all’art. 2 l. n. 241, nei procedimenti ad istanza di parte, al termine di adempimento delle obbligazioni: la prestazione dedotta avrebbe avuto ad oggetto l’adozione di un provvedimento, di rigetto o di accoglimento dell’istanza, nel termine prescritto e con l’avvio del procedimento sarebbe sorto in capo al privato un diritto soggettivo (“a una risposta”), con correlato obbligo di provvedere del soggetto procedente (al diritto soggettivo ad una risposta dell’istante si affiancava l’interesse legittimo pretensivo al conseguimento del bene della vita ambito)31. Corollario di quest’ultima ricostruzione era l’applicazione del termine di prescrizione decennale all’azione volta a contestare l’inerzia della p.a. Il carattere variegato degli orientamenti ha indotto il legislatore del 2005 (art. 2 l. n. 15 del 2005 e art. 3, co. 6-bis, d.l. n. 35 del 2005 convertito in l. n. 80 del 2005) a chiarire, nella riscrittura dell’art. 2 l. n. 241 del 1990, che l’azione avverso il silenzio può essere proposta “fintanto che perdura l’inadempimento”, con il limite tuttavia di un anno dalla scadenza dei termini per provvedere. Decorso questo termine di “prescriptio brevis”32, il privato, a fronte della persistente inerzia della p.a., è comunque legittimato – ove persistano i presupposti – a ripresentare l’istanza, idonea a dare luogo, in caso di ulteriore silenzio della p.a., ad una nuova ipotesi di silenzio-rifiuto contestabile (previsione da molti ritenuta superflua, stante la natura non provvedimentale, ma comportamentale dell’inerzia della p.a.). Decorso il termine annuale permane in capo all’istante la facoltà di richiedere il risarcimento del danno cd. da ritardo, ai sensi dell’art. 30, co. 4, avendo il Codice eliminato la – peraltro già discussa con riferimento all’azione avverso il silenzio – pregiudizialità tra azione di cognizione ed azione risarcitoria: il termine decadenziale per la proposizione dell’azione di condanna (120 giorni) non decorre, ai sensi del citato art. 30, fintanto che perdura l’inadempimento (trattandosi di illecito permanente in base al Codice, che sul punto ha innovato rispetto al previgente art. 2-bis l. n. 241 del 1990, ora abrogato, ai sensi del quale l’azione risarcitoria si prescriveva nel termine quinquennale), con la precisazione che inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. Una questione recentemente affrontata dalla giurisprudenza attiene alla qualificazione della scadenza del termine per provvedere quale presupposto o condizione dell’azione e, quindi, all’ammissibilità di un ricorso avverso il silenzio proposto in pendenza del termine venuto successivamente a scadenza nel corso del giudizio33. In base al tenore letterale dell’art. 31 (ai sensi del quale “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”), il decorso del termine finale del procedimento dovrebbe costituire condizione di ammissibilità dell’azione (e, quindi, relativo presupposto): “potrebbe sostenersi che il maturare del termine abbia la stessa valenza della vecchia diffida a provvedere e che, quindi, l’amministrazione possa ragionevolmente confidare nell’improponibilità di azioni giudiziarie durante lo spatium deliberandi che precede lo scadere del termine”; inoltre, “la stessa celerità del rito costituirebbe argomento a sostegno dell’inammissibilità nella misura in cui esso avrebbe necessariamente ad oggetto l’evento storico della scadenza del termine, e solo 30 Sul carattere normalmente ordinatorio e non perentorio (ove non espressamente qualificato come tale) del termine per provvedere la giurisprudenza è pacifica; ex multis, Cons. St., sez. V, 5 febbraio 2009, n. 599. 31 M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995, 146. 32 Sul termine annuale cfr. TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 24 ottobre 2008, n. 1828, cit., dove si legge che “il termine di un anno integr(a) una presunzione legale assoluta in ordine alla persistenza dell'interesse ad agire in giudizio per il rilascio del provvedimento richiesto, in considerazione del decorso di un notevole lasso di tempo dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per la conclusione del procedimento”; Id., 29 gennaio 2007 n. 56. 33 In argomento si segnalano, per l’opposta soluzione data alla questione: Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 985 e Id., sez. VI, 12 ottobre 2010, n. 7432, in Foro amm. CdS, 2010, 2188. eventualmente la cognizione dell’esatta regolazione della sostanza del rapporto, in guisa che, se l’evento non si sia prodotto al tempo della domanda, il decisum non possa che essere reiettivo”34. Nonostante la plausibilità dei riportati argomenti, il Consiglio di Stato35 ha recentemente qualificato la scadenza del termine come “condizione dell’azione, che è sufficiente sussista al momento della decisione”, ritenendo tale interpretazione più coerente con l’“impianto sistematico del codice del processo” e con i “principi della tutela processualcivilistica che dichiaratamente lo ispirano”. In particolare, il Codice, anche attraverso la previsione dei motivi aggiunti nel giudizio avverso l’inerzia (art. 117, co. 5, su cui infra), mostra di prediligere – anche nel giudizio sul silenzio - una impostazione che ha riguardo al complessivo rapporto tra p.a. e privato; in tale contesto, il silenzio “altro non è che una componente (patologica) di quell’azione amministrativa necessaria ad assicurare la mediazione tra interesse pubblico primario, secondario ed interessi privati”. Se così è, ne consegue che oggetto dell’azione non è il mero accertamento dello scadere del termine ed il maturare dell’inadempimento successivamente alla proposizione del ricorso può essere inteso come “un fatto sopravvenuto, legato all’inutile scorrere del tempo, stigmatizzabile nel corso nel giudizio”. Il principio affermato dal Consiglio di Stato è comunque ben delimitato dalla peculiarità della fattispecie, in cui il ricorrente aveva erroneamente individuato il termine procedimentale, rivelatosi nel corso del giudizio più ampio di quello inizialmente ipotizzato, ma venuto comunque a scadenza in pendenza del medesimo giudizio. Il rilievo della peculiarità della fattispecie è evidente laddove il Consiglio di Stato ha premura di precisare che il principio affermato non implica che “sia sempre consentito proporre azione giudiziaria prima del decorso del termine, né che il giudice possa procrastinare la decisione in funzione dell’effettiva scadenza dello stesso, poiché da un lato il ricorrente al fine di proporre la domanda deve sempre allegare la [asserita: n.d.r.] scadenza del termine, e dall’altro, il giudice non può che decidere con la celere scansione temporale impostagli dal rito, con la conseguenza che, se il provvedimento interviene in tempo utile in costanza di un giudizio prematuramente attivato, oppure, se la causa è introitata prima del maturare del termine in difetto del provvedimento, il giudice non può che limitarsi ad una pronuncia reiettiva per mancanza di un’indefettibile condizione dell’azione, dovendosi stigmatizzare ogni forma di abuso dello strumento processuale a fini preventivi o sollecitatori”36. 5. Intensità del sindacato del giudice. L’azione avverso il silenzio ha ad oggetto, ai sensi dell’art. 31, co. 1, l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere. Si tratta, quindi, di un’azione di accertamento o dichiarativa, che può arricchirsi, sussistendone i presupposti, di un contenuto di condanna dell’amministrazione a provvedere (art. 117, co. 2)37. In particolare, il contenuto dell’ordine varia a seconda dell’oggetto del giudizio. Il co. 3 dell’art. 31 chiarisce, infatti, che il giudice “può” pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio quando l’inerzia concerna un’attività vincolata o quando risulti che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione: sussistendo dette condizioni, il g.a. emana una sentenza di accertamento della fondatezza della pretesa azionata e di condanna della p.a. ad emanare il 34 Si tratta di alcune argomentazioni riportate a sostegno della tesi (che però viene poi confutata dal medesimo Collegio giudicante) in Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 985. Cfr. Cons. St., sez. VI, 12 ottobre 2010, n. 7432, cit., secondo cui il ricorso avverso il silenzio può essere proposto solo successivamente al decorso dei termini previsti per la conclusione del procedimento, “non potendosi ritenere integrata, prima della scadenza di tale termine, un'ipotesi di silenzio inadempimento in relazione all'obbligo per l'Amministrazione di concludere il procedimento nei termini previsti, essendo il giudizio sul silenzio diretto esclusivamente ad accertare se il silenzio serbato dalla P.A. sull'istanza del privato violi o meno l'obbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto con l'istanza stessa”; detta violazione, in pendenza del termine assegnato all'amministrazione per provvedere, non è configurabile. 35 Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 985. 36 Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 985. Cfr., inoltre, TAR Sicilia, sez. II, 1 giugno 2012, n. 1115. 