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selezione naturale e flusso genico - utenti
Università degli Studi di Ferrara, C.d.L. in Scienze Biologiche, A.A. 1999/2000 SELEZIONE NATURALE E FLUSSO GENICO Rielaborazione di parte degli appunti del corso di GENETICA di POPOLAZIONI tenuto dal prof. Guido Barbujani nell’A.A. 1999/2000, a cura di Gamba Eleonora e Venturoli Lorenzo Questa dispensa di appunti rielaborati è il risultato di un esperimento che, a partire da questo anno accademico, si pone l’obiettivo di mettere a disposizione degli studenti un supporto didattico valido per quanto riguarda il corso di Genetica Umana (comune a Genetica di Popolazioni del C.d.L. in Scienze Naturali). Si ringrazia il prof. Guido Barbujani per la consulenza didattica. Gamba Eleonora Venturoli Lorenzo LA SELEZIONE NATURALE (a cura di Venturoli Lorenzo) La selezione naturale, assieme a mutazione, migrazione e deriva genetica, è uno dei processi che vanno a modificare il pool genico delle popolazioni: gli alleli presenti e le loro frequenze. Lo studio della selezione naturale è lo studio dell’interazione tra geni ed ambiente (ciò che viene chiamato contesto ecologico), a livello di organismi, ma anche di singoli geni. Possiamo definire la SELEZIONE NATURALE come l’insieme dei fattori che tendono a favorire, o sfavorire, la tendenza a riprodursi di un dato genotipo. Mutazione, migrazione e deriva differiscono dalla selezione naturale in quanto modificano le frequenze alleliche indipendentemente dal fatto che queste variazioni influiscano positivamente o negativamente sulla capacità riproduttiva. L’ADATTAMENTO è sostanzialmente l’effetto della selezione naturale; in termini evolutivi esso indica una variazione delle caratteristiche di un organismo in relazione all’ambiente (N.B. : non si tratta necessariamente di un miglioramento). Lo studio del rapporto fenotipo – ambiente affonda le sue radici nel secolo scorso e raggiunge il suo apice quando, in modo indipendente, Darwin e Wallace sviluppano una vera e propria teoria evoluzionistica. NOTE 2 IL CONCETTO DI FITNESS DARWINIANA Nel suo libro The Origin of Species Darwin propone che gli organismi portatori di caratteristiche ereditarie vantaggiose hanno maggiori probabilità di riprodursi e di sopravvivere rispetto a organismi che presentano caratteristiche meno vantaggiose. La selezione naturale può in questo senso essere definita come la riproduzione differenziale di varianti genetiche alternative: alcune varianti aumentano le possibilità di sopravvivenza e la riproduzione dei loro portatori rispetto ai portatori di altre varianti. Sono quattro i fattori importanti per l’evoluzione darwiniana: 1. La presenza di variabilità (ossia il polimorfismo) 2. l’eredità (la possibilità che il polimorfismo venga trasmesso nelle generazioni) 3. la fertilità o mortalità differenziale (non tutti gli individui hanno la stessa probabilità di sopravvivere) 4. l’adattamento (la modifica delle caratteristiche in relazione all’ambiente come risultato dell’azione dei fattori precedenti) Il parametro comunemente utilizzato per misurare la selezione naturale è la FITNESS DARWINIANA (o relativa); essa è una misura dell’efficienza riproduttiva di un dato genotipo per un dato ambiente e in un dato momento. La fitness è un parametro difficile da stimare: un modo per valutarla è quello di effettuare esperimenti di marcatura e ricattura. Si tratta in pratica di contare, sulla base di caratteristiche osservabili, il numero di individui in un certo ambiente; tali individui vengono inizialmente contrassegnati, quindi rilasciati e poi ricatturati. La fitness può essere calcolata, nota la progenie derivata da ciascun genotipo, attraverso due passaggi: 1) si determina il numero medio della progenie per individuo nella generazione successiva; 2) si divide il numero medio di ciascun genotipo per il numero medio del genotipo migliore (che è il più alto). NOTE 3 La tabella sottostante mostra un esempio di stima della fitness nel caso di un gene biallelico a dominanza incompleta: Genotipo A 1 A1 A 1 A2 A 2 A2 Totale (a) Numero di zigoti in una generazione 40 50 10 100 (b) Numero di zigoti prodotti da ciascun genotipo nella generazione successiva 80 90 10 180 80/40 = 2 90/50 = 1.8 10/10 = 1 2/2 = 1 1.8/2 = 0.9 ½ = 0.5 Calcolo 1. Numero medio della progenie per individuo nella generazione successiva (b/a) 2. Fitness Se conosciamo le fitness genotipiche possiamo predire il tasso di variazione nella frequenza dei vari genotipi. La fitness è spesso rappresentata dalla lettera ω (0 = ω = 1). Una misura correlata è il coefficiente di selezione, s, definito come s = 1 – ω; esso misura la riduzione di fitness per un dato genotipo (s = 1 per geni letali). Selezione naturale e variabilità La selezione naturale, favorendo o sfavorendo determinati genotipi, di fatto tende in genere a ridurre il polimorfismo; perché dunque si mantiene lo stesso la variabilità? La fitness ed il coefficiente di selezione sono parametri che descrivono una situazione temporanea, in quanto sono riferiti ad un dato ambiente e ad un determinato momento; ma la fitness di un genotipo può essere differente in ambienti diversi. Quindi essenzialmente c’è polimorfismo poiché l’efficienza riproduttiva di un organismo, in relazione alle sue caratteristiche, non è omogenea e non è facile stimare la fitness in un dato ambiente ed in tempi diversi. In pratica, per un dato ambiente ed in un dato momento, non tutti gli alleli vengono trasmessi con la stessa efficienza; la fitness quantifica appunto tale efficienza. NOTE 4 MODELLI DI SELEZIONE NATURALE L’esito finale della selezione naturale può essere l’eliminazione di uno o di un altro allele, oppure un polimorfismo stabile con due o più alleli. Gli effetti della selezione naturale possono essere trattati in modo semplice considerando loci biallelici e stimando la fitness nelle diverse situazioni. In gran parte dei modelli che verranno illustrati si assume la costanza delle fitness genotipiche indipendentemente dalle frequenze alleliche, dalla densità della popolazione e da altri fattori. 