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MICHAEL PORTER Il vantaggio competitivo Edizioni

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MICHAEL PORTER Il vantaggio competitivo Edizioni
MICHAEL PORTER
Il vantaggio competitivo
Edizioni Comunità, 1987
Docente presso la Harvard Business School. E’ il più autorevole esperto a livello
mondiale in strategia competitiva e competitività internazionale.
1
2
SOMMARIO
‰ MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE
‰ ANALISI DELLA CONCORRENZA
‰ STRATEGIA
‰ LA CATENA DEL VALORE
‰ ANALISI DEGLI SCENARI DI SETTORE
2
3
PARTE PRIMA
‰ MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE
‰ ANALISI DELLA CONCORRENZA
‰ STRATEGIA
‰ LA CATENA DEL VALORE
‰ ANALISI DEGLI SCENARI DI SETTORE
3
LE CINQUE FORZE COMPETITIVE
4
(Porter, 1987, pag. 13)
“La prima determinante fondamentale della redditività di un'azienda è l'attrattività del settore
industriale. La strategia competitiva deve nascere da una conoscenza approfondita delle regole
della concorrenza che determinano l'attrattività di un settore industriale. Lo scopo finale della
strategia competitiva è quello di essere in sintonia con tali regole e, idealmente, di arrivare a
cambiarle in favore dell'impresa. In qualunque settore industriale, sia esso nazionale o
internazionale, produca beni o servizi, le regole della concorrenza si riassumono in cinque forze
competitive: l'entrata di nuovi concorrenti, la minaccia di sostituti, il potere contrattuale dei clienti,
il potere contrattuale dei fornitori e la rivalità tra i concorrenti presenti (si veda la figura seguente).
La potenza congiunta di queste cinque forze competitive deter-mina la capacità delle aziende di
guadagnare tassi di profitto sugli investimenti, superiori in media al costo del capitale. La potenza
delle cinque forze varia da un settore industriale a un altro e può cambiare con l'evolversi di un
settore…
Le cinque forze determinano la redditività di un settore industriale perché influenzano prezzi, costi
e investimenti che devono sostenere le imprese appartenenti al settore stesso…
Se le cinque forze competitive e le loro determinanti strutturali fossero unicamente una funzione
delle caratteristiche intrinseche del settore industriale, la strategia competitiva consisterebbe nella
scelta del settore giusto e nel capire le cinque forze meglio dei concorrenti. Ma, sebbene questi
siano certamente compiti importanti per qualunque impresa e costituiscano l'essenza della
strategia competitiva in alcuni settori industriali, un'impresa di solito non è prigioniera della
struttura del settore in cui opera. Le aziende, attraverso le loro strategie, possono influire sulle
cinque forze. Se un'impresa è in grado di modificarne la struttura, l'attrattività di un settore può
cambiare radicalmente, in meglio o in peggio. Molte strategie di successo hanno modificato le
regole della concorrenza in questo modo.
La figura seguente sottolinea tutti gli elementi della struttura di un settore industriale che possono
spingere la concorrenza a entrarvi.” (Porter, 1987, pag. 10-12)
4
5
PARTE SECONDA
‰ MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE
‰ ANALISI DELLA CONCORRENZA
‰ STRATEGIA
‰ LA CATENA DEL VALORE
‰ ANALISI DEGLI SCENARI DI SETTORE
5
6
VANTAGGI DELLA CONCORRENZA
La presenza dei concorrenti giusti può generare molti
vantaggi strategici, che si possono raggruppare in quattro
categorie generali:
¾ Aumento del vantaggio competitivo
¾ Miglioramento della struttura del settore industriale
¾ Incremento dello sviluppo del mercato
¾ Deterrente all'entrata
“La presenza dei concorrenti giusti può generare molti vantaggi strategici, che si possono raggruppare in quattro
categorie generali: aumento del vantaggio competitivo, miglioramento della struttura in essere del settore industriale,
incremento dello sviluppo del mercato e blocco all'entrata. I vantaggi specifici acquisiti saranno diversi a seconda del
settore industriale e della strategia che l'impresa persegue.
1. Aumento del vantaggio competitivo. L'esistenza di concorrenti può consentire a un'impresa di aumentare il proprio
vantaggio competitivo.
I concorrenti possono assorbire le fluttuazioni della domanda, conseguenti alla ciclicità, alla stagionalità o ad altre
cause, permettendo a un'impresa di utilizzare più pienamente la propria capacità produttiva nel corso del tempo…
I concorrenti possono migliorare la capacità di un'impresa di differenziarsi servendo come standard di confronto.
I concorrenti di un'impresa possono accettare di servire segmenti del settore industriale che essa trova indesiderabili,
ma che sarebbe altrimenti costretta a servire per poter accedere ai segmenti desiderabili, oppure per ragioni difensive.
L'avere dei concorrenti può facilitare molto la contrattazione con i sindacati e con i rappresentanti della pubblica
amministrazione, nei casi in cui i negoziati, in parte o totalmente, interessano l'intero settore industriale.
La presenza di concorrenti attivi può rendersi necessaria per ridurre il rischio di incorrere in accertamenti e accuse
antitrust, in cause intentate dallo stato o da privati…
Un concorrente attivo può costituire un efficace fattore motivante per ridurre i costi, migliorare i prodotti e tenersi al
passo con il cambiamento tecnologico.
2. Miglioramento della struttura attuale del settore industriale. L'esistenza di concorrenti può essere vantaggiosa anche
per la struttura complessiva del settore industriale, in vario modo.
Incrementando la domanda nel settore industriale.
Fornendo una seconda o una terza fonte.
Rafforzando gli elementi desiderabili della struttura del settore industriale.
3. Incremento dello sviluppo del mercato. I concorrenti possono favorire lo sviluppo del mercato nei settori industriali
emergenti o in quelli in cui la tecnologia del prodotto o del processo si sta evolvendo, come nei seguenti casi.
Condividendo i costi dello sviluppo del mercato.
Riducendo i rischi per gli acquirenti.
Aiutando a standardizzare o a legittimare una tecnologia.
Promuovendo l’immagine del settore industriale.
4. Deterrente all'entrata. I concorrenti sostengono un ruolo essenziale per dissuadere i nuovi entranti, o per migliorare
la sostenibiIità del vantaggio competitivo di un'impresa. I concorrenti giusti possono contribuire alla strategia difensiva,
in vari modi.
Aumentando le probabilità e l'intensità di ritorsioni.
Evidenziando le difficoltà di entrare con successo.
Bloccando le strade d'accesso logiche.
Affollando i canali di distribuzione.” (Porter, 1987, pag. 232-243)
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PARTE TERZA
‰ MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE
‰ ANALISI DELLA CONCORRENZA
‰ STRATEGIA
‰ LA CATENA DEL VALORE
‰ ANALISI DEGLI SCENARI DI SETTORE
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TRE STRATEGIE DI BASE
(Porter, 1987, pag. 19)
“La leadership di costo è forse la più chiara delle tre strategie di base. Con essa, un'impresa si propone di diventare il
produttore a più basso costo nel proprio settore industriale. L'azienda ha un vasto campo d'azione, serve molti
segmenti del settore e può anche operare in settori collegati: l'ampiezza di operatività dell'impresa è spesso importante
per il suo vantaggio di costo. Le fonti del vantaggio di costo sono varie e dipendono dalla struttura del settore
industriale. Tra queste fonti si possono includere il perseguimento di economie di scale, tecnologie esclusive, accesso
preferenziale alle materie prime…
Un produttore a basso costo deve trovare e sfruttare tutte le sorgenti del vantaggio di costo. È tipico dei produttori a
basso costo vendere un prodotto standard, ovvero modesto, e puntare massicciamente sullo sfruttamento dei vantaggi
di costo assoluti o di scala di qualunque origine.” (Porter, 1987, pag. 19)
“La seconda strategia di base è la differenziazione. In questo caso un'azienda mira a essere unica nel proprio settore
industriale in rapporto ad alcune variabili ritenute molto importanti dai clienti. Essa sceglie una o più caratteristiche che
sono percepite come importanti da molti clienti in un settore, e si mette nelle condizioni di soddisfare quei bisogni in
modo ineguagliabile. Tale unicità viene compensata con prezzi superiori alla media.
