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24 marzo 1944 Le Fosse Ardeatine
24 marzo 1944 Le Fosse Ardeatine Nel pomeriggio del 24 marzo 1944 i Nazisti iniziano a fucilare centinaia di italiani in una serie di gallerie sotterranee abbandonate lungo la via Ardeatina. L’azione avviene ad appena 24 ore dall’attentato che un gruppo di gappisti ha compiuto in via Rasella, a Roma, contro un reparto di altoatesini in servizio di polizia per la Wehrmacht, che occupa la Città Eterna. Tra le vittime, 335, vi sono ben dodici Carabinieri, tra Ufficiali, Sottufficiali ed Appuntati/Carabinieri: il gruppo più numeroso di militari della stessa Arma. LA RESISTENZA A ROMA Fin dal 9 settembre 1943 i partiti antifascisti costituiscono a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale(CLN), assumendosi il compito di dirigere il movimento di liberazione in tutta l’Italia occupata; tale ruolo nella città di Roma viene assunto, a partire da ottobre, da una Giunta militare composta da Giuseppe Spataro per la Democrazia Cristiana, Giorgio Amendola per il Partito Comunista Italiano, Sandro Pertini per il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Riccardo Bauer per il Partito d'Azione, Manlio Brosio per il Partito Liberale Italiano e Mario Cevolotto per il movimento “Democrazia del Lavoro”. Sebbene il compito del CLN fosse quello di animare e coordinare la resistenza civile e militare, il suo contributo a Roma rimane scarso ed episodico, cosicché l'iniziativa militare viene presa dai singoli partiti e in particolare da quelli di sinistra, i quali – meglio organizzati e più forti – si muovono in sostanziale autonomia, o dai gruppi che non fanno capo ai sei partiti del CLN. I motivi per i quali la Giunta militare del CLN non riesce a produrre un’azione efficace sono principalmente due: in primo luogo, l’entità del contributo alle azioni militari è estremamente diversa da partito a partito, così da rendere irrealistico attribuire il medesimo peso a ciascun di essi in sede di deliberazione collegiale; in secondo luogo, vi è una fondamentale divergenza politica, in seno alla Giunta, sul tipo di azioni da compiere: comunisti, socialisti e azionisti sono infatti intenzionati ad effettuare veri e propri atti di guerra, inclusi gli attentati terroristici, contro i nazifascisti; per contro democristiani, liberali e demo-laburisti (concordi, in questo, con il Vaticano) intendono limitarsi ad atti di propaganda non armata e di sabotaggio1. Tale disaccordo di fondo nel CLN2 fa sì che, nella pratica, ciascun partito decida in modo autonomo quali azioni intraprendere, sebbene il carattere unitario del CLN rimanga formalmente impregiudicato; il ruolo più importante viene allora giocato dal PCI che, nei nove mesi di occupazione tedesca, arriva a contare nella Capitale sull’apporto di circa tremila militanti3. I Gruppi di Azione Patriottica (GAP) sono l’organizzazione attraverso cui il PCI opera nella resistenza armata romana: ne sono costituiti quattro (per un totale di circa trenta militanti) dotati di autonomia operativa e coordinati da un organo apposito capeggiato da Antonello Trombadori, fino al suo arresto, e successivamente da Carlo Salinari. I GAP si rendono protagonisti di numerose azioni: la prima il 18 ottobre 1943, quando attaccano con bombe a mano un corpo di guardia della Milizia; poi, dal dicembre 1943 al marzo 1944, attaccano pressoché ogni giorno mezzi e uomini dei nazifascisti. Fra le loro azioni più importanti ricordiamo un attacco con bombe a mano contro militari tedeschi il 18 dicembre; un attentato dinamitardo contro il Tribunale di guerra tedesco il 19 dicembre; un attentato con spezzoni esplosivi contro un corteo di volontari della Guardia Nazionale Repubblicana nel mese di marzo. A nessuna di queste azioni segue una specifica rappresaglia tedesca su ostaggi civili, benché in esse muoiono complessivamente più di dieci uomini dell’esercito occupante. Gli altri partiti, fra quelli del CLN che optano per la resistenza armata, non riescono a sviluppare azioni altrettanto numerose: il Partito d’Azione realizza un attentato dinamitardo contro una caserma della Milizia il 20 settembre 1943, ma in seguito si dedica in prevalenza ad azioni di sabotaggio; il PSI realizza svariati sabotaggi e attentati individuali soprattutto in alcuni quartieri periferici. Tra le formazioni politiche della Resistenza romana che operano al di fuori del CLN la più notevole è il gruppo Bandiera Rossa: fra le sue numerose azioni si può menzionare l’assalto al Forte Tiburtino del 22 ottobre 1943, che si conclude tuttavia con l’arresto di ventidue militanti, di cui dieci sono fucilati il giorno successivo. Tra i gruppi di resistenti che non fanno capo ad alcun gruppo politico vi è il Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri guidato dal Generale di Divisione, già in congedo, Filippo Caruso. All’indomani della deportazione di almeno millecinquecento 1 La Chiesa in particolare ha una posizione molto sfavorevole alle azioni armate di resistenza perché non le ritiene utili in generale alla causa, provocando altresì le feroci rappresaglie naziste, e perché teme che tali azioni possano aumentare l’influenza della componente di estrema sinistra. 2 Il comunista Amendola lo definirà “più un centro di discussioni, spesso anche accademiche, che un organo di lavoro e di lotta” 3 Si consideri che il totale dei partigiani di ogni tendenza nella provincia di Roma, inclusi i comunisti, sarà poi riconosciuto in seimiladuecento Carabinieri di stanza nella Capitale, avvenuto già il 7 ottobre 1943, i piani per il passaggio alla clandestinità dei reparti dell’Arma in città e nelle sue prossimità, preparati nel mese trascorso dall’armistizio, scattano con precisione. L’organizzazione si muove in stretto coordinamento col Fronte Clandestino Militare del Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo e già alla fine del 1943 conta, in Roma e nelle regioni del Centro Italia, oltre 6.000 componenti. È ordinato su due strutture: • il “Raggruppamento Mobile”(per azioni di guerriglia), guidato dal Tenente Colonnello Bruto Bixio Bersanetti4; • il “Raggruppamento Territoriale”(per la raccolta e l’analisi informativa), guidata dal Tenente Colonnello Giovanni Frignani; il Capo di Stato Maggiore è il Maggiore Ugo de Carolis, che ha quali addetti i Capitani Raffaele Aversa e Paolo Vigneri. Tra le tante azioni portate a termine possiamo ricordare appena le principali: l’interruzione dei ponti al km.17 della Casilina ed al km.11 della Tiburtina; l’interruzione delle linee telefoniche tedesche della Salaria; l’attacco al Comando di Tappa di Settebagni e alle centrali della zona Garbatella; l’assalto ad una colonna in V.le Africa, con neutralizzazione di numerosi automezzi; un colpo di mano in Viale Medaglie d’Oro contro autocolonna in sosta, nel corso della quale azione i Carabinieri s’impossessano di numerose armi automatiche e munizioni, subito impiegate; l’attacco ad un deposito di viveri ad Acqua Traversa, che assicura nuovi approvvigionamenti all’organizzazione; il forzamento, alla stazione di Monte Mario, di un convoglio militare tedesco, da cui sono sottratti mortai e centinaia di cassette di bombe a mano; infine un lancio di bombe a mano nel cortile interno del Comando SS di Via Tasso. Viene sempre imposto di non provocare perdite umane tra le forze occupanti onde non esporre la popolazione civile al rischio delle rappresaglie5. Lo sbarco di Anzio cambia il quadro tattico; il 22 gennaio 1944 l’intera provincia di Roma viene dichiarata “zona di operazioni” e capo della Gestapo di Roma, responsabile della gestione dell’ordine pubblico, diviene l’ufficiale delle SS Herbert Kappler6: egli 4 Il primo Comandante del I Battaglione CC.RR. Paracadutisti, che non aveva accompagnato sul fronte nordafricano poiché era rimasto vittima di un grave incidente durante il periodo addestrativo, che lo aveva costretto in convalescenza 5 Montezemolo, il 10 dicembre 1943, dirama l’Ordine 333 Op., il cui punto 9 (“organizzazione ed azione delle bande”) comanda l’adozione di forme di resistenza basate sulla propaganda e l’ostruzionismo, in quanto “nelle grandi città la gravità delle conseguenti possibili rappresaglie impedisce di condurre molto attivamente la guerriglia” 6 Era comunque presente in città dall’inizio della sua occupazione, tanto che era stato lui a chiedere a Berlino di spingere sul governo di Salò affinché emanasse l’ordine di deportazione dei Carabinieri romani pianifica frequenti rastrellamenti che portano all’arresto di numerosi sospetti antifascisti ed organizza in via Tasso un centro di detenzione e tortura, creando nella città un clima di terrore. Gli Alleati fanno invece giungere direttive sempre più pressanti di intensificare le azioni di lotta, di non concedere tregua ai tedeschi, anzi di preparare l’insurrezione: effettivamente, nell’illusione di un imminente arrivo dei liberatori, le iniziative di lotta armata si intensificano nella capitale e comunisti ed azionisti tentano addirittura di far scoppiare un’insurrezione, ma all’insuccesso