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proRETT News 5/2016

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proRETT News 5/2016
proRETT
Notiziario di Pro Rett Ricerca
Associazione per la ricerca sulla Sindrome di Rett ONLUS
Numero di Dicembre - Gennaio 2016
Vedere il mondo con occhi diversi
S
indrome di Rett. Poteva andarci peggio con un nome impossibile
da pronunciare. Invece no, è proprio la Rett. Quattro semplici lettere
che hanno sconvolto la vita di centinaia di migliaia di famiglie in tutto
il mondo. Compresa la nostra. La prima volta che la senti nominare pensi
solo alla parola Sindrome. Già quella basta per spaventare, poi ti accorgi
che ci sono molte sindromi che permettono alle persone di vivere una vita
‘quasi normale’… non è il caso della Rett.
La Sindrome di Rett non ha nulla di normale. Veder crescere la propria
bambina, raggiungere obbiettivi come camminare, usare le mani e parlare
è emozionante. Diversa è l’emozione quando vedi svanire le sue capacità.
Pian piano non fa più tutte queste cose, lentamente viene portata via la
tua bambina. Ma non via del tutto perché viene sepolta e intrappolata in
un corpo con un cervello che non ne vuole sapere di mandare i segnali
giusti. Appena diagnosticata e con la mutazione in mano, ti cambia la vita.
Lei è ancora li, ma sai già che sarà per poco, perché nel frattempo ti sei
documentata (maledetto internet) e anche se non ci credevi del tutto sapevi che era la Rett perché mettendo i sintomi in Google, la prima cosa che
appariva era ‘Sindrome di Rett’. Non c’era scampo, neanche nel mondo
virtuale. Da quel momento in poi è un pianto a dirotto. Un guardarsi intorno
e vedere il mondo con occhi diversi. Ricordo che persino i colori erano
più forti, diversi. Guardavo le persone per strada e m’immaginavo la loro
vita, sicuramente senza problemi perché fino a quel momento anch’io ero
come loro. Credevo di avere problemi ma in realtà non erano nulla di irreversibile, nulla che non si potesse risolvere. Ma ora la mia bambina di
appena due anni è malata e non esiste una cura. La prima cosa che
feci fu di andare a vedere cosa stesse facendo il mondo scientifico nella
ricerca. In Italia c’era praticamente il nulla. Per forza di cose mi sono trovata
a navigare in siti americani. Una fondazione in particolare negli USA stava
concentrando tutte le sue energia sulla ricerca. Certo, le terapie, i controlli,
le visite mediche erano importanti per mia figlia ma non l’avrebbero aiutata
a ‘guarire’. La regressione era iniziata e se volevo davvero aiutarla, l’unica
speranza per me era la ricerca scientifica. Poi, l’incontro con le famiglie di
Pro Rett Ricerca… fu una rinascita per me. Dal 2004 (anno della diagnosi)
ad oggi sono stati fatti passi da gigante e anche se non abbiamo ancora
una cura possiamo sperare di trovarla perché è la scienza che ce lo dimostra ogni giorno con nuove scoperte e nuove strade da intraprendere.
Questi ultimi 11 anni ormai sono persi per mia figlia, nulla potrà più darle
l’infanzia che avevamo sognato per lei. Ma ha ancora tutta una vita davanti
ed è nostra intenzione renderla il meno dolorosa e più serena possibile.
La risposta è in uno dei centinaia di laboratori del mondo, magari proprio
nel nostro laboratorio del San Raffaele. Dobbiamo trovarla. Volete sentire
una storia bellissima? Due genitori aspettano con ansia la risposta ad un
esame nello studio di un genetista. Il dottore entra e dice: ‘Abbiamo i risultati di sua figlia, ha la Sindrome di Rett. Ma non vi preoccupate… abbiamo
una cura’.
Aiutateci a trasformare questa favola in realtà.
Orietta Mariotti
Caro Lettore,
La sindrome di Rett provoca un sentimento profondo tra le persone che ne vengono a contatto, obbliga le famiglie a cambiamenti di
vita, coinvolge le comunità che vivono la presenza di persone con
la malattia, suscitano scelte che hanno bisogno di nuove forze ed
energie.
In questo numero abbiamo dato spazio a questi sentimenti, “Vedere
il mondo con occhi diversi “è il filo conduttore che raccoglie le testimonianze di diverse persone che hanno incontrato la malattia.
Ognuna di loro ha messo in atto un impegno, una strategia destinata a migliorare la vita delle bambine e ragazze affette dalla sindrome di Rett.
“Non lasciateci soli” questo è l’invito che vogliamo lasciare tra le
righe di questi articoli, solo così le persone che stanno lavorando
per la Rett, potranno continuare a farlo.
Continuate a sostenerci nella raccolta fondi, continuate a destinare il 5 x mille a Pro RETT, continuate a partecipare ai momenti di
festa ed eventi che possono finanziare la ricerca.
Grazie
Rita Bernardelli
5
PER MILLE
Pro RETT
Vedere il mondo con occhi diversi
I miei geni per gli altri
U
n giorno che non ti aspetti ti accade di dover prendere delle decisioni. Come a me alla fine del liceo. Non avevo alcuna certezza, tranne
quella che, in un modo o nell’altro, l’obiettivo della mia vita doveva
essere aiutare qualcuno. Mi sono fermato un attimo, invece di continuare
a seguire la frenesia della vita e mi sono chiesto: “Ho sfruttato appieno la
mia fortuna?”. I miei geni funzionano tutti perfettamente, il mio cervello è
capace di ragionare e di comprendere, anche il mio corpo è una macchina
perfettamente funzionante. Ma sto sfruttando questi pregi? Oppure li sto
sprecando? Non volevo ritrovarmi un giorno, davanti ad uno specchio, con
qualche anno in più, qualche capello bianco, un po’ appesantito, a farmi
ancora la stessa domanda senza più avere la possibilità di fare delle scelte
e la forza - o l’incoscienza - di affrontare dei cambiamenti.
