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È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli

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È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli
È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti
gli uomini,
che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani
e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo,
nell'attesa della beata speranza e della manifestazione
della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo;
il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità
e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere
buone.
Dalla Lettera di San Paolo Apostolo a Tito (2,11-14)
Carissimi,
ancora una volta ci è dato di rallegrarci, nonostante tutto,
perché Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi!
Questo farsi uomo dell’Unigenito Figlio di Dio, che Paolo, nella sua
lettera a Tito, descrive come l’apparire “della grazia di Dio,
apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”, è avvenimento che
illumina, corrobora, educa, fa crescere, conducendoci alla salvezza.
La grazia di Dio, infatti, “ci insegna a rinnegare l'empietà e i
desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo
mondo, nell'attesa della beata speranza”.
È importante per noi recuperare questa grazia e questa speranza,
che non è altro che la presenza di Gesù Cristo in mezzo a noi, luce e
forza che ci sostiene e ci affianca nel cammino della vita.
Gesù Cristo, con la sua incarnazione, passione, morte e
resurrezione, ci ha riscattato da ogni iniquità, e ha fatto di noi un
popolo puro che gli appartenga, uomini e donne non pigri, non
rassegnati, né furbescamente indaffarati nell’accumulare tesori
sulla terra, ma un popolo gioioso, entusiasta, vivace, “zelante nelle
opere buone”.
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Uno zelo che nasce dall’amore che scaturisce dall’ “attesa della
beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro
grande Dio e salvatore Gesù Cristo”.
È la speranza dei beni eterni, infatti, che ci rende capaci di bene, di
dare e operare per amore.
Quei beni eterni che già pregustiamo vivendo in pace con Dio,
allorché ci affidiamo alla sua parola e alla potenza della sua grazia
che ci è donata nella celebrazione dei sacramenti. Grazia che ci
modella, ci forma giorno dopo giorno in Cristo, e perciò ci ricrea, ci
fa nuovi.
Quella gloria pregustata nella speranza, non illusione, ma speranza
come dono che scende dall’alto, dal cielo, da Dio e che è la sola che
ci rende capaci di essere zelanti nelle opere buone. E Dio sa quanto
bisogno ha il nostro tempo, la nostra storia e quanti ci vivono
accanto, di uomini e donne zelanti nel bene, nelle opere buone,
perché discepoli di Colui che solo è buono.
Il Natale di Cristo Signore è vicino, il Signore viene, andiamogli
dunque incontro operando il bene, specialmente, e prima di tutto,
nelle nostre famiglie.
È questo un tempo, infatti, in cui urge leggere con sincerità il nostro
essere cristiani, troppo spesso
dato per scontato. Ripensare il
nostro appartenere alla Chiesa,
Urge ritornare all’abbiccì della nostra fede.
Scriveva il Santo Padre Giovanni Paolo II nell’Esortazione PostSinodale ‘Ecclesia in Europa’:
“Tra i tanti aspetti, ampiamente richiamati (…) vorrei ricordare lo
smarrimento della memoria e delle eredità cristiane, accompagnate
da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso,
per cui molti europei danno l’impressione di vivere senza
retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il
patrimonio loro consegnato dalla storia (…) A questo smarrimento
della memoria cristiana si accompagna una sorta di paura
nell’affrontare il futuro. L’immagine del domani coltivata risulta
spesso sbiadita e incerta. Del futuro si ha più paura che desiderio
(…) Si assiste a una diffusa frammentazione dell’esistenza; prevale
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una situazione di solitudine; si moltiplicano le divisioni e le
contrapposizioni. Tra gli altri sintomi di questo stato di cose,
l’odierna situazione europea conosce il grave fenomeno delle crisi
familiari e del venir meno della stessa concezione di famiglia, il
perdurare o il riproporsi dei conflitti etnici, il rinascere di alcuni
atteggiamenti
razzisti,
le
stesse
tensioni
interreligiose,
l’egocentrismo che chiude su di sé singoli e gruppi, il crescere di
una generale indifferenza etica e di una cura spasmodica per i
propri interessi e privilegi. Agli occhi di molti, la globalizzazione
in corso, invece di indirizzare verso una più grande unità del
genere umano, rischia di seguire una logica che emargina i più
deboli e accresce il numero dei poveri della terra.
Connesso con il diffondersi dell’individualismo, si nota un
crescente affievolirsi della solidarietà inter-personale: mentre le
istituzioni di assistenza svolgono un lavoro lodevole, si osserva un
venir meno del senso della solidarietà, di modo che, anche