di tale tentativo fa seguito un’efficace azione repressiva dei nazifascisti: vengono catturati importanti esponenti del PdA (fra cui il capo dell’organizzazione militare del partito, Pilo Albertelli), parecchi militanti di Bandiera Rossa, il Colonnello Montezemolo assieme ai suoi più stretti collaboratori, nonché vari fra i più attivi militanti del PCI fra i quali Giorgio Labò e Gianfranco Mattei. Aumentano condanne a morte e fucilazioni, mentre si fanno sempre più frequenti i rastrellamenti contro la popolazione civile per prelevare uomini per il servizio di lavoro obbligatorio: circa duemila uomini sono catturati il 31 gennaio 1944 in un vasto rastrellamento nel centro della città7. A sottolineare quanto invece l’organizzazione dei Carabinieri fosse ritenuta pericolosa dai nazisti, giova ricordare che i suoi vertici sono strenuamente ricercati fin dai primi momenti dell’occupazione: il 2 ottobre 1943 era stato arrestato il T.Col. Manfredi Talamo, già a capo del Centro S.I.M. di Roma, che con il Generale Caruso aveva organizzato un efficiente servizio informativo per far giungere al Comando Carabinieri dell’Italia Meridionale di Bari8 le informazioni sulla situazione in città. L’ufficiale viene inutilmente torturato perché riveli particolari sull’organizzazione resistenziale dell’Arma. La sera del 10 dicembre 1943 i due giovani Tenenti Romeo Rodrigues Pereira e Genserico Fontana, inquadrati nel Raggruppamento Mobile di Bersanetti9, si recano a casa di un uomo d’affari, un certo Realino Carboni, per partecipare ad una riunione col Ten. Col. di Fanteria Giuseppe De Sanctis, stretto collaboratore del Gen. Caruso, e col Brigadiere Candido Manca per riferire circa una missione e ritirare denaro per i propri Carabinieri. All’appuntamento tuttavia trovano le SS, guidate personalmente dal Tenente Colonnello Herbert Kappler, che ha già arrestato il Carboni (solo il Tenente dei Carabinieri Gaetano Tanzi, comandante di un altro Nucleo clandestino, sfugge alla cattura non presentandosi). Il coinvolgimento personale del comandante delle SS dislocate in Roma fa presumere che sia stata data la massima 7 La razzia e la deportazione, nei campi di sterminio, di più di mille ebrei del Ghetto aveva già avuto luogo il 16 ottobre 1943 8 Costituito fin dal 12 settembre, sarebbe stato trasformato in Comando dell’Arma dei Carabinieri dell’Italia Liberata il successivo 15 novembre 9 In particolare Rodrigues Pereira ne è il Capo di Stato Maggiore, appositamente scelto per le sue capacità dal Ten. Col. Bruto Bixio Bersanetti: la sera del 10 dicembre importanza al buon esito dell’operazione, di cui tuttavia si sconosce ancora oggi il delatore. Comunque la sera stessa il T.Col. De Sanctis viene rilasciato mentre Kappler, pur non trovando specifici elementi di colpevolezza in capo ai tre Carabinieri, formula contro di essi la grave, ma generica accusa di spionaggio e complotto contro le Forze Armate germaniche e, verso le 22, li fa tradurre prima alla sede del Comando in Via Tasso, quindi al 3° Braccio di Regina Coeli, a disposizione della polizia tedesca. Lì saranno raggiunti, il 25 febbraio 1944, dalle rispettive consorti, Marcella Rodrigues Pereira e Rina Fontana, che hanno creduto alla possibilità di ottenere la loro liberazione corrompendo un sottufficiale tedesco, il quale tuttavia le fa arrestare, trattenendo ovviamente i soldi raccolti tra i propri familiari dalle due donne10. Il 23 gennaio 1944, mentre si recano ad una riunione operativa, il T.Col. Frignani, il Magg. De Carolis ed il Cap. Aversa sono arrestati dalle SS; sottoposti ad atroci torture nel carcere di Via Tasso affinché rivelino piani e nomi del Fronte Clandestino dei Carabinieri, ma inutilmente, tanto che gli aguzzini traggono in arresto anche le consorti di Frignani e di Aversa e le conducono nella stessa prigione; Frignani viene addirittura torturato di fronte alla consorte per convincerlo a cedere e parlare, ancora inutilmente. VIA RASELLA Il 23 marzo 1944 è il 25° anniversario della nascita dei Fasci Combattenti ed i fascisti vorrebbero ricordare solennemente tale anniversario con una adunata di massa vecchio stile, ma i nazisti sono contrari non sapendo come valutare la reazione della popolazione ad un evento del genere11. Il federale Giuseppe Pizzirani, Segretario del PNF di Roma e fautore dell’iniziativa, che si sarebbe dovuta tenere al Teatro Adriano, si rivolge dunque al Ministro dell’Interno della RSI, Buffarini Guidi, per esortare il Duce a far pressione sugli alleati se non direttamente su Hitler, ma a quest’ultimo la questione non arriverà mai poiché Rahm e Wolff, d’accordo con Maeltzer e Kappler, sono irremovibili: la celebrazione deve avvenire in una sala al chiuso, per cui viene scelta la sede del Ministero delle Corporazioni, in Via Veneto. Vengono comunque predisposte ingenti misure di protezione, visto che numerose voci su attentanti circolano in continuazione. Al termine della celebrazione, cui partecipano Buffarini Guidi ed Eugen Dollmann (rappresentante di Himmler a Roma), Friedrich Moellhausen (il Console Generale dell’Ambasciatore presso la RSI Rudolf Rahn) 10 Le due donne saranno liberate solo il successivo 4 aprile 1944 Il comando tedesco aveva vietato ai fascisti repubblicani di svolgere manifestazioni pubbliche dopo che il 10 marzo, giorno in cui la RSI commemorava l’anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, un corteo di fascisti che marciava con alla testa gli appartenenti alla Milizia “Onore e combattimento” era stato colpito in via Tomacelli dall’assalto con bombe a mano di un gruppo di gappisti, riportando tre morti e vari feriti 11 racconterà di essersi affacciato alla finestra per prendere un boccata d’aria, quando all’improvviso aveva sentito diverse esplosioni: erano le bombe dei gappisti Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna, Carla Capponi ed Alfio Marchini, la via dell’attentato è via Rasella nel momento in cui veniva attraversata da un reparto di sussidiari delle SS, tutti originari dell’Alto Adige. Giorgio Amendola dichiarerà di essere stato lui ad aver ideato l’azione partigiana, senza informarne preventivamente gli altri membri della giunta, come da consuetudine, per “ragioni di sicurezza cospirativa” e di aver scelto personalmente il Polizeiregiment “Bozen” quale obiettivo avendo notato la quotidiana puntualità del Reggimento nel passare per via Rasella di ritorno dalle esercitazioni di addestramento a piazzale Flaminio; successivamente aveva dato ordine al comando dei GAP di progettare l’attentato nei particolari operativi. Per alcuni giorni sono studiati gli spostamenti di questi soldati, che percorrono in tenuta di guerra le strade di Roma cantando, preceduti e seguiti da pattuglie motorizzate munite di mitragliatrice pesante: è l’11ª compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, composta da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, altoatesini arruolati nella polizia in seguito all’occupazione tedesca dopo il 1º ottobre 1943 delle province di Bolzano, Trento e Belluno (riunite nel cosiddetto “Alpenvorland”, sul quale la sovranità della RSI è solo nominale). In seguito ai diversi appostamenti si appura che tale compagnia percorre quotidianamente lo stesso tratto di strada12 alla stessa ora (verso le due del pomeriggio) e che il punto migliore per attaccarla sarebbe stata appunto via Rasella, una strada in salita poco frequentata, scelta, oltre che per creare un imbottigliamento alla compagnia, anche per la scarsa presenza di botteghe e portoni, che porta ad uno scarso transito di civili. Per l’esecuzione dell’attacco vengono impiegati i GAP centrali, così disposti: Rosario Bentivegna (“Paolo”), studente in medicina, travestito da spazzino parte dal deposito gappista nei pressi del Colosseo, con il carretto contenente un ordigno composto da “uno spezzone di ghisa riempito con dodici chili di tritolo, più altri sei chili di tritolo sfusi sopra, con altri pezzi di ghisa sparsi di misura diversa” accanto al carretto; Carla Capponi (che ha un impermeabile nascosto, da mettere addosso allo stesso Bentivegna per coprirne la divisa da spazzino, ed una pistola sotto i vestiti), in cima alla via; Fernando Vitagliano, Francesco Curreli, Raul Falcioni, Guglielmo Blasi ed altri vicino al Traforo; nei pressi Silvio Serra; all’angolo di via del Boccaccio si trova Franco Calamandrei; alcuni altri gappisti sono sistemati per coprirne la fuga. I GAP devono attendere circa due ore in più rispetto alla consueta ora di transito della compagnia nella via. Poiché il plotone tedesco è seguito da un piccolo gruppo di 12 Dopo essere entrata da Porta del Popolo provenendo dal Flaminio, imbocca Via del Babuino dirigendosi verso via del Tritone; qui, costeggiando l’imbocco del traforo, all’epoca occupato dagli sfollati, entra in via Rasella e, proseguendo, giunge al Viminale (già sede del Ministero dell’Interno, dal dicembre del 1943 trasferito a Salò) dove è acquartierata. bambini, Bentivegna e alcuni altri gappisti li fanno allontanare per evitare che siano coinvolti nell’esplosione