Così ho deciso che da grande sarei stato ricercatore. Ho scelto di studiare
per diventarlo perché non voglio restare sordo all’appello di quelle persone
che necessitano del mio aiuto, dell’aiuto di tutti i fortunati che hanno il loro
DNA perfettamente in ordine. La sindrome di Rett è solo una delle centinaia
di malattie che affliggono l’umanità, e ogni malato necessita che esperti
lavorino per lui, per farlo star meglio. È solo ora, dopo quasi tre anni dalla
scelta del mio percorso di vita che ho realmente compreso perché quel
giorno presi questa decisione: noi fortunati non dobbiamo essere qui solo
a riempire uno spazio. Dobbiamo dedicare la vita a qualcosa di utile. Io - e
come me milioni di ragazzi e ragazze - ho scelto di studiare per aiutare le
persone che non possono farlo da sole. A 21 anni ho capito, guardandomi
intorno, che c’è da imparare da tutto quello che ci circonda. Come una
spugna che invece di assorbire acqua assorbe emozioni, nozioni, conoscenza, opinioni. A 21 anni ho imparato che ogni giorno è un punto di
partenza per un tracciato che non sai dove arriverà: scelgo io le curve,
le strade da percorrere e quelle da evitare e nemmeno sono cosciente
di farlo. Purtroppo, genetica e biologia molecolare non hanno un codice
etico da rispettare: un processo può funzionare alla perfezione, oppure
causare una malattia. A volte il nostro corpo aggiusta automaticamente i
danni, altre volte, semplicemente, passa oltre. C’è giustizia o ingiustizia in
questo? No. Semplicemente, accade. Ma noi esseri umani ci distinguiamo
dagli altri esseri viventi non tanto perché ne siamo superiori (e in effetti
non lo siamo), ma perché abbiamo un codice etico: noi comprendiamo se
qualcosa sia giusto o sbagliato. Non possiamo dire se la malattia sia giusta o sbagliata, ma sicuramente siano coscienti che non possiamo restare
a guardare. Scegliendo di diventare, un giorno futuro, un ricercatore, ho
scelto implicitamente che non potevo e non dovevo rimanere a guardare.
Che non potevo vivere con la consapevolezza di avere le possibilità di fare
qualcosa e non fare nulla.
Oggi sono solo un ragazzo di 21 anni con tanti sogni per la testa e pochi obiettivi raggiunti. Sono solo cosciente che la mia generazione non è
composta da “bamboccioni” o “fannulloni”, come sentiamo dire quasi ogni
giorno in televisione. Ci sono tantissimi ragazzi che coltivano sogni. Alcuni
hanno il mio stesso obiettivo, altri ne hanno uno completamente diverso,
ma non per questo meno importante. Oggi, purtroppo, il potenziale dei
giovani non viene sfruttato appieno, come anche il potenziale della ricerca in sé: i mezzi di comunicazione vengono riempiti di notizie spazzatura,
mentre ricerche rivoluzionarie e innovative, biomediche e non, passano in
sordina, annegando nel mare di niente dei gossip e delle notizie sportive.
I miei sono probabilmente gli stessi pensieri di migliaia di altri aspiranti
scienziati, ed è forse per questo che la ricerca continua costantemente a
fare passi avanti. Non è tanto forse il progresso tecnologico a permettere
alla ricerca di avanzare sempre di più, ma piuttosto quella propensione ad
aiutare chi ha bisogno. Forse è proprio questo che ci permette di essere
umani.
Matteo Bizzotto
Huda Zoghbi
La sua vita per la RETT
L
e ricerche condotte nel suo laboratorio suscitano sempre grandi speranze nelle famiglie delle bimbe affette dalla sindrome di Rett, fin da
quando, nel 1999, scoprì che a causare la malattia era un difetto del
gene MECP2. Stiamo parlando del laboratorio del Baylor College of Medicine di Houston, in Texas, diretto dalla dottoressa Huda Zoghbi, oggi con
lo stesso impegno di allora, nella consapevolezza che “si può fare”, che
una soluzione è possibile.
Solo nell’ultima parte del 2015, ad esempio, il suo gruppo ha pubblicato
due ricerche, molto diverse tra loro ma ugualmente importanti e se vogliamo pionieristiche: nella prima sono stati messi in luce gli effetti positivi della
stimolazione cerebrale profonda, un trattamento già noto in medicina, che
prevede l’impianto chirurgico di elettrodi in particolari aree del cervello, che
si possono così stimolare dall’esterno in modo controllato. Negli animali
affetti da sindrome di Rett, due sole settimane di stimolazione hanno migliorato in modo sorprendente le performance psicomotorie, tanto da far
sperare che possa essere utilizzato per prevenire le conseguenze più debilitanti della sindrome di Rett, e non solo di quella. Nella seconda ricerca,
invece, la Zoghbi e i suoi collaboratori si sono concentrati sul gene MECP2,
dimostrando che la duplicazione di questo gene, all’origine di una malattia
neurologica di gravità analoga alla sindrome di Rett, è reversibile, e che
quindi anche per questa patologia una cura è possibile. E senza ricorrere
alla terapia genica. Basta creare in laboratorio, “finti filamenti di materiale
genetico”, capaci di legarsi - nella cellula - ai filamenti veri, bloccando così
la sintesi proteica. Anche in questo caso, la tecnica è già stata sperimentata nell’uomo, e potrebbe rivelarsi utile per altre patologie, laddove ci sia -
ProRett NEWS
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per qualche motivo - una iperespressione di un gene o di parte di DNA. Ma
proprio lei, la trascinatrice del gruppo, Huda Zoghbi, vent’anni fa ai geni
non pensava nemmeno. Di origine libanese, non aveva tra i suoi obiettivi
giovanili quello di fare ricerca di base. Voleva fare il medico e si era specializzata in pediatria. Tra le sue piccole pazienti però, ce n’erano alcune con
una sintomatologia molto grave e non riconducibile a condizioni morbose
note. Da sola, sulla base soltanto delle poche righe dedicate alla patologia
sui trattati di neurologia, capì che quelle bambine erano affette da una
malattia di cui si sapeva ben poco: la sindrome di Rett. Colpita dalle loro
condizioni, dall’impotenza e dalla “latitanza” della medicina, si levò il camice da pediatra per vestire quello di ricercatrice, rimettendosi addirittura a
studiare per cominciare dall’inizio e andare a scrutare quello che è scritto
nei nostri geni. Giurando a se stessa e alle bimbe che avrebbe trovato la
causa delle loro sofferenze e fornito una risposta. Puntualmente, qualche
anno dopo, la caparbia Huda è riuscita nell’intento, scoprendo che nella
gran parte dei casi tutto parte da difetti di un complicato gene, chiamato
MECP2. Non solo: proseguendo gli studi sugli animali con anomalie del
gene, si è accorta che anche la duplicazione di MECP2, con sintesi di
quantità eccessive di proteina, provoca gravi sintomi. E ha ipotizzato l’esistenza della malattia prima ancora che venisse individuata negli esseri
umani. Ma non c’è solo Huda, là in Texas, a combattere questa battaglia.
