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Quando il dolore sembra non passare

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Quando il dolore sembra non passare
I SERVIZI
Pio Cerocchi
dolore
mai
Quando il
sembra non passare
L’eccidio delle Fosse Ardeatine resta il tragico simbolo
della follia nazifascista. L’orrore viene svelato e
ricordato, perchè la memoria sia compiuta.
U
n tristissimo giorno della primavera del 1944
Ardeatine restano una ferita aperta nella memoria
(non sappiamo quale), quelle che fino ad
e nei sentimenti della città. Basta guardarsi intorno,
allora erano state chiamate le “Cave Ardeatine”,
grattare la superfice della memoria e i racconti che
divennero le “Fosse”. Luogo di mattanza e insieme
ne sgorgano. Roma ne è piena.
di sepoltura di 335 cittadini uccisi dagli occupanti
Furono trucidate trecentotrentacinque persone,
nazisti per rappresaglia. “Uno dei simboli più carichi
che vogliono dire ormai tre generazioni di altrettante
di dolore, di memoria e di lezione storica”, come ha
famiglie, parenti stretti, parenti lontani; per ognuno
detto nella ricorrenza di quest’anno, il Presidente
vogliono dire amici, compagni di lavoro, di partito,
della Repubblica, Giorgio Napolitano.
di sindacato, di scuola, di Chiesa e vicini di casa,
Dolore di un tempo che sembra non passare
di quartiere: il racconto delle Fosse Ardeatine è un
mai, e che trascina con sé una memoria intensa,
seguito di anelli concentrici che si espandono fino
anche se non del tutto pacificata almeno sul punto
a pervadere lo spazio della città. Certo non è né
che lega l’attentato di via Rasella a quell’eccidio
l’unica, né la peggiore delle stragi naziste. E’, però,
inumano, che ne fu la tragica conseguenza.
l’unica strage ‘metropolitana’ avvenuta in Europa.
Anche se tutti unanimemente comprendono
E non solo perché è l’unica perpetrata entro uno
che la vera rievocazione di quei fatti è, appunto,
spazio urbano, ma anche perché è l’unica che
quella della strage delle Cave. E gli anni che
nell’eterogeneità delle vittime riassuma tutta la
passano sembrano non contare per quella data – il
complessa stratificazione di una grande città”.
24 marzo 1944 - che resta inchiodata sul cuore
In questo luogo si incrociano tutte le stagioni
della città di Roma. Non del XX secolo, ma di tutta
della storia della città ed è stato proprio da lì che
la sua storia, e bene hanno fatto
essa è ripartita subito dopo la
gli organizzatori del fortunato
cacciata degli occupanti nazisti.
ciclo di conferenze domenicali
Subito la popolazione si è
24 marzo 1944
all’Auditorium a concludere quel
radunata attorno a quel sacrario
una data
loro itinerario storico iniziato con
di immensa pietà che sino ad
la fondazione della città, con
allora era restato clandestino.
inchiodata
quel 24 marzo. Come, appunto,
Kappler scelse la Cave Ardeatine
nella storia
ha fatto lo studioso Roberto
perché esse con le loro gallerie,
Portelli, il quale parlando ad una
più facilmente avrebbero potuto
di Roma
platea gremita, ha detto: “Per la
occultare le tracce della strage. Ma
dimensione della strage, le Fosse
le cose andarono diversamente.
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obiettivo sicurezza
Quando il dolore sembra
non passare mai
I SERVIZI
La scelta, il trasporto e, quindi, l’uccisione a gruppi
ad una retorica generica, ma si sono documentati
di cinque dei prigionieri italiani, infatti, durarono di
direttamente sui libri, sulle carte processuali, sulle
più delle previsioni e così anche le operazioni di
numerose testimonianze pubbliche e private, che
occultamento realizzate con l’esplosione di cariche
continuano a scorrere nelle arterie della memoria
di dinamite sulle volte delle cave, riuscirono a
cittadina.