I metodi per la differenziazione sono specifici per ciascun settore industriale. La differenziazione può basarsi sul
prodotto stesso; sul sistema di consegna con cui viene distribuito, sul tipo di approccio al marketing e su una vasta
gamma di altri fattori…
Un'impresa che riesce a realizzare e mantenere la differenziazione otterrà risultati superiori alla media nel proprio
settore se il margine sui suoi prezzi resterà superiore ai costi extra, sostenuti per rendersi unica. Chi intende
differenziarsi, quindi, dovrà sempre cercare dei metodi che portino a un vantaggio, in termini di prezzo, maggiore del
costo di differenziazione.” (Porter, 1987, pag. 21)
“La terza strategia di base è la focalizzazione. Questa strategia è alquanto diversa dalle altre, perché si basa sulla
scelta di un'area ristretta di competizione all'interno di un settore industriale. Chi si focalizza sceglie un segmento o un
gruppo di segmenti nel settore e adatta la propria strategia per servirli a esclusione degli altri. Perfezionando la propria
strategia per i segmenti scelti come obiettivo, chi si focalizza cerca dì ottenere un vantaggio competitivo nei segmenti
prescelti anche se non possiede un vantaggio competitivo generale.
La strategia della focalizzazione ha due varianti: la focalizzazione sui costi, in cui un'impresa persegue un vantaggio di
costo nel segmento prescelto, e la focalizzazione sulla differenziazione, in cui un'impresa persegue la differenziazione
nel segmento prescelto. Chi si focalizza può perciò ottenere il vantaggio competitivo dedicandosi esclusivamente a
quei segmenti.” (Porter, 1987, pag. 22)
“Un'impresa che si impegni in tutte le strategie di base senza riuscire a realizzarne nessuna è bloccata a metà del
guado: non possiede alcun vantaggio competitivo. Questa posizione strategica di solito è destinata a produrre una
riuscita al di sotto della media. Un'azienda che sia bloccata a metà del guado si troverà svantaggiata nella concorrenza
perché le imprese leader di costo, quelle che si differenziano e quelle che si focalizzano saranno in una posizione
migliore per competere in ciascun segmento. Se un'azienda bloccata a metà del guado è tanto fortunata da scoprire un
prodotto o un cliente redditizi, i concorrenti che detengono un vantaggio competitivo sostenibile ne spazzeranno via
rapidamente i profitti. Nella maggior parte dei settori industriali, un certo numero di imprese sono bloccate in questo
modo…
Trovarsi bloccata a metà del guado è spesso la manifestazione della mancanza di volontà, da parte dell'azienda, di
fare delle scelte: sul modo di entrare in concorrenza. Essa cerca di arrivare al vantaggio competitivo con ogni mezzo,
ma non lo realizza perché il rag-giungimento di tipi diversi di vantaggio competitivo richiede azioni non coerenti tra loro.
Anche imprese di successo possono trovarsi bloccate a metà del guado quando compromettono la loro strategia di
base per rincorrere lo sviluppo o il prestigio.” (Porter, 1987, pag. 24)
8
9
PARTE QUARTA
‰ MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE
‰ ANALISI DELLA CONCORRENZA
‰ STRATEGIA
‰ LA CATENA DEL VALORE
‰ ANALISI DEGLI SCENARI DI SETTORE
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CATENA DEL VALORE
(Porter, 1987, pag. 47)
“Ogni azienda è un insieme di attività che vengono svolte per progettare, produrre, vendere,
consegnare e assistere i suoi prodotti. Tutte queste attività si possono rappresentare utilizzando
una catena del valore, schematizzata nella figura seguente. La catena del valore di un'azienda e il
modo in cui essa svolge le singole attività sono un riflesso della sua storia, della sua strategia, e
del modo in cui la mette in pratica, delle specificità economiche che sottostanno alle attività
stesse.
Il livello significativo a cui costruire una catena del valore è quello dell'attività di un'azienda di un
particolare settore industriale (la unità di business). Estesa a tutto un settore industriale o a un
suo segmento una catena del valore è troppo ampia, e può mettere in ombra fonti particolari di
vantaggio competitivo. Anche se le imprese che appartengono allo stesso settore industriale
possono avere catene similari, le catene del valore dei concorrenti spesso differiscono…
In termini concorrenziali, il valore è la somma che i compratori sono disposti a pagare per quello
che un'azienda fornisce loro. La misura del valore è data dal ricavo totale, che riflette il prezzo che
il prodotto di un'azienda può spuntare e il numero di unità che essa vende. Un'impresa ha profitto
se il valore che spunta supera i costi determinati dalla creazione del prodotto. Creare un valore
per i compratori che superi i costi sostenuti è l'obiettivo di qualsiasi strategia in generale. Bisogna
usare il valore, e non il costo, per analizzare la posizione competitiva, dal momento che le
imprese spesso aumentano deliberatamente i loro costi per poter spuntare un prezzo più elevato
attraverso la differenziazione.
La catena del valore visualizza il valore totale e comprende due elementi: le attività generatrici di
valore e il margine. Le attività generatrici di valore sono le attività fisicamente e tecnologicamente
distinte che un'azienda svolge. Questi sono i blocchi costitutivi con i quali un'azienda crea un
prodotto valido per i suoi compratori. Il margine è la differenza fra il valore totale e il costo
complessivo per eseguire le attività generatrici di valore. Il margine può essere misurato in molti
modi diversi. Anche le catene del valore dei fornitori e dei canali comprendono un margine, che è
importante isolare per capire le fonti della posizione di costo di un'azienda, dal momento che il
margine del fornitore e del canale fanno parte del costo totale sopportato dal compratore.” (Porter,
1987, pag. 46-48)
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11
SISTEMA DEL VALORE
(Porter, 1987, pag. 44)
“La catena del valore disaggrega un'azienda nelle sue attività strategicamente
rilevanti allo scopo di comprendere l'andamento dei costi e le fonti esistenti e
potenziali di differenziazione…
La catena del valore di un'azienda è coinvolta in un flusso più ampio di attività,
che chiamo sistema del valore, illustrato nella figura seguente. I fornitori hanno le
loro catene del valore (valore a monte) le quali creano e consegnano gli input
acquistati e usati nella catena di un'azienda. I fornitori non soltanto consegnano
un prodotto, ma possono anche influenzare la prestazione di un'azienda in molti
altri modi. Inoltre, molti prodotti passano attraverso le catene del valore dei canali
(valore di canale) mentre si dirigono verso il compratore. I canali svolgono attività
addizionali che influenzano il compratore e le attività proprie dell'azienda
fornitrice. Il prodotto di un'azienda finisce per diventare parte della catena del
valore del suo compratore. La base finale della differenziazione si compone di
un’azienda e del ruolo che il suo prodotto ha nella catena del valore del suo
compratore, il che determina la necessità del compratore.” (Porter, 1987, pag.
43-45)
11
12
PARTE QUINTA
‰ MODELLO DELLE 5 FORZE COMPETITIVE
‰ ANALISI DELLA CONCORRENZA
‰ STRATEGIA
‰ LA CATENA DEL VALORE
‰ ANALISI DEGLI SCENARI DI SETTORE
12
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SCENARI DI SETTORE
Uno scenario è una visione internamente
coerente di ciò che il futuro potrebbe essere.
Gli scenari sono un efficace dispositivo per
prendere in considerazione l'incertezza, quando
si fanno scelte strategiche.
“Da quando è aumentata la consapevolezza che è necessario affrontare esplicitamente
l'incertezza nel corso della pianificazione, un certo numero di imprese ha cominciato a usare gli
scenari come strumenti per comprendere le implicazioni strategiche dell'incertezza: Uno scenario
è una visione internamente coerente di ciò che il futuro potrebbe essere. Costruendo scenari
multipli, un'impresa può esplorare sistematicamente le conseguenze possibili dell'incertezza; per
scegliere la sua strategia.” (Porter, 1987, pag. 496)
“Gli scenari sono un efficace dispositivo per prendere in considerazione l'incertezza, quando si
fanno scelte strategiche. Essi consentono a un'impresa di tenersi lontana da pericolose previsioni
puntuali del futuro, nei casi in cui il futuro non può essere previsto. Gli scenari possono
incoraggiare i manager a rendere esplicite le loro ipotesi implicite riguardo al futuro e a pensare
superando i limiti dei luoghi comuni consolidati. Un'impresa può quindi fare scelte ponderate sul
modo in cui tener conto delle incertezze competitive che si trova di fronte.