Altri si sono fermati, hanno cominciato a vedere le cose da un’altra prospettiva, a capire che qualcosa si può fare. Medici, ricercatori, persone
comuni che ogni giorno lottano contro nemici apparentemente invisibili,
anche solo parlando, diffondendo, ideando qualcosa.
Vedere il mondo con occhi diversi
Poi ho conosciuto Margherita
A
volte, quando meno te lo aspetti, succede qualcosa che ti cambia la
vita. Questo è quello che è successo a me quest’estate quando una
mattina, una vicina di casa dal suo balcone mi ha chiesto se potevo
pubblicare sul giornale con cui collaboro, la locandina di un evento che si
sarebbe svolto il week end successivo: una serata in piazza dove una maestra del luogo avrebbe letto una storia. Il titolo della manifestazione era:
“La cura possibile per Margherita”. In fondo al manifestino c’era scritto che
Margherita era affetta di una strana malattia, la sindrome di Rett.
Inserita puntualmente la locandina nell’agenda del giornale, non ho più
pensato alla cosa per diversi giorni, ma in testa mi giravano alcune frasi e
parole: cura possibile, Margherita, sindrome di Rett. Così una sera, mentre
controllavo la posta sul pc, ho provato ad inserire queste frasi su Google,
e all’improvviso, mi si è presentato un mondo per me sconosciuto. Sono
stato due ore davanti allo schermo a leggere articoli sulle possibili cause,
gli effetti, i sintomi, i possibili trattamenti, e da quel momento, la mia vita
non è più stata quella di prima.
Nel frattempo, nella Valle dove abito, la Valsassina, in provincia di Lecco, si
moltiplicavano le iniziative di solidarietà e affetto per Margherita, la piccola
affetta dalla sindrome di Rett: feste in piazza, raccolta fondi, lotterie, bancarelle spuntavano in ogni paese e quasi tutti i giorni. Poi, attraverso una
foto nella quale appare sorridente assieme ai suoi genitori, ho conosciuto
Margherita: il suo sguardo, il suo dolce sorriso e la sua voglia di vivere
mi hanno conquistato definitivamente. Da quel momento
anch’io, come centinaia di persone in Valsassina,
eravamo diventati Margherita e anche noi volevamo farcela insieme a lei. E per riuscirci,
oltre a dare una mano alla ricerca con il
contributo economico, ho capito che
bisognava parlare e diffondere informazioni sulla sindrome di Rett.
Informarsi, leggere, chiedere, partecipare, contribuire, queste le parole chiavi che ora girano nella mia
testa, ed è quello che faccio quotidianamente parlando con i colleghi
di lavoro, in palestra e in famiglia,
perché Margherita, così come tutte
le bambine come lei che sono affette dalla sindrome, merita di vivere e di
continuare a sognare, regalandoci ad
ogni istante un sorriso pieno di speranza.
Fernando Manzoni
Giornalista del Valsassina News
LA SOLIDARIETÀ DELLA VALSASSINA
“Tutto è iniziato un mercoledì di maggio quando, preoccupati per i problemi di crescita di nostra figlia, siamo andati a farla visitare a Parma,”
racconta Giuditta, la mamma di Margherita. “Da quel giorno, la nostra
vita è cambiata per sempre. Far guarire Margherita è diventata la nostra
missione di vita”.
La battaglia contro la sindrome di Rett era iniziata e bisognava combatterla su tutti i fronti. Non sarebbero mancate le preoccupazioni, le visite, gli
esami, le delusioni, ma bisognava fare di tutto per andare avanti, capire
le cause, conoscere le problematiche, cercare le soluzioni. Un insieme di
cose che Giuditta e suo marito Michele hanno affrontato con coraggio e
caparbietà. Tra le tante notizie, molte delle quali negative, che la famiglia
ha dovuto ricevere in pochi giorni, una ha fatto intravvedere una speranza
all’orizzonte: la patologia di Margherita è reversibile, dunque la cura per
la piccola è possibile.
Questa notizia ha dato ancora più senso alla lotta dei familiari contro la
malattia, rafforzando su tutti i fronti la consapevolezza che c’era qualcosa
da fare. Così è nata la prima iniziativa, che a luglio ha riempito la piazza
di Introbio, con “Ti racconto una storia... la cura possibile per Margherita”.
Da quel momento, la paura dello sconosciuto è diventata informazione,
conoscenza di una malattia, che non era più solo nei libri di medicina o in
televisione, ma a due metri di casa nostra.
Una dopo l’altra le piazze della Valsassina sono state riempite da quella o
quell’altra iniziativa di solidarietà, che nel giro di poche settimane si sono
moltiplicate, quasi fossero contagiose. Più se ne parlava, più la gente si
avvicinava a Margherita e più la cura possibile della piccola dagli occhi
dolci diventava realtà.
Gente comune, privati, aziende, negozi, non è mancato nessuno all’appello: in tantissimi hanno dato il loro contributo per la ricerca, tanto che
alla fine sono stati raccolti ben 32.000 euro (15.000 soltanto nella serata
di Introbio).
Nessuno avrebbe immaginato che la Valsassina si sarebbe dimostrata
tanto solidale e che questa solidarietà dilagasse fino a toccare il cuore
di ogni singolo abitante. La strada è lunga e il percorso più che mai difficoltoso, ma un primo, piccolo passo è stato fatto. Grazie alla solidarietà
di tanti e alla caparbietà di altri, Giuditta e Michele non saranno soli a
combattere la loro battaglia.