1. Selezione contro l’omozigote recessivo In questo modello gli eterozigoti che hanno fenotipo e fitness identici a quelli degli omozigoti dominanti; tuttavia gli omozigoti recessivi possono avere una fitness considerevolmente ridotta. La selezione quindi avviene a sfavore degli omozigoti recessivi. Possiamo studiare gli effetti della selezione utilizzando il seguente modello (consideriamo un locus a due alleli, A ed a): Genotipo: AA Aa Fitness (ω): 1 1 aa 1–s Come vengono calcolate le variazioni delle frequenze geniche in seguito ad una generazione di selezione naturale nel caso che gli omozigoti aa rappresentino il genotipo sfavorito? La procedura che viene utilizzata è riassunta nella tabella seguente: AA Frequenza iniziale di zigoti p Fitness (ω) 2 Genotipo Aa aa 2 Totale Frequenza di a 1 q 2pq q 1 1 1– s Contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva p2 2pq q 2(1 – s) 1 – sq 2 Frequenza normalizzata p 2 / (1 – sq 2) 2pq/ (1 – sq2 ) q 2(1 – s)/ (1 – sq2 ) 1 q 1 = (q – sq2 )/ (1– sq2 ) ∆q = – spq2 / (1 – sq2 ) Variazione nella frequenza allelica NOTE 5 Si assume innanzitutto che le frequenze iniziali dello zigote siano in equilibrio di Hardy – Weinberg (per effetto della combinazione casuale dei gameti della generazione precedente). Tali frequenze vengono quind i moltiplicate per la loro fitness relativa ottenendo così il contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva, ossia le nuove frequenze genotipiche dopo una generazione di selezione. Per ottenere dei valori delle frequenze che sommati diano 1 si effettua un’operazione di normalizzazione, ossia si divide ciascuna delle frequenze genotipiche per la loro somma totale, la quale corrisponde alla FITNESS MEDIA (= numero medio atteso di discendenti per individuo nella generazione successiva). Dalle frequenze della progenie prodotta da ciascun genotipo possiamo quindi calcolare le frequenze alleliche dopo selezione (q1 ). La differenza tra queste frequenze e le frequenze alleliche originarie (∆q = q1 – q) misura la variazione della frequenza allelica in seguito ad una generazione di selezione. Poiché i valori di s, p e q sono o positivi (minori di 1) o nulli, il segno di ∆q dipenderà esclusivamente dal numeratore (il denominatore infatti, poiché q è piccolo, è <1); in questo caso ∆q potrà essere quindi ne gativo o al limite nullo; ciò significa che il valore di q diminuirà per effetto della selezione. Perciò in un modello di selezione contro l’omozigote recessivo la pressione selettiva determina una diminuzione della frequenza dell’allele recessivo in quanto la fitness degli omozigoti aa è inferiore rispetto alla fitness degli omozigoti dominanti AA. Quale sarà l’esito finale della selezione contro l’omozigote recessivo? Si raggiungerà una situazione di equilibrio in cui non si ha variazione delle frequenze alleliche; ciò accade quando ∆q = 0, ossia quando p = 0 (soluzione da scartare in quanto non si avrebbe variabilità) s = 0 (soluzione da scartare in quanto implicherebbe l’assenza della selezione) q = 0 (l’allele selezionato sparisce; questa è la soluzione valida) L’esito finale della selezione contro il genotipo omozigote recessivo è l’eliminazione dell’allele stesso: il valore di q infatti diminuirà gradualmente fino a raggiungere il valore 0 (condizione di equilibrio). NOTE 6 Letali recessivi Il caso limite di selezione contro il genotipo omozigote recessivo si ha quando gli individui aa hanno fitness zero, ossia quando muoiono prima dell’età riproduttiva oppure sono sterili. In questo caso la fitness del genotipo aa è 0 e quind i s = 1. Semplificando quindi le espressioni di q1 e ∆q precedentemente introdotte si ottiene: q1 = q/ (1 + q) ∆q = – q2 / (1 + q) Le conclusioni che si traggono da questa variante limite del modello è che tanto più piccola è la frequenza dell’allele recessivo tanto più lentamente questo verrà eliminato. Man mano che q si riduce, si riduce la probabilità di omozigosi per a, e quindi il numero di individui su cui la selezione agisce. A partire da un certo momento, la grande maggioranza degli alleli a sarà portata da eterozigoti (ad es., per q = 0.01, fr(aa) = q2 = 0.0001, fr(Aa) = 2pq = 0.01 à gli eterozigoti sono 100 volte più comuni degli omozigoti aa).Attraverso questa semplificazione del modello selettivo è possibile stimare la variazione della freque nza allelica dopo un dato numero di generazioni (qt ), e conseguentemente calcolare il numero di generazioni (t) necessarie per passare da un determinato valore di frequenza allelica (q0 ) ad un altro (q1 ): qt = q0 / (1 + tq0 ) t = 1/ qt – 1/q0 se qt = 1/2q0 si ha t = 1/q0 , ossia il tempo necessario per ridurre una determinata frequenza allelica della metà rispetto al suo valore iniziale è 1 diviso per la frequenza allelica. NOTE 7 2. Selezione contro l’allele dominante La selezione è più efficace contro gli alleli dominanti poiché questi vengono espressi sia negli omozigoti (AA) che negli eterozigoti (Aa). Se si assume che la dominanza rispetto alla fitness sia completa, gli omozigoti dominanti e gli eterozigoti avranno la stessa efficienza riproduttiva; il modello quindi è: Genotipo: AA Aa Fitness (ω): 1–s 1–s aa 1 Gli effetti di una generazione di selezione sono riassunti nella tabella che segue: Genotipo Aa aa Totale Frequenza di A p2 2pq q2 1 p Fitness (ω) 1– s 1– s 1 Contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva 2 p (1 – s) 2pq(1 – s) q2 1 – s + sq 2 p 2(1 – s)/ (1 – s + sq 2) 2pq(1 – s)/ (1 – s + sq2 ) q 2 / (1 – s + sq2 ) 1 AA Frequenza iniziale di zigoti Frequenza Normalizzata p 1 = p(1 – s)/ (1 – s + sq2 ) ∆p = – spq2 / (1 – s + sq2 ) Variazione nella frequenza allelica NOTE 8 Finché ambedue gli alleli sono presenti nella popolazione (ossia p, q > 0) e c’è selezione (s > 0) ∆p avrà segno negativo (spq2 è > 0, così come il denominatore), e quindi la frequenza dell’allele A diminuirà gradualmente sino a raggiungere il valore 0. In un modello di selezione contro l’allele dominante quindi la pressione selettiva determina una diminuzione della frequenza dell’allele stesso. Come nel modello precedente, che controselezionava il genotipo omozigote recessivo, è possibile arrivare ad una condizione di equilibrio in cui ∆p = 0; ciò accade quando: q = 0 (soluzione da scartare in quanto non si avrebbe variabilità) s = 0 (soluzione da scartare in quanto implicherebbe l’assenza della selezione) p = 0 (l’allele selezionato sparisce; questa è la soluzione valida) Perciò il destino dell’allele selezionato è quello di essere eliminato (come si osserva nel modello precedente). Se un allele dominante è sterile o letale (s = 1) allora si ha p1 = 0 ∆p = – p ossia la frequenza dell’allele dominante diventa nulla nell’arco di una generazione di selezione (né l’omozigote AA né l’eterozigote Aa lasceranno alcuna progenie). Per qualsiasi valore di frequenza dell’allele controselezionato, a parità di s, la variazione della frequenza allelica è più grande nel caso di selezione contro i dominanti rispetto ad un modello di selezione contro i recessivi, ossia ∆p > ∆q (nel primo caso infatti anche gli eterozigoti sono sfavoriti). NOTE 9 3. Selezione in assenza di dominanza In alcuni casi la fitness degli eterozigoti