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La disciplina dell`esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società

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La disciplina dell`esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società
La disciplina dell’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate alla
luce dell’art. 7 della Direttiva 36/2007/CE
1. Premessa. - Con Direttiva 36/2007/CE dell’11 luglio 2007 relativa
“all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate”, il legislatore
comunitario ha introdotto una disciplina finalizzata a realizzare il rafforzamento della
partecipazione assembleare degli azionisti di società che hanno sede in uno Stato
membro e le cui azioni siano ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato
situato od operante in uno Stato membro (art. 1) 1 .
L’intervento legislativo, che in questa sede viene in specifico rilievo sotto il
profilo del regime dettato per l’esercizio del diritto di voto, aspira ad una
regolamentazione minima, ma di ampia portata e coinvolge, in sintesi, i temi
dell’informazione preassembleare (art. 5); delle modalità di esercizio del diritto di voto,
ammesso anche in via elettronica e per corrispondenza (artt. 8 e 12); della previsione dei
diritti degli azionisti di inserire nuovi punti all’ordine del giorno e di presentare
eventuali proposte di deliberazioni (art. 6); dell’esercizio del voto per delega,
prevedendosi l’abrogazione dei limiti al conferimento della delega e la necessità di
prevenire eventuali conflitti di interesse (artt. 10 e 11); dei requisiti per l’esercizio
fiduciario del voto (art. 13); della rendicontazione e della pubblicazione dei risultati
della votazione (art. 14). Ciascuna delle prerogative riconosciute agli azionisti è
esercitabile attraverso mezzi di comunicazione a distanza, al fine di garantire
l’effettività dei diritti partecipativi e l’esercizio transfrontaliero del diritto di voto 2 .
Senza entrare nel dettaglio delle previsioni citate, si precisa solo come molte
delle disposizioni dettate dal legislatore comunitario dovranno costituire oggetto di
specifico adeguamento nell’ordinamento italiano, mentre, rispetto ad altre, la normativa
vigente ha già fatto propri alcuni dei principi enunciati dalla Direttiva 36/2007/CE in
tema di procedimento assembleare.
Si segnala, ad esempio, che, conformemente a quanto previsto nel testo
comunitario agli artt. 8 e 12, il voto esercitato per corrispondenza e attraverso mezzi
elettronici è attualmente disciplinato all’art. 2370, comma 4, c.c. 3 e, per le società
quotate, è ulteriormente regolato dal Regolamento Emittenti agli artt. 139 ss., mentre il
diritto degli azionisti di inserire punti all’ordine del giorno di cui all’art. 6 della
Direttiva 36/2007/CE è già previsto all’art. 126 – bis del T.U.F.
Il legislatore comunitario offre, invece, una disciplina dettagliata in tema di
informazione preassembleare, di discussione nell’adunanza e di esercizio del voto.
Per quanto riguarda, ancora ad esempio, la convocazione dell’assemblea, ne
prevede i termini 4 , il contenuto e le modalità di emissione. In particolare, in ordine alla
1
La Direttiva abilita gli Stati membri all’esclusione dell’applicazione della disciplina alle società
cooperative ed agli organismi di investimento collettivo del risparmio di cui all’art. 1, comma 3. Si
segnala tuttavia l’opportunità di applicare le disposizioni anche alle cooperative quotate, quali le banche
popolari, per permettere l’incentivazione della partecipazione assembleare.
2
Individuano nella parità di trattamento degli azionisti residenti in Stati diversi (art. 4 della Direttiva) uno
dei principi ispiratori della disciplina comunitaria N. ABRIANI e D.U. SANTUOSOSSO, La Direttiva
relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate ed il ruolo degli investitori
istituzionali nella democrazia azionaria del terzo millennio, in RDS, 2007, 141.
3
Analizza i limiti e le potenzialità dell’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito assembleare: S.
TURELLI, Assemblea di società per azioni e nuove tecnologie, in Riv. soc., 2004, 116 ss.; cfr. anche A.
SERRA, Il procedimento assembleare, in Il nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B.
Portale, vol. II, Torino, 2007, 71 ss.
4
Tra la data dell’avviso di convocazione e quella dell’assemblea in prima convocazione debbono
intercorrere non meno di 21 giorni (art. 5, comma 1); il termine è ridotto a 14 giorni se l’assemblea ha ad
oggetto l’approvazione del bilancio. Se l’assemblea in prima convocazione è andata deserta il termine per
1
pubblicità della convocazione, la Direttiva, pur facendo salve le modalità previste dagli
ordinamenti interni per la comunicazione o notificazione, obbliga altresì lo Stato in cui
ha sede la società ad utilizzare mezzi di comunicazione che possano ragionevolmente
garantire un’effettiva diffusione delle informazioni in tutta la Comunità. Ciò vale a
dover riconsiderare il dettato dell’art. 2366, comma 3, c.c. nella parte in cui esclude che
gli statuti delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio possano
diversamente regolare la pubblicità della convocazione, e di conseguenza pensare ad
estendere il campo di applicazione dell’art. 2370, ultimo comma, c.c. al fine di rendere
applicabile l’utilizzo dei mezzi di telecomunicazione anche alla convocazione 5 .
La Direttiva disciplina poi, in certa misura, il momento del dibattito
assembleare, che, al contrario, non è oggetto di specifica considerazione
nell’ordinamento italiano 6 , e pare altresì orientata a garantire il rafforzamento del
principio di collegialità, rendendolo compatibile con l’esercizio a distanza dei diritti
partecipativi. A norma dell’art. 9, anche la previsione del diritto degli azionisti di porre
domande, nel corso della discussione, relative ai punti inseriti all’ordine del giorno è
attuabile in via elettronica.
Nell’ambito dell’intervento comunitario particolare rilevanza assumono le
disposizioni relative all’esercizio del voto per delega (artt. 10 e 11), in quanto destinate
a modificare in modo determinante la disciplina attualmente vigente all’art. 2372 c.c.,
per ciò che riguarda l’eliminazione dei limiti soggettivi e quantitativi al conferimento
della delega nelle società quotate.
In questo quadro, solo descrittivo, si inserisce la disciplina dettata all’art. 7, in
ordine all’esercizio del diritto di voto nelle società le cui azioni siano negoziate nei
mercati regolamentati.
Il terzo Considerando della Direttiva precisa a riguardo che “gli ostacoli che
dissuadono gli azionisti dal votare, come il fatto di subordinare l’esercizio dei diritti di
voto al blocco delle azioni per un certo periodo precedente l’assemblea, dovrebbero
essere eliminati”. Nell’ottica ora enunciata, l’art. 7 dispone, con formulazione articolata,
che, “salvo che le società siano in grado di desumere nomi ed indirizzi degli azionisti
da un registro aggiornato alla data dell’assemblea”, gli Stati membri debbono
provvedere “affinché i diritti di un azionista a partecipare all’assemblea e di votare, in
funzione delle sue azioni, siano determinati dalle azioni detenute da tale azionista a una
determinata data precedente l’assemblea (data di registrazione)” e prevede anche che
“i diritti di un azionista di vendere o trasferire in altro modo le sue azioni durante il
periodo che intercorre tra la data di registrazione e l’assemblea cui questa si riferisce
non siano soggetti ad alcuna limitazione a cui non sono soggetti in altri momenti” 7 .
Il legislatore comunitario non si occupa, invece, di armonizzare la data di
registrazione, ma dispone solo che la stessa non possa precedere di più di trenta giorni
la convocazione successiva è di 10 giorni se l’ordine del giorno è il medesimo. Parrebbe che a tal
proposito la disciplina italiana possa rimanere immutata, prevedendo già, con D.M. 437/1998, che
l’intervallo temporale minimo fra la data di pubblicazione dell’avviso di convocazione e quella
dell’assemblea per le società quotate sia di 30 giorni.
5
Anticipava questa soluzione per le società quotate TURELLI, op. cit., 141.
6
Il tema viene in rilievo nell’ordinamento italiano all’art. 2374 c.c. sotto forma di facoltà per i soci che
rappresentino il terzo del capitale rappresentato in assemblea di chiederne il rinvio a non oltre cinque
giorni, quale garanzia del diritto di informazione.
7
L’art. 7 precisa altresì che il diritto di partecipare personalmente all’assemblea non può essere limitato
imponendo l’obbligo di trasferire, depositare o registrare le azioni a nome di altra persona fisica o
giuridica. Una volta che sia stata effettuata la registrazione, la partecipazione all’assemblea può essere
soggetta solo ai requisiti necessari per l’identificazione dell’azionista; il che, evidentemente, nel caso in
cui il voto sia esercitato in via elettronica, come riconosciuto ed incentivato dalla Direttiva, impone alle
discipline nazionali di dover individuare secondo quale meccanismo tecnico si renda possibile tale
identificazione.
2
quella della assemblea e che, fra l’ultima data utile per la convocazione e la data di
registrazione, non possano intercorrere meno di otto giorni 8 .
La disciplina dettata in sede comunitaria in tema di esercizio del diritto di voto,
oltre ad avere effettiva portata innovatrice rispetto alla normativa vigente
nell’ordinamento italiano, costituisce probabilmente il principale strumento
interpretativo del complessivo intervento del legislatore comunitario.
Emerge difatti che la valorizzazione della posizione dell’azionista di società
quotate, non come investitore, ma uti socius, cui la Direttiva parrebbe tendere, è,
verosimilmente, solo apparente 9 .
La disposizione in esame introduce il principio in base al quale colui che si
legittima a partecipare all’assemblea e a votare non perde la legittimazione in caso di
trasferimento della propria partecipazione e, d’altra parte, l’acquirente delle azioni a
sua volta non l’acquista per effetto del trasferimento. In base alla previsione
dell’esercizio del diritto di voto secondo il meccanismo ora enunciato, il rafforzamento
dei diritti partecipativi parrebbe allora assumere specifica rilevanza come strumento per
l’incentivazione del voto inteso come “fatto collettivo” 10 .
La regola (cd. record date) che attribuisce la legittimazione all’esercizio del
diritto di voto a chi non è più socio, come del resto l’ampliamento del ricorso alle
deleghe di voto, rappresentano i fattori che pongono in dubbio la possibilità di
individuare nella realizzazione della democrazia azionaria il profilo interpretativo più
corretto delle disposizioni comunitarie 11 . In primis, l’eliminazione dei vincoli
soggettivi al conferimento della delega, che, come si è detto, rende ammissibile per gli
amministratori la raccolta delle deleghe, parrebbe orientare alla creazione di un modello
societario maggiormente ispirato alle esigenze della contendibilità del controllo (anche
attraverso il sistema di proxy fights 12 ). In tal senso, la possibilità di raccogliere i voti dei
piccoli azionisti si presenta come un mezzo di per sé idoneo, piuttosto che a consentire
la gestione della partecipazione singolarmente intesa, al rafforzamento delle posizioni
proprietarie 13 .
Al di là di queste considerazioni ed in vista del prossimo recepimento delle
disposizioni della Direttiva 36/2007/CE nell’ordinamento interno, la regola di cui
all’art. 7 comporta la necessità di precisare alcuni rilevanti profili.
In primo luogo deve verificarsi la possibilità di escludere l’operatività della
record date, secondo quanto disposto dalla stessa norma comunitaria al comma
secondo, mediante l’utilizzazione di un registro aggiornato alla data dell’assemblea da
8
La Direttiva specifica, tuttavia, che gli Stati devono adottare un’unica data di registrazione
eventualmente prevedendo termini diversi nel caso in cui le azioni siano al portatore o nominative, a
condizione che, alle società che abbiano emesso azioni di entrambe le categorie, si applichi un’unica data
di registrazione (art. 7, comma 3). La precisazione comporta che l’individuazione del termine per la
registrazione non possa essere affidata all’autonomia statutaria, ma necessariamente al legislatore interno.
9
Sottolinea più in generale questa prospettiva nell’ambito delle assemblee di società quotate: B.
