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Un minatore ricorda - Comune di Roccastrada
Un minatore ricorda Florido Rosati Un minatore ricorda 11 Comune di Roccastrada >Biblioteca comunale Antonio Gamberi Quaderni della Biblioteca Comunale “Antonio Gamberi” di Roccastrada - n. 15 © Comune di Roccastrada Corso Roma, 8 - 58036 Roccastrada (GR) tel. 0564 561242 - fax 0564 561205 [email protected] www.comune.roccastrada.gr.it Produzione: C&P Adver > Mario Papalini Grafica: Rossella Cascelli Disegno di copertina: Jacopo Ginanneschi Stampa: Grafiche Vieri srl - Roccastrada Maggio 2008 Via Roma, 14 - 58031 Arcidosso (GR) Tel. e Fax 0564 967139 [email protected] www.cpadver.it Biografia Florido Rosati è nato a Montemassi (Roccastrada) il 26 ottobre 1919. La sua mamma faceva la contadina in un poderetto ed il padre integrava il lavoro nel podere con lavori stagionali: bracciante d’estate, boscaiolo d’inverno. La prima attività di Florido, ancora bambino, è stata quindi inevitabilmente legata alla terra. Nel 1936, a diciassette anni, fu assunto nella miniera di Ribolla di proprietà della Montecatini: dapprima addetto a lavori esterni e poi, nel ’37, all’interno dei pozzi. Nel 1940 fu richiamato e prestò servizio in aviazione. Nel dicembre dello stesso anno fu sbarcato a Tripoli, in Africa Settentrionale, dove partecipò ad azioni di guerra: fu rimpatriato nel ’42 e prese parte ad azioni militari sul territorio nazionale. Dopo l’8 settembre 1943 e il conseguente sfascio dell’esercito italiano, Florido tornò a Montemassi, ma con il formarsi della Repubblica di Salò e con il susseguirsi dei bandi di arruolamento del Generale Graziani, Florido, come altri giovani del paese che non vollero aderire alla Repubblica fascista, andò “alla macchia” e fece parte di un gruppo partigiano fino al passaggio del fronte avvenuto nel giugno 1944. Nel frattempo, il 10 aprile, si era sposato con Rita Bondani e dal matrimonio nasceranno Vania nel ’46 e Ivano nel ’48. Dopo il passaggio del fronte, sempre nel 1944, Florido aveva ripreso il lavoro nella miniera di Ribolla. Aveva allora dato inizio ad un’intensa attività politica e sindacale, non solo per evitare che la miniera venisse chiusa, ma anche per portare il lavoro nei pozzi a livelli più accettabili di sicurezza. In questo stesso periodo i minatori si erano alleati con i contadini della zona per la conquista della terra: la lotta durissima contro la dirigenza della miniera – che trascurava i più elementari criteri di sicurezza – si concluderà tragicamente con la terribile esplosione di grisou del 4 maggio 1954 che affretterà la chiusura dei pozzi. La miniera chiuderà, infatti, nel 1959. Florido Rosati lavorerà allora nella miniera Marchi di Ravi dal 1960 al ’63. Nel ’63, però, anche questa miniera verrà chiusa e Florido troverà lavoro come manovale edile alle dipendenze della Provincia di Grosseto: lavorerà in questo settore fino al 1969. Dal ’69 al 1978, età della pensione, ha svolto attività di cantoniere provinciale. Tutto il tempo libero che Florido è riuscito a strappare agli altri lavori, lo ha dedicato alla terra; prima in un terreno in affitto e poi in un appezzamento di sua proprietà. Florido Rosati ha sempre vissuto e vive a Montemassi. Indice Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 9 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13 Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 23 Un minatore ricorda Sintesi di quasi un secolo di storia . . . . pag. 29 Documenti e racconti . . . . . . . . . . . . . . pag. 53 Linguaggio minerario . . . . . . . . . . . . . . pag. 103 Poesie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 113 Immagini della vita . . . . . . . . . . . . . . . pag. 193 7 Premessa Premessa S e è sempre un piacere presentare un nuovo volume della Biblioteca comunale di Roccastrada (il quindicesimo in pochi anni), questa volta diventa un onore in quanto l’autore del libro è Florido Rosati, il testimone della storia del nostro territorio, “di quasi un secolo di storia”, come scrive lui. Sentire prima, leggere ora, i racconti di Florido su epoche apparentemente lontane, racconti sempre lucidi, precisi, arguti, è una lezione per tutti, da un uomo che ha combattuto sempre per la libertà e per la giustizia. Scrittore militante, come lo furono Pietro Ravagli, Antonio Gamberi e Savino Bennardi, a cui abbiamo dedicato alcune pubblicazioni curate dalla nostra biblioteca, l’amico Florido attraversa la storia del Novecento (dal fascismo, alla Resistenza, al lavoro in miniera, alla Repubblica) narrando fatti e personaggi della sua storia sempre in modo netto e dettagliato, mai retorico, ma non distaccato, anzi riuscen11 Premessa do a farci rivivere quegli ambienti e quei personaggi. Ma Florido è anche un poeta e ha pubblicazioni alle spalle; la poesia gli dà modo di analizzare il presente, scavare nelle ingiustizie e nelle barbarie umane, ma anche esprimere le sue emozioni di marito, babbo e nonno. Con l’umanità che tutti gli riconoscono. Grazie Florido. Un ringraziamento anche a Mario Papalini delle Edizioni Effigi, che da anni ci affianca nel tentativo di fornire testimonianze documentali della storia del nostro territorio, tra memorie e fatti, tra racconti e saggi. Il Sindaco Leonardo Marras 12 Introduzione Un minatore ricorda 14 Introduzione Visetti freschi di gioventù imperlati di sudore1 a cura di Gabriella Pizzetti2 H o conosciuto Florido3 nel 2005 a Ribolla, durante un lavoro sulla memoria4. Ogni settimana è arrivato puntuale ai nostri incontri, alla guida della sua auto. Occhi scoiattolo portava nel circolo di studio, rime, racconti, immagini, una volta è venuto con tre giovani laureande, tra cui la nipote, interessate allo studio delle comunità minerarie. La sua certezza di aver avuto una storia5 si accostava alle altre voci, alla mia, e riusciva a cogliere in qualche modo, nonostante alcune frizioni, la proposta di un’ulteriore storia, dove il passato diventava occasione per ritrovare un linguaggio traversato dagli affetti. Il gesto successivo di affidarmi le parole e le passioni della sua vita, dopo questo rappor15 Introduzione to umano vissuto, contiene l’immagine di una speranza, di una comunicazione possibile. Ed è bello il libro6 di Florido, pare scritto a cavallo. Con lui traversiamo cunicoli sudati, spazi ampi, aurore, deserti lontani, grisou che brucia e mari. Sentiamo il respiro degli uomini e delle idee. Con fili di lana e di seta intreccia un arazzo lungo quasi un secolo. Vediamo campi lavorati e pascolati con il bestiame, il taglio nei boschi, un’agricoltura estensiva granellosa e foraggiera. Uno ad uno compaiono i pozzi della miniera di Ribolla, pozzino Mucciarelli, pozzo Nuovo, pozzo quattro e quattro bis, pozzo Vittorio, pozzo Raffo, pozzo Camorra; le scenderie, i vagoncini basculanti, i carichi di minerale, le cernite. Vediamo7, farsi il lavoro, le lotte, le perdite infinite, la solidarietà umana, una notte d’amore sotto le stelle, nonostante tutto. Il tempo necessario per fare le cose. Prendono forma una casa, una baracca, un edificio, il cinema teatro, cumuli di fiammelle, l’acqua potabile sempre scarsa, donne che fanno il bucato nel torrente Raspollino inginocchiate sui sassi, le scelte degli uomini. Il villaggio di Ribolla si trasforma cresce di lunghe gallerie di depressioni, di cancellazioni. Poi, si bagna di nuovi eventi per la ricerca di molti8. Sono tanti i minatori dai paesi delle colline che arrivano a piedi alla miniera9. 16 Introduzione La siepe a monte dava un bel segno di civiltà, tutta di rose di vario tipo e colore, tra questa e le case dice Florido “tutti orticelli… le famiglie avevano galline, conigli, maiale e capretta… si arrangiavano per lo scarso stipendio del minatore”10. Florido sa che molte cose di cui parla potrebbero essere raccontate da altri con specifiche competenze linguistiche, storiche, tecniche. Questo non lo frena e la sua scrittura lascia trasparire la fiera consapevolezza di un’identità e un punto di vista, maturato in vari ambiti collettivi, che ha tutta la dignità di essere raccontato. Così ricrea gli eventi della sua vita, lascia trasparire passioni e tutto intreccia con i grandi fatti: il fascismo, il lavoro nelle miniere e nella terra, le guerre, la Resistenza, la nascita e lo sviluppo della Repubblica. Usa immagini parole rime e il Novecento riprende vita, dal basso. Dice “Una parte della selvaggina11 catturata la destinavamo12 ad una maestra che mi insegnò a comporre le prime parole scritte… si chiamava scuola serale e si teneva una o due volte alla settimana”. Si lascia catturare da improvvise intuizioni, giovani affetti. Come in un sogno non segue un percorso lineare; traccia note inattese rapidi versi dai tratti trasparenti che, seguendo una propria immagine, lasciano uno spazio a noi lettori di vivere ulteriori emozioni e di vedere relegato in margine il dire retorico, in agguato sempre, quando si parla del passato. 17 Introduzione Forse perché le sue parole mantengono un movimento, certi affetti13. Di piedi che attraversano campi da arare, di braccia che guidano buoi e carrelli di carbone. Di occhi curiosi. Di parole come “sovversivo” sentite e comprese dopo aver vissuto tutta una storia. Di un’immagine di donna. Del coraggio di dare il nome alle cose senza annullare il sangue e la carne di cui sono fatte. Di colazioni a cavallo tra mandrie brade, sapori e profumi mai dimenticati contro la negazione del corpo voluta da sempre dagli “oppressori”. Parole incendiate dal grisou14 che solo per caso non lo ha travolto che continuano a cercare ogni sudore ogni sogno15 dei troppi morti – annunciati – tutti insieme: come a dire “non smetto di lottare… ancora… giustizia…”… 18 Introduzione Note È l’immagine di sé, di ragazzini e giovani donne che lavoravano alla miniera: “La sera – dice Florido – sporchi di polvere di carbone quasi sempre ci davamo un bacetto e in quel momento le pulsazioni del cuore salivano alle stelle… e arrivederci al giorno successivo…” 2 Gabriella Pizzetti, antropologa grossetana, attiva in I.Qu.O.Ri (Istituto Qualità Orientamento Ricerca - [email protected] Grosseto) per la riqualificazione della memoria, banche dati, fonti orali, comunicazione, ricerca sociale. 3 Florido Rosati nasce ad Arcidosso il 26 ottobre 1919, negli anni Venti la famiglia si trasferisce nelle campagne di Montemassi, comune di Roccastrada. 4 I.Qu.O.Ri, di Sonia Gelso e Gabriella Pizzetti, ha realizzato negli anni 2005-06, attraverso fondi europei, cinque circoli di studio dal titolo Colline Metallifere. Storie di vita e di lavoro nelle località Massa Marittima, Bagno di Gavorrano, Scarlino, Ribolla, Roccatederighi. Nel lavoro sono stati coinvolti per oltre 130 ore cinquanta uomini e donne nati nel bacino minerario nei primi decenni del ’900. Scopo: far emergere, riattivare studiare aprire al futuro la relazione uomo/miniera/territorio. L’architettura progettuale ha ricevuto l’adesione del Parco Tecnologico e Archeologico delle Colline Metallifere e dei Comuni di Gavorrano, Massa Marittima, Scarlino e Roccastrada. Questo lavoro è in attesa di una definitiva approvazione. 5 L’elaborazione di questi contenuti deriva dall’applicazione del metodo “memoria condivisa” messo a punto da iquori dal 2000 nei vari ambiti: formativo, di ricerca, organizzativo. 6 Sono già alcuni decenni che gli studiosi di scienze sociali in ambito internazionale studiano le storie di vita dei ceti popolari e tradizionali: cfr Pietro Clemente: Fonti orali nella storia degli studi demologici italiani. Appunti [1981, inedito in italiano; edito in Messico: Las fuentes orales en la historia de los estudios demologicos en Italia (trad. J. Gonzales), [Estudios sobre las culturas contemporaneas, III, 8-9, 1990]; Voci su banda magnetica: problemi dell’analisi e della conservazione dei documenti orali. Note italiane. In Gli archivi per la storia contemporanea: organizzazione e fruizione. Atti del Seminario di studi, Mondovì, 23-25 febbraio 1984. Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1986; Per l’edizione critica di testi biografici orali. Appunti, Fonti orali. Studi e ricerche, IV, 1984; L’oliva del tempo. Frammenti d’idee sulle fonti orali, sul passato e sul ricordo nella ricerca storica e demologica, Thelema, III, 1986, n. 9, Autobiografia al magnetofono. Una introduzione, in 1 19 Introduzione V. Di Piazza, D. Mugnaini, Io so’ nata a Santa Lucia, Castelfiorentino, Società storica valdelsana, 1988; Ritorno dall’apocalisse (1994 - inedito); Italia: la storia orale. Una panoramica sull’ultimo quarto di secolo, L’uomo, 1995, n. 2; La postura del ricordante. Memorie, generazioni, storie della vita e un antropologo che si racconta, L’ospite ingrato, Annuario del Centro Studi Franco Fortini, II, 1999, Facendo didattica, PrimaPersona. Percorsi autobiografici, I, 1998, n. 1; Gli antropologi e i racconti della vita, Pedagogika, III, 1999, n. 11. 7 Il lavoro evoca tra tanti José Saramago, Le piccole memorie, Einaudi, Torino, 2007. “Non esiste più la casa in cui sono nato… è scomparsa in un cumulo di ruderi… questa perdita, però, ormai ha cessato di causarmi sofferenza perché, con il potere ricostruttivo della memoria, posso alzarne in qualsiasi istante le pareti bianche, posso piantare l’ulivo che faceva ombra all’entrata…”. 8 In occasione del cinquantesimo anniversario della strage di Ribolla è stata realizzata una vasta operazione socio-architettonica-culturale. Eventi, studi, pubbblicazioni, mostre, opere architettoniche hanno onorato i minatori e proposto un’ipotesi di sviluppo identitario e socio-ambientale del territorio. 9 Cfr G. Pizzetti, Espressioni laiche del ’900. Storie di vita intorno al bacino minerario di Ribolla, in Ribolla Una miniera, una comunità nel XX secolo. La storia e la tragedia, Edizioni Polistampa, Firenze 2005. “… mi hanno detto della cordialità umana… di quando i minatori tornando ai loro paesi a piedi dalla miniera giocavano alla morra e cantavano canzoni d’amore…”, p. 276. 10 L’occhio e la storia. Grosseto e la Maremma tra ’800 e ’900 nelle fotografie degli Archivi Alinari”, a cura di Leonardo Rombai, Danilo Barsanti, Alinari, Firenze, 1986. 11 Vasta sui temi di cultura agro-pastorale la bibliografia di opere curate dall’Archivio delle Tradizioni Popolari di Grosseto, Sezione Maremma. Chi scrive fa parte del comitato scientifico, presso la Biblioteca Chelliana di Grosseto. 12 Di interesse l’alterna ricorrenza nell’uso della prima persona plurale e della prima persona singolare. Il destino dell’individuo era fortemente legato al gruppo sociale di appartenenza che riproponeva spesso medesime sorti. 13 L’orizzonte scientifico nel quale muovo le mie competenze antropologiche è legato alla teoria della nascita di Massimo Fagioli, Istinto di morte e conoscenza, Nuove Edizioni Romane, Roma 1972, 2007 (12 edizione); nel lavoro trentennale propone “la ricerca e lo studio sui rapporti interumani che devono realizzare l’identità di ciascuno”, M. Fagioli, Das Unbewusste, 20 Introduzione L’inconoscibile, Lezioni 2003, Nuove Edizioni Romane, Roma 2007. Questa ricerca a cui partecipo, da oltre venti anni viene sviluppata originalmente a Grosseto, in ambito collettivo a Grosseto da Claudio Badii. 14 Il 4 maggio 1954 sono morti 43 minatori. 15 Nella presentazione al bel libro di Laura Maggi, Come una preda braccata, ExCogita, Milano, 2004, Claudio Badii, inserendolo nella vasta architettura degli eventi dice, a proposito dell’enorme enorme cubo nero realizzato in una piazza di Ribolla per raccontare la forma di una certa storia, che “l’esagerato manufatto di luce nera si pone quale superfluo della verità come giustizia… come l’ultimo minatore che ritorna e racconta perché non è riuscito a morire mai… e dice che il tempo è un volume dove la terza dimensione è l’affetto per cui nello stesso modo si può parlare del presente e del passato…” Florido parla dei suoi compagni con affetto giovane, li sentiamo accanto… fratelli visetti freschi di gioventù imperlati di sudore… 21 Prefazione 24 Prefazione C ercherò di raccontare a memoria la storia di un villaggio che non c’era, Ribolla, sopra e sotto terra. Sarò avaro di date e di cifre poiché la memoria non è un archivio, né potrò parlare del carattere tecnico della miniera perché non accessibile per chi non fu addetto ai lavori. Ad esempio: quadro, quadretto, rinterso, gorgia, cappuccia, lungherina, gamba, marciavanti, infilatura, butta, sono tutte assi di sostegno delle gallerie. Pozzo, pozzino, fornello, rimonta, scenderia, crociera sono passaggi, gallerie. Anzitutto chiedo scusa a chi leggerà i miei scritti se la forma non sarà scorrevole, se lo scritto non sarà ben composto, ortografia e grammatica comprese. Se alcune lacune troverà nel mio comporre. Sappia chi legge che io non ho mai seduto sui banchi di una scuola. Comunque ho provato a scrivere nell’intento di lasciare ai posteri un ricordo a memoria di 25 Prefazione quello che furono i trascorsi di guerra combattuta in Italia e fuori e di lavoro in miniera delle generazioni che in quell’epoca ci trovammo a vivere, combattere e lavorare. Ho pensato che questo mio raccontare voglia essere la storia di milioni di giovani, di uomini che hanno combattuto una guerra dagli innumerevoli crimini. Il resto lo raccontino gli storici se ne avranno voglia. L’opportunità non gli manca. Il lavoro in miniera, altra cosa orribile per la qualità del lavoro per la mancanza di sicurezza. Un ricordo per tutti la strage del grisou a Ribolla; in un solo colpo 43 morti. 4 maggio 1954, e il massacro delle morti bianche continua. Questi sono i due argomenti che cercherò di affrontare in versi e in corsivo. Giuro che non è per me facile affrontare cose così enormi sopportate e subite da uomini semplici e onesti lavoratori con il coinvolgimento e lo stravolgimento di fatti di carattere sociale e politico. Io ci ho provato. Tu lettore aiutami a comprendere e far comprendere il nostro triste passato. Io posso ancora dirti per la mia dura esperienza di vita, di lavoro in miniera, di guerra in Libia ed Egitto e in Italia per la libertà dagli oppressori: La guerra è l’ultima pazzia la miniera l’ultimo pane Arcidosso, Settembre 2007 Florido Rosati 26 Un minatore ricorda. Sintesi di quasi un secolo di storia Sintesi di quasi un secolo di storia Ribolla località Ribolla miniera N egli anni Venti, mio babbo si trasferì da Arcidosso a Montemassi a fare il contadino. I campi da noi lavorati e pascolati con il bestiame si estendevano fino quasi Ribolla e cioè qualche centinaio di metri dalla scenderia di San Feriolo vecchio, alla cava. Dove era stato estratto carbone a cielo aperto, sorsero i pozzi quattro e quattro bis, più a sud pozzino Mucciarelli, pozzo Nuovo, pozzo n. 6 sulla strada Montemassi-Ribolla, la scenderia Patate, nella zona dove ora ci sono le scuole, la scenderia Toga, collegata con il pozzo Costantino, in quella triangolazione fu costruito il pozzo Littorio n. 7. Sempre a sud il pozzo Raffo n. 8, più tardi Camorra n. 9 e infine il più moderno pozzo n. 10 che estrasse produzione per gli ultimi quattro-cinque anni. 31 Sintesi di quasi un secolo di storia Lungo la strada che dall’attuale consorzio agrario scende ai Laschi c’erano la scenderia Ribolla e il pozzo Ribolla, collegati tra loro più giù con il pozzo Cortese, ancora a sud il pozzo n. 2 è stato quello che ha estratto più carbone nel tempo. Ai Laschi il pozzo n. 3 servì più di tutto da ariaggio. Verso Casetta Papi altri pozzi non di grande valore. La località si estendeva lungo la strada che da Montemassi va verso Gavorrano, la strada per Giuncarico non c’era ancora. La strada di collegamento per la miniera era quella che dall’attuale consorzio agrario va ai Laschi, lungo la quale c’erano le officine, i magazzini, i depositi di legname, ecc. Lungo quelle straducole scorrevano ferrovie a scartamento ridotto dove transitavano le casse (vagoncini basculanti) che trasportavano il carbone dai pozzi e scenderie di estrazione fino alla cernita, che era collegata con il pozzo n. 2, tant’è che il carbone andava direttamente dai basculatori ai vogli della cernita (basculatori: specie di cerchi che facevano rotare i vagoni di carbone svuotandoli), quelli che andavano e venivano direttamente dal sottosuolo. Per trainare le casse verso i pozzi e scenderie vuote, c’erano muli e cavalli. In giù piene correvano da sole con sopra un ragazzo che azionava i freni per fermarle o per regolare la velocità dove la discesa fosse troppa. Nello spazio che intercorreva da un pozzo all’altro c’erano enormi cumuli di materiale di scarto delle escavazioni, varie qualità di materiale secondo gli strati scavati. Nei pressi della cernita cumuli sempre più enormi che altrove. Era quella bagaglia lo scarto della pulitura del 32 Sintesi di quasi un secolo di storia carbone. In inverno, con il periodo delle piogge, questo materiale si surriscaldava e per autocombustione incendiava. Si vedevano un po’ dovunque fiammelle e pennacchi di fumo acre (direi pestilenziale), che a seconda dei venti infestava luoghi di lavoro e abitazioni. Tutti i cumuli erano in fiammelle perpetue. Le strade più o meno campestri che collegavano i pozzi tra loro erano giornalmente percorse da carri trainati da buoi che portavano dai boschi tronchi e puntelli per i depositi della miniera; a sua volta il legname veniva distribuito ai pozzi da barrocci trasportati da muli e cavalli operanti per la stessa società, le strade in estate erano coperte di polvere e terra macinata, provocata dal transito di carri e barrocci. Per il solito passaggio in inverno le strade erano rese quasi intransitabili per il fango. Tutti gli operai, anche quelli che scendevano dai paesi vicini, viaggiavano a piedi, i più fortunati a groppa d’asino. Rare le biciclette. Le case di Ribolla erano poche e rare, i plessi più notevoli, le centurie, le camerate, le cucine, il reparto distanti tra loro e costruiti durante la guerra del 1915-18, le case nuove, e poi baracche (o quasi) sparse qua e là dove la gente si arrangiava ad abitare. Quando scendevamo a Ribolla da Montemassi, c’erano lungo la strada le case nuove e poi le altre