coprire solo parzialmente le tracce dell’eccidio
E così tante notizie le ho potute trovare nel bel
che per questo, presto, fu scoperto. Per caso, da
discorso che l’allora Presidente della Provincia di
un gruppo di bambini che cercando il pallone con
Roma (e poi tante volte parlamentare, ministro e,
il quale stavano giocando, videro per primi i resti
quindi, anche Sindaco della città), Nicola Signorello,
delle vittime.
tenne in occasione del ventennale delle Fosse, nel
Del resto la cura dei nazisti nell’allontanare
1964. Egli lesse con attenzione le carte processuali
gli estranei dai pressi delle cave prima e durante
e particolarmente le deposizioni rese da Kappler al
l’esecuzione, non fu sufficiente ad evitare la
Tribunale nel 1948. E’ una citazione un po’ lunga,
presenza di un insospettabile testimone: un uomo
forse, ma utile per chiarire l’inumanità dell’accaduto.
che pascolava dei maiali, Nicola D’Annibale, il
“Il termine fissatomi per una esecuzione così
quale, non veduto, vide prima i camion accostarsi
complessa – queste le parole di Kappler - non mi
alle bocche delle gallerie per scaricare i morituri,
permetteva di costruire un cimitero. Pensai così
e sentì poi tutta la lunghissima successione degli
di creare una specie di grande caverna naturale.
spari che secondo la ricostruzione di Attilio Ascarelli
Pensai che la grotta, a cose compiute, si potesse
durò due giorni. “Gli spari – così egli scrive nel libro
chiudere in modo da trasformarla in una vera
più tragicamente autorevole di quell’evento – si
sepoltura. Riunii tutti i miei uomini nell’ufficio...tutti
iniziarono verso le ore sedici e trenta del 24 marzo
furono d’accordo con me nell’ammettere che, per
e proseguirono per circa tre ore con brevissimi
il mantenimento della disciplina era indispensabile
intervalli continuando sin verso le ore 14 del
che i comandanti partecipassero almeno con un
giorno 25; allorquando quattro o cinque esplosioni
colpo all’operazione per una specie di necessità
di mine segnalarono il termine del sacrificio”. Un
simbolica. Il numero degli uomini che avevo a
termine provato dal famoso e funereo comunicato
disposizione era di molto inferiore a quello delle
del comando tedesco che uscì sui giornali della sera
persone da fucilare. Calcolai i minuti necessari per
solo il 26 marzo, con la sua conclusione che rimase
far morire ognuno dei trecentoventi (l’incremento
confitta nel cuore dei romani che
di quindici nuovi uccisi è dovuto
la lessero o l’ascoltarono alla
alla morte di un ulteriore soldato
Le testimonianze
radio. “....Il Comando tedesco (...)
del reparto colpito in via Rasella
ha ordinato che per ogni tedesco
e quindi a nuove dieci vittime
di quella
ammazzato
dieci
comunisti
della rappresaglia, e agli elenchi in
Via Crucis
badogliani
saranno
fucilati:
esubero del famigerato questore
quest’ordine è stato eseguito”.
Caruso, incaricato da Kappler di
Non si può nello spazio di
preparare le liste dei carcerati del
un breve articolo ripercorrere l’intera “Via Crucis”
terzo braccio di Regina Coeli).
che si concluse nelle Cave, troppe, infatti, sono
Feci il computo delle armi e delle munizioni.
le memorie di quell’evento che penetrò sin nelle
Misurai il tempo complessivo che avevo a
fibre più profonde il corpo sociale della città.
disposizione. Divisi i miei uomini in tanti piccoli
Ogni romano, infatti, ne ha avuto un’informazione
plotoni che dovevano alternarsi, e ordinai che
diretta. Orale. In famiglia, a scuola, in parrocchia:
ognuno sparasse un solo colpo. Precisai che il
ovunque.
proiettile doveva raggiungere il cervello della
E forse proprio per questa ragione i libri e le
vittima, perché non vi fossero dispersioni di fuoco,
testimonianze pubblicate in tante opere che negli
e la morte fosse istantanea...non feci venire un
anni sono state editate, non hanno avuto una
cappellano perché sapevo che i condannati si
pari diffusione. E questo, nel momento in cui la
attardano a parlare con il sacerdote ed io non
generazione dei testimoni di quei giorni via, via si
potevo concedere più di un minuto per ciascuno.