LIBONATI, Il ruolo dell’assemblea nel rapporto tra azionisti e società quotate, in Riv. soc., 2001, 98.
10
Accoglie questa prospettiva in ordine al voto nelle società quotate R. PERNA, Public company e
democrazia societaria, Bologna, 1998, 210.
11
Cfr. in termini ABRIANI e SANTOSUOSSO, op. cit., 141 ss.
12
Analizza l’efficienza della gara per la raccolta delle deleghe per il conseguimento della contendibilità
del controllo, segnalando come il voto per delega può in realtà produrre l’effetto di stabilizzazione del
mercato: PERNA, op. cit., 191 ss. Sottolinea il superamento del sistema di proxy fights in Italia
LIBONATI, op. loc. ult. cit.
13
E’ quanto correttamente individuato nel Suo studio da PERNA, op. cit., passim e part. 36 in cui precisa
che “la questione del voto per delega deve innanzitutto essere depurata dalle scorie della retorica della
tutela del piccolo azionista nella quale è stata troppo a lungo collocata. La prospettiva corretta è invece
quella del miglioramento degli strumenti di governo delle imprese e dei meccanismi del mercato del
controllo societario”.
3
cui risultino i nomi e gli indirizzi degli azionisti. Se, come si ritiene, il libro dei soci,
secondo la disciplina dettata dall’ordinamento italiano, non è idoneo ad assolvere alla
funzione informativa precisata dalla Direttiva, si è portati inoltre ad escludere che il
legislatore italiano possa disporre la costituzione (ex novo) di un registro destinato a
realizzare il “censimento” degli azionisti, privando la partecipazione in società quotate
della caratteristica dell’anonimato.
Verificata ed esclusa tale condizione preliminare, dalla norma comunitaria
deriva allora, sul piano positivo, la necessità di adeguare la disciplina attualmente
vigente in tema di esercizio del diritto di voto, almeno per ciò che riguarda le società
quotate e, in ipotesi, potrà considerarsi se ammettere il ricorso al medesimo criterio di
legittimazione anche per le società per azioni chiuse. Il dettato dell’art. 2370 c.c. dovrà
essere modificato prevedendosi, quale unica modalità di legittimazione per gli azionisti
di società quotate, la record date, precisandone le modalità di attuazione ed i termini
della registrazione. La norma dovrà altresì specificare se la record date costituisca
un’eccezione riguardante le sole società quotate, ovvero possa prevedersi come
alternativa ai diversi sistemi di legittimazione anche nelle società per azioni chiuse.
Il principio enunciato dall’art. 7 è poi destinato ad avere rilevanti conseguenze
d’ordine sistematico: sul piano ricostruttivo dovrà verificarsi se la regola che attribuisce
il diritto di votare ad un soggetto diverso da chi è socio al momento della deliberazione
incida sul principio di inscindibilità delle azioni; sul piano applicativo potranno
accertarsi quali siano le ricadute della regola di legittimazione al voto in ordine
all’esercizio dei diritti che ineriscono o conseguono l’adozione della deliberazione e,
segnatamente, rispetto all’esercizio del diritto di impugnare la deliberazione annullabile
e del diritto di recesso.
E’, difatti, per effetto della ricostruzione sistematica della disciplina
dell’esercizio dei diritti sociali che è possibile stabilire se la regola di legittimazione
indicata all’art. 7 della Direttiva 36/2007/CE possa dirsi effettivamente agevolare la
partecipazione assembleare, coerentemente con le esigenze segnalate dal legislatore
comunitario, ovvero, al contrario, non ne costituisca di fatto un deterrente 14 .
Tenendo ferme queste considerazioni preliminari, sarà perciò utile verificare se
l’esercizio del voto da parte del precedente possessore delle azioni, come disposto dalla
Direttiva, possa costituire, per l’azionista che abbia acquistato la partecipazione fra la
data di registrazione e la data dell’assemblea, un limite giuridico, o anche solo
economico, ad ottenere il disinvestimento attraverso l’esercizio del diritto di recesso.
Se la regola portata dall’art. 7 pare coerente con l’interesse dei piccoli
investitori, anche professionali, alla reversibilità dell’investimento ed al conseguimento
del plusvalore che ne deriva - proprio perché l’esercizio del voto non costituisce, in base
a detta norma, un vincolo al trasferimento delle azioni anche prima dell’assemblea -,
tuttavia, la stessa possibilità di mobilizzare la partecipazione fra la data di registrazione
e quella dell’assemblea è a sua volta subordinata alla possibilità che dal voto espresso
dall’ex socio non derivi, in ipotesi, un ostacolo al disinvestimento per il nuovo azionista
e, quindi, un impedimento alla facoltà per lo stesso di recedere dalla società.
La predisposizione di procedure idonee a consentire l’esercizio a distanza del
voto, la garanzia del rafforzamento dei diritti partecipativi degli azionisti e
dell’informativa preassembleare, come disciplinate dalla Direttiva 36/2007/CE,
risulteranno quindi effettivamente funzionali alla partecipazione degli azionisti solo in
14
Sottolinea tale eventualità PERNA, op. cit., passim e part. 225: “Una cattiva regolazione delle modalità
di esercizio dei propri diritti può costituire un fattore di deterrenza per gli azionisti”.
4
quanto si sia in grado di escludere che l’esercizio del diritto di voto si risolva, in
definitiva, in un costo per l’azionista investitore 15 .
Sulla base di queste considerazioni e di quelle che seguiranno è dunque
opportuno prevedere che il socio che abbia acquistato la partecipazione fra la data di
registrazione e la data dell’assemblea, e che pertanto non abbia concorso all’adozione
della deliberazione, possa esercitare il diritto di recesso, anche qualora il precedente
possessore della partecipazione abbia espresso voto favorevole all’adozione della
deliberazione.
2. L’ipotesi escludente la regola dell’art. 7 Direttiva 36/2007/CE. - Rilevato che
il recepimento dell’art. 7 della Direttiva 36/2007/CE richiede all’ordinamento italiano
un intervento di riforma delle norme di rango primario e, quanto meno, la precisazione
dei principi vigenti in tema di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali nelle società
quotate, può domandarsi se la strada che il legislatore interno può percorrere non possa
essere più breve.
La questione, come già anticipato, riguarda la facoltà prevista dalla Direttiva di
escludere l’operatività della regola di cui all’art. 7, facendo salve le disposizioni degli
ordinamenti interni degli Stati se “le società sono in grado di desumere nomi ed
indirizzi degli azionisti da un registro aggiornato alla data dell’assemblea”.
Può chiedersi, quindi, se nel nostro ordinamento è possibile rinvenire un
meccanismo del genere e se, nella specie, l’iscrizione nel libro dei soci è in grado di
assolvere alle funzioni sopra precisate.
L’argomento tiene conto della disciplina vigente in ordine alla funzione del libro
dei soci, con particolare riguardo alle società emittenti titoli dematerializzati. In
proposito il comma 5° dell’art. 2355 c.c. precisa che, in presenza di azioni
dematerializzate, “il trasferimento si opera mediante scritturazione sui conti destinati a
registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni sono
nominative, si applica il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale a girata”.
Pertanto, rispetto all’esercizio dei diritti sociali, valgono le medesime regole delle azioni
rappresentate da titoli nominativi, ovvero “il giratario che si dimostra possessore in base
ad una serie continua di girate ha diritto di ottenere l’annotazione del trasferimento nel
libro dei soci, ed è comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali; resta salvo
l’obbligo della società, previsto dalle leggi speciali, di aggiornare il libro dei soci” (art.
2355, comma terzo, c.c.).
Il quadro normativo circa la funzione del libro dei soci nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio si completa nelle disposizioni del T.U.F. e del
Regolamento Consob, in base alle quali è previsto l’obbligo per l’intermediario di
comunicare all’emittente i nominativi dei soggetti che hanno diritto a percepire i
dividendi (art. 89, comma 1, T.U.F.) e, per l’emittente, di mantenerne apposita evidenza
(art. 35, comma 5, Reg. Consob) 16 , secondo quanto precisato dalla Consob con
comunicazione n. DME/1019924 del 16 marzo 2001 17 , attraverso l’annotazione nel
libro dei soci.
15
L’impostazione è coerente con la tipizzazione delle società quotate e con le esigenze della
dematerializzazione, così come precisato da LIBONATI, op. cit., 99 il quale rileva come “la vera tutela
per il singolo azionista sia oggi nell’exit piuttosto che nella voice”.
16
Cfr. in tema G. MINERVINI, Azioni dematerializzate e libro dei soci nel codice civile rinnovato, in
Banca borsa tit. credito, 2005, I, 1 ss. L’Autore fra l’altro rileva le lacune della disciplina del
Regolamento Consob che non distingue fra strumenti finanziari rappresentati da titoli e dematerializzati
(p. 7).
17
Pubblicata in Consob Informa, 2001, 19 marzo 2001, n.12
5
Ciò premesso, la questione che qui interessa non attiene al tema, più noto, della
portata legittimante dell’iscrizione nel libro dei soci 18 , ma riguarda la possibilità di
rinvenire in questo strumento le caratteristiche di “registro aggiornato alla data
dell’assemblea”, come richieste nella Direttiva 36/2007/CE.
Sebbene, con particolare riferimento al diritto di accesso dei soci alle evidenze
relative alle certificazioni di partecipazione alla assemblea, la Consob abbia affermato la
valenza informativa del libro dei soci, in quanto “consente all’azionista di accertare
direttamente l’identità degli altri soci e le caratteristiche dei loro possessi, al fine di
stabilire con essi gli opportuni contatti” 19 , da parte della dottrina si è più correttamente
precisato che il libro dei soci è inidoneo a fornire una rilevazione aggiornata dei titolari
delle azioni 20 . E ciò in quanto da una parte gli azionisti sono attualmente legittimati ad
esercitare tutti i diritti sociali a prescindere dall’iscrizione nel libro dei soci 21 , dall’altra
l’aggiornamento del libro dei soci avviene verosimilmente con cadenza annuale, dopo
che e solo se i diritti stessi siano stati esercitati (ad esempio per effetto dell’annotazione
dei percettori dei dividendi, ovvero successivamente allo svolgimento delle assemblee,
ai sensi dell’art. 2355, comma 3, c.c.).
Ciò posto, pare potersi affermare con ragionevole convinzione che l’iscrizione
nel libro dei soci, così come regolata dall’ordinamento, non rappresenti uno strumento
di cui gli azionisti possono servirsi, ai fini indicati dalla Direttiva 36/2007/CE, per
raggiungere un’adeguata informazione nella fase che precede l’assemblea ed “acquisire
elementi di valutazione preventiva sulla condotta da assumere e sul voto da esprimere in
sede assembleare” 22 .
Detta funzione potrebbe essere conseguita dal libro dei soci solo se, in occasione
della scritturazione in conto che registra il trasferimento delle partecipazioni, si
18
Per detta questione e riguardo alla evoluzione delle opinioni dottrinarie si ricordano, fra gli altri, S.
GATTI, L’iscrizione nel libro dei soci, Milano, 1969; B. LIBONATI, I titoli di credito nominativi,
Milano, 1965 ; M. LIBERTINI, Osservazioni sul valore giuridico del “transfert”nella circolazione delle
azioni di società, in Riv. soc., 1966, 785; G.FERRI, Le azioni sono ormai titoli all’ordine?, in Riv. dir.
comm., 1963, I, 56 ss.; C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione azionaria, in Trattato delle
società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, II, Torino, 1991, 101 ss. e part. 262 ss. e, a
seguito della riforma delle società di capitali, S. GATTI, La disciplina della circolazione delle
partecipazioni sociali secondo il d.lgs. n. 6 del 2003, in Riv. dir. comm., 2003, 23; A. DENTAMARO,
sub art. 2355, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O.
