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12°Zadankai 20 giugno 2013

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12°Zadankai 20 giugno 2013
TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°351!
20 GIUGNO 2013
ZADANKAI
Continuare
a crederci
di Laura Barbieri
La convinzione illusoria che ci fa dubitare dell'immenso potere della nostra vita e di quella degli
altri è sempre in agguato dentro di noi e, indipendentemente dagli anni di pratica, si ripresenta
sempre quando siamo di fronte a un grande ostacolo. Ma "diventare un Budda" significa proprio
riconoscerla, affrontarla e smentirla ogni volta, con la preghiera, con le azioni, e con i risultati.
Mantenere la fede è un'espressione che suscita immediatamente un senso di pesantezza, come mantenere la linea, mantenersi in forma o mantenere vivo il rapporto. Come se il corso delle cose fosse inevitabilmente di segno opposto e si dovesse resistere all'inesorabile decadimento di ogni aspetto della vita. E
in fondo in natura è così, tutto ciò che nasce segue una parabola che raggiunge il culmine per poi discendere. Anche il principio dei dieci mondi spiega chiaramente che ogni persona può sperimentare
dieci possibili modi di essere in ogni istante, ma che mentre i mondi "bassi" sgorgano automaticamente,
per accedere a quelli "alti" occorre forza vitale. Nichiren Daishonin lo afferma senza sfumature: «Il male
vince di gran lunga sul bene» (SND, 4, 246. Letteralmente: «Il bene è lungo un pollice e il demone è lungo un piede», WND, 1026), cioè senza alcuno sforzo prevale naturalmente l'aspetto negativo, il conflitto, il degrado. In questa prospettiva "mantenere tonico" qualcosa diventa una faticosa nuotata controcorrente. Eppure la pratica buddista ci è stata presentata come un mezzo per vivere felici, sostenuti e
protetti da un ambiente favorevole. Quindi, se questo non accade e tutto sembra faticoso, stiamo sbagliando qualcosa oppure è la pratica stessa che "non funziona"?
Il valore del dubbio
Non è un dubbio da censurare frettolosamente, tanto più che pare l'abbia espresso anche Shijo Kingo,
uno dei discepoli più vicini a Nichiren Daishonin, il quale allora colse l'occasione per chiarire i termini
della questione attraverso una lettera che prenderà poi il titolo La difficoltà di mantenere la fede.
GRUPPO PROMONTORIO!
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TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°351!
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È stata scritta nel 1275 da Minobu in un momento veramente pericoloso e difficile per Shijo Kingo. Il
feudatario del quale è al servizio vuole che rinunci alla propria fede e i suoi colleghi tentano di approfittare del suo isolamento per eliminarlo. Shijo Kingo pratica il Buddismo da diciannove anni; quando Nichiren doveva essere condannato a morte sulla base di false accuse, lo accompagnò fino all'ultimo, pronto a morire al suo fianco; poi lo visitò e lo sostenne durante il successivo esilio a Sado; inoltre aveva cercato di convertire il proprio signore nonostante questi fosse un seguace di Ryokan, acerrimo nemico di
Nichiren Daishonin. Di fronte ad avversità di ogni genere ha dimostrato di essere una persona dalla dedizione immutabile, coraggiosa, determinata e salda nelle proprie convinzioni. Questa nuova situazione
fa però emergere un dubbio: com'è possibile essere sommersi dalle difficoltà quando il sutra promette
pace e sicurezza in questa vita e circostanze favorevoli nella prossima? Forse Shijo Kingo non espresse
realmente questo dubbio, riferito a Nichiren da un altro discepolo, Nissho, tuttavia il Daishonin scrive:
«In qualunque caso, approfitterò di questa opportunità per risolvere qualsiasi dubbio tu possa avere»
(SND, 4, 153). Non c'è ombra di giudizio nella risposta di Nichiren, non liquida la questione chiedendo
com'è possibile che dopo tanti anni ancora non sia chiaro questo punto, non si domanda come abbia
potuto aprirsi una falla nella fede del suo discepolo. Utilizza invece l'opportunità fornita dal dubbio per
chiarire una cosa importante. E in questo risiede già un'indicazione utile per mantenere la fede, e cioè il
fatto che ogni momento e ogni problema richiedono una nuova partenza. Non ci sono precedenti in
grado di garantire la vittoria né posizioni di rendita, non c'è un'anzianità di pratica che costituisca di per
sé una certezza, ci sono invece esperienze che si sono concluse con un arricchimento della fede, ma di
fronte a una nuova difficoltà occorre essere disposti a rinnovarsi. Lo stesso vale per le esperienze negative, perché le scelte sbagliate e le sconfitte del passato non ci condannano eternamente alla serie B della
vita, non costituiscono un'ipoteca perenne sul nostro futuro, se siamo decisi a cambiare. Questo principio fa della vita umana un'attività creativa, perché si può scegliere il momento, qualunque sia stato il
passato, in cui dare inizio a un futuro di felicità. E Nichiren Daishonin mostra di guardare così alle circostanze della vita: nessun giudizio, nessuna classificazione secondo i livelli di fede, semplicemente l'invito ad approfondire la fede. Anche il dubbio, invece di essere letto come un rivelatore di scarsa fede,
diventa un momento importante per cambiare punto di vista e procedere al rinnovamento. Anzi, portare in superficie un elemento che invisibilmente indebolisce il potere della preghiera e farlo diventare un
punto di forza è di fondamentale importanza nel viaggio della fede, come ribadisce lo stesso Nichiren al
termine di una lettera successiva: «Se non fai domande e non risolvi i tuoi dubbi, non puoi disperdere le
oscure nuvole dell'illusione, così come non potresti percorrere mille miglia senza gambe. Fatti leggere
questa lettera più e più volte e poni qualunque domanda desideri» (SND, 4, 253).