è intermedia tra le fitness dei due omozigoti. Consideriamo solamente il caso in cui il coefficiente di selezione contro il genotipo eterozigote è esattamente la metà del coefficiente di selezione contro gli omozigoti sfavoriti (ad es. quando non vi è dominanza). Il modello è Genotipo: A1 A1 A1 A2 A2 A2 Fitness (ω): 1–s 1 – s/2 1–s Gli effetti di una generazione di selezione sono illustrati nella tabella seguente: A1 A1 Genotipo A1 A2 Frequenza iniziale di zigoti p2 2pq Fitness (ω) 1 1 – s/2 Contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva Frequenza normalizzata p 2 p 2 / (1 – sq) A2 A2 Totale Frequenza di A2 q2 1 q 1– s 2 2pq(1 – s/2) q (1 – s) 1 – sq 2pq(1 – s/2)/ (1 – sq) q 2(1 – s)/ (1 –sq) 1 q 1 = q – sq ½ (1 + q)/ (1 – sq) ∆q = – ½spq/ (1 – sq) Variazione nella frequenza allelica NOTE 10 Finché ambedue gli alleli sono presenti nella popolazione (ossia p, q > 0) e c’è selezione (s > 0) ∆q sarà negativo (spq è > 0, ed sq < 1 al denominatore), e quindi la frequenza dell’allele A2 tenderà a diminuire gradualmente. La condizione di equilibrio, in cui ∆q = 0, si avrà quando: p = 0 (soluzione da scartare in quanto elimina la variabilità) s = 0 (soluzione da scartare poiché non vi sarebbe pressione selettiva) q = 0 (l’allele selezionato sparisce; questa è la soluzione valida) Anche in condizioni di assenza di dominanza il destino dell’allele selezionato è quello di essere eliminato: la sua frequenza infatti tende a diminuire progressivamente sino a divenire nulla in condizioni di equilibrio. L’efficacia della selezione dipende fortemente dal grado con cui i geni dannosi sono espressi negli eterozigoti (come è possibile osservare dalla stima del numero di generazioni necessarie perché la frequenza dell’allele selezionato subisca una determinata variazione). I modelli selettivi finora descritti hanno un denominatore comune che è rappresentato dal fatto che in ciascuna delle situazioni analizzate l’allele sottoposto a selezione viene eliminato e si ha la fissazione dell’allele favorito; finché quindi il coefficiente di selezione è costante non è possibile che si stabilisca (in condizioni di assenza di mutazione) un equilibrio tra alleli sfavoriti e favoriti. Ciò è sinonimo di perdita di variabilità. Esistono tuttavia delle situazioni, che verranno ora descritte, in cui è possibile che si mantengano entrambi gli alleli nella popolazione, a patto che i coefficienti di selezione rimangano costanti; in questi casi si mantiene il polimorfismo. NOTE 4. Vantaggio dell’eterozigote (sovradominanza) Il modello è il seguente: Genotipo: AA Aa aa Fitness (ω): 1–s 1 1–t In questo caso abbiamo due diversi coefficienti di selezione, indicati rispettivamente con le lettere s e t. La selezione a favore dell’eterozigote è differente dai modelli precedenti in maniera significativa: la sovradominanza porta ad un equilibrio polimorfico stabile in cui le frequenze alleliche sono determinate dai coefficienti di selezione contro i due genotipi omozigoti (s e t). 11 Gli effetti di una generazione di selezione sono riassunti nella tabella seguente: AA Genotipo Aa aa Totale Frequenza di a Frequenza iniziale di zigoti p2 2pq q2 1 q Fitness (ω) 1– s 1 1– t p 2(1 – s) 2pq q 2(1 – t) 1 – sp 2 – tq2 p 2(1 – s)/ (1 – sp2 – tq2 ) 2pq/ (1 – sp2 – tq2 ) q 2(1 – t)/ (1 – sp 2 – tq2 ) 1 Contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva Frequenza normalizzata Variazione nella frequenza allelica q 1 = (q – tq2 )/ (1 – sp2 – tq 2) ∆q = – pq(sp – tq)/ (1 – sp2 – tq 2) NOTE La condizione di equilibrio, ∆q = 0 sarà soddisfatta quando il numeratore è nullo; se entrambi gli alleli sono presenti nella popolazione (p, q > 0) ciò avverrà solo quando sp = tq. 12 In tale situazione è possibile stimare le frequenze alleliche di equilibrio (sostituendo a p il valore 1 – q): qeq = s/ (s + t) peq = 1 – qeq = t/ (s + t) Tali frequenze di equilibrio sono stabili poiché la selezione naturale modificherà le due frequenze alleliche fino a che i valori di equilibrio non saranno raggiunti: p > peq à ∆q > 0 à q aumenterà a spese di p finché sp = tq p < peq à ∆q < 0 à q diminuirà a vantaggio di p finché sp = tq (lo stesso ragionamento può essere fatto per q rispetto a p). Le frequenze di equilibrio nella sovradominanza dipendono dal valore relativo dei due coefficienti di selezione, non dai loro valori assoluti (ad es. qeq = 0.25 si può ottenere per s = 0.1 e t = 0.3, oppure per s = 0.2 e t = 0.6). Ne segue che il conoscere le frequenze alleliche di equilibrio non permette di calcolare i valori di s e t, ma solo di stimarne il peso relativo. ∆q + q eq - q Se t ed s quindi sono valori costanti, sia p che q raggiungeranno un equilibrio stabile: per cui ad es. se q si sposta dai valori di equilibrio la pressione selettiva lo forzerà a tornare verso l’equilibrio. Entrambi gli alleli rimangono nella popolazione con frequenze p e q fintanto che i coefficienti di selezione conferiscono agli eterozigoti una fitness superiore rispetto ad ambedue gli omozigoti. Quindi, il modello della sovradominanza permette di mantenere la variabilità. Si parla in questo caso di eterosi, o di polimorfismo bilanciato. NOTE 13 5. Selezione contro gli eterozigoti (sottodominanza) Vi sono situazioni in cui gli eterozigoti hanno una fitness minore rispetto ai genotipi omozigoti; consideriamo il caso più semplice in cui i due omozigoti hanno la stessa fitness: Genotipo: AA Fitness (ω): Aa 1 aa 1–s 1 Gli effetti di una generazione di selezione sono illustrati nella consueta tabella: AA Frequenza iniziale di zigoti p Fitness (ω) Contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva Frequenza normalizzata 2 Genotipo Aa aa 2 Totale Frequenza di a 1 q 2pq q 1 1– s 1 p2 2pq(1 – s) q2 1 – 2spq p 2 / (1 – 2spq) 2pq(1 – s)/ (1 – 2spq) q 2 / (1 – 2spq) 1 q 1 = (q – spq)/ (1 – 2spq) ∆q = – spq(q – p)/ (1 – 2spq) Variazione nella frequenza allelica NOTE 14 La variazione nelle frequenze alleliche sarà nulla quando ∆q = 0; ciò accadrà quando p = q = 0.5. Solamente in corrispondenza di questi valori i due alleli sono perfettamente bilanciati (la stessa proporzione di ciascuno dei due viene sottratta in quanto presente nell’eterozigote). Ogni leggero scostamento da questi valori farà sì che un allele perda, attraverso gli eterozigoti, una frazione maggiore delle sue copie. Come illustrato nel grafico, a valori di p > 0.5 corrisponde un ∆p positivo, a valori di p < 0.5 corrisponde un ∆p negativo. Dunque, appena le frequenze si scostano da 0.5, l’uno o l’altro allele andrà verso la fissazione (e così via nelle generazioni). Le frequenze di equilibrio sono instabili, ossia è un’eccezione che vi sia p = q. Perciò