Cagnasso, P. Montalenti, Bologna-Roma, 2004, 360 ss.; PAVONE LA ROSA, Circolazione delle azioni e
legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, in Banca borsa tit. credito, 2003, I, 256.
19
Comunicazione n. DM/99008319 dell’8 febbraio 1999, consultabile al sito www.consob.it.
20
Cfr.: MINERVINI, op. cit., p. 10.
21
Diverse erano le posizioni della dottrina, a seguito della riforma attuata con L. 1745/1962. Un primo
orientamento, facente capo a FERRI, op .cit., 56 ss. escludeva la portata legittimante dell’iscrizione nel
libro dei soci, in base al disposto dell’art. 4 della L. 1745/1962, ai sensi del quale il giratario che si
dimostri possessore in base ad una serie continua di girate ha il diritto al pagamento degli utili ed
all’intervento in assemblea, constatando che i titoli azionari debbono considerarsi ormai come titoli
all’ordine. Differente la posizione riconducibile a LIBONATI, op .ult. cit., 94 ss., per il quale il regime
della nominatività risulterebbe, al contrario, aggravato in conseguenza delle nuove disposizioni
normative, posto che l’iscrizione diventa un vero e proprio obbligo per la società. In tal senso anche A.
DALMARTELLO, La società di fronte alla circolazione delle proprie azioni, in Riv. soc., 1965, 22 ss.
Critico di fronte ad entrambe le posizioni GATTI, L’iscrizione, cit., 171. Cfr. in tema anche G.
MARASA’, Legittimazione dell’azionista ed iscrizione nel libro dei soci, in Riv. dir. civ., 1975, II, 37.
Attualmente, in base alla formulazione dell’art. 2355, comma 3, c.c. il giratario che si dimostri possessore
in base ad una serie continua di girate è legittimato all’esercizio di tutti i diritti sociali.
22
Così MINERVINI, op. cit., p. 8.
6
prevedesse un contestuale meccanismo di annotazione sul libro da parte
dell’emittente 23 , anche attraverso un collegamento telematico a ciò finalizzato.
Osta, ad ogni modo, a questa ipotetica “anagrafe” delle partecipazioni sociali, la
stessa natura di libro cartaceo del libro dei soci, oltre, si ritiene, le ragioni che nel corso
del tempo hanno progressivamente determinato il legislatore a precisarne l’inidoneità a
svolgere una funzione legittimante 24 . Ciò non senza considerare che dalla necessità di
mantenere in evidenza i nominativi degli azionisti deriverebbero il venir meno
dell’anonimato e la stessa negazione del significato finanziario della partecipazione in
società quotate 25 , con il risultato, paradossale, che detti elementi verrebbero ad essere
maggiormente valorizzati nei modelli della società per azioni chiusa e, in certo senso,
anche della società a responsabilità limitata.
3. La prospettiva del recepimento: il diritto interno. – Esclusa la possibilità di
ricorrere all’utilizzazione di un registro in base al quale identificare l’intera compagine
sociale, diviene preliminare verificare (e, possibilmente, offrire al riguardo un
contributo interpretativo) in qual modo la disposizione, che all’art. 7 della Direttiva
regola l’esercizio del diritto di voto, si inserisca nel quadro articolato dell’ordinamento
italiano, cambiando radicalmente alcune prospettive.
3.1. Disciplina dell’esercizio del diritto di intervento e voto in assemblea:
l’ordinamento interno.- La disciplina dettata all’art. 7 si colloca in un quadro normativo
già innovato dal legislatore interno. In particolare, a seguito della riforma delle società
di capitali è stato abrogato, in relazione all’esercizio del diritto di intervento e di voto
del socio, l’obbligo di deposito dei titoli azionari nei cinque giorni precedenti la data
dell’assemblea, così come era stabilito precedentemente dall’art. 4, ultimo comma, L.
1745/62 che, al deposito, collegava anche l’obbligo per il depositante di non disporre
delle azioni prima della data dell’assemblea.
L’attuale formulazione dell’art. 2370 c.c. distingue un regime dispositivo, per il
quale gli azionisti sono legittimati all’esercizio del diritto di intervento e di voto in base
alle regole derivanti dalla tecnica rappresentativa delle azioni stesse, ed un regime
statutario, per cui può essere previsto il preventivo deposito delle azioni o della relativa
certificazione presso la sede sociale o presso le banche indicate nell’avviso di
convocazione, eventualmente disponendosi che le azioni stesse non possano essere
ritirate prima che l’assemblea abbia avuto luogo (cd. blocco delle azioni).
Rispetto alla disciplina dell’esercizio del diritto di voto nelle società emittenti
titoli quotati, il panorama normativo risulta ben più articolato.
A norma dell’art. 2370 c.c. il deposito degli strumenti finanziari, eventualmente
richiesto dallo statuto delle società quotate, non può avvenire prima di due giorni
precedenti la data dell’assemblea e, tecnicamente, è sostituito da una comunicazione
dell’intermediario che tiene i relativi conti.
23
Individuava già tale possibilità, ma ai fini di assicurare la compatibilità fra la gestione accentrata e la
disciplina societaria, M. CIAN, Strumenti finanziari dematerializzati, diritto cartolare e diritto societario,
in Banca borsa tit. credito, 2005, I, p. 29.
24
Cfr. fra gli altri PAVONE LA ROSA, op. cit., 256
25
Della tipicità delle società quotate tratta LIBONATI, Il ruolo dell’assemblea, cit., 98 ss.: “Risultano
centrali, al riguardo, il valore dirompente della mobilizzazione della ricchezza realizzata dalla disciplina
degli strumenti finanziari e la varietà degli investimenti che l’arricchimento del mercato offre. Le due
prospettive trasformano obiettivamente il vecchio modello della partecipazione a società di capitali in
qualcosa nella quale il fatto dell’investimento è prioritario e contemporaneamente assorbente di altre
istanze”.
7
Alla nuova formulazione dell’art. 2370 c.c. non è tuttavia seguito l’adeguamento
delle normative speciali in tema di gestione accentrata e dematerializzazione 26 . In
particolare l’art. 85 del TUF prevede ancora che “la legittimazione all’esercizio dei
diritti …è attribuita dall’esibizione delle certificazioni attestanti la partecipazione al
sistema, rilasciate in conformità alle proprie scritture contabili e recanti l’individuazione
del diritto sociale esercitabile”, con ciò disponendo un unico criterio di legittimazione
per le diverse prerogative sociali. Non è stato parimenti abrogato l’art. 31 D. lgs.
213/98, ai sensi del quale l’intermediario rilascia all’interessato certificazione non
trasferibile quando necessaria per l’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari
ed il deposito della certificazione sostituisce ad ogni effetto di legge il deposito del
titolo previsto dalle norme vigenti.
In considerazione della scarsa chiarezza delle predette disposizioni 27 , laddove,
da una parte, si prevede ancora il deposito delle certificazioni e, dall’altra, non si
specifica quando la certificazione è richiesta per l’esercizio dei diritti sociali, è
intervenuta la normativa di rango secondario con la disciplina dettata all’art. 34 – bis del
Regolamento Consob, come modificato dalla delibera della Commissione del
23.3.2005, in base al quale è chiarito che la comunicazione tiene luogo del deposito
quando statutariamente previsto o della presentazione della certificazione per la
partecipazione all’assemblea. Nella nota accompagnatoria la Commissione ha poi
precisato che la comunicazione sostituisce la certificazione per l’intervento in
assemblea, mentre la certificazione conserva la funzione legittimante, ai sensi dell’art.
34 del Regolamento, per l’esercizio di tutti gli altri diritti 28 .
Se questa è la disciplina positiva vigente in tema di esercizio del diritto di voto,
v’è da dire che le disposizioni dell’art. 7 della Direttiva non rappresentano un’assoluta
novità, ma si inseriscono in un dibattito già avviato a seguito della riforma delle società
di capitali.
All’esito della riforma la dottrina segnalava, difatti, la possibilità di una lettura
della norma compatibile con la record date 29 . Con ciò, secondo questa linea
interpretativa, l’art. 2370 c.c. vigente fornisce, anche allo stato attuale ed in base alla
previsione del blocco delle azioni solo in via eventuale, tre possibili criteri di
legittimazione all’esercizio del diritto di voto nelle società chiuse: una prima ipotesi,
conforme al regime previgente, consiste nell’obbligo di depositare le azioni ad una certa
data precedente l’assemblea con conseguente blocco dei titoli; una seconda ipotesi è
rappresentata dal deposito delle azioni senza blocco, ma con l’onere di non disporne
fino alla data dell’assemblea; infine, una terza possibilità ammette la facoltà di
prevedere nello statuto una regola di legittimazione al voto che obblighi il socio al
deposito delle azioni senza blocco e, dunque, con facoltà di trasferimento dei titoli.
26
Cfr. in argomento: R. LENER, Legittimazione all’intervento in assemblea in società quotate, in Il
nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, vol. II, Torino, 2007, 79 ss.; F.
BRIOLINI, Partecipazione al sistema di gestione accentrata, “comunicazione dell’intermediario”,
intervento e voto in assemblea. Note sul nuovo art. 2370 c.c., in Banca borsa tit. credito, 2005, I, 33 ss.;
P. FERRO LUZZI, Azioni: gestione accentrata o dematerializzazione, partecipazione all’assemblea, in
Riv. soc., 2002, 493 ss.
27
LENER, op.cit., 80. L’Autore chiarisce a tal proposito che il conflitto fra le norme citate nel testo è da
considerarsi meramente apparente. Nel caso di specie si assiste difatti ad una “doppia
dematerializzazione”: “la comunicazione non sostituisce la certificazione, ma il deposito di essa…sì che è
comunque la certificazione a svolgere funzione legittimante all’intervento in assemblea, mentre la
comunicazione è semplicemente il mezzo con cui la certificazione è portata a conoscenza dell’emittente”.
28
Id., op. cit., 81.
29
L’opinione cui ci si riferisce è di M. STELLA RICHTER jr, Prime considerazioni sulla legittimazione
all’esercizio del voto dopo la riforma delle società di capitali, in Studi in onore di Vanzetti, II, Milano,
2004, 1631 ss. Conforme anche LENER, op. cit., 89.
8
Contrariamente a questo orientamento, la Consob ha precisato, all’art. 34 – bis e
nella nota accompagnatoria, che, quando lo statuto non vieta di ritirare le azioni prima
che l’assemblea abbia avuto luogo, l’intermediario che ha effettuato la comunicazione
debba altresì comunicare tempestivamente all’emittente l’eventuale trasferimento della
partecipazione, operato prima dello svolgimento dell’assemblea. La Commissione ha in
tal senso espressamente segnalato che non è stato possibile introdurre per regolamento
una record date perché “al momento difficilmente compatibile con i vigenti principi
legislativi in materia di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali” 30 e, con
comunicazione 20.1.2006 n. DME/6004099, ha ribadito l’ostilità alla record date
dettando la regola per cui “l’intermediario è tenuto a inviare la comunicazione di
cessione dei titoli con riguardo a ogni singola convocazione poiché, alienando i titoli
fra una convocazione e l’altra, si perde la corrispondente legittimazione all’intervento
in assemblea” 31 .
Il necessario adeguamento alla disciplina comunitaria pone fine al dibattito ora
ricordato: si impone al legislatore italiano di riscrivere, almeno con riferimento alle
società quotate, l’art. 2370 c.c., prevedendo, come unico indice di legittimazione
all’esercizio del diritto di voto, la registrazione ad una certa data precedente
l’assemblea.
Il legislatore dovrà, a tal fine, indicare le possibili modalità di attuazione della
record date: una prima ipotesi potrebbe consistere nel disporre che la società provveda a
realizzare una “fotografia” dell’intera compagine azionaria alla data prevista prima
dell’assemblea; una seconda possibilità potrebbe essere invece quella di prevedere che
la registrazione avvenga solo su istanza dell’azionista interessato a intervenire in
assemblea e, quindi, limitatamente alla singola partecipazione. Quest’ultima soluzione
appare, coerentemente con la caratteristica di anonimato della partecipazione in società
quotate, la più utile per assicurare le finalità indicate dalla disciplina comunitaria.