Una domenica d’inverno e il ricordo
di una mattina calda d’estate
È
una domenica d’inverno, la giornata è fredda ma molto soleggiata.
La cornice è un gradevole giardino con il locale ristoro affacciato su
una temporanea pista di pattinaggio, dove una piccola folla di bambine aspetta di fare la prima esperienza sul ghiaccio. Sono seduto di fronte
a Lucia e Pierluigi Lodovici, due persone normali ma per noi molto speciali… e vi diremo il perché. Lucia, casalinga attiva in parrocchia, Pierluigi,
una delle colonne del Consultorio Familiare di Rho. Ci sarebbe però tanto
altro da raccontare di questa meravigliosa coppia: quattro figli, tra i 33 e i
47 anni, che stanno seguendo tutti la loro strada. Marco, sacerdote, Paola,
psicopedagogista, Raffaella educatrice, ed Elena, che li ha resi nonni di
due bimbe, impiegata. Ma non ci sono solo loro: Lucia e Pierluigi hanno infatti trovato il tempo e il modo di adottare a distanza due bambini stranieri.
Il collegamento con loro è Michela, mamma di Giorgia, bambina affetta
dalla sindrome di Rett. Giorgia ha appena compiuto 5 anni, ma non può
cimentarsi come le altre bambine e la sua sorellina sulla pista di pattinaggio qui accanto: forse però un giorno, con l’aiuto di tante persone come
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ProRett NEWS
Vedere il mondo con occhi diversi
Lucia e Pierluigi, questo sogno si potrà realizzare. La mamma di Giorgia
conosce Lucia e Pierluigi da quando era una ragazzina, e li racconta così:
“Era una mattina calda d’estate, più di vent’anni fa. Mi sveglio, scendo in
cucina, vedo che è pronta la colazione di questa ultima giornata; ultima di
una splendida settimana trascorsa con la mia amica Elena e i suoi genitori,
Lucia e Pierluigi, nella loro casa al lago. Due persone fantastiche e cordiali
che condividono la VITA con tante persone, sia nella convivialità che nella necessità. Sono persone accoglienti, che ospitano e offrono tempo ed
impegno per gli altri”. Chiacchiero con Lucia e Pierluigi: vogliono sapere
di tutto della malattia e vogliono capire quali sono i progetti sulla ricerca.
Chiedo loro come hanno conosciuto Giorgia e la sua situazione. Mi spiegano che a parlarne è stata loro figlia Elena, e che si sono sentiti subito
coinvolti. Hanno quindi deciso di “adottarla simbolicamente”, pensando di
sostenerla per il futuro. Da questo pensiero nasce l’idea di offrire, a Giorgia
e a tutte le bambine con sindrome di Rett i regali che avrebbero ricevuto
dagli amici in occasione del loro cinquantesimo anniversario di matrimonio. È così, che quest’anno i tanti amici di Lucia e Pierluigi hanno contribuito con un importante donazione a sostenere la ricerca.
Tra le tante cose di cui mi parlano, vogliono sottolineare che in questo tempo in cui molti ostentano e desiderano il superfluo ed il futile, loro credono
di non aver bisogno di nulla. Al contrario, sono convinti di quanto sia bello
avere il piacere, impagabile, di donare speranza e di essere utili agli altri,
con un’attenzione particolare ai bambini.
Personalmente, a nome mio e degli altri genitori di bambine con sindrome
di Rett, la cosa più importante, in queste poche righe, è riuscire a trasmettere a queste meravigliose persone la nostra gratitudine per il loro sostegno
Grazie
Salvatore Franzè
Il piccolo grande esercito
del 5 per Mille
ME LO VOGLIO
R IC O R D A R E
5
PER MILLE
Co di ce Fi sc al e
93 04 36 80 20 1
P ro R E T T
Vedere il mondo con occhi diversi è una condizione spesso riservata a coloro che nel loro percorso incontrano eventi particolari, di prova. Le persone cambiano la visione della propria vita nei momenti di dolore, vacillano,
cadono in depressione e altro ancora. Spesso si isolano per un periodo,
ma poi queste difficoltà vengono rielaborate, in parte accettate e per la
maggior parte di loro inizia un dialogo nuovo con gli altri. Capita spesso
che queste due parti si cerchino e inizi un rapporto di aiuto e sostegno:
inizia la ricerca comune di soluzioni.
È quello che ogni anno capita con la destinazione del 5 x 1000 da parte
di una moltitudine di persone silenziose, che si sono avvicinate alla sindrome di Rett. Parenti, amici, conoscenti, persone che ci hanno accettato ed
amato e che come noi vogliono una vita migliore per le bambine e ragazze
con la Rett. Persone che comprendo i nostri progetti, che ci mettono la firma e che ci consegnano in bianco la loro fiducia, ci dicono tacitamente di
andare avanti, perché il nostro scopo è diventato anche il loro.
Ogni anno ce lo dimostrano: oltre 3000 firme per un importo che si aggira
sugli 80.000 euro e che nel nostro bilancio rappresenta il 40% delle entrate
annuali. La nostra associazione è piccola, ma è riuscita a mettere in campo
progetti ambiziosi e sostenere ricerca eccellente In Italia e all’estero grazie
proprio a questo grande esercito di buone persone.
Ma il nostro/vostro lavoro non finisce qua. Vogliamo che questo esercito
cresca e per farlo serve la vostra voce: sensibilizzate, passate parola insieme a noi e aumentando il gettito di entrate del 5 x 1000, ci darà la possibilità di continuare ad investire in progetti e programmi di ricerca sempre
più specifici. La buona ricerca costa, e coinvolgere nuovi ricercatori con
alti profili e competenze è ciò a cui miriamo. Esistono altri progetti, che
Pro RETT vorrebbe mettere in atto, anche collaborando e sostenendo altre
associazioni, programmi di comunicazione per le bambine e di sostegno
alla loro vita quotidiana. L’aumento delle firme del 5 x 1000 potranno darci
questa opportunità e fare la differenza.
Non ti scordare di Noi.
Grazie a tutti coloro che hanno FIRMATO per noi.