e Bentivegna fa inoltre allontanare alcuni operai e chiede ad Orfeo Ciambella, un guardiano di magazzino solitamente appostato all’ingresso, di rientrare (questi però non seguirà l’avvertimento e rimarrà seriamente ferito dall’esplosione). Alle 15.52 Calamandrei si toglie il copricapo, segnale convenuto per avvisare Bentivegna che i tedeschi si stanno avvicinando e che quindi deve accendere la miccia ed allontanarsi velocemente; Bentivegna accende con il fornello di una pipa la miccia, preparata per innescare l’esplosione dopo circa 50 secondi, tempo necessario ai tedeschi per percorrere il tratto di strada compreso tra il punto a valle usato per la segnalazione ed il carretto, posizionato in alto davanti a Palazzo Tittoni. L’effetto è dirompente, in quanto ogni militare del “Bozen” ha cinque o sei bombe attaccate alla cintola, che esplodono causando una reazione a catena. Ma subito dopo l’esplosione due squadre dei GAP, una composta da sette uomini l’altra da sei, sotto il comando di Franco Calamandrei “Cola” e Carlo Salinari “Spartaco” – i capi dei due GAP del centro della città - lanciano quattro bombe da mortaio Brixia modificate per essere usate come bombe a mano (ne esplodono solo tre), dopo il lancio delle bombe a mano, i gappisti Raoul Falcioni, Silvio Serra, Francesco Curreli e Pasquale Balsamo impegnano i tedeschi in uno scontro a fuoco, mentre Capponi e Bentivegna si mettono in salvo raggiungendo poi Carlo Salinari che li attende in Piazza Vittorio. Nell’azione rimangono uccisi due civili: il bambino Piero Zuccheretti (il quale, forse, è entrato in via Rasella dall’angolo con via del Boccaccio, quindi vicino al carretto, proprio nell’attimo della sua esplosione, mentre Bentivegna si sta allontanndo), e un altro civile mai identificato con sicurezza, di cui non si sa nemmeno se sia rimasto vittima dell’esplosione stessa o della successiva sparatoria. Tutti e dodici i gappisti protagonisti dell’attentato restano illesi e sfuggono alla cattura da parte dei tedeschi. Nell’attentato ventotto (ventisei secondo altre fonti) soldati muoiono immediatamente, altri cinque nelle ore immediatamente seguenti, ma il bilancio finale sarà di 42 militari uccisi e di alcuni feriti13. LA RAPPRESAGLIA Fin dai primi momenti successivi all’attentato si scatena la rappresaglia: i miliziani fascisti giunti per primi sul posto 13 Alle ore otto del mattino del 24 marzo si contano 32 morti, numero in base al quale viene calcolato il numero di prigionieri da fucilare secondo la proporzione di dieci per ogni soldato ucciso, ma in seguito muore un trentatreesimo militare, cosicché Kappler aggiunge di sua iniziativa all’elenco dei condannati a morte i nomi di dieci ebrei arrestati in mattinata. prendono a sparare istericamente anche verso le finestre dei palazzi limitrofi, dove sono affacciati cittadini curiosi: in questi convulsi momenti altri quattro civili perdono la vita. Compare sulla scena il comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Mälzer: i militari e la polizia irrompono nelle abitazioni e cacciano fuori gli abitanti per suo ordine, perché in preda alla furia li vorrebbe far fucilare all’istante, Moellhausen invece cerca di calmarlo perché la decisione sul da farsi deve essere presa da Hitler stesso. Il Fuhrer, dopo aver dato l’ordine iniziale di uccidere dai trenta ai cinquanta civili italiani per ogni soldato tedesco ucciso nonché di distruggere l’intera città o quanto meno alcune zone della stessa, dispone che sia compito delle SS di far giustizia, in quanto le vittime ne facevano parte. Il primo a comunicare la notizia a Mussolini fu il prefetto di Salerno, poco dopo Buffarini Guidi, il quale gli descrive la reazione scomposta di Maeltzer “ubriaco come al solito e talmente fuori di se da voler far saltare in aria un isolato”. Ancora Buffarini mezz’ora dopo comunica al Duce le notizie apprese dal Questore di Roma Caruso: i tedeschi andavano convincendosi che per ogni tedesco morto sarebbero stati uccisi 10 italiani, ordine che secondo lui sarebbe stato impartito dal Fuher. Mussolini non riesce a far desistere i tedeschi da questa idea, sebbene tra questi ultimi regni la confusione circa la zona cui ciascuno avrebbe voluto far subire la vendetta, nonché le modalità della stessa. Finalmente il Generale Wolff – Governatore Militare e Comandante supremo delle SS e della Polizia in Italia – dà disposizioni a Kappler di non prendere alcuna decisione fintanto che Rahn non sia giunto a Roma. Intanto in via Rasella, immediatamente dopo la cessazione dei combattimenti, i superstiti del “Bozen” - coadiuvati da altre forze tedesche e fasciste affluite sul posto - iniziano a rastrellare la popolazione della zona circostante, arrestando abitanti e passanti; i rastrellati sono allineati sotto la minaccia delle armi contro la cancellata di accesso a Palazzo Barberini e quindi condotti in parte presso l’Intendenza della PAI, in parte presso il palazzo del Viminale14. Il giorno dopo Wolff arriva in città e fa sapere a Kesselring che Himmler è determinato, oltre a punire i responsabili, anche a eliminare tutti i sospettabili o comunisti per cui dà ordine di cominciare ad organizzare la deportazione di tutta la popolazione maschile dai quartieri più pericolosi, famiglie comprese, rastrellando le persone dai 18 ai 45 anni: la deportazione non avviene solo per problemi di natura tecnico militare, poiché la Wermacht non vuole spostare preziose forze dal fronte per eseguire la folle idea di 14 In particolare, nelle cantine del Viminale sono ammassate circa 300 persone e trattenute per accertamenti sino alla mattina successiva; dieci di questo gruppo saranno poi uccisi alle Fosse Ardeatine Himmler, ma le SS sono ben determinate a sfruttare l’occasione per intimorire Roma. Mentre Kesselring via radio informa la cittadinanza romana che dovrà farsi carico delle spese di risarcimento alle famiglie delle vittime, specificando che tale richiesta sarebbe stato l’ultimo atto di clemenza, a Kappler viene infine affidato l’incarico di fare “giustizia”: 10 italiani per ogni tedesco ucciso. LE FOSSE ARDEATINE L’ordine di eseguire la rappresaglia entro ventiquattr’ore dai fatti sarebbe giunto direttamente da Hitler nella tarda serata del 23 marzo, per cui, mentre sono già in corso le attività per stilare gli elenchi delle persone da fucilare, Kappler dà l’ordine di cercare gli attentatori, ma senza curarsi dell'esecuzione di tale direttiva e senza attivare la polizia italiana15: il Feldmaresciallo Kesselring in persona ha chiarito nella sua testimonianza al processo nel novembre 1946 che non era stata attivata alcuna procedura precedente la rappresaglia per fare appello alla popolazione o agli attentatori, che non era stato emesso alcun avvertimento pubblico riguardo alla rappresaglia e alla proporzione di dieci a uno e che non era stata presentata alcuna richiesta ai partigiani di consegnarsi per evitare l'eccidio. Principale preoccupazione delle autorità tedesche a Roma era stata la necessità di eseguire con la massima rapidità, entro 24 ore e nella segretezza, la rappresaglia e la difficoltà di individuare nel poco tempo a disposizione l’elevato numero di Todeskandidaten richiesto dalla proporzione stabilita dal feldmaresciallo Kesselring e dal Generale von Mackensen16, scelta fatta dopo consultazioni dirette con il Comandante della Wehrmacht, Jodl. Peraltro il Generale Mälzer, subito dopo il primo colloquio con il generale von Mackensen e ancor prima della decisione definitiva del Feldmaresciallo Kesselring, aveva incaricato il colonnello Herbert Kappler di individuare la lista dei prigionieri italiani da eliminare: essendo morti fino a quel momento ventotto soldati tedeschi, il capo della Gestapo a Roma inizia a raccogliere i nomi di 280 Todeskandidaten. Kappler è consapevole della difficoltà di individuare in brevissimo tempo un numero così elevato di persone: nelle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli dispone di circa 290 prigionieri tra uomini e donne, ma una parte non rientrano tra i già condannati a morte o i colpevoli di reati passibili di condanna a morte, mentre le donne sono subito escluse dalla rappresaglia. Kappler decide pertanto di richiedere la collaborazione del 15 Secondo una sentenza del dopoguerra, “La ricerca degli attentatori non costituì l’attività prima del comando di polizia tedesca, ma fu effettuata in maniera blanda come azione marginale e successiva alla preparazione degli atti di rappresaglia” 16 Comandante della 14ª Armata, è il superiore diretto del Generale Mälzer poiché responsabile della zona di guerra della testa di ponte di Anzio, in cui Roma è inserita geograficamente Questore di Roma, Pietro Caruso che, dopo un incontro e alcune discussioni, promette di fornire una lista di cinquanta prigionieri da inserire nell’elenco. Il Colonnello Kappler prende in considerazione anche la possibilità di includere nell’elenco anche i 57 ebrei imprigionati in attesa di essere deportati e si consulta al riguardo col suo superiore diretto, il Generale Wilhelm Harster, Comandante in capo