Infine, rispetto alle società chiuse, il principio espresso nella Direttiva è idoneo a
costituire il criterio in base al quale parrebbe doversi confermare l’orientamento
dottrinario citato 32 che consiglia un’interpretazione dell’art. 2370 c.c. aperta alla
previsione che chi non sia più socio rimanga tuttavia legittimato all’esercizio del diritto
di voto. Al riguardo, il legislatore dovrà essere sollecitato a precisare se la record date
consista in un’eccezione disposta per le sole società quotate, ovvero - come si ritiene se il meccanismo di legittimazione sia ammissibile, per disposizione di legge o in base
allo statuto, anche per le società per azioni chiuse.
3. Le ricadute sistematiche dell’art. 7. Regola di legittimazione all’esercizio del
diritto di voto ed inscindibilità della partecipazione azionaria. - Il profilo che introduce
all’ultima delle questioni indicate in premessa, ovvero alla valutazione delle
conseguenze sistematiche della disposizione che si commenta, risponde alla domanda
se la possibilità di recepire la regola che attribuisce ad un soggetto diverso dal socio il
diritto di votare in assemblea trovi ostacolo nel principio di inscindibilità delle azioni,
con ciò dovendone derivare la disapplicazione, ovvero, la necessità di ripensare gli
stessi “valori” fondanti il tema della partecipazione azionaria 33 .
30
Nella nota accompagnatoria al regolamento Consob consultabile al sito www.consob.it (sub art. 34 –
bis).
31
Cfr. per ulteriori indicazioni LENER, op.cit., 88 ss.
32
STELLA RICHTER, op. cit., 16
33
In argomento si richiamano i seguenti fondamentali studi: F. D’ALESSANDRO, I titoli di
partecipazione, Milano, 1968; C. ANGELICI, Le azioni, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da P.
Schlesinger, Milano, 1992; Id., Sulla «inscindibilità» della partecipazione azionaria, in Riv. dir. comm.,
9
Il problema, come enunciato, risulta mal posto e inidoneo a consentire
un’adeguata percezione del meccanismo introdotto dal legislatore comunitario.
La regola portata dall’art. 7 della Direttiva 36/2007/CE si colloca, a ben vedere,
nell’ambito della disciplina della legittimazione 34 e, come tale, si inserisce in quella che
viene indicata come una peculiare e diversa forma di “scissione” della partecipazione
azionaria, derivante dalla previsione di una pluralità di indici di legittimazione, da cui
deriva la possibilità per il socio di esercitare alcune prerogative piuttosto che altre 35 .
Così impostato, il tema non interessa l’attribuzione della titolarità di diritti e
dunque la differente imputazione degli stessi a soggetti diversi attraverso la
scomposizione dell’unità della partecipazione azionaria, bensì riguarda la
regolamentazione dell’esercizio delle prerogative sociali che ineriscono alla medesima
partecipazione. La peculiarità dell’ipotesi che si esamina consiste nel fatto che la regola
di legittimazione al voto “scinde”, per così dire, il momento di rilevanza del possesso
azionario individuandone il discrimine nel momento in cui deve effettuarsi la
registrazione.
Nell’indicare a quali condizioni il diritto di voto può essere esercitato e, per
l’effetto, nel delimitare le stesse prerogative di cui l’acquirente della partecipazione può
in concreto disporre, la regola consente l’esercizio (ma non l’attribuzione) del diritto di
voto, indipendentemente dalla sussistenza del possesso azionario alla data
dell’assemblea. Ciò comporta che l’acquisto delle azioni in epoca successiva alla
scadenza del termine per la registrazione, da una parte, impedisce al socio di
legittimarsi, ma, dall’altra, non priva, in senso strutturale, la partecipazione della
titolarità del diritto di voto.
Quanto si va dicendo, seppure con le rilevanti conseguenze applicative che
dovranno fin d’ora esser considerate, è coerente con le esigenze che il diritto di voto,
nell’ambito delle dinamiche dell’organizzazione, è destinato a soddisfare.
La previsione di una regola di legittimazione alla partecipazione in sede
assembleare (da parte dell’ordinamento ovvero dettata dall’autonomia statutaria) deve
difatti spiegarsi alla luce di una valutazione oggettiva 36 : il diritto di voto, per quanto
1985, I, 123; Id., La circolazione, cit., part. 120 ss. Quest’ultimo Autore, in particolare, nega la
scindibilità delle azioni in base ai principi di tipicità delle vicende circolatorie delle azioni ad efficacia
reale e di collegamento funzionale tra i diritti per il quale non ne è consentita la circolazione separata.
L’opinione riferita si fonda sul principio di tipicità della partecipazione azionaria, tale per cui, se
l’organizzazione intende conformare i diritti sociali in modo diverso, ciò può farlo attraverso la creazione
di diverse categorie di azioni, altrimenti rimanendo spazio per una diversa articolazione delle prerogative
solo all’esterno dell’organizzazione, a livello della negoziazione fra le parti o della attribuzione del diritto
al dividendo già deliberato. Cfr. anche: M. BIONE, Le azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto
da G. E. Colombo e G. B. Portale, II, Torino, 1991, 30 ss. affronta il problema della inscindibilità sul
piano della creazione di diversi indici di legittimazione: “In questo senso e su questo piano,
l’inscindibilità rappresenta un profilo della partecipazione azionaria non necessariamente costante, quanto
invece legato a contingenti scelte legislative che ne possono variamente graduare l’intensità”. Per una
diversa impostazione del problema della scissione in ordine alla circolazione separata del diritto di voto
cfr. L. CALVOSA, La partecipazione eccedente e i limiti al diritto di voto, Milano, 1999, part. 127 ss.
34
Segnala la necessità di affrontare il tema della legittimazione sul piano della disciplina e non della
fattispecie: C. ANGELICI, Note preliminari sulla legittimazione nei titoli azionari, in Riv. dir. comm.,
1983, I, 35 ss. e Id., La circolazione, cit., 254 ss. L’Autore sottolinea l’apriorismo di considerare unitario
l’indice di legittimazione: “Merita invece chiedersi se l’eventuale diverso atteggiarsi della fattispecie
legittimante non possa giustificarsi alla luce del differente ruolo che, riguardo alle molteplici posizioni
sociali, deve essere riconosciuto ad una disciplina stessa in termini di legittimazione” (p. 258).
35
Questa posizione è espressa da ANGELICI, op. loc. ult. cit.
36
In questa dimensione oggettiva della prerogativa del voto: C. ANGELICI, Note preliminari, cit., 42 ss.;
Id., La circolazione, cit., 259. L’Autore precisa che la legittimazione all’esercizio del diritto di voto
intende chiarire problemi “che…non tanto riguardano l’esercizio di una situazione giuridica soggettiva,
quanto al regolarità di svolgimento del procedimento assembleare”.
10
prerogativa del socio 37 , è destinato ad avere valenza organizzativa, poiché riverbera i
suoi effetti su un altro fatto, altrettanto di natura organizzativa, che è la deliberazione
assembleare 38 . Se, dunque, il diritto di voto viene analizzato nella prospettiva
dell’organizzazione, la sua portata può cogliersi unicamente dal lato della deliberazione
e, in particolare, della capacità di quest’ultima di esprimere la sua efficacia
nell’organizzazione 39 .
Così inquadrato e delimitato il problema sul piano ricostruttivo, il profilo della
legittimazione al voto risponde ad esigenze d’ordine organizzativo, che, in quanto tali,
vengono ad essere valorizzate dall’ordinamento.
Nell’ottica enunciata, la regola portata dall’art. 7 è destinata ad emergere, sul
piano organizzativo, quale criterio di selezione di interessi rilevanti facenti capo alla
società. In una prospettiva interna essa rappresenta il meccanismo attraverso il quale
può permettersi ai soci ed agli amministratori di conoscere l’identità (e la “quantità”),
dei soggetti che parteciperanno all’assemblea. L’effetto è il medesimo che si ottiene,
attualmente, attraverso il blocco delle azioni: si impedisce che la circolazione delle
azioni possa incidere, con eventuale “colpo di mano” in prossimità dell’assemblea, sul
risultato atteso dalla decisione assembleare. D’altra parte, la regola portata dall’art. 7
segnala anche la valenza esterna della circolazione azionaria rispetto
all’organizzazione: il procedimento assembleare rimane indifferente rispetto alla
circolazione della partecipazione azionaria.
Delineato l’ambito di applicazione della norma, è lo stesso profilo dell’esercizio
del diritto a non porre un problema di inscindibilità in senso proprio: la prerogativa del
voto, se guardata dal punto di vista organizzativo, viene in rilievo a partire dal
procedimento assembleare, il che comporta che non di un profilo soggettivo si tratti della titolarità appunto – ma di un profilo organizzativo e, quindi, della legittimazione.
Quanto fino al momento esaminato, se valevole sul piano delle strutture logiche
della partecipazione azionaria, non può dirsi esauriente e, anzi, manifesta i suoi limiti,
se confrontato con le conseguenze che la regola di legittimazione al voto è in grado di
avere in ordine alle altre prerogative del socio. Il che è destinato ad emergere dalla
valutazione degli effetti dell’elevato livello di standardizzazione e, per così dire, di
“cartolarizzazione”, della partecipazione azionaria, come paiono delinearsi a seguito
dell’intervento del legislatore comunitario.
4. Riflessi in tema di legittimazione all’esercizio dei diritti. Efficienza della
regola e mercato dei capitali. - Così impostato e circoscritto il problema riscostruttivo,
37
Per l’individuazione del significato tipologico del profilo partecipativo e per un approccio analitico al
ruolo del voto: G. FERRI jr, Finanziamento dell’impresa e partecipazione sociale, in Riv. dir. comm.,I,
2002, 121.
38
Così P. FERRO LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge ed all’atto
costitutivo, rist., Milano, 1993, 56.
39
Per questa impostazione si richiama ancora FERRO LUZZI, op. ult. cit., passim e part. 52 in cui
l’Autore sottolinea come il voto rilevi esclusivamente in ordine al perfezionarsi del procedimento
assembleare “degradando ad un ruolo e funzione quindi strumentale” e C. ANGELICI, Società per azioni
e in accomandita per azioni, in Enc. dir., vol. XLII, Milano, 1990, 984 ss. La prospettiva segnalata da
Ferro Luzzi e Angelici costituisce il fondamento interpretativo anche della disciplina riformata in tema di
procedimento assembleare e di invalidità delle deliberazioni di cui agli artt. 2377 ss. c.c.: cfr., fra gli altri,
su questo tema: C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale,
Padova, 2006, 127; Id., Note in tema di procedimento assembleare, in Riv. not., 2005, I, 705 ss. e part.
713 ss.; A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità delle delibere assembleari, stabilità ed effetti, in Riv.
dir. comm., 2004, I, 55 ss.; R. LENER, Invalidità delle delibere assembleari di S.p.a., in Riv. dir. comm.,
2004, I, 79 ss.; A. STAGNO D’ALCONTRES, L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La
nuova disciplina, in Il nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, vol. II, Torino,
2007, 167 ss.
11
se ne possono valutare le ricadute sul piano applicativo, dovendosi chiedere se, e fino a
che punto, la prospettiva sopra enunciata della permanenza del principio di
inscindibilità della partecipazione azionaria, fondata, come si è visto, sulla rilevanza
organizzativa dell’esercizio del diritto di voto, sia in grado di costituire la base di un
discorso più generale in tema di legittimazione all’esercizio dei diritti sociali.
La premessa vale a sottolineare che l’impatto del principio enunciato all’art. 7
della Direttiva sull’ordinamento interno può cogliersi, nello specifico, a partire dalla
verifica delle conseguenze che la norma determina sul piano applicativo.