Perseverare di fronte alle difficoltà
Chiarita l'utilità di ogni dubbio, Nichiren Daishonin risponde: «Molti vengono a conoscenza di questo
sutra e lo accettano ma, quando sorgono grandi ostacoli, proprio come gli era stato annunciato che sarebbe accaduto, pochi lo ricordano e lo tengono bene in mente. Accettare è facile, continuare è difficile.
Ma la Buddità si trova nel mantenere la fede. Chi abbraccia questo sutra dovrebbe essere pronto a incontrare difficoltà. È comunque certo che "[...] conseguirà l'insuperata Via del Budda". "Mantenere la
fede" vuol dire serbare nel cuore Nam-myoho-renge-kyo il principio più importante per tutti i Budda
delle tre esistenze. Nel sutra si legge: "proteggeremo e sosterremo quello che il Budda ci ha affidato". Il
Gran Maestro T'ien-t'ai affermò: "Si riceve grazie al potere della fede e si continua grazie al potere del
pensiero costante"» (WND, 471, vedi anche SND, 4, 153-154). Il significato di queste affermazioni viene
chiarito da Daisaku Ikeda con la consueta semplicità e chiarezza: «Con il Buddismo di Nichiren
Daishonin è facile manifestare istantaneamente la Buddità perché il Daishonin ci ha insegnato la strada
sicura per farlo e quando la intraprendiamo giungiamo rapidamente a un punto in cui il mondo di Buddità emerge nella nostra vita. La cosa importante è perseverare nella pratica buddista nonostante le difficoltà della realtà quotidiana, continuare senza posa ad avanzare senza perdere lo splendore del sole
della Buddità, anche quando siamo circondati dall'oscurità che minaccia di ottenebrare il mondo di
Buddità negli altri e nella società. Questa è la pratica del Buddismo di Nichiren e la pratica della propagazione della Legge mistica. [...] Diventare un Budda è facile ma continuare a far risplendere la Buddità
nella nostra vita è difficile. La vera via della pratica buddista consiste proprio nel mantenere lo splendore di questa condizione vitale» (MDG, II, 202-203).
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Se grazie a Nam-myoho-renge-kyo e al Gohonzon fare emergere la condizione vitale di Buddità è facile,
la difficoltà sta poi nel mantenerne lo splendore a contatto con i problemi della vita. Perché il punto
centrale è proprio la naturale propensione umana a credere che la vita sia priva del potere illimitato di
vincere ogni sofferenza. Questa convinzione, di cui spesso non si ha consapevolezza, è talmente radicata
in noi che l'azione di estirparla richiede un impegno implacabile.
Nessuno è impotente
È sempre Ikeda a definire precisamente l'oscurità che avvolge la vita delle persone: «L'illusione fondamentale e l'offesa alla Legge consistono nel dubitare che tutte le persone posseggano la natura di Budda;
rappresentano la pulsione a negare la dignità intrinseca della propria vita e di quella degli altri. Quando
le persone sono incapaci di credere nella propria natura di Budda e nella propria dignità innata perdono
la fiducia fondamentale in se stesse; sono preda di un'ansietà senza fine, dominate dalla paura e dalla
viltà e quando si sentono minacciate reagiscono scalciando alla cieca come animali presi in trappola.
Inoltre, tormentate da un senso di sfiducia, diventano invidiose e gelose degli altri» (MDG, II, 187-188).