va assottigliando, può costituire il rischio concreto
I condannati - in gruppi da venticinque – furono
di un oblio impietoso. E mai allora come in questo
trasportati in carri coperti da teloni perché non
caso, il ricordo pubblico e ufficiale non è rituale,
fossero notati dai passanti. Non furono informati
ma vera occasione di conoscenza. E non da oggi.
della sorte che li attendeva per evitare che
Scorrendo, infatti, i tanti discorsi ufficiali pronunciati
gridassero durante il trasporto. La nostra scorta
nelle ormai numerosissime ricorrenze anniversarie,
era insufficiente. Le mani legate dietro la schiena,
ci si accorge che gli oratori che hanno parlato
furono introdotti nelle cave cinque alla volta,
davanti a quel sacrario, non si sono affidati mai
inginocchiati alla luce di alcune torce (...) i militari
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obiettivo sicurezza
I SERVIZI
tedeschi – così Signorello concluse questa citazione
di Kappler – erano depressi. Di mia iniziativa offrii
una bottiglia di cognac ai miei collaboratori per
rianimarli”.
Ma le testimonianze continuano (e talvolta non
coincidono): “Un soldato, Giuseppe Raider, che fu
scambiato dai tedeschi per un paracadutista inglese,
mentre era semplicemente un disertore dell’esercito
tedesco, riesce a sottrarsi all’eccidio e narra la fase
immediatamente precedente al massacro: ‘Vicino
a me stavano oltre a don Pietro Pappagallo, il
colonnello Rampolla, il generale Simoni, l’avvocato
Martini, un giovane napoletano di nome Forte ed
altri. Il semicerchio si trasformò lentamente in un
gruppo sempre più compatto di gente ammassata
intorno a me e a don Pietro...accennerò soltanto
ad un colonnello che stava davanti a me, credo
un certo Montezemolo, dal volto già gonfio per le
percosse e i colpi ricevuti, con un enorme borsa
sotto l’occhio destro, il cui aspetto stanco, ma
un abominio chiamato
L’ISA, l’istituto superiore
antincendi ha ospitato la
manifestazione organizzata
dal municipio Roma XI per
commemorare il giorno della
memoria.
Hanno partecipato
all’iniziativa circa
duecentocinquanta studenti
delle scuole superiori del
territorio alla presenza del
direttore dell’istituto Michele
Di Grezia, del presidente del
municipio Roma XI, Andrea
Catarci, del presidente
dell’ANED (associazione
nazionale ex deportati) sez.
Roma, Aldo Pavia, la storica
degli archivi di Stato, Micaela
Procaccia e il consulente per
la memoria del municipio
Roma XI, Ernesto Nassi.
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obiettivo sicurezza
tuttavia marziale ed eroico, non poteva nascondere
le passate sofferenze. Tutti avevano capelli irti e
molti erano incanutiti....in mezzo al frastuono udii
esclamare: padre, benediteci!...don Pietro riuscì a
liberarsi dai suoi vincoli, e pronunciò una preghiera
impartendo a tutti la benedizione....”. Sul fatto che i
prigionieri non conoscessero la loro sorte, c’è pure
una versione contrastante.
Secondo la testimonianza riferita dallo storico
salentino Beppe Capano e poi citata da Sergio
Torsello nel suo recente libro, “A Roma un giorno
di primavera”, i detenuti rastrellati dal terzo braccio
di Regina Coeli, qualcosa dovevano sapere.
L’avvocato di Alessano, Ugo Baglivo, morto alle
Ardeatine, infatti, era stato informato da un agente
carcerario del destino che lo attendeva, e – così
scrive – ebbe anche l’offerta di salvarsi con la fuga.
Ma “egli volle però rimanere unito con i compagni
nel comune destino, ed evitare che con la sua
fuga determinasse la morte di un altro, tacendo ai
Shoà
“Sono tornata per tigna”, che in
dialetto romanesco vuol dire “ostinazione”. “Ci sono cose che tutti
vogliono dimenticare, - ha scritto
nel suo libro Gli anni rubati - ma io
no. Io della mia vita voglio ricordare
tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz:
due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in Polonia
l’inverno è inverno sul serio, è un
assassino...anche se non è stato il
freddo la cosa peggiore.