A tal proposito, non è indifferente precisare che l’efficienza della regola,
finalizzata, nell’ottica del legislatore comunitario, a conseguire l’effettività della
partecipazione assembleare nelle società quotate, è misurabile in base
all’“apprezzamento” che della stessa è in grado di provenire dal mercato delle
partecipazioni e la sua stessa cogenza è valutata con maggiore o minore intensità in
virtù delle esigenze segnalate proprio nel mercato stesso.
Nell’ottica precisata, può dirsi che quanto si verrà esaminando è suscettibile, a
seconda della ricostruzione adottata, di riverberare i suoi effetti anche e soprattutto sulla
stessa operazione di investimento attuata con l’acquisto della partecipazione. Si rende
quindi opportuno premettere fin d’ora l’utilità, ai fini dell’adeguata impostazione del
problema, dell’adozione di una prospettiva di analisi che tenga distinti i temi della
disciplina dell’organizzazione da quelli propri della disciplina dell’investimento e delle
diverse implicazioni sistematiche derivanti dalla ricomprensione nell’una o nell’altra.
4.1. Il problema: la legittimazione all’esercizio dei diritti di impugnativa e di
recesso. - Una delle questioni poste, nell’ottica del recepimento, dalla regola di
legittimazione al voto di cui all’art. 7, riguarda l’individuazione, in base ai principi
vigenti nell’ordinamento italiano, dei poteri spettanti all’azionista che, socio alla data
dell’assemblea, non possa intervenire e votare, essendo a ciò legittimato l’ex socio
registratosi. In particolare, può chiedersi se l’azionista che abbia acquistato la
partecipazione fra la data della registrazione e quella dell’assemblea, non essendo
ammesso al voto, sia tuttavia legittimato ad impugnare la deliberazione annullabile o,
piuttosto, a recedere a norma dell’art. 2437 c.c.
Nel ricercare soluzioni che possano essere razionali, il problema può essere
affrontato procedendo per progressive approssimazioni.
A tal proposito non è secondario tener presente che i risultati ai quali si potrà
pervenire dovranno essere valutati, oltre che dal punto di vista della correttezza della
ricostruzione giuridica, anche alla luce della compatibilità degli stessi con le esigenze
del mercato dei capitali; il che, a maggior ragione, in un’ottica funzionale, pone
all’interprete il dovere di valutare la correttezza e la compatibilità delle soluzioni
prospettabili rispetto all’operazione di investimento in società quotate.
Procedendo, dunque, per gradi, deve escludersi, in primo luogo, che
all’impugnazione della deliberazione ed al recesso rimanga legittimato l’ex socio
intervenuto in assemblea: il recesso non si giustifica in quanto il disinvestimento è già
avvenuto per effetto del trasferimento della partecipazione; in ordine all’impugnativa
difetta, invece, rispetto all’ex socio, sia l’interesse ad agire, che la stessa condizione di
procedibilità dell’azione data dal possesso azionario al momento in cui è esercitata
l’impugnativa 40 .
40
Pur essendo stato abrogato l’obbligo per il socio che intenda esercitare l’azione di impugnativa di
depositare almeno un’azione, il possesso azionario alla data dell’esercizio dell’azione è individuato dalla
legge come condizione di procedibilità (art. 2378 c.c.). In tema di titolarità della partecipazione per
l’esecizio dell’impugnativa cfr. anche, nel regime previgente: ANGELICI, Note preliminari, cit., 58 ss. e
G. FERRI, Le società, III ed., in Trattato Vassalli, vol. X, tomo III, Torino, 1987, 654 ss.
12
Ciò posto e chiarito che l’ex socio legittimato a votare non è altresì legittimato
ad esercitare i diritti che conseguono all’adozione della deliberazione, la questione è in
grado di specificarsi ulteriormente nella valutazione di due ulteriori profili: il primo
attiene alla verifica se l’azionista che abbia acquisito la partecipazione fra la data di
registrazione e quella dell’assemblea possa esercitare i diritti di impugnativa e recesso;
il secondo, laddove il primo quesito si risolva positivamente, consiste nell’accertare se e
come il consenso all’adozione della deliberazione eventualmente espresso dal
legittimato al voto costituisca un limite, e in quale misura, alla facoltà di impugnare e
recedere da parte dell’azionista non legittimato al voto.
La risposta a questo tipo di domande non trova, per l’evidente novità del
problema, una soluzione definita o più soluzioni definite. E’ possibile, allo stato,
ipotizzare alcune diverse ricostruzioni del rapporto fra la regola di legittimazione al voto
e l’esercizio dei diritti che conseguono all’adozione della deliberazione, verificando, per
ciascuna di esse, le possibili criticità e considerando le eventuali proposte interpretative
alla luce del criterio di efficienza sopra enunciato.
4.2. Le soluzioni: a) la finzione della retrodatazione dell’assemblea.- Una prima
ricostruzione, nel cercare di portare coerenza al sistema e quindi nel tentare di
ricondurre l’esercizio del diritto di voto in capo al titolare della partecipazione, potrebbe
utilizzare un artificio giuridico, creando una coincidenza temporale fra la data della
registrazione e la data dell’assemblea.
Un’interpretazione siffatta del meccanismo introdotto dalla Direttiva in tema di
esercizio del diritto di voto, nello sforzo di far coincidere la qualità di socio al momento
della registrazione ed al momento dell’assemblea, tenterebbe di riportare la gestione
della partecipazione in capo al soggetto titolare della stessa sulla base di una finzione,
così colmando una sfasatura unicamente temporale.
Detta ricostruzione, fondata su presupposti d’ordine minore, quali la finzione e
la mera discrasia temporale, non è senza conseguenze. Ne deriva di dover considerare
l’acquisto della partecipazione avvenuto dopo la data di registrazione, altresì successivo
rispetto alla deliberazione, con ciò valendo ad escludere la facoltà per chi ha acquistato
la partecipazione di poter impugnare o recedere, poiché, a prescindere dal voto espresso
dal dante causa, il trasferimento operato dopo la deliberazione deve considerarsi aver ad
oggetto una partecipazione ad un assetto organizzativo già modificato 41 .
41
Per questa posizione in ordine alla legittimazione del nuovo socio ad impugnare o recedere rispetto ad
una delibera assunta prima che si verificasse l’acquisto della partecipazione: d’ALESSANDRO, op. cit.,
324; FERRI, op. ult., cit., 655 ss.; G. ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in
Trattato delle società per azioni, diretto da G. E. Colombo e G. B. Portale, vol. 3**, Torino, 1993, 276 ss.
e part. 285; G. GRIPPO, Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G. E.
Colombo e G. B. Portale, vol 6*, Torino, 1993, 173 nt. 119; G. MINERVINI, Sulla legittimazione
all’esercizio del diritto di recesso nelle società per azioni, in Rassegna economica. Pubblicazione
quadrimestrale del Banco di Napoli, 1963, 680; M. ROSSI, Sulla legittimazione all’esercizio del recesso
nelle società per azioni, in Riv. dir. comm., 2005, II, 155 ss; contra, con riferimento al tema
dell’impugnativa, P. TRIMARCHI, Invalidità delle deliberazioni di assemblea di società per azioni,
Milano, 1958, 209 ss.; LENER, Invalidità, cit., 90 e S. SANZO, Commento sub art. 2377, in Il nuovo
diritto societario, diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, vol. I, Bologna –
Roma, 2004, 623. Gli ultimi due Autori citati argomentano l’ammissibilità dell’impugnativa anche da
parte dell’azionista che abbia acquisito la partecipazione dopo che la deliberazione è stata assunta, in base
al dato testuale della norma che, all’art. 2378 c.c., indica quale condizione per l’esercizio dell’azione il
possesso azionario “alla data dell’impugnazione”.
Deve infine considerarsi, con riguardo al tema della legittimazione all’esercizio del diritto di recesso,
l’ipotesi residuale che la prerogativa possa ritenersi consentita se l’acquisto della partecipazione è
avvenuto prima della iscrizione della deliberazione modificativa nel registro delle imprese, considerata la
inopponibilità della decisione prima della sua iscrizione ai sensi del riformato art. 2436 c.c.
13
Riflettendo in termini di efficienza, l’ipotesi descritta rileverebbe, nelle sue
implicazioni, quale sicuro deterrente al trasferimento delle partecipazioni in prossimità
dell’assemblea e dopo la scadenza del termine per legittimarsi. Tale effetto preclusivo è
suscettibile di realizzarsi, in particolare, in conseguenza del divieto per il nuovo socio di
recedere dalla società; il che, evidentemente, determinerebbe una minore appetibilità
dell’investimento nel mercato del capitale di rischio, per la diminuita attitudine della
partecipazione al disinvestimento, e la verosimile registrazione da parte del mercato
della riduzione del valore di quotazione delle azioni. E’ presumibile, dinanzi a questo
tipo di conseguenze, che l’effetto ricavabile dalla regola di legittimazione al voto sia
quello di costituire, contrariamente alle intenzioni del legislatore comunitario, un
deterrente all’attivismo assembleare dei piccoli azionisti.
4.2.1. b) la qualificazione di assenza per il socio non legittimato a votare. - In
base ad una diversa impostazione potrebbe costruirsi la posizione di colui che ha
acquisito la partecipazione fra la data di registrazione e la data dell’assemblea, proprio
perchè non legittimato a votare 42 , nei termini di assenza rispetto alla deliberazione
assunta.
La qualificazione di assenza per il socio non legittimato a votare ha il pregio,
rispetto alla precedente ricostruzione, di poter valutare l’acquisto della partecipazione
già avvenuto alla data dell’assemblea e, nell’ottica considerata, di ritenere il socio,
assente rispetto all’adunanza, bensì legittimato a impugnare e recedere in virtù del
disposto degli artt. 2377 e 2437 c.c., a norma dei quali le rispettive facoltà sono
attribuite proprio per il verificarsi della condizione di assenza 43 .
Sebbene questa ricostruzione consenta di superare i limiti della precedente, deve
tuttavia segnalarsi che non tiene, evidentemente, in debito conto il meccanismo che la
regola di legittimazione introdotta dall’art. 7 intende disciplinare. Ne risulterebbe difatti
pretermessa di considerazione l’ipotesi, invero da contemplarsi in base alla disposizione
comunitaria, che l’ex socio legittimato voti e, nella specie, esprima voto favorevole
all’adozione della deliberazione assembleare. In un caso del genere la ricostruzione in
esame, al contrario della precedente, arriverebbe ad ammettere illimitatamente
l’impugnativa ed il recesso, con ciò derivandone la conseguenza, almeno per ciò che
riguarda il profilo della necessaria stabilità delle deliberazioni, di negare certezza
all’agire dell’organizzazione.
4.2.2. c) l’inscindibilità della partecipazione azionaria e l’esercizio disgiunto
dei diritti .- L’ultima prospettazione, nell’assolutezza delle conclusioni cui perviene,
sottolinea un dato di fondo cui, nell’ottica del recepimento della Direttiva 36/2007/CE,
è necessario attribuire un adeguato significato dogmatico.
Deve difatti chiedersi se, dandosi prevalenza al principio di inscindibilità delle
azioni, a votare, ad impugnare ed a recedere siano sempre le azioni e, pertanto, se il
collegamento funzionale 44 tra le varie prerogative sociali debba ravvisarsi rispetto
all’unità azionaria, a prescindere, quindi, dal soggetto legittimato all’esercizio del
42
Accoglie questa linea interpretativa quanto al profilo del recesso D. GALLETTI, Commento sub art.
2437 , in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, vol. II, Padova, 2005, 1496.
43
Per ciò che interessa la legittimazione all’esercizio dell’impugnativa e del diritto di recesso nel regime
previgente cfr. supra in nota 42. A seguito della riforma delle società di capitali cfr. per due opposte
posizioni in tema di legittimazione all’esercizio del diritto di recesso: V. DI CATALDO, Il recesso del
socio nelle società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, vol.