37 F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice, cit., 384. provvedimento richiesto38; in tutte le altre ipotesi la sentenza ha ad oggetto l’accertamento dell’obbligo di provvedere e la condanna della p.a. a provvedere. Le disposizioni del Codice costituiscono l’esito di un lungo dibattito dottrinario e giurisprudenziale in ordine all’ampiezza del sindacato del g.a. sull’inerzia della p.a. Si è già riferito di come, anteriormente alla l. n. 205 del 2000, e, quindi, in mancanza di una norma processuale specifica in tema di tutela avverso l’inerzia della p.a., la giurisprudenza avesse ritenuto ammissibile la contestazione, tramite ordinario ricorso al TAR, del silenzio e fosse giunta, per ragioni di effettività della tutela giurisdizionale, ad affermare, se pure con riferimento ai soli atti vincolati, la possibilità per il g.a di non limitarsi ad accertare l’illegittimità del silenzio serbato, ma di estendere la propria cognizione alla fondatezza della pretesa del ricorrente39. A tanto la giurisprudenza era giunta attraverso una diversa considerazione dell’interesse tutelato dall’azione contro il silenzio rifiuto: a fronte del precedente indirizzo che attribuiva all’interesse fatto valere in giudizio una rilevanza meramente procedimentale, che si concretizzava nella pretesa all’osservanza dell’obbligo di procedere e di concludere il procedimento con una qualsiasi determinazione espressa, venne evidenziato che l’interesse ad ottenere un provvedimento amministrativo esplicito trova il proprio fondamento nell’interesse legittimo, in quanto situazione sostanziale; ciò comporta che, nell’agire contro il silenzio rifiuto, il ricorrente introduce nel giudizio anche l’interesse sostanziale alla cui tutela ambisce, in quanto fondamento dell’interesse all’emanazione di un provvedimento che definisca per la prima volta il rapporto con il soggetto pubblico40. La maggiore attenzione per l’effettiva consistenza della situazione soggettiva dedotta in giudizio fu la premessa per una rinnovata concezione dello stesso oggetto del giudizio contro il silenzio, dal momento che il riconosciuto ingresso dell’interesse sostanziale nel processo consentì “che, nei limiti in cui l’inerzia riguardi scelte o attività vincolate, la decisione possa e debba andare oltre il mero riconoscimento dell’obbligo di procedere, precisando anche come e quanto tale obbligo debba essere adempiuto, e che la relativa pronuncia sia suscettibile di ottemperanza”41; veniva quindi considerata ammissibile un’azione di accertamento della fondatezza della pretesa del ricorrente, con conseguente determinazione del provvedimento emanando nel caso di attività amministrativa vincolata42. L’introduzione del rito speciale di cui all’art. 21-bis nella l. n. 1034 del 1971 ad opera della l. n. 205 del 2000 aveva dato nuova linfa al dibattito sull’ampiezza dei poteri di cognizione e decisione del g.a. in tema di inerzia della p.a.: la laconicità della disciplina dettata dal legislatore legittimava le più svariate interpretazioni in ordine all’intensità del sindacato consentito. L’orientamento anteriore alla l. n. 205 del 2000 favorevole ad un ampliamento dei poteri cognitori e decisori nei casi di attività vincolata trovava giustificazione nella necessità di evitare che un ricorso avverso il silenzio, trattato con la procedura e i tempi di un ricorso ordinario, potesse essere definito a distanza di tempo con una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza alcuna utilità sostanziale per il ricorrente: l’introduzione nel 2000 di un rito accelerato, che in tempi rapidi consentiva di dichiarare 38 G. CORSO, Art. 34, in Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, a cura di A. QUARANTA, V. LOPILATO Milano, 2011, 337. 39 Cons. St., Ad. plen., n. 10 del 1978, cit. 40 Così G. GRECO, Silenzio della pubblica amministrazione, cit., 137 41 Cons. St., Ad. plen., n. 10 del 1978, cit. 42 Cfr. Cons. St., sez. VI, 26 febbraio 1982, n. 92, in Cons. St., 1984, I, 174: “l’obbligo di provvedere non va dichiarato in astratto, ma in relazione alla domanda: che non è di una pronuncia purchessia, ma di una pronuncia positiva di un provvedimento satisfattorio dell’interesse che si fa valere”; Id., sez. V, 19 luglio 1989, n. 434, in Giur. it., 1990, III, 1, 64, dove si legge che “alla luce della primaria esigenza di effettività della tutela giurisdizionale, va considerato che l’interesse sostanziale del ricorrente, ovverosia l’interesse ad una decisione satisfattoria della sua pretesa, addirittura mancherebbe, ove si volesse vederne l’oggetto in una mera declaratoria di illegittimità del silenzio. Il ricorrente aspira infatti ad ottenere il bene della vita o l’utilità domandati, sicché il giudice deve delibare la fondatezza della pretesa azionata, onde pronunciare – se ne ricorrono i presupposti – sentenza realmente satisfattoria dell’interesse vantato”; Id., 12 marzo 1996, n. 3251, in Cons. St., 1996, I, 407; Id., 13 aprile 2000, n. 221, ivi, 2000, I, 962. In argomento, inoltre, le considerazioni di M.A. SANDULLI, Riflessioni sulla tutela del cittadino contro il silenzio della pubblica amministrazione, in Giust. civ., 1994, II, 485. l’obbligo di provvedere, faceva venire meno la predetta ratio giustificatrice di un sindacato più intenso. Investita della questione l’Adunanza plenaria, il Supremo Consesso della giustizia amministrativa43 aderì all’orientamento restrittivo, fondando la propria interpretazione del neo introdotto rito, da un lato, su argomenti di tipo esegetico (quali l’individuazione testuale dell’oggetto del ricorso nel “silenzio”, senza alcun riferimento alla pretesa sostanziale, e la terminologia usata in quanto, ove fosse stato consentito al giudice stabilire il contenuto del provvedimento emanando, il legislatore non avrebbe utilizzato il verbo “provvedere” per l’attività successiva alla sentenza di cognizione) e, dall’altro, su considerazioni di più ampio respiro, rilevando come l’interpretazione restrittiva della norma si imponesse per la sua conformità “al principio generale che assegna la cura dell’interesse pubblico all’amministrazione e al giudice amministrativo, nelle aree in cui l’amministrazione è titolare di potestà pubbliche, il solo controllo sulla legittimità dell’esercizio della potestà”, dovendo altrimenti supporre, al di fuori di un’espressa previsione normativa, che il g.a. fosse stato investito, in deroga al ricordato principio, di una giurisdizione di merito. Peraltro, la lettura restrittiva del nuovo rito veniva estesa non solo ai casi in cui il provvedimento ambito dal privato avesse natura discrezionale, ma anche alle ipotesi in cui esso avesse natura vincolata (conclusione argomentata per l’assenza nel testo normativo di elementi che potessero fare ritenere i poteri cognitori del giudice variamente estesi a seconda del tipo di potestà esercitata dall’amministrazione, nonché per l’identità formale della situazione soggettiva dell’amministrazione - chiamata comunque ad esercitare una potestà amministrativa - e del privato - titolare in ogni caso di un interesse legittimo -, alla quale non può che corrispondere un’identità di tutela giurisdizionale). Alla critica tesa ad evidenziare una diminuzione dell’effettività della tutela rispetto all’orientamento giurisprudenziale precedente veniva replicato che l’efficacia della tutela offerta va valutata tenendo conto dell’“obiettivo sollecitatorio” e del risultato conseguibile, vale a dire tenendo conto “sia dell’abbreviazione dei termini sia della possibilità di ottenere la nomina del commissario ad acta nel corso dello stesso giudizio, senza necessità di promuovere un giudizio di ottemperanza”. Dalla natura del rito così ricostruita, la giurisprudenza aveva fatto discendere precisi corollari processuali (che saranno oggetto di analisi infra, in relazione alle novità recate dal Codice): l’adozione di qualsiasi provvedimento da parte dell’amministrazione, in quanto esercizio del potere amministrativo, determinava l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso a seconda che intervenisse, rispettivamente, prima o dopo la proposizione del ricorso; l’inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il provvedimento sopravvenuto sfavorevole; l’improponibilità di domande risarcitorie nel rito speciale; l’impugnativa degli atti del commissario ad acta, nominato dal giudice, in sede ordinaria di legittimità, e non già con reclamo al giudice del silenzio. Nel dibattito sull’ampiezza dei poteri decisori e cognitori del giudice – che la decisione della Plenaria non aveva comunque sopito – è poi intervenuto il legislatore nel 2005 (art. 3, co. 6-bis, d.l. n. 35 del 2005, convertito in l. n. 80 del 2005), riscrivendo – non il testo della norma processuale di cui all’art. 21-bis cit., ma – l’art. 2 l. n. 241 del 1990 e prevedendo che il giudice adito con il ricorso sul silenzio “può conoscere della fondatezza dell’istanza”. Esigenze di certezza avrebbero probabilmente richiesto l’utilizzo di una formula meno ambigua . Il dibattito si è aperto, infatti, su nuovi fronti: le ipotesi in cui il giudice può utilizzare detto potere; la necessità o meno di un’istanza di parte; la ravvisabilità di una nuova, implicita ipotesi di giurisdizione di merito, nel cui ambito il g.a. può sostituire le proprie valutazioni a quelle della p.a. rimasta inerte. A fronte di un orientamento giurisprudenziale minoritario, favorevole ad interpretare la nuova disposizione come attribuzione al g.a. di una nuova ipotesi di giurisdizione di merito, esercitabile su istanza di parte44, l’orientamento prevalso – e poi positivizzato nel Codice – ha fornito un’interpretazione restrittiva della norma, sul rilievo che la giurisdizione di merito, al pari di quella 43 Cons. St., Ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1, cit. CGA, 4 novembre 2005, n. 726, in Dir e giust., 2005, 47, 85; Id., 10 maggio 2007, n. 364, in Foro amm. CdS, 2007, 1629. 