Nella strategia competitiva, l'unità di riferimento corretta per l'analisi degli scenari è il settore:
chiamerò tali scenari scenari di settore. Gli scenari di settore consentono a un'impresa di tradurre
l'incertezza nelle sue implicazioni strategiche per un particolare settore industriale. Quando ci si
focalizza sul settore industriale, le incertezze macroeconomiche, politiche, tecnologiche e di altro
tipo non vengono analizzate per se stesse, ma sondate per cogliere le loro implicazioni ai fini
concorrenziali. Gli scenari di settore comprendono anche esplicitamente il comportamento dei
concorrenti, fattore chiave di incertezza nella scelta delle strategie.” (Porter, 1987, pag. 497)
13
14
COSTRUZIONE DEGLI SCENARI
(Porter, 1987, pag. 499)
“Lo scenario di un settore è una visione internamente coerente della sua futura
struttura. Si basa su un insieme di ipotesi plausibili sulle incertezze più importanti
che potrebbero influenzarne la struttura, sviluppate fino a vedere le implicazioni
che hanno nella creazione e nel mantenimento del vantaggio competitivo. Uno
scenario di settore non è una previsione, ma una possibile struttura futura. Si
devono scegliere con cura un insieme di scenari, che riflettano la gamma di
future strutture di settore possibili (e credibili), con implicazioni importanti per la
concorrenza. Successivamente, si usa l'intero insieme di scenari, invece del più
probabile, per progettare una strategia competitiva. L'arco temporale che si usa
negli scenari di settore deve tener conto dell'orizzonte temporale delle decisioni
di investimento più importanti…
Il processo illustrato in figura è ingannevolmente semplice. Per costruire uno
scenario di settore ci vogliono parecchie iterazioni ed è un processo valutativo.
Può essere difficile determinare appieno quali incertezze siano più importanti ai
fini della strategia, fino a che non siano stati analizzati numerosi scenari
preliminari; da questo, poi, derivano i cicli di feedback della figura.” (Porter, 1987,
pag. 498-499)
14
15
SCENARI E STRATEGIE
1. Scommettere sullo scenario più probabile
2. Scommettere sullo scenario migliore
3. Coprirsi, cioè produrre risultati soddisfacenti
in relazione a tutti gli scenari
4. Conservare flessibilità, fino a che appare più
evidente quale scenario si manifesterà
concretamente
5. Influenzare, cioè usare le proprie risorse per
fare in modo che si realizzi uno scenario
desiderabile
“Una volta sviluppato e analizzato un insieme di scenari di settore, il compito successivo è quello di servirsene per
formulare la strategia competitiva. Gli scenari non sono un fine in sé. Molte società esitano a trasformare gli scenari in
strategie. II grosso dell'attenzione viene spesso dedicato a sviluppare gli scenari e non a determinare le loro
implicazioni. C'è anche poca guida nella letteratura sugli scenari, sul modo in cui servirsene per formulare la strategia.
La strategia ottimale per un'impresa sarebbe di solito, anche se non sempre, diversa in funzione di ciascuno scenario,
se l'impresa conoscesse le possibilità di realizzarsi dello scenario. Ogni scenario comporta una struttura di settore
differente, comportamenti diversi dei concorrenti chiave ed esigenze diverse per il vantaggio competitivo…Un'impresa
non sa quale scenario si concretizzerà, deve quindi scegliere il modo migliore per affrontare l'incertezza quando
sceglie la propria strategia, date le sue risorse e la sua posizione iniziale. Una strategia costruita intorno a un solo
scenario è rischiosa, mentre una concepita per assicurare successo in base a qualunque scenario è costosa. Inoltre, le
strategie previste dai diversi scenari sono spesso contraddittorie…L'incoerenza delle strategie previste dai diversi
scenari spesso solleva un serio dilemma strategico.” (Porter, 1987, pag. 522-523)
“Ci sono cinque approcci di base per affrontare l'incertezza nella scelta della strategia, nei casi in cui un'impresa si
trova di fronte a scenari plausibili con implicazioni strategiche differenti: Gli approcci possono talvolta, anche se non
sempre, essere utilizzati in modo sequenziaie o in combinazione fra loro.
1. Scommettere sullo scenario più probabile. Usando questo approccio, l'impresa progetta la sua strategia intorno allo
scenario (oppure gamma di scenari) che appare più probabile, accettando il rischio che possa non verificarsi…
2. Scommettere sullo scenario migliore. In questo approccio. un'impresa progetta la sua strategia per lo scenario nel
quale può stabilire il vantaggio competitivo di lungo periodo più sostenibile. date la sua posizione iniziale e le sue
risorse. Questo approccio cerca il più alto potenziale di crescita, sintonizzando la strategia sulla possibile struttura
futura del settore che porta al miglior risultato per l'impresa. Il rischio, naturalmente, è che lo scenario migliore non si
concretizzi e che la strategia scelta sia di conseguenza inadeguata.
3. Coprirsi. In questo approccio, un'impresa sceglie una strategia che produca risultati soddisfacenti in relazione a tutti
gli scenari, o almeno in relazione a quelli che si stima abbiano una probabilità apprezzabile di concretizzarsi. È questo
uno degli approcci per progettare una strategia robusta…
4. Conservare flessibilità. Un ulteriore approccio per affrontare scenari incerti è quello di scegliere una strategia che
preservi la flessiblità, fino a che appaia più evidente quale scenario si manifesta concretamente. È questo un altro
modo per creare una strategia solida e dimostra come la solidità debba essere definita con cura. L'impresa rinvia
l'impegno delle risorse che la immobilizzerebbero in una par-ticolare strategia. Una volta che le incertezze cominciano
a risolversi, si sceglie una strategia coerente con lo scenario che comincia a manifestarsi, tenendo conto delle risorse e
delle competenze dell'impresa…
5. Influenzare. Nell'ultimo approccio per affrontare l'incertezza, un'impresa cerca di utilizzare le sue risorse per fare in
modo che si concretizzi uno scenario desiderabile. Un'impresa cerca di far aumentare le probabilità che si manifesti
uno scenario nel quale essa ha un vantaggio competitivo. Far questo significa cercare di influenzare i fattori causali
che stanno al di là delle variabili di scenario.” (Porter, 1987, pag. 524-527)
“Spesso è possibile e desiderabile adottare strategie combinate e sequenziali. Scommettere sullo scenario più
probabile o su quello migliore si può combinare col cercare di influire su quello che si concretizzerà.” (Porter, 1987,
pag. 527-528)
15
HENRY MINTZBERG
Ascesa e declino della
pianificazione strategica
Isedi, 1996
Docente di studi gestionali presso la McGill University e di organizzazione
all’INSEAD in Francia. Noto per i suoi studi sullo sviluppo strategico.