si ha se q > p à ∆q > 0 à q aumenterà finché l’allele A viene eliminato dalla popolazione se q < p à ∆q < 0 à q diminuirà ulteriormente fino all’eliminazione dell’allele a Quindi in condizioni di sottodominanza una popolazione che non è in equilibrio si allontanerà ulteriormente dalle frequenze di equilibrio fino a che l’allele avente inizialmente una frequenza superiore rispetto a quella di equilibrio viene fissato. La situazione di una popolazione inizialmente in equilibrio non è destinata a persistere; deviazioni da tale equilibrio, causate da deriva e da altri fattori, tenderanno ad eliminare l’uno o l’altro allele. ∆q + - q eq (0.5) q Sulla base di queste considerazioni si può dire che il modello di selezione contro l’et erozigote non permette di mantenere il polimorfismo. Questo modello selettivo, peraltro non descritto in natura, è importante perché può spiegare un meccanismo di isolamento delle popolazioni nelle fasi iniziali dei processi di speciazione. NOTE 15 6. Selezione dipendente dalla frequenza Accanto al modello che avvantaggia il genotipo eterozigote vi sono altre forme di selezione che possono portare ad un polimorfismo bilanciato (equilibrio stabile). Uno di questi è la selezione dipendente dalla frequenza. Siamo di fronte ad una selezione dipendente dalla frequenza quando le fitness genotipiche variano in relazione alle frequenze dei vari genotipi . Nei modelli precedenti si è sempre assunto che i valori di fitness fossero costanti, indipendentemente dalle frequenze genotipiche; ciò permette di semplificare i calcoli, ma non è detto che sia sempre così. Se supponiamo che le fitness dei genotipi AA ed aa siano inversamente proporzionali alle loro frequenze, si avrà un valore elevato di fitness quando un allele è raro ed un’efficienza riproduttiva più bassa se un allele è comune. Se un genotipo è raro in un dato momento, la selezione naturale tenderà ad aumentarne la frequenza, causando conseguentemente un calo della sua fitness (mentre la fitness del genotipo alternativo aumenta). Se vi è una valore di frequenza in corrispondenza del quale i due genotipi hanno la stessa fitness, si stabilirà un equilibrio polimorfico stabile. Si parla di selezione sessuale dipendente dalla frequenza quando la probabilità di incrocio per un dato genotipo è legata alla sua frequenza. In questi casi sono spesso privilegiati gli incroci che appaiono meno probabili (rare – mate advantage): ciò significa che alleli rari vengono avvantaggiati e gli individui che li portano si accoppiano di più rispetto ad individui portatori di alleli più comuni. La selezione dipendente dalla frequenza è un meccanismo che contribuisce a mantenere variabilità, in quanto la fitness di un genotipo aumenta quando questo diviene più raro. La selezione dipendente dalla frequenza può essere particolarmente importante nei casi di migrazione (gli immigranti possono avere un vantaggio in termini di mating poiché sono rari; i loro geni quindi saranno stabilizzati con maggiore probabilità nella popolazione cui si sono uniti). In termini di fitness abbiamo i valori che seguono: Genotipo: AA Aa Fitness (ω): 1 – tp2 1 – 2tpq aa 1 – tq2 Il coefficiente di selezione è funzione della frequenza allelica. In caso di alleli rari 1 – tp2 è circa uguale ad 1. NOTE 16 Sintesi dei modelli di selezione Possiamo riassumere i valori di fitness genotipica calcolata secondo i vari modelli di selezione, e le condizioni di equilibrio (in cui le frequenze alleliche non variano) nella tabella successiva: AA Genotipo Aa aa Equilibrio 1. Selezione contro l’omozigote recessivo 1 1 1– s q =0 2. Selezione contro l’omozigote dominante 1– s 1– s 1 p =0 3. Selezione in assenza di dominanza 1 1 – s/2 1– s q =0 4. Vantaggio dell’eterozigote 1– s 1 1– t sp = tq 5. Svantaggio dell’eterozigote 1 1– s 1 p =q 6. Selezione dipendente dalla frequenza 1 – tp 2 1 – 2tpq 1 – tq 2 No NOTE 17 Note Si mantiene il polimorfismo Si mantiene il polimorfismo 7. Modello generale di selezione naturale Dal punto di vista strettamente algebrico i vari modelli selettivi precedentemente analizzati possono essere tutti considerati casi particolari di un modello più generale di selezione ad un locus biallelico. La procedura di calcolo è come sempre illustrata nella tabella che segue: A1 A1 p2 Genotipo A1 A2 A2 A2 Totale Frequenza di A2 1 q 2pq q2 ω 11 ( o ω 1) ω 12 (o ω2) ω 22 (o ω3) p 2 ω1 2pq ω2 q 2 ω3 W = p 2 ω1 + 2pq ω2 + q2 ω3 (W = fitness media) p 2 ω1 / W 2pq ω2 / W q 2 ω3 / W 1 Frequenza iniziale di zigoti Fitness (ω) Contributo di ciascun genotipo alla generazione successiva Frequenza normalizzata q 1 = (q/W) (p ω2 + q ω3) ∆q = (pq/W) (WA2 – WA1 ) Variazione nella frequenza allelica Viene introdotta la grandezza (p ω2 + q ω3 ), detta FITNESS MARGINALE dell’allele A2 (= fitness di tutti gli individui che portano l’allele A2 in proporzioni p e q), WA2; essa rappresenta il contributo alla fitness dei portatori dell’allele A2 , pesata per la fitness dei relativi genotipi. La fitness marginale dell’allele A1 (WA1) sarà invece data dall’espressione (p ω1 + q ω3 ). Il segno di ∆q dipende esclusivamente dalla differenza (WA2 – WA1); infatti se WA2 > WA1 à ∆q > 0 se WA2 < WA1 à ∆q < 0 Ciò significa che l’allele associato alla fitness maggiore aumenterà di frequenza nella popolazione nel corso delle generazioni, mentre quello associato alla fitness minore tenderà a ridurre la sua frequenza. La velocità con cui cambia la frequenza dell’allele selezionato (in questo caso q) dipende dall’entità della differenza (WA2 – WA1): se infatti questa è piccola la variazione della frequenza allelica sarà molto lenta (ci vorranno quindi molte generazioni per raggiungere una condizione di equilibrio), e viceversa. NOTE 18 SELEZIONE E MUTAZIONE In alcuni dei modelli analizzati l’esito finale della selezione è l’eliminazione dell’allele deleterio; per effetto della mutazione però alleli associati a caratteristiche non ottimali vengono di continuo reintrodotti nella popolazione. Nei confronti di alleli svantaggiosi quindi selezione e mutazione hanno effetto opposto. L’effetto netto dei due processi (che vanno entrambi ad influenzare le frequenze geniche) sarà nullo, e quindi si raggiungerà un punto di equilibrio, quando un allele ha la stessa probabilità di essere eliminato dalla selezione e di essere rigenerato dalla mutazione; in tali condizioni è possibile stimare le frequenze alleliche di equilibrio. a) alleli recessivi La frequenza dell’allele recessivo (q) diminuirà per effetto della selezione di una quantità che possiamo definire ∆q di selezione (∆qs): ∆qs = – spq2 / (1 – sq2 ) al tempo stesso q aumenterà per effetto della