44 esclusiva, ponendosi come derogatoria rispetto a quella di legittimità nella trama costituzionale improntata al principio di separazione dei poteri, necessita di una puntuale e tassativa previsione normativa; sarebbe del resto irrazionale che con il rito del silenzio si potesse conseguire un risultato maggiore di quello ottenibile in un ordinario giudizio di legittimità finalizzato all’annullamento di un provvedimento illegittimo45; l’accertamento della fondatezza della pretesa nei casi di maggiore complessità sarebbe inoltre incompatibile con la struttura snella e celere del giudizio de quo. La norma, quindi, avrebbe attribuito al giudice, nei limiti della propria preesistente giurisdizione di legittimità o esclusiva, uno strumento processuale ulteriore nella stessa logica acceleratoria del contenzioso che ha ispirato l’intervento riformatore del 2000, ma utilizzabile unicamente quando, per decidere sulla fondatezza della pretesa, non sia necessario acquisire gli elementi istruttori demandati ad un procedimento amministrativo che o non si è mai svolto o si è svolto in modo incompleto, senza giungere alla sua naturale conclusione con l'emanazione del provvedimento, o non debbano essere effettuate valutazioni discrezionali non ancora compiute46. Pertanto, in base alla giurisprudenza formatasi successivamente alle modifiche del 2005, il giudice poteva conoscere dell’accoglibilità dell’istanza: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché fossero richiesti provvedimenti amministrativi vincolati, “in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni, e fermo restando il limite della impossibilità di sostituirsi all’amministrazione (in altri termini si potrà condannare l’amministrazione ad adottare un provvedimento favorevole dopo aver valutato positivamente l’an della pretesa ma nulla di più)”; b) nell’ipotesi in cui l’istanza fosse manifestamente infondata, sicché risultasse del tutto diseconomico obbligare la p.a. a provvedere47. In giurisprudenza si affermava ulteriormente che “è sicuramente escluso che il giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza dell'istanza possa sostituirsi all'amministrazione nel compimento di attività discrezionali …; quando invece venga in rilievo un'attività vincolata, la verifica in questione è possibile se essa non postuli accertamenti valutativi complessi; infatti, ove il compimento da parte del giudice in luogo dell'amministrazione dell'attività valutativa occorrente a verificare se l'interessato abbia o meno titolo a quanto richiede comporti la necessità di articolati adempimenti istruttori, questi allungherebbero e complicherebbero inevitabilmente il processo, così frustrando funzione fondamentale e scopo della introduzione del giudizio sul silenzio (oltre che lo stesso interesse del ricorrente), che sono quelli di far ottenere in tempi brevi una regolazione espressa del rapporto che, ove favorevole, eliminerebbe ogni contrasto e, ove sfavorevole, sarebbe impugnabile dall'interessato in sede di legittimità”48. 45 Cfr. F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2012, 412: l’inquadramento nella giurisdizione di merito “avrebbe significato ammettere un sindacato di merito del giudice amministrativo senza alcuna predeterminazione oggettuale del suo ambito, essendo sufficiente riscontrare un comportamento omissivo dell’amministrazione, con palese violazione del principio di separazione tra attività amministrativa e giurisdizionale”; R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale, cit., 610: “a differenza delle altre ipotesi di giurisdizione di merito, nelle quali sussiste a monte una determinazione amministrativa che il giudice è chiamato a verificare anche sotto il profilo dell’opportunità, nel giudizio contro il silenzio non c’è alcun provvedimento, sicché il giudice amministrativo, agendo direttamente come amministratore, avrebbe esercitato per la prima volta la discrezionalità amministrativa”; R. GIOVAGNOLI, Il ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione nelle recenti evoluzioni legislative e giurisprudenziali, in Temi di diritto amministrativo, a cura di R. CHIEPPA, Milano, 2006, 376. Cfr., inoltre, R. DE NICTOLIS, I riti speciali, in Giorn. dir. amm., 2010, 1151; V. PARISIO, F. GAMBATO SPISANI, G. PAGLIARI, I riti speciali, cit., 663. 46 Cons. St., sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487, cit.; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 5 luglio 2010, n. 2782, in Foro amm.TAR, 2010, 2326; TAR Lazio, Roma, sez. II, 5 luglio 2010, n. 22601, ivi, 2462. 47 Cons. St., sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318, in Foro amm. CdS, 2007, 2318; Id., sez. IV, 10 ottobre 2007, n. 5310, ivi, 2781; TAR Lazio, Roma, sez. I-ter, 12 maggio 2010, n. 10900, in Giur. merito, 2010, 2309. 48 TAR Lazio, Latina, 12 aprile 2006, n. 249, in Foro amm.-TAR, 2006, 1392 (nella fattispecie il TAR ha escluso la possibilità di verificare la sussistenza o meno dei presupposti per il rilascio al ricorrente della concessione edilizia in sanatoria); TAR Lazio, Roma, sez. III, 10 agosto 2010, n. 30567, ivi, 2010, 2502; Id., sez. II, 5 luglio 2010, n. 22601, ivi, 2010, 2462; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 4 giugno 2010, n. 1051, ivi, 2178 (“La nuova disciplina di cui alla l. 11 febbraio 2005 n. 15, che ha modificato l'art. 2, l. n. 241 del 1990, che stabilisce la facoltà (e non impone un dovere) del giudice di provvedere sull'oggetto del giudizio sostituendosi all'Amministrazione inadempiente, può trovare Il Codice tiene conto del dibattito di cui sono state riferite le linee essenziali e chiarisce, all’art. 31, co. 3, le ipotesi in cui il g.a. può conoscere della fondatezza della pretesa. L’iter di redazione del Codice ha peraltro registrato una serie di modifiche alle norme relative all’azione in questione, di cui è opportuno rendere conto. Il testo licenziato dalla Commissione speciale appositamente costituita ed inviato al Governo nel febbraio 2010 includeva nel Libro I, nel Capo dedicato alle “Azioni e domande”, l’azione di adempimento, avente ad oggetto, tra l’altro, la richiesta di condanna dell'amministrazione all'emanazione del “provvedimento richiesto”: in particolare, veniva prescritto che, ove proposta, essa dovesse essere contestuale all’azione avverso il silenzio; nell’articolo specificamente dedicato al contenuto della “Sentenza di merito” veniva poi stabilito che, in caso di accoglimento del ricorso il giudice, “se è stata proposta anche l’azione di adempimento e se ritiene che sussistano i presupposti per una decisione sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, condanna l’amministrazione all’emanazione, entro un termine, del provvedimento … omesso”; veniva opportunamente precisato che “il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio quando si tratta di attività vincolata o accerta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione”. Il sistema di tutela avverso il silenzio delineato in questa prima versione del Codice era articolato, pertanto: nell’azione autonoma avverso l’inerzia, avente ad oggetto esclusivo l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere – e trattata con il rito celere e speciale - e nell’azione di adempimento, esercitabile contestualmente e finalizzata ad ottenere la condanna della p.a. ad adottare il provvedimento omesso. Veniva inoltre specificato che, in caso di contestuale proposizione dell’azione di adempimento, il giudice potesse disporre, anche su istanza di parte, la conversione del rito camerale in ordinario. Nel testo definitivo del Codice entrato in vigore nel settembre 2010 l’azione di adempimento non era più menzionata nell’elenco delle azioni, mentre la possibilità del giudice di pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza veniva inserita nella disciplina dell’azione avverso il silenzio (art. 31), senza più menzione del potere del giudice di convertire il rito in ordinario. Va preliminarmente sottolineato (seppure rinviando alla apposita trattazione in argomento) che, nonostante le non esplicite indicazioni del testo definitivo del Codice, la giurisprudenza antecedente al cd. secondo correttivo (d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160) ha ripetutamente affermato che nel Codice ha trovato riconoscimento il principio della pluralità delle azioni, tra le quali sono incluse, “nel rito in materia di silenzio-inadempimento, l’azione di condanna pubblicistica (cd. azione di esatto adempimento) all’adozione del provvedimento, anche previo accertamento, nei casi consentiti, della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31, co. da 1 a 3)”, nonché, “in presenza di un provvedimento espresso di rigetto e sempre che non vi osti la sussistenza di profili di discrezionalità amministrativa e tecnica, l’azione di condanna volta ad ottenere l’adozione dell’atto amministrativo richiesto” (desunta dal combinato disposto degli artt. 30, co. 1, e 34, co. 1, lett. c)49. E ciò in ragione della trasformazione del giudizio amministrativo, “ove non si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione”, in giudizio sul rapporto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Il secondo correttivo al Codice ha infine positivizzato i principi affermati dalla giurisprudenza tramite l’integrazione del testo del citato art. 34, co. 1, lett. c), con senz'altro applicazione nelle ipotesi in cui l'inerzia riguardi attività di tipo vincolato, oppure sussista un comportamento processuale dell'Amministrazione di non contestazione della pretesa del ricorrente, oppure vi sia certezza in ordine alla definizione della controversia sulla base di semplici accertamenti di fatto e di diritto, mentre risulta non applicabile tutte le volte in cui sia necessario instaurare un procedimento istruttorio più complesso, condizionato dall'adozione di atti e provvedimenti”); TAR Catania, Sicilia, II, 7 aprile 2010, n. 961, ivi, 1491; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 14 ottobre 2011, n. 1766, cit., che richiede affinché il giudice possa pronunciarsi sulla fondatezza o meno della pretesa la “completezza della controversia sotto il profilo documentale ed istruttorio e la sua manifesta fondatezza od infondatezza”. 