Tutto questo è parte della mia
vita e soprattutto è parte della vita
di tanti altri che dai lager non sono
usciti. E a queste persone io devo il
ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia.
L‘ho giurato quando sono tornata a casa”. Queste sono le parole di
Settimia Spizzichino, protagonista
del film/documentario, proiettato in
di Carla Di Veroli
questa occasione, intitolato “Nata
2 volte – Storia di Settimia, ebrea
romana” di G. Curi, realizzato per
commemorare la sua figura, ex
deportata e unica donna dei 17 reduci della deportazione del ghetto
di Roma del 16 ottobre 1943. Ha
mantenuto la parola, fino al giorno
della sua morte, avvenuta il 3 luglio
del 2000: infaticabile e determinata, non ha mai abdicato alla sua
missione di testimone di una delle
pagine più vergognose della nostra
storia.
Ha levato la sua voce che non è
mai stata flebile lamento, ma vigorosa e dirompente. Solo la certezza
di aver lasciato indelebilmente il
segno del suo passaggio su questa
terra ha potuto alleviare l’abisso del
suo dolore e la consapevolezza
della sua missione: tramandare la
memoria di ciò che è stato, perché
I SERVIZI
Quando il dolore sembra
non passare mai
compagni la notizia della morte imminente”.
Don Pappagallo fu la figura che ispirò Rossellini
nel film “Roma città aperta”, anche se nella
trasposizione scenica della sua morte, il film si
riferisce all’altro prete eroe della Resistenza romana,
don Giuseppe Morosini, all’epoca della rappresaglia
detenuto al terzo braccio di regina Coeli (e di lui
resta una toccante testimonianza di Pertini), già
condannato a morte per avere svelato agli alleati
le linee di difesa dei tedeschi a sud di Roma, ed in
effetti fucilato nelle drammatiche circostanze che
concludono il capolavoro di Rossellini, il 10 aprile
successivo a Forte Bravetta. Dei dodici componenti
il plotone di esecuzione, ben dieci spararono in
aria, mentre gli altri due ferirono il prete che fu
poi finito dall’ufficiale con un colpo alla nuca.
Storie che si intrecciano e si confondono, anche
se scavando nell’enorme mole delle testimonianze,
molti fili apparentemente slegati, si riallacciano
secondo imprevedibili trame. E tanto per restare
mai più l‘uomo permetta il ripetersi
di tale abominio, un abominio chiamato Shoà.
La seconda guerra mondiale
fa parte di un periodo storico così
“vicino” da essere ancora parte
dell’esperienza di vita di tante
persone, eppure sufficientemente
“lontano” da poter essere rimosso
e addirittura sconosciuto alle nuove
generazioni. Il tempo è implacabile, ci sta sottraendo coloro che in
prima persona hanno sperimentato
il potenziale d’odio all’ennesima
potenza di cui gli uomini sono stati
capaci.
Questi uomini e queste donne
non solo sono riusciti a sopravvivere, talvolta per puro caso, ma sono
riusciti ad evitare di diventare ciò
che volevano i loro carnefici: dei
non-uomini, delle non-persone.
Hanno avuto la forza di restituirsi alla società, quella società
che non aveva saputo o voluto preservarli. Ha scritto Elie Wiesel: “La
lezione terribile della Shoà è che
a don Pappagallo (che Giovanni Paolo II incluse
tra i martiri del XX secolo) c’è da aggiungere che
era di Terlizzi (Bari) come Giacchino Gesmundo,
professore di lettere e militante comunista, anche
lui trucidato alle Ardeatine.
Ma torniamo all’annuncio della strage: “Dopo il
comunicato del comando germanico – scrisse una
coraggiosa signora romana (a riferirlo è sempre
Signorello) – le famiglie dei detenuti, come pazze,
hanno tentato di sapere qualcosa...le voci più
contraddittorie s’incrociavano, liste senza alcun
fondamento giravano ovunque (una di quelle vere
l’aveva gettata via l’addetto delle cucine di Regina
Coeli, il quale l’aveva considerata soltanto una
lista di partenti per i lavori forzati), l’ambasciata di
Germania era presa d’assalto....Davanti a via Tasso
e a Regina Coeli hanno stanziato da mane a sera
lunghe file di parenti che pregavano, supplicavano
il personale delle carceri di dire loro qualcosa....”.