casupole fino al primo fossetto, la siepe a monte dava un bel segno di civiltà, tutta di rose di vario tipo e colore. Tra la siepe e le case tutti orticelli, le famiglie avevano galline, conigli, maiale, capretta, si arrangiavano per lo scarso stipendio del minatore, ed erano quasi tutte numerose. A sinistra della strada, sul terrapieno, scor33 Sintesi di quasi un secolo di storia reva la ferrovia a scartamento ridotto di cui prima parlavo. Da lì in giù le scenderie Patate, Toga e il pozzo n. 6 con i loro scarichi di escavazione e le stesse fiammelle e fumi. Più avanti, dove ora c’è una banca, prospiciente alla farmacia, c’era un podere con tanti armenti di varie razze, la tipica agricoltura estensiva, granellosa e foraggiera. Così sul bivio per Giuncarico, altro contadino stesso tipo di agricoltura, altro podere il Costantino, dove ora ci sono case e campi sportivi, prima erano tutti campi seminati o pascolati da bestie, il terreno libero da pozzi, strade o cumuli di risulta, era agricolo e coltivato. A riprova di quanto fosse importante questo bacino minerario c’è ancora una baracca avvolta tra le nuove costruzioni, la strada per Giuncarico era quella, la rimessa delle grosse locomotive che trainavano i vagoni di carbone alla stazione di Giuncarico. Giù per la strada che va ai Laschi scorreva la ferrovia o diversi binari poiché il carbone veniva caricato alla cernita sotto le stesse botole collegata con il pozzo n. 2. Chi come me conobbe all’epoca la pianura di Ribolla si accorgerebbe ora che si è notevolmente abbassata per lo scarbonamento e per le decine e decine di chilometri di gallerie: una città sotterranea. Laggiù sottoterra, alla sua chiusura abbiamo lasciato milioni di metri cubi di carbone già tracciato, tanto, tanto materiale per il funzionamento della miniera, ma anche molto, troppo sangue umano di operai resi invalidi, mutilati, e tanti morti che tutt’oggi chiedono giustizia a chi da quel lavoro disastroso ne trasse enorme ricchezza. A costoro è rimasto, in ricordo, ricchezza e oro. A noi, 34 Sintesi di quasi un secolo di storia sassi e polvere conficcati nei polmoni. La silicosi a molti di noi ha tolto la vita in maniera prematura. La vita civile e sociale intorno alla miniera Scarsissima era l’acqua potabile in questa zona, le donne per lavare il bucato in estate si recavano ai torrenti Raspollino e Follonica, si inginocchiavano nell’acqua o sui sassi e lavavano. Poi con i panni sulla testa o su carriole tornavano a casa percorrendo anche più di un chilometro; in inverno raccoglievano l’acqua piovana. C’era una fontanella nei dintorni del monumento ai minatori e l’acqua da bere veniva dall’acquedotto di Montemassi, era un pisciolo nel migliore dei casi, come una sigaretta, altri che potevano camminare la prendevano alla fonte al ginepro vicino Camorra. Quando la popolazione operaia assunse proporzioni abbastanza grandi, la società, due volte alla settimana, faceva arrivare un carro botte delle ferrovie, allora con recipienti e mezzi di ogni tipo: a rifornirsi di acqua alla stazione di Ribolla, venivano dalla Collacchia e da Casteani, l’altra miniera sempre della Montecatini. Penso che sia utile sapere che nei primi anni del 1930 molti di noi erano analfabeti. Parlerò di me, per dire che anche altri ragazzi all’epoca fecero il mio stesso percorso. In inverno tendevamo trappole e tagliole di ogni tipo, una parte della selvaggina catturata la destinavamo ad una maestra in pensione, la quale m’insegnò a comporre le prime parole 35 Sintesi di quasi un secolo di storia scritte: si chiamava “Scuola serale” e si teneva una, due volte alla settimana. Raggiunti i 14-15 anni, il padrone del podere e il mio babbo mi consegnarono un carro e un paio di buoi e giù a Ribolla a trasportare materiale per il reparto sondaggi che faceva ricerche in zona, la cava era campo Sbroccano, Camorra, dove è nato il pozzo che creò terrore e morte, sempre più vicino all’ambiente miniera. Intanto la miniera aumentava il ritmo di lavoro, gli stock di carbone erano sempre più grossi lungo la ferrovia, nuovi operai assunti ogni giorno. Appena superati i sedici anni anche io fui assunto per i lavori, frenatore alle trenate di casse per il trasporto di carbone all’esterno, facchinaggio ai magazzini. Intanto anche il legname arrivava su rotaie, quindi scaricare vagoni e stivare legname pronto per essere avviato in miniera. Si incominciò a parlare della guerra in Africa Orientale, Eritrea, Etiopia. Nei piazzali i grandi stock incominciarono ad essere caricati sui vagoni ferroviari. Allora alla cernita e sui grandi piazzali apparvero nuove assunzioni di donne. Per caricare un carro di circa duecento quintali, ci volevano due donne e un ragazzo, le donne ai badili e il ragazzo alle carriole, per pienare un carro erano considerate otto ore, se finivamo prima andavamo a casa, quindi lavoro a termine (a cottimo). Poiché all’epoca la maggiore età si raggiungeva a ventuno anni, quasi tutti in quei lavori eravamo minorenni. A fine turno, o fine cottimo, ci salutavamo per andare a casa, guardavamo quei visetti freschi di gioventù imperlati di sudore, sporchi di polvere di carbone 36 Sintesi di quasi un secolo di storia quasi sempre ci davamo un bacetto e in quel momento le pulsazioni del cuore salivano alle stelle, e arrivederci al giorno successivo. Da quei lavori, da quei saluti nacquero storie amorose, alcune a volte si concretizzarono con matrimoni, famiglia e figli. Arrivavano operai dalle Marche, dalla Sicilia e un po’ da ogni parte d’Italia. Aumentarono i servizi di sorveglianza, guardie giurate, sorveglianti (caporali) e la milizia fascista. Ho visto diverse volte all’uscita dai pozzi le guardie giurate o i carabinieri perquisire gli operai in uscita (e questo era normale routine), a questo punto la milizia fascista prendeva qualche disgraziato e lo pestava a sangue. Dicevano di essere sovversivi, io non sapevo che cosa volesse dire, lo seppi molto dopo. Durante queste guerre, guerre combattute e guerre in preparazione (vedi la Spagna), i comunicati radio, i giornali dell’epoca incitavano all’odio, alla rissa dovunque al sangue. Tant’è che non c’era giorno che negli agglomerati urbani gli uomini non facessero a pugni fra di loro, non si sentisse parlare di morte e di pestaggi. Nelle sale cinematografiche gli slogan a firma Mussolini inneggiavano all’odio tra i popoli, alla guerra. Sulle facciate delle case le scritte (“vincere e vinceremo”) erano più delle facciate stesse e ancora, Mussolini ha sempre ragione. Come finì lo vedremo dopo. Intanto il numero degli operai aumentava in maniera vertiginosa, così gli impiegati amministrativi e tecnici. Fu costruito un primo lotto di dormitori per operai scapoli, quindi cucine, case per impiegati e mensa, e ancora lo spaccio aziendale per 37 Sintesi di quasi un secolo di storia tutte le maestranze. Questo spaccio era fornitissimo, dalle scarpe alle stoffe, dal pane al vino, dalla pasta alla carne, dalla frutta ai dolci. Le famiglie si fornivano là di tutto punto. Ma strana cosa. Un operaio che lavorava da solo per 28-29 giornate al mese (così era), lo si forniva di tutto, pagato l’affitto di casa e la spesa allo spaccio, veniva levato a debito un mese dopo l’altro. Tutto quello che la società dava all’operaio per l’opera prestata in miniera, lo rimangiava prestando servizi, quindi era un circolo chiuso. La società guadagnava due volte, l’operaio stanco e bastonato. Non si poteva reclamare perché la milizia del regime, onnipresente, poteva pestare, poteva esserci la revoca del posto di lavoro, se giovane inviato a qualche fronte di guerra. Sempre all’epoca fu costruito il cinema-teatro e la chiesa. Anche in queste costruzioni la società si distinse per il suo bel fare. All’uscita o all’entrata ai posti di lavoro elementi della società e la milizia chiedevano una firma per offrire una giornata di lavoro per queste costruzioni. Non era facile dire no. Quegli energumeni che vendevano il manganello per una cena o per un fiasco di vino menavano da matti. Così la Montecatini quelle costruzioni le fabbricò con l’apporto di tutte le maestranze. Il teatro rimase suo ed anche la chiesa. Quando i minatori e le loro famiglie la sera andavano al cinema, la sala si riempiva, restavano vuoti alcuni posti riservati, l’operatore cominciava a girare i film Luce propaganda di regime e di guerra anche per qualche ora, fino a quando non arrivava il direttore e signora, il segretario del fascio e signora, il prete e altre presunte personalità e solo allora iniziava lo spettacolo. 38 Sintesi di quasi un secolo di storia Anche intorno alle case degli impiegati c’era una specie di cortina, i loro figli non dovevano giocare con quelli degli operai, come se gli uni fossero seta e gli altri lana. Torniamo ai lavori, alla disposizione del personale. Le donne, quelle più carine, più spigliate e più preparate a quella tipologia di lavori furono mandate alle cucine, alla mensa, allo spaccio. Anche io mi approssimavo ai diciotto anni e venni allora inviato in miniera al carreggio, a spingere i vagoncini carichi di carbone dalle compagnie in produzione al pozzo di estrazione (il 2), dopo poco fui fatto boccaiolo (addetto agli ascensori). Con il tempo che passava avemmo notizie che alcune di quelle ragazze vendevano il proprio corpo per un vestito o per un paio di scarpe. Più grave e più dolorose che alcune furono violentate e stuprate (complici i militi) proprio da quegli impiegati ai quali prestavano servizio. A riprova, in quel tempo nacquero bambini figli di madri nubili. Quando una donna era incinta veniva licenziata perché non più idonea ai lavori richiesti dai padroni. Anche la Chiesa condannava quelle ragazze, che pur colpite, erano immorali. Quella stessa Chiesa che ospitava e benediva i gagliardetti fascisti. Anche io tra lo scorrere del tempo raggiunsi i venti anni. Fui chiamato alla Regia Aeronautica Militare, in breve inviato in Africa Settentrionale a fare la guerra, tre avanzate, tre ritirate, così per due anni Libia, Egitto. Volle la sorte che non fui prigioniero perché all’ultimo momento una squadriglia di apparecchi da carico Savoia Marchetti 82 ci portò a Gerbini, 39 Sintesi di quasi un secolo di storia aeroporto di Catania e a tappe raggiunsi poi Montemassi, mio paese d’origine. Mi interessai subito del mio posto di lavoro, mi fu risposto che lo stabilimento ausiliare era militarizzato. “Non c’è più posto per quelli che ancora devono fare la guerra come Truppe speciali operanti oltre mare”. Così mi rispose un certo “Lancina” addetto agli esoneri. Domandai del lavoro, di quelle ragazze. Seppi che la produzione era esplosa, necessitava mano d’opera, le donne tutte riassunte. Io, stellette al collo, fui all’idroscalo di Orbetello, all’aeroporto di Arezzo, poi a Caserta – i bombardamenti e la fame erano all’ordine del giorno – infine valle di Maddaloni quando si sciolsero le forze armate. Con mille peripezie di nuovo raggiunsi Montemassi. Trovai gran parte dei miei compagni d’armi, come me tutti sbandati. Parlai con loro del lavoro a Ribolla, le violenze che avevano colpito prima le donne e poi anche gli uomini, la fame, il disagio fisico e quelli dai diciotto ai quarant’anni al minimo sgarro, ritardo al lavoro, assenza ingiustificata, risposte ai dirigenti, scattava la revoca del posto di lavoro, esonerati e inviati al fronte in Africa, Balcani, Russia, e così via; allora capii la parola “sovversivo”, quei pestaggi che avevo visto allora da giovinetto. Mi ribellai per quello stato di cose, fui dichiarato perseguitato politico. Alla fine del 1943-44 Ribolla fu bombardata e mitragliata, le strade infestate dai militi dell’Ordine Pubblico, dai militari tedeschi, era praticamente impossibile transitare per le strade, i giovani che non si presentavano al lavoro venivano dichiarati disertori, renitenti alla leva, ribelli. Alcuni furono presi e associati al 40 Sintesi di quasi un secolo di storia carcere delle Murate a Firenze, altri presi dalla milizia a cui toccò la risiera di S. Saba (unico campo di sterminio in Italia, altri deportati in Germania). Alcuni non fecero mai ritorno, la parte più notevole andò nei boschi e formò la formazione partigiana. Alla fine del mese di Giugno del 1944 passò il fronte, noi sopravvissuti ci trovò ancora in armi, ma con quelli che vollero ed ottennero la libertà e l’inizio della pace. Mentre la guerra infiammava la Linea Gotica, Emilia Romagna, alta Toscana, Liguria e le altre regioni del nord, il popolo in armi difese il diritto alla libertà. Nelle zone liberate il popolo riprendeva la ricostruzione su tutta la linea per uno stato libero e civile. I fascisti facinorosi, i manganellatori, le spie fasciste avevano seguito la repubblica di Salò, ed ora al nord compivano ancora misfatti, ma subivano l’ondata popolare che culminò con il 25 Aprile 1945 con la resa incondizionata dei fascisti e dei nazisti. Ribolla riprese a lavorare, incominciammo a tornare laggiù nella miniera, non c’erano più le facce arroganti imposte dai fascisti, non avevano competenza di lavoro. Il primo giorno che riscendemmo in miniera al pozzo numero 2, c’erano due sorveglianti: uno era Ottimo Regoli, minatore che si distingueva per il suo orologio da tasca grosso quanto una sveglia da comò, quando passava vicino sentivamo il suo tic tac. L’altro era Pietro Parrini, anche lui anziano all’epoca, che aveva una capacità tecnica e morale incredibile. Legammo subito un rapporto di amicizia, loro aiutavano me nell’apprendimento di quel lavoro, io aiutavo loro nell’espletamento delle scartoffie. 41 Sintesi di quasi un secolo di storia Il 25 aprile 1945 ci trovò in miniera alla ripresa del lavoro materiale, nei paesi e borgate alla luce del sole impegnati nella ripresa civile, politica e morale di un paese ridotto a brandelli dalla dittatura fascista, dalla guerra. Nel tempo libero dal lavoro ci trovavamo nelle sedi dei partiti tutti in aggregazione nel comune interesse di ricostruire qualcosa. Alla fine del 1945-46 incominciò il rientro di quelli che furono i rottami del fascismo (i leoni di Mussolini): ridotti meno che pecore camminavamo strisciando come cani rognosi. Alcuni furono riassunti, ma come manovali. Nell’agosto 1945 (se non erro) una fiammata di grisou uccise otto minatori, due rimasero menomati dalle ustioni che gli caddero e restarono senza i padiglioni delle orecchie, erano due nuovi sorveglianti, Coppi di Ribolla e Tortoli di Sassofortino. Era questo l’ennesimo olocausto di sangue che l’esercito del lavoro dava a questa società ingiusta e corrotta. Intanto alla guida dei minatori arriva la CGIL, unico sindacato per le miniere. Iniziano le trattative per il salario, sicurezza sul lavoro. Qui si hanno le prime affermazioni dopo la caduta del fascismo. Intanto il tempo corre, è stata eletta l’assemblea costituente, scritta la carta costituzionale italiana, la quale sancisce diritti mai conosciuti dal popolo italiano. Un posto di enorme civiltà spetta alle donne. Diritto al voto, al lavoro, riposo per gravidanza, riposo per allevare i bambini con la conservazione del posto di lavoro. Siamo dovuti arrivare agli anni 2000, un presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi e il suo governo per mettere le 42 Sintesi di quasi un secolo di storia mani nel mercato del lavoro perché tutte le conquiste fossero vanificate, distrutti i diritti e i contenuti. Lavoro a termine, lavoro part-time, lavoro precario, co.co.co., ha finto di dare 1000 euro alle donne che partoriscono. Ma di fatto se una donna resta incinta, il padrone ha diritto di licenziarla. Per quando ha allevato il bambino nessuna conservazione del posto di lavoro. A farci caso, se una donna era impiegata in qualsiasi ufficio, dovrà cercarsene un altro, potrà anche essere addetta alle pulizie. Ecco una legge d’infausta memoria mussoliniana. La legge sul mercato del lavoro ha riportato i prestatori d’opera indietro di sessant’anni. Grazie Silvio. Torniamo a Ribolla, la nostra terra, la nostra miniera (dico nostra perché è nostro il sangue versato per costruirla, per renderla produttiva, per produrre ricchezza), le ricchezze poi sono di altri. La produzione è richiesta, carri ferroviari, autotreni viaggiano giorno e notte per la richiesta di carbone che è enorme, gli operai assunti giorno per giorno da tutta l’Italia. Le altre miniere sono ferme. Così da Gavorrano, le Capanne, Niccioleta, Boccheggiano, i minatori di tutto il gruppo Montecatini sono concentrati su Ribolla. Decine di camion da carico con sopra panche di legno trasportano centinaia di operai giorno e notte. A poco a poco, vengono recuperati pullman avanzati alla guerra e ditte di privati viaggiano per la Montecatini, trasporto operai. Tra quelli più esperti centinaia vengono elevati a sorveglianti (caporali): il lavoro è vertiginoso. Verso la fine del 1946 ripartono le minie43 Sintesi di quasi un secolo di storia re di pirite delle colline metallifere, i minatori delle altre miniere ritornano ad occupare i loro posti. Inizia così l’alleggerimento del grande complesso di Ribolla. La produzione comunque è sempre alta. La società incomincia a parlare di miniera non produttiva. Infatti (se non vado errato), durante il 194748 la direzione pose un premio consensuale di 60mila lire a chi lasciava volontariamente il posto di lavoro. Erano evidenti i segni della società per ridurre il personale. Iniziò così con la guida dei sindacati una serie di iniziative per il rispetto del posto di lavoro. Nel 1951 facemmo una lotta per il cottimo collettivo (la cosiddetta lotta dei cinque mesi). Cinque mesi di sciopero bianco, la produzione al minimo, senza cottimo le paghe decurtate. Si concluse con un nulla di fatto. Vi fu di positivo l’aspetto sociale, la solidarietà di tutte le categorie, dai contadini avemmo sostegno in compenso alla solidarietà data a loro per la lotta alla conquista delle terre. I commercianti, gli artigiani, le cooperative, aprirono tutti il credito per i minatori in lotta. Le donne fecero la loro parte, solidali con noi anche con assemblee e marce ai pozzi. Quindi da un lato sociale un aspetto molto positivo. Per tutta risposta dalla direzione generale della società inviò a dirigere la miniera fu chiamato un ingegnere, certo Leonello Padroni. Non smentì il suo nome. Come primo atto, licenziò tutti gli invalidi di lavoro, di guerra e civili, ne venne fuori una lotta aspra, a volte cruenta, scioperi e altre iniziative c’erano ogni giorno, e furono scontri fisici con la polizia posta a difesa del padrone. Nell’intento di rompere la solidarietà tra i minatori del 44 Sintesi di quasi un secolo di storia paese, un altro attacco dirompente, arrogante, fece una riunione di tutto il personale di sorveglianza e vigilanza. Guardie, periti, caporali ed altri. Pose loro una sola alternativa, compilare ogni giorno a turno uno o più biglietti di punizione agli operai o lasciare quel posto. Molti furono i caporali che accettarono la seconda ipotesi e tornarono a fare i minatori. Chi accettò si adeguò all’ordine imposto. Padroni colse l’occasione anche di riclassificare qualche ex caporale allontanato nel 1945 perché fascista, diede così l’idea di chi effettivamente fosse. A questo punto un gruppo di minatori, come tutti esasperati da questo comportamento, occupò la miniera. Gli altri all’esterno, ci scontrammo più volte con la polizia che sempre era a difesa dei padroni. Così ci picchiammo più volte tra poveri perché loro difendevano i diritti di chi aveva già troppo. La direzione della miniera e le forze di polizia, con l’assenso del distretto minerario violarono la legge delle miniere dove è detto che nessuno può scendere nel sottosuolo se non addetto ai lavori. Fecero scendere la polizia nel pozzo Raffo e portarono fuori gli operai ammanettati come delinquenti comuni, che furono associati al carcere di Via Saffi in Grosseto. Reato avere chiesto sicurezza sul lavoro e diritto alla vita. Furono tutti licenziati compreso il segretario della commissione interna, carica istituzionale elettiva. Questi era Otello Tacconi, dirigente esemplare. Troppe sarebbero le cose da dire, ma limitiamoci alle più eclatanti. Riprendiamo il lavoro, il sistema è sempre più a rischio, scarsa areazione, sistema a franamento, scarbonamento a rapino, evase molte norme di sicurezza e di controllo, 45 Sintesi di quasi un secolo di storia vedi il maialino d’india. Molte volte raccontato e denunciato nei giornali dell’epoca. Andiamo avanti, la direzione Padroni nella ricorrenza del 1° maggio 1954, violò ancora la legge sulle miniere. Fece scendere in miniera un gruppo di minatori in pensione per raccogliere le loro testimonianze da un giornalista del giornale “Il mattino”. Il giorno 2 maggio al rientro al lavoro alla lampisteria con la lampada ci fu consegnata una copia di quel giornale nel quale era scritto: “Nella miniera di Ribolla manca solo la televisione”. La mattina del 4 maggio 1954, due giorni dopo, alle ore 7.40 uno scoppio di grisou, 43 minatori muoiono bruciati vivi: questa fu la conclusione di un direttore arrogante e fascista. Per il resto conosciamo la storia. Dopo 39 giorni recupereranno i resti degli ultimi 2 morti. Ora iniziamo il ripristino della miniera, lavoriamo per mettere a punto il nuovissimo pozzo n° 10. Uno dei primi giorni del mese di agosto 1954, c’è un fuoco in una galleria che collega Camorra con il Raffo, una squadra di operai è intenta a chiudere la galleria dalla parte Raffo, sono 3, l’altra squadra è della Camorra, sono 5. È ancora lui, il grisou, il colpo non è forte, comunque è tragedia dalla parte Raffo, uno dei minatori muore, due sono feriti gravemente, dalla parte Camorra tutti più o meno intossicati compreso lo scrivente che per il danno riportato trascorrerà 30 giorni all’ospedale Santa Maria Nuova a Firenze. Superato anche questo scossone torniamo in miniera, riprendono i lavori. Il pozzo n° 10 è in piena attività, gran parte del personale scen46 Sintesi di quasi un secolo di storia de e sale da lì anche se tutti i pozzi sono più o meno attivi. Cambiato Padroni alla direzione della miniera, l’idrofobia si è abbassata, il rapporto dirigenti-operai