49 Cons. St., Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3, in Dir. & giust., 2011, 12 aprile; Id., 29 luglio 2011, n. 15, in Riv. giur. edil., 2011, 513. la previsione che “L'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all'articolo 31, co. 3, contestualmente all'azione di annullamento del provvedimento di diniego o all'azione avverso il silenzio”. In tale contesto, quindi, l’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. si inquadra nella categoria processualistica generale dell’azione di adempimento, trattandosi di un’azione tesa ad ottenere la condanna all’adempimento di un facere pubblicistico generico (ossia il provvedere) e, in determinati casi, di quello specifico (ossia l’emanazione del provvedimento che attribuisce l’utilità cui il privato aspira)50. Il sindacato più intenso del giudice amministrativo viene circoscritto alle ipotesi di “attività vincolata o quando non residuino margini di discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione” (art. 31, co. 3). Detto limite è peraltro ricavabile anche dalla non menzione del rito avverso l’inerzia tra le ipotesi tassative di giurisdizione di merito riordinate - in attuazione di una specifica indicazione della legge delega (art. 44 l. n. 69 del 2009) - nell’art. 134 del medesimo Codice; ne consegue che, anche in caso di sindacato più intenso, il giudice può unicamente condannare l’amministrazione ad adottare un provvedimento favorevole dopo aver valutato positivamente l’an della pretesa, ma non può direttamente sostituirsi alla p.a. nell’adozione del provvedimento richiesto. Rimane aperta – in conseguenza delle modifiche apportate al testo licenziato dalla Commissione speciale - la questione della necessità o meno di un’apposita domanda del ricorrente affinché il giudice possa conoscere della fondatezza della pretesa (e, quindi, se tale potere debba o meno essere coordinato con il principio dispositivo). In giurisprudenza prevale l’orientamento che ritiene necessaria la domanda di parte e che interpreta il termine “può” nel senso che al giudice è rimessa la valutazione della ricorrenza dei presupposti la cui presenza soltanto consente di decidere sulla fondatezza della pretesa51. Peraltro, si ritiene che il giudice possa pronunciarsi sull’accoglibilità dell’istanza non solo nelle ipotesi di fondatezza della richiesta di provvedimenti vincolati (ab origine o perché non residuano ulteriori margini di discrezionalità), ma anche nei casi di manifesta infondatezza della stessa e, in tale seconda ipotesi, a prescindere dalla circostanza che il ricorrente abbia formulato domanda di adempimento specifico o abbia richiesto l’emanazione di una pronuncia di mera condanna a provvedere: in tale caso, infatti, la pronuncia del giudice potrebbe essere, d’ufficio, di inammissibilità per carenza di interesse, non avendo il privato alcun interesse ad ottenere una sentenza che condanni l’amministrazione a provvedere su un’istanza infondata52. La possibilità di verificare nel merito la fondatezza della pretesa è, dunque, demandata al prudente apprezzamento del giudice. L’analisi delle ipotesi in cui ciò è possibile necessita di un approfondimento: in base al ricordato prevalente orientamento giurisprudenziale antecedente il Codice, il sindacato più intenso poteva essere esercitato nelle sole circostanze in cui non solo venisse in rilievo un’attività vincolata, ma la fondatezza della pretesa apparisse ictu oculi e di immediata evidenza, risultando, al ricorrere di queste condizioni, irragionevole e contrario a principi di economia processuale rimettere ad un successivo eventuale giudizio la definizione di una controversia allo stato già risolvibile (o, ipotesi speculare, in caso di manifesta infondatezza, risultando diseconomico obbligare la p.a. a provvedere 50 Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 985. Cons. St., sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487, cit.: “L’espressione “può” implica il permanere di limiti al sindacato giurisdizionale, anche perché il giudizio sul silenzio ha pur sempre carattere semplificato, sicché, ove siano necessari complessi accertamenti istruttori, il giudice non può che limitarsi a verificare l’esistenza di un obbligo di provvedere e a dare impulso ai successivi adempimenti di competenza dell’Amministrazione”. 52 R. CHIEPPA, Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2010, 229; F. CARINGELLA, R. GIOVAGNOLI, Il nuovo giudizio sul silenzio rifiuto dopo la legge 80/2005, in Trattato di giustizia amministrativa, II, Le tecniche di tutela nel processo amministrativo, a cura di F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, Milano, 2005, 108. In giurisprudenza TAR Puglia, Bari, sez. III, 25 novembre 2011, n. 1801. 51 espressamente con un provvedimento di rigetto dell’istanza, foriero di ulteriore possibile contenzioso)53. In base all’art. 31 il giudice conosce della fondatezza della pretesa non solo in caso di “attività vincolata”, ma anche “quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità”54 e, in entrambi i casi, quando “non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dalla p.a.”55. Solamente riferendo detta ultima condizione anche al caso di attività vincolata, la cognizione della pretesa risulta compatibile con la natura speciale ed accelerata del rito 56 (essendo venuta meno la previsione della conversione del rito in quello ordinario, contenuta nella versione del Codice elaborata dalla Commissione speciale e poi, come ricordato pocanzi, modificata). Peraltro, è da condividere l’interpretazione dottrinale che, allo scopo di evitare che una rigida interpretazione della norma circoscriva eccessivamente il potere giudiziario di apprezzamento della fondatezza della pretesa, ritiene che quest’ultimo possa essere esercitato ogniqualvolta gli adempimenti istruttori residui concernano accertamenti di fatti c.d. semplici 57. Con specifico riferimento all’ipotesi in cui non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità, essa ricorre allorquando venga in rilievo un potere che, pur essendo nel complesso discrezionale, si connoti per avere espresso l’amministrazione procedente, nel caso specifico, il proprio giudizio valutativo, residuando soltanto, in mancanza di adempimenti istruttori complessi da effettuare, lo svolgimento di attività regolamentate in tutti i loro aspetti dalla legge58. Con specifico riferimento al sindacato sulla discrezionalità tecnica, il potere del giudice di decidere della fondatezza dell’istanza dovrebbe arrestarsi a fronte di valutazioni tecniche opinabili che non siano già state svolte dalla p.a.59. 6. Procedimento. 53 Cons. St., sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487, cit.: “non può sorgere alcuna pretesa di valutazione della fondatezza dell’istanza se, per essa, è necessario acquisire gli elementi istruttori demandati ad un procedimento che o non si è mai svolto o si è svolto in modo incompleto, senza giungere alla sua naturale conclusione con l’emanazione del provvedimento”. 54 Cfr. F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo, cit., 412, secondo cui la ragione della “aggiunta” dell’ipotesi di discrezionalità “esaurita” “sta nella consapevolezza che tra i due poli del provvedimento interamente vincolato e interamente discrezionale spesso si collocano attività che partecipano, in vario modo, per la complessità dei procedimenti, di entrambe le caratterizzazioni che connotano l’azione della p.a. Se, in ipotesi, l’amministrazione procedente ha già esercitato le scelte discrezionali (e ciò risulta formalmente, ad esempio, dal contenuto di un atto istruttorio) deve essere consentito al giudice di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa”. 55 TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 13 dicembre 2011, n. 5797, in Foro amm.-TAR, 2011, 4053: “la facoltà del giudice amministrativo di valutare l'accoglibilità della istanza è esperibile solo laddove venga in rilievo un'attività interamente vincolata della P.A., ossia quando l'esito del procedimento resti direttamente prefigurato dalla legge, come quando l'autorità amministrativa è tenuta a svolgere una semplice verifica tra quanto ipotizzato dalla legge e quanto presente nella realtà, sicché il suo modus procedendi si profili quale meccanismo automatico ad esito certo. Diversamente il sindacato del giudice amministrativo è da escludersi qualora sia richiesta la conoscenza di specifiche conoscenze tecniche o l'elaborazione di valutazioni complesse, poiché ciò comporterebbe un'inammissibile sostituzione del giudice alla p.A., in contrasto con i principi costituzionali riguardanti i poteri del giudice amministrativo e la salvaguardia della riserva di amministrazione”; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 22 dicembre 2010, n. 4828, in Foro amm.-TAR, 2010, 4062. 56 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale, cit., 614. 57 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale, cit., 614-615. 58 Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 5 marzo 2011, n. 324, cit.; Id., 13 giugno 2011, n. 899, in Foro amm.-TAR, 2011, 2115. In dottrina V. CERULLI IRELLI, Giurisdizione amministrativa e pluralità delle azioni (dalla Costituzione al Codice del processo amministrativo), in Dir. proc. amm., 2012, 436. 59 TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 8 ottobre 2010, n. 18124, in Foro amm.