Attilio Ascarelli conferma queste parole specificando
un popolo è stato distrutto non per
ciò che aveva fatto, ma per ciò che
era. La lezione ancor più terribile è
che è stato possibile eliminare un
popolo senza che nessuno intervenisse”.
Aver stabilito una “giornata
della memoria” con una legge
votata dal parlamento nel luglio
del 2000, è quindi un modo per
rinnovare ogni anno l’impegno di
consegnare soprattutto ai ragazzi
delle nostre scuole il bagaglio della
memoria, fatto anche di piccole e
grandi storie, di emozioni e insegnamenti, perché è proprio nelle
scuole che si formano cittadine e
cittadini consapevoli e promotori di
quell’etica della convivenza e della
pace che è il più forte strumento di
lotta contro tutte le discriminazioni
e le sopraffazioni.
E’ un tributo che dobbiamo rendere a coloro che non sono tornati
e a coloro che portano incisi nel
corpo e nell’anima i segni dell’orrore. Può essere lo strumento per
renderci storicamente consapevoli
ed eticamente immuni dal male,
il che tradotto ai giorni nostri può
voler dire sviluppare la capacità di
abolire le distanze, il rispetto del
diverso. Se l’ebreo è l’altro, il diverso, e per questo diventa simbolo
dell’alterità e dell’estraneità, allora
l’antisemita e il razzista divengono
simbolo e realtà di ciò che è unitario, fermo e irremovibile, di coloro
che si negano alla conoscenza.
La conoscenza invece non
deve essere appropriazione, ma
accoglienza del “diverso”, di chi
è “estraneo”. Deve e può esserci
separazione, semmai differenza,
ed è compito della conoscenza
utilizzare la parola come luogo dell’intendersi.
Non dimenticare oggi vuol dire
rigettare con forza xenofobia e
razzismo, e dunque combattere chi
nega e chi vuole cancellare colpe
e responsabilità, restituendo ai carnefici la stessa dignità storica delle
loro vittime.
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I SERVIZI
che: “L’elenco degli uccisi, redatto dalle autorità puntuale resoconto di quell’immane lavoro che egli
tedesche, non è stato mai rinvenuto”. Per cui “le descrisse come estremo omaggio a quelli che alle
più disparate versioni cominciarono a circolare tra Fosse furono barbaramente uccisi. Un libro che non
i romani esterrefatti e prostrati dal dolore, ma per si può riassumere e che basterà citare nel suo inizio:
nulla domi: se ciò pur non valse ad aumentarne “....all’ingresso delle gallerie la pietà dei cittadini
la fierezza! Intanto la più crudele ansia invadeva la aveva deposto numerose corone e ne aveva ornato
mente di quanti avevano un congiunto tra gli artigli la parete di scritti e di reliquie.
tedeschi. Dappertutto si cercò e a nulla valsero le
Inoltrandosi all’interno delle lugubri gallerie un
severe disposizioni all’uopo messe in atto perché il senso di freddo invadeva il visitatore oppresso
luogo non fosse individuato; la località fu scoperta: altresì da un fetore ammorbante al quale era difficile
erano le ‘Fosse Ardeatine’!
resistere (....) non vi è chi sia entrato per una volta
Non pochi furono in seguito gli animosi che, in quel luogo di tristezza e di martirio che non ne
eludendo qualsiasi sorveglianza, si portarono abbia riportato un senso indimenticabile di orrore,
sul posto dell’eccidio, sia che volessero rendersi un senso di pietà per le vittime, di esecrazione per
conto di quanto avvenuto, sia che una giustificata gli uccisori (...) i componenti della commissione ne
trepida ansia li spingesse a cercare se fra i corpi rimasero atterriti!”.