16
17
SOMMARIO
‰ PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ STRATEGIA
‰ LE 5 STRUTTURE
‰ INSIDIE E FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ CONTROLLO
17
18
PARTE PRIMA
‰ PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ STRATEGIA
‰ LE 5 STRUTTURE
‰ INSIDIE E FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ CONTROLLO
18
19
IL MODELLO BASE DI PIANIFICAZIONE
(Mintzberg, 1996, pag. 26)
“La creazione della strategia si colloca all'intersezione di una valutazione esterna
delle minacce e opportunità che fronteggiano un'organizzazione nel proprio
ambiente, considerate in termini di fattori critici di successo, e di una valutazione
interna dei punti di forza e di debo-lezza della stessa organizzazione, distillati in
un insieme di competenze distintive. Le opportu-nità esterne vengono sfruttate
mediante i fattori di forza interni, mentre le minacce vengono evitate e i punti di
debolezza superati. Sia nella creazione delle strategie sia nella successiva
valutazione delle stesse, al fine di selezionare la migliore, assumono rilievo i
valori della lea-dership e dell'etica della società, nonché altri aspetti della
cosiddetta responsabilità sociale. E una volta che una strategia è stata scelta,
questa viene implementata.” (Mintzberg, 1996, pag. 26)
19
20
PARTE SECONDA
‰ PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ STRATEGIA
‰ LE 5 STRUTTURE
‰ INSIDIE E FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ CONTROLLO
20
21
FORME DI STRATEGIA
(Mintzberg, 1996, pag. 16)
“Le intenzioni pienamente realizzate possono definirsi strategie deliberate e
quelle non realizzate affatto, strategie irrealizzate. La letteratura sulla
pianificazione rileva ambo i casi, con ovvia preferenza per il primo. Non riconosce
peraltro il terzo caso, che definiamo strategia emergente, ove un modello
realizzato non era esplicitamente inteso. Sono state intraprese azioni, una per
una, che hanno finito per convergere nel corso del tempo verso una certa
coerenza o modello…
Implicitamente, dunque, poche strategie possono dirsi puramente deliberate, se
alcune ve ne sono, ovvero meramente emergenti, le une suggerendo che non
esiste apprendimento e le altre che non c'è controllo. Nella realtà fattuale le
strategie necessariamente richiedono una combinazione di questi due fattori, nel
tentativo di esercitare il controllo senza precludere l'ap-prendimento.” (Mintzberg,
1996, pag. 15-16)
21
22
FORMAZIONE DELLA STRATEGIA
(Mintzberg, 1996, pag. 245)
“Il processo di creazione della strategia, sia che le strategie siano formulate
delibe-ratamente o che si formino in modo emergente, deve essere visto come
un'impenetrabile scatola nera sia per la pianificazione sia per i pianificatori,
attorno alla quale, piuttosto che dentro la quale, questi operano. Come illustrato
nella figura, essi possono essere coin-volti a livello di input al processo, di
supporto al processo o di conseguenze del processo.” (Mintzberg, 1996, pag.
245)
22
23
ANALISI DELLA STRATEGIA
Mintzberg distingue tre tipi di sviluppo della strategia:
ƒModello della pianificazione
ƒModello della visione di tipo imprenditoriale
ƒModello dell'apprendimento attraverso l'esperienza
(Fonte: Karlof, 1990)
23
24
MODELLO DELLA PIANIFICAZIONE
1. La determinazione della strategia è un processo voluto, consapevole e
controllato.
2. II risultato della strategia è relativamente standardizzato ed espresso in
termini di posizione.
3. Questo modello identifica nel presidente il maggior responsabile
responsabile della
progettazione della strategia dell'organizzazione.
4. Si ipotizza che l'attuazione della strategia segua la sua determinazione
determinazione in
un periodo di tempo specificato.
5. Il processo di pianificazione dà
dà origine a strategie pienamente sviluppate,
formulate e rese note in vari modi.
6. Questo modello classico ipotizza l'esistenza di uno staff centrale
centrale e punta al
raggiungimento di una posizione strategica o a strategie di portafoglio.
portafoglio.
(Fonte: Karlof, 1990)
1. La determinazione della strategia è un processo voluto, pienamente
consapevole e controllato.
2. La strategia è vista come un processo di pianificazione. II risultato è
relativamente standardizzato ed è di solito espresso in termini di posizione.
3. Questo modello identifica nel presidente-amministratore delegato, coadiuvato
dagli addetti alla pianificazione, il maggior responsabile della progettazione della
strategia dell'organizzazione.
4. Si ipotizza che l'attuazione della strategia segua la sua determi-nazione in un
periodo di tempo specificato.
5. Il processo di pianificazione dà origine a strategie pienamente sviluppate,
formulate e rese note in vari modi.
6. Questo modello classico ipotizza l'esistenza di uno staff centrale e punta al
raggiungimento di una posizione strategica o a strate-gie di portafoglio. (Karlof,
1990, pag. 185)
24
25
MODELLO DELLA VISIONE DI TIPO
IMPRENDITORIALE
1. La formulazione della strategia è un processo semiconscio che ha
luogo nella mente del leader intraprenditore.
intraprenditore.
2. Una lunga esperienza permettono all’
all’imprenditore di costruirsi una
visione, uno scenario riguardo al business futuro.
3. La visione serve da ombrello sotto la cui protezione assumere
decisioni e sviluppare programmi e attività
attività.
4. La visione deve rimanere informale e personale per salvaguardare
salvaguardare
la sua fertilità
fertilità e flessibilità
flessibilità.
(Fonte: Karlof, 1990)
1. La formulazione della strategia è un processo semiconscio che ha luogo nella
mente del leader intraprenditore.
2. Una lunga esperienza di logica di mercato e una percezione profonda delle
tendenze gli permettono di costruirsi una visione, uno scenario della strada che il
business dovrà percorrere nel futuro.
3. La visione serve da ombrello sotto la cui protezione assumere decisioni
specifiche e sviluppare programmi e attività dettagliate.
4. La visione deve rimanere informale e personale per salvaguardare la sua
fertilità e flessibilità. (Karlof, 1990, pag. 185)
25
26
MODELLO DELL’APPRENDIMENTO
ATTRAVERSO L’ESPERIENZA
1. La determinazione strategica è un processo evolutivo di tipo
iterativo, che richiede un mutuo scambio.
2. La strategia è un modello originato da input ricevuti dal mondo
esterno nel momento in cui viene attuata.
3. La strategia è come una scultura.
4. Le strategie possono emergere dalle dinamiche di una
organizzazione.
5. Il processo di fecondazione può essere sia spontaneo sia pilotato.
pilotato.
(Fonte: Karlof, 1990)
1. La determinazione strategica è un processo evolutivo di tipo iterativo, che
richiede un mutuo scambio.
2. La strategia è un modello originato da input che si ricevono dal mondo esterno
nel momento in cui viene attuata.
3. La strategia è come una scultura. Chi l'elabora deve avvicinarsi alla sua
creazione con grande sensibilità e deve essere sempre pronto a rivedere il
cammino intrapreso.
4. Le strategie possono emergere dalle dinamiche di un'organizzazione: se una
parte significativa dei suoi membri le fa proprie, possono fecondare l'ambiente e
determinare il comportamento dell'intera organizzazione.
5. Il processo di fecondazione può essere sia spontaneo sia pilotato. In
quest'ultimo caso si richiede un grado di controllo minore per identificare
l'emergere di strategie e intervenire in caso di necessità. (Karlof, 1990, pag. 186)
26
27
PARTE TERZA
‰ PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ STRATEGIA
‰ LE 5 STRUTTURE
‰ INSIDIE E FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ CONTROLLO
27
28
LE 5 STRUTTURE
(Karlof, 1990, pag. 187)
Mintzberg afferma che in ogni organizzazione esistono forze che la spingono in direzioni diverse. Le frecce più grandi,
nella figura, simbolizzano i cambiamenti. II gruppo delle frecce piccole indica che l'ideologia crea coesione; la politica
divisione. Nella struttura semplice, il capo prende tutte le decisioni. Sia l'organizzazione interna che l'ambiente esterno
sostengono questa struttura. Le organizzazioni evolvono in differenti forme, rappresentate nella figura da simboli di
complessità crescente. L'antitesi della struttura semplice è la macchina burocratica, in cui i tecnocrati hanno preso il
sopravvento e il coordinamento è assicurato dalla specializzazione e dalla standardizzazione dei compiti di lavoro.
(Karlof, 1990, pag. 187)Henry Mintzberg ipotizza che nelle organizzazioni interagisca dinamicamente un certo numero
di forze per creare diversi «profili».
1. La struttura semplice - La struttura semplice è caratterizzata soprattutto da ciò che manca al suo sviluppo. Possiede
una tecnostruttura scarsa se non nulla, un esiguo personale nelle strutture di supporto, una differenziazione minima tra
le aziende e un management inquadrato nella scala bassa della gerarchia. La sua attività è scarsamente formalizzata e
difficilmente utilizza la programmazione, la formazione o i canali di comunicazione. È soprattutto una struttura
organica.Nella struttura semplice il coordinamento avviene attraverso una supervisione diretta. II capo ha potere su
tutte le decisioni. L'ambiente circostante la struttura semplice tende ad essere sia semplice che dinamico. La struttura
semplice rappresenta spesso una fase di passaggio nello sviluppo di un'organizzazione.