-TAR, 2010, 3311 (“Non è configurabile uno scrutinio sulla fondatezza della pretesa di abbattimento delle opere abusive ad opera del giudice amministrativo, in quanto in casi del genere si imporrebbero complessi accertamenti e valutazioni di ordine tecnico, incompatibili con la struttura semplificata del giudizio avverso il silenzio della p.a. e della decisione destinata a definirlo, né, comunque, surrogabili in sede giurisdizionale, siccome rispondenti ad attività procedimentali mai svolte dall'Amministrazione comunale”). In dottrina F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo, cit., 413. Conformemente a quanto già previsto dall’art. 2, co. 8, l. n. 241 del 1990, nel testo risultante dalle modifiche apportate nel 2005, il ricorso avverso l’inerzia è proponibile anche senza previa diffida. Come noto, anteriormente alle modifiche apportate dalla l. n. 15 del 2005 e confermate dal d.l. n. 35 del medesimo anno (convertito in l. n. 80 del 2005), nonostante l’art. 2 l. n. 241 del 1990 disponesse espressamente l’obbligo di provvedere entro termini predefiniti e certi, la giurisprudenza aveva continuato a subordinare la presentazione del ricorso avverso l’inerzia dell’amministrazione ad una diffida e messa in mora dell’amministrazione (ai sensi dell’art. 25 d.p.r. n. 3 del 1957), secondo il meccanismo delineato dall’Adunanza plenaria nella già citata decisione n. 10 del 1978. Detta soluzione – dovuta, anteriormente alla l. n. 241 del 1990, alla necessità di fissare un termine certo finale ai fini della formazione del silenzio-inadempimento – continuava anche dopo la legge generale sul procedimento ad essere seguita in ragione, da un lato, della funzione deflattiva del contenzioso che la diffida svolge e, dall’altro, perché, in un contesto in cui si riteneva che il ricorso avverso l’inerzia dovesse essere proposto nel termine decadenziale, impediva che il silenzio diventasse incontestabile nonostante il privato non avesse conoscenza della sua formazione. Nel 2005 il legislatore ha riscritto l’art. 2 l. n. 241 del 1990, prevedendo espressamente che il ricorso avverso il silenzio della p.a. ex art. 21-bis “può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente” (facendo contestuale chiarezza sulla non applicabilità del termine decadenziale di sessanta giorni, come pocanzi riferito). La notificazione di un’apposita diffida costituisce, pertanto, nell’attuale contesto una mera facoltà della parte interessata (eventualmente valutabile, ai sensi dell’art. 1227 c.c., ai fini della decisione della domanda di risarcimento del danno c.d. da ritardo, ai sensi dell’art. 30, co. 3). Il Codice precisa che il ricorso deve essere notificato, oltre che all’amministrazione rimasta inerte, ad almeno uno dei controinteressati nel termine di cui all’art. 31, co. 2 (trovando poi applicazione l’art. 27 e l’ivi disciplinato potere di integrazione del contraddittorio da parte del giudice). Viene così codificato l’orientamento giurisprudenziale che, in mancanza di un’espressa indicazione al riguardo nel previgente art. 21-bis cit., aveva affermato l’onere del ricorrente di notificare il ricorso anche al controinteressato in considerazione della valenza generale della regola del contraddittorio e sulla base della valorizzazione delle esigenze di tutela e di garanzia processuale dei soggetti titolari di posizioni antitetiche a quelle del ricorrente: se è vero, infatti, che la regola che imponeva la notifica del ricorso ai controinteressati di cui all'art. 21 l. n. 1034 del 1971 risultava concepita e formulata con specifico riferimento ai giudizi impugnatori, è anche vero che essa esprimeva il principio generale della necessaria instaurazione di un contraddittorio processuale integro - esteso cioè a tutti i soggetti direttamente interessati dall'esito del ricorso - in tutti i ricorsi (anche non preordinati all'annullamento di un provvedimento amministrativo) in cui siano individuabili soggetti titolari di un interesse contrario a quello di chi li propone e che potrebbero, pertanto, restare pregiudicati dal ricorrente60. Detta esigenza era accentuata a seguito dell’attribuzione al g.a. del potere di conoscere la fondatezza dell’istanza ad opera della l. n. 80 del 2005. Nel vigore della disciplina precedente la giurisprudenza aveva valorizzato l’esigenza del pieno rispetto del contraddittorio quantomeno con riferimento alle ipotesi in cui il ricorrente avesse invocato una statuizione del giudice nel senso dell’individuazione del contenuto del provvedimento adottando ed 60 Cons. St., sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4231, in Foro amm. CdS, 2005, 2199; TAR Sicilia, Catania, 29 settembre 2011, n. 2360; TAR Liguria, Genova, sez. II, 3 febbraio 2011, n. 207, in Foro amm.-TAR, 2011, 404; TAR Lazio, Roma, sez. II, 5 gennaio 2010, n. 48, ivi, 2010, 165; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 10 aprile 2009, n. 1947, in Giur. merito, 2009, 1111; Id., sez. VI, 2 aprile 2008, n. 1733, in Foro amm.-TAR, 2008, 1092; TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 5 febbraio 2008, n. 959, ivi, 520. Contra, Cons. St., sez. V, 3 gennaio 2002, n. 12, in Foro amm. CdS, 2002, 80. Secondo un più risalente orientamento giurisprudenziale, nei ricorsi contro gli atti di diniego, ovvero contro il silenzio della p.A., non vi sono controinteressati in senso proprio, perché il vantaggio che al terzo deriva dal diniego o dall'inerzia della p.A. è un vantaggio di mero fatto, né il diniego o l'inerzia creano posizioni nuove, ma si limitano a confermare la situazione preesistente (Cons. St., sez. V, 3 luglio 1995, n. 1011, in Cons. St., 1995, 1063 ; Id., 22 novembre 1996, n. 1384, in Foro amm., 1996, 3277). in quelle – come in materia di repressione degli abusi edilizi – in cui l’affermazione dell’obbligo di provvedere avrebbe presupposto il riconoscimento dell’abuso61. La notifica ad almeno uno dei controinteressati è attualmente prescritta dal Codice all’art. 117, senza alcuna distinzione in ordine all’oggetto del petitum: pertanto, anche in presenza di una domanda di mera condanna ad adempiere, il ricorrente è tenuto a tale incombente62. La concreta identificazione dei controinteressati può tuttavia non risultare agevole, stante l’inutilizzabilità del requisito formale come tradizionalmente inteso (vale a dire della individuazione sulla base del provvedimento impugnato63). Le ipotesi in cui l’identificazione risulta più agevole (salvo nelle altre ipotesi il potere del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio) sono quelle in cui il soggetto controinteressato sia individuabile sulla base dell’istanza presentata e rimasta inevasa (come nel caso di istanza diretta ad ottenere un provvedimento sfavorevole per il terzo64) o nel caso di ricorso avverso il silenzio proposto da un soggetto diverso dall’istante e portatore di un interesse a vedere concluso in senso negativo il procedimento avviato (come nel caso di procedimento per l’ottenimento del premesso di costruire in sanatoria e di giudizio avverso il silenzio instaurato dal confinante65). Il giudizio si svolge in camera di consiglio (art. 87); ciò implica che tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario (con esclusione di quello per la proposizione di motivi aggiunti). La camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne facciano richiesta. Il rito è il medesimo a prescindere dalla circostanza che l’azione proposta sia di “mero” adempimento o di “esatto” adempimento ad emanare il provvedimento richiesto. Il ricorso viene deciso con sentenza in forma semplificata (art. 117). In caso di accoglimento, totale o parziale del ricorso, la sentenza ordina alla p.a. di provvedere entro un termine non superiore di norma a trenta giorni. Con la medesima sentenza, o anche successivamente su istanza di parte, il giudice nomina un commissario ad acta che provveda in luogo dell’amministrazione. Viene confermata, pertanto, l’articolazione del giudizio in due fasi già prevista dall’art. 21-bis cit.: prima fase di cognizione e seconda fase (eventuale, per l’ipotesi di persistente inerzia della p.a. nonostante l’ordine giudiziale di provvedere) di esecuzione che si fondono in un unico giudizio, come dimostrato dall’unicità del giudice e dalla previsione che la seconda fase ha inizio su mera istanza (e non su nuovo ricorso). Detta unicità del giudizio aveva indotto la giurisprudenza, già nel sistema previgente, a ritenere possibile - in presenza di un’espressa richiesta del ricorrente formulata nel ricorso introduttivo - la nomina in sentenza del commissario ad acta (chiamato ad intervenire solo per l’ipotesi in cui l’inerzia permanesse nonostante l’ordine del giudice) al fine di evitare al ricorrente l'inutile aggravio 61 Cons. St., sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4231, cit.; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 10 aprile 2009, n. 1947, in Foro amm.-TAR, 2009, 1190. 62 F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2012, 1138. Cfr. TAR Liguria, Genova, sez. II, 3 febbraio 2011, n. 207, cit., che riferisce l’esigenza di evocare in giudizio i soggetti titolari di un interesse contrario a quello di chi propone il ricorso avverso il silenzio “quantomeno” nei casi il cui il ricorrente invoca una statuizione del giudice nel senso dell’individuazione del provvedimento che l’amministrazione è tenuta ad adottare ovvero di provvedimenti vincolati (come ad esempio in caso di sanzioni edilizie). 