è migliore, il direttore, una vecchia conoscenza, è l’ingegnere Madotto, al suo fianco uno più giovane, l’ingegnere Bonetto. Il sistema di coltivazione non cambia, tutto sembra essere migliorato. Però è in atto la politica del carciofo, una foglia alla volta per poi in un solo boccone smaltire il torso. Infatti quasi giornalmente operai da Ribolla vengono trasferiti a Niccioleta e Boccheggiano. Alcuni impressionati dai tragici fatti si licenziano, la resa dei tagli di scarbonamento è alta, secondo la direzione è sempre bassa. Nei rapporti tra direzione e operai la calma è apparente ma sotto qualcosa cova. Intanto dall’alto della società si spendono fiumi di soldi di quelle ricchezze accumulate nel tempo, anzitutto per comperare la pelle dei morti, vengono dati soldi alle vedove, agli orfani perché ritirino la loro parte civile dal processo che è stato portato a Verona; i più smaliziati avvocati dei fori italiani sono pagati per aggirare le leggi, non importa le spese e perché… ammorbiditi anche i giudici. Il processo si concluderà a Verona con tutti assolti, non esiste il fatto. La procedura di smantellamento della miniera la si intravede dai comportamenti direzionali. Non contano più nemmeno le trattative con i sindacati, i padroni vanno avanti. Altra occupazione della miniera. Altri scontri con la polizia, sempre schierata con i padroni. Il sintomo della rabbia tenuta nascosta per qualche anno, riappare quando avviene l’operazione chiusura della miniera. Infatti la commissione che doveva decidere chi licenziare per primi, 47 Sintesi di quasi un secolo di storia della quale faceva parte anche il così detto prete di fabbrica, decise che coloro i quali avevano preso parte alle formazioni partigiane, all’attività sindacale e politica, fossero i primi licenziati, a riprova di tutto ciò la lettera di licenziamento a questo gruppo (sono avaro di cifre ma mi pare che fossero circa 250). Ci fu recapitata la mattina del 25 aprile 1959, sottolineo questa data che è la riprova mai sopita della rabbia padronale. Dopo qualche tempo fui assunto dalla società Marchi a Ravi, ancora miniera a scavare pirite. Tutti i giorni in motocicletta passavo per Ribolla e con senso di schifo, di rabbia, vidi che la Montecatini, appaltati i lavori a ditte private, pose i tappi ai pozzi e giù a demolire castelli e quanto d’altro fosse visibile e ricordasse la miniera. Ad agosto dello stesso anno poco era rimasto, castelli dei pozzi, tralicci ferrosi della cernita e quant’altro fu possibile. Rimanevano gli enormi cumuli degli scarti di escavazione di pulitura della cernita lungo quanto le strade di collegamento tra i pozzi, era ancora visibile qualche fiammella su i cumuli di recente formazione, ma un giorno apparvero grossi escavatori con altrettanto grossi camion e nel giro di un paio di anni tutto quel materiale inerte passato dal fuoco andò a compattare il sottofondo di tante strade. Cercarono di cancellare ogni traccia che li condannava se mai avessero una coscienza per le stragi colpose (io direi premeditate) che avevano compiuto. Sapevano altresì che il sangue degli invalidi, dei mutilati e dei morti furono troppi e chiedevano vendetta. La voce dei sopravvissuti chiedeva giustizia che mai vi fu. Raschiare il suolo rendeva la zona piatta e 48 Sintesi di quasi un secolo di storia impenetrabile e fa sì che l’ignaro passante, il pellegrino o qualche ricercatore di vecchie storie potesse intuire che in quella zona una volta e per secoli c’era stata una miniera. Dopo quei funesti avvenimenti, dopo quello sfogo di rabbia dei padroni, dopo il primo momento di smarrimento gli operai riordinarono le idee, alcuni di noi trovarono lavoro presso la miniera Marchi di Ravi, altri andarono alla miniera di Ciriè in Piemonte, altri nelle varie industrie fiorentine, altri ancora pendolari a Grosseto, Follonica, Massa Marittima o nell’agricoltura. Passò qualche tempo, alcuni ribollini raggiunti i limiti di pensione tornarono a Ribolla, altri privati cittadini ebbero iniziative proprie nel commercio o piccole ditte di vario tipo, le iniziative furono molte. Nel frattempo la Banca Toscana, che aveva la sua sede a Montemassi, scese a Ribolla e così fu per il consorzio agrario, nacquero case abitative. A Ribolla non c’era cimitero, i morti venivano sepolti nel cimitero di Montemassi. Al ripristino della democrazia nel primo dopoguerra i preti e il clero che avevano ovunque ospitato e benedetto bandiere e gagliardetti fascisti, cercarono di opporsi all’ingresso nel cimitero stesso dell’emergenti bandiere rosse per le quali tra i più radicalizzati e gli emergenti, in qualche cimitero, nacquero anche scontri fisici fino a concedere in quella terra di tutti e nessuno l’accesso regolare di tutti i simboli, etnie e religioni che ormai si perpetua nel tempo. Ribolla si sviluppava lungo le strade, quella che da Montemassi va verso Gavorrano e quel49 Sintesi di quasi un secolo di storia la per Giuncarico prendendo la forma di T. Il comune di Roccastrada, del quale Ribolla è una frazione, adattò diversi piani regolatori per un’urbanistica più completa ed edificare nelle zone più sicure. Negli anni ’60 il comune costruì per Ribolla l’acquedotto, rendendolo un vero centro urbano. Non parlo più di questo paese e della sua storia moderna. Chi vuole vederla ci vada, l’osservi e ne tragga le sue conclusioni, potrà darsi che lì trovi qualcuno che possa dirle che un tempo qui c’è stata una grande miniera. 50 Sintesi di quasi un secolo di storia APPENDICE Scendendo da Montemassi prima di entrare in Ribolla, sulla sinistra c’è un vecchio scavo dove poi era la scenderia San Feriolo, lì a quanto fu sempre detto, fu levato il primo carbone a cielo scoperto. C’è il rudere di una vecchia casa dove io conobbi un contadino con lo stesso sistema di agricoltura degli altri. Sembra che quel rudere fosse in origine la prima cernita della cava. Pochi passi più avanti vicino alla strada, c’è un laghetto. Là una volta c’era un fornello così detto di prestito, dove scendeva la terra che andava in miniera per riempire i vuoti causati dallo scarbonamento. Esaurito, il banco fu abbandonato e così quella cava e quel fornello si avvallarono ulteriormente per le sottostanti gallerie, il tutto chiuso intasato per pressione diede origine all’attuale lago. Nel fabbricato al margine del lago c’erano gli ufficetti della direzione dei cantieri zona nord. 51 Sintesi di quasi un secolo di storia Leggenda Una leggenda tramandata da una generazione all’altra tra i minatori nella zona, dove poi fu fatta la cava che prima dicevo, vuole che un branco di maiali al pascolo in cerca di lombrichi o di tuberi, ruminando il terreno, portassero alla luce un pezzo di materiale che poi fu detto carbon fossile. Quando in miniera ai minatori qualcosa andava storto, imprecavano contro qualcuno dicevano: “Maledetto quel maiale che per primo ti portò alla luce”. Ultimo appunto Non ricordo se fu prima o dopo la guerra, in una galleria di collegamento tra il pozzo n. 2 e il 3 trovai un pezzo di marna (roccia) con fossilizzata una foglia di castagno, lo misi su un vagone e comunicai al boccaiolo esterno questo ritrovamento. Il boccaiolo la portò a casa sua, la murò in una buca del muro della casa dove tutt’ora è visibile, lungo la strada che da Montemassi va a Roccatederighi e qualcuno l’ha fotografata. 52 Documenti e racconti Cronaca di un tempo lontano. Dialogo con un nonno che fu E ro troppo piccolo per ricordare a memoria qualcosa di te, della tua vita. Però, nonno mio, il babbo, gli zii, le zie – ed erano molti – mi hanno tanto parlato di te; anche dei tuoi vecchi compagni mi parlarono dei tuoi trascorsi di vita. Tutti questi mi hanno detto che di te ho preso la voce, timbro forte e deciso, l’anima ribelle e decisamente chiara. In una cosa ho dissentito da te. Tu eri un fervente cattolico (io sono ateo) e mi si è raccontata una tua realtà. Durante una delle prime campagne elettorali del 1900 ad Arcidosso, contendenti il socialista Merloni e il popolare Ciacci, seguivi lo scorrere delle conferenze religiose: il tuo Parroco nella chiesa della Madonna Incoronata di Arcidosso nella sua omelia parlò di politi55 Documenti e racconti ca più che di religione, tu lo richiamasti al suo ruolo religioso; vi fu tra te e lui uno scambio di battute vivaci, al che il tanto religioso prete ti sfidò fuori della chiesa dal Signore. In fondo alla gradinata della chiesa (sempre) Madonna Incoronata di Arcidosso, veniste alle mani: tu da bersagliere quale eri stato lo colpisti con pugni che lo ridussero a mal partito. A questo punto il religioso non chiese per te il perdono divino, ti denunciò ai Carabinieri e il Pretore di Arcidosso per direttissima ti condannò a sei mesi di carcere. Ma non sta qui il punto: tu eri l’esperto della cooperativa dei Bagnoli, quello che era alla testa dei braccianti che con loro lavorava in Maremma, a fare la campagna della falciatura, mietitura e trebbiatura. Proprio mentre voi operai precari partivate per la Maremma vennero ad arrestarti a causa dell’amato sacerdote, tutti gli operai erano ad aspettarti presso la fonte del Poggiolo pronti a partire e tu in mezzo ai Carabinieri. A questo punto ci fu l’intervento sollecitato dai tuoi compagni dal Presidente della Cooperativa di Bagnoli, certo Romeo Innocenti, persona conosciuta e ascoltata nell’ambito della zona arcidossina, lo seguì l’Avvocato Becchini, altra grossa personalità arcidossina e non poté che uscire anche un certo Scanni, ricco ras di Arcidosso e, sotto la spinta degli operai che ti seguivano, ti lasciarono partire. Ma per dove? Andavi a lavorare alle fattorie Trappola, Aquisti, Galere, Macchia Scandona, ecc. In quelle zone allora in parte ancora palustri, poca acqua da bere, scarso cibo, la più alta sostanza era il cacio maremmano che abbondava per la grande pastorizia. Dalle zone ancora palustri, da dentro la scorza (erba palustre da rivestire sedie e damigiane) a dentro la cannuc56 Documenti e racconti cia, venivano fuori nuvole di insetti dal nome di lulli, serafiche, zanzare, che disturbavano il sonno e il riposo di voi braccianti. Dal ritorno di questa lunga e dura esperienza alcuni di voi riportavano la febbre malarica: chi ne era infettato veniva ridotto quasi a larva umana dalla terribile terzana (febbre che veniva regolarmente ogni tre giorni e superava spesso i 41 gradi): io l’ho conosciuta pure quella, su persone a me vicine, aveva un decorso di qualche anno. Il guadagno avuto da tanto duro lavoro non bastava a pagare le poco efficaci medicine che allora erano disponibili. Lo so che tu ti ribellavi a questo stato di cose, ma nulla potevi contro lo strapotere dei Padroni e del Clero. Dovevi solo pregare il Signore e sperare nella giustizia divina (che mai è venuta). Anche a me è toccata la stessa sorte, mi hanno fatto fare la guerra, alla fine di quel micidiale massacro per rendere umano onore agli uomini e alla donne che volevano la pace ho fatto ancora la guerra, la guerra dei ribelli, la resistenza al nazifascismo e ancora non siamo pari. Altri potenti della terra con gli strumenti e le armi a loro disposizione schiacciano i più deboli, opprimono la libertà. Credimi nonno. Anch’io ora sono vecchio, ho dei pronipoti. Ma non cedo all’idea di vivere sotto il tallone di ferro di qualsiasi padrone o dittatore al mondo. Eppure vi sono ancora servi sciocchi o prezzolati che li aiutano in tanto male, in tanto massacro. Poggio Zancona, maggio 2004 57 Documenti e racconti Al Monte Labro Ero piccolo, non ero ancora in età scolare, quando mi portarono in Maremma dove mangiare il consueto pezzo di pane, ma ricordo perfettamente quando il mio babbo mi prendeva per la mano e parte sulle spalle e s’incamminava dal Giunco, la Zancona, Rondinelli, i Poderi, Squartavolpe, Podere dei Nobili, Prati molli, Pietra Fitta dove stavano i nostri parenti. Ore di cammino. Quello che la mia memoria non ha mai dimenticato è il rispetto umano della gente che lì viveva. Ad ogni podere che passavamo il contadino o la massaia si affacciavano sulla porta, ci offrivano quello che avevano di più caro, ospitalità e la materia prima: la fetta di pane (il loro gergo: “lu volete i’ pane per te e pe’ ragazzino?”). C’era quello solo e scarseggiava. Questo gesto diceva quanta umanità esisteva tra la gente che a stenti viveva in quelle zone coperte più di sassi che di terra. Fame e miseria ma tanto rispetto umano e solidarietà tra loro. Sono tornato a visitarti, Monte Labro. Sono passati ottanta e più anni, anche io ne ho percorsa di via e di vita. Mi hanno fatto fare la guerra, anzi le guerre: la prima per forza e poi volontario per la libertà. La mia più verde età l’ho passata a lavorare nelle miniere della Maremma. Ma torniamo a te, Monte Labro. Ti ho trovato civilizzato e accessibile, quelle che erano mulattiere percorribili a piedi o con l’asino, sono oggi strade percorribili in macchina (accidenti se ne hai fatta di strada). Con la mac58 Documenti e racconti china mi sono fermato davanti alla case lungo il percorso che prima dicevo. Non ho visto la povera donna con il grembiule o l’uomo dalla sconcio cappello che offrivano il pezzo di pane. Molte di quelle casupole sono ridotte a ruderi tutte franate. Altre sono diventate ville. Direi di lusso. Con grandi cancelli scorrevoli in ferro, vi è inserito il pannello dove si vede un cane e una pistola con scritto “Attenti al cane e al padrone”. Là dove ti offrivano il pane oggi ti offrono morsi e pistolettate. Mi sono detto: “Monte Labro, terra di profeti come Davide Lazzaretti e dei 100 e 100 poeti che cantarono la tua saggezza, la tua solidarietà, il tuo umano vivere, ti è arrivata la civiltà. Si è ridotto l’affetto, l’amore umano, la libertà”. Molte sono le zone recintate dove non si possono più ruspolare i marroni, né più cercare i deliziosi porcini, è diventato difficile anche cercare scarline (carciofetti selvatici seminterrati), molto gustose da mangiare cucinate in vario modo. È recintata la Torre di David e pure Buceto. Ci vive una pastorizia mista di armenti di vario tipo, rari sono i campi di segala a fine estate bianchi come lenzuoli al sole. Quasi tutto è diventato cespugliato. In mezzo a tutta questa civiltà, velocità, informazione e quanto di altro, quasi rimpiango quella miseria e quel rispetto che fa proprio della vita il valore umano. Poggio Zancona, Maggio 2004 59 Documenti e racconti Montemassi, Giugno 2001 Memorie di un Minatore Era la mattina del 4 maggio 1954. Uscii dal pozzo Camorra n. 9, dopo soprannominato Pozzo della Morte. Erano le ore 7 e 20. Alle ore 7 e 40 l’esplosione. Un giro d’aria ordinato dalla direzione della miniera. È la strage. 43 minatori muoiono bruciati dal grisou. Sistema di coltivazione, tagli discendenti con riempimento per frana. Nei vuoti lasciati sopra le nostre teste si accumulò il micidiale grisou. Il resto è storia. Tale sistema di coltivazione (mai usato prima di allora) fu studiato e voluto dall’Ing. Lionello Padroni, direttore della miniera stessa. Concesso ed approvato dall’Ing. Seguidi, capo del distretto minerario della provincia di Grosseto. Si riprende a lavorare con il solito sistema di coltivazione, con qualche accorgimento in più. Ma il 2 di agosto, stesso anno, in una galleria che collega pozzo Camorra con pozzo Raffo, c’è un incendio come ce ne sono tanti, nati per autocombustione. Si cerca di chiudere i due lati per togliere l’aria al fuoco. Ma eccolo, ancora lui, il grisou. L’esplosione non è gran forte. Comunque tragedia da una parte della galleria. Muore Vittorio Ronchetti. Sono feriti gravemente Seravalle e Dandolini. Altri intossicati; più o meno forti, come lo scrivente. Altre giornate di lutto e di protesta. La miniera non si abbandona, necessita di continua manutenzione. Il lavoro a poco a poco alla volta riprende. Il sistema è lo stesso. 60 Documenti e racconti Arriviamo al 7 aprile 1956 e a QUEL GIORNO IN MINIERA. Arrivano i pullman dai paesi che vegetano attorno alla miniera di Ribolla. I minatori in fila agli spogliatoi a prepararsi per scendere nei pozzi. Alla lampisteria a prendere la lampada antigrisou e là per i piazzali adiacenti ai pozzi di estrazione dove scendono pure gli uomini. Il solito modo di salutarsi con diminutivo o vezzeggiativo secondo i casi. Ciao Beppe, Cecco, Nanni. E ancora. Ciao Sindaco, Assessore, Presidente, Segretario a secondo degli incarichi politici e sindacali ricoperti nei paesi e borgate di origine e nella stessa miniera. Quando 15 minuti prima del cambio di turno l’urlo forte della sirena annuncia il cambio stesso, ci appressiamo alla bocche dei pozzi in fila. Indosso portiamo fiasca (contenitore per acqua da bere), tascapane, panni di ricambio, qualche arnese da lavoro: segaccio, ascia, accetta, ecc. Sugli alti castelli costruiti con enormi travi in legno girano le pulegge che fanno scorrere i grossi canapi ai quali sono appesi gli ascensori (per noi: gabbie) vanno e vengono dal sottoterra alla superficie. Il rombo sordo dei motori dell’argano lascia capire arrivi e partenze. Noi minatori, a dodici alla volta, ci stipiamo nei suoi contenitori. In quello che sale i minatori che tornano a casa onde riprodurre le consumate energie. Noi altri scendiamo nelle viscere della terra per produrre ricchezza (e c’è chi poi ne profitta). È il viaggio che da secoli i minatori compiono per strappare alla natura enormi quantità di prodotti necessari alla vita del genere umano. Anche quella mattina il sole scompare alla 61 Documenti e racconti nostra vista, tutti pensiamo che non sarà per sempre. Dopo qualche minuto laggiù a circa quattrocento metri di profondità ci incamminiamo per le gallerie poiché ogni gruppo, ogni compagnia è segnata da un numero via via alle crociere (incroci di gallerie). Cambiamo direzione, quelli della compagnia 1, della 7, della 12, e così via. Ogni gruppo al suo lavoro. Armatori, manutenzione, sostegno gallerie, minatori (abbattaggio), escavazione, produzione del materiale, disarmatori, recupero legname, provocare la frana per riempire i vuoti prodotti dallo scarbonamento, carreggio (quelli che dalla compagnie spingono i carrelli fino ai pozzi di estrazione). Non mi soffermo oltre su la serie di altri lavori sussidiari. Camminiamo per gallerie e cunicoli sempre più stretti, più caldi, più angusti. Anche quella mattina nella galleria di base ci cambiamo, indossiamo panni che di lì a poco saranno impastati di sudore e polvere di carbone o di terra provocato da martelli perforatori o picconatori a secondo della compattezza del materiale. Appesi ai chiodi appositamente conficcati nelle assi di sostegno delle gallerie i panni che indosseremo a fine turno per risalire alla superficie; insieme la borsa con il pranzo frugale che consumeremo a metà turno in venti minuti, tanto è il tempo concesso. La panierina (o borsa) è regolarmente costruita in lamiera zincata in maniera che non entrino topi e scarafaggi che infestano le gallerie. Anche gli orologi li nascondiamo in galleria fuori dal troppo caldo, dall’umidità e dall’onda d’urto delle mine che in alcuni casi ne hanno rotto i bilancieri. I ventilatori per l’aerazione sussidiaria sono 62 Documenti e racconti tutti in moto, un cenno con le lampade e saliamo alle trance di lavoro. Da quando siamo entrati dalla bocca del pozzo sono passati circa trenta minuti. Poiché è il cosiddetto turno di giorno dalla ore 7 alle ore 15, a metà turno, alle ore 11, tutti a mangiare e dico precisi in quanto la direzione della miniera, per controllo dei suoi caporali, capo servizio, ingegneri (e perché no, qualche spia) non tollera un minuto di più, previo biglietto di punizione con multa e, se recidivo, ci può essere il licenziamento. Al fioco chiarore delle lampade, sotto lo strato di impasto, tra sudore e polvere che ricopre l’intero corpo dei minatori come porci usciti da un insoglio, tutti a torso nudo, non traspare cellulite o grasso, i muscoli del dorso e degli arti tirati come corde di chitarra, risaliamo i piani inclinati su a sgomberare il materiale abbattuto, armare, ecc. Il disarmatore ha finito il suo lavoro, ora dovrebbe recuperare il legname estratto o pulire qualche tratto di galleria. Ma un perito, certo Guidi, vuole un altro disarmo corto, semplice per come si presenta, ma non è sempre così e anche come riesce. Il Pisani ha qualche perplessità a risalire ma, vista la richiesta del capo servizio, risale. In quella qualità di lavoro occorre tutta la lucidità di mente possibile e prontezza di riflessi: tirano via i sostegni uno dopo l’altro, intanto il tempo corre, il sudore, la fatica, verso la fine del turno i riflessi si appannano. Una butta (asse di sostegno) non vuol venire, gira, tira e ancora dai, sono passate le quattordici. L’anziano operaio decide. Prende l’accetta. Un colpo, un altro ancora. È uno schianto e la terra inesorabile lo inghiotte. Io, Rosati, faccio parte della commissione 63 Documenti e racconti antinfortunistica. Qualcuno dal fondo della rimonta ferma la ventola; mi chiama. Un operaio sotto una frana; corro giù per la discenderia, su per un’altra; arrivo al vertice su quel lavoro. Sento gridare e piangere insieme. È il sorvegliante Ricca: sta scavando con le mani. Mi accorgo che lo fa lasciando ancora scendere terra. È disorientato; lo faccio scansare, giro la schiena e le anche all’uscita della terra (tra l’altro molto fina), gli faccio scudo, scavo anch’io con le mani, raggiungo in breve la testa, il naso, la bocca, vado dentro con le dita, prendo la lingua, nessuna reazione. La terra, il caldo lo hanno soffocato. Bestemmie e imprecazioni contro tutti e tutto. Immediata la decisione su legname, tavole, un quadro, un’infilatura (parole d’intesa per i minatori). Data la scarsità di spazio e d’aria restiamo in 4 o 5. Lavoriamo in maniera frenetica 20-30 minuti. Siamo sotto la cintura. Proviamo a tirare; non viene: qualcosa lo trattiene più in là. Altro portantino, altra infilatura. Sono passate le sedici: non ci concediamo né tempo né respiro. Mi sdraio su quel corpo esanime, ora con le mani dentro la terra, raggiungo le scarpe. Proviamo ancora a tirare: non ce la facciamo. Io, Santi, Ascoli e Luzzietti scivoliamo l’uno sull’altro come fossimo anguille in una pozzanghera di fango. Sentiamo voci e lampade più chiare su per il piano inclinato. È un sollievo per noi. È la squadra di soccorso. Indossano gli autorespiratori. Sono Assirelli, Comandini e Fiorenzani. Noi ci rannicchiamo contro le pareti del cunicolo per far loro posto. Afferrano lo sventurato compagno per le braccia. Una tirata ed è fuori. Lo mettono sulle spalle di Goliardo, il più for64 Documenti e racconti te dei tre, gli altri, uno davanti, l’altro dietro, lo sostengono. Scendono nella galleria di base. Anche noi scendiamo. Sono le sedici passate. Il corpo del compagno Pietro viene posto su un carrello sopra due tavole. Parte per il pozzo dove uscirà per l’ultima volta. Nella galleria di base respiro qualche boccata d’aria, faccio per camminare, vacillo. Per qualche istante mi appoggio alle assi di sostegno della galleria. Ho lo sguardo un po’ appannato; mi accorgo che la stessa sorte la subiscono quelli che sono con me. Pochi passi e arriviamo al cambio dei panni. Prendo la fiasca dell’acqua, ne bevo qualche sorso. È tiepida per la permanenza in galleria. Verso il resto sulla fronte e sul collo. Ci sediamo su dei pezzi di legno, togliamo le scarpe dalle quali esce un piscioletto di sudore, strizziamo i pantaloni. Anche da essi esce il pisciolo di sudore. Impacchettiamo il tutto che, legato con una cordicella, portiamo a casa. Le donne dei minatori sanno che ogni giorno occorre un cambio lavato e asciutto: ci servirà il giorno successivo per il solito lavoro. Ci incamminiamo verso il pozzo, ci attende il boccaiolo (l’addetto agli ascensori). Saliamo su verso il sole. Qualche minuto di fruscìo sulle guise. 