insepolti delle vittime vi fosse quello di un caro
Eppure quegli enormi ammassi imputriditi furono
congiunto”. E si, perché il luogo, come dice districati, dall’eroismo di alcuni vigili che con abilità e
Ascarelli, era stato casualmente scoperto. “Giorni immensa pietas riuscirono ad estrarre tutte le salme.
dopo l’eccidio, dei bambini, giocando in una cava E tutte e 335, meno dodici non identificate, furono
di pozzolana, rinvennero alcuni cadaveri crivellati ricomposte, lavate, e restituite al dolore dei parenti.
di colpi. Gli accorsi alle loro grida – così si leggeva Questa è la pietà della “Fosse”. Questo è il Sacrario
nelle cronache di allora – sono
di una città, edificato dal sacrificio
potuti entrare al di là di una frana
di chi vi ha dato la vita, e anche da
“Presso le tombe
prodotta di recente in maniera
chi lo ha svelato mettendo le mani
incompleta, in una galleria lunga
dei martiri cristiani, nell’orrore, perché la memoria
una quarantina di metri, stipata di
fosse vera. Compiuta.
altre tombe si sono
cadaveri”. Ed ecco allora che inizia
Obiettivo Sicurezza è la rivista
il pellegrinaggio che con toccanti
ufficiale di un organo dello Stato,
aperte
per
i
martiri
parole racconta Lia Albertelli, figlia
e per questo la sua è una funzione
della patria”
della medaglia d’oro Pilo, nel suo
particolare. Oltre ad informare,
libro uscito pochi anni dopo i fatti:
infatti, essa non può esimersi
“Giorno di pioggia alle Ardeatine”.
dall’indicare cose da fare e vuoti
E così all’indomani della liberazione di Roma, da colmare. Sul piano tecnico e organizzativo, per
si corse subito alle Cave, ancora chiuso sacrario di quanto attiene la vita del Corpo nazionale dei vigili
un immenso dolore, che i romani indicarono in un del fuoco ma, laddove se ne ravvisi l’opportunità,
manifesto affisso nelle vie della città e che recava anche per la formazione delle coscienze.
queste parole: “Presso le tombe dei martiri cristiani,
E questo articolo è stato redatto con questo
altre tombe si sono aperte per i martiri della patria. scopo. Esso ha estratto dalle memorie del Corpo
Questi e quelli morirono per la libertà e la dignità nazionale, una pagina forse poco conosciuta
dello spirito contro la pagana tirannia della forza e certamente densa di umanità e di generoso
brutale”.
coraggio civile.
Primo pensiero del popolo romano – è ancora
Raccogliendo allora l’esempio di quel tempo
il racconto di Ascarelli – “fu di dare onorevole vissuto eroicamente rintracciando i resti dei martiri
sepoltura ai suoi martiri e degno riconoscimento uccisi nelle Cave, si può trarre come insegnamento
al loro sacrificio”. E a questo scopo si formò una l’idea che quel grande e solenne sacrario e il piccolo
commissione d’inchiesta e un comitato tecnico e tragico museo degli appartamenti di via Tasso dove
nel quale oltre al nostro autore che nella qualità di i nazisti fecero strazio dei patrioti e resistenti romani
tanatologo prestò la sua opera per tutto il periodo, di ogni età, fede, cultura e grado, divengano passaggi
contribuendo in modo sperimentale e decisivo pensosi e privilegiati delle nuove generazioni, perchè
al riconoscimento di quasi tutte le salme, ridotte la memoria di quella testimonianza non si dissolva.
ormai a due enormi e impressionanti ammassi E farà bene leggere il graffito lasciato sull’intonaco
cadaverici, ed al quale fu associato il maggiore di via Tasso dal generale Sabato Martelli Castaldi,
Antonio d’Acierro, comandante dei vigili del fuoco, uno dei trecentotrentacinque delle Fosse: “Quando
per quanto atteneva allo sterro e all’escavazione il tuo corpo non sarà più, il tuo spirito sarà ancora
delle salme. Da luglio il comitato lavorò fino a tutto più vivo nel ricordo di chi resta. Fa che possa essere
il dicembre di quell’anno. Ed il libro di Ascarelli è il sempre di esempio”.
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