mutazione A à a di una quantità pari a ∆qm = µ p (∆q di mutazione); per via del basso valore di q viene trascurata la perdita di alleli a per retromutazione. Si avrà equilibrio se ∆qs = – ∆qm; poiché q è piccolo poniamo sq2 ˜ 0 da cui ∆qs ˜ – spq2 ; per cui si ha – spq2 = µ p da cui q = v(µ/s) per alleli letali q = µ1/2 . La frequenza di equilibrio di un gene mutante nella popolazione è funzione sia del tasso di mutazione sia del coefficiente di selezione ; quando µ aumenta, aumenta anche la frequenza allelica, che invece diminuisce in caso di aumento di s. Per un carattere recessivo letale in omozigosi la frequenza di equilibrio è circa uguale alla radice della frequenza di nuovi geni introdotti per mutazione . NOTE 19 b) alleli dominanti La frequenza dell’allele dominante (p ) diminuirà per effetto della selezione della quantità ∆ps = – spq2 / (1 – s + sq2) ˜ – spq2 al tempo stesso p aumenterà per effetto della mutazione di una quantità pari a ∆pm = µ q (poiché p è piccolo viene trascurata la possibilità che vi sia retromutazione). All’equilibrio ∆ps = – ∆pm ; poiché p è piccolo (e quindi q è circa 1) si ha – spq2 = µ q ossia – sp = µ da cui p = µ/s per alleli letali p = µ. La frequenza di equilibrio di un gene mutante nella popolazione è anche in questo caso funzione sia del tasso di mutazione sia del coefficiente di selezione; quando s diminusce p aumenta. La frequenza di equilibrio in caso di alleli letali coincide con il tasso di mutazione (poiché gli omozigoti per l’allele letale non si riproducono, gli alleli dominanti presenti nella popolazione saranno solo conseguenza della mutazione). La frequenza di equilibrio, a parità di s e µ, è molto più alta nel caso di alleli recessici rispetto ad alleli dominanti (gli alleli recessivi sono “nascosti” alla selezione nel genotipo eterozigote). Sia per gli alleli recessivi che per quelli dominanti le frequenze di equilibrio sono direttamente correlate al tasso di mutazione ed inversamente correlate al coefficiente di selezione. Le anomalie cromosomiche possono essere trattate come mutazioni dominanti. NOTE 20 c) geni legati al sesso (es. distrofia muscolare di Duchenne, DMD) Consideriamo il modello di trasmissione della DMD riportato nella tabella che segue: ? portatrici (X+Xd ) ? affetti (Xd Y) A A/2 2µ B A/2 µ Cromosomi Xd alla generazione 1 Cromosomi Xd trasmessi alla generazione 2 Cromosomi Xd presenti per effetto della mutazione alla generazione 2 A e B sono numeri arbitrari che indicano le frequenze alleliche. All’equilibrio si ha A = A/2 + 2µ B = A/2 + µ Risolvendo questo sistema di equazioni si trova che A = 4µ e B = 3µ; se le frequenze alleliche si trovano in queste proporzioni rispetto a µ c’è equilibrio. Per cui le frequenze alleliche devono essere, a seconda del locus considerato, in determinate proporzioni rispetto al tasso di mutazione perché vi sia equilibrio (se così non fosse la pressione selettiva avrebbe determinato l’estinzione della patologia). E’ possibile quindi, con le espressioni ricavate sopra. stimare i tassi di mutazione nei vari casi. Anche se in realtà i coefficienti di selezione possono variare nelle popolazioni (e quindi le frequenze alleliche osservate non sempre rappresentano le frequenze di equilibrio) queste equazioni di equilibrio mutazione – selezione permettono di stimare i tassi di mutazione recessiva nelle popolazioni umane. NOTE 21 IL TEOREMA FONDAMENTALE DELLA SELEZIONE NATURALE Una proprietà interessante dei modelli di selezione per la vitalità per singoli loci fu osservata da Fisher, che ne trasse un vero e proprio teorema, che chiamò teorema fondamentale della selezione naturale: IL TASSO DI INCREMENTO DELLA FITNESS DIPENDE DALLA VARIAN ZA GENETICA In pratica, se c’è selezione naturale, la fitness media di una popolazione tende ad aumentare . Ciò significa che le popolazioni naturali, sottoposte a pressione selettiva, “si arrampicano” verso i valori massimi della fitness. Un utile sistema grafico per rappresentare il teorema fondamentale è quello dei paesaggi adattativi, che definiscono la superficie di fitness media disegnata in funzione delle frequenze alleliche. A questo punto ci si pone una domanda: se, come il teorema di Fisher sostiene, le cose nel tempo sono destinate ad “andare sempre meglio”, come mai dopo tanti e tanti anni la selezione non ha permesso ai diversi individui di raggiungere la “perfezione”? Una popolazione per raggiungere un picco di fitness superiore a quello che la caratterizza varierà le sue frequenze alleliche per un dato locus, ma possono esistere pressioni selettive a carico di altri geni, e massimizzare la fitness per una caratteristica dell’organismo crea prima o poi dei conflitti con altre esigenze dell’organismo stesso. Si parla quindi di adattamento come compromesso: per effetto della selezione naturale non vengono ottimizzate tutte le caratteristiche degli individui o delle popolazioni, ma si raggiunge un punto di equilibrio tra esigenze diverse. Vantaggi e svantaggi vengono a equilibrarsi sulla base delle potenzialità dei geni e del contesto ecologico. NOTE 22 SELEZIONE SESSUALE Nel formulare la sua teoria evoluzionistica Darwin parla anche di selezione sessuale, intesa come accoppiamento preferenziale dovuto alla scelta sessuale generalmente operata dalle femmine. Ci si può chiedere se questo sistema di selezione non rappresenti in realtà un impedimento all’adattamento o sia un fattore in grado di potenziare gli effetti della pressione selettiva. La scelta del partner è uno dei due meccanismi (l’altro è la competizione tra maschi nel periodo riproduttivo) con cui la selezione può agire in termini di accoppiamento differenziale: in pratica individui aventi caratteristiche fenotipiche più evidenti, o comunque esteticamente appetibili per l’altro sesso, vengono preferiti per quanto riguarda la riproduzione. Questi fenotipi più appariscenti possono essere svantaggiati perché più esposti alla predazione, un evento che comporta la riduzione della fitness; se però le caratteristiche fenotipiche appariscenti si sono fissate nella popolazione, è evidente che il loro svantaggio a livello di selezione per la sopravvivenza è stato più che compensato dal vantaggio a livello di selezione sessuale. Quindi caso il fenotipo che risulta attraente per l’altro sesso viene mantenuto; vi è un compromesso adattativo, ossia le caratteristiche vantaggiose in termini di accoppiamento non vengono estremizzate (ciò potrebbe aumentare gli svantaggi a scapito dei vantaggi derivati dall’accoppiamento differenziale). In questo esempio, le caratteristiche premiate dalla selezione sessuale non sono ottimali per la sopravvivenza. Si