400 metri e siamo all’uscita. Dei compagni precedentemente usciti ci prendono le lampade, le portano in lampisteria. Noi andiamo agli spogliatoi. Una breve doccia e agli autobus. L’ambulanza è partita. Ha portato con sé un pezzo di tutti noi. Negli autobus c’è rabbia, disperazione: la si tocca con le mani, non ci sono parole fatte per nessuno. Ai paesi d’origine l’attesa degli autobus è trepidante. Le famiglie hanno capito che qual65 Documenti e racconti cosa è successo. Per chi torna è un brivido che si ricompone. Per chi è mancato, un dolore che mai passerà. Qual giorno è toccato alla famiglia del caro compagno Pietro. Il giorno dopo è un giorno di lutto e di protesta. Accompagniamo il compagno Pietro all’estrema dimora nel cimitero di Roccatederighi, là dove anche oggi le sillabe e i numeri incastonati in una pietra tombale di marmo ricordano il nome di un uomo onesto, operaio delle miniere, Pietro Pisani, morto il 7 aprile 1956. I giorni successivi riprendiamo a lavorare. Ci rendiamo sempre più conto che l’enorme esercito del lavoro, fonte di tutte le ricchezze, troppo spesso paga con il sangue e con la vita l’ingordigia di altri. Tutti i compagni morti sul lavoro hanno pagato con la vita per portare ai figli il pezzo di pane quotidiano e per l’avarizia e la ricchezza dei padroni del mondo e di quanti con loro e per loro sfruttano e uccidono. 45 morti, in meno di due anni di cronistoria, in una delle miniere italiane della Società Montecatini di Ribolla in provincia di Grosseto. 66 Documenti e racconti Giugno 2001 Intervista a Florido Rosati La direzione Padroni Il disagio maggiore lo portò la direzione Padroni; inventò tutte quelle cose a dispetto degli operai. Prima facevi le tracce, andavi ai banchi, levavi il carbone e ributtavi la terra. Il terreno si abbassava; se levavi 20 vagoni di carbone ne potevi rimettere 12 o 13 di terra, non di più. Poi tutto veniva bagnato e diventava come cemento. Lui invece impose discendenti con riempimento per frana e tutti i lavori erano fatti ad aerazione sussidiaria, a fondo cieco con ventole. Se partiva un fornello rimanevi chiuso. I fornelli erano quei buchi nella terra che si scavavano da sotto in su; si faceva il piombo partendo dal letto e si arrivava al tetto e quando si trovava materiale duro si dovevano fare i buchi. Si copriva la parte dove si passava e si lasciava aperta la parte di “buttaggio”, cioè si creava un passaggio per i minatori ed un buttaggio per il carbone. Una volta fatto il passaggio si introducevano le tubature dell’aria di 30 cm di diametro, quella dell’aria compressa e quella dell’acqua, finché c’è stata acqua e non è stata sostituita con il fango. Si faceva un pianetto di tavole e poi si facevano brillare le mine; si mandava via il fumo, più velocemente possibile per evitare le multe fatte quando i vagoni erano pochi. 67 Documenti e racconti Poi si faceva il “disgaggio”, cioè si toglievano i blocchi di carbone che rimanevano attaccati dopo la sparata e si gettava tutto nel buttaggio. Altre volte lo scarbonamento avveniva per camere. Il banco era spaccato nel mezzo e le camere erano scavate dalle parti. Dopo venivano messi i “marcia avanti”, fatti di legno di castagno, poi seguiva uno strato di fastellini, una rete. Dopo si disarmava e si faceva franare la terra, con il fango si bagnava tutto. Esaurita quella spianata si scendeva di sotto, si faceva la prima trancia e poi le camere laterali. Poi ancora si faceva venire giù la terra per franamento. Capite cosa rimaneva in quei vuoti senza aria in una miniera con il grisou? Dopo il 5 maggio obbligarono il giro d’aria; il lavoro però rimase uguale. Poi ci fecero fare anche i “taglioni”, i tagli inclinati. Si partiva dal tetto e si prendevano 2,50 metri di altezza per 3 metri di larghezza e si andava avanti con il legname. 3 metri di larghezza… chi non conosce la miniera non può sapere la pressione che si crea… Con questo sistema mandavamo 30, 35 vagoncini ed erano pochi; 40… pochi…; arrivammo fino a 120 vagoni ed erano pochi comunque. Poi portarono una sabbiatrice, con una lama di 1,20 m che entrava rasente al banco di carbone e lo tagliava sotto, poi venivano fatte scoppiare le mine. Ci portavano cappelli e butte di ferro, roba di 130, 140 chili e in due dovevamo alzarle ed agganciarle… roba pazzesca… 68 Documenti e racconti Il processo Fu una farsa. Venne ad interrogarci il maresciallo dei carabinieri, che poi ha preso anche la pensione per la silicosi. Il maresciallo aveva sentito dire che a Ribolla c’era la miniera, era totalmente fuori dalle questioni tecniche. Al Tacconi furono fatte tante offerte dalla Montecatini perché ritrattasse il discorso sul maialino d’india per misurare l’ossido di carbonio. Lo chiamarono, gli offrirono la liquidazione, un posto da guardia, ma lui rifiutò. Dal ’52 al ’54, periodo Padroni, dettero un maialino d’india in dotazione ad ogni compagnia di avanzamento, dentro una gabbietta. Gli davamo da mangiare. Secondo la teoria Padroni quando per mancanza di ossigeno o per eccesso di ossido di carbonio il maialino moriva, noi che avevamo un fisico più robusto, potevamo scappare e metterci in salvo. Però lui non teneva conto che il maialino era fermo mentre noi lavoravamo con fatica. Se poi ti moriva il maialino, oltre a fartelo ripagare ti mandavano in galera! Laggiù c’era anche da guardare il maiale! Andammo tutti su con l’intenzione di parlare, ma il giudice disse che ognuno doveva solo confermare quello che aveva già dichiarato al maresciallo, che era totalmente incompetente in fatto di miniere, senza aggiungere altro. Rischiai l’arresto per le mie proteste. A dominare la scena del processo c’era l’Ing. Seguiti, che era stato il direttore del distretto minerario e che aveva concesso quelle porcherie a Padroni; il Marcon non faceva mistero di essere un uomo di destra e tutti i suoi compor69 Documenti e racconti tamenti connotavano la sua arroganza politica con disprezzo del genere umano; l’Ing. Baseggio, che secondo me era il più incolore del branco, prese anche una bella tavolata in testa quando volò via il tetto del pozzino Camorra. Con lui dopo la ripresa del lavoro abbiamo riparlato da persone civili, da amici. 70 Documenti e racconti Montemassi, febbraio 2002 Osservazioni sul processo di Verona relativo alla tragedia del 4 maggio 1954 Ho riletto, in questi giorni, un riassunto del processo avvenuto a Verona nel 1956, dove furono processati i dirigenti della miniera di Ribolla, perché presunti colpevoli della morte di 43 minatori, per un colpo di grisou e pulviscolo, che poi si risolse con «Nessun colpevole». In quelle pagine (a mio avviso) si leggono troppi «Non ricordo», «Non ammetto», e troppe discolpe passate di mano in mano. Il Padroni Voglio provare a ripercorrere con la memoria le fasi precedenti al fatto, cercando di fare luce alla possibile verità su quella tragedia, dato che io, scrivente Florido Rosati, lavorai in quella miniera dal settembre 1936 fino al 25 aprile 1959, con la qualifica iniziale di boccaiolo (addetto agli ascensori, al carreggio), risalendo fino a minatore, armatore e disarmatore, lavorando in tutti i settori dei lavori elencati. Nel ricordo di quei tempi e degli anni trascorsi, cercherò di dare voce alle discordanze ed ai perché della stesura di quel processo. Nel 1952 venne a dirigere la miniera di Ribolla un ingegnere, Leonello Padroni, il quale dimostrò subito chi fosse e quale fosse il suo fine. Trasformò da subito il sistema di coltivazione, passando a tagli discendenti con riempi71 Documenti e racconti mento per frana, lasciando enormi vuoti sopra le teste dei minatori e delle gallerie, vuoti che si dimostravano poi enormi serbatoi di grisou. Ma diamo uno sguardo alla vita sociale, al rapporto tra gli operai e la direzione della miniera. Fin dall’ingresso di questa persona, da figurarsi come se un cane rabbioso lo si inserisse in un buon canile, i cani addetti a guardia furono tutti, o quasi, infettati. Nelle riunioni che teneva al personale di vigilanza e sorveglianza, pose loro l’obbligo che ogni sorvegliante, a fine turno, doveva avere fatto almeno un biglietto di punizione a chicchessia dei suoi sorvegliati. Tanto è che, chi non si sentì di fare tanto l’aguzzino, si dimise da sorvegliante e tornò a fare il minatore. Non ricordo il numero, quanti furono i dimissionari, ma qualche nome a ricordo di tutti lo porto a memoria: Ivan Gentili, Primo Turchi, Armelindo Prati di Tatti, Savino Magnanelli di Roccatederighi, che poi morì nello scoppio, Oleno Rosati di Montemassi, e così via. Quelli che restarono all’ordine della direzione, e da tale malattia contaminati, operarono in nome ed in virtù degli ordini ricevuti. Le lotte Fin da allora si scatenò un finimondo di lotte sindacali, scioperi spontanei, ribellioni di ogni genere. Il primo atto della direzione fu il licenziamento degli invalidi civili e di lavoro. Poi le rappresaglie politiche, con licenziamento dei politici e sindacalisti più impegnati. A questo punto le lotte si estesero alle miniere di tutto il comprensorio; furono lunghi 72 Documenti e racconti e duri gli scontri con la polizia chiamata a sostegno della direzione, ci furono pestaggi e arresti, le lotte continuarono in difesa dei diritti acquisiti e del posto di lavoro. Un giorno noi minatori ci trovammo, vestiti con i panni del lavoro, tutti in città a Grosseto e per quel giorno padroni indiscussi. La morsa ebbe un rallentamento, ma riprese in maniera paternalistica con premi consensuali fino a 60.000 lire a chi lasciava il posto. Poi si scatenò una marea di prezzolati al soldo della società Montecatini, che giravano di casa in casa a convincere le famiglie dei minatori a lasciare il posto di lavoro o passare al crumiraggio. Rallentò la lotta. Nel frattempo si erano schierate con i minatori tutte le categorie. Avevano aperto libretti di credito alla Coop, gli esercenti, gli artigiani e anche con la loro partecipazione alle lotte attive. Ma la direzione della miniera, con i suoi segugi al massimo dell’idrofobia, e sostenuta dal distretto provinciale, andò avanti così. Il 1° maggio del 1954, a sostegno della direzione, venne e scese in miniera un reporter del giornale Il Mattino. Il 2 maggio, al rientro in miniera, con la lampada ci fu consegnata una copia di quel giornale, nel quale era scritto «Nella miniera di Ribolla manca solo la televisione». La mattina del 4 maggio, stesso mese, stesso anno, due giorni dopo quelle affermazioni, uno scoppio di grisou uccise ben 43 minatori. 73 Documenti e racconti Il pulviscolo Da qui alle fasi del processo di Verona. E lì, a mio avviso, mancò la verità, la giustizia. Uno dei punti discussi del processo: c’era in miniera il pulviscolo? Polvere di carbone da creare anch’essa miscela esplosiva? Anche qui cercherò di chiarire che cosa era successo a monte del fatto. Tra le innovazioni portate da Padroni: tavole oscillanti ad aria compressa che facevano scendere il carbone dai tagli e dai piani inclinati; nelle tubazioni che da sempre portavano l’acqua fu fatto scorrere il fango (detto boiacca) che serviva a compattare i franamenti provocati per riempire i vuoti creati dallo scarbonamento, e a spegnere gli incendi che si sviluppavano per autocombustione in molte parti della miniera. Altra innovazione: l’abbattaggio a rapina. Tutto a fondo cieco. Da qui la necessità che tutte le compagnie fossero alimentate di aria con areazione sussidiaria. Dalle gallerie di base e di scorrimento i ventilatori, attraverso tubi di lamiera di 30 centimetri di diametro, spingevano l’aria nei tagli dove i minatori escavavano il carbone, in alcuni casi anche 100 metri di tubazione. L’acqua Data la distanza e lo sfregare dell’aria nei tubi, essa arrivava secca e irrespirabile. Altra trovata: tornò l’acqua in miniera con tubi molto più piccoli dei precedenti; camminavano insieme a quelli dell’aria da respirare, giunti all’ultimo tubo erano collegati ad un (chiamato) iniettore. Con la pressione polve74 Documenti e racconti rizzava l’acqua che, mista all’aria, finiva nelle cervicali degli addetti all’escavazione. Se avessimo voluto adoperare l’acqua per bagnare la discarica del carbone (dopo le mine), occorrevano chiavi per staccare l’iniettore e attaccare il flessibile. Finito di bagnare avremmo dovuto ripetere la manovra al contrario, ma anche qui c’era il problema del secondo e terzo turno, perché non c’era il meccanico di supporto. Il direttore, per sopperire a tale carenza, aveva dotato i suoi sorveglianti di una cassetta appositamente costruita in lamiera, con dentro tutte le chiavi meccaniche per le varie necessità: il peso della cassetta era (mi pare) di sette/otto chilogrammi. Dopo aver accettato l’incarico, il malcapitato doveva portarla sempre con sé. Il sorvegliante era a disposizione di un intero cantiere, non di una sola compagnia. La compagnia che ne aveva necessità, dopo brillate le mine, per cercare il sorvegliante, fare le manovre prima descritte, passava l’ora, e, se a fine turno non erano arrivati i carrelli del carbone ai pozzi di estrazione, scattava quel provvedimento del quale parlavo prima: un biglietto di punizione per turno, questa volta sarebbe stato scarso rendimento, uno dei più temuti. Così, noi minatori, costretti dal pezzo del pane, buttavamo nelle tavole oscillanti, nei fornelli, nei carrelli, tanto carbone ma anche enormi quantità di polvere che il circolo dell’aria trasportava. Ora chiedono al processo di Verona: ma c’era il pulviscolo in miniera? Lungo il tratto dove avveniva il movimento 75 Documenti e racconti e il carico del carbone, lo spessore della polvere era tale da non riconoscere le giunzioni dei tubi delle rotaie e delle tavole che guarnivano le botole. Di quanto scritto me ne possono fare testimonianza i pochi minatori ancora in vita a Ribolla e nei paesi, che in questa miniera lavoravano. Il maialino d’india Due nemici dei minatori: la mancanza di ossigeno e l’anidride carbonica. In barba alla tecnologia, la direzione della miniera dotò le compagnie più a rischio, come strumento di misura, di un maialino d’india (cosa da ridere se non fosse estremamente seria). A dire della direzione, il maialino appeso ad un asse della galleria in una gabbia, rosicchiava croste di pane e bucce di frutta. I minatori, intrisi di sudore, impastati di fango, troncati dal lavoro, dovevano aspettare che il maialino morisse (perché più sensibile) prima di proteggere il proprio fisico. Da tenere presente che, caso volesse, la morte del maialino veniva addebitata ai minatori con le sanzioni come prima scritte. Di questo al processo fu materia di scontro, perché già prima della tragedia era stato pubblicato sui giornali da Otello Tacconi, segretario della commissione interna. Non mi dilungo nei dettagli in quanto anche il caro Otello, grande difensore dei nostri diritti, è mancato da tempo. Il maresciallo L’indagine qui, sul luogo, all’epoca dei fatti fu 76 Documenti e racconti condotta da un maresciallo dei carabinieri che, poveraccio, sarà stato pure un buon poliziotto, ma sicuramente non preparato a competere con necessità ed esigenze di una miniera. Queste deposizioni così fatte, prive di senso, furono portate al processo. A quelli che furono chiamati a testimoniare a Verona, e fummo tanti in comparsa, non fu concesso, alla luce dei fatti, di aggiungere quello che sapevamo e avremmo detto; solo confermare le deposizioni fatte a richiesta di quel povero maresciallo. La posta in gioco Nel tempo che intercorse tra la strage e il processo, la Società non badò a spese. Suo intento: sviare la verità. Così prese a suo uso una serie di persone capaci in dialettica e le mise a perseguitare, in maniera paternalistica, tutti i familiari dei morti che, con la guida dei sindacati, si erano costituiti parte civile. Di volta in volta. Di caso in caso. Aumentavano la posta in soldi purché ritirassero la loro partecipazione al processo fino a quando al processo stesso si presentarono solo sei famiglie (Vannini, Magnanelli, Baldanzi, …). Queste furono liquidate in transazione con i sindacati; ebbero una liquidazione rispetto ai primi da uno a quindici milioni, e forse anche più. Questo per la Società fu un enorme deterrente per avere ragione sui torti. Il Marcon È riportata, sulle pagine di quel verbale, la sensibilità dei tecnici della miniera verso le maestranze, in particolare di un geometra o 77 Documenti e racconti perito minerario al quale si dà anche il titolo di ingegnere. Mi si fa obbligo, in nome della verità e dei ricordi, richiamare quel nome: Marcon. Ce ne furono di tecnici arroganti e mancanti di umano rispetto per gli operai, ma certo il Marcon non fu tra i migliori. Mi permetto di scrivere un aneddoto (mi pare si dica così): due operai che lavoravano in una galleria di base dove c’era l’acqua andarono in quell’ufficio a chiedere il compenso per lavoro disagiato, in quel caso «acqua al piede». Stava piovendo fuori e il tanto umano Marcon disse loro: «Andate fuori, così la prendete al piede e al capo!». I due, purtroppo ora morti, erano Giuseppe Franchi e Frauville Cicalini (Lille), due operai onesti e sicuramente non meritevoli di tali apprezzamenti. Potrei avere decine di testimonianze negative in cui il Marcon si distinse. La politica del carciofo Composto questa memoria a mo’ di scheda dei nostri dirigenti, l’esito del processo l’ho già detto: «Tutti assolti, non esiste il fatto». Il lavoro in miniera continua con le maestranze rimaste. La Società va avanti con la politica del carciofo: poche foglie alla volta per poi buttare al macero anche il torso. E questo è quello che avvenne. È inutile dire che noi minatori eravamo tutti schedati, la maggior parte aveva fatto o subito la guerra. Moltissimi erano stati in formazioni partigiane o collaborato con esse. La commissione che di volta in volta sceglieva chi licenziare teneva conto del rendi78 Documenti e racconti mento, della cultura, della politica e della giustizia. Della suddetta commissione, per tutto quel periodo e per sua richiesta, fece parte il prete di fabbrica. Al processo di Verona… Giuro al lettore che giustizia non ci fu. Vi fu invece abuso di potere, arroganza padronale, rabbioso attacco politico. Tengo a rimarcare questo con estrema chiarezza a tutti coloro che avevano il marchio di comunista, partigiano, collaboratore per la resistenza al fascismo. La lettera di licenziamento ci fu recapitata la mattina del 25 aprile 1959. Per chi ha il senso della parola «umanità», due cose tengo ad affermare: La guerra è l’ultima pazzia, la miniera l’ultimo pane. 79 Documenti e racconti L’umiltà e la boria Antonino in fondo all’aia guardava gli animali da cortile che non danneggiassero il grano non ancora maturo. Suo padre accudiva le stalle piene di buoi, asini, mucche, ecc. I pantaloni sporchi di letame, la camicia fradicia di sudore. Il cappello di paglia cadeva a brandelli ma proteggeva la testa dal caldo sole di quel giorno di maggio. Dalla stradina che conduce al podere apparve un calesse trainato da un lucido cavallo; anche i finimenti in cuoio erano lucidissimi. Antonino si guardò i piedini scalzi, quasi (pensò) che quel cuoio avrebbe potuto proteggere i suoi piedi. Dal calesse (anch’esso lucidissimo) scese un uomo massiccio. Ben vestito, un cappello con la tesa molto grande che gli copriva la grossa e carnosa testa, una giacca grigia cucita in doppio petto, lucidissime scarpe che brillavano al sole. Guidava il cavallo un altro uomo, anch’esso ben vestito. Portava a tracolla una doppietta (fucile). Il babbo di Antonino, accortosi di quella presenza, le andò incontro. Si tolse il cappello e quasi inchinandosi le disse: «Buongiorno padrone». L’omone, quasi ignorandolo, gli chiese: «Quanti sono i buoi, quanti gli asini, quante le mucche?» e così via. 80 Documenti e racconti Antonino, in quel caldo afoso, vedeva scendere il sudore dalla fronte del babbo. L’omone camminava qua e là chiedendo ancora qualcosa. Qualche nuvoletta di polvere mossa dal camminare annebbiava le lucide scarpe. Fin quando quella lussuosa combinazione rimase sull’aia il contadino la seguì con il cappello in mano. Quando partirono, ossequiandoli a mo’ d’inchino, si rimise lo sconcio cappello. Passò un po’ di tempo. Una mattina nel finire di aprile, i primi giorni di maggio, il cielo si tinse di rosa e sempre più si colorava di rosso quasi fosse un’aurora boreale. Quella luce veniva da oriente. Sul viso sommesso di quel bambino apparve un sorriso. Quel Rosso portava un messaggio chiaro inequivocabile. Tra gli uomini, chi loro essi siano, dovunque camminino, nessun si tolga più il cappello di fronte al suo simile. Quel rosso. Quella luce. Là era. Là è. E rimane. Per chi su la terra cammina e lavora IL SOLE DELL’AVVENIRE. 