63 Va peraltro osservato che l’art. 41 c.p.a., a proposito della notificazione del ricorso ordinario, richiede che il controinteressato, affinché sia parte necessaria, sia “individuato nell’atto”, mentre anteriormente al Codice il requisito formale era pacificamente inteso come soddisfatto sulla base della mera “individuabilità” sulla base dell’atto. 64 R. GAROFOLI, G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2010, 619. 65 V. FIASCONARO, I riti camerali nel codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2011; F. FRACCHIA, M. OCCHIENA, Art. 31, in Codice del processo amministrativo, a cura di R. GAROFOLI e G. FERRARI, Roma, 517. di un'ulteriore istanza giurisdizionale66. Detta possibilità è stata espressamente prevista nel Codice (art. 117, co. 3). Il presupposto dell’inadempimento all’ordine giudiziale, per il passaggio alla seconda fase eventuale, è diversamente integrato a seconda che il g.a. si sia limitato ad ordinare alla p.a. di provvedere (in tale caso essendo necessario un comportamento integralmente omissivo), o abbia accertato la fondatezza della pretesa (in tale caso l’inadempimento potendo essere integrato anche in caso di adozione di un provvedimento dal contenuto difforme rispetto a quanto indicato in sentenza e, quindi, di natura violativa o elusiva)67. 7. Il commissario ad acta e il regime dei relativi atti Il co. 4 dell’art. 117 amplia l’ambito oggettivo della cognizione del giudice adito con il rito sul silenzio con una previsione ispirata ad esigenze di concentrazione della tutela giurisdizionale: al giudice è affidata, infatti, la cognizione di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario (con una previsione similare a quella relativa al giudizio di ottemperanza di cui all’art. 114, co. 6). Nella vigenza della disciplina antecedente al Codice la dottrina, interrogatasi sulla natura del commissario, quale organo straordinario dell’amministrazione o ausiliario del giudice, e sul conseguente regime giuridico dei relativi atti (contestabili, rispettivamente, con ordinario ricorso al TAR o con reclamo al giudice del rito sul silenzio), aveva ritenuto che la soluzione da accordare alle predette questioni fosse strettamente correlata a quella relativa all’ampiezza dei poteri cognitori e decisori del giudice adito con il rito ex art. 21-bis l. TAR68. La discussione ha un corrispondente nella “diatriba” dottrinale in ordine alla natura giuridica del commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza; anche con riguardo al giudizio di ottemperanza, la necessità di un’indagine sulla natura del commissario è stata avvertita come stringente al fine di individuare il regime di impugnazione dei relativi atti tra le due alternative del ricorso ordinario di legittimità o del ricorso al medesimo giudice dell’ottemperanza: tali strumenti di tutela presuppongono, rispettivamente, la natura amministrativa o giurisdizionale degli atti commissariali. Con specifico riferimento al giudizio di ottemperanza l’orientamento giurisprudenziale prevalso anteriormente alle novità apportate dal Codice operava una distinzione nell’attività commissariale tra attività di esecuzione delle prescrizioni vincolanti del giudice ed attività costituente autonomo esercizio di poteri amministrativi non delimitati da alcun vincolo ricollegabile al giudicato e, pertanto, connotati da profili discrezionali (c.d. teoria mista)69. Con riguardo all’azione avverso l’inerzia della p.a., laddove la pronuncia del giudice si limiti ad accertare l’obbligo della p.a. di provvedere, il merito della questione viene valutato per la prima volta dal commissario, il quale, non potendo desumere dalla sentenza alcuna indicazione su come avrebbe dovuto svolgersi l’attività amministrativa, opererà in via autonoma, non nella veste di longa manus del giudice, quanto piuttosto di sostituto dell’amministrazione, i cui atti costituiscono autonomi provvedimenti amministrativi, impugnabili con ricorso giurisdizionale ordinario70. Tale 66 TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 dicembre 2008, n. 3148, in Foro amm.-TAR, 2008, 3250. Contra: Cons. St., sez. V, 14aprle 2009, n. 2291, in Foro amm. CdS, 2009, 987; Id., sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6110, ivi, 2011, 3403; TAR Puglia, Bari, sez. I, 22 luglio 2010, n. 3144, in Foro amm.-TAR, 2010, 2602. 67 F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2012, 1141. 68 Si rinvia a G. MARI, Il commissario ad acta nel rito sul silenzio quale organo straordinario dell'amministrazione, in Foro amm.-TAR, 2003, 750. 69 Nel dettaglio, anteriormente al Codice, per la giurisprudenza amministrativa relativa al giudizio di ottemperanza, se il commissario nella sua azione era rigidamente vincolato alle statuizioni disposte in sentenza per lo svolgimento del proprio incarico, lo strumento di impugnazione dei provvedimenti commissariali era rappresentato dall'incidente di esecuzione innanzi allo stesso giudice dell’ottemperanza; diversamente, se il commissario disponeva di autonomia valutativa nell’attuazione della sentenza - tale da assimilarlo ad organo straordinario della pubblica amministrazione l'unico rimedio esperibile avverso le relative determinazioni era il ricorso ordinario: Cons. St., sez. V, 21 maggio 2010, n. 3214, in Foro amm. CdS, 2010, 1049. Per una sintesi dei diversi orientamenti Cons. St., sez. V, 28 dicembre 2011, n. 6953, in Dir. & giust., 2012, 16 gennaio. 70 Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1586, in Foro amm. CdS, 2007, 1185. soluzione appare corroborata anche dalla considerazione che nel rito sul silenzio il g.a. non è fornito di giurisdizione di merito con la conseguenza che l’attività del commissario non potrebbe essere considerata attività propria del giudice demandata al primo (come dimostrato anche dal fatto che, diversamente da quanto previsto per il giudizio di ottemperanza, la nomina del commissario costituisce doveroso incombente per l’esecuzione dell’ordine contenuto nella decisione, non potendo il giudice provvedere in luogo dell’amministrazione). Laddove, invece, il giudice conosca della fondatezza della pretesa – nei casi in cui ciò è consentito –, il commissario del rito del silenzio potrebbe essere assimilato al commissario dell’ottemperanza, ausiliario del giudice, trovando in sentenza esatta indicazione del contenuto del provvedimento adottando. Il commissario ad acta rivestirebbe nuovamente il ruolo di organo giudiziario ausiliario, attore di una fase extra iudicium, ma pur sempre giurisdizionale (trattandosi di attività sottoposta al controllo giudiziario)71. Alla luce del diverso contenuto che la sentenza conclusiva del rito sul silenzio può assumere e, soprattutto, della mancata attribuzione di una giurisdizione estesa al merito al giudice del silenzio, sembra che la previsione codicistica del potere di quest’ultimo di conoscere le questioni “inerenti agli atti del commissario” debba essere interpretata restrittivamente e limitata alle ipotesi in cui il commissario debba dare esecuzione ad una decisione che, pronunciandosi sulla fondatezza della pretesa azionata, fornisca allo stesso complete indicazioni non solo sull’an dell’esercizio del potere, ma anche sul quomodo e sul quid. Deporrebbe a favore della tesi in questione anche il dato letterale, nella misura in cui l’art. 117 dispone che “Il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario”: la verifica dell’esattezza dell’adozione presuppone indicazioni in sentenza non solo sull’an, ma anche sul quomodo72. Occorre dare conto, tuttavia, di un diverso orientamento dottrinale secondo cui il Codice, stabilendo che il giudice del silenzio conosce di tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta, comporterebbe la qualifica in ogni caso del commissario quale ausiliario del giudice e – in linea con i principi di effettività, concentrazione e ragionevole durata del processo – la conseguente contestabilità dei relativi atti dinanzi al medesimo giudice del silenzio. Peraltro, tale ricostruzione poggia sull’idea che il giudice amministrativo eserciti in tale frangente una giurisdizione estesa al merito – pur non riconosciutagli in maniera esplicita dal codificatore73. La disciplina del rito dell’ottemperanza prevede, inoltre, al citato art. 114 co. 6, che le questioni relative agli atti commissariali possano essere conosciute dal giudice dell’ottemperanza “tra le parti nei cui confronti si e' formato il giudicato” (mentre eventuali contestazioni di terzi estranei al giudicato devono essere proposte con ordinario ricorso ex art. 29 c.p.a..): quest’ultima previsione risulta applicabile, in via analogica, anche agli atti commissariali adottati nel rito sul silenzio, i quali, quindi, ove contestabili, in base all’orientamento restrittivo cui si aderisce, dinanzi al giudice del silenzio, lo saranno unicamente dalle parti del medesimo giudizio. 8. Provvedimenti sopravvenuti e motivi aggiunti. Ulteriore questione ampiamente dibattuta nel vigore della disciplina previgente e risolta dal Codice – facendo applicazione del principio della concentrazione della tutela giurisdizionale – è quella relativa alla proponibilità del ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento espresso o un atto connesso con l’oggetto della controversia che intervengano nel corso del giudizio. 