possono immaginare casi in cui selezione sessuale e adattamento spingono nella stessa direzione. Due teorie descrivono queste situazioni: 1. secondo la teoria «good genes» (M. Kirkpatrick) il fenotipo più vistoso di un individuo (generalmente il maschio nelle popolazioni naturali) è sinonimo di buona salute; il partner quindi, sulla base di un’osservazione puramente esteriore, che interessa perciò l’azione di pochi geni, “certifica” che il pool genico di tale individuo è ottimale per il mantenimento della specie; in questo senso si può dire che il meccanismo di selezione non cerca alcun compromesso; tutto ciò può essere riassunto con l’efficace frase “BELLO = SANO” 2. secondo la teoria «sexy sons» invece la scelta del partner avente caratteristiche fenotipiche più appariscenti automaticamente esclude ed elimina eventuali geni che potrebbero risultare vantaggiosi, ma che sono patrimonio di individui esteticamente meno appetibili; in questo caso si può parlare di compromesso adattativo: poiché infatti la progenie derivata dall’accoppiamento preferenziale manterrà la sua migliore qualità estetica, e verrà quindi selezionata nel corso delle generazioni, geni «meno buoni» sono destinati a rimanere all’interno della popolazione; in questo caso quindi si può dire “BELLO ? SANO” In entrambi i modelli la grossa limitazione è che spesso non sono noti i geni che determinano le caratteristiche fenotipiche esteriori dell’individuo, né quelli che guidano la scelta delle femmine. NOTE 23 IL CONCETTO DI CARICO GENETICO Sotto pressione selettiva chiaramente vi è variabilità (secondo i meccanismi di accoppiamento differenziale), e questa variabilità è associata anche alla presenza di fenotipi non ottimali. Tale presenza può essere quantificata in termini di CARICO GENETICO, inteso come perdita di individui dalla popolazione, dovuta alla presenza di fenotipi non ottimali per un dato ambiente. Di fatto determinate caratteristiche negative possono essere eliminate da una popolazione, ma poiché con esse scompaiono anche gli individui, ciò spesso coincide con una crisi demografica (una parte degli individui infatti si riproduce poco o per niente). Il carico genetico dipende essenzialmente da due fattori: a) il carico segregazionale, ossia il mantenimento di alleli sfavorevoli (negli individui eterozigoti); esso a sua volta dipende dalle frequenze alleliche e dal coefficiente di inbreeding b) il carico mutazionale, cioè la comparsa di nuovi alleli sfavorevoli; esso dipende a sua volta dal tasso di mutazione Le implicazioni del carico genetico possono essere diverse in relazione all’ambiente, e quindi alla disponibilità di risorse. Si parla di hard selection e soft selection a proposito di fenomeni selettivi che, rispettivamente, possono ridurre, o non ridurre, le dimensioni della popolazione. Tipicamente, si ha hard selection quando le risorse sono scarse, e soft selection quando sono abbondanti. Proviamo a considerare un modello di selezione che determina un vantaggio per gli eterozigoti: Genotipo Fitness Dopo selezione Carico genetico AA 1–s p2 – p2 s p2 s Aa 1 2pq aa 1–t q2 – q2t q2 t Per s = t = 0.1, e p = q = 0.5 il carico genetico relativo al locus (A, a) è 0.050. I carichi genetici sono valori additivi; ciò significa che ad ogni generazione la popolazione, per effetto della selezione, si riduce del 5 % per effetto dei fenomeni a carico del locus studiato. Se però abbiamo ad es. 10 loci sotto pressione selettiva, e la disponibilità di risorse è assai limitata, il calcolo del carico genetico porterebbe a un valore tale per cui nel corso di una generazione si avrebbe una grave crisi demografica. Questo significa che la selezione a carico di molti loci è improbabile: gli studi sul carico genetico, quantità introdotta da Haldane, gettarono quindi le prime ombre sulla “onnipotenza” della selezione naturale. In pratica, la selezione può funzionare benissimo a livello di singoli loci, ma la sua azione non è altrettanto probabile se applicata a più loci (poiché comporta un accumulo del carico genetico). NOTE 24 SELEZIONE NATURALE: PUNTI CHIAVE ü La selezione naturale è l’insieme dei fattori che tendono a favorire o sfavorire un dato genotipo; l’efficienza riproduttiva di un genotipo è misurata dalla fitness ü Diversi modelli selettivi non mantengono il polimorfismo: selezione contro l’omozigote recessivo, contro l’omozigote dominante, selezione in assenza di dominanza, sottodominanza (equilibrio instabile) ü Vi sono modelli selettivi che consentono di mantenere il polimorfismo (sovradominanza, selezione dipendente dalla frequenza) ü Modello generale di selezione: l’allele associato alla fitness maggiore aumenterà la sua frequenza nelle generazioni ü Equilibrio selezione – mutazione: le frequenze di equilibrio sono correlate al tasso di mutazione e al coefficiente di selezione ü Teorema fondamentale: la fitness media di una popolazione tende ad aumentare; la selezione opera raggiungendo un compromesso ü Esistono meccanismi di selezione sessuale (scelta del partner) ü La variabilità è legata alla presenza di fenotipi non ottimali, quantificata come carico genetico (che dipende dal carico segregazionale e dal carico mutazionale) ü La selezione non opera efficacemente se consideriamo tanti loci 25 26 IL FLUSSO GENICO (a cura di Gamba Eleonora) DEFINIZIONE ED EFFETTI Si intende come FLUSSO GENICO ogni scambio genetico fra popolazioni: migrazione o dispersione dei gameti e dei propaguli, ed anche espansione di popolazioni in località precedentemente non occupate. Ovviamente affinché vi sia flusso genico non è sufficiente l’evento migrazionale: gli individui migranti devono anche riprodursi (importanza di Ne). L’effetto del flusso genico è quello di ridurre le differenze genetiche fra popolazioni ed aumentare il polimorfismo all’interno delle popolazioni. Consideriamo, ad esempio, diverse popolazioni all’interno di una certa area geografica e sottoponiamole all’effetto di: a) deriva genetica b) deriva genetica e flusso genico ed osserviamone l’evoluzione dopo molte generazioni (ad es. t = 40). Popolazioni iniziali: NOTE a) sotto deriva genetica: (dopo diverse generazioni di deriva genetica, gli alleli tendono a fissarsi in ciascuna località, con probabilità pari alla loro frequenza iniziale) b) sotto deriva genetica e flusso genico: Nel caso a) le frequenze alleliche più basse tenderanno a zero, quelle più alte invece tenderanno a crescere; si assiste quindi alla fissazione di un allele e alla perdita di altri. La deriva genetica infatti riduce la variabilità entro popolazioni ed aumenta quella tra le popolazioni. Nel caso b), invece, le popolazioni si