81 Documenti e racconti Montemassi. Settembre 2002 Florido Rosati descrive un infortunio accaduto nella miniera di Ribolla che costò la vita a un suo amico, morto asfissiato insieme ad altre due persone. A diciotto anni morire in miniera… Perché? Miniera di Ribolla - 1939 Nella miniera di Ribolla il montacarichi era il lavoro più duro di tutto l’esterno dei pozzi. Infatti, dopo la visita per la valutazione fisica, in infermeria ci veniva messo uno strumentino in mano, da stringere per misurare la forza. Molti di noi ragazzi (manco a dirlo!), i più robusti, venivano poi “domati” al montacarichi, là dove facevamo correre su rotaie, scambi e chiattine (piastre di ferro dove far cambiare direzione alle casse), carrelli basculanti da 800 litri. Un po’ come la doma dei muli da soma. Quei carrelli venivano poi vuotati in botole che scaricavano nei vagli e sui nastri della cernita, dove lavoravano decine di donne in due turni. Quando la cernita aveva dei guasti, le donne venivano mandate a ordinare i cumuli di carbone, pulire i piazzali, ecc. Gli addetti al montacarichi venivano lasciati sopra a recuperare un po’ di fisico, data la durezza di quel lavoro. Si sentiva nell’aria il vento della guerra che 82 Documenti e racconti si avvicinava; molti giovani, nella speranza di ottenere l’esonero, lasciarono le altre attività e vennero a lavorare in miniera. Così anche il mio amico Daniele Poli: da Volterra si trasferì a Montemassi (paese di origine di sua madre) per lavorare nella vicina miniera di Ribolla. Al ragazzo, abbastanza robusto, fu permesso di restare all’esterno dei pozzi e fu mandato al montacarichi (alla doma dei muli). Riusciva bene e rimase; fin quando, un giorno, ci fu un guasto alla cernita: le donne con i badili in mano e nel piazzale, ai cumuli di carbone e quanto altro, gli addetti al montacarichi sopra a prendere respiro. Alla rimessa in moto della cernita, su di un nastro trasportatore di carbone, c’era una scritta un po’ oscena, ma non compromettente per nessuno; le donne chiamarono il sorvegliante, il quale ne fece una specie di tragedia (dati i tempi che correvano) e così un paio di giovani vennero puniti mandandoli in miniera, tra i quali il mio amico Daniele. Venne mandato al pozzo Costantino con gli altri che già vi lavoravano. Entrarono alle ore 15, erano Minos Masotti di Montemassi, Danilo Carli di Tatti, Daniele Poli, il ragazzo mio amico e quasi coetaneo e uno di Sassofortino (non ricordo il nome). Verso le 19, l’ora di consumare il pasto frugale per il minatore, fu tragedia: una frana di fuoco ostruì la galleria di accesso; uno di loro, quello di Sassofortino, tentò la sorte, si bruciò ovunque ma traversò la frana e si portò in salvo. Dette l’allarme. Il fuoco scendeva ancora, non era possibile il soccorso immediato. Gli altri tre si incamminarono verso il pozzo di riflusso; l’ossido di carbonio e il veleno dei re83 Documenti e racconti sidui della miniera fecero il resto. Vennero recuperati, dopo due giorni, i tre corpi privi di vita. Così prevalsero, per l’orgoglio del padrone, lo zelo e la falsa morale clerico-fascista del prepotente, sopra la vita di un ragazzo di diciotto anni che, alla quarta ora della sua prima entrata in un pozzo della miniera, morì con i suoi due compagni, il giorno 3 del mese di gennaio dell’anno 1939, nella miniera del gruppo Montecatini a Ribolla, in provincia di Grosseto. Onore a te, Daniele. Un amico. 84 Documenti e racconti Dicembre 2003 La miniera di Ribolla e il suo indotto. Florido racconta… Nei primi anni del 1900, anche i primi anni del movimento socialista, vi furono uomini nella nostra zona capaci di dare impulso e svolta a certi movimenti; tra questi furono Pietro Ravagli di Roccatederighi e Antonio Gamberi, poeta di fama internazionale, che operò per un periodo di tempo anche in America Latina. Fu per lungo tempo esule in Francia, da dove scrisse i volumi “Battaglie Sovversive” e “Ultime Battaglie”, composti da centinaia di poesie che io ho avuto l’opportunità di leggere. Nei primi anni ’10 vi fu, a Grosseto e provincia, una grande competizione politica tra il socialista Merloni e il popolare Ciacci. Il compito affidato a Gamberi (nato e operante nelle zone di Tatti, Roccatederighi e Montemassi) fu di portare la campagna elettorale sulla montagna amiatina ed ebbe un enorme successo con la vittoria assoluta del socialista Merloni. Gamberi dà pieno riscontro a quella prova positiva con una poesia su “Battaglie Sovversive” intitolata “Ai preti del Corriere dell’Amiata”. Nel suo pellegrinare politico su paesi come Arcidosso, Castel del Piano, Santa Fiora e tutto il comprensorio amiatino, ebbe l’occasione di conoscere lo stato di precarietà e di miseria del popolo di quella zona. I boscaioli, i segantini che nell’inverno facevano lavori stagionali 85 Documenti e racconti nella bassa montagna, nell’estate andavano a fare i braccianti agricoli in Maremma, andavano a fare le faccende agricole nelle fattorie come Acquisti, Galere, Macchia Scandona, Trappola, ecc. A molti, tornati in montagna, non bastava il guadagno dell’estate per curarsi la febbre malarica. Questo fu recepito da Antonio Gamberi; con la sua capacità dialettica convinse un primo gruppo di boscaioli-segantini (quelli che con seghe a telaio e segoni lineari riducevano i tronchi in legname lavorato) a recarsi a lavoro nella zona di Roccatederighi, dove degli imprenditori boschivi (come Pitena, il Girelli Gemino), capi macchia e vetturini come il Cacioli (detto Chiano) e figli, dirigevano il commercio e il trasporto del legname. Intanto la miniera di Ribolla e Casteani si estendeva come lavoro e numero di operai e necessitava di legname lavorato: traverse di ferrovia, traversoni per i pozzi, guide per le gabbie (ascensori), puntelli (assi di sostegno per il sottoterra). Il primo gruppo che si portò in zona, composto da una decina di elementi, era guidato da mio nonno paterno che era presidente della Cooperativa Lavoro dei Bagnoli di Arcidosso: a loro fu assegnata la zona delle Cerbaie, un bosco prevalentemente di quercia che si estendeva da qualche centinaio di metri di distanza dalla miniera, cioè scenderia di San Feriolo, scenderia delle Patate, Pozzo Cava; in sostanza partiva dal ponte sul torrente Raspollino, dove ora ci sono il podere di Aldo Ghezzi e quello del Macchi, fino all’Aina, cioè la dritta per Montemassi fino al ponte del Ricci (attuale 86 Documenti e racconti monumento ai caduti della Resistenza). Di questo gruppo faceva parte anche mio padre, appena congedato da militare per la guerra di Libia (1911). Andarono ad abitare in una casa colonica dove il contadino era un certo Niccolai; questi faceva un po’ l’antenato dell’attuale agriturismo (la casa era quella detta San Giusto, dove ora abita una famiglia di tedeschi), infatti procurava loro il cibo. Dormivano in un fienile, su giacigli di paglia. Il mangiare (la dieta): al mattino la consueta coppia di uova a bere con un bicchiere di vino dietro o acquavite (attuale grappa). Per mezzogiorno portavano con sé due chili di farina di granturco, il paiolo, una forma di cacio e un pane grosso, una barletta di vino di circa venti litri (piccola botte in legno). Per l’acqua: ai ruscelli. La mattina, alle prime luci dell’alba, erano sul lavoro; ogni giorno alle dodici polenta fatta sul posto. Alla sera, quando il crepuscolo oscurava la terra, accendevano dei falò di frasche per lavorare qualche ora in più. Erano uomini forti, robusti, molto allenati; con accette abbattevano enormi piante di quercia e altri alberi e con lunghi segoni lineari e seghe a telaio riducevano i tronchi a tavole e tavoloni più o meno grossi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, strappavano il legno con l’ausilio delle sole braccia, lavoravano oltre le ore della luce del sole. A tarda sera, quando arrivavano alla precaria dimora, una ragazza della famiglia preparava per loro la cena, il consueto piatto di minestra, il secondo, pane e vino, poiché c’era una fornita cantina locale. Nel 1914 il mio babbo sposò la ragazza che 87 Documenti e racconti fino ad allora era stata la loro vivandiera; intanto il gruppo era aumentato, la richiesta di quel lavoro anche. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, la miniera di Ribolla lavorava a pieno ritmo e anche da quel lavoro c’era una gran richiesta di legname. I giovani furono chiamati alle armi, diversi di loro non fecero mai ritorno. I lavoratori amiatini crebbero di numero nella zona, il mio babbo lo mandarono in guerra, in due licenze, in quel periodo, nascemmo io e mio fratello. Fummo da allora la seconda generazione che a suo tempo (così la storia volle) è stata di minatori della miniera di Ribolla fino alla sua chiusura. Il ciclo è continuato e sono molti gli amiatini che hanno popolato la miniera, le campagne e le frazioni che intorno alla miniera sono vissute e sviluppate. Anche noi, persone fisiche di seconda generazione, da allora abbiamo pagato all’Italia e per l’Italia lo scotto di cinque anni di guerra per la seconda guerra mondiale, combattendo fuori e dentro ai confini della nazione, compresa la guerra partigiana di liberazione. 88 Documenti e racconti Montemassi, gennaio 2004 Il bosco. Lavoro, sacrifici e pregi Racconti di storie vissute Durante quella che fu chiamata “la crisi di lavoro del 1929” che per l’Italia incominciò con l’avvento del fascismo, noi bambini, fatti i primi due anni di scuola, perché figli di contadini, già ad aiutare nei lavori del podere. Durante l’inverno mandavamo le bestie al pascolo nei boschi che distavano solo qualche centinaio di metri dal podere; gli adulti, già cacciatori e bracconieri, ci insegnavano l’arte di tendere pietraccole, lacci, laccioli, penere, stringoli e tagliole di ogni tipo per cacciare gli uccelli e altri animali che nei boschi in inverno pullulavano in numero incontrollabile. Era una risorsa di vita per mangiare, per noi e per le nostre famiglie, dove a sufficienza c’era solo il pane (per noi contadini, per gli altri scarseggiava anche quello!). I boschi venivano tagliati e riceppati ogni quindici anni, quindi in piena produzione di legna e di frutti. Albatre, mortella, mangiaole, prugne selvatiche e altri frutti in quantità minore, comunque pascoli abbondanti per tutti gli abitanti del bosco: tassi, volpi, istrici, martore, cinghiali, ecc. Una gamma infinita di uccelli come pettirossi, capinere, capirossi, merli stanziali, merli di passo, tordi bottacci, tordi sasselli. Tanto per ricordarne le qualità più comuni e più nu89 Documenti e racconti merose. Altri che nidificavano nelle zone più vicine alle coltivazioni, come tortore, stame, quaglie, strillozzi, allodole, passeri, lì trovavano modo di vita e non solo, anche qui citiamo i più comuni di queste specie. La riproduzione superava di gran lunga il prelievo dell’uomo. Laddove erano a pascolo greggi di armenti di ogni tipo e grandi stive di letame, si producevano enormità di moscerini e altri insetti: qui volavano stormi di rondini, rondoni, balestrucci. Questi, uccelli migratori e chiassosi, nidificavano a migliaia sotto le gronde dei tetti, sia in paese che nelle case coloniche. In autunno, in grandi branchi a piccole nuvole, ripartivano per zone più calde. Portavano con sé i nostri ricordi, per averli veduti sfrecciare con volo rapido sopra le greggi, sopra i letamai, dove mangiavano al volo nuvole di mosche e di moscerini e quando negli stagni di acqua andavano a bere con volo radente, il becco verso l’acqua, vi lasciavano un piccolo rigo per la goccia rubata, che l’acqua richiudeva. Era simile a un piccolo segno di matita lasciato su un grande manifesto che poi scompare, questi piccoli segni non ci passarono mai inosservati. La loro permanenza ci aveva visti tutta l’estate camminare scalzi e a dorso nudo per i campi falciati e la loro partenza ci metteva pensiero: tornava la cattiva stagione. Tornava l’inverno e noi ragazzi sull’adolescenza, con le nostre bestie al pascolo e con i nostri ormai conosciuti attrezzi da caccia, riprendevamo il nostro consolidato modo di cacciare e ritrovavamo, così, la risorsa con la quale mangiare il pezzo di pane. 90 Documenti e racconti Quando ne prendevamo in più (e succedeva spesso) li vendevamo alle famiglie più ricche del paese; il ricavato andava, di solito, a maestre in pensione che, con la cosiddetta scuola serale a pagamento, ci insegnavano a comporre le parole e un po’ a leggere e scrivere. Vi era un’altra gamma di piccoli uccelli non cacciabili (per citarne alcuni, lo scricciolo o re di macchia, il picchio rampichino, il raperino, la potassina, il codibugnolo): erano più piccoli della falange di un dito e di solito nidificavano sui frutti, sugli olivi e nei vigneti, dei quali frutti erano gli spazzini, li tenevano ripuliti da insetti e da larve stabilendo la quantità e la qualità del prodotto. Nel nostro pellegrinare nei boschi, avemmo l’occasione di conoscere, e da più grandi anche di praticare, un altro mestiere: il boscaiolo. I boscaioli venivano più che altro dal senese (da Chiusdino) e dalla Lucchesia. Arrivati nella zona, per qualche giorno si adattavano nelle nostre case (noi li abbiamo ospitati più volte), quindi iniziavano a costruire la loro abitazione nel bosco. Il capanno: un telaio di legno robusto, poi pertiche laterali, quindi rivestito di frasca. Con una grossa zappa fatta allo scopo, facevano zolle di terra ed erbacce per ricoprirlo e renderlo resistente alle intemperie. Questa diveniva la loro abitazione per tutta la stagione, il tempo del taglio e della cottura del carbone che si prolungava, di solito, dal primo settembre al trenta aprile dell’anno successivo. Nel capanno venivano costruite le rapazzole, specie di giacigli intrecciati di pertiche e imbottiti di paglia. Le balle da carbone (sacchi molto grandi che servivano per il suo 91 Documenti e racconti trasporto) venivano usate come materassi e coperte. Al centro del capanno c’era lo spazio per il braciere, che rimaneva acceso per tutta la durata del lavoro, veniva sempre alimentato con legna ed era riscaldamento e focolare dove cucinare giorno e sera. L’illuminazione era con lumi a olio, nei casi migliori con acetilene. Ricordo perfettamente la squadra di Chiusdino, aveva il capanno nel poggio dell’Olivastra (zona del Troscione) e quello dei pistoiesi era nel piano della Radunata, zona di Poggio Querceto. Per l’acqua da bere, cucinare e lavarsi: ai ruscelli. Anche nel focolare di noi contadini, in inverno, il fuoco era sempre acceso e alimentato da grossi ciocchi e quando le piogge erano più forti e continue o il freddo glaciale, i boscaioli e carbonai venivano a passare le notti da noi. Il posto nelle case poderali non era gran che spazioso, ma ci arrangiavamo un po’ tutti: la sera dopo avere cenato di quello che consentivano le possibilità, i più vecchi raccontavano le loro storie e noi ragazzi, a occhi spalancati, ascoltavamo. All’ora di andare a dormire, noi nelle purtroppo misere stanzette e i boscaioli scansavano il tavolo dal mezzo della cucina, stendevano sul pavimento i sacchi pieni di paglia, attizzavano i ciocchi sul focolare al quale porgevano i piedi, con il capo sotto al tavolo. Così potevano passare la notte tra le mura e sotto a un tetto, più al sicuro dal freddo e dalla pioggia che non nel capanno nel bosco. Era questa miseria, ma ci volevamo bene e ci rispettavamo. 92 Documenti e racconti Il lavoro nel bosco Alle prime luci dell’alba, iniziava il picchiettare dell’accetta e del pennato fino a sera. Quando il crepuscolo oscurava la terra, accendevano dei falò con la frasca abbattuta durante il giorno e a quel chiarore lavoravano qualche ora in più. Era solito che il più giovane della squadra facesse il Meo (cuoco): la mattina prendeva un fiasco nudo, lo faceva mezzo di fagioli e il resto di acqua, lo poneva sul braciere al centro del capanno. A mezzogiorno i fagioli erano cotti, così in un tegame un pomodoro, due spicchi d’aglio, un ramoscello di salvia: erano detti “fagioli all’uccelletta” e, quando li prendevano, erano pure gli uccelli a comporre il secondo. Un giorno dopo l’altro a mezzogiorno era polenta: quando il meo aveva pronto il mangiare chiamava i compagni tagliatori per il pranzo. A tutta voce chiamava: “A pulenda”. Dalla vallata di Tassinaia ai grottoni di Rocchibella, lungo il torrente le Maggiori, l’eco accompagnava ripetendo “enda… enda… enda…”. Dall’altra parte della valle una voce rispondeva: “S’arriva!” e il solito eco nelle stesse valli ripeteva “iva… iva… iva…”. I cibi molto usati erano aringhe e baccalà arrostiti nella brace e conditi con olio e peperoncino. I giorni di festa, qualche fiasco di vino. Non faceva mai sosta il boscaiolo. Quando, verso primavera, la legna tagliata era stivata intorno alle sedi per la cottura, iniziava il lavoro del carbonaio. I boscaioli stivavano la legna a mo’ di pagliaio, un bel monte molto composto ricoperto di terra, quindi da una feritoia appositamente lasciata al centro, 93 Documenti e racconti accendevano il fuoco che durava dei giorni, a seconda della quantità di legna. Non si vedeva mai la fiamma, ma solo fumo: una dopo l’altra venivano accese le carbonaie e la valle si riempiva del fumo lasciato uscire dai piccoli fori che il carbonaio praticava a suo modo nella carbonaia, con un legno appuntito preparato allo scopo. Quando il carbonaio, sicuro del suo mestiere, riconosceva che il carbone era pronto, faceva spegnere il fuoco chiudendo tutti i fori con la pala e calpestando con i piedi. Dopo due o tre giorni, quando non emetteva più fumo, andava a fare lo “scarbonamento”: toglieva la terra e scopriva il bel carbone vegetale, tirava fuori, con apposite forche e rastrelli, i bei cannelli simili alla legna che prima aveva stivato. Ora arriva un altro mestiere: il Vetturino, l’uomo che con i muli da soma trasportava le grosse balle di carbone da dentro al bosco all’imposto dove erano caricate sui camion per raggiungere i luoghi di consumo. Questo prodotto energetico veniva ampiamente usato per riscaldamenti, ma, soprattutto, per cucinare in case private, ristoranti, ospedali. Parlavamo del vetturino. Questi uomini addetti a tale lavoro, custodivano i muli, il basto e le altre attrezzature inerenti il carico. Alle prime luci dell’alba, “vestivano i muli” (linguaggio di quel mestiere) messe le sonagliere (campani e campanelli), quando si addentravano nei sentieri e viottoli del bosco, con tutti quei suoni sembrava una piccola festa. Arrivato in prossimità delle carbonaie, vicino alla zona di carico, fermava i muli e ascoltava il richiamo del carbonaio. Questi si faceva localizzare con un urlo a tutta voce: “Eeeù…” 94 Documenti e racconti il vetturino rispondeva al richiamo: “Eeeù” e l’eco delle vallate li accompagnava da Tassinaia ai Grottoni di Rocchibella, lungo il torrente le Maggiori, ripetendo: “Eeeù… eeeù… eeeù…”. Con questi ricordi, poco più che adolescente, vado a lavorare in miniera; è ancora carbone, ma fossile, carico del micidiale grisou e di quanto altro la miniera comporta. La mia gioventù? A venti anni la guerra in Africa, nei deserti della Libia e dell’Egitto; dopo, guerra ancora in madrepatria fino alla fine della guerra partigiana di liberazione. All’indomani della guerra tutto è cambiato, i mezzi energetici sono stati gasolio, gas gpl, gas metano e quanto altro. I boschi sono stati abbandonati a loro stessi. La mortella non fruttifica più, soffocata dalle piante più grandi: è seccata all’interno dei boschi. L’albatro s’è invecchiato e non dà più le rosse bacche, grande cibo per tutti gli abitanti dei boschi, anche per noi che da giovinetti venivamo a raccoglierle per farne saporose e buone marmellate. Anche i prugni selvatici sono morti sotto l’ombra delle piante più grosse, anche questo frutto, noi ragazzi, lo rubavamo ai tordi sasselli che ne erano ghiotti; lo portavamo a casa e le donne, quando facevano il pane, ne facevano uno strato sopra alla schiaccia, veniva una specie di crostata dal sapore dolce-agro, con la quale facevamo succulente colazioni. I piccoli uccelli, gli spazzini delle piante, olivi, frutti, viti, non ci sono più, sono stati sostituiti e uccisi dai fitofarmaci, prodotti chimici adoperati in tutti i settori dell’agricoltura; i nostri pronipoti non potranno sentirne il canto, il cinguettio di questi piccoli esseri che, nelle 95 Documenti e racconti fratte, nei ruscelli, hanno allietato noi nel nostro essere bambini. Raro è diventato anche il menestrello della notte, quello che ha ispirato scrittori e poeti: il tanto amato usignolo. Nelle stoppie, nei campi, non si trovano le quaglie, le stame e gli altri uccelli che nidificano per terra; prima ce n’erano tanti e li hanno distrutti i diserbanti. Quando c’erano solo cacciatori e bracconieri, nonostante il prelievo, la produzione avanzava, era più che doppia. Ormai sono vecchio, dalle finestre della mia abitazione, posta in paese a Montemassi, vedo nitidi quei poggi dove centinaia di giorni vi passai a far pascolare bestie vaccine, capre, asini, maiali. Osservo con scrupolosa attenzione il poggetto dell’Olivastra, Poggio alle Donne, Poggio alle Forche, Poggio Bufalante, Poggio Querceto e le loro vallate, rivivo con la mente i giorni in cui vi ho camminato in ginocchio, per tendere trappole di ogni genere, raccogliere funghi e albatrelle per farne marmellata e grappa, il tutto dai sapori genuini e inconfondibili. Da qualche anno sono tornati i boscaioli, per brevi periodi in inverno: non più il ticchettio del pennato e dell’accetta, ma nuvolette di fumo e l’assordante rumore delle motoseghe; al disbosco, non più i muli con le sonagliere, di Cecco e di Oreste del Chiano (i vetturini), ma grossi trattori con ruspe che feriscono il bosco, non più i piccoli sentieri, ma squarci, aperture per far passare i grandi mezzi. Grandi nuvole di pestilente fumo dei carburanti. Anche i nostri piccoli amici, abitanti dei boschi, sopravvissuti allo scempio chimico se ne vanno e deve passare qualche anno per farli tornare, fin quando sia annullata la pestilenza 96 Documenti e racconti dei carburanti e in parte rimarginate le ferite inferte dall’uomo. Nella mia mente è ancora scolpito l’urlo del carbonaio per farsi localizzare e la risposta del vetturino, ma soprattutto il meo, il ragazzo che chiamava: “A pulenda!” e l’eco lo trasporta nella grande vallata, fino ai Grottoni di Rocchibella: “Enda… enda… enda…”. 