ProRett NEWS
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Maria Luce Negri
la Ricerca
La parola a Nicoletta Landsberger
Ci apprestiamo a iniziare l’anno nuovo piuttosto carichi dopo avere passato un anno che, se si è contraddistinto per la difficoltà nel reperire finanziamenti, è d’altro canto stato per noi fonte di grandi soddisfazioni scientifiche
e alcuni importanti cambiamenti.
Lascerò ai protagonisti della ricerca, ai ragazzi che tutti i giorni hanno la
pipetta in mano o gli obiettivi del microscopio sotto gli occhi, raccontare i
successi del 2015; quei successi che sono stati riconosciuti dalla comunità
scientifica con delle pubblicazioni che ovviamente ringraziano all’unisono il
fondamentale supporto di proRETT.
In questo pezzo vorrei invece raccontarvi cosa vorremmo fare nel 2016 e le
novità. Come potrete leggere nell’articolo scritto dai ricercatori più giovani,
i nostri sforzi nel 2015 sono stati premiati da quattro pubblicazioni, e speriamo - anzi, ci crediamo fermamente - che il 2016 sia premiato da altrettanti articoli su riviste internazionali. Le ricerche che condurremo saranno
ancora nell’ambito della ricerca di base, volte ad aumentare le conoscenze
sulle due proteine, MeCP2 e CDKL5, coinvolte nella sindrome di Rett: al
contempo però speriamo che aprano la via a studi traslazionali, ovvero
studi in cui viene valutate le possibilità di nuovi approcci farmacologici.
In particolare, Anna Bergo con l’aiuto di una dottoranda, Barbara Leva,
proseguendo gli studi iniziati è riuscita, in collaborazione con il prof. Ferdinando Di Cunto e Federico Bianchi dell’Università di Torino, a dimostrare
la presenza di un nuovo difetto cerebrale mai descritto prima nel topo modello della malattia. Siamo convinti che un simile difetto caratterizzi anche
il cervello privo di CDKL5 e nel 2016 cercheremo di vedere le conseguenze
di tale anomalia e la possibilità di normalizzarlo.
Francesco Bedogni, Clementina Cobolli Gigli e Linda Scaramuzza proseguiranno i loro studi cercando di comprendere se i difetti visti negli embrioni privi di MeCP2 possano essere trattati farmacologicamente, alleviando i
sintomi degli animali modello della malattia.
Anna Bergo con una grande studentessa, Elena Brivio, si dedicherà invece
alla caratterizzazione di un nuovo topo mutato in MeCP2: i dati raccolti fino
ad oggi, ci fanno capire come questo animale ci permetta di comprendere
funzioni di MeCP2 ancora inesplorate. E i suoi studi ben si armonizzano
con quelli di Gilda Stefanelli che giustamente, ma con grande dispiacere
nostro, a primavera ci lascerà per andare a perfezionare le proprie attività
negli Stati Uniti. Ma prima invieremo il suo articolo e speriamo che questo
rappresenti la prima pubblicazione del 2016.
Veniamo a CDKL5: la ricerca va avanti con la prof.ssa Charlotte Kilstrup
Nielsen, che guida un gruppo di quattro persone a Busto Arsizio dedite
prevalentemente a scoprire se dei farmaci possano, in accordo con le ipotesi, migliorare i difetti di neuroni in coltura privi di CDKL5, giustificando
quindi il trattamento dei topi modello della malattia. Ha lasciato il gruppo
Paolo La Montanara, andando a Londra a svolgere la sua attività di Post
Dottorato: ci mancherà Paolo, un grande lavoratore con una grandissima
capacità di studio e di progettualità.
Tra le novità: è arrivata la dottoressa Angelisa Frasca, che ha avviato un
progetto del tutto traslazionale al momento “top secret” per comprendere
se abbiamo in mano una strategia terapeutica per i topi privi di MeCP2. Angelisa si è inserita rapidamente e alla perfezione nel gruppo ed è diventata
subito altamente produttiva. Dita incrociate quindi per l’approccio di Angelisa. E poi ultimo, ma non meno importante, c’è stato il mio cambiamento di
sede. Mi sono trasferita a Medicina, all’Università di Milano, con l’incarico
di docente di biologia molecolare presso questo ateneo. Insieme a questo
nuovo incarico mi è stato affidato un nuovo laboratorio di ricerca, nel quale
ho già avviato progetti scientifici sulla sindrome di Rett. Il mio nuovo laboratorio, afferente al Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina
Traslazionale, si trova subito fuori dal campus del San Raffaele, 500 mt dal
San Raffaele Rett Research Center. Una novità che ha portato in me un
grande entusiasmo: respiro la simpatia e fiducia dei miei nuovi colleghi, la
loro voglia di collaborare, la grandezza e dinamicità di un grande ateneo,
la presenza di tante competenze. E poi i ragazzi sono più vicini gli scambi
e i contatti tra un laboratorio e l’altro continui e giornalieri. Credo che sia
un’iniezione di buon umore e ottimismo per tutti, nonostante le difficoltà di
fare ripartire un nuovo laboratorio. Nuova la sede, gli spazi e i collaboratori,
“vecchia” la ricerca: come sempre dedita alle patologie legate a MeCP2 e
CDKL5. Avanti tutta quindi fino alla cura!
Nicoletta Landsberger
S
pazi ristretti, qualche
sgabello, solo banconi
e scaffali addossati
alle pareti. Ma è proprio qui,
in posti come il San Raffaele
Rett Research Center, che
si combatte per vincere la
sindrome di Rett.
Abbiamo provato a chiedere
a chi lotta giorno dopo
giorno su questo strano
campo di battaglia, cioè ai
ricercatori che ci lavorano,
quali strategie e iniziative
sono state messe in atto,
nell’ultimo anno, per
sconfiggere la malattia.
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ProRett NEWS
la Ricerca
MeCP2 e il centrosoma
C
omincerei col parlare dello studio sulla cellula, dice Anna Bergo
prendendo la parola. “È stato pubblicato a dicembre del 2014, poco
prima di Natale, e l’abbiamo considerato come un regalo. La pubblicazione di una ricerca su una rivista internazionale è importantissima per
noi ricercatori. Significa l’accettazione da parte del mondo della scienza.