2. La macchina burocratica - Un servizio postale nazionale, un'acciaieria, una grande azienda automobilistica sono
tutte organizzazioni che hanno in comune un certo numero di caratteristiche strutturali. Le loro operazioni sono di
routine, spesso semplici e ripetitive, e danno luogo a procedure altamente standardizzate. Nella nostra società questi
fattori producono la nascita di macchine burocratiche: strutture che funzionano come macchine integrate, regolate.
Poiché la macchina burocratica si poggia in modo determinante su routine standardizzate, la tecnostruttura diventa in
questo contesto l'aspetto più importante. È costituita da analisti che acquistano un grande potere informale, sebbene
non facciano parte della linea, perché sono gli unici a standardizzare il lavoro degli altri.
3. La burocrazia professionale - Le organizzazioni possono essere burocratiche senza essere centralizzate. Queste
organizzazioni sono caratterizzate da un lavoro operativo stabile che dà origine a un comportamento prevedibile
standardizzato. Ma sono anche complesse e devono quindi essere sotto il diretto controllo degli operatori che svolgono
il lavoro. A causa di ciò, strutture di questo tipo fanno ricorso a un meccanismo di coordinamento che abbraccia
simultaneamente sia la standardizzazione del know-how che la decentralizzazione. La burocrazia professionale, che si
riscontra comunemente nelle università, negli ospedali, nelle scuole di business e in organizzazioni similari, poggia
sulle abilità dei suoi operatori professionali.
4. La struttura divisionale - La struttura divisionale più che un'organizzazione integrata appare come l'insieme di un
certo numero di unità quasi autonome e collegate da un'amministrazione centrale. Le sue unità sono di solito chiamate
divisioni (è possibile che siano organizzate come unità sussidiarie), mentre l'amministrazione centrale è conosciuta
come sede centrale. È sempre necessaria una qualche forma di coordinamento tra le diverse unità per trarre vantaggio
dalle risorse centrali.
5. L'adhocrazia - Nessuno dei profili discussi finora presenta un ambiente che contribuisca a un'innovazione sofisticata
o a un problem solving creativo. La creazione di un ambiente per il problem solving rimanda a un quinto e
articolatissimo tipo di struttura, che può riunire esperti in discipline diverse in modo da far funzionare liberamente i
gruppi per progetti ad hoc. L'adhocracy (adhocrazia) è una struttura organica con un basso grado di comportamento
formalizzato, un alto grado di specializzazione nel lavoro orizzontale basato sulla formazione e la tendenza a
raggruppare specialisti in unità funzionali per l'amministrazione interna; per svolgere il lavoro vero e proprio, invece, gli
specialisti si riuniscono in piccoli gruppi di progettazione basati sul mercato. L'adhocrazia incoraggia lo scambio
reciproco che costituisce il suo meccanismo di coordinamento più importante. La creazione di questa struttura
comporta la rottura dei vecchi modelli; quindi l'adhocrazia di tipo innovativo deve evitare ogni forma di
standardizzazione. (Karlof, 1990, 186-190)
28
29
PARTE QUARTA
‰ PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ STRATEGIA
‰ LE 5 STRUTTURE
‰ INSIDIE E FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ CONTROLLO
29
30
INSIDIE DELLA PIANIFICAZIONE
¾ Pianificazione e impegno
¾ Pianificazione e cambiamento
¾ Pianificazione e controllo
“Pianificazione e impegno
Se i pianificatori controllano il processo, se hanno la responsabilità dell'integrazione dei piani delle
diverse sottounità, in effetti rimuovono il controllo sulla strategia da coloro ai quali si ritiene
competa. Con i pianificatori segregati nei propri uffici a coordinare il tutto per il top management,
chiunque altro si vede ridotto al ruolo di mero realizzatore, minando la dedizione al processo di
creazione della strategia, nonché alle strategie risultanti, soffocando l'iniziativa dei singoli
operatori e supervisori. La gente è più produttiva e maggiormente soddisfatta quando mette in
opera i propri piani invece di quel-li altrui.” (Mintzberg, 1996, pag. 122-127)
“Pianificazione e cambiamento
La creatività, per definizione, riordina le categorie consolidate. La pianificazione, per pro-pria
natura, le preserva. È questa una ragione per cui la pianificazione non maneggia age-volmente le
idee affatto innovative…
In gran parte della retorica della pianificazione sembra dimenticarsi che le organizzazio-ni
debbono funzionare non solo con la strategia, ma durante i periodi di formazione della strategia,
quando il mondo sta cambiando in modi non ancora ben compresi… D'altro canto, abbiamo
imparato che la pianificazione sembra più adatta al sostenimento di operazioni stabili a scopi di
efficienza, che alla creazione di nuove a fini di cambiamento. Abbiamo infine riscon-trato che le
persone possono resistere alla pianificazione, non a causa della loro paura del cambiamento, ma
esattamente per la ragione contraria: alcu-ni possono opporre resistenza alla pianificazione per
paura della stabilità, mentre altri pos-sono abbracciarla per paura del cambiamento.” (Mintzberg,
1996, pag. 136-142)
“Pianificazione e controllo
L'ossessione per il controllo conduce a comportamenti di ogni genere, come rilevato nel corso
della presente analisi. Uno è l'avversione al rischio, che significa riluttanza a conside-rare idee
veramente creative e cambiamenti realmente quantici, gli effetti di entrambi i quali sono
imprevedibili e, dunque, al di là della pianificazione formale. Un altro è il conflitto con quelli che
sono soggetti alla pianificazione, i quali non gradiscono la perdita di controllo da parte loro. I
pianificatori possono vedere le proprie procedure come meramente portatrici di ordine e
razionalità - in effetti, coordinamento - nel processo decisionale.” (Mintzberg, 1996, pag. 153)
30
FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
31
1. Le strategie nascono e si sviluppano inizialmente come erbacce
erbacce in un
giardino, non sono coltivate come pomodori in una serra.
2. Le strategie possono attecchire dappertutto, praticamente ovunque
ovunque le
persone abbiano la capacità
à
di
apprendere
e
le
risorse
necessarie
per
capacit
alimentare tale capacità
capacità.
3. Tali strategie risultano organizzative quando diventano patrimonio
patrimonio
collettivo, quando i modelli si diffondono influenzando il comportamento
comportamento
dell'organizzazione in generale.
4. I processi di proliferazione possono essere consapevoli, ma non
non
necessariamente; analogamente possono essere gestiti, ma non
necessariamente.
5. Le nuove strategie, che possono emergere a getto continuo, tendono
tendono a
pervadere l’
l’organizzazione durante i periodi di cambiamento che intercalano
periodi di continuità
continuità.
6. Gestire tale processo non significa precostituire strategie, bensì
bensì
riconoscerne l'emersione, intervenendo quando è opportuno.
“1. Le strategie nascono e si sviluppano inizialmente come erbacce in un giardino, non sono coltivate come
pomodori in una serra. In altri termini, il processo di formazione della strategia può essere eccessivamente
controllato; talvolta è più importante lasciare che gli orientamenti emergano, piuttosto che imporre
prematuramente una coerenza artificiosa a un'organizzazione. La serra, se necessaria, può essere utilizzata in
seguito.
2. Le strategie possono attecchire dappertutto, praticamente ovunque le persone abbiano la capacità di
apprendere e le risorse necessarie per alimentare tale capacità. Talvolta una persona o un'unità, di fronte a una
specifica opportunità, crea un proprio modello. Ciò può verificarsi inavvertitamente, quando un'azione iniziale
determina un precedente. Il fatto è che le organizza-zioni non possono sempre pianificare il momento in cui le
loro strategie emergeranno e tanto meno pianificare le strategie stesse.
3. Tali strategie risultano organizzative quando diventano patrimonio collettivo, quando i modelli si diffondono
influenzando il comportamento dell'organizzazione in generale. Le erbacce possono proliferare, riempiendo un
intero giardino; allora, le piante convenzionali possono appa-rire fuori posto. Analogamente, le strategie
emergenti possono talvolta spiazzare quelle deliberate esistenti. Del resto che cosa è un'erbaccia se non una
pianta cresciuta inaspettatamente? Cambiando prospettiva, la strategia emergente, al pari dell'erbaccia, può
diventare ciò che ha più valore (un po' come gli europei gradiscono in insalata le foglie della più famosa erbaccia
d'America, il tarassaco).