97 Documenti e racconti Anni 1950 - Miniera di carbone - Ribolla Fonte di lavoro e di vita o di tortura e morte? Quanto dannoso e bestiale fosse il lavoro in miniera me ne sono accorto allora. Quando ormai vecchio e aver fatto lavori precari come contadino, boscaiolo, ecc… Da questi lavori precari tornavo a casa la sera con le braccia graffiate dai rovi, i panni stracciati, stanco sì, ma solo stanco. Poi sono stato cantoniere, lavoro sedentario di fronte alla miniera. Torniamo alla miniera e parliamo di quella che fu chiamata innovazione tecnologica. Lo scafandro Abbiamo ampiamente parlato di lavoro al limite della sopportazione fisica. Lavoro in avanzamento o risanamento. Manovale e minatore avanti all’avanzamento, più indietro, due della squadra-soccorso con indosso autorespiratori pronti a intervenire se l’uno o l’altro fossimo caduti esausti. In lavori come risanare zone passate dal fuoco, rosticci, cenere e così via, ci trovavamo a lavorare su polveri di questo tipo che irritavano le mucose fino a far sanguinare il naso (per dissetarci portavamo in miniera la fiasca – contenitore in vetro rivestito in vimini dalla capienza di cinque litri – in otto ore di quel lavoro la bevevamo tutta. Poca resa in urina, l’altro dai pori della pelle in sudore). Dopo pochi minuti in quei lavori ci riconoscevamo 98 Documenti e racconti dalla voce, il resto è un impasto di polvere e sudore, restano visibili solo gli occhi e i denti. La genialità dell’ingegnere Padroni (direttore della miniera) fece costruire, allo scopo, lo scafandro. Poiché in quei lavori necessitavano due ventilatori: uno premente, l’altro aspirante per far circolare l’aria nell’avanzamento, già usati in altri periodi. I ventilatori costavano grosse cifre. Invece questo scafandro costava nulla data l’esiguità del materiale per costruirlo e la mano d’opera del personale della miniera; ai padroni conta il risparmiare i soldi, non la vita dei minatori. Infatti si trattò di un pezzo di tubo di lamiera zincata del diametro di circa 25-30 centimetri alla base, che andava sulle spalle, una grembiolina di tela gommata sopra tra i capelli di chi lo indossava e il coperchio, un iniettore (ugello) collegato con un piccolo, ma abbastanza lungo, tubo flessibile da poter consentire i movimenti a chi lo indossava. Il tutto collegato alla tubazione dell’aria compressa (quella usata per i martelli picconatori e perforatori). Poiché una certa quantità di olio lubrificante veniva messa nell’aria che faceva girare i martelli per lubrificarli così, il nostro direttore, nello scafandro ci fece mettere un batuffolo di cotone idrofilo tra l’uscita dell’aria dal flessibile e l’ugello che spandeva l’aria da respirare. Quando a inizio turno l’operaio che lo doveva indossare cambiava il cotone, quello già usato era intriso d’olio. Credo che questo basti per far capire che anche a noi minatori lubrificavano bronchi e polmoni come ai martelli. Se con questo mezzo riuscì a farci respirare, il resto del corpo a quali sevizie, a quali torture fu esposto? 99 Documenti e racconti Quasi tutti i minatori di quelle due generazioni avevano sopportato l’urto e il peso della guerra, chi quella combattuta come lo scrivente – per due anni Libia-Egitto più uno in Italia, poi perseguitato politico, quindi al bosco, partigiano – chi come militarizzati perché stabilimento ausiliare, praticamente militari anche gli anziani operai; quindi la guerra li investì, li coinvolse o li travolse. Quindi non più solo torture in guerra e per la guerra, ma torture anche in miniera per la miniera. Voglio ricordare che l’oro che luccica addosso alle spumeggianti e sofisticate signore dei ricchi, dei ladroni del mondo è il nostro sangue, il nostro sudore succhiato e cristallizzato. A noi una parte di quel materiale è restato, ma conficcato nei polmoni (si chiama silicosi) che tortura il respiro, il fisico e porta alla morte. Voglio altresì ricordare che la guerra è l’ultima pazzia, la miniera l’ultimo pane. Florido Rosati Montemassi, Novembre 2005 100 Documenti e racconti Arcidosso, febbraio 2008 Tutti assolti, non esiste il fatto Le morti bianche Il grande esercito del lavoro ha pagato e paga la ricchezza (che altri rubano e sfruttano) con il sangue, con la vita. Un esempio. Miniera di Ribolla dove lavorai per 22 anni – Le grandi stragi –. 1935 – 16 morti, 2 invalidi. Mancanza di giro d’aria. C’era il fascismo, nessuno dei responsabili pagò. Nessun processo. 1945 – Caos di fine guerra, mancanza di giro d’aria. 8 morti, 5 invalidi. Nessun processo, non pagarono né padroni né dirigenti. 1954 – 4 maggio. Da anni, anche a mezzo stampa, si annunciava la strage. Produzione a rapina, mancanza d’aria. I dirigenti e i padroni, protetti dagli organi di tutela, andarono avanti. Quel giorno 43 morti, 2 invalidi. Finalmente un processo, di competenza Grosseto, spostato a Verona. Centinaia di testimoni e di udienze, alla sbarra dirigenti e tutori. Conclusione del processo. Tutti assolti, non esiste il fatto. Per ricordare quella strage bisogna ritrovare 43 epigrafi nei cimiteri della zona o 43 cipressi piantati intorno al monumento. Hanno pagato il lavoro e chi produce ricchezze. La strage continua. I criminali o presunti tali nell’orgia dell’oro. Tutti assolti, non esiste il fatto. 101 Linguaggio minerario Assi di sostegno Lungherina: asse per sopra di 3 metri lunga. Gamba: puntello in verticale con denti di sostegno. Gorgia: puntello di sostegno a bocca di lupo. Quadro: sostegno a tre pezzi, due in verticale e uno in orizzontale. Galleria normale: alto metri 1,80 al piede, metri 1,8 in testa, 1,20 trapezoidale. Quadretto: in legno a cinque pezzi per divario di luci, un passaggio personale e attrezzature, l’altra buttaggio materiale. Tirante: legno che dà sostegno tra un quadro e l’altro. Infilatura: tavole spinte avanti con mazza per sostenere il sopra se friabile. Marcia avanti: filagne in legno per impalcature dove si devono riempire i vuoti. Butte e cassi di sostegno con gorgia: bocca di lupo all’estremità superiore. 105 Liguaggio minerario Coltivazione Tracciamento: avanzamento in carbone, tra versamento del banco carbonifero. Camera a tetto: trancia dove si leva il carbone fino al suo esaurimento in media. Camera a letto: come sopra solo che tetto scende, letto sale. Ripiena: riempire i vuoti con terra sterile. Riempimento per frana: far crollare il sopra per riempire i vuoti provocati, il più pericoloso. Gradino rovescio: riempire sotto, scarbonare sopra, grande impegno per i minatori. Tagli inclinati: scarbonamento a rapina armati in ferro, fidare nella preparazione dei minatori e nella fortuna per non restare schiacciati, molto redditizio. Spurgamento: lavoro molto basso dove i minatori lavorano in ginocchio o sdraiati. Avanzamenti: tracciamento in terra o roccia di vario tipo per la ricerca di nuovo banco o di arieggio sempre a fondo cieco. Fornelli/Pozzini: per costruire questa struttura tra un piano di gallerie e l’altro superiore – un esempio dal -260 al -220, 40 matri da perforare dal basso all’alto – si sparano le mine nel materiale; gli addetti entrano nel vuoto creato e fanno cadere il materiale smosso con l’esplosione, quindi armano fino a raggiungere la galleria superiore. Occorreno una preparazione e un’attenzione particolari. La rimozione di questo materiale si chiama disgaggio. Non sempre però bastavano attenzione e capacità nell’operare. Per fare quel pozzo così progettato qualche volta capitavano decine di infortuni. Ma quella era la miniera, e quello il lavoro dei minatori. 106 Liguaggio minerario Disgaggio: lavoro di massima attenzione. Sbancamento: rimessa in piano dei binari e pulizia della galleria. Carreggio: spingere i vagoni vuoti o pieni. Armamento: rimettere in sesto gallerie, rimonta fornelli riportati allo stato normale se schiacciati dalla pressione. Mortuase: piccola fondazione per legname in verticale, piccola buca. Croazza: vuoto con acqua o aria morta. Rigola: piccola fossa per lo scorrimento di acqua. Sfilzi: specie di zeppe per trastare i quadri. Lavori a fondo cieco: senza giro di aria, solo areazione sussidiaria a mezzo ventilatori, molto spesso scarsa. Quote Meno 132 Meno 154 Meno 175, e così via. Sono i metri di quota sotto il livello del mare. Attrezzi di lavoro Chiattina: piastra di ferro per far girare i vagoni. Piccone a due punte Piccone punto e taglio Picchetto: a una sola punta occhio tipo martello, occhio anello dove corre il manico. Segaccio: sega con solo manico indispensabile, multiuso. Sega: a due manici per attestare legname. Accetta: scure. Ascia: tipo di scure curva per modellare legname da armamento indispensabile per minatori ed armatori. 107 Liguaggio minerario Palanchino: paletto in ferro multiuso. Badile: multiuso. Smarra: specie di zappa a forma triangolare. Vagoni: trasporto materiali vari. Mucco: vagone a bocca di pesce, vari lavori e particolari in intermedie. Ciuchetta: piccolo vagone con scartamento più ridotto per spurgamenti, lavori a bassa dimensione, ruote in ferro cassone in legno. Trucco: carrello particolare per trasporto puntelli. Martello picconatore: aria compressa. Martello perforatore: aria compressa. Tavole oscillanti: per fare scorrere il carbone nei piani inclinati. Attenzione Segnali tra i boccaioli (addetti agli ascensori) e l’arganista (operatore dell’argano). Per il movimento delle gabbie (ascensori) lungo il pozzo. Gabbia ferma Un colpo corto: alza Un colpo corto: ferma Due colpi corti: cala Colpo corto corto: ferma Tre colpi corti: telefono Un colpo più lungo: viaggio materiale o libero tutta velocità Un colpo corto: fermata rapida Tre colpi corti uno lungo: sale o scende personale Tre colpi marcati e uno lungo (ferito o carico speciale) 108 Liguaggio minerario Tre colpi lunghi: allarmi Marca piani un colpo lungo e uno corto: primo piano - - : secondo piano - - - : terzo - - - - : quarto, e così via A scanso di equivoci l’arganista prima di ogni movimento con l’argano ripeteva il segnale ricevuto. Miniera di carbone – Ribolla Sezione di galleria transito, arieggio, ricerca. Ordine di esplosione delle mine 1, 2, 3 centro e laterali 4, 5 discariche 6, 7, 8, 9 rilevaggi In queste qualità di norme quando prendono il giro d’aria diventano friabili tendenti a franare. Quindi bisogna procedere con armamento in legname alla distanza di circa cm 80 l’uno dall’altro con qualche guarnito in tavola. Miniere di pirite, rocce dure, chilometri di gallerie senza armature. Rocce dal nome di pernico, granito, piastra, renaria, pirite, trance di produzione, duro il lavoro di perforazione. Un esempio della posizione mine. Ordine di esplosione: 1 Busciò (tappo) 2 Laterali 4, 5, 6, 7 3 Discariche 8, 9, 10, 11 4 Discariche alto 12, 13, 14, 15 5 Mediani 16, 17, 18, 19 6 Rilevaggi 21, 22, 23, 24, 25, 26. 109 Liguaggio minerario Strumenti agricoli Pennato: strumento indispensabile per il boscaiolo. Scure o Accetta: per l’abbattimento degli alberi. Manescure: per scavare ciocchi e dissodare i boschi. Zappa: per ritagliare zolle da usare per coprire carbonaie e capanni per alloggiarvi. Bidente: per vigneti. Falce Fienaia: per tagliare l’erba nei prati. Falce: per la mietitura. Forca: per balzi o covoni. Palmolone: per paglia e pagliai. Palmola: per pula o lolla e per carbone. Rastrello: multiuso. Detto Cavallo: per il trasporto di legna a spalla d’uomo. Fiasca: contenitore di acqua da bere. Borsa in Lamiera: per contenere il pranzo dei minatori. Martello e Incudine: per dare il taglio alle falci. Tascapane: per contenere il pranzo dei minatori. Chiave Inglese: multiuso. 110 Poesie Poesie Aprile 1999 Guerre di Etnia e Religione Quando la storia non ricordi e ancora quale fu l’olocausto ed allora? Inutile pregare quello Dio ricorda meno di quello che ricordo io di tante guerre l’ultima funesta impossibile non resti su la testa dell’uomo (così detto) ancora che ci riprova e non ricorda allora? Quante guerre in virtù del suo sapere solo per la gloria del potere contrastanti politiche e religioni prive di memorie e di ragioni amanti dell’odio e della guerra di morti coprono la terra i disgraziati cadono colpiti i feriti su i morti e su i feriti alla ricerca di torto o di ragione in tutto il momdo fanno confusione osserva l’Islam nel globo sconfina su tutto il mondo guarda la Palestina l’arroganza ortodossa che le mani ha messe su l’est. Prova sia i Balcani 115 Poesie la cattolica che conquistò le terre e danni fece con tutte le guerre dall’India a l’Africa all’Oriente odor di guerra tutto il mondo sente non m’importa che religione sia cercan la guerra per la stessa via. Sotto l’egida di Cristo i criminali religion per religione tutti eguali. Io domando che legge è la tua sfollar la gente dalla terra sua qual è l’umanità che te l’ha detto sgombrar la gente dal suo proprio tetto? Laureati fossero o contadini la fate strage di tanti bambini pietà chiedete alle schiere furiose non si conobbe mai armi pietose quante! Le mani al ciel rivolte e dall’azzurro ciel cadde la morte l’uomo bestiale per la sua mala sorte sempre costruì mezzi di morte allor perché, o venerando Iddio, non alzi la spada e nell’oblio a protezione dell’umane genti fai strage da pazzi e delinquenti? 116 Poesie Allor crederò nel tuo creato anche chi oggi consideri dannato se a loro toglierai il perverso vizio crederemo allor al giorno del giudizio finché vederemo insanguinar la terra i miseri scannar guerra su guerra non ci sarà più chi pole crede nella giustizia tua, né avrà più fede. 117 Poesie Maggio 1999 Le morti bianche Nelle miniere nacque una cultura nelle viscere terrene maturato scorreva il tempo annata dopo annata e l’uomo lavorò contro natura con la lanterna in mano il minatore per porta’ a casa quel pezzo di pane trattato spesso ancor peggio di un cane a prezzo di fatica e di sudore. Il pestilente fumo del carbone che si sprigiona e li piena i polmoni non conta il sacrificio ma i vagoni che hai estratti a fine turno in conclusione. Mai sazi i padroni e i suoi aguzzini anche quando stremato finivi in ospedale se in miniera morivi pagava il funerale e non provarli a chiamarli assassini. Strumento di misura il maialino che da l’India ci venne importato non predisse il gas accumulato di tanti minatori lo segnò il destino. Era una mattina in primvera il 4 maggio del ’54 quel boato fumo e polvere in cielo ha sollevato 44 uomini non tornò la sera. 118 Poesie Alle famiglie che invan hanno aspettato alcuni da lontano i più vicini sentimmo forte il pianto dei bambini: io ve lo posso dir, so’ ’no scampato. Chi quel mattino non varcò il confine per mano d’incoscienti e di ladroni al servizio dei soldi e dei padroni or per l’età come ne volge alla fine. A Verona furon processati omicidio plurimo doloso il giudice si trovò molto confuso forse per i soldi che gli avevan dati. Con tanta gente si prese contatto legale soluzione a quei briganti non giovano preghiere manco i pianti tutti assolti non esiste il fatto. Se un Dio vi fosse a regolar l’eterno nissun di voi ne resterebbe fuori ladri corrotti e corruttori finireste nel profondo inferno, invece il giuoco è a doppio fondo per chi lavora non vi è mai ragione primeggia la ricchezza del padrone disgraziati all’inferno e voi a godervi il mondo. 119 Poesie Maggio 1999 A Venezia ai Veneziani Bella. Città d’arte. Quanti poteri hai tu dei sospiri il ponte hai costruito, di San Marco il leone è conosciuto, stai dentro l’acqua e non marcisci mai. Oh! Quanto è vero che i cittadini tuoi al navigar di barche là in laguna dove rispecchia il sole e poi la luna vuol calpestar terra di capre e di buoi. Qua verso sto castello in mezzo ai sassi dove nelle tane lassù in vetta ha fatto il nido il gufo e la civetta vi primeggia la pace. È Montemassi. Bene arrivato, foresto cittadino, a respirar aria di bosco, aria nostrana, puoi passeggiar mattino e meridiana in terra del boscaiolo e il contadino; lo stornir dei passeri ci avvisa sono arrivati Tino e la Marisa. 120 Poesie 30 giugno 1999 È nata Marianna Amore è la nascita di un fiore anche tu tenero fiorellino sei nata alla vita in un giardino fatto di ansietà fatto d’amore. Riscaldata sarai da grande fiamma che famiglia si chiama e genitori, circondata di teneri e grandi amori quello che scalda di più è amor di mamma. Altri ci sono se aspettar potranno di vederti vermiglia in giovinezza sul tuo tenero volto porre una carezza questo binomio si chiama Bisnonno. Sempre lieto sia per te il destino, tu resti il più bel fiore del giardino. 121 Poesie Luglio 1999 20° Secolo Volge alla fine un secolo furente il 1900 va in congedo mi provo a dir come io la vedo sterminatore di parecchia gente. Volge alla fine con grandi barbarie come secolo fu fra l’etnie e religioni per visioni mie il peggior tra le storie varie. Là nella Libia la importo la guerra erano i primi anni Novecento altri segni di guerra e già nel vento stragi di gente giace già per terra. Ancor voglie di gente sempre uguale per trincee cannoni e si è avviata la guerra aerea che più spaventava durò cinque anni e fu guerra mondiale. Dalle polveri nasce così il nazi-fascismo mentre all’est il rosso già primeggia scontri di pensiero or si vaneggia tra fuochi e fiamme è totalitarismo. Con tanta voglia di allarga’ i confini, guerra di religione e razza si chiamava, il conflitto più grande e si allargava al capo di tutto due cretini. 122 Poesie Uno che Fiurer si fece chiamare, l’altro si diede il nome di Duce: in tutto il mondo s’offuscò la luce e fu scontro in cielo, terra e mare. Dalla guerra scatenata da due matti mezzi di distruzione brulicò per terra, in tutto il mondo s’infuriò la guerra e nissun volle scende’ a patti. Fin quando dalla scienza venne fuori un mezzo di strage e tal potenza, quando i popoli vennero a conoscenza distrutto aveva menti, uomini e valori per dare torto a queste menti insane e a chi li assecondò dentri i misfatti, quando finiti furono questi fatti quaranta milioni costò di vite umane. Quanto pagammo la ricostruzione di tanti danni provocati allora di più e di peggio che ogni giorno ancora altri cervelli cercan confusione. Un piccolo stato dell’Oriente estremo si prepara a ricostruir l’unione mentre Vietnam del Sud protetta dal campione dei capitalisti guerrafondai e lo sapremo contro Vietnam del Nord che misera gente dentro la giungla si annidava di diossina e nervino la infestava, contro quei Vietcong non potè mai niente 123 Poesie il gigante americano che per anni interi ridusse in cenere i boschi, città e colline contro topi di fogni che alla fine diedero scacco al gigante e ne limitò l’imperi. Qui fu l’irreparabile a ritroso tornò il gendarme del mondo anche se arrogante fosse e furibondo lasciò a quel popolo dignità e riposo. La si fomenta ancora tra questa pazza gente la voglia di forza è su la terra anche nell’Iran il dilagar la guerra dove lo investe tutto il Medio Oriente. Altri cervelli pazzi in fe’ del vero che stupida gente tiene nella mani chiude il secolo vedi nei Balcani è un fatto grave per il mondo intero. Infatti ripartì il gran gendarme armato e su squilibrate e sane genti vomitò fuoco e ferro su povere genti per colpire uno solo dal mondo condannato. E voi provate ancora, o religioni, a parlar di pace ai criminali col vostro dire e fare per me ne siete uguali non so capire se siete saggi o più dannosi. Non si conobbe belva peggiore al mondo dell’uomo assetato di soldi e di potere i fatti successi lo fanno capire noi lo vorremmo libero e giocondo. 124 Poesie Quando il mondo non avrà confine saremo tutti un mondo di fratelli, se utopia non parrà pure per quelli potremo porre la parola fine. 125 Poesie Agosto 1999 La doma della cavallina Ricordo quando quella bestia brada insieme a me la percorrea la strada Eri ormai grande per mia decisione ti volli salir sopra al groppone Quanto bizzarra fossi in quel momento io lo provai un senso di sgomento Avvolgevi la schiena, io come un lampo ti sorvolai le orecchie e là nel campo Per quanto tu furiosa ed io testardo ti misi la briglia e senza alcun riguardo Il campo arato della mattinata lo calpestammo per mezza giornata Quando verso sera tornammo alla stalla mi tenevi il muso su una spalla Divenimmo amici e fin d’allora quante mattine al risalire dell’aurora Per fossi, campi e dissestate strade a farle pascolar le bestie brade Un giorno il padrone per soldi e sua premura ti vende’. Anch’io lasciai l’agricoltura Nel buio della miniera. Nella tempestosa guerra sognavo te e la profumata terra 126 Poesie Come le storie che il tempo dipana ti ritrovai ma eri molto anziana Non più la tua figura bizzarra e snella né su la groppa l’elegante sella Basto da soma avevi quel mattino portavi l’uva per produrre il vino Ci riconoscemmo? Non so come Popa ti chiamai, questo il tuo nome Non capisco quale sia la tua memoria per noi mortali è il corso della storia Per noi che abbiamo tanto lavorato la sorte è quella io in commenda e tu a Bologna a far la mortadella. 127 Poesie 8 Settembre 1999 A una coppia di Sposi Vi ho visti stamattina ai piedi dell’altare inginocchiati a far giuramento. Pallidi in volto. Tenero il momento là. Suggellavi la storia d’amore. Della vita apprezzatene i valori in primavera, estate a sia in inverno. Amor sichiama sempre per l’eterno che il vostro affetto generi altri amori. Sia la vita vostra cosparsa di fiori, vogliatevi bene, così le cose vanno per quattro anziani che nonni saranno per voi il più bello. Amor di genitori. L’avverarsi sarà di sogni belli, ogni giorno sia meglio del giorno passato grazie del pranzo che per voi abbiamo gustato un evviva agli sposi Grazi e Pastorelli. 