Anna Bergo
Si è laureata in Scienze Biologiche presso l’Università di Milano. Dal
2002 ha lavorato nel laboratorio di Busto Arsizio, prima come dottoranda dell’Università dell’Insubria poi come post-doc, e si occupa
dello studio delle modificazioni post-traduzionali di MeCP2 e della
ricerca di suoi interattori.
Una ricerca che non viene pubblicata è come se non fosse stata nemmeno
condotta.” In questo studio, Anna Bergo con alcuni più giovani collaboratori ha dimostrato, per la prima volta, l’esistenza di una correlazione tra
la proteina MeCP2 e il centrosoma, un organello essenziale nel processo
di divisione delle cellule, ma anche nella formazione dei neuroni. “Grazie
anche alla collaborazione con il laboratorio del professor Di Cunto a Torino,
abbiamo osservato che la mancanza di MeCP2 nelle cellule in divisione
porta a difetti che possono essere strettamente correlati al centrosoma:
problemi nella proliferazione cellulare, nell’assetto della divisione e nella
formazione dei microtubuli che la sostengono”, continua Anna. “Al di là
dei termini tecnici, di cui mi scuso con i non addetti, la conclusione che
se ne può trarre è che questi dati aprono la strada a nuovi esperimenti,
volti a comprendere come i difetti del centrosoma dovuti alla mancanza o
alla mutazione di MeCP2 possano interferire con la corretta formazione dei
neuroni e con il loro funzionamento.”
Fin dall’embrione
S
e Anna si è concentrata sulla cellula, Francesco Bedogni, Clementina
Cobolli Gigli e Linda Scaramuzza, hanno studiato un periodo finora
molto trascurato, il periodo embrionale. “Dal momento che le bambine affette dalla sindrome di Rett manifestano i primi sintomi mesi dopo
la nascita, nel corso degli anni i ricercatori si sono focalizzati su quello
che accade nel periodo post-natale”, spiega Linda Scaramuzza. “Il nostro
lavoro invece, pubblicato sulla rivista scientifica Cerebral Cortex, si è focalizzato sull’embrione, dimostrando per la prima volta l’esistenza di segni
caratteristici della patologia già in età embrionale, quindi molto prima della
comparsa dei classici sintomi.”
I risultati ottenuti riguardano nello specifico la corteccia cerebrale dell’embrione, che si presta molto bene a questo tipo di studi, perché la sua maturazione è regolata da specifici programmi di espressione genica distinguibili nel tempo. “Abbiamo potuto constatare che nella corteccia embrionale
priva di MeCP2, vi è un’importante riduzione dell’espressione di molti geni
che svolgono un ruolo chiave nello sviluppo e nel funzionamento dei neuroni, e questo grazie anche alla collaborazione con l’Istituto Nazionale di
Genetica Molecolare e l’Istituto Clinico Humanitas”, prosegue Linda. “Si
tratta di geni che consentono ai neuroni di rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno e di inserirsi correttamente nella fitta rete neuronale che si forma una volta che il cervello è maturo. Se non funzionano
o funzionano male, si creano problemi di responsività che pensiamo contribuiscano a determinare i difetti morfologici che abbiamo riscontrato nei
neuroni embrionali.” Il complesso fenotipo neurologico che caratterizza i
pazienti Rett potrebbe quindi essere una somma di eventi avversi che iniziano a manifestarsi prima della nascita e che peggiorano una volta che il
cervello ha raggiunto lo stadio finale del suo sviluppo.
Francesco Bedogni
Clementina Cobolli Gigli
Linda Scaramuzza
Si è laureato in Biotecnologie Farmaceutiche presso l’Università degli Studi di Milano nel 2002. È stato in forza al Laboratorio di Neuropsicofarmacologia (Dpt. Scienze Farmacologiche), fino al 2006, quando ha conseguito il Dottorato
di Ricerca. I suoi studi si sono incentrati sulla modulazione
della neurotrofina BDNF e del fattore di crescita FGF2 in modelli animali di depressione e schizofrenia. Si è poi trasferito
all’University of Washington (Seattle, USA), dove, sotto la
guida del professor Robert Hevner, ha intrapreso studi di
sviluppo embrionale della corteccia cerebrale in un modello
animale di autismo. Tornato dagli USA, ha contribuito nel
2009 all’apertura del SRRRC presso l’Ospedale San Raffaele, dove lavora attualmente, conducendo studi sul ruolo di
Mecp2 nello sviluppo embrionale della corteccia cerebrale.
Ha conseguito la laurea triennale in Biotecnologie mediche
e farmaceutiche nel 2010 presso l’Università Vita-Salute San
Raffaele. Nello stesso ateneo ha proseguito gli studi conseguendo la laurea magistrale in Biotecnologie mediche
molecolari e cellulari nel 2012. Nel corso dell’ultimo anno
di studi ha svolto un internato di tesi presso il San Raffaele
Rett Research Center. Per continuare a lavorare su questo
progetto, ha svolto il dottorato all’interno del SRRRC, conseguendo poi tal dottorato nel dicembre 2015. Durante questi
anni ha studiato il ruolo di Mecp2 nell’embrione, in particolare nella corteccia embrionale, sia in neuroni immaturi che in
progenitori neuronali. Attualmente sta terminando il proprio
lavoro grazie a una borsa di studio.
Ha conseguito la laurea specialistica in Biotecnologie Mediche, Molecolari e Cellulari presso l’Università Vita e Salute
San Raffaele nel novembre del 2014. Da Gennaio a Ottobre
2015 ha lavorato come borsista all’interno del Laboratorio
San Raffaele Rett Research Center, dove aveva già iniziato
a lavorare durante l’internato di tesi. A novembre 2015 entra
nella scuola di dottorato di ricerca internazionale in Medicina Molecolare presso l’Università Vita e Salute San Raffaele
e prosegue il lavoro da dottoranda presso il Laboratorio della Prof.ssa Nicoletta Landsberger.
Il muscolo
Anna Gandaglia
Ha conseguito la Laurea in Biotecnologie Mediche Molecolari e Cellulari presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano nel 2012,
svolgendo l’internato di tesi al San Raffaele Rett Research Center. In
seguito, ha continuato a svolgere la sua attività di ricerca a Milano
sotto la guida della Prof. ssa Nicoletta Landsberger conseguendo,
nel dicembre 2015, il Dottorato in Neurobiologia presso l’Università
degli Studi dell’Insubria.