della Polizia tedesca in Italia con comando a Verona, che sollecita il suo subordinato a completare la lista a tutti i costi includendo anche “tutti gli ebrei di cui avete bisogno”. Kappler ottiene anche l’approvazione al suo operato del Giudice Generale del Tribunale Militare tedesco a Roma, Hans Keller, che ritiene, sulla base della legge tedesca di autodifesa, che la proporzione della rappresaglia sia appropriata. Il colonnello attiva quindi i suoi ufficiali, illustra le decisioni delle autorità superiori e dà inizio alla frenetica individuazione dei nomi da inserire nell’elenco: il lavoro degli ufficiali della sezione della Gestapo di Roma, diretto personalmente dal Colonnello Kappler e dal suo aiutante principale, Capitano Erich Priebke, dura tutta la notte. Il lavoro degli uomini del Colonnello Kappler diviene ancor più difficile dopo la notizia arrivata nel corso della notte che il numero dei soldati tedeschi morti in via Rasella è salito a trentadue: diventa quindi indispensabile, per mantenere la proporzione stabilita per la rappresaglia, individuare 320 italiani da condannare a morte. Dalla ricerca iniziale emerge tuttavia che i condannati a morte presenti nelle carceri della Gestapo siano solo tre, membri della Resistenza comunista e azionista, mentre gli uomini candidabili sulla base di accuse per reati passibili di condanna a morte risultano essere sedici. Il Colonnello Kappler include subito anche i 57 ebrei a cui aggiunge i nomi di altri otto antifascisti di religione ebraica; dopo essersi recato alla caserma del Viminale, l’ufficiale individua altri dieci nomi, ritenuti dalle autorità di polizia italiane “noti comunisti”, compresi tra le persone rastrellate sommariamente in via Rasella dopo l’attentato. Nella notte la ricerca di altri Todenskandidaten continua sempre più frenetica: il Capitano Priebke ha descritto come, con il passare delle ore, si era proceduto ad un nuovo controllo degli elenchi dei detenuti ed all’inserimento nella lista di uomini arrestati in attesa di giudizio per “oltraggio alle truppe tedesche”, per possesso di “armi da fuoco o esplosivi” o perché presunti capi di “movimenti clandestini”. Il colonnello Kappler decide così di comprendere tra i condannati il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, l’abile capo del Fronte Militare Clandestino, ed altri 37 militari italiani, tra cui tre Generali e tre Ufficiali dei Carabinieri Reali, compresi i due capitani responsabili dell’arresto del Duce il 25 luglio 1943: si tratta sicuramente del T.Col. Frignani e del Cap. Aversa, probabilmente il terzo dovrebbe essere il Magg. De Carolis, arrestato insieme a loro. Alle ore 03.00 del mattino del 24 marzo il colonnello Kappler, dopo aver aggiunto alla lista anche il sacerdote accusato di “attività comuniste”, don Pietro Pappagallo, ritiene, contando sui 50 nomi promessi dal questore Caruso, di aver raggiunto finalmente il numero di 320 condannati a morte previsti dalla rappresaglia. Alle ore 8 del mattino tuttavia il questore Caruso non ha ancora pronto il suo elenco, nonostante il Ministro dell’ Interno della RSI, Guido Buffarini Guidi, gli abbia detto che sia inevitabile dare i nomi “altrimenti chissà cosa potrebbe succedere. Sì, sì, dateglieli!”. Alle ore 09.45 Caruso ha un incontro burrascoso in via Tasso – presente anche Pietro Koch, capo della squadra speciale della polizia fascista di Roma, che invece sta già preparando un suo elenco di persone da condannare alla rappresaglia – con il Colonnello Kappler, che pretende la lista dei 50 nomi: Caruso appare poco collaborativo, affermando di non avere molti prigionieri e dà solo il nome di un medico condannato a morte per mercato nero, quindi si allontana seguito da Koch, che invece garantisce al colonnello tedesco che la lista con i 50 nomi sarebbe stata pronta entro le ore 14.00. Alle 12 Kappler si incontra con il Gen. Mälzer ed il Maggiore Dobbrick, comandante della compagnia del Polizeiregiment Bozen colpita in via Rasella; il generale, dopo essere stato informato sui progressi nella compilazione della lista e sulle difficoltà dell’individuazione del numero di italiani, ordina a Dobbrick di eseguire personalmente con i suoi uomini la rappresaglia, ma quest’ultimo rifiuta espressamente di obbedire affermando che i suoi soldati non sono in grado, per sentimenti religiosi, di eseguire le fucilazioni. Mälzer deve cercare altri esecutori; in un primo momento consulta il Colonnello Wolfgang Hauser, Capo di Stato Maggiore di von Mackensen, chiedendo un reparto di truppe per eseguire materialmente la rappresaglia, ma anche Hauser rifiuta a sua volta di farsi coinvolgere, affermando che il compito spetti alla polizia tedesca, avendo subito l’attacco; il generale Mälzer, sempre più in difficoltà, decide infine di assegnare direttamente al Colonnello Kappler ed ai suoi uomini l’esecuzione delle fucilazioni, stabilendo inoltre che il capo della Gestapo a Roma avrebbe dovuto partecipare personalmente per “dare l'esempio”. Dopo aver ricevuto gli ordini del Generale Mälzer, Kappler ritorna in via Tasso, dove comunica ai suoi uomini che “entro poche ore” avrebbero dovuto essere uccisi per rappresaglia 320 uomini e che tutti i componenti del reparto incaricato, compresi gli ufficiali, avrebbero dovuto partecipare alle esecuzioni come “necessario atto simbolico”. Il colonnello deve affrontare importanti difficoltà tecniche legate alla modalità delle fucilazioni ed al luogo di esecuzione: dispone in tutto di 74 uomini – tredici ufficiali, compreso egli stesso, un soldato semplice e 60 sottoufficiali – con i quali dovrà assicurare il trasporto, il più possibile riservatamente, di un ingente numero di condannati, evitarne la fuga, eseguire l’azione in località segreta, tuttora da individuare compiutamente. A tal riguardo c’è la proposta avanzata dal Capitano Köhler per effettuare l’eccidio in una serie di gallerie sotterranee abbandonate lungo via Ardeatina: tra le catacombe di San Callisto e Santa Domitilla, attraverso tre accessi si entra in un labirinto di gallerie interconnesse che misurano da trenta a novanta metri di lunghezza, quattro metri di altezza e tre metri di larghezza; dopo un sopralluogo di Köhler con genieri dell’esercito la zona viene ritenuta idonea e facilmente occultabile chiudendo con esplosivi le entrate delle gallerie. Il colonnello Kappler stabilisce quindi che le uccisioni siano dirette dal Capitano Carl Schütz, che il Capitano Priebke controlli la lista per verificare l’avvenuto completamento delle uccisioni e che si impieghi “non più di un minuto per ogni uomo”. Ulteriori difficoltà sorgono verso le ore 13, quando Kappler apprende della morte del trentatreesimo soldato tedesco a seguito dell’attentato di via Rasella; deciso ad eseguire con la massima precisione la rappresaglia, secondo le tassative disposizioni delle autorità superiori, prende l’iniziativa immediata ed autonoma di comprendere nella lista dei condannati a morte altri dieci uomini, presi tra un gruppo di ebrei arrestati nelle ultime ore dopo il completamento dell’elenco iniziale. L’ECCIDIO Intanto fin da mezzogiorno è iniziato il concentramento dei todeskandidaten: i prigionieri rinchiusi in via Tasso sono condotti fuori dalle celle e radunati con le mani legate dietro la schiena; non viene comunicata alcuna informazione sul destino che attende le vittime; il Colonnello Kappler e il Capitano Schütz ritengono che, per evitare reazioni pericolose dei prigionieri o della popolazione, difficilmente controllabili a causa del ridotto numero di militari tedeschi disponibili, sia preferibile mantenere l’incertezza e la segretezza. Poco prima delle 14 la colonna degli autoveicoli con i prigionieri si mette in movimento e da via Tasso gira sulla destra su via Ardeatina, dove il luogo prescelto dista circa un chilometro. Alle 15.30 arrivano anche i prigionieri provenienti da Regina Coeli e dopo pochi minuti hanno inizio le fucilazioni: i prigionieri, suddivisi in gruppi di cinque, sono condotti nelle gallerie illuminate da soldati tedeschi muniti di torce elettriche; all’entrata del luogo di esecuzione il Capitano Priebke richiede il nome al condannato e controlla la lista, quindi le vittime vengono fatte inginocchiare e gli esecutori, all’ordine del Capitano Schütz, sparano un colpo di pistola dall’alto in basso all'altezza del collo (in questo modo si ritiene di ottenere una morte immediata); un soldato accanto all’esecutore illumina la scena con un’altra torcia. Il Colonnello Kappler prende parte al secondo turno di eliminazione; il Capitano Priebke invece spara con il terzo turno. In totale sono effettuati 67 turni di esecuzioni e mentre all’inizio la procedura sembra avviarsi con precisione e disciplina, con il passare del tempo la situazione diviene più confusa: alcune vittime cercano di opporre resistenza e devono essere sottomesse con la forza; la massa crescente di cadaveri viene accatastata per lasciare spazio a disposizione, ma alla fine, per accelerare i tempi, si decide di far salire le vittime e gli esecutori sopra lo strato di