III, Torino, 2007, 242 e ROSSI, op. cit., 158 ss.
44
Per questa ricostruzione della partecipazione azionaria e delle prerogative sociali cfr. ANGELICI, La
circolazione, cit., 120 e già Id., Sulla inscindibilità, cit., 126.
14
diritto, ovvero se titolari dei diritti sociali debbano ritenersi, in un’ottica meno
“cartolare”, non le azioni, ma i soci.
Rispetto a quest’ultima ipotesi dovrà poi valutarsi la portata della forma di
“scissione” che, come già visto, abbiamo indicato come diversa da quella che
comunemente si intende contrastare con il principio della unità azionaria45 .
La riflessione, originata dal recepimento dell’art. 7 della Direttiva, si avvale
della comprensione dei limiti della ricostruzione in termini organizzativi della
partecipazione azionaria e, pertanto, intende articolarsi su più piani.
Muovendo dalla prima delle possibilità prospettate, ovvero dall’unità della
partecipazione azionaria, la regola portata dall’art. 7 assume il significato di
attribuzione della legittimazione all’esercizio dei diritti riferibili alla medesima
partecipazione a soggetti diversi.
Come generalmente si ammette per il pegno e per l’usufrutto di azioni,
saremmo quindi in presenza di un’ipotesi di esercizio disgiunto dei diritti 46 , inerenti alla
medesima partecipazione. Sarebbe questo un ulteriore caso in cui l’ordinamento stesso
riconosce ed attribuisce l’esercizio delle prerogative a soggetti diversi, con il limite del
mantenimento della coerenza che deve sussistere, per effetto del necessario
collegamento funzionale, tra le singole prerogative sociali.
Ragionando nei termini precisati, il diritto per l’acquirente di impugnare o
recedere discenderebbe direttamente dal fatto che le azioni non abbiano consentito
all’adozione della deliberazione (ovvero siano risultate assenti od astenute), attraverso il
voto espresso dal soggetto legittimato, mentre, in ipotesi contraria, ovvero di voto
favorevole, le azioni stesse non potrebbero né impugnare la deliberazione annullabile,
né recedere a norma dell’art. 2437 c.c.
Se, dunque, si adotta la prospettiva esclusivamente organizzativa su cui si basa
l’inscindibilità azionaria, è d’obbligo considerare che, per effetto della regola di
legittimazione al voto di cui all’art. 7, in prossimità dell’assemblea la partecipazione
azionaria è trasferibile con un contenuto più ridotto, risultando “menomata”, non di una
sola prerogativa (il voto), ma, in ipotesi, di più di una (recesso ed impugnativa): il che,
seppure in misura minore rispetto alla ricostruzione presentata per prima, è comunque
suscettibile di determinare un effetto deflattivo della stessa possibilità di mobilizzare le
partecipazioni nella fase che intercorre fra la data di registrazione e quella
dell’assemblea 47 , ovvero, più probabilmente, costituirebbe un concreto ostacolo alla
partecipazione assembleare.
5. d) diversa incidenza della regola di legittimazione al voto in ordine ad
impugnativa e recesso. - L’ultima ricostruzione prospettata, maggiormente efficiente
nei risultati cui perviene rispetto alle altre, proprio perché consente all’acquirente della
45
Si fa qui riferimento al profilo della pluralità di indici di legittimazione come segnalata da ANGELICI,
La circolazione, cit., 258.
46
L’ipotesi è quella individuata da ANGELICI, Le azioni, cit., 194 ss. riguardo al pegno ed all’usufrutto
delle azioni rispetto alla precedente formulazione dell’art. 2352 c.c., in base al quale il diritto di voto è
attribuito - ora anche nel caso di sequestro delle azioni - ad un soggetto diverso dal socio, ovvero al
creditore pignoratizio, all’usufruttuario e, attualmente, anche al custode. L’Autore precisa l’inesistenza in
un caso del genere di un’ipotesi di scissione della partecipazione azionaria, trattandosi non di attribuzione
di diritti a soggetti diversi, e dunque della scomposizione della partecipazione azionaria, bensì della
scomposizione degli interessi interni alla medesima partecipazione. Cfr. in tema di pegno di azioni anche:
S. POLI, Il pegno di azioni, Milano, 2000 e G. PRESTI, Questioni in tema di recesso nelle società di
capitali, in Giur. comm., 1982, I, 89 ss.
POLI, PRESTI
47
L’ipotesi potrebbe trovare un possibile adattamento sul piano obbligatorio, attraverso l’accordo
stipulato fra l’acquirente ed il legittimato al voto. La soluzione è evidentemente priva di interesse rispetto
al presente studio, coinvolgendo, in caso di inadempimento, il profilo della tutela risarcitoria e non reale.
15
partecipazione l’esercizio dei diritti sociali nei limiti in cui l’esercizio stesso non
contrasti con le esigenze dell’organizzazione, trae origine da una riflessione che si è
vista comune alle due prerogative dell’impugnativa e del recesso.
Il risultato conseguito è dunque quello di dover valutare il contegno assembleare
dell’azionista ammesso al voto per derivarne la legittimazione di chi è socio alla data
della assemblea di impugnare la deliberazione per ottenerne l’annullamento o, piuttosto,
di recedere dalla società nel caso in cui non abbia concorso ad approvarla e ne
sussistano i presupposti (art. 2437 c.c.).
La ricostruzione, se, da una parte, nel far salva l’unità azionaria consente di
mettere al riparo da eventuali obiezioni di incoerenza rispetto alle già enunciate
esigenze dell’organizzazione, dall’altra, tuttavia, non è in grado di portare ad un
compiuto e soddisfacente inquadramento del rapporto fra legittimazione al voto e,
rispettivamente, i diritti di impugnativa e recesso.
Si ha difatti la sensazione che muovere da detto nesso e, in particolare, dalle
regole dell’organizzazione, conduca a trarre conclusioni affrettate. Il che vale a
considerare, come già avvertito, l’opportunità di procedere tenendo distinti gli
argomenti che trovano fondamento nella disciplina dell’organizzazione, da quelli che, al
contrario, risultano ad essa estranei.
La necessità di evitare una possibile sovrapposizione di piani, ponendo in
evidenza problemi di differente natura in ordine alle diverse prerogative, consente di
portare il ragionamento fino alle estreme conseguenze per arrivare a fornire un corretto
inquadramento dei riflessi applicativi del recepimento dell’art. 7.
La prospettiva che si intende adottare è allora inversa rispetto a quella finora
presa in considerazione: per valutare gli effetti derivanti dall’adeguamento alla norma
comunitaria è utile trarre le premesse dalla funzione che le prerogative sociali assolvono
e, solo dopo, sul piano della disciplina, si sarà in grado di pervenire ad un più corretto
inquadramento dei rapporti delle stesse con l’espressione del voto riferibile alla
“medesima” partecipazione azionaria, ma esercitato da un “diverso” socio.
L’ottica prefigurata assume una valenza specifica nella comparazione dei
presupposti e della funzione, rispettivamente, della impugnativa e del recesso. E’ noto
difatti come le riflessioni in tema abbiano segnalato, ancor prima della riforma delle
società di capitali, la necessità di valutare distintamente i presupposti delle due
prerogative, il più delle volte non arrivando, tuttavia, a distinguere correttamente le
ragioni fondanti dette peculiarità, ritenendo invece prioritario ricondurle entrambe
nell’alveo delle dinamiche organizzative 48 .
Deve invece segnalarsi che il discorso in tema di legittimazione all’esercizio dei
diritti non può essere affrontato senza prima aver chiarito quale sia l’ambito di
applicazione delle prerogative sociali: più precisamente è alla funzione delle stesse che
bisogna aver riguardo affinché se ne possano percepire i limiti e le potenzialità.
48
Il riferimento è, in particolare, a D. GALLETTI, Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2000, 153
ss. l’Autore, già prima della riforma delle società di capitali, segnalava la necessità di non appiattire il
presupposto del dissenso di cui al previgente art. 2437 c.c., sui medesimi criteri legittimanti l’esercizio
dell’impugnativa. Muovendo da una ricostruzione in termini organizzativi del diritto di recesso l’Autore
sottolineava che: “In realtà, mentre chi vota contro una certa proposta di delibera manifesta il proprio
«dissenso» dalla stessa in sede assembleare, ai limitati fini dell’opposizione, per quanto possibile, alla sua
definitiva emanazione laddove tutti gli altri non approvanti non sono «dissenzienti», ma, al limite,
«assenti» o «astenuti», nei riguardi dell’art. 2437 la forma per manifestare il proprio «dissenso» è la
stessa dichiarazione di recesso”. La posizione di detto Autore è attualmente definita nelle considerazioni
di cui Id., Commento sub art. 2437, cit., 1496 ss, in cui precisa invece che “il «concorso» all’adozione del
deliberato debba essere espresso definitivamente nelle forme tipiche del procedimento decisionale”.
16
5.1. (segue). - E’, in particolare, con riguardo all’istituto del recesso,
diversamente da quanto accade rispetto alla impugnazione delle deliberazioni
assembleari, che si ritiene di dover muovere da una prospettiva diversa da quella finora
esaminata.
Dal tradizionale approccio volto ad identificare i presupposti del diritto di
recesso nella modifica dell’organizzazione, da ultimo la dottrina è passata a riconoscere
alla prerogativa il ruolo di “contrappeso” alla modificazione dei caratteri essenziali
dell’investimento 49 e, dunque, a condurre l’analisi dell’istituto dal lato dell’investitore e
non da quello dell’organizzazione.
La prospettiva risulta ancor meglio delineata in esito alla riforma delle società di
capitali 50 , laddove lo stesso profilo partecipativo è visto confermarsi nel significato di
partecipazione ad un’operazione di investimento e, pertanto, il recesso stesso,
rappresentando l’atto complementare ed inverso a quello di investimento 51 , deve
ritenersi partecipe della disciplina dell’investimento.
Le ragioni di siffatto inquadramento trovano conferma nell’esame della
disciplina dell’istituto e, in particolare, del criterio di determinazione del valore delle
azioni del socio receduto. Se, difatti, già nel regime previgente tale criterio era
differentemente valutato a seconda che si propendesse per la ricostruzione del recesso in
termini organizzativi 52 , ovvero si ritenesse consistere in un’operazione di
disinvestimento individuale ed integrale, ad oggi quest’ultimo orientamento deve
ritenersi convalidato dalla normativa applicabile 53 . Non solo il legislatore della riforma
ha introdotto un criterio di liquidazione idoneo a rendere conto del valore effettivo delle
azioni, ma, collegandolo alle prospettive reddituali della società, ha valorizzato la
funzione di disinvestimento del recesso rispetto ad un’operazione collettiva di
investimento nell’impresa.
La conformazione ed il significato finanziario della partecipazione azionaria
sono poi idonee a rappresentare il fenomeno se applicato alle società che fanno ricorso
al mercato del capitale di rischio.
Il profilo interpretativo adottato trova difatti ulteriore dimostrazione nelle società
quotate, rispetto alle quali il diritto di recesso rappresenta uno strumento di
disinvestimento altresì concorrenziale rispetto all’alienazione delle partecipazioni. Ne è
la dimostrazione più evidente il fatto che, seppure nei presupposti risulti più
intensamente vincolata rispetto alle società per azioni chiuse 54 , la facoltà di recesso
49
Per questa ricostruzione si richiama in particolare G. FERRI jr, Investimento e conferimento, Milano,
2001, 158. L’Autore, costruendo il tema della partecipazione in società come partecipazione
all’investimento, precisa, contrariamente all’orientamento maggioritario che inquadrava la facoltà di
recesso come scaturente da una modifica organizzativa, che la prerogativa del disinvestimento della
partecipazione sociale trova causa in una modifica dell’operazione di investimento. Per una visione in
chieve organizzativa del recesso cfr: GALLETTI, Il recesso, cit., passim
50
Tale profilo è segnalato con particolare attenzione, fra gli altri, da ANGELICI, La riforma, cit., 51 ss.;
P. FERRO LUZZI, Riflessioni sulla riforma: I: la società per azioni come organizzazione del
finanziamento di impresa, in Riv. dir. comm., 2005, I, passim; G. FERRI jr, Fattispecie societaria e
strumenti finanziari, in Riv. dir. comm., 2003, I, 805 ss.