ProRett NEWS
6
A
nna Gandaglia assieme a Elisa Bellini, Francesco Galli e con la collaborazione di esperti dello sviluppo del muscolo del San Raffaele,
hanno esplorato un aspetto ancora diverso della proteina MeCP2.
“Della sindrome di Rett sono stati studiati principalmente i sintomi neurologici, ma nelle bambine affette dalla malattia - così come nei modelli animali
utilizzati in laboratorio - sono spesso presenti alterazioni del tono e della
forza muscolare”, spiega. “Questa osservazione ci ha spinto ad indagare
sugli effetti della mancanza di MeCP2 nel tessuto muscolare scheletrico,
portandoci a scoprire diverse alterazioni nei topi affetti da sindrome di Rett
(che mancano di MeCP2 in tutto l’organismo): i loro muscoli mostrano una
la Ricerca
struttura disorganizzata, con fibre più piccole della norma e tendono ad
accumulare collagene. Questi difetti, in particolare la ridotta dimensione
delle fibre, si associano ad anomalie nei meccanismi molecolari che coinvolgono l’ormone IGF1, fondamentale per la crescita di cellule e tessuti.”
Come i ricercatori spiegano sulla rivista PlosONE, che ha pubblicato la
ricerca, ciò che appare più importante è che se si toglie MeCP2 solamente
dal muscolo, lasciando la proteina intatta nel resto del modello animale,
il tessuto muscolare risulta normale. “Questo è di particolare rilevanza”,
sottolinea la Gandaglia, “perché ci permette di identificare per la prima
volta un distretto dell’organismo in cui MeCP2 non gioca un ruolo diretto e
cruciale. Sembra suggerire, inoltre, che i difetti visti negli animali siano la
conseguenza di difetti precedenti, riguardanti il sistema nervoso, il sistema
dell’IGF e il sistema immune.”
CDKL5
M
a non ci si è occupati solo del gene MECP2 e della relativa proteina. Sono proseguite le ricerche anche su CDKL5, soprattutto nel
laboratorio di Busto Arsizio. Le mutazioni di CDKL5 sono infatti associate a ritardo mentale e crisi epilettiche precoci e causano una sintomatologia a tratti simile a quella della sindrome di Rett. Ciò nonostante, si sa
ancora poco circa le funzioni che la proteina CDKL5 svolge nel cervello, in
particolar modo nei neuroni dove è maggiormente presente.
Charlotte Kilstrup-Nielsen
Nel 1996 si laurea in Biochimica all’Università di Copenaghen, Danimarca. Dal 1997 al 2002 lavora come dottoranda nel laboratorio
del Dr. Vincenzo Zappavigna al DIBIT (Department of Biological and
Technological Research) a Milano, con studi sul ruolo di PBX1 come
cofattore trascrizionale delle proteine HOX e la regolazione della
sua localizzazione subcellulare. Dal 2002 è ricercatore, e dal 2014
professore associato di Biologia Molecolare presso l’Università degli Studi dell’Insubria (Varese). Qui si è occupata di identificare e
caratterizzare nuove proteine che interagiscono con MeCP2 e sono
coinvolte nella regolazione della sua attività come repressore trascrizionale e nella sindrome di Rett. Negli ultimi anni ha focalizzato i suoi
studi su CDKL5, con un particolare interesse per il ruolo della proteina nel sistema nervoso e l’individuazione di strategie terapeutiche
per il disordine associato a mutazioni in CDKL5.
“Abbiamo condotto in proposito una ricerca, che è stata pubblicata
anch’essa circa un anno fa sul Journal of Biological Chemistry”, dicono
Laura Rusconi, Paolo La Montanara e Charlotte Kilstrup-Nielsen. “Lo scopo era quello di far luce sui meccanismi molecolari che regolano l’espressione e la localizzazione della proteina CDKL5. In particolare, abbiamo
concentrato la nostra attenzione sulle dinamiche a cui va in contro CDKL5
in seguito alla stimolazione neuronale, simulando in laboratorio ciò che
avviene durante il normale sviluppo cerebrale e durante l’apprendimento.”
I ricercatori spiegano che stimolando l’attività di neuroni di topo in provetta,
si è visto che CDKL5 si localizza nelle terminazioni sinaptiche, i bottoni responsabili della comunicazione tra i neuroni, sia sotto forma di proteina che
di RNA. “Questo conferisce alla cellula nervosa la possibilità di modificare
molto repentinamente i livelli di espressione della proteina, aumentandoli o
diminuendoli in risposta all’attività neuronale. Questi eventi accadono con
tempistiche molto differenti a seconda dello stato maturativo del neurone,
indicando ancora una volta uno stretto rapporto tra la proteina CDKL5 e un
fisiologico sviluppo cerebrale.” Nel complesso, i dati ottenuti dimostrano
come i quantitativi di CDKL5 debbano essere finemente regolati affinché
il neurone possa funzionare al meglio e mettere in atto risposte corrette.
Queste informazioni e l’importanza di questa regolazione devono essere
ben analizzate perché costituiscono informazioni fondamentali per lo sviluppo di eventuali terapie geniche o proteiche.
Programma Scout
È
un importante progetto elaborato dalla Fondazione americana
Rettsyndrome.org, che ha lo scopo di testare su animali modello
della sindrome di Rett sostanze farmaceutiche già in uso, per verificare se qualcuna di queste possa avere valenze terapeutiche da sfruttare
nelle pazienti affette. Un progetto molto ambizioso per la quantità di test da
effettuare e gli obiettivi che si pone di raggiungere in breve tempo. Anche
proRETT ha collaborato con Rettsyndrome.org sostenendo un terzo del
costo del Programma Scout, pari a 200.000 dollari distribuiti in 3 anni.