cadaveri e si formano così pile di corpi; alcuni carnefici non eseguono con precisione l’esecuzione, per cui si rende necessario sparare ripetutamente sulla stessa vittima, tanto che molti corpi sono devastati e mutilati; alcune vittime non muoiono istantaneamente. Per sostenere il morale dei suoi uomini il colonnello Kappler prende parte ad un secondo turno di esecuzioni e convince a sparare anche il Tenente Wetjen, che in un primo tempo si era rifiutato; tutti gli ufficiali, su ordine del Colonnello, effettuano una seconda esecuzione, solo il Sottotenente Günther Amonn, completamente sconvolto, non riesce a sparare e viene messo da parte. Mentre procede l’eliminazione sistematica delle vittime comprese nella lista tedesca del Capitano Priebke, Kappler rimane in ansiosa attesa dell’arrivo dei cinquanta uomini che avrebbero dovuto essere forniti dal Questore Caruso; questi sta continuando a cercare di guadagnar tempo e non ha ancora completato la lista. Alle 16.30 il Tenente Tunnat ed il Sottotenente Kofler arrivano a Regina Coeli e pretendono immediatamente i cinquanta prigionieri, ma dato che la lista di Caruso non è ancora arrivata Tunnat raduna sommariamente i prigionieri a caso: vengono prelevati alcuni effettivamente compresi nell’elenco del questore, ma sono anche condotti alla morte dieci detenuti estranei in procinto di essere rilasciati. Tunnat conduce così alle cave Ardeatine circa trenta uomini, ma dopo alcune ore torna a Regina Coeli, dove nel frattempo è arrivata la lista di Caruso: l’ufficiale tedesco prende gli ultimi venti detenuti, che arrivano alle Cave Ardeatine quando ormai è sera. Le venticinque esecuzioni finali terminano alle ore 20. Il Colonnello Kappler al termine dell’eccidio parla ai suoi uomini ammettendo che sia “stato molto difficile”, ma afferma che “la rappresaglia è stata eseguita” in applicazione delle “leggi di guerra”. Durante l’esecuzione dei todenkandidaten, il Capitano Priebke ha accuratamente controllato la lista, procedendo alla verifica del numero delle vittime; al termine dell’eccidio rileva tuttavia che erano presenti, a causa della confusione dell’azione finale di rastrellamento dei condannati a morte, cinque uomini in più del numero previsto di 330; Kappler, informato da Priebke, decide di procedere comunque all’eliminazione anche di questi ostaggi in più con la motivazione che sia inevitabile ucciderli perché “hanno visto tutto”. Al termine i soldati tedeschi del Genio minano gli accessi alle gallerie e fanno esplodere le cariche sbarrando le entrate: in questo modo il Colonnello Kappler intende mantenere l’assoluta segretezza sull’eccidio, ma le esplosioni sono udite da alcuni monaci salesiani, che fungevano da guide alle catacombe, presenti nelle vicinanze e che hanno osservato durante l’intera giornata il frenetico movimento di automezzi tedeschi nella zona. All’interno delle cave i cadaveri rimangono ammassati in gruppi alti oltre un metro e mezzo. LE REAZIONI. I PROCESSI L’Alto Comando tedesco dirama alle ore 22.55 del 24 marzo un comunicato, trasmesso dall’Agenzia Stefani, che, dopo aver descritto l’attentato di via Rasella “imboscata eseguita da comunisti-badogliani”, proclama la volontà di “stroncare l’attività di questi banditi” e rivela di aver ordinato che “per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati” concludendo con la frase inequivocabile “l’ordine è già stato eseguito”. I quotidiani romani riportano il comunicato nella loro edizione di mezzogiorno del 25 marzo; Mussolini discute telefonicamente con il ministro Buffarini Guidi riguardo al tragico eccidio apparendo soprattutto preoccupato per la possibile reazione della popolazione di Roma e giustificando la rappresaglia: ai tedeschi “non si può rimproverare nulla...la rappresaglia è legale, è sanzionata dai diritti internazionali”17. Dopo la fine della guerra le autorità alleate processarono alcuni dei responsabili dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine. Nel 1945 un tribunale inglese processò il Generale von Mackensen e il Generale Mälzer per la parte avuta nel massacro e li condannò a morte; entrambi fecero appello per ridurre la pena e vinsero. Von Mackensen venne rilasciato nel 1952, Mälzer invece morì in prigione quello stesso anno. Nel 1947 un tribunale britannico riunito a Venezia condannò a morte il Maresciallo Kesselring sia per l’eccidio, sia per aver incoraggiato l’uccisione di civili. Nel 1952, tuttavia, Kesselring fu graziato e rientrò nella Repubblica Federale Tedesca, dove morì per un attacco cardiaco nel 1960. 17 La convenzione dell’Aia del 1907 proibisce la rappresaglia, mentre la Convenzione di Ginevra del 1929, relativa al Trattamento dei prigionieri di guerra, fa esplicito divieto di atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra nell'Articolo 2. L’argomento rappresaglia era contemplato nei codici di diritto bellico nazionali, in cui si faceva riferimento ai criteri della proporzionalità rispetto all'entità dell'offesa subita, della selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e della salvaguardia delle popolazioni civili, ma nel caso dell’eccidio delle Fosse Ardeatine alcuni di questi aspetti furono violati: nella selezione degli ostaggi, poiché si procedette alla fucilazione anche di personale sanitario, infermi e malati, inoltre non risulta che sia stata eseguita da parte tedesca alcuna seria indagine per appurare l’identità dei responsabili dell’attacco, né si attesero le 24 ore di consuetudine affinché gli stessi si consegnassero spontaneamente, mancando peraltro un perentorio invito in tal senso Nel 1948 un tribunale militare italiano condannò anche Herbert Kappler all’ergastolo per il ruolo avuto nell’eccidio: la condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell’ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l’aiuto della moglie riuscì ad evadere dall’Ospedale Militare del Celio, il 15 agosto 1977, e a rifugiarsi in Germania, ove le autorità dell’allora Repubblica Federale Tedesca si rifiutarono di estradarlo a causa della sua salute; morì pochi mesi dopo, il 9 febbraio 1978. Erich Priebke trascorse i mesi immediatamente successivi alla fine della guerra prigioniero degli Inglesi, ma riuscì poi a fuggire e a rifugiarsi in Argentina, dove visse per quasi cinquant’anni da uomo libero. Nel 1994, durante un’intervista con il giornalista dell’ABC, Sam Donaldson, Priebke parlò apertamente del proprio coinvolgimento nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, dimostrando scarso rimorso per le proprie azioni: la trasmissione diede nuovo impeto all’azione di alcuni funzionari, sia in Argentina che in Italia, affinché il caso contro di lui e contro il suo collega e ufficiale delle SS Karl Hass venisse riaperto. Nel 1995 le autorità giudiziarie italiane e tedesche collaborarono per facilitare l’estradizione di Priebke in Italia. Nonostante alcune udienze preliminari avessero giudicato il reato prescritto, Priebke e Hass vennero alla fine processati in Italia, nel 1997. Il tribunale italiano condannò entrambi, Priebke a quindici anni e Hass a dieci, ma a causa degli anni già trascorsi in prigione, Hass venne liberato subito e la condanna a Priebke fu ridotta. A seguito delle proteste delle associazioni dei parenti delle vittime e della comunità ebraica di Roma si andò al secondo grado di giudizio: la Corte d’Appello Militare italiana iniziò un nuovo processo nel 1998, al termine del quale Priebke venne condannato all’ergastolo. Quindici anni più tardi, l’11 ottobre del 2013, mentre stava scontando la pena agli arresti domiciliari, Priebke morì. I CARABINIERI ALLE FOSSE ARDEATINE Dodici appartenenti all’Arma sono tra i Martiri dell’eccidio. Tenente Colonnello Manfredi TALAMO: D.P.R. 27 ottobre 1950. “Nell'assolvere delicate rischiose mansioni, eccelleva per rare virtù militari ed impareggiabile senso del dovere, rendendo al Paese, in pace e in guerra, servigi di inestimabile valore. Caduto in sospetto della polizia tedesca che ne ordinava l'arresto, sopportava stoicamente prolungate torture, senza svelare alcun segreto sulle organizzazioni clandestine e sui loro dirigenti. Condotto alla fucilazione, alle Fosse Ardeatine, dava sublime esempio di spirito di sacrificio, di incrollabile fermezza, di alte e pure idealità, santificate dal martirio e dall'olocausto della vita” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 8 settembre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Nel giugno del 1938 era stato assegnato al SIM (Servizio Informazioni Militari), completamente composto da Carabinieri; nel maggio 1940, prima che l’Italia entri in guerra, col Ten. Eugenio Piccardo si impadronisce di preziose notizie e dei cifrari dell’Ambasciata USA, gli stessi coi quali vengono decrittati i messaggi inglesi durante la Campagna del Nord Africa: anche Rommel riconoscerà le capacità dell’ufficiale dell’Arma. Durante la sua attività di controspionaggio, nell’estate del 1942, durante un’incursione nell'ambasciata svizzera, scopre che l’addetto culturale tedesco Kurt Saurer è un doppiogiochista: la