È un'analisi in cui Ikeda mette in evidenza la relazione fra una serie di comportamenti umani e la loro
causa, cioè la negazione della dignità della vita. Per questo è necessario, affrontando le difficoltà, combattere attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo i sentimenti di impotenza, inutilità, inadeguatezza e il timore di essere sconfitti. I problemi e le difficoltà fanno emergere immediatamente tutta
la sfiducia nel potere della vita, e la vera difficoltà sta allora nella lotta per contrastare e trasformare la
negazione in fiducia. Così "mantenere la fede" è il processo di incessante trasformazione dell'illusione
fondamentale di cui parla Ikeda, che si rigenera costantemente e quindi va affrontata ogni volta che si
manifesta. Inoltre, anche nella sua ultima Proposta di pace inviata all'ONU, Ikeda sottolinea il fatto che
la pace può essere realizzata esclusivamente attraverso l'impegno di ogni persona nel costruire una personalità così salda da farsi carico dell'era della globalizzazione e «l'importanza di affrontare la situazione
generale attraverso la quotidianità» (BS, 115, 13). L'oscurità che avvolge la vita umana può essere dissipata,
in sostanza, da ognuno di noi attraverso la continua sperimentazione del potere di Myoho-renge-kyo
nella realtà di ogni giorno. Ikeda evidenzia, ancora una volta, il legame profondo che unisce ogni vittoria
contro la sfiducia nella vita, e ci rende protagonisti di kosen-rufu. Per questo scrive: «Nella vita non c'è
un ordine gerarchico. Tutta la vita ha un valore inestimabile. Dobbiamo educare i bambini e gli adulti in
modo che nessuno si senta impotente» (Saggezza, 2, 147). In questa prospettiva l'aspettativa o la pretesa
di non incontrare problemi e sofferenze appare del tutto infondata, mentre è cruciale avere cura delle
risorse necessarie per affrontare questi inevitabili aspetti della vita. È sempre Ikeda che dice: «Il Sutra
del Loto afferma che il Budda ha "poche malattie e poche preoccupazioni", dunque anche chi diventa
Budda continua ad avere preoccupazioni e sofferenze e naturalmente va soggetto a malattie. Inoltre
proprio perché si dedica alla verità e alla giustizia è destinato a essere assalito da ogni tipo di ostacolo o
demone. L'idea che ottenere l'Illuminazione significhi vivere per sempre liberi dagli ostacoli e dalle funzioni negative non fa parte del Buddismo. Piuttosto l'immensa condizione vitale del Budda dà la forza
interiore e il potere di affrontare senza paura tali dure prove e di trovare in sé la saggezza e la capacità di
agire necessarie per superarle» (MDG, 2, 325). Allora nella promessa di pace e sicurezza in questa vita si
rivela la descrizione della condizione vitale con cui affrontare i problemi e manifestare grazie a loro lo
"splendore" della Buddità. Dato che incontrare problemi è una certezza, l'unico elemento variabile è
come li si possa affrontare. Attivando la condizione vitale del Budda si sperimenta la possibilità di non
perdere la speranza, di lottare e soffrire mantenendo integra la convinzione di avere il potere di superare
le avversità presenti. Vivere in pace e sicurezza significa sviluppare una condizione interiore di serenità e
felicità indipendente dalle circostanze, una condizione in cui non ci si sente impotenti o sconfitti anche
durante i momenti più dolorosi. La spiegazione di Ikeda, affermando che non esiste una fase in cui i
problemi e le preoccupazioni scompaiono, sgombra il campo dal tipico dubbio: «Ancora un problema,
ma dove sto sbagliando?». Il Buddismo mette in chiaro che vivere significa incontrare problemi, quindi
dovremmo preoccuparci di potenziare le risorse per affrontarli serenamente, invece che rifiutare di accettare questa condizione della vita. Anche in questo caso la chiave per vivere in pace e sicurezza è da
ricercarsi dentro di sé, e non nelle circostanze esterne.
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Cosa si può fare
Il continuo impegno a trasformare la sfiducia in fiducia si rafforza poi con tutte le azioni che promuovono, sostengono e lodano la presenza della Buddità nella vita degli altri. Spesso in momenti particolarmente difficili basta un'azione in questa direzione, come raccontare un'esperienza, andare a trovare
qualcuno che sta male, recitare Daimoku per un'altra persona o fare shakubuku nonostante tutto, per
trovare un'intensità nuova nella fede e vincere. E viceversa, nel senso che la trasformazione di sofferenze personali pesanti e tenaci ci porta ad avere fiducia nella possibilità altrui di cambiare. Continuare a
credere negli esseri umani e a desiderare la pace, cioè in fondo mantenere la fede, è sicuramente il compito più difficile che ci si possa assumere, ma è l'unica strada per non essere divorati dal resto, dalla rinuncia, dall'ambizione, dal denaro e dalle sofferenze.
Per concludere con le parole di Daisaku Ikeda: «Una persona che ha fatto sorgere il sole della Buddità
nel proprio cuore illumina tutti intorno a sé con il suo splendore. Questo è il significato di abbracciare e
mantenere la fede. Perciò non dobbiamo mai stancarci di dialogare. Farlo è arduo, a causa della difficoltà di mantenere la fede, degli ostacoli causati dalle varie funzioni demoniache che aborriscono la luce e
dalle reazioni delle persone accecate dall'illusione e dall'ignoranza fondamentale. Ma continuare a risplendere come un sole nonostante tutti questi ostacoli è il significato essenziale di abbracciare la Legge mistica» (MDG, 2, 201).
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