Per poter dare una prima valutazione delle molecole, i ricercatori hanno
messo a punto una serie di test specifici, affidabili e riproducibili, in grado
di misurare in modo obiettivo i deficit motori e cerebrali negli animali in cui
viene ricreata la sindrome di Rett. Tutti sintomi che si manifestano abbastanza precocemente (attorno alle 6 settimane di vita) e corrispondono
bene a quelli che caratterizzano la patologia umana. “Solo con test standard, uguali per tutti i composti, è possibile fare una scrematura efficace
delle tante molecole che abbiamo deciso di prendere in esame, molte delle quali sono già sul mercato”, ha spiegato recentemente Patricia Kabitzke,
una delle responsabili del programma, al meeting annuale della Society for
Neuroscience a Chicago.
Per valutare i composti, verranno utilizzati modelli di sindrome di Rett nel
ratto, più simile agli esseri umani rispetto al topo. E preferibilmente di sesso
femminile, perché la malattia è una patologia sostanzialmente femminile,
anche se questi esemplari sono più difficili da utilizzare, per le gravidanze,
i sintomi meno gravi e più tardivi.
Le femmine affette da sindrome di Rett hanno inoltre il vantaggio di avere
ridotti livelli del fattore neurotrofico di derivazione cerebrale, un potenziale biomarker della malattia. “È molto importante disporre di un modello
animale che presenta sia deficit motori e comportamentali, sia alterazioni
di uno o più marker biologici, tutti obiettivamente misurabili”, sottolinea la
Kabitzke.
“Non appena qualcuno dei composti testati mostrerà effetti positivi sul modello animale, essendo già in uso, si potrà passare rapidamente alla sperimentazione clinica sugli esseri umani.”
APPROCCIO RAPIDO
(Programma SCOUT)
SCREENING
DEI COMPOSTI
IN ANIMALI
MODELLO
DELLA
S. DI RETT
1000 FARMACI
APPROVATI
1-2 ANNI
DI TEMPO
APPROCCIO
TRADIZIONALE
COSTI
CONTENUTI
DATABASE
DI FARMACI
APPROVATI
POTENZIALMENTE
UTILI
STUDI
CLINICI
OTTIMIZZAZIONE
DEL
DOSAGGIO
VALUTAZIONE
DELL’EFFICACIA
NEGLI ANIMALI
APPROVAZIONE
DA PARTE DELLE
AGENZIE
REGOLATORIE
PIÙ DI 100.000 COMPOSTI
10-15 ANNI DI TEMPO
COSTO DI 20 MILIONI DI DOLLARI
VALUTAZIONE
DELLA SICUREZZA
NEGLI ANIMALI
IDENTIFICAZIONE
DEL
BERSAGLIO
VALIDAZIONE
DEI
METODI
SCREENING
DEI
COMPOSTI
7
ProRett NEWS
Raccolta fondi
Grazie a
tutti coloro
che ci hanno
aiutato!
Un regalo davvero speciale
Le Sciarpe, i Foulard, i Parei
della Solidarietà di PRO RETT
Un regalo per la Festa della Mamma, per la Festa della Donna, per un
Compleanno, un regalo che può essere utilizzato tutto l’anno, per occasioni speciali o anche semplicemente per diffondere un pensiero e un messaggio di solidarietà alla ricerca sulla sindrome di Rett. I capi di seta al 100% sono
realizzati per Pro RETT da donne indiane aderenti al progetto di solidarietà “I
WAS A SARI”. I capi si possono ricevere con una donazione minima di 10 euro
per la sciarpa, 12 euro per il foulard, 15 euro per il pareo.
Per l’acquisto di un solo capo e per la scelta di colori e fantasie
rivolgersi ai responsabili di zona, o a:
Laura Rasetti cell. 333 7963992 - [email protected]
La scatola delle sete solidali
Sono disponibili due tipi di scatole:
Pro RETT ha realizzato la Scatola delle Sete Solidali, che contiene 18 capi di seta al 100% in stupende fantasie.
La scatola di solidarietà è consegnata a coloro
che vogliono diventare sostenitori e ambasciatori
di Pro RETT, i quali cercano di raccogliere fondi tra
amici e parenti con una donazione minima di 10
euro per una sciarpa, 12 euro per un foulard,
15 euro per pareo in seta.
- Con sciarpe, foulard e parei in seta di diverse fantasie.
- Con sciarpe tinta unita dai colori naturali in misti seta/lino, seta/cotone e
seta cruda al 100%.
Dopo un periodo di 60 giorni, gli operatori che hanno preso in carico la scatola, consegneranno a Pro Rett le donazioni raccolte e le eventuali sete rimaste.
Un capo della scatola a piacere è regalato da Pro RETT all’operatore, come ringraziamento per il suo impegno di raccolta fondi.
Per partecipare a questa raccolta fondi e ricevere una scatola di sete solidali rivolgersi ai responsabili di zona, o a: Laura Rasetti cell. 333 7963992 - [email protected]
Le uova di Pasqua
per “una cura”
Le Uova di Pasqua Pro Rett finanziano
tutti i progetti di ricerca per una cura
in Italia e all’estero.
Sono di finissimo cioccolato al latte
o fondente dal peso di gr 350 per
una donazione di 10 euro.
Per prenotazioni rivolgersi a:
Laura Rasetti cell. 333 7963992
[email protected]
Bomboniere e
pergamene solidali
Per gli eventi importanti della Vita,
Pro RETT realizza le BOMBONIERE
SOLIDALI e PERGAMENE SOLIDALI,
disponibili in tante forme e colori.
Per le bomboniere solidali
e pergamene rivolgersi a:
Giovanna Lembo cell. 347 3015262
[email protected]
Per i Regali solidali, Bomboniere, Uova di Pasqua visita e prenota sul sito www.prorett.org - Shop Solidale
5 x mille
inserendo il Codice Fiscale
di Pro Rett Ricerca: 93043680201
nel riquadro del sostegno al volontariato.
www.prorett.org
Pro Rett Ricerca Onlus via XXV Aprile, 52 - 46022 Felonica (MN)
•Conto Corrente Postale n° 55989073
•Bonifico bancario Banca Monte Dei Paschi di Siena
IBAN: IT 92 G 01030 57970 000010050057
•Bonifico bancario Banca Prossima del Gruppo Intesa San Paolo
IBAN: IT48 M033 5901 6001 0000 0074 468
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