71 La natura mista del commissario è affermata da: Cons. St., sez. IV, 25 giugno 2007, n. 3602, in Foro amm. CdS, 2007, 1932 72 M. DI LULLO, Tutela contro l’inerzia della Pubblica amministrazione (art. 117), in Codice del processo amministrativo, a cura di M. SANINO, Torino, 2011, 496 73 F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2012, 1143: “sussiste una stretta correlazione tra la previsione di una giurisdizione estesa al merito e la configurazione della natura dell’attività del commissario: solo ritenendo che il giudice abbia penetranti poteri gli stessi potrebbero “trasferirsi” al commissario che diventa un suo ausiliario”. Il sopravvenire del provvedimento espresso di diniego o comunque non idoneo a soddisfare integralmente la pretesa del ricorrente determina l’improcedibilità del giudizio sul silenzio per sopravvenuta carenza di interesse (parallelamente va dichiarata la cessazione della materia del contendere in caso di provvedimento sopravvenuto favorevole)74. L’orientamento giurisprudenziale prevalente ante Codice riteneva inammissibile l’impugnazione incidentale del provvedimento sfavorevole in ragione dell’incompatibilità, sul piano processuale, tra il procedimento camerale e quello ordinario75. All’orientamento più intransigente si opponeva un diverso orientamento che, richiamando il principio generale della strumentalità delle forme (codificato, ad esempio, all’art. 156, co. 2, c.p.c.), negava il carattere automatico e doveroso della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, affidando al giudice il compito di verificare se, nel caso concreto, fossero stati rispettati, o potessero essere comunque rispettati, i termini e le modalità dettati per il rito ordinario a tutela delle parti76 e ritenendo possibile, quindi, a queste condizioni, la conversione del rito. Il Codice codifica l’orientamento meno intransigente prevedendo (art. 117, co. 5) che, “se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito”. L’ammissibilità dei motivi aggiunti è correlata alla “valenza sostanziale” acquisita dalla tutela giurisdizionale nell’impianto sistematico del Codice, come “imposta dagli imperativi di efficacia e satisfattività, i quali hanno indotto una disciplina processuale improntata alla tutela del bene della vita esposto all’azione dell’amministrazione, piuttosto che all’analisi degli atti che da quest’ultima promanano”; in tale contesto, i motivi aggiunti rappresentano, in generale, “il grimaldello processuale a disposizione delle parti per condurre davanti al giudice l’intera vicenda amministrativa, pur quando essa si presenti in una sequenza di atti e fatti dotati di autonoma rilevanza ed efficacia lesiva”. La specifica disposizione recata dall’art. 117, co. 5, c.p.a. ha introdotto detto strumento anche nel rito sul silenzio, “in tal modo prediligendo”, anche in detto giudizio, “una impostazione che ha riguardo al complessivo rapporto e non al singolo episodio”77. La disposizione fornisce anche un’indiretta conferma della permanenza in capo alla p.a. del potere di provvedere, pur successivamente alla scadenza del termine (stante la natura ordinatoria di quest’ultimo) e, persino, successivamente all’instaurazione del giudizio avverso l’inerzia. La conservazione in capo alla p.a. del potere di porre fine allo stato di inerzia, vigente l’art. 21-bis l. n. 1034 cit., veniva dedotta dalla espressa previsione, ivi contenuta al co. 3, del compito del commissario di verificare, all’atto dell’insediamento, l’eventuale adozione da parte della p.a. del provvedimento tardivo pur successivamente alla scadenza del termine assegnato dal giudice; dalla 74 Tra le più recenti TAR Puglia, sez. I, 10 luglio 2012, n. 1403: “Il presupposto per l'azione contra silentium di cui all’art. 117 cod. proc. amm. (e ancor prima di cui all’art. 21-bis l. 1034/1971) è da individuarsi nella circostanza che al momento della pronuncia del giudice amministrativo perduri l'inerzia dell'Amministrazione, così che l'adozione di un qualsiasi provvedimento esplicito, in risposta all'istanza dell'interessato, rende il ricorso o inammissibile per carenza originaria dell'interesse ad agire - se il provvedimento interviene prima della proposizione del ricorso - ovvero improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, se il provvedimento interviene nel corso del giudizio instaurato”. La sentenza aggiunge che “Il sopravvenuto preavviso di diniego dell’istanza di cui all’art. 10 bis l.241/90, per quanto atto di natura pacificamente endoprocedimentale … ha comunque determinato l’interruzione del suesposto stato di inerzia, con conseguente improcedibilità, ex art. 35 comma 1 lett. c) cod. proc. amm., per sopravvenuto difetto di interesse”. 75 Cons. St., sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 773, in Foro amm. CdS, 2010, 296; Id., sez. V, 11 gennaio 2002, n. 144, in Foro it. 2002, III, 227 , con nota di A. TRAVI, Giudizio sul silenzio e nuovo processo amministrativo; Id., 4 marzo 2008, n. 897, in Foro amm. CdS, 2008, 824; Id., sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1586, cit.; TAR Campania, Napoli, sez. V, 17 settembre 2008, n. 10246, in Foro amm.-TAR, 2008, 2533; T. A. R. Campania Napoli, sez. VIII, 8 ottobre 2010, n. 18123, ivi, 2010, 3310. 76 Cons. St., sez. V, 10 aprile 2002, n. 1974, in Foro amm. CdS, 2002, 924 ; Id., 4 marzo 2008, n. 897, ivi, 2008, 824. 77 Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 985. disposizione dell’art. 21-bis parte della giurisprudenza ricavava, altresì, l’esautoramento del potere della p.a. una volta insediatosi il commissario78. Analoga previsione non è riprodotta dal Codice, dando adito al dubbio che, anche successivamente all’insediamento - come parte della giurisprudenza ritiene con riguardo al giudizio di ottemperanza79 –, la p.a. conservi il potere in concorrenza con il commissario. 9. Domanda risarcitoria e mutamento del rito. Ulteriore ipotesi in cui il giudice dispone la conversione del rito, da speciale ad ordinario, è disciplinata dal co. 6 dell’art. 117: qualora l’azione per il risarcimento del danno subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (di cui all’art. 30, co. 4) sia proposta congiuntamente all’azione avverso il silenzio, il giudice “può definire” quest’ultima con il rito camerale e trattare con rito ordinario la domanda risarcitoria. L’interpretazione letterale della norma potrebbe indurre alla conclusione che essa attribuisca al g.a. la facoltà di scegliere, con apprezzamento discrezionale, se conoscere della domanda risarcitoria nel rito speciale o in quello ordinario, in ragione della maggiore o minore complessità della valutazione degli elementi soggettivi ed oggettivi della responsabilità80. Tuttavia, è preferibile l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza secondo cui la norma ammette la proponibilità contestuale delle due domande e, a differenza di quanto previsto per l’impugnazione del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una conversione obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere con rito camerale l’azione avverso il silenzio, rinviando comunque al rito ordinario la trattazione della domanda risarcitoria81. 10. Azione avverso il silenzio e segnalazione certificata di inizio attività. Il c.d. primo correttivo al Codice (d.lgs. n. 195 del 2011) ha integrato il co. 1 dell’art. 31 c.p.a. disponendo che “l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere” può essere chiesto da chi vi ha interesse, non solo “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo”, ma anche “negli altri casi previsti dalla legge”. L’aggiunta è volta a coordinare la disposizione processuale in tema di azione avverso il silenzio con altre disposizioni del nostro ordinamento che consentono di attivare tale strumento di tutela anche in casi diversi da quelli esattamente inquadrabili nell’art. 2 l. n. 241 del 199082. 78 Cons. St., sez. IV, 10 aprile 2006, n. 1947, in Foro amm. CdS, 2006, 1133, dove si legge che, “se è vero che deve ammettersi che l’amministrazione rimane titolare del potere di provvedere anche tardivamente, dopo la scadenza del termine fissato dal giudice, è anche vero che all’atto di insediamento del commissario ad acta ovvero con la redazione del verbale di immissione del commissario nelle funzioni amministrative e con la sua presa di contatto con la amministrazione, si verifica un definitivo trasferimento dei poteri rimanendo precluso alla amministrazione ogni margine di ulteriore intervento”; Id., sez. V, 21 maggio 2010, n. 3214, in Foro amm. CdS, 2010, 1049; TAR Campania, Napoli, sez. II, 20 aprile 2010, n. 2033, in Foro amm.-TAR, 2010, 1385; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 9 settembre 2008, n. 1650, ivi, 2008, 2602. 79 Cons. St., sez. V, 3 febbraio 1999, n. 109, in Foro amm., 1999, 339. 80 In tale senso F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2012, 1141; R. CHIEPPA, Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2010, 530. Contra V. PARISIO, F. GAMBATO SPISANI, G. PAGLIARI, I riti speciali, cit., 663. Cfr. M. DI LULLO, Tutela contro l’inerzia della pubblica amministrazione, cit., 498, che solleva dei dubbi di compatibilità della interpretazione proposta con quanto previsto dall’art. 32 c.p.a. . 81 Cons. St., sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739, in Dir. & giust., 2011, 12 aprile. Nel medesimo senso TAR Campania, Napoli, sez. III, 28 giugno 2011, n. 3439, in Guida al dir., 2011, Dossier, 9, 74, dove si legge che “una lettura logicosistematica della disposizione … dimostra che la facoltà con essa accordata dalla legge al giudice riguarda esclusivamente la possibilità di pronunciare subito, in sede camerale, sull'inerzia della p.a., evitando il necessario rinvio di tutto il processo al rito ordinario, ivi inclusa la domanda sul silenzio, ma non anche la possibilità di trattare nella medesima sede la domanda risarcitoria, che deve necessariamente essere rimessa alla sede naturale del rito ordinario a cognizione piena. Anche tale conclusione è avvalorata, secondo il Collegio, dal citato art. 32 co. 1, come conseguenza dei richiamati principi di ammissibilità del cumulo di domande diverse e di prevalenza del rito ordinario nella trattazione della domanda risarcitoria, con la peculiarità che, nel caso del silenzio, il Codice ammette espressamente la possibilità di mantenere separata la domanda sul silenzio”. 