scambiano geni in modo casuale e con il trascorrere del tempo (generazioni) la diversità fra popolazioni non tende ad aumentare. Questo esempio dimostra chiaramente che il flusso genico contrasta la deriva genetica, in quanto il primo porta le frequenze verso un unico valore di equilibrio. Per studiare l’effetto della migrazione analizziamo alcuni modelli: 1. modello di migrazione unidirezionale 2. modello ad isole di Wright 3. modello di isolamento per distanza (IBD isolation by distance) NOTE 28 MIGRAZIONE UNIDIREZIONALE Si parla di migrazione unidirezionale quando la migrazione avviene da una popolazione (A) ad un’altra (B), senza un’eguale migrazione nella direzione opposta. Si indica con m il tasso di migrazione ovvero la proporzione di individui che non discendono da genitori residenti, ma da immigrati dell’ultima generazione. m 1-m m Nella prossima generazione (1 – m) geni discenderanno dai residenti, mentre m geni discenderanno dai migranti. Assumendo la frequenza di un certo allele essere p0 e pin essere la media ponderata fra tutte le sub – popolazioni (o demi) da cui provengono gli immigrati (frequenza d’ingresso), nella generazione successiva la frequenza di quell’allele sarà p1 = (1 – m )p0 + mpin media ponderata = Σpini/N ove N = Σni La nuova frequenza allelica quindi è data dal prodotto della frequenza allelica originale (p0 ) per la parte di individui (in età riproduttiva) residenti (1 – m), al quale va aggiunto il prodotto degli individui immigrati (m) per la loro frequenza (pin ). Inoltre riordinando l’espressione si ottiene: p1 = p0 – m(p0 – pin ) che dimostra che la nuova frequenza allelica si ottiene sottraendo dalla frequenza allelica originaria (p0 ) il prodotto degli individui migrati (m) per la differenza delle frequenze alleliche tra i residenti ed i migrati (p0 -pin ). NOTE 29 MODELLO AD ISOLE DI WRIGHT In questo modello ci si immagina una grande popolazione, divisa in molte sottopopolazioni disperse geograficamente come le isole di un arcipelago (es. popolazioni lacustri di pesci d’acqua dolce). Si suppone che ciascuna sottopopolazione sia sufficientemente grande da rendere trascurabile la deriva genetica casuale. La migrazione avviene in maniera tale che gli individui migratori sono rappresentativi della popolazione per quanto riguarda le frequenze alleliche, cioè per un dato allele la sua frequenza dev’essere uguale a pM, cioè la frequenza allelica media. Il modello si basa su alcune assunzioni: a) le dimensioni delle popolazioni sono uguali e costanti; b) la migrazione è simmetrica; c) la struttura geografica è irrilevante: le probabilità di scambio genetico tra le diverse popolazioni sono identiche. p1 p5 m m m m p2 m m m m m p4 m p3 NOTE 30 I cerchi di diverso colore indicano diverse popolazioni, ciascuna delle quali avrà una propria frequenza allelica pi, e le frecce simmetriche rappresentano la simmetria della migrazione. La frequenza dell’allele al tempo 1 è: p’1 = (1 – m)p1 + mpM dove p1 è la frequenza dell’allele nella popolazione 1 al tempo 0, e pM è la frequenza media di tutte le popolazioni. La variazione della frequenza allelica al tempo 1, cioè dopo una generazione di scambi genetici, rispetto alla media è: ∆’ = p’1 – pM e sostitue ndo p’1 : ∆’ = (1 – m)p1 + mpM – pM = (1 – m)p1 – (1 – m)pM = (1 – m)(p1 – pM) la differenza ∆’ (al tempo 1) diminuisce per effetto del flusso genico. Al tempo 2, cioè alla seconda generazione ∆’’ = p1 ’’ – pM = (1 – m)2 (p1 – pM) e alla generazione t: ∆(t) = p1(t) – pM = (1 - m)t (p1 – pM) Quando t tende ad ad infinito ∆(t) à 0. NOTE Maggiore è la proporzione di individui migranti, maggiore sarà la riduzione di differenza tra le due frequenze alleliche, cioè maggiore sarà ∆. ∆ è 0 solo quando m (p1 – pM) è 0; quindi, fino a quando la migrazione non si interrompe (m = 0) la frequenza allelica continua a cambiare fino a quando raggiunge il medesimo valore nella popolazione locale ed in quella circostante (p1 – pM = 0). Ad esempio sono state prese in esame 5 sottopopolazioni con frequenze iniziali diverse, e tutte erano sottoposte ad un tasso di migrazione m = 0.5; nell’arco di circa 30 generazioni tutte le frequenze alleliche convergono verso lo stesso valore di equilibrio (0.5).In ascissa è rappresentato il tempo, in ordinata le frequenze alleliche; le frequenza all’equilibrio è pM. 31 Pt pM t 30 Prendiamo una popolazione che al tempo iniziale abbia i seguenti valori: p1 = 0.2, m = 0.1, pM = 0.5. Quale sarà la frequenza allelica dopo 10 generazioni? Essendo ∆(10) = p1 (10) – pM, allora p1 (10) = pM + (1 – m)10 (p1 – pM) = 0.5 + (0.9)10 (0.2 - 0.5) = 0.39 La frequenza allelica dopo t generazioni sarà: p1 (t) = pM + ∆(t) ∆(t) àa 0, quindi p1 (t) à pM L’equazione pt = pM + (p1 – pM)(1 – m)t è formalmente simile a quella riguardante la mutazione ma le implicazioni biologiche sono molto diverse; poiché i tassi di migrazione sono tipicamente molto più elevati di quelli di mutazione; i cambiamenti di frequenze alleliche sono perciò molto più veloci con la migrazione. NOTE 32 Applicazioni del modello ad isole Se la migrazione è in prevalenza unidirezionale, pM diventa la frequenza genica della popolazione da cui provengono gli immigrati. Noti pt, pM, p0 e t, si può stimare m. Ad esempio consideriamo il mescolamento razziale negli Stati Uniti d’America per quanto riguarda il gruppo sanguigno MN: Freq. M Neri, Africa Occ.=0,475 ð p0 ; Neri, Georgia=0,484 ð pt ; Bianchi, Georgia=0,507 ð pM. In questo caso la migrazione genetica avviene prevalentemente dai bianchi verso i neri, in quanto individui con antenati di razze miste venivano considerati neri. I neri sono arrivati dall’Africa circa 300 anni fa, quindi t corrisponde a circa 10 generazioni. pt = pM + (p0 – pM)(1 – m)t 0.484 = 0.507 + (0.474 - 0.507)(1 – m)10 (1 – m) = 0.965 m = 0.035 per generazione, ovvero il 3.5 % degli alleli del gene MN, per generazione, sono stati introdotti ex novo da parte dei bianchi per migrazione genetica. NOTE 33 Problemi del modello ad isole Confronto tra stime di m basate su diversi geni nella popolazione della Georgia: Locus MN Ss Duffy Kidd Kell G6PD βHb ð m stimato 0.035 – 0.013 0.011 – 0.028 – 0.005 0.039 0.71 (!) (!) (!) Questo esempio mostra un problema nella stima del mescolamento genetico a partire da frequenze alleliche: i valori positivi variano ampiamente ed i valori negativi non sono ammessi in questo modello. Questi dati contrastanti deriveranno da : a) b) c) d) errori nella stima di p0 ; fluttuazioni nel valore di pM; errori campionari in tutte le stime; diverse origini (non Africa occidentale o non Georgia) di individui dei due gruppi à “L’incoerenza delle analisi è