4. I processi di proliferazione possono essere consapevoli, ma non necessariamente; analogamente pos-sono
essere gestiti, ma non necessariamente. I processi con cui i modelli iniziali si diffondono nel-l'organizzazione
non devono essere sempre consciamente deliberati da leader ufficiali o anche informali. I modelli possono
semplicemente propagarsi per azione collettiva, come fanno le piante. Naturalmente quando le strategie
vengono riconosciute valide, i processi di proliferazio-ne possono essere gestiti, come le piante possono essere
fatte propagare selettivamente.
5. Le nuove strategie, che possono emergere a getto continuo, tendono a pervadere l’organizzazione durante i
periodi di cambiamento che intercalano periodi di continuità. Con parole più semplici, alle organizzazioni, al pari
dei giardini, può adattarsi la massima biblica di un tempo per la semina e un tempo per il raccolto (sebbene esse
possano talvolta raccogliere ciò che non hanno inteso seminare).
6. Gestire tale processo non significa precostituire strategie, bensì riconoscerne l'emersione, intervenen-do
quando è opportuno. Un'erba nociva, una volta individuata, è senz'altro meglio che sia estirpa-ta
immediatamente, ma una che sembra in grado di produrre frutti va osservata, e talvolta è addirittura utile
costruirvi intorno una serra. In questo contesto gestire significa creare il clima nel quale una molteplicità di
strategie possa crescere (predisporre strutture flessibili, sviluppare processi adeguati, incentivare culture
favorevoli e definire strategie guida a ombrello) e, quindi, osser-vare che cosa germogli.” (Mintzberg, 1996, pag.
214-216)
31
32
PARTE QUINTA
‰ PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ STRATEGIA
‰ LE 5 STRUTTURE
‰ INSIDIE E FALSE CREDENZE DELLA
PIANIFICAZIONE STRATEGICA
‰ CONTROLLO
32
33
CONTROLLO STRATEGICO
(Mintzberg, 1996, pag. 265)
“Come illustrato nella figura, certamente si ha l'esigenza di valutare la
performance delle strategie deliberate (B nella figura) e, facendo un passo
indietro (A), quella di determinare il grado di realizzazione delle strategie
formalmente intenzionali… Ma occorre far precedere un'altra attività (C), cioè la
valutazione di quali strategie siano di fatto state realizzate, intenzionali o meno.
L'ultima attività deve essere ampliata (D) per ricomprendere la determinazione
della performance di tutte le strategie. In altri termini, il controllo strategico deve
valutare comportamenti e performance. Ancora una volta occorre riconoscere
che la formazione della strategia è qual-cosa di più della pianificazione. Il
controllo strategico configura dunque un processo a due stadi, nel primo le
strategie realizzate devono tracciarsi, quali modelli nel flusso di azioni, per
esaminare la realizzazione deliberata delle strategie intenzionali e l'emergere di
quelle non intenzionali, nel secondo, con uno stile di controllo più tradizionale, si
considera l'ef-ficacia per l'organizzazione delle strategie realizzate…
Le strategie possono dunque fallire, non solo per essere state implementate
senza suc-cesso, ma anche essendo state implementate con successo,
dimostrandosi inadeguate. Analogamente, le strategie possono riuscire pur non
essendo state inizialmente intese. I pia-nificatori difficilmente possono licenziare
strategie di successo soltanto perché non erano deliberate, mentre il controllo
strategico deve interessarsi della performance dell'organizza-zione, non di quella
della pianificazione.” (Mintzberg, 1996, pag. 263-266)
33
KENICHI OHMAE
Strategie creative
Ipsoa, 1985
Vive a Tokyo ma lavora come consulente per imprese e governi di tutto il mondo.
È stato direttore della filiale giapponese e chairman della sezione Asia Pacific
della McKinsey & Company. Scrive per il Wall Street Jounal, il New York Times e
Newsweek.
34
35
SOMMARIO
‰ IL TRIANGOLO STRATEGICO
‰ ANALISI DELLE RISORSE
‰ ANALISI STRATEGICA
35
36
PARTE PRIMA
‰ IL TRIANGOLO STRATEGICO
‰ ANALISI DELLE RISORSE
‰ ANALISI STRATEGICA
36
37
TRIANGOLO STRATEGICO
(Ohmae, 1985, pag. 82)
“Nella formulazione di una qualunque strategia di business, è necessario tener
conto di tre fattori principali: l'impresa, il cliente e la concorrenza. Ciascuno di
questi tre protagonisti è un'entità viva con i propri interessi e obiettivi e nel nostro
testo vi faremo riferimento collettivamente come triangolo strategico…
Con riferimento a questi tre protagonisti del triangolo strategico, la strategia si
definisce come il modo in cui l'azienda cerca di differenziarsi in chiave positiva
dai suoi concorrenti, utilizzando i suoi punti di forza per meglio soddisfare i
bisogni della clientela (vedi figura).” (Ohmae, 1985, pag. 81-82)
37
38
NECESSITA’ DI UNA PROSPETTIVA
GLOBALE
(Ohmae, 1985, pag. 86)
“Oltre ad esaminare tutte le funzioni critiche dell'azienda, lo stratega deve essere
in grado di acquisire una visione globale della concorrenza, visione che deve
investire elementi strategici critici quali le capacità della concorrenza nel campo
della ricerca e sviluppo, eventuali sinergie nelle fasi di approvvigionamento,
produzione, vendita e assistenza tecnica o altre fonti di profitto (compresi
eventuali altri business nei quali il concorrente eventualmente operi). Deve
essere anche in grado di mettersi nei panni dello stratega che opera nella società
concorrente per capire su quali elementi e assunti sia formulata la strategia di
quell’azienda…
Nell'ambito dell'organizzazione il livello ideale per costituire una unità di
pianificazione strategica è dunque quello che permette di rivolgersi:
- a tutti i segmenti chiave dei gruppi di clientela che presentano affinità di bisogni
e di obiettivi;
- a tutte le funzioni chiave dell'azienda in modo da poter attingere alle
competenze necessarie per instaurare agli occhi del cliente una positiva
differenziazione dell'azienda rispetto ai suoi concorrenti;
- a tutti gli aspetti chiave della concorrenza (vedi figura) in modo che possano
essere sfruttati i vantaggi che il caso offre e viceversa che la concorrenza non
possa cogliere l'azienda impreparata sfruttando insospettati elementi di
vantaggio.” (Ohmae, 1985, pag. 84-85)
38
39
PARTE SECONDA
‰ IL TRIANGOLO STRATEGICO
‰ ANALISI DELLE RISORSE
‰ ANALISI STRATEGICA
39
40
RISORSE GESTIONALI
Hito = persone
Kane = denaro
Mono = cose
(Ohmae, 1985, pag. 145)
“Allocazione delle risorse significa normalmente l'allocazione dei fondi disponibili. Ma le risorse a
livello corporate vanno ben oltre il denaro. Una frase cara ai pianificatori di business giapponesi
suona così hito-kane-mono ovverossia: le persone, il denaro e le cose (beni immobili).
Si parte infatti dalla concezione che un'azienda possa essere gestita in modo efficiente solo se si
riesce a realizzare un dosaggio ben equilibrato di queste tre risorse critiche senza che nessuna di
esse vada sprecata (vedi figura)…
Delle tre risorse critiche, quelle finanziarie dovrebbero essere allocate per ultime. Sulla base delle
risorse che i giapponesi chiamano mono - strutture produttive, macchinari, tecnologia, know-how
dei processi produttivi, vantaggi funzionali ecc. - la società dovrebbe per prima cosa allocare le
risorse manageriali. Quando tali risorse manageriali o risorse hito avranno sviluppato idee
creative e fantasiose per sfruttare il potenziale di sviluppo del business, si dovrà procedere
all'allocazione delle risorse kane, ossia delle risorse finanziarie, alle idee e programmi specifici
generati dai singoli managers. Nemmeno nella gestione di un portafoglio prodotti si dovrebbero
allocare dei fondi semplicemente perché il business è situato in un settore interessante. I fondi
dovrebbero essere investiti in programmi anziché in rami di industria.
Come abbiamo visto, un'attività creativa di pianificazione e di esecuzione in settori industriali
depressi può produrre risultati migliori di un'attività mal pianificata ed eseguita all'interno di settori
migliori. Sono solo le persone in gamba che possono produrre buone idee e solo i dirigenti validi
possono attuare delle buone strategie. I fondi non sono altro che un mezzo per realizzare
l'obiettivo aziendale, rappresentano la forza centripeta che tiene insieme le tre risorse gestionali
più importanti.
Un'azienda diversificata può procedere ad una diversa ripar-tizione non solo dei suoi dirigenti ma
anche dei suoi operai, tecnici e venditori.” (Ohmae, 1985, pag. 142-145)
40
41
PARTE TERZA
‰ IL TRIANGOLO STRATEGICO
‰ ANALISI DELLE RISORSE
‰ ANALISI STRATEGICA
41
42
ANALISI STRATEGICA
(Ohmae, 1985, pag. 10)
“Negli affari così come sul campo di battaglia l'obiettivo della strategia è quello di
creare le condizioni più favorevoli possibili per il proprio obiettivo, di decidere
esattamente quale è il momento giusto per l'attacco o la ritirata e di valutare
sempre in modo corretto i limiti del compromesso. Ciò che contraddistingue il
vero stratega, a parte l'abitudine all'analisi, è una elasticità intellettuale che gli
permette di reagire in modo realistico al mutare delle situazioni, senza limitarsi a
discriminare con grande precisione fra diverse sfumature di grigio…
Il vero pensiero strategico è pertanto nettamente in contrasto con l'approccio di
tipo convenzionale e meccanicistico basato sul pensiero lineare. Ma è altresì in
contrasto con l'approccio basato esclusivamente sull'intuito che porta
direttamente alle conclusioni senza un'effettiva scomposizione e analisi delle
componenti dei problemi (vedi figura).
Per quanto difficile o inedito sia un problema, la soluzione migliore può nascere
solo da un abbinamento dell'analisi razionale, basata sull'effettiva natura delle
cose, con l'intelligenza e le capacità intellettuali che ricompongono i vari elementi
in modo originale dando origine a una nuova configurazione.
È questo il modo più efficace di ideare strategie utili per gestire al meglio sfide e
opportunità che vengono a crearsi sul mercato così come sul campo di battaglia.”
(Ohmae, 1985, pag. 8-9)
42
43
QUATTRO STRATEGIE DI BASE
(Ohmae, 1985, pag. 32)
“Il perno della strategia di business - ciò che la distingue dagli altri tipi di pianificazione - è il vantaggio competitivo.
Senza la concorrenza non ci sarebbe bisogno di alcuna strategia, essendo l'unico scopo della pianificazione strategica
quello di permettere a una società di conquistarsi, nel modo più efficace possibile, un vantaggio durevole nei confronti
della concorrenza. La strategia a livello corporate implica pertanto il tentativo di costituirsi il miglior vantaggio possibile
rispetto alla concorrenza…Nella realtà di mercato non ci vogliono delle strategie perfette. Quello che conta non sono i
risultati in termini assoluti ma i risultati conseguiti rispetto alla concorrenza. Pertanto va considerata una buona
strategia di business quella che permette alla società di guadagnare terreno rispetto alla concorrenza a un costo
accettabile. Il vero compito dello stratega è quello di riuscire a realizzare questo obiettivo.
Esistono sostanzialmente quattro metodi per rafforzare la propria posizione nei confronti della concorrenza.
1. La società può modificare la destinazione delle risorse di cui dispone con l'obiettivo di rafforzare determinate
capacità in modo da aumentare la quota di mercato e la propria redditività. Se la direzione destina le risorse della
società esattamente nello stesso modo della concorrenza, non si verificherà alcun cambiamento nella sua posizione
relativa. Questo metodo consiste nell'individuare i fattori chiave di successo (FCS) nel particolare settore o business
interessato e iniettare quindi un concentrato di risorse in una particolare area in cui la società intravvede la possibilità di
acquisire il vantaggio strategico più significativo rispetto ai suoi concorrenti. Anche se la società non ha in quel
particolare business o mercato risorse gestionali maggiori della concorrenza, può ugualmente conseguire un
rimarchevole successo competitivo se concentra efficacemente tali risorse su un unico punto cruciale. Questo metodo
viene definito strategia basata sui fattori chiave di successo.
2. Tra società che competono all'interno dello stesso settore o business vi sono casi in cui, pur non avendo una di esse
alcun vantaggio iniziale sulla concorrenza, e pur essendo la battaglia per i fattori chiave di successo condotta da tutti i
contendenti con uguale spiegamento di forze, è ugualmente possibile conseguire un vantaggio relativo sfruttando
eventuali differenze di condizioni competitive esistenti tra la società in questione e quelle rivali. In questo caso, la
strategia ha due possibilità: a) sfruttare la tecnologia, la rete di vendita, la redditività, ecc. di quei prodotti che non sono
in diretta concorrenza con le società di cui sopra; b) sfruttare eventuali altre differenze fra la struttura patrimoniale
dell'impresa e quella dei suoi concorrenti. Questa è la strategia basata sulla superiorità relativa.
3. Se il principale concorrente della società è ben posizionato in un settore stagnante a basso tasso di crescita, ben
difficilmente la sua posizione potrà essere intaccata. A volte l'unica possibilità consiste in una strategia non
convenzionale tendente a capovolgere i fattori chiave di successo sui quali il concorrente in questione ha costruito il
suo vantaggio competitivo. Per realizzare una simile strategia è necessario rimettere in discussione tutti i presupposti
scontati che regolano l'attività nell'ambito del settore o dei mercati in questione allo scopo di appurare se sia possibile
cambiare le regole del gioco, capovolgere lo status quo, conquistando in tal modo un nuovo e deciso vantaggio
competitivo. Questo approccio è la strategia basata su iniziative aggressive.
4. Anche nei casi in cui la concorrenza sia molto aspra nell'ambito di un settore o business è possibile uscire vittorioso
dalla battaglia facendo largo uso di innovazioni che possono consistere nell'apertura di nuovi mercati o nello sviluppo di
nuovi prodotti. In ambedue i casi è indispensabile sfruttare il mercato operando in modo energico in aree lasciate libere
dalla concorrenza. Questo metodo è la strategia basata sui gradi di libertà strategica.
Questi quattro metodi hanno un comun denominatore: evitare di fare la stessa cosa nello stesso terreno di scontro in
cui agisce la concorrenza. Lo scopo di tutti e quattro i metodi di pianificazione strategica è quello di ottenere una
situazione competitiva nella quale una società possa in primo luogo acquisire un vantaggio relativo con iniziative che la
concorrenza troverà difficile seguire e in secondo luogo incrementare ulteriormente il vantaggio acquisito. I notevoli
vantaggi competitivi ottenuti dall'industria giapponese negli ultimi anni devono molto a questi metodi.” (Ohmae, 1985,
pag. 30-34)
43
44
GESTIONE PORTAFOGLIO PRODOTTI
(Ohmae, 1985, pag. 129)
“Come indica il suo stesso nome, la gestione del portafoglio prodotti si basa sul concetto di gestione di un portafoglio di
investimento. È uno strumento per ottimizzare la funzione obiettivo globale dell'azienda, sia essa costituita
dall'espansione o dalla redditività degli investimenti, tenuto conto di vincoli quali la disponibilità finanziaria o il numero
dei dipendenti. I singoli business vengono rappresentati graficamente come dei cerchi posizionati su una matrice a
quattro o nove quadranti a seconda della rispettiva attrattività (spesso assimilata alla crescita e alla dimensione totale),
dei rispettivi mercati (asse verticale) e della posizione competitiva stimata rispetto ai concorrenti in quel particolare
mercato. Partendo dal presupposto che il principale obiettivo di un'azienda sia quello di costituirsi un portafoglio
all'interno del quale i rischi e la redditività siano sostanzialmente equilibrati, le varie posizioni sulla matrice hanno
precise implicazioni strategiche (vedi figura).
A parità di altri elementi, un business situato in posizione forte all'interno di un mercato molto appetibile dovrebbe ad
esempio, adottare un'aggressiva strategia di investimento, mentre un business in posizione moderatamente forte
all'interno di un settore in declino verrebbe considerato il candidato ideale alla spremitura ossia a una strategia di breve
termine tendente ad ottenere risultati immediati di profitto, salvo la possibilità di spostare il cerchio in qualche maniera
verso una posizione più promettente all'interno della matrice grazie ad interventi gestionali.
In un contesto del genere il singolo business tende a degenerare in un cerchio impersonale sulla matrice di portafoglio,
caratterizzato unicamente da indici statici e quantificabili di attrattività del mercato e della posizione competitiva
relativa.
L'attrattività relativa del business A rispetto al business B diventa l'unico motivo in base al quale si decide
l'assegnazione delle risorse aziendali. Pur imponendo tale tecnica una valida disciplina di oggettività e imparzialità,
essa tende a trascurare importanti fattori di successo quali la creatività, la fantasia e la costanza, elementi che
dipendono naturalmente in gran parte dal talento e temperamento della persona responsabile, il cui stile di gestione dà
l'impronta al business. Se egli non possiede personalmente tali qualità o non le incentiva nei suoi subalterni, questi
modelli di comportamento tendono gradualmente a perdersi.
Il valore di un sistema dipende dal modo in cui è utilizzato, e il sistema di gestione del portafoglio prodotti non fa
eccezione a questa regola, anche se è stato oggetto di molte critiche da parte di persone che non lo hanno realmente
utilizzato. Se ci si preoccupa di comprendere i motivi che hanno portato un business a occupare una determinata
posizione sulla matrice e se quest'ultima viene utilizzata per produrre idee creative all'interno di ogni business,
considerata la sua situazione rispetto agli altri business nel contesto aziendale, allora la gestione del portafoglio
prodotti può essere uno strumento molto utile. Ma molti dirigenti e pianificatori aziendali sono troppo occupati a dare la
scalata al potere all'interno dell'azienda per dedicare il tempo necessario alla comprensione di ogni business che
compone il loro portafoglio diversificato. Nelle loro mani, la gestione del portafoglio prodotti che originariamente era
stata concepita come un mezzo per stabilire le priorità di investimento, viene trasformata semplicemente in un mezzo
per eliminare alcuni business e promuoverne altri, al fine di ottenere i migliori risultati finanziari per l'azienda. Anche
questo strumento ha così contribuito a spostare il centro dell'attenzione della direzione su indici puramente finanziari e
ad accelerare la trasformazione delle aziende diversificate in società conglomerate.” (Ohmae, 1985, pag. 128-130)
44
45
RIMUOVERE GLI OSTACOLI
Nel momento in cui si elabora una strategia, se
si comincia a pensare a tutto ciò che non si può
fare e ci si chiede solo quali sono le possibilità
che restano è quasi certo che risulterà
impossibile superare la situazione problematica
esistente.
“Nel momento in cui si elabora una strategia, se si comincia a pensare a tutto ciò
che non si può fare e ci si chiede solo quali sono le possibilità che restano è
quasi certo che risulterà impossibile superare la situazione problematica
esistente…
Se lo stratega riesce a indurre la consapevolezza di quella che dovrebbe essere
la situazione ideale, anche se al momento sembra irrealizzabile, gli impedimenti
che fino ad allora erano sembrati insormontabili possono essere visti in una
nuova luce come ostacoli potenzialmente superabili per il raggiungimento della
soluzione ideale. Il pensiero strategico può a questo punto essere concentrato
sui modi di rimuovere questi ostacoli.
Quando all'interno di un'organizzazione non esiste una consapevolezza comune
dell'obiettivo ideale e degli ostacoli da superare per il suo raggiungimento, le
energie dei quadri dirigenti sono tutte rivolte in direzioni diverse ed è del tutto
impossibile che si proceda verso la soluzione del problema. Ma una volta
acquisita questa consapevolezza comune tutte le persone interessate possono
concentrare le loro energie sulla rimozione degli ostacoli che si frappongono alla
soluzione finale. Mettendo direttamente in discussione gli ostacoli, di solito lo
stratega scopre che essi sono in realtà molto meno insormontabili di quanto
sembrassero in apparenza.” (Ohmae, 1985, pag. 74-75)
45
INTUITO E LUNGIMIRANZA
NELLE DECISIONI
46
Sono imprenditori illuminati quelli che adottano nelle loro decisioni
decisioni
questo processo a cinque fasi:
‰ Definire con chiarezza il proprio campo d'azione.
‰ Estrapolare nel futuro, con un ragionamento di causacausa-effetto, le
forze che agiscono nell'ambiente operativo, e tracciare, in forma
forma
semplice e succinta, un'ipotesi logica della probabile evoluzione.
evoluzione.
‰ Tra le molte opzioni strategiche che si offrono all'impresa
sceglierne solo alcune e, a scelta avvenuta, l'impiego delle risorse
risorse
umane, tecnologiche e finanziarie deve essere audace e aggressivo.
aggressivo.
‰ L'azienda deve dosare la sua strategia in base alle risorse
disponibili.
‰ La direzione deve restar fedele alle ipotesi fondamentali
soggiacenti alle sue originali scelte strategiche, fintanto che tali
ipotesi continuano a valere.
“Analizzando la storia di un'azienda di successo, è facile trarne l'impressione che nella sua attività
ci sia la mano di un profeta. Quando sento raccontare la storia di imprenditori di successo, spesso
sono colto da meraviglia di fronte alla qualità profetica delle loro decisioni, che a posteriori
sembrano tutte così perfettamente logiche. Magari però la persona che le ha adottate non si è
tanto soffermata in analisi. Forse ha semplicemente ipotizzato delle possibilità future e,
nonostante i molti fattori incerti, è riuscita a prendere le decisioni giuste, una dopo l'altra.
Questo significa forse che l'imprenditore in questione ha giocato d'azzardo e ha vinto? Non credo.
In questo ambito, il processo decisionale strategico è fondamentalmente diverso da quello delle
pure e semplici probabilità matematiche dei giochi d'azzardo, come la roulette. È vero che chi
decide deve saper valutare degli elementi incerti, poiché il tempo e il denaro a disposizione per
l'analisi sono sempre limitati, ma è anche vero che la valutazione è sostenuta da deduzioni
razionali. E infatti, dietro una serie di decisioni puntualmente indovinate prese da dirigenti
illuminati s'intravvede una precisa sequenza. Sembra che cinque condizioni in particolare
debbano sempre essere soddisfatte. E sono imprenditori illuminati quelli che adottano nelle loro
decisioni questo processo a cinque fasi.
1. Per prima cosa, si deve definire con chiarezza il proprio campo d'azione.
2. Poi si devono estrapolare nel futuro, con un ragionamento di causa-effetto, le forze che
agiscono nell'ambiente operativo, e si deve tracciare, in forma semplice e succinta, un'ipotesi
logica della probabile evoluzione.
3. Tra le molte opzioni strategiche che si offrono all'impresa, se ne devono scegliere solo alcune
e, a scelta avvenuta, l'impiego delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie deve essere
audace e aggressivo. Concentrando più risorse su un numero limitato di opzioni, la società può
acquisire un maggior margine sui suoi concorrenti nei business prescelti, assicurandosi maggiori
probabilità di successo. Ecco il motivo per il quale si crea nel tempo un divario a volte notevole tra
le aziende di successo e le altre.
4. L'azienda deve dosare la sua strategia in base alle risorse disponibili, anziché giocare subito
tutte le sue carte per ottenere troppo e troppo in fretta, e deve fare attenzione a non sbilanciarsi.
5. La direzione deve restar fedele alle ipotesi fondamentali soggiacenti alle sue originali scelte
strategiche, fintanto che tali ipotesi continuano a valere. Tuttavia, se ciò si rende necessario per
mutamenti intervenuti, non deve esitare a decidere anche cambiamenti radicali di rotta.” (Ohmae,
1985, pag. 222-223)
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