82 F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice del nuovo processo amministrativo, 2012, 411. In particolare, viene in rilievo quanto previsto, in tema di S.C.I.A. dall’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241 del 1990 (co. inserito dall’art. 6 d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in l. n. 148 del 2011), ai sensi del quale, premesso che la S.C.I.A., così come la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, gli interessati a contestarne gli effetti “possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, co. 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”83. Al riguardo, il citato d.l. n. 138 ha superato e rimesso in discussione alcuni punti fermi in tema di tutela giurisdizionale del terzo avverso la d.i.a. fissati dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nel luglio del 201184. Il Supremo Consesso della giustizia amministrativa aveva chiarito che “la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge”. A fronte di detta qualificazione, la Plenaria aveva esaminato le possibili forme di tutela del terzo, controinteressato rispetto allo svolgimento dell’attività, giudicando non praticabili: a. l’azione avverso il silenzio-inadempimento per mancato esercizio del potere inibitorio, dal momento che “L’applicazione del rito del silenzio all’omesso esercizio del potere inibitorio doveroso è resa problematica dalla circostanza che il silenzio-rifiuto postula, sul piano strutturale, la sopravvivenza del potere al decorso del tempo fissato per la definizione del procedimento amministrativo, mentre, nella specie, lo spirare del termine perentorio di legge implica la definitiva consumazione del potere in esame”; “nel silenzio-inadempimento lo spirare del termine di legge non conclude il procedimento ma accentua il dovere della p.a. di porre fine all’illecito comportamentale permanente”, diversamente nella S.C.I.A. “l’inerzia dell’amministrazione che si protragga oltre i confini di cui all’art. 19, co. 3, della legge n. 241/1990, conclude il procedimento estinguendo il potere amministrativo di divieto”; b. il ricorso avverso il silenzio serbato a fronte dell’istanza proposta dal terzo al fine di sollecitare l’esercizio del potere di autotutela, sul rilievo della scarsa tutela del terzo in ragione del carattere ampiamente discrezionale del potere in questione; c. la sollecitazione dei poteri sanzionatori: “il potere richiamato dall’articolo 21 della legge n. 241/1990 è soggetto a stringenti limiti che lo rendono inidoneo a soddisfare, in modo effettivo e pieno, la posizione del terzo” (ad esempio, in materia edilizia la legislazione di settore consente all’amministrazione l’adozione di sanzioni pecuniarie che, per loro natura, sono inidonee a soddisfare l’interesse del terzo ad ottenere una misura che impedisca l’attività denunciata e neutralizzi gli effetti dalla stessa già prodotti). Piuttosto, l'Adunanza plenaria aveva affermato che il mancato esercizio del potere inibitorio nel termine, “producendo l’esito negativo della procedura finalizzata all’adozione del provvedimento restrittivo”, integrasse “l’esercizio del potere amministrativo attraverso l’adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio”. 83 In argomento G. GRECO, La SCIA e la tutela dei terzi al vaglio dell’Adunanza Plenaria: ma perché, dopo il silenzio assenso e il silenzio inadempimento, non si può prendere in considerazione anche il silenzio diniego?, www.giustamm.it , 2011. In giurisprudenza TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12 aprile 2012, n. 1075, che rileva come in tale caso si tratti di un’azione “contro il silenzio della P.A. tutto sommato sui generis, visto che l’esperimento della stessa è consentito anche se la presentazione della DIA/SCIA non ha dato avvio ad alcun procedimento amministrativo (a tale proposito, si comprende perché il d.lgs. 195/2011, costituente il primo decreto correttivo al codice del processo amministrativo, abbia modificato il primo comma dell’art. 31 del Codice stesso, permettendo l’azione contro il silenzio non solo dal momento della conclusione del procedimento, ma anche «negli altri casi previsti dalla legge», fra cui spicca senza dubbio quello dell’art. 19 co. 6-ter succitato)”. 84 Cons. St., Ad. plen., 29 luglio 2011, n. 15, cit.. Cfr. M.A. SANDULLI, Primissima lettura dell’Adunanza plenaria n. 15 del 2011, in www.federalismi.it., 2011, 17; V. PARISIO, Direttiva Bolkestein, silenzio-assenso, d.i.a., liberalizzazioni temperate, dopo la sentenza del Consiglio di Stato, A.p. 29 luglio 2011 n. 15, in Foro amm.-TAR, 2011, 2978. Equiparata l’inerzia ad un silenzio significativo negativo, le forme di tutela del terzo individuate dalla Plenaria erano così sintetizzabili: 1. azione di annullamento ex art. 29 c.p.a. per l’impugnazione del provvedimento tacito negativo formatosi per il mancato esercizio del potere inibitorio; 2. azione di adempimento tesa ad ottenere una pronuncia di condanna dell’amministrazione all’adozione del provvedimento inibitorio (salva la possibilità di regolarizzazione della segnalazione); 3. nell’arco temporale antecedente al decorso del termine perentorio fissato dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio (30 o 60 giorni a seconda della normativa di settore), l’unica azione esperibile a giudizio della Plenaria, “non essendosi ancora perfezionato il provvedimento amministrativo tacito e non venendo in rilievo un silenzio-rifiuto”, sarebbe stata un’azione “di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all’autorità amministrativa”. Il limite fissato dal co. 2 dell’art. 34 c.p.a che vieta l’adozione di pronunce con riguardo a poteri non ancora esercitati – veniva salvaguardato attraverso la precisazione che, fino alla scadenza del termine di esercizio del potere inibitorio, il giudice non avrebbe potuto adottare una pronuncia di merito, ma unicamente misure cautelari. In questo contesto si è inserito il citato d.l. n. 138 che, da un lato si è conformato alla Plenaria negando la natura di provvedimento tacito della S.C.I.A. e della D.I.A., ma, dall’altro, consente attualmente di esperire esclusivamente l’azione avverso il silenzio. Si tratta di un indubbio passo indietro in termini di tutela giurisdizionale del terzo: viene infatti meno la possibilità di esperire un’azione di accertamento, esercitabile, secondo la Plenaria, in pendenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio. In quest’ultimo arco temporale risultano incerte le forme di tutela del terzo, secondo taluni potendo essere sollecitato (diversamente da quanto affermato dalla Plenaria) l’esercizio del potere inibitorio, per poi ricorrere avverso il silenzio inadempimento (non essendo propriamente il termine in questione un termine del procedimento, quanto piuttosto un termine massimo di esercizio di un potere doveroso sin dalla presentazione della S.C.I.A.)85. Decorso il predetto termine, l’esercizio dell'azione avverso il silenzio non dovrebbe concernere l’esercizio del potere inibitorio (ormai consumatosi). Difficilmente potrebbe concernere inoltre il potere di autotutela (per le ragioni pocanzi esposte, sintetizzabili nell’ampia discrezionalità del potere in questione e nella mancanza di un obbligo di provvedere): anche ove ritenuta in ipotesi ammissibile, l’azione avverso il silenzio non potrebbe in queste ipotesi concernere anche la verifica della fondatezza dell’istanza. Quanto, infine, all’inerzia serbata dalla p.a. sull’istanza diretta a sollecitare l’esercizio dei poteri sanzionatori, come rilevato dalla stessa Plenaria, detti poteri non necessariamente conducono, in base alla normativa di settore, al ripristino dello status quo ante. La giurisprudenza si è recentemente occupata dei requisiti che la “sollecitazione” del potere di verifica della p.a. deve possedere: essa, “pur non dovendo contenere formule sacramentali”, deve “però possedere una serie di minimi requisiti per così dire di “serietà”, che la rendano idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento, giuridicamente rilevante, censurabile davanti al giudice amministrativo con l’azione di cui all’art. 31” cit.. In particolare, essa deve rivestire “forma scritta, con l’indicazione – seppure di massima – della lamentata illegittimità dell’intervento edilizio e con la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione”. A diversa conclusione non deve indurre la circostanza che, nel vigente ordinamento processuale amministrativo, l’azione contro il silenzio possa essere promossa 85 Cfr. TAR Veneto, sez. II, 5 marzo 2012, n. 298, che giunge alla medesima conclusione attraverso l’analisi testuale dell’art. 31, co. 1, c.p.a. che, distinguendo gli “altri casi previsti dalla legge” da quelli in cui siano “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo”, consentirebbe nei primi di agire a prescindere dal decorso dei termini per la conclusione del procedimento. anche senza previa diffida, dal momento che tale soluzione legislativa è giustificata dal fatto che la scadenza infruttuosa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 2, co. 1, l. n. 241 del 1990) equivale comunque alla formazione del silenzio inadempimento della P.A., mentre nel caso di presentazione di SCIA non viene avviato alcun procedimento amministrativo; pertanto, soltanto attraverso l’idonea sollecitazione è possibile la formazione del silenzio inadempimento dell’Amministrazione86. 86 TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12 aprile 2012, n. 1075.