scoperta fece andare su tutte le furie il capo del servizio di sicurezza tedesco, proprio l’ufficiale delle SS Herbert Kappler, che pretese dal Magg. Talamo, senza ottenerlo, il più completo riserbo sulla vicenda. Un anno dopo, con l’armistizio, l’Ufficiale dell’Arma – fedele al giuramento prestato – entrò nella Resistenza lavorando col Fronte Militare Clandestino guidato dal Col. Montezemolo, occupandosi altresì di creare cifrari per il collegamento con le forze schierate al Sud. Il 5 ottobre 1943 cadde nelle mani dei tedeschi e venne incarcerato e torturato, ma non parlò. Così Kappler, inserendo il nome dell’ex ufficiale del SIM tra quelli che saranno trucidati alle Ardeatine, ebbe modo di consumare la sua vendetta. Tenente Colonnello Giovanni FRIGNANI: D. Luog. 25 febbraio 1946. “Ufficiale superiore dei CC.RR. riuniva attorno a sé numerosissimi carabinieri sottrattisi alla cattura dei nazi-fascisti, organizzandoli, assistendoli moralmente e materialmente, inquadrandoli e facendone un organismo omogeneo, saldo, pronto ad ogni prova. Arrestato sopportava per due mesi, nelle prigioni di via Tasso, torture e sofferenze, per non tradire la sua fede di patriota e il suo onore di soldato con rivelazioni sull'organizzazione militare clandestina. Martoriato, con lo spirito fieramente drizzato contro i nemici della Patria piegava il corpo solo sotto la mitraglia del plotone di esecuzione.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 8 settembre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Partito volontario per la Grande Guerra nel 1915, vi partecipò prima nel Corpo Nazionale Volontari Ciclisti e poi col grado di Tenente nel 28° Rgt F., combattendo sul Piave nel 1918 e venendo decorato di M.B.V.M.. Nel 1919 transitò nell’Arma, ricoprendo vari incarichi territoriali e di SM; comandò anche la Compagnia Roma Tribunali e, divenuto Tenente Colonnello, il Gruppo Interno di Roma. Nel giugno del ‘43, entrato in possesso di documenti segreti tedeschi da cui risultava che Hitler considerasse l’Italia come zona di occupazione, ne informò Mussolini, che non trovò di meglio che ordinare il trasferimento di Frignani in Francia. Ma il provvedimento non venne mai eseguito: infatti il 25 luglio, dopo che il Gran Consiglio del Fascismo aveva sfiduciato il Duce, il Re incaricò il Comandante Generale dell’Arma, Generale Angelo Cerica, di far arrestare Mussolini; l’operazione venne affidata a Frignani, che si avvalse del Cap. Aversa e del Ten. Vigneri. Dopo l’armistizio Frignani entrò nel Fronte Militare Clandestino di Montezemolo e fu tra gli organizzatori del Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri, guidato dal Gen. Caruso, assumendo il comando del c.d. Raggruppamento Territoriale, i cui membri erano impiegati per la raccolta delle informazioni, necessarie alla sicurezza dell’organizzazione ed alla preparazione delle azioni di sabotaggio messe in atto dal Raggruppamento Mobile, comandato dal Magg. Bruto Bixio Bersanetti (M.A.V.M.). Il 23 gennaio 1944 l’ufficiale venne catturato dalla Gestapo, in seguito a delazione della spia Aldo Di Prima, nella casa romana della signora Elena Hoehn, sua cara amica, e tradotto nella sede del Comando tedesco di via Tasso, insieme alla moglie Lina ed ai commilitoni Aversa e De Carolis, venendo rinchiuso nella cella n°2, in compagnia del Gen. Martelli Castaldi, appartenente alla Regia Aeronautica, pure Martire delle Fosse Ardeatine. Più volte torturato, anche in presenza della moglie, Frignani venne fucilato due mesi dopo alle Fosse Ardeatine. Maggiore Ugo DE CAROLIS: D. Luog. 25 febbraio 1946. “Capo di stato maggiore del comando dei CC.RR. del Fronte militare della Resistenza diede tutto se stesso all'organizzazione. Sprezzante dei gravissimi rischi cui si esponeva, affrontò impavido i pericoli e le insidie della polizia nazi-fascista che lo perseguitava e lo ricercava. Arrestato dalla Gestapo, subì per due mesi, nelle. prigioni di via Tasso, le più inumane torture per mantenere il segreto dell'attività clandestina dei CC.RR. Martoriato, con lo spirito fieramente drizzato contro i nemici della Patria,. piegava il corpo solo sotto la mitraglia del plotone di esecuzione” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Penultimo dei sette figli (sei maschi e una femmina) di Federico dei Marchesi de Carolis, alto magistrato, e di Beatrice Fossataro, aveva due fratelli maggiori, Enrico e Paolo, morti durante la I^ G.M.. Col grado di Sottotenente, nel gennaio del 1918 fece parte del 12° Reparto d’Assalto sul fronte del Piave ed in giugno partecipò al combattimento di Lasson, meritando la M.A.V.M.. Nel ‘21 transitò nell’Arma, operando nel Triveneto ed in Tripolitania; promosso Capitano, partì volontario per la Somalia nel 1936, partecipando alla battaglia di Gunu Gadu, per la quale venne decorato di M.B.V.M.; tornato in patria nell’aprile del ‘37, in novembre era Comandante della Compagnia Roma Tribunali e, col grado di Maggiore, destinato al Comando dei Carabinieri presso la Commissione Italiana di Armistizio con la Francia. L’8 settembre 1943 lo trovò a Torino, da cui fece immediato rientro a Roma per essere tra gli organizzatori del Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri, operante nell’ambito del Fronte Militare Clandestino, guidata dal Gen. Filippo Caruso e di cui assunse l’incarico di Ca.SM. Per i suoi spostamenti utilizzava il falso nome di Roberto Tessitore, vestendo l’abito religioso dei Lasalliani. Arrestato il 23 gennaio del ‘44 in seguito a delazione, insieme al T. Col. Frignani ed al Cap. Aversa, venne rinchiuso nelle carceri di via Tasso e torturato, prima di cadere martire alle Fosse Ardeatine. Gli è intitolata la Scuola Ufficiali Carabinieri. Capitano Raffaele AVERSA: D. Luog. 25 febbraio 1946. “Ufficiale dei CC.RR. comandante di una compagnia della Capitale, opponeva dopo l'armistizio, all'azione aperta ed alle mene subdole dell'oppressore tedesco e del fascismo risorgente, il sistematico ostruzionismo proprio e dei dipendenti. Sfidava ancora i nazi-fascisti sottraendo i suoi uomini ad ignominiosa cattura. Riannodatene le file e raccolti numerosi sbandati dell'Arma, ne indirizzava le energie alla lotta clandestina, cooperando con ardore, sprezzante d'ogni rischio, a forgiarne sempre più vasta e possente compagine. Arrestato dalla polizia tedesca come organizzatore di bande armate, sopportava per due mesi, nelle prigioni di via Tasso, sevizie e torture che non valsero a strappargli alcuna rivelazione. Fiaccato nel corpo, indomito nello spirito sempre drizzato fieramente contro i nemici della Patria cadeva sotto la mitraglia del plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 8 settembre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. “Figlio d’Arma”, nacque a Labico (Roma), dove il padre comandava la Stazione; fu prima Allievo Carabiniere, quindi Sottufficiale ed infine entrò in Accademia; fu volontario in Etiopia e partecipò alla Campagna di Russia ed in entrambe le occasioni venne decorato di Croce di Guerra al Valor Militare. Rientrato in Italia, era Comandante della Compagnia Roma Tribunali quando venne chiamato dal Comandante di Gruppo, T.Col. Frignani, ad organizzare materialmente l’operazione che portò all’arresto del Duce nel pomeriggio del 25 luglio 1943. Entrò nel Fronte Clandestino del Gen. Caruso quale addetto allo SM e per nascondere la sua identità si presentava sotto il nome di Dr. Albano, Procuratore del Re di Avellino. Venne arrestato il 23 gennaio 1944 dalle SS mentre si recava dal suo diretto superiore, Magg. De Carolis – che si trovava col T.Col. Frignani a casa della sig.ra Hoehn – affinché concedesse l’autorizzazione a quanto aveva predisposto per l’insurrezione armata dei Carabinieri a poche ore dallo sbarco degli Anglo Americani ad Anzio. Subì, prima del martirio alle Fosse Ardeatine, innumerevoli duri interrogatori nelle carceri di via Tasso. Tenente Genserico FONTANA: R.D. 15 maggio 1946. “In momenti di drammatiche difficoltà per il Paese conscio dei suoi doveri di soldato, si rifiutava di collaborare col nemico e con grave rischio sfuggiva alla cattura per la deportazione dopo di essersi adoprato con tutte le sue forze per mettere in salvo buona parte dei suoi dipendenti. Pur sapendosi attivamente ricercato, iniziava tra enormi difficoltà e pericoli l'organizzazione di una banda armata, dando ai suoi dipendenti ampia assistenza morale e materiale. Incurante dei bandi tedeschi, si prodigava instancabilmente per trasportare e nascondere armi necessarie ai suoi organizzati. Catturato su delazione di spia sebbene sottoposto per lunghi mesi a privazioni e torture di ogni genere, manteneva il più assoluto silenzio evitando di far scoprire le fila dell'organizzazione di cui era l'animatore. Nessuna lusinga o allettamento dei suoi aguzzini lo faceva deflettere dal giuramento prestato. Compreso solo del bene della Patria donava la sua giovane esistenza affrontando serenamente la morte per fucilazione nelle Fosse Ardeatine. Luminoso esempio di fedeltà, di onore e sprezzo della vita.