128 Poesie Ottobre 1999 Storia locale Or mi metto nei pasticci a cercar di loro. I Ticci la natura e la sua storia che ci porta la memoria dall’origine un po’ incerta delle storie molto aperta: seppi tutti avean destino a lor piaceva molto il vino. Lor Signori un tempo era di parenti fitta schiera, li rifecero i confini venner tanti pezzettini lassù intorno a quella roccia bastò appena per la chioccia. Per uscire dalla pista il Rizieri è macchinista: macchinisti per quei tempi eran quelli intelligenti. Teresina con Rizieri non si posero pensieri all’esercito hai da sapere rinforzarono le schiere: 129 Poesie cinque maschi belli e fieri, degli autentici guerrieri; tre le donne, ardenti fiamme anche loro furon mamme. Si allargò la parentela in estensione a ragnatela: questa razza ora sconfina arrivò fino in Abissinia. Il Rizzieri con Ballante? Parentiera un po’ distante. Per quanto nella storia si legge non vi fu mai parentela con il grande Poca legge. A ricordare questa storia o lasciarci una memoria non ci resta che l’Anfalda per quel poco che ricorda, pochi altri e fan da sordi o son privi di ricordi. Da quanto ho appreso nell’annuaro non so esserti più chiaro: questo è quanto ho saputo faccio il punto e ti saluto. 130 Poesie Montemassi, Aprile 2000 In risposta alla richiesta di voto da parte di Silvio Berlusconi da Via dell’Umiltà, Roma Hai fatto una cosa molto grave crociera elettorale in una grande nave la cosa ancor più grave e seria hai voluto dare uno schiaffo alla miseria di lassù del ponte con arroganza cerchi di sfruttare l’ignoranza molti hanno capito che cosa vuoi tu attento a non finire a capo in giù tu vuoi essere quello che conduce un tempo ci ha provato un altro duce dei danni provocati allora le conseguenze le paghiamo ancora. 131 Poesie Agosto 2000 La montagna d’inverno Di bianco vestita, dalla vetta alla valle rinchiusi gli armenti là dentro le stalle. Non vola l’uccello da te intirizzito né sazio di bacche il suo gran appetito. È un riposo forzato struggente del gregge e di povera gente: chi muove il suo passo stanco e più greve calpesta pensoso la bianca tua neve. Or si fa duro il silenzio tuo immane per chi non ha legna. Per chi cerca il pane. 132 Poesie Agosto 2000 La montagna d’estate Il turista che arriva ci trova la vita da te che su in alto di verde vestita, riposo e ristoro per gruppi di gente che beve festosa alla fresca sorgente. I grossi castagni distesa uno stuolo di ombre foltissime ricoprono il suolo, prati verdi con fiori e viole moltissimi frutti baciati dal sole. Il fresco vento dischiude i balconi con tanto ossigeno li piena i polmoni, vestite a festa son le borgate questo è il frutto che porta l’estate. Arriva l’autunno, cambia la vista, cambia stagione, parte il turista: si veste di giallo la verde montagna, dà l’ultimo frutto la buona castagna. Rimangono pochi qua nell’interno, rattrista il cuore, ritorna l’inverno. 133 Poesie Ottobre 2000 Le memorie di Giacinto: Un po’ in affanno Spesso mi scordo che te ne sei andato ed alzo gli occhi verso il pergolato, faccio piano piano per non farmi sentire da che spesso tu ci stai a dormire. La tua mancanza qui si sente assai ed io non so a chi confidar i miei guai: io lo so che ho un carattere difficoltoso ma tu con la tua pazienza l’hai compreso, io con te ci sto benino anche se mi chiami precisino. Qui son solo e mi disturba questa cosa ma quando ci sei tu è un’altra cosa, l’esperienza e la saggezza ne hai abbastanza serve a far diminuir la mia ignoranza. Quello che dico è detto con calore come tu fossi un fratello maggiore. 134 Poesie 4 novembre 2000 La posa della corona ai caduti in guerra Li ho visti stamattina erano tutti anziani malfermi su le gambe, il tremolio alle mani. Misera corona lassù hanno portato tanti fiocchetti addosso, il petto decorato. Eppure hanno percorso quella poca via con che certezze in animo? Con quale nostalgia? Ancora ricordare quella mancata gloria da sempre ha funestato il corso della storia. Da enormi disperati chi poté ritornare in patria altre lotte dovette sopportare. Di quei misfatti tragici meglio non ricordare quanti ne morirono in cielo, terra e mare. Perdono mente mia se non ricordi tutto di quanti figli orfani, di quante madri in lutto. Le nostalgie arroganti ritornano di moda rigurgiti fascisti ne porgono la prova. I giovani di oggi lo devono sapere cosa fecero a noi chi si arrogò il potere. Gridiamolo a gran voce qui sopra la terra di troppe nostalgie bandita sia la guerra. 135 Poesie Montemassi, Aprile 2001 A Giacinto (ringiovanito cavaliere) Torna alla sella l’invitto cavaliere sale in arcione, sprona la cavalla, lascia il pascolo, libera la stalla, il condottiero lo sente il piacere. Gonfio di orgoglio il calpestar il suolo onde guidato l’animale corre, sale la valle e su verso la torre or si cammina con un pensiero solo: goder la libertà nella natura, come lo disse il saggio in armonia, il passeggero che scorre la via, valica il monte e le scopre le mura. Ecco la casa che attende con ardore, riconquistare il sogno mai perduto, lasciar per via un segno di saluto, viver la vita e proseguir in amore. P.S. Il sentimento per te io l’ho di stima ma i versi te li faccio in quarta rima. 136 Florido Poesie Montemassi 28 aprile 2001 Uniti al ristorante Di ritrovarsi spesso il tempo ci consiglia. Oggi. L’ennesima riunione di famiglia. Con che piacere al vecchio nonno e onore da far ringiovanire anima e cuore. Molti giovani e bambini al tavolo allineati da fare invidia ad una serra di fiori colorati. Il brusio di bisnipoti, nipoti e figli, non c’è musica miglior che gli somigli. Tanti bambini dal delicato viso che a nonno suscita spontaneo un sorriso. E pure ritorna il soffocato pianto, torna alla mente colei che ci amò tanto. 137 Poesie Montemassi 1° maggio 2001 Il tramonto a Montemassi Volte le spalle al tramonto del sole cambia colore l’intera vallata. Il verde cupo sui prati e vigneti più chiari gli oliveti della collina. Solo qualche raggio di sole in lontananza rischiara le mura di un vecchio villaggio. Ad est dietro i ruderi del vecchio Castello di Montemassi, due Signore. Con la loro matura bellezza, commentano l’avvenimento con appassionato sentimento ed ammirazione. Calerà la notte. Ma anche quando l’oscurità sarà più completa. Negli occhi di un vecchio vate saranno presenti le vedute bellezze. Bella la rima per colui che ascolta ma scrivere passion con rima sciolta. 138 Poesie Maggio 2002 Compleanno di Vania Ed era primavera in quel viaggio sbocciavano le rose un dì di maggio, tornata era la pace in quei frangenti ad allietare i cuori in quei momenti. Nacque una rosellina profumata era un segno d’amore, tu sei nata: venisti da due cuori stretti insieme sei grandicella, ancor ti voglio bene. Voglio tanto bene a te, ed io ti saluto amo con il cuore chi da te è venuto Grandi gli auguri che oggi a te vanno ricordo ancora, sono babbo e nonno. 139 Poesie Giugno 2002 40 anni di Matrimonio Fiorella - Lando 40 anni son passati da quel dì che dicesti il sacro sì: iniziasti nuova vita che purtroppo, anche in salita pure lassù, siete arrivati tanti strappi superati; pensate a chi a voi vicino per l’infausto suo destino non poté dire altrettanto. Sprofondati anche nel pianto non vo’ dir quel che sapete: siete in corsa, su, correte! Calmate i vostri umori, non ripagano i furori, scaldatevi alla fiamma che vi chiama babbo e mamma; regalategli un sorriso che risplenda sul suo viso. 140 Poesie Grandi gioie vi hanno dato, so’ i ricordi del passato: queste cose loro sanno e vi chiama nonna e nonno. 141 Poesie Giugno 2002 Inno a Salaiola Salaiola è una borgata qua tra i monti dell’Amiata ed ha preso con premura a sviluppare la cultura e con tanta fantasia posto il premio alla poesia. È una cosa grande e vera dall’Italia quasi intera sono arrivati qua sul posto per un premio ben disposto: la Roberta ha organizzato questa cosa da primato e con tanti professori qui a prende’ e rende’ onori ricordando questo evento, Salaiola, sei un portento! 142 Poesie Settembre 2002 A Valentina per la sua maturità Quella penna fu fatale Portò al mondo tanto male Perché troppi prepotenti fece il danno dei redenti Con lo studio, con l’inganno provocò danno su danno allorquando abbian provato Con il popolo allo stato abbian visto la bravura lo sviluppo e la cultura ed è onesto dire a tutti or cacciamo i farabutti Sia alla base che al potere chi comanda lo è il sapere Ormai tutti si capisce il sapere non tradisce il sapere è un gran pane una ricchezza che rimane tu sei brava, vai sicura grande dote è la cultura. 143 Poesie Settembre 2002 Compleanno di Ivano Ricordar fa bene al cuore tante cose che l’amore ti riporta alla memoria, ogni essere ha una storia. Si ricorda con passione, arrivati alla pensione, delle cose brutte e strane che vorremmo a noi lontane, delle cose belle assai che non scorderemo mai; ma la cosa più gradita è l’arrivo di una vita, il nascere di un fiore è lo sbocciare di un amore; è completo il desiderio mio quando nascesti tu rinacqui anch’io. babbo 144 Poesie Novembre 2002 Incidente stradale Era una sera come l’altre, è l’ora a casa torna chi il terren lavora quando il crepuscolo la oscura la terra su le strade par che sia la guerra di abbaglianti fari e di motori aumenta il rischio, li porta i dolori. In quella sera su la strada mia trovo la peggior cosa che ci sia. Qui un intoppo ci vado a trovare proprio di fronte mi vado a scontrare: quanto dolore, quanto sgomento umano quante fratture: ed ero un corpo sano. Quasi fuori dai sensi e lo sentivo il pianto della donnina che a me sedeva accanto; grazie ai soccorsi ed ai soccorritori da tanto orrore ci tirano fuori, quasi l’inferno io lo vidi in viso tracce non vidi mai del paradiso. Là negli angusti letti di ospedale dove curare dovrebbero il male, a modo loro curano come fosse scoria umana: vi trovai gente cattiva, arrogante e villana. 145 Poesie Quasi al caso, trovai tra quelle file gente umana, corretta e gentile. Sentii parlar di umanità, missione e dio, ma deluso ne rimase il pensier mio, né quando delirai dentro al mio interno non apparve il cerbero, o la porta dell’inferno, né il purgatorio apparve al mi’ pensare, né mai angeli lì vidi volare, mai veli bianchi nell’azzurro cielo, né batter d’ali nell’opaco velo. In quel grande soffrire in quel dolore mani leggere come ali di farfalle mi tergea il sudore. Io ho i miei angeli custodi, e non da soli i miei nipoti, con loro. I miei figlioli. 146 Poesie Arcidosso, Maggio 2003 Il giuramento del medico Il medico greco Ippocrate lo fece giuramento di umanità, onestà, missione per il paziente: troppi medici non l’hanno letto, non l’hanno nella mente. Altri? Soldi in tasca e cuor contento. Io conosco un medico. È una signora. Cinzia s i chiama, ancora lo rispetta, ancor l’onora. 147 Poesie Montemassi, Luglio 2003 Al bove maremmano Tu che aggiogato a dissodare i campi, toro eri nato ed il muggito tuo sì tal robusto che dal canto suo ti rispettasse il buttero, ci scampi dalle tue lunghe corna affusolate per renderti mansueto alle ragioni l’uomo te le levò l’idee, te li schiacciò i coglioni, spesso ti ridusse a bastonate, ti mise il ferro al naso, diventò malestro, le grosse funi poi dette paiali per tenervi insieme sempre uguali: a questo ci pensò il capestro. Quella sorte superò il confino con il pungolo in mano e giù profondo pose l’aratro in terra e per il mondo tu sempre schiavo assieme al contadino. Addio bei campi e prati germoglianti, dove il pascolo abbonda a dà sostegno; ora sul collo il giogo sì di duro legno ti assoda il collo e devi tira’ avanti: piega le gambe questo gran lavoro fino alla vecchia età la sorte è quella, sorte che per te non fu mai bella, ti tolse la libertà per il decoro 148 Poesie di aiutare l’uomo a supportare il duro lavoro e questa è la certezza per fare soldi, accumulare ricchezza chi sopra gli altri ha da sfruttare. Or fatto vecchio quasi sei finito ti rincorre il macellaio, altre premure la pelle va sotto i piedi in calzature quello che resta in marmitte, per alleviar della plebe l’appetito. 149 Poesie Montemassi, Luglio 2003 A Montemassi Ai suoi Abitanti Voglio ricordare a te Montemassi chi qui ci nacque non ti ha dimenticato tu che appoggiato sopra i verdi sassi il vecchio borgo tutto rinnovato, chi camminò su te per pochi passi credo non si sia di te scordato qualunque passante che ci sia non dimenticò di te la via. Da Firenze a Venezia gli stranieri si annidano da te tra i casolari, furfantelli o turisti sinceri che giù dai monti o là verso i solari parlano di te ne vanno fieri, ammirano la Maremma ed i suoi mari apprezzano di te vino e mangiare piange chi non può da te tornare. O quanti cittadini per soggiorno ci han presa la casa per sicuri per poter a tempo suo fare ritorno sotto ad un tetto e dentro a spessi muri; sono molti a passar giorno su giorno quando in città i tempi si fan duri trascorre a Montemassi un po’ di vita la Claudia è sempre l’ospite gradita. 150 Poesie Agosto 2003 Il Podere Dalla Colombaia volgo lo sguardo rivedo i campi dove tanto sudor versai vi lavorai senza menar riguardo là tra gli olivi disposti a filai, dove le viti dello zio Odoardo produce un vino che non ha l’eguali ed è olio e vino del gran sapore a chi lo beve glielo rende onore. Quante piante di fico, frutti speciali, frutti secchi, marmellate ed altre cose hanno servito ad ingrassar maiali con altri frutti, pesche, pere, mele deliziose dai gran sapori tutti buoni eguali prosciutti, salsicce, buristo, carni saporose grano, biada, legumi, ortaggio sì pregiate a compensar il lavoro di lunghe giornate. Anche le vacche dal giogo liberate là nella stalla per il suo riposo ed i vitelli boccucce affamate a succhiar il latte buono, delizioso, dall’altra parte i miei figli dalle bestie amate mungea quel latte caldo e sì schiumoso, rubavano ai vitelli con grande piacere, ne bevano bicchiere su bicchiere. 151 Poesie Nei mesi dell’estate che il lavoro nella campagna è tanto faticoso venivo dalla miniera e per ristoro proteso ai raccolti sempre ansioso di non disperder frutti ch’è tesoro quante fatiche che dire quasi non oso: avevo addosso sì tale destino, oggi provo a rimembrare quel cammino. Molti amici che nell’ore del loro riposo venivano a dare una mano nei lavori onde far festa ai cibi e vino rigoglioso, quei polli al forno, salsicce, altri decori di ortaggi, frutta fresca, cacio saporoso, ne apprezzavano il gusto ed i valori stanchi sì, ma il corpo pieno e intanto si ravvivava un popolare canto. La mia massaia con il grembo bianco accudiva le bestie da cortile e la cucina, quando stanco mi sedeva al fianco lei mai stanca, né sera né mattino, mi rincorava col suo di’ franco “Un attimo”, ed è pronta la cucina e così i figli pronti per la scuola. “Un attimo” primeggia la parola… Or sono vecchio, ruscelli mi sembran fiordi, tutto è cambiato nella vita mia: scrivo solo dei cari ricordi, amo dei figli e nipoti la gran cortesia, scorre la vita anche se il freno mordi. Così ripenso e con la fantasia vedo la casa e con i pensieri miei gira e rigira ci rivedo lei. 152 Poesie Agosto 2003 Messaggio a Eolo (vento) Volevo esser trattato da onesto cittadino, in breve far di tempo cambiarono il destino; volevo lei vicina il suo candido visetto, ma il sogno mi rimase chiuso nel cassetto; volevo star con lei, amarla con ardore, stringerla sul petto, volevo far l’amore; quel giorno gli arroganti con forza dittatrice ci mandarono avanti in terra traditrice. Così ci hanno portato in questa bruciata terra, m’hanno dato un fucile, mi fanno fa’ la guerra. Tu Eolo che al mondo fai sempre girotondo, al tuo prossimo passaggio portale il mio messaggio: dille che fo la guerra, dille che dormo in terra, dille che io sto male; un sasso per guanciale. 153 Poesie Questa Africa brulla, deserto senza via, dille a ’sta gente ingrata non è la patria mia Eolo, questo messaggio io l’affido a te, dille che sangue e morte vedo intorno a me, voglio tornar da lei, anche se a gran distanza, e lo farò soltanto se morte avrà creanza. 154 Poesie Agosto 2003 Montemassi - Le sue istorie - Per noi montemassini l’itinerario era quello: un po’ di tempo libero salir sopra il castello, ragazzi e giovinette orsù di Montemassi, salire sulle rocce sedersi sopra i sassi. Quel viso giovanile come facevan tanti, ridendo e saltellando correva a me davanti; con quel suo corpo esile, ma già discreta donna, il vento di maestrale le sollevò la gonna. Apparvero ai miei occhi quei candidi misteri, al mio giovane cervello fece cambia’ i pensieri. Ti ringrazio ancora, caro venticello, con una sola folata drizzasti a me il cappello; eri così fresco, forma di bella brezza, io ti ricordo ancora mia cara giovinezza. 155 Poesie Agosto 2003 Memoria di un giorno 10 Aprile 1944 Scacciati noi dall’Afriche, fuggito il re Pipino ecco ora l’Italia lasciata al suo destino; quelli che son restati mordaci come fiere quelli di Mussolini, son le camicie nere: infuria l’altra battaglia, son brutti tempi quelli, la guerra libertaria, la lotta tra fratelli. Pericolo parlare con questo, sia con quello: che tutto vada bene risponde il manganello. Un aprile più calmo nel tempo che correva tra due cuori innamorati l’amore decideva, tu sai che sono ateo, conosci il pensier mio, tu da brava credente te lo pregavi il dio. Il decimo dì di aprile decidemmo di andare, a scanso di altri equivoci ci unimmo su l’altare. quando verso la sera fatidico momento, ecco scatta l’allarme: c’è rastrellamento. Con te qui sotto braccio con il fucile in mano al bosco, alla battaglia: io son partigiano; tra i fischi dei proiettili lo schianto delle bombe, in tutte le battaglie chi vive e chi soccombe; 156 Poesie così la prima notte nella campagna aperta le zolle per cuscino, il cielo per coperta. Passarono altri mesi di lotte e di battaglie, fin quando le cacciammo le ultime canaglie. Passato che fu il fronte, quel mondo di furore a noi restò miseria. Miseria e solo amore. 157 Poesie Settembre 2003 Decorso politico di una borgata Montemassi Passata che fu la guerra da Montemassi parlare di politica si incomincia allora, di richiedere i diritti è giunta l’ora per costruire il partito li moviamo i passi. Tutti i Montemassini che, operai, si iscrissero al partito comunista si aggiunser tutti ad allungar la lista, pensando che fuori sarebbero ’guali: alle prime elezioni a poca distanza primeggia assoluto il color rosso, tutti comunisti a più non posso ed al comune è grande maggioranza. Dopo la prima legislatura è mal di pancia vengon formati altri partitelli ed a pensare al giusto proprio quelli lo vanno a fare l’ago della bilancia. Nelle lotte politiche a Ribolla si scatena un grande finimondo, i partitelli con padroni e preti fanno girotondo, noi siamo forti con la grande folla: chiudono la miniera quei ladroni, si disperde la classe operaia, in giro dentro e fuori Italia centinaia operai specializzati ridotti garzoni. 158 Poesie Resta l’attaccamento al gran partito e chi riesce dà il suo contributo: riappare il manifesto e lo statuto. Grande movimento s’è sentito, risorgono le feste dell’unità entro quell’aria più grandi e belle che fu in passato, i giovani la spinta gli hanno dato è sorta Montemassi proletaria! E continua la marcia il mio partito dal Comune al paese chiaro è quello, rinnova la borgata ed il castello anche cambiato il nome, il popolo ha capito. Grazie giovani che avete dato grande aiuto e dico a Berlusconi a chiare carte: attento al tuo potere ora si riparte a voi ragazzi, vi stimo, vi voglio bene e vi SALUTO. 159 Poesie Montemassi, Ottobre 2003 A Giacinto, a Viviana, alla loro incommensurabile ospitalità Quanta storia, quanto male, quanto spirito ospitale che voi avete adoperato: tener noi nel caseggiato. Per voi è stata una gran rogna roba noi dà un po’ vergogna, vi abbiamo dato a profusione rabbia, ansia e vieppiù disperazione, penso a quanto abbiam mangiato e il mangiar quasi buttato. Pomodori dal gran sapore i fagioli, che gonfiore! Le castagna saporose ne raddoppiano la dose e poi giù con grande lena da infiammare il fondo schiena. Se spingi piano piano e Giacinto dà una mano tosto senti qualche lagno che ti arriva anche dal bagno: 160 Poesie or che vecchi è risaputo il rispetto è un po’ perduto. Anche scongiurando con le corna di quassù indietro ’un si torna, ringraziamo con l’auspicio di non far più sacrificio: pe’ ’sti vecchi rimbambiti i pensieri sian finiti, noi le nostre le abbiamo avute speriamo di crepa’, ma con salute. È stata dura. Abbiamo insieme combattuto: chiedo scusa, vi ringrazio e vi saluto. 161 Poesie Montemassi, Novembre 2003 Ricordo di un’amicizia con Giuseppe Tagliaferri Quanto tempo è passato? Non certo tutto invano per la mia memoria d’un tempo ormai lontano: su i banchi di una misera stanzetta detta Scuola amicizia tra bambini, ricordo che consola. Per me fu poco il tempo a comporre le parole, attende già il lavoro, sono due classi sole; arrivò l’adolescenza, gran voglia di sapere, leggere qualcosa e attendere i lavori del podere. Alla scuola serale me lo scelsi il destino, mi correggeva i compiti Carmela, la mamma di Beppino, coetanei e la stessa scuola, amicizie da bambino e già da adolescenti, il barbiere e il contadino. Io cambio lavoro in un mondo che fa orrore: l’amico ancor barbiere, io faccio il minatore; terribili i tempi in questa nostra terra lascio qui il barbiere. Io? In Africa alla guerra. Finita fu la guerra, scampati sotto il fronte, il barbiere e il minatore amici ancor di fronte. Siamo quasi vecchi, ma sempre su la via, lo scambio epistolare ci tiene compagnia; 162 Poesie arrivati della vita quasi all’estreme soglie, stiamo come su gli alberi in autunno sta le foglie. Or fermo lo mio scrivere, altro non ti dico questo per ricordo Florido tuo amico ti saluto. Son ROSATI FLORIDO. 163 Poesie Montemassi, Novembre 2003 Vedere la miniera, solo dall’esterno Era giorno di paga laggiù alla miniera quel dì di pomeriggio quando volgea la sera, mia moglie, mia mamma e i miei bambini lo chiesero in coro: vedere quando babbo scende nel suo lavoro; quando con imbarazzo si affacciano al pozzo i bambini grandi occhioni, le donne col singhiozzo io sono tranquillo con l’animo sereno, quando con l’ascensore sprofondo nel terreno. Quando alla mezzanotte faccio ritorno a casa, mia moglie ancor non dorme, mia madre s’è destata, ma l’hanno gli occhi lucidi, dicono, il petto ti si serra: vedere l’uomo, il figlio inghiottito dalla terra. Quando dal profondo risali dalle tane sei quasi felice, lo porti a casa il quotidiano pane, e tu per quello solo, rischi la vita ogni giorno e per chi ne trae profitto ad ogni fine turno. 