dovuta per la maggior parte all’incertezza dell’origine degli americani neri e alla variabilità delle frequenze geniche delle aree dell’Africa occidentale ove si svolgeva il mercato degli schiavi. Inoltre, le frequenze geniche attuali sono cambiate dal loro valore originale a causa della deriva, o della selezione. Inoltre vi sono state ampie variazioni d’opportunità e tempo disponibile per il mescolamento” (Cavalli Sforza e Bodmer) Per effettuare una buona stima, si possono perseguire due vie: 1. effettuare la media tra molte stime 2. basare la stima sul gruppo sanguigno Duffy, in quanto l’allele Fya è assente in tutta l’Africa occidentale. Per questo gene la stima di m è circa l’1 % per generazione ed è in accordo con il valore medio di un gran numero di altri geni. NOTE 34 MODELLO DI ISOLAMENTO PER DISTANZA (IBD) Questo modello elimina il limite esistente nel modello ad isole: non è detto che popolazioni lontane abbiano la stessa probabilità di incrociarsi rispetto a popolazioni tra loro vicine. Il tasso di migrazione è definito proporzionale alle distanze geografiche fra popolazioni, e quindi possiamo scrivere la frequenza d’ingresso dei geni in funzione della distanza come: pin = f(d). Per misurare l’effetto congiunto della deriva e del flusso genico tra demi, si calcola la KINSHIP, cioè la somiglianza genetica, tra le popolazioni o demi i e j: ϕij = (pi – pM)(pj – pM) se ϕ è >0 significa che le popolazioni sono geneticamente simili e geograficamente vicine; se ϕ è <0 significa che i demi sono dissimili geneticamente e geograficamente lontani. Sotto IBD, ϕ diminuisce esponenzialmente all’aumentare della distanza tra demi. Per mettere in relazione gli scambi genetici tra demi si utilizza una matrice, la matrice di kinship. Consideriamo ad es. le seguenti frequenze di quattro demi (A, B, C, D): pA = 0.15 pB = 0.25 pC = 0.50 pD =0.70 pM = 0.40 Si applica la formula ed i risultati vengono messi nella matrice di kinship: ϕAB = (pA - pM)(pB - pM) = (0.15 - 0.4) (0.25 - 0.4) = (-0.25) (- 0.15) = 0.0375 (kinship tra i demi A e B) A B C D A 0.0625 0.0375 -0.025 -0.075 B C D 0.0255 -0.015 -0.045 0.0100 0.0300 0.0900 Considerando le distanze geografiche tra demi si può costruire anche una matrice di distanza geografica: D C A B A B C D A 10 20 40 B C D 15 30 15 - Ponendo i dati ottenuti con la prima matrice (ϕ) in funzione della distanza geografica (dati della seconda matrice) si ottiene un grafico con il seguente andamento: 35 ϕ d ϕ decresce esponenzialmente al crescere della distanza. L’equazione che descrive questa curva è chiamata equazione di MALÉCOT – MORTON: ϕ(d) = ae-db + L dove: a = ϕM (0), L = min (ϕ), b = coefficiente angolare Il tasso di migrazione è piccolo per popolazioni lontane e grande per popolazioni vicine: Popolazioni vicine ð m grande Popolazioni lontane ð m piccolo NOTE 36 Per misurare l’effetto congiunto di deriva e flusso genico Wright introdusse il parametro Nm (numero di migranti) , che è una grandezza correlata a ϕ. Se Nm <1, predomina la deriva genetica e le frequenze geniche divergono; se Nm >1, predomina il flusso genico e le frequenze geniche convergono. Se poniamo m in funzione della distanza, notiamo che m decresce esponenzialmente al crescere della distanza; possiamo dire lo stesso per il numero di geni scambiati in funzione della distanza genetica. La distanza corrispondente a 2 geni scambiati indica la soglia critica, al di sopra della quale vi è divergenza genetica, e al di sotto della quale vi è convergenza; con più di 2 geni scambiati vi è quindi convergenza tra le popolazioni. Numero di geni scambiati 2 d convergenza divergenza Limiti del modello IBD: a) i modelli finora considerati si basano sulla panmissia, ovvero non tengono conto dell’esistenza di barriere, più o meno evidenti (come ad es. barriere geografiche, culturali, linguistiche, ecc.) b) il flusso genico può non essere simmetrico c) le stime di Nm si riferiscono in genere all’ultima generazione, cioè non hanno profondità temporale 37 FLUSSO GENICO: PUNTI CHIAVE ü Flusso genico = scambio genetico tra popolazioni; ü Effetti: riduce le differenze genetiche tra popolazioni, ed aumenta il polimorfismo all’interno delle popolazioni à effetto contrario alla deriva; ü Modello ad isole: le relazioni geografiche tra demi vengono ignorate; ü Modello ad isolamento per distanza: importanza delle relazioni geografiche; m è proporzionale alla distanza geografica; kinship = indice di somiglianza genetica; ü Nm di Wright: misura l’effetto congiunto di deriva e flusso genico; se Nm < 1 prevale la deriva; se Nm > 1 prevale il flusso genico 38 BIBLIOGRAFIA Per la realizzazione di queste dispense sono stati utilizzati i seguenti testi: D.L. Hartl, A. g. Clark D.L. Hartl, A. g. Clark F.J. Ayala GENETICA DI POPOLAZIONE (ed. Zanichelli) PRINCIPLES OF POPULATION GENETICS (ed. Sinauer) POPULATION AND EVOLUTIONARY GENETICS: A PRIMER Di seguito vengono riportati alcuni siti utili riguardanti la selezione naturale ed il flusso genico, ad anche più in generale le varie teorie sull’evoluzione: http://www.darwinia.com/ http://www.evolutionary.org/ http://www.theory-of-evolution.org/ http://www.channon.net/alastair/ http://darwin.eeb.uconn.edu/simulations/selection.html http://www.sscf.ucsb.edu/~hagen/crania/ http://www.sci.sdsu.edu/class/bio202/MSimpson/sele/ http://www.sc.edu/library/spcoll/nathist/darwin/darwin.html http://www.geocities.com/Athens/Acropolis/5579/TA.html http://www.infidels.org/library/historical/charles_darwin/origin_of_species/ http://www.oise.utoronto.ca/~rmacdonald/evolution/ http://www.nene.ac.uk/aps/env/dm/frame1.htm 39 INDICE LA SELEZIONE NATURALE (a cura di Venturoli Lorenzo) IL CONCETTO DI FITNESS DARWINIANA Selezione naturale e variabilità 2 3 4 MODELLI DI SELEZIONE NATURALE 5 1. Selezione contro l’omozigote recessivo Letali recessivi 5 7 2. Selezione contro l’allele dominante 3. Selezione in assenza di dominanza 4. Vantaggio dell’eterozigote (sovradominanza) 5. Selezione contro gli eterozigoti (sottodominanza) 6. Selezione dipendente dalla frequenza Sintesi dei modelli di selezione 7. Modello generale di selezione naturale 8 10 11 14 16 17 18 SELEZIONE E MUTAZIONE IL TEOREMA FONDAMENTALE DELLA SELEZIONE NATURALE SELEZIONE SESSUALE IL CONCETTO DI CARICO GENETICO 19 22 23 24 Selezione naturale: punti chiave 25 IL FLUSSO GENICO (a cura di Gamba Eleonora) DEFINIZIONE ED EFFET TI MIGRAZIONE UNIDIREZIONALE MODELLO AD ISOLE DI WRIGHT 26 26 28 19 Applicazioni del modello ad isole Problemi del modello ad isole 32 33 MODELLO DI ISOLAMENTO PER DISTANZA (IBD) Limiti del modello IBD 34 36 Flusso genico: punti chiave 37 BIBLIOGRAFIA INDICE 38 39 40