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 8 settembre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Sposato con Rina Innocenti. Laureato in Giurisprudenza, nel ’38 si arruolò nell’Esercito, frequentando il Corso Allievi Ufficiali a Spoleto. Nel ‘40, con il grado di Sottotenente del III Rgt. Granatieri, combatté prima in Albania poi in Grecia, dove perse un occhio per le ferite in battaglia, meritando una Croce di Guerra al V.M.. Promosso Capitano, alla fine del ’42 transitò nell'Arma e venne assegnato al XXVI Btg. Mobilitato, passando in seguito alla Legione Lazio ed assumendo il comando interinale della Tenenza dell'Aquila: in questa veste fu custode di Mussolini a Campo Imperatore. Dopo l’8 settembre rimase al proprio posto all’Aquila, ma, accusato di essere badogliano, venne avvisato dai propri sottufficiali dell’imminente arresto da parte dei tedeschi, pertanto si dette alla macchia e tornò a Roma, dove entrò nella Resistenza e organizzò alcuni Carabinieri sbandati; lo stesso fece anche all’Aquila, dove si recò diverse volte con documenti falsi. Riuscì a raggruppare intorno a sé circa 200 militari dell’Arma, organizzandoli in otto squadre che presero da lui il nome di “Nucleo Fontana”. In ottobre sfuggì una seconda volta alla cattura da parte dei tedeschi, ma il 10 dicembre, in seguito a delazione, venne arrestato con l’accusa di spionaggio nell’ufficio dell'avvocato Realino Carboni, in via della Mercede, dove era andato a ritirare del denaro necessario alla lotta. Insieme a lui furono catturati e rinchiusi a Regina Coeli anche il Ten. Romeo Rodrigues Pereira ed il Brig. Candido Manca. Presto lui e Pereira vennero raggiunti nel carcere di Regina Coeli – dove erano rinchiusi nel fatidico Braccio 3 – dalle rispettive mogli, che avevano cercato di comprare la loro libertà, ma furono tradite dallo stesso maresciallo tedesco offertosi per coadiuvare l’evasione. Tenente Romeo RODRIGUES PEREIRA: R.D. 15 maggio 1946. “Comandante di tenenza, in momenti particolarmente difficili per il Paese conscio dei suoi doveri di soldato, si rifiutava di consegnare al nemico i militari dipendenti e l'armamento. Deportato per tale suo fiero atteggiamento, riusciva a sfuggire con grave rischio trascinando in salvo molti dei suoi gregari. Rientrato in sede, pur sapendosi attivamente ricercato, iniziava tra enormi difficoltà e pericoli l'organizzazione di un nucleo armato, dando ai suoi dipendenti assistenza morale e materiale. Incurante dei bandi nazisti si prodigava instancabilmente per trasportare e nascondere armi necessarie ai suoi organizzati. Catturato su delazione, sebbene sottoposto a torture, manteneva assoluto silenzio, evitando di far scoprire le fila dell'organizzazione di cui era l'animatore. Nessuna lusinga o allettamento dei suoi aguzzini lo faceva deflettere dal giuramento prestato. Compreso solo del bene della Patria donava la sua giovane esistenza, affrontando serenamente la morte per fucilazione nelle Fosse Ardeatine. Luminoso esempio di fedeltà, d'onore e sprezzo della vita.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Dopo gli studi militari alla Nunziatella ed in Accademia, il suo primo incarico fu quello di Comandante Plotone del Gruppo Squadroni della Legione Territoriale di Roma, ma il 31 agosto 1941 partì volontario per l’Africa Settentrionale, dove gli venne affidato il comando della 660^ Sezione Carabinieri Motorizzata. Durante la ritirata delle truppe italo-tedesche avvenuta nel novembre/dicembre 1941, si evidenziò nella battaglia di Ain el-Gazala meritando la concessione della M.B.V.M. per aver salvato un convoglio tedesco sotto intenso attacco aereo. Colpito da grave enterocolite, fu costretto ad una lunga degenza rientrando in servizio alla fine del maggio 1942, quando assunse il comando della Tenenza di Roma Ostia, venendo poco dopo promosso Tenente. Il 30 settembre sposò Marcella Duce e nel gennaio 1943 venne trasferito alla Tenenza di Roma Appia, in cui si evidenziò per le capacità investigative, tanto da meritare un Encomio del Comandante della 2^ Divisione Podgora. Nelle giornate successive all’armistizio dell’8 settembre si oppose all’occupazione militare della Capitale da parte dei tedeschi, catturandone alcuni. La mattina del 7 ottobre 1943, insieme ad altre migliaia di Carabinieri in servizio a Roma, venne disarmato per ordine del Ministero della Guerra di Salò e con l’inganno arrestato dai nazisti, portato alla stazione di Trastevere, caricato su uno dei treni piombati preparati per la deportazione nell’Europa Settentrionale, nei territori del Reich: il suo convoglio era destinato alla Polonia, ma nelle vicinanze di Pordenone il giovane Ufficiale riuscì a fuggire, trascinando con sé molto colleghi, e fece immediatamente ritorno nella Capitale. Lì entrò in contatto con il Ten. Col. Bruto Bixio Bersanetti, che comandava il Raggruppamento Mobile del Fronte Clandestino del Generale Caruso – reparto deputato al compimento di atti di sabotaggio contro i nazi-fascisti –: Bersanetti scelse proprio Rodrigues Pereira quale Aiutante Maggiore per coordinare l’azione dei 2.900 Carabinieri suddivisi in 16 Nuclei. In particolare, il giovane Tenente doveva ricercare i mezzi per procurare armi e sostenere i Carabinieri affiliati, compito indispensabile all’esaurirsi delle prime, limitate disponibilità. Per tale motivo venne messo in contatto - unitamente al collega Genserico Fontana – con un uomo d’affari, tale Realino Carboni; la sera del 10 dicembre 1943 i due Ufficiali si recarono a casa di questi per partecipare ad una riunione col Ten. Col. f. Giuseppe De Sanctis, stretto collaboratore del Gen. Caruso, ed il Brig. Candido Manca per riferire circa una missione e ritirare denaro per i propri Carabinieri. Tuttavia all’appuntamento trovarono le SS, guidate personalmente dal Ten. Col. Herbert Kappler, che aveva già arrestato il Carboni. Accusato genericamente di spionaggio e complotto contro le forze tedesche, venne portato nel Braccio 3 di Regina Coeli, ma riuscì a resistere ai pressanti interrogatori, anche quando, il 25 febbraio, sua moglie e la consorte di Fontana vennero arrestate e condotte nello stesso carcere per aver creduto al M.llo tedesco Kroatz che, in cambio di 58mila Lire e dei gioielli delle due donne, aveva loro promesso di far evadere i due Ufficiali. Proprio quando le condizioni detentive stavano migliorando, essendo riusciti a far credere alla loro innocenza perché non avevano mai ceduto alle lusinghe né alle torture degli aguzzini, l’attentato di via Rasella provocò la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Nel gennaio 1946 l’Università di Roma, cui era iscritto, ha conferito all’Eroe la Laurea “honoris causae” in Giurisprudenza. Maresciallo Francesco PEPICELLI: D.P.R. 26 dicembre 1951. “Sottufficiale dei carabinieri, appartenente al fronte della resistenza, si prodigava senza soste nella dura lotta clandestina contro l’oppressore tedesco, portando brillantemente a compimento il difficile compito affidatogli. Arrestato dalle SS germaniche, sopportava stoicamente, durante la detenzione, le barbare torture, inutilmente inflittegli per strappargli i segreti dell’organizzazione cui apparteneva. Alle Fosse Ardeatine affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria oppressa, con l’olocausto della vita. Roma, ottobre 1943 - marzo 1944.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Francesco Pepicelli nacque a Sant’Angelo a Cupolo (BN) il 19 maggio 1906. Si arruolò nell’Arma dei Carabinieri il 18 marzo 1926 quale Allievo Carabiniere; promosso Carabiniere e destinato alla Sezione Territoriale Carabinieri di Roma, nel 1933 venne ammesso a frequentare il corso di Allievo Sottufficiale presso la Scuola Centrale di Firenze. Nel 1935, promosso Vicebrigadiere, venne destinato alla Legione Territoriale Carabinieri “Lazio” in Roma, ma nello stesso anno venne mobilitato per l’Africa e destinato alla 409^ Sezione Carabinieri da Montagna, prendendo parte a tutte le battaglie del Tembien; per il comportamento coraggioso venne decorato con due Croci di Guerra al V.M. Promosso Brigadiere e ritornato in Italia, nel 1938 venne destinato al Comando della Stazione Carabinieri di Bracciano; successivamente resse il comando di diverse Stazioni comprese nella Legione Territoriale Carabinieri Lazio, tra le quali quella di Subiaco, Formello, Olevano Romano e Pignataro Interamna, lasciando ovunque ottimo ricordo di sé, della sua dirittura morale e delle sue capacità professionali. Nel 1940 venne trasferito ed assegnato allo Stato Maggiore Regio Esercito in Roma, assolvendo i vari incarichi affidatigli, tra cui quello nella Segreteria del Capo di Stato Maggiore, con elevata perizia e coerenza professionale, tanto da riscuotere stima e massima fiducia da parte dei suoi Superiori e colleghi, venendo anche promosso Maresciallo d’Alloggio. Dopo l’8 settembre del 1943 riuscì a sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi, svolgendo una intensa e fattiva attività in favore della “Banda Caruso”, disimpegnando delicatissime mansioni di collegamento ed informazioni con le cellule del Fronte clandestino dei Carabinieri. Fu appunto nel pieno di questa sua attività che il 18 marzo 1944 venne sorpreso dalle SS in via IV Novembre, all’altezza dei Mercati Traianei, insieme al Maresciallo Mario Haipel, ed incarcerato nelle prigioni di via Tasso. Pur sottoposto ad interrogatori continui ed estenuanti egli non rivelò alcunché di compromettente per la sicurezza dei suoi commilitoni militanti nei gruppi della Resistenza. Il 24 marzo 1944 venne destinato a completare il numero degli Italiani trucidati alle Fosse Ardeatine. Brigadiere Candido MANCA: D.P.R. 7 dicembre 1951 “Sottufficiale dei carabinieri appartenente al fronte della resistenza si prodigava senza sosta nella dura lotta clandestina contro l'oppressore tedesco trasfondendo nei suoi compagni di lotta il suo elevato amor di Patria ed il suo coraggio. Incurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le numerose azioni di guerra affidategli. Arrestato dalla polizia nazi-fascista, sopportava stoicamente, durante la detenzione, le barbare torture inflittegli ed affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria oppressa, con l'olocausto della vita. Roma, ottobre 1943 - marzo 1944.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Nato a Delianova (Cagliari) il 31 gennaio 1907 da Annibale e da Francesca Zucca. Nel ‘25 si arruolò volontario nei Carabinieri, prestando servizio a Roma e venendo congedato dopo tre anni di ferma. Rientrato a Cagliari, ottenne il diploma di ragioniere e fu assunto dal Ministero dei Lavori Pubblici, nell’Azienda Statale della Strada. Fu richiamato in servizio una prima volta nel ‘35, per un anno, e di nuovo nel ‘40, con il grado di Vicebrigadiere. Nel ‘43 era Brigadiere nella Compagnia Squadre Reali e Presidenziali di Roma ed il 7 ottobre riuscì a sfuggire ai tedeschi che avevano occupato le caserme dell’Arma. Insieme ad altri 30 Carabinieri sbandati che aveva raccolto con sé entrò nella Banda Caruso, alle dirette dipendenze del Tenente Rodriguez Pereira; nel corso della lotta si distinse per lo svolgimento di azioni militari e per la raccolta di notizie. Fu catturato dalla Gestapo il 10 dicembre del ‘43, insieme allo stesso Pereira ed a Genserico Fontana, mentre si stava recando da un contabile che procurava denaro ai partigiani. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, subì più volte la tortura, ma non rivelò i nomi dei compagni, prima di essere fucilato alle Fosse Ardeatine. Brigadiere Gerardo SERGI D.P.R. 7 dicembre 1951 “Sottufficiale dei carabinieri, appartenente al fronte della resistenza, si prodigava senza sosta nella dura lotta clandestina contro l’oppressore tedesco trasfondendo nei suoi compagni di lotta il suo elevato amor di Patria e il suo coraggio. Incurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le numerose azioni di guerra affidategli. Arrestato dalla polizia nazi-fascista, sopportava stoicamente, durante la detenzione, le barbare torture e affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria oppressa,con l’olocausto della vita. Roma, ottobre 1943 - marzo 1944.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Nato a Portoscuso (CA) il 25 marzo 1917, aveva preso parte alla Seconda Guerra Mondiale impegnato nella campagna di Grecia. Rientrato in Italia era stato assegnato, a Roma, alla Compagnia Comando dell’VIII Battaglione Carabinieri. Anch’egli riuscì a sottrarsi alla cattura da parte dei tedeschi il 7 ottobre 1943 e si impegnò nel Fronte della Resistenza Militare, attivo nella Capitale. Caduto nelle mani dei nazifascisti fu sottoposto a tortura, ma non si piegò mai. Carabiniere Corazziere Calcedonio GIORDANO: D.P.R. 7 dicembre 1951 “Appartenente al fronte militare della resistenza,si prodigava senza soste nella dura lotta clandestina contro l'oppressore tedesco, trasfondendo nei suoi compagni di lotta il suo elevato amor di Patria ed il suo coraggio. Noncurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le numerose .azioni di guerra affidategli. Arrestato dalla polizia nazi-fascista sopportava stoicamente, durante la detenzione, le barbare torture ed affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria oppressa, con l'olocausto della vita. Roma, ottobre 1943 - marzo 1944.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Nato a Palermo l’11 luglio 1916 ed arruolatosi nell’Arma, Calcedonio Giordano era in forza alla Legione di Roma quale Corazziere. Aveva avuto modo di continuare a studiare e, conseguito il richiesto titolo di studio, il giovane ottenne di frequentare la Scuola Allievi Ufficiali di Firenze. Per il sopraggiungere dell’armistizio, non riuscì tuttavia a completare il corso e decise di raggiungere la Capitale. Nella Roma occupata dai tedeschi il giovane entrò presto a far parte della formazione partigiana costituita con i militari dell’Arma, sbandati dopo la deportazione di migliaia loro colleghi del 7 ottobre 1943, dal Generale Filippo Caruso. Nella motivazione della ricompensa al valore si legge che il giovane Carabiniere ”noncurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le numerose azioni di guerra affidategli”. Giordano cadde nelle mani della polizia nazifascista sul finire del gennaio 1944, per due mesi fu sottoposto a torture sopportate infine, trucidato alle Fosse Ardeatine. stoicamente e, Carabiniere Augusto RENZINI: D.P.R. 7 dicembre 1951 “Appartenente al fronte della resistenza, si prodigava senza sosta nella dura lotta clandestina contro l'oppressore tedesco trasfondendo nei suoi compagni di lotta il suo elevato amor di Patria il suo coraggio. Incurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le azioni di guerra affidategli. Arrestato dalla polizia nazifascista, sopportava stoicamente durante la detenzione, le barbare torture inflittegli ed affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria e oppressa, con l’olocausto della vita. Roma, ottobre 1943 - marzo 1944.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Di Augusto Renzini, nato a Nocera Umbra il 22 aprile 1898 da Vincenzo e Buratti Mariannna, si hanno poche notizie. Dopo aver partecipato giovanissimo alla Prima Guerra Mondiale si era arruolato nell’Arma, svolgendo servizio a Roma dal 1920 al 1923 per poi, dopo il congedo, tornare al suo lavoro di contadino. Richiamato nel 1942, tornò come Carabiniere nella Capitale e qui, sorpreso dall’armistizio, si diede alla macchia per collegarsi, dopo il 7 ottobre, con l’organizzazione clandestina guidata dal Generale Filippo Caruso, che gli affidò il comando di una squadra. Augusto Renzini, caduto nelle mani della polizia, dopo aver resistito alle torture, fu giustiziato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Carabiniere Gaetano FORTE: D.P.R. 7 dicembre 1951 “Appartenente al fronte della resistenza, si prodigava senza sosta nella dura lotta clandestina contro l'oppressore tedesco trasfondendo nei suoi compagni di lotta il suo amor di Patria e il suo coraggio. Incurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le numerose azioni di guerra affidategli. Arrestato dalla polizia nazi-fascista, sopportava stoicamente, durante la detenzione, le barbare torture ed affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria oppressa, con l'olocausto della vita. Roma, ottobre 1943 - marzo 1944.” Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri 7 ottobre 1943 - Fosse Ardeatine (Roma) 24 marzo 1944. Nacque a Napoli il 14 ottobre 1919 da Gennaro Forte e Vincenza Mantone, due commercianti di Portici. Nel 1940, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, fu arruolato nell’Arma e inviato sul Fronte orientale, dove rimase per due anni. Alla fine del 1942 venne trasferito alla Legione Territoriale Carabinieri di Roma. Dopo il 7 ottobre 1943 Forte entrò a far parte del Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri, sotto la guida del Generale Caruso, all’interno del quale portò a compimento numerose azioni di guerra che gli erano state affidate. Catturato dalla polizia tedesca, venne rinchiuso nel carcere delle SS di via Tasso, dove fu sottoposto ad incessanti sevizie per fargli tradire i commilitoni, ma inutilmente, pertanto fu tra i prescelti per essere ucciso alle Fosse Ardeatine. IL MONUMENTO Subito dopo la fine della guerra il comune di Roma bandì un concorso per la sistemazione delle cave ardeatine e la costruzione di un monumento in ricordo delle vittime dell’eccidio nel luogo stesso in cui avvenne: fu il primo concorso d'architettura nell'Italia liberata. Dalle due fasi del concorso uscirono vincitori ex aequo due gruppi: quello formato dagli architetti Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino e dallo scultore Francesco Coccia e quello formato dagli architetti Giuseppe Perugini e Mirko Basaldella. Ai due gruppi fu assegnato l’incarico di un progetto comune per la costruzione di un sacrario, la sistemazione del piazzale ed il consolidamento delle gallerie fatte esplodere dai tedeschi dopo l’eccidio: quello che è stato chiamato monumento, o mausoleo, ai martiri delle Fosse Ardeatine. Il monumento fu inaugurato il 24 marzo 1949.