164 Poesie Montemassi, Gennaio 2004 La neve A grandi fiocchi tu scendi dal cielo fai felice chi calza gli sci, con più alto diventa il tuo velo son felici quelli che qui per tuo merto li prende i soldoni, più felice sel gelo ti tiene sempre loro i potenti padroni son contenti, le tasche son piene. Chi senza scarpe su te ci cammina non può regge’ al tuo freddo glaciale, per lui sarà la rovina se la neve sarà il suo guanciale. 165 Poesie Montemassi, Gennaio 2004 Al vampiro 166 1 O vampiro dal morso feroce, tu che sveni chi sangue non ha, flebile senti una voce che ti dice “vai a morde’ più in là”. 2 Mordi ora il massiccio padrone che i soldi su gli altri ha sfruttato, su tutti l’ha fatto il predone ed ai miseri ha il sangue succhiato. 3 Allora mordi e stringi di più, succhia pure son gonfie le vene se quel sangue è dipinto di blu succhia ancora così ti conviene 4 riempire le grosse budella, completi la tua grande sorte, sarete felici, con quella creperete. È una splendida morte. Poesie Montemassi, Maggio 2004 In memoria della strage di Ribolla del 1954 Per quel pezzo di pane quotidiano scendemmo nell’interno della terra, stretti ci tenemmo per la mano, dove ti manca l’aria il petto serra bestiale quello sforzo sovrumano peggiore che combatte’ in guerra intrisi di pantano e di sudore in questo duro lavoro è il minatore, e pure donammo il sangue ai sofferenti nostri compagni che laggiù feriti, atei fossimo o cattolici ferventi, in questo sforzo fummo sempre uniti ad altra gente amici, o si parenti di tutto questo non ci siam pentiti: uomo deciso, umano pieno d’ardore ricordalo sempre, è un minatore. Ritorna alla ribalta, il fato è quello, ricordar chi perì nella miniera anche se non lo conosco è il mio fratello, come me scavò la Roccia nera, adoperò badile, piccone e martello sperò di risalire su la sera invece restò laggiù dentro al terrore, non dimenticarlo, è un minatore. 167 Poesie Il monumento posto a perenne memoria lo si ringrazia e certo ’sto momento la ricordo gran parte di storia: memoria forte più che del cemento, gli umili ricordar senza mai Gloria. Io risentii la sirena e in quel momento piansi a dirotto, ricordai l’orrore, sia gloria ai morti, ve lo dice un vecchio minatore. 168 Poesie Montemassi, agosto 2004 A Simonetta Ero ancor giovanetto con gran voglia d’amore, io me l’abbracciai un fiore e me lo strinsi al petto, baciai gli occhioni neri, carezzai i bruni capelli così sempre più belli parean dipinti. Erano veri. Mancommi un dì lontano d’amor tanta bellezza: svania la giovinezza… Io? Più niente nella mano. Ho rivisto e ricordai di là da uno sportello, mi è parso proprio quello il bel viso che tanto amai, ricordai la smania ormai su me sopita, ammiro la bellezza, la matura giovinezza, che tu sia felice per tutta la tua vita. 169 Poesie Montemassi, Settembre 2004 A Elisa, giovanetta amica di Arcidosso I Oh giovanetta, ho riletto il tuo scritto: il tuo detto parla del sole ed io così ne approfitto per dirti Son belle parole, lungo sarà il tuo tragitto, le tue righe si commentan da sole. Io son vecchio, so’ a limite corsa, per te lo scrive’ sarà una risorsa. II Or tu vedi il mondo assai bello, ma non sempre risplende il mattino, se ti fermi, rifletti un pochino, tante cose ti porge il cervello. III Tu vedrai per terra la brina, lo vedrai nascere un fiore, mentre osservi il suo raro splendore d’altra parte chi il capo declina. IV Finché al cuore ti giunge calore, pensa a scrive’ alla vita, all’amore. 170 Poesie V Un’altra cosa ti ho ora da dir, come disse un vecchio profeta: c’è chi nasce così da poeta non si pole nel tempo smentir. Con tanta fiducia. 171 Poesie Montemassi, Settembre 2004 All’amico Giorgio Greco Prov. di Lecce Ho letto e riletto il tuo scritto, ho ripercorso la vita mia dura, non sempre cammino su dritto, la mia schiena va in curvatura, finché regge la testa, così ne approfitto, della mia mente assai più che matura. Ripenso ai giorni di grande sudore imposti dal cervello al cuore del minatore. Gloria a tuo padre che presto perì per logorio dell’immane miniera, per polvere e fumo fuor d’ogni maniera la silicosi così fa mori’. Anche i miei figli ricordano ancora la tragedia del Pozzo Camorra, io scampai per un quarto d’ora; non v’è giorno che la mia mente a quel tragico fatto non corra. Io lo so, tu scrivi con grande fervore perché figlio tu sei di chi fu minatore. Con perfetta stima ti saluto. La tragedia del Pozzo Camorra. 43 minatori morirono bruciati dallo scoppio del micidiale grisou. 172 Poesie Montemassi, Ottobre 2004 Ricordo di una miniera I Oh Ribolla, oh miniera, io a te dedicai i meglio anni della vita mia; io lo so tu non ricorderai chi per tanto percorse quella via. Mi spremevi, e pure io t’amai, per quei pochi soldi e un giorno d’allegria quando il primo giorno nei tuoi pozzi scesi giù aveo diciassette anni, qualche giorno di più. II Nelle viscere terrene lunghe l’ore a spingere i carrelli di carbone pieni di roba dal cattivo odore, nella mente girava una passione della miseria che ne avei terrore, delle miniere pensavi a una vecchia canzone e la miniera è tutta baglior di fiamme: piangono bimbi, spose, sorelle e mamme. III Quanto tempo vi passò d’allora? E quanti ne morì dei minatori? Vive nel buio passar ora per ora sotto il gran rischio il trepidar dei cuori, arrivò il mattino sul far dell’aurora una fiammata: 43 ne morì dei minatori. Anche ’sto giorno la miniera è un baglior di fiamme: piangono bimbi, spose, sorelle e mamme. 173 Poesie IV Era il quattro maggio 1954: quel ricordo ancor brucia nella mia memoria. Chi lo sentì bruciare e chi fu sordo, ma resta in tutti gli anni della storia la vergogna di chi diresse quel mondo; per i minatori non ci fu mai gloria. Dalla mia mente non fuggirà mai, per pochi minuti io la scampai. V A Verona vi fu un processo per condannare i rei di tanta strage e dell’uman dolore, per omicidio premeditato io direi, per chi creò in miniera tanto orrore: questo rimane nei ricordi miei, che di quel pozzo ero un minatore, della storia resti negli annali, a suon di soldi furono tutti assolti i criminali. 174 Poesie Montemassi, Luglio 2005 La Maremma moderna O Maremma mia, non sei più quella da quando adolescente per quei piani Nello m’insegnò a batte’ la sella in groppa ai bei cavalli maremmani, al vado ai Muli o nella Bandinella, cerrata a funi sempre nelle mani, con le mandrie così giorno per giorno dall’aiali farli uscir e farvi ritorno. Or vedo laggiù in mezzo a quei piani grossi trattori, rotoballe, mietitrebbiatrice, lavoro non più fatto con le mani, tutto tecnologia, forza rinnovatrice. Più moderno e complesso sarà domani, se continua la ricerca ispiratrice, non c’è più il vecchio aratro a scava’ solchi, né vedi più cavalli, butteri e bifolchi. 175 Poesie Montemassi, Luglio 2005 La Maremma del tempo che fu E pur ti ricordo ancora Maremma amara, erano i primi anni del Novecentotrenta quando il lungo fiume Bruna e sua Fiumara a ripensarci ora il ricordo mi spaventa, eppure quella terra a me fu cara, anche quando il normale cibo era polenta e fare pascolare greggi in quei piani in groppa ai cavalli maremmani. A dar giù di frusta e di cerrata per domare giovenchi e torelli razza pura della Maremma e devi calcolare bestie di sangue che facevan paura; funi e giogo prova e torna a riprovare finché pronti non sono all’aratura, era quello il tempo e ne donammo tanti con il pungolo in mano e gli gridavi: “Avanti!” Solco dopo solco il terreno, rovesciato al vento, l’erpice trainato dai portentosi buoi, copria il dorato seme del frumento: spuntar vedesti gli steli quanti più ne vuoi, poi le bionde spighe il contadin contento prendeva il pane per i figli suoi. Venne della terra il padrone, tu saprai, ne prese il mezzo e non lavorò mai. 176 Poesie Là nei selvelli le grandi pianure, lungo il fiume Bruna, in quei giuncheti pascolava le mandrie e alle radure traversa il fiume là tra quei pruneti spunta la castellaccia ricca di agricolture: è la bellezza di grandi pescheti, ora al galoppo traversiamo la pianura, Marco ci offre la pesca matura, che colazione pesca e pane secco la mattina, su la groppa del destriero caro amico, acqua di fiume mai della cantina, penso di parlar di un tempo antico, quello era il mangiar fino a desina’; eppure ero felice, quanto? Non lo dico. Tra i ricordi miei più belli il muggir dei tori e il galoppo dei cavalli. 177 Poesie Montemassi, Ottobre 2005 All’Asino Destavi ilarità nel tuo passare per il goffo camminar, sì passo raro, e pure tanto aiuto desti a lavorare chi ti adoperò disse Somaro dalle valli i poggi a rimontare some di merce e guadagnar denaro: su te non vi fu mai taglia da bere acqua e da mangiar paglia. Quante volte a ritornar alle stalle, quando la notte negò luce diretta, con l’uomo cavalcato su le spalle non smarristi mai la via diretta. Su te le raccontammo tante balle: la tua tolleranza e la bontà perfetta la tua bontà non sempre è quella, ma tiri calci e butti giù di sella. Ora la sorte tua è bene risolta non più Bologna, non più mortadella, sei collocato in una zona alta: non briglia, capezza, basto e sella delle scuole salito alla ribalta la tua cultura si somiglia a quella, libero pascoli nella prateria sei sempre stato un’amicizia mia. 178 Poesie Montemassi, Novembre 2005 La civetta Uccel da notte sopra i tetti gira, volge il suo canto a far sentir l’amore: l’umano orecchio tante volte attira che parla di disgrazia e di terrore. Stupida gente che le streghe ammira, a stregoni e fantasmi porge onore, sei bella e gentile dei tetti canti in vetta caro uccello dall’argenteo petto, sei civetta. 179 Poesie Montemassi, Novembre 2005 La vecchiaia Passano i giorni e sempre più invecchio, calan le forze e tutto intorno gira, lavarmi nel ruscello l’acqua è specchio tra la modernità che tutto tira, più lento giunge il suono nel mio orecchio, le bellezze l’occhio poco ammira, del passato c’è una smania forte, con questa smania arriverà la morte. 180 Poesie Montemassi, Gennaio 2006 Ai ladri di sangue e sudore E pure laggiù scavammo quell’oro che ricchi fece i padroni e contorno, fino a quando raggiunto quel giorno dicemmo basta scavare per loro. Ed allora iniziò un’altra guerra per la giustizia, i diritti, l’amore, ma dei ricchi rispose il terrore; “Restate fermi laggiù sotto terra”. Rispondemmo: “Di più ora si vole!” Risalimmo dei tuguri il fondo, ora vediamo la luce del mondo, ci confrontiamo alla luce del sole. Ed allora tremarono loro con le mani grondanti di sangue: l’avete succhiato a chi è troppo che langue, c’è il riscatto del nostro lavoro. Noi laggiù nelle luride tane a scavar l’enorme ricchezza e voi a godervi in tutta bellezza tutto quell’oro con le vostre puttane. Con quell’oro comprasti le armi, pagasti assoldati disposti anche quelli a sparar su i loro fratelli, a negare i diritti con l’armi. 181 Poesie Or ci vedete? Più liberi e forti chiediamo giustizia per tutti coloro, per farvi ricchi morì sul lavoro: tremate o ladroni del sangue dei morti. 182 Poesie Arcidosso, Ottobre 2006 Natalizio Così mi raccontano babbo e mamma di quel mattin d’ottobre il temporale; fulmini e tuoni il cielo era una fiamma. Io m’affacciavo alla vita proprio allora, presagio di una vita turbolenta, ore sette del mattino io venni fora. Crescevo graciletto e un po’ bizzarro, con babbo boscaiolo e mamma contadina, mio mezzo di trasporto era sul carro. Trainato da bovi o a groppa d’asino o di mulo, giochi o giocattoli animali da cortile, schiavetto del padrone era il mio ruolo. Fin quando adolescente mi diedero in mano le funi per doma’ bestiame per questa strada il tempo mi portò lontano. Non conobbi mai i banchi di una scuola, sempre animali e terra arsa o bagnata, parlo di vita turbolenta e non da sola. Non ancora maggiorenne e un altro mondo mi si affaccia alla vista e capirai nelle viscere della terra nel profondo per molti anni ogni giorno tante ore a scavar ricchezza per chi fece vanto, a sudar sangue rischio vita feci il minatore. 183 Poesie Non bastò al padrone far sudare sopra e sotto terra, l’ingordo ricco e il dittator padrone appena venti anni mi mandarono in guerra. Dentro e fuori Italia tutti con il fucile in mano. Avanti combattenti. Caduto il dittatore cambiò il nemico, ora son partigiano. Siamo ancora in ottobre, il temporale è come quel mattino, ora son vecchio e con i miei ricordi rivedo quel ragazzo che fu combattente, minatore e contadino. Quasi novanta gli anni i più in salita, rimpiango chi non c’è più, lei fu il mio amore, la compagna che fu della mia vita. 184 Poesie Arcidosso, Ottobre 2006 Matrimonio Per i giovani è il giorno prediletto quando alla sera gonfi d’amore e riprovato affetto, sciolte le trecce, il crine tutto invola, via le coltri e sopra le lenzuola sfoghi d’amore e al giovanile ardore: non fu così per noi, povero amore. La guerra fratricida non perdona: rastrellamento vi fu ’n tutta la zona, scoppian le bombe, fischiano i cannoni, scampare la vita là sotto i grottini, cantano i mitra di quella canaglia, a poco a poco cessa la battaglia. Nell’erba fresca sopra la rugiada ci fermammo nei pressi di campestre strada, passammo lì dell’ore belle, il cielo fu coperto a lume delle stelle. Da questa prova e con profondo ardore 48 anni è durato il nostro amore, finché la morte la coprì nel suolo ed io rimasi triste, afflitto e solo. Non avemmo mai oro né argento, vivemmo in dignità, ne son contento, avemmo due figli nostri e solo quelli so’ stati i nostri splendidi gioielli. 185 Poesie Arcidosso, Gennaio 2007 2a epoca Dalla tua terra a me ne venne il gene, quel boscaiolo calato in Maremma quel ricordo la mente mia l’infiamma per Arcidosso paese del seme. A quei giorni povera gente laboriosa e onesta, patate, castagne, poco pane ed allora era il mangiare per chi suda e lavora senza riposo, mai giorni di festa. Nella Maremma destinati andare, dove io nacqui da padre arcidossino, nelle miniere ebbi il mio destino per un pezzo di pane da mangiare. Per le tue strade le bestie da soma, tanti gli asini a trasportar la merce, molta la legna di castagno e querce, anche i ragazzi posti a quella doma. Lasciata l’aria e l’acqua bona, nella Maremma che allora minò la salute, la malaria e le pestilenti acque bevute riduceva a larva una persona sana. Ahimé, i contadini dei poggi poveretti, zappava più sassi che terra nel podere, per trarre nequizia e per vedere i figli soffrir miseria e là costretti. 186 Poesie Passò una guerra che flagellò il mondo, fummo in Africa mandati in guerra, poi combattemmo nella patria terra per la libertà per trasformar in profondo. Or sono vecchio, t’ho rivisto paese natale, sei trasformato in meglio tanto tanto dal sacrificio nostro, passaci il vanto sei un lucido occhiello allo stivale. Diamo l’onore ai tuoi amministratori, le belle strade, lucidi locali, grandi turisti, non c’è l’eguali, specialità dei ristoratori. Nelle campagne sono l’apini e trattori, non più asini e muli del tempo passato: dai contadini tutto è rinnovato dove rifugiava l’asini, rombano i motori. Dalla fortuna tua di più t’aspetti? Profetizzò già allora il disgraziato, per colpa dei preti lui fu fucilato il tuo grande profeta, il Lazzaretti. Salire su la torre io più non posso, dove cantò poeti di ogni stampo, depongo la penna in questo campo or ringrazio i cittadini d’Arcidosso. 187 Poesie Arcidosso, Settembre 2007 Inno ai Minatori 1 Tra le nebbie della grande vallata s’intravede la tetra miniera, sugli alti castelli nell’umida sera si vede una luce più rossa allargata. 2 È il bagliore di un’enorme fiammata: il micidiale grisou ch’è scoppiato, tante vite di colpo ha troncato, una tragedia da tempo annunciata. 3 Delle mine il tremendo fragore, la galleria con l’urto franò, i minatori senz’aria lasciò quella morte un’orrendo terrore. 4 E quel blocco da sopra vien giù, il giovanetto al carreggio mandato lì sotto rimane schiacciato, la sua vita non torna mai più. 5 Ai figli un ricordo del padre: sudò sangue alla grande paura, porse il petto all’infida natura, portò il pane a voi orfani e alla vedova madre. 6 Là nell’orgia, nell’orgia dell’oro beve il padrone in cristalli dorati, succhia il sangue a noi disgraziati che scavammo ricchezza per loro. 188 Poesie 7 La nostra vita fu senza valori, la silicosi i polmoni ha minato, il tremore le mani ha fermato, rendeteci onore siamo noi i minatori. 189 Poesie Macchia d’Arcidosso, Settembre 2007 Sagra della patata E pur fosti sollievo di povera gente, con te visse e la pancia pienò, ancor oggi profumo e sapore si sente chi l’acqua dal monte la bevve e patata mangiò. Oggi ti mangian per gusto o per niente o al posto del pane che allora mancò, o caro tubero mia cara patata, oggi alle macchie tu sei consacrata. 190 Poesie Arcidosso, Ottobre 2007 Testamento spirituale 88 son gli anni che ho passato nella vita pochi in piano i più in salita nella guerra fui impegnato per compenso mal trattato dai padroni del vapore dagli eletti del signore. Sotto terra nel profondo lì conobbi un altro mondo ferro e fuoco nell’interno ecco là dov’è l’inferno e costretti lì ad andare per il pane da mangiare. Sono stanco dei grandi guai raramente riposai io lo so arriva il giorno vado via più non ritorno lo sapete io son d’avviso che non vado in paradiso giù ritorno nel mio inferno mi riposo per l’eterno. 191 Le immagini della vita Le immagini della vita Florido e l’amico, fortino e aeroporto di Derna. Cannone antiaereo. Guerra 1941 194 Le immagini della vita Africa settentrionale: Libia-Egitto. Florido nel deserto alla marmitta da campo. Aeroporto Martuba. Guerra 1941 195 Le immagini della vita Florido alla botte dell’acqua. Confine Libia-Egitto. Aeroporto di Gambut. Guerra 1942 196 Le immagini della vita Florido seduto su una bomba. 197 Le immagini della vita Florido a Ribolla per la via dei pozzi pronto ad entrar in miniera. 1947 198 Le immagini della vita Florido e la moglie Rita in visita a Roma. 1954 199 Le immagini della vita Florido con moglie e figli. Visita Castel Sant’Angelo a Roma. 1954 200 Le immagini della vita Florido pota degli olivi. 1954 201 Le immagini della vita Il podere dove Florido lavorava dopo le 8 ore di lavoro in miniera. La vendemmia 1960 202 Le immagini della vita Florido, il contadino al podere con il figlio, la moglie e la zia. Si portano i balzi del grano pronti per la trebbiatura. 1962 203 Le immagini della vita Florido con i nipoti e la moglie, che mancherà dopo pochi mesi. 1991 204 Le immagini della vita Florido alla fine di una cacciata di cinghiale. Montemassi, 1996 205 Le immagini della vita Florido con i quattro pronipoti. Inverno 2004 206 Le immagini della vita Florido sulla moto di un nipote il giorno dell’87° compleanno. 26 ottobre 2006 207 Le immagini della vita Arruolamento 208 Le immagini della vita Foglio matricolare 209 Le immagini della vita Busta paga 210 Le immagini della vita Busta paga 211 Le immagini della vita Ricevuta liberatoria 212 Le immagini della vita Premio fedeltà alla miniera 213 Le immagini della vita Multa 214 Le immagini della vita Unica multa 24-12-57 Venticinque anni di lavoro in miniera e un’unica punizione (nonostante quello che troveremo scritto circa i rapporti sociali all’interno della società mineraria) e questo perché? Era la vigilia di Natale 1957, quando a fine turno io, Florido Rosati, appoggiato ad una gamba (asse di sostegno) cantavo con una certa tranquillità. Da uno stretto cunicolo da percorrere solo strisciando con la pancia a terra, apparve l’Ingegnere e Vicedirettore Pellati. Dopo il consueto buongiorno – l’Ingegnere conosceva la mia tendenza ad ateo – lo stesso mi pregò di andare a cantare nel coro della chiesa di Ribolla. Ottenuto il mio deciso e divertito no, disse che mi avrebbe punito. Infatti due giorni dopo, prima dell’ingresso in miniera, il sorvegliante mi consegnò quella punizione, nella quale si leggeva: “Sorpreso appoggiato ad una gamba che cantava a voce distesa”. Letta la punizione mi recai in ufficio dove l’Ingegnere Pellati impartiva gli ordini a periti e sorveglianti. Quando mi vide mi rivolse la parola e disse: “Te l’avevo pur detto!” e io di risposta “Ingegnere, c’è scritto Appoggiato a una gamba che cantava con voce distesa: ma chi cantava, io o la gamba?”. Indispettito più che mai esclamò: “Tu… tu… me la pagherai!”. Non so dire come o quando, anche perché dopo quattordici mesi la miniera chiuse. Era il 25 aprile 1959. 215 Quaderni della Biblioteca Comunale “Antonio Gamberi” di Roccastrada 1. Fabrizio Boldrini - Umberto Brunelli, L’evoluzione democratica di Roccastrada tra ’800 e ’900 attraverso le Carte Fulceri: atti del convegno, Roccastrada, 1992 2. Scuola media statale “G. Gozzano” di Roccastrada, …lo diceva il mi’ nonno: modi di dire roccastradini 3. Silvia Guideri - Fabrizio Boldrini, Contributi per una storia dell’antropizzazione del territorio di Roccastrada 4. Gian Domenico Cova - Francesco Privitera, Il dramma jugoslavo: storia e religioni di una ex nazione 5. Michele Imbasciati, Il Teatro dei Concordi di Roccastrada 6. Pietro Ravagli, I sonetti della Disciplina 7. Walter Scapigliati, Bibliografica geologica e storico-mineraria di Ribolla 8. Cinzia Pieraccini, Una strage da riscoprire: 17 giugno 1944, Ponte del Ricci 9. Norberto Sabatini, Vecchia Ribolla addio: racconti 10. Elena Scapigliati - Walter Scapigliati, Bibliografia geologica del comune di Roccastrada 11. Fabrizio Boldrini, Minatori di Maremma: vita operaia, lotte sindacali e battaglie politiche a Ribolla e nelle Colline Metallifere (1860-1915) 12. Marco Bruttini e Marco Muzzi, Si canta il Maggio a Roccastrada 13. Barbara Solari, Presenze femminili. “Le amiche della miniera” di Ribolla (1951-1954) 14. Savino Bennardi, Sonetti a cura di Barbara Solari Finito di stampare nel mese di Maggio 2008 per conto di