51
FERRI jr, Investimento e conferimento, cit., 157, definisce il recesso come “«diritto» a disinvestire”.
52
Critico alla determinazione del valore della quota in base al valore contabile FERRI jr, op. ult. cit., 163
ss., proponendo invece l’adozione di un criterio che renda conto del valore reale e dunque di liquidazione,
nel caso di recesso individuale e non collettiva, ma pur sempre integrale (p. 169).
53
Cfr. in tema D. GALLETTI, Commento sub art. 2437 ter, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A.
Maffei Alberti, vol. II, Padova, 2005, 1567 ss.; DI CATALDO, op. cit., 236 ss.; S. CARMIGNANI,
commento sub art. 2437 – ter, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, tomo II,
Torino, 2003, 890 ss.; A. PACIELLO, Commento sub art. 2437 ter, in Società di capitali, a cura di G.
Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1125 ss.
54
L’art. 2437 c.c. specifica difatti che è impedito all’autonomia statutaria prevedere ulteriori ipotesi di
recesso per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Sul tema, più generale, della
17
nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è disciplinata
dall’ordinamento proprio per la capacità di attribuire all’azionista un valore rispondente
a quello del risultato dell’operazione di investimento.
Quanto detto trova conferma nel criterio individuato dal nostro legislatore per la
determinazione del valore di liquidazione delle azioni di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio. Tale criterio non risulta difatti legato al valore attuale
delle azioni, così come avviene per le società chiuse, divenendo per questo suscettibile
di subire le variazioni del mercato, bensì corrisponde ad un valore medio, determinato
sulla base dei prezzi di chiusura dell’ultimo semestre e quindi su un parametro che,
almeno in via tendenziale, sia idoneo a render conto del risultato dell’investimento.
Vale a tal proposito considerare che le stesse disposizioni della Direttiva
36/2007/CE si presentano in linea con le esigenze della partecipazione azionaria, intesa
come strumento di investimento in società quotate: l’interesse all’effettività della
partecipazione assembleare è contemperato dal legislatore comunitario all’art. 7 con la
necessità di prevedere un meccanismo in base al quale l’esercizio del diritto di voto non
sia d’ostacolo alla facoltà di disinvestimento attuata attraverso il mercato delle
partecipazioni.
5.2. (segue). - La correttezza della collocazione sistematica dell’istituto del
recesso nell’ambito della disciplina dell’investimento può poi essere valutata avendo
riguardo agli effetti che conseguono all’esercizio della prerogativa. Mentre rispetto
all’impugnativa delle deliberazioni annullabili non si ha dubbio della rilevanza
organizzativa sia degli effetti della invalidazione delle decisioni assembleari,
risultandone pregiudicata la relativa stabilità, che dei presupposti per il suo esercizio
(dissenso, assenso ed astensione rispetto alla deliberazione: cfr. art. 2377 c.c.), in merito
al recesso il ragionamento deve diversamente articolarsi.
A ben vedere gli effetti che il recesso del socio è in grado di produrre
sull’organizzazione non determinano per ciò stesso il potere per l’organizzazione di
disciplinare l’esercizio della prerogativa, eventualmente anche opponendovi un divieto
in base a principi, appunto, organizzativi. E’, invece, attribuita all’organizzazione
esclusivamente la capacità di regolare aspetti diversi, operando sul piano
dell’investimento collettivo: aspetti, questi, che riguardano, da una parte il procedimento
e la modalità di liquidazione della quota del recedente, dall’altra la facoltà di
determinare la stessa capacità di “tenuta” della deliberazione modificativa
dell’investimento (artt. 2437 – bis, comma 2, e 2437 – quater c.c.).
L’individuazione della portata e delle conseguenze dell’esercizio del recesso
interessa temi di particolare delicatezza ed è per lo più avvertita dalla dottrina come
riguardante la dialettica fra le esigenze, esterne all’organizzazione, proprie
dell’investimento in capitale di rischio e del mercato del credito 55 .
L’“ampiezza” delle potenzialità applicative del recesso viene difatti indicata
come elemento di equilibrio fra istanze diverse: da una parte quella dell’incentivazione
dell’investimento azionario, direttamente dipendente dalla facilità di liquidazione
competenza dell’autonomia statutaria nel regolare i diversi profili di disciplina del recesso nelle società di
capitali cfr.: M. STELLA RICHTER jr, Diritto di recesso ed autonomia statutaria, in Riv. dir. comm.,
2004, I, 389 ss.
55
Analizza entrambe queste prospettive GALLETTI, Commento sub art. 2437, cit., 1476 ss. L’Autore
sottolinea che la capacità del diritto di recesso di incentivare l’investimento in capitale di rischio e la
diversificazione del portafoglio dell’azionista (anche attraverso il recesso parziale che è forma di
ristrutturazione dell’investimento), inducono a trarre elementi di favore nei confronti dell’ampliamento
delle ipotesi in cui la prerogativa può essere esercitata. D’altra parte considera, invece, l’opportunità di
limitarne l’utilizzo al fine di garantire la posizione dei finanziatori esterni alla società eventualmente
pregiudicati dall’esercizio del recesso da parte dei soci.
18
dell’investimento stesso, dall’altra quella della efficienza del mercato del credito,
ipoteticamente pregiudicata dalla impossibilità per i creditori di valutare il
comportamento futuro dei soci e, in specie, l’incidenza dell’esercizio del recesso sulla
capacità della società di farvi fronte con le proprie risorse 56 .
Dalla contrapposizione di queste opposte esigenze, parte della dottrina ricava la
prevalenza dell’interesse dei terzi alla continuazione dell’attività, in ipotesi pregiudicata
dall’eventualità dello scioglimento della società determinato dalla liquidazione del socio
receduto e, in particolare, di quello dei creditori, eventualmente esposti al pericolo di
insolvenza della società qualora, all’esito del rimborso delle azioni, derivi l’incapacità
del patrimonio a soddisfare le obbligazioni assunte 57 .
Gli elementi addotti a giustificazione della necessità di guardare al recesso in
senso restrittivo, nonché della opportunità di individuare la legittimazione all’esercizio
del diritto in base al comportamento tenuto dal socio in sede assembleare, così da
salvaguardare le esigenze di certezza, non solo dell’organizzazione, ma anche dei terzi,
pur segnalando profili di sicuro interesse, paiono tuttavia ispirare un’analisi che tende
alla sovrapposizione di piani diversi.
Il tema assume particolare rilevanza quale necessaria premessa al recepimento
delle disposizioni della Direttiva 36/2007/CE, le cui implicazioni sistematiche
presuppongono e costituiscono l’occasione per il chiarimento di questioni rispetto alle
quali il nostro legislatore dovrebbe essere sollecitato ad assumere posizioni più definite.
Occorre difatti cercare di superare le obiezioni alla ammissibilità del recesso
derivanti dai riflessi che il suo esercizio è, in ipotesi, idoneo secondo queste
ricostruzioni a produrre sull’organizzazione, da una parte, e sui terzi, in specie i
creditori, dall’altra.
Prima fra tutte l’eventualità dello scioglimento della società, quale modalità
attuativa della liquidazione delle azioni del socio receduto, rappresenta un’ipotesi in
principio tutt’altro che patologica, come si vorrebbe far intendere. La possibilità che si
verifichi lo scioglimento non può per certo ritenersi estranea alle dinamiche della
società 58 e, in specie, alla disciplina del suo finanziamento, laddove altresì si consideri
che la legge stessa prevede, espressamente, che i soci lo possano disporre
volontariamente (art. 2484 c.c.). In questa prospettiva lo scioglimento della società,
come opportunamente rilevato dalla dottrina, rappresenta, al pari del recesso,
un’operazione di disinvestimento integrale, sebbene collettivo e non individuale 59 . In
tal senso si può effettivamente ritenere che il recesso possa incidere sull’investimento
collettivo dei soci e, in particolare, sulla durata dello stesso.
Né, del resto, il recesso può ritenersi di per sé pregiudizievole per i terzi:
l’opposizione dei creditori alla riduzione del capitale prevista all’art. 2437, comma 7,
c.c. non si giustifica come difesa attuata contro la prerogativa del socio. Il veto
eventualmente espresso dai creditori non è, e non può essere, opposizione al recesso, ma
alla modalità di liquidazione delle azioni del socio receduto. Gli effetti dell’esercizio
del recesso non vengono meno, quindi, per via dell’opposizione, ma l’opposizione
stessa fa sì che il disinvestimento venga attuato attraverso lo scioglimento della società
e dunque attraverso un procedimento interno alla disciplina dell’investimento 60 .
56
Id, op.ult. cit., 1492.
Il riferimento è sempre a GALLETTI, op. ult. cit., 1522.
58
Lo sottolinea sotto il profilo dell’analisi dell’attività gestoria in fase di liquidazione della società G.
FERRI jr, La gestione di società in liquidazione, in Riv. dir. comm., 2003, 421 ss.
59
L’espressione è tratta da FERRI jr, Investimento, cit., 169.
60
Nella disciplina previgente la dottrina argomentava proprio dall’inesistenza della previsione
dell’opposizione dei creditori, in ipotesi di riduzione del capitale derivante dal rimborso della quota del
socio receduto, l’inesistenza di un pregiudizio per i creditori per effetto dell’esercizio del recesso. Così
FERRI jr, op. ult. cit., 170 e in nt. 95 ove ulteriori indicazioni bibliografiche. Come precisato nel testo
57
19
Ne deriva, con ogni evidenza, che la dialettica, ipoteticamente scaturente
dall’esercizio del recesso, è idonea a porsi propriamente non fra soci e creditori, bensì
solo fra soci 61 .
Ciò considerato, il conflitto tra soci non viene comunque ad essere risolto in
base alle regole dell’organizzazione (come ad esempio si verifica per le deliberazioni
assembleari attraverso il meccanismo delle impugnazioni), ma attraverso la sua
eliminazione, attuata direttamente con la revoca della deliberazione che modifica
l’operazione di investimento, ovvero, come estrema ratio, attraverso lo scioglimento
della società. Quest’ultimo, proprio in qualità di disinvestimento collettivo, parificando
le posizioni di tutti coloro che vi partecipano, diviene idoneo a risolvere un conflitto,
ancora una volta, interno ad un’operazione di investimento.
Solo in tal senso il recesso si inserisce effettivamente in una dialettica, stavolta
interna, rappresentando in ipotesi un deterrente ai poteri della maggioranza 62 e, in ogni
caso, un costo che la maggioranza stessa deve valutare ed eventualmente sostenere con
le risorse stesse dei soci o della società, ovvero attraverso la revoca della deliberazione
modificativa.
Dove le posizioni dei soci e dei creditori, in conseguenza dell’esercizio del
recesso, sono suscettibili di trovare un piano di possibile conflitto è invece quello,
esterno, della garanzia patrimoniale (e non, evidentemente, quello del capitale, che ha
solo un significato convenzionale 63 ), rispetto al quale entrambi assumono la medesima
qualifica di creditori della società. In specie, solo l’ipotesi di disfunzione della garanzia
patrimoniale - che, nell’impresa, si identifica con l’insolvenza, determinata, in ipotesi,
dal concorso di fattori esterni e preesistenti alla liquidazione della quota del recedente è idonea a coinvolgere la collettività dei creditori 64 , dunque sia i soci che i terzi. In un
caso del genere il conflitto fra soci e creditori rimarrebbe solo ipotetico e comunque
esterno rispetto alle dinamiche della società, venendo risolto in base alle regole del
concorso 65 .
Si arriva a comprendere che la questione dell’ammissibilità del recesso, anche
rispetto all’azionista che abbia acquistato la partecipazione fra la data di registrazione e
la data dell’assemblea, deve essere inquadrata sul piano del conflitto fra soci in ordine
alla modifica dell’operazione di investimento e non in base a principi d’ordine
organizzativo 66 .
non pare, tuttavia, che la previsione dell’opposizione dei creditori valga a dover mutare il pensiero di
fondo che valuta il recesso ed i suoi effetti indipendentemente dagli interessi propri dei creditori.
61
In ciò risulta confermata e valorizzata la prospettazione di FERRI jr, op. ult. cit., 169.
62
Accoglie questa prospettiva ANGELICI, La riforma, cit., 87 ss. In particolare l’Autore riconduce i
poteri di voice e di exit al medesimo profilo della capacità di influire, direttamente od indirettamente,
sull’attività sociale. Tale impostazione, se certamente utile nell’esame della dialettica fra i poteri dei soci
nell’ambito delle società a responsabilità limitata o nelle società per azioni chiuse, non arriva tuttavia a
rappresentare correttamente il fenomeno nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,
ove prevale il profilo finanziario della partecipazione. In ordine alla maggiore attitudine al
disinvestimento delle partecipazioni in società quotate ed al ruolo dell’exit nell’ambito dell’azione
collettiva cfr. PERNA, Public company, cit., 172 ss.
63
Così G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2006, 276 ss.
64
Cfr. per questa ricostruzione della funzione di garanzia del patrimonio sociale: G. FERRI jr, Impresa
in crisi e garanzia patrimoniale, in Diritto fallimentare, Milano, 2008, 33 ss.
65
Si ricorda a questo proposito che il pregiudizio per i creditori può in linea astratta realizzarsi
nell’ipotesi in cui la perdita conseguente al rimborso superi o eguagli il capitale sociale ed il patrimonio
sociale divenga, per fatti sopravvenuti, insufficiente a soddisfare gli altri creditori. Rileva a tal proposito
FERRI jr, Investimento, cit., 174 in nt. 101, che, in questo caso, il credito del socio al rimborso della
quota debba ritenersi postergato rispetto a quello degli altri creditori sociali. La ricostruzione vale altresì a
negare che, anche in quest’ipotesi, i creditori vengano a subire un pregiudizio dall’esercizio del recesso
66
Peraltro, neppure da un punto di vista sostanziale, il recesso dovrebbe ritenersi ostacolato nell’ambito
delle società ad elevata diffusione dell’azionariato, cui le stesse disposizioni della Direttiva 36/2007/CE
20
La premessa in ordine alla funzione dell’istituto del recesso e alla sua
collocazione nella disciplina dell’investimento, piuttosto che in quella
dell’organizzazione, è idonea a fondare le ragioni della stessa disciplina dell’esercizio
del diritto.
Quanto finora detto consente di trarre le opportune conseguenze sul piano della
legittimazione, ricavando altresì ulteriori indicazioni dalla stessa disciplina positiva di
cui all’art. 2437 ss. c.c.: su questi presupposti, come si è visto, si renderà allora
possibile costruire il rapporto esistente fra diritto di voto ed esercizio dei diritti che
conseguono all’adozione della deliberazione assembleare.
6. Presupposti dell’impugnazione della deliberazione assembleare e del recesso:
dalla disciplina dell’organizzazione alla disciplina dell’investimento. - La difficoltà
sopra segnalata di giustificare il recesso sulla base dei medesimi presupposti fondanti il
diritto di impugnare la deliberazione annullabile trova causa, non solo in ragioni di
carattere normativo, ma prima ancora, come s’è visto, d’ordine concettuale.
Venendo ora al primo dei profili segnalati è doveroso notare come non sia un
caso che il dettato normativo individui i presupposti legittimanti l’esercizio
dell’impugnativa sulla base di indici formali consistenti nel contegno assunto dal socio
in sede assembleare, e riconoscibile da parte dell’organizzazione stessa nei termini di
assenza, dissenso ed astensione (art. 2377 c.c.). Al contrario l’art. 2437 c.c. usa una
formula volutamente ampia, disponendo che legittimato a recedere è il socio che non
abbia concorso all’adozione della deliberazione.
Se esaminato nella prospettiva della funzione della prerogativa, come sopra
precisata, il dato testuale finisce per essere espressivo dei significati fondanti l’istituto
del recesso e, di conseguenza, diviene altresì idoneo a chiarirne il rapporto con il voto
espresso in ambito assembleare.
Già nel regime antecedente la riforma delle società di capitali si discuteva della
formulazione dell’art. 2437 c.c. e della possibile interpretazione della nozione di
“dissenso”, a differenza della più articolata previsione dell’art. 2377 c.c., in via
indipendente rispetto al momento collegiale della deliberazione 67 . Se ne ricavava,
pertanto, che il dissenso fondante il recesso dovesse ritenersi disgiunto dalla sua
espressione formale nell’ambito del procedimento assembleare, laddove l’espressione
del voto, se di contenuto conforme all’adozione della deliberazione modificativa, ne
costituiva l’unico limite all’esercizio.
Questa prospettiva è ancor più avvalorata dall’attuale dettato della norma: il fatto
negativo in base al quale si rende riconoscibile la legittimazione al recesso è
determinato, a norma dell’art. 2437, comma 1, c.c., nel non aver concorso all’adozione
della deliberazione 68 . Il che vale a sottolineare che il presupposto del recesso si stacca
espressamente sono indirizzate. In quest’ambito l’esercizio del recesso rappresenta difatti una vera e
propria tecnica “neutrale” di disinvestimento al pari dell’alienazione delle partecipazioni.
67
La tesi è di GALLETTI, op. ult. cit., 156: “..il binomio recesso – collegialità è fallace: ben può
concepirsi una modifica organizzativa adottata da un «collegio» cui il socio non solo non ha partecipato,
ma nemmeno avrebbe potuto intervenire; eppure anche in questo caso egli potrebbe «dissentire», ed
esercitare il recesso”. Si è già detto (in nota 49) come l’Autore, a seguito della riforma delle società di
capitali, abbia più recentemente puntualizzato questo orientamento valutando il contegno assembleare del
socio come necessario ai fini della legittimazione all’esercizio del diritto di recesso.
68
Rispetto al rapporto fra espressione del voto e recesso si ricordano, anche sotto il profilo
dell’ammissione del socio astenuto all’esercizio del diritto: ROSSI, op. cit., 159; GRIPPO, op. cit., 175;
GALLETTI, Il recesso, cit., 235 ss. A seguito della riforma delle società di capitali le riflessioni in ordine
alla legittimazione all’esercizio del recesso tendono per lo più in modo unitario a valorizzare,
diversamente da quanto ritenuto in questo scritto, il collegamento con il voto espresso in assemblea e,
quindi, con le ipotesi di assenza, astensione ed assenza del socio rispetto alla delibera di cui all’art. 2377
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definitivamente dal dato formale del contegno assunto dal socio in sede assembleare
(come identificato rispetto all’impugnazione della deliberazione annullabile nei termini
di dissenso, astensione ed assenza) ed accede ad un profilo che non nel presupposto è
organizzativo, ma che, solo negli effetti, potrebbe essere destinato, nei termini sopra
precisati, ad avere riflessi sull’organizzazione.
Ciò comporta che, mentre l’impugnativa è prerogativa che il socio esercita
contro l’organizzazione ed è pertanto ammissibile solo per effetto del riconoscimento
formale del potere da parte dell’organizzazione stessa 69 , il recesso si esercita invece
nell’organizzazione, in quanto non persegue la modifica dell’assetto organizzativo,
bensì mira alla modifica della singola operazione di investimento, attraverso il
disinvestimento 70 .
Vale precisare che il voto espresso dal socio in assemblea non rappresenta
neanche l’indice quantitativo in base al quale si rende possibile “misurare” il recesso. In
base alla previsione, a norma dell’art. 2437, comma 1, c.c., dell’esercizio parziale 71 , il
recesso può, per così dire, “quantificarsi” in misura non proporzionale alla “quantità”
del voto, diversamente da quanto accade rispetto alle deliberazioni invalide che possono
essere impugnate in base all’indice “unitario” rappresentato dalla sussistenza della
qualità di socio al momento in cui l’azione è esercitata.
Ne deriva con ogni evidenza che il recesso (a differenza del diritto di impugnare
le deliberazioni annullabili) è prerogativa non riconducibile - né sul piano della
funzione, come si è visto esterna all’organizzazione, in quanto realizza un interesse
individuale al disinvestimento, né sul piano della disciplina - al significato
organizzativo delle azioni, intese come unità di misura dei diritti sociali, ed è pertanto
destinata a trovare un diverso legame con la partecipazione azionaria, intesa invece
come strumento di investimento in un’impresa 72 .
Queste considerazioni, unitamente alla possibilità che il recesso sia esercitato in
presenza di modifiche extrassembleari, dunque indipendentemente da una
manifestazione di voto, se da una parte inducono ad un approccio sostanziale, piuttosto
che formale, nell’esame della prerogativa de qua, dall’altra chiariscono come il suo
esercizio non trovi causa nel dato formale del voto espresso in assemblea, come tale
riconoscibile in base ai principi dell’organizzazione, bensì esprima una facoltà che trae
origine nella disciplina che la società appresta all’investimento ed alla sua liquidazione.
Può allora confermarsi che la legittimazione all’esercizio del recesso non è
regola che si può ricavare nell’organizzazione, ma deriva direttamente dalla posizione
c.c. Cfr.in questi termini: M. CALLEGARI, Commento sub art. 2437, in Il nuovo diritto societario,
diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, vol. II, Bologna – Roma, 2004, 1392; DI
CATALDO, op. cit., 242; GALLETTI, op. loc .ult. cit.
69
Cfr. ZANARONE, op. cit., 287 sottolinea come il diritto di impugnativa della delibera assembleare
spetti a quei soggetti che siano in una posizione di “soggezione” rispetto al potere assembleare, ovvero ai
soci assenti, dissenzienti od astenuti. Così anche FERRI, Le società, cit., 652.
70
Il diritto di recesso ha come limite esplicito l’espressione del voto favorevole alla deliberazione
modificativa, non potendosi tuttavia escludere che il socio non vi sia ugualmente legittimato qualora vi
abbia concorso indipendentemente dalla manifestazione di voto. La nuova formulazione dell’art. 2437
nell’individuare nel socio che “non ha concorso” all’adozione della deliberazione il legittimato a recedere
pone, nell’ottica accolta in questo lavoro, il compito di dover chiarire di volta in volta se il socio assente
sia effettivamente legittimato a esercitare la prerogative anche se possa aver concorso all’adozione della
decisione attraverso comportamenti extrassembleari.
71
Sottolinea come la previsione del recesso parziale “sgombra il campo dall’ipocrisia che il socio intende
sottrarsi al volere della maggioranza con l’estremo strumento a sua disposizione”: PACIELLO,
Commento sub art. 2437 , in Società di capitali, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, Napoli,
2004, 1108.
72
Per questa ricostruzione il riferimento è a FERRI jr, Investimento e conferimento, cit., passim e
LIBONATI, Il ruolo dell’assemblea, cit., 88.
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assunta per effetto della partecipazione all’operazione di investimento, ovvero dal
possesso azionario alla data in cui la decisione modificativa è assunta.
E’ quindi sulla base di queste argomentazioni che può considerarsi l’opportunità
di ammettere all’esercizio del diritto di recesso il socio che abbia acquistato la
partecipazione fra la data della registrazione e la data dell’assemblea e che per ciò
stesso non abbia concorso all’adozione della delibera, considerando che il voto
favorevole eventualmente espresso dall’ex socio legittimato a partecipare all’adunanza,
secondo le previsioni dell’art. 7 della Direttiva 36/2007/CE, non costituisce un
necessario limite all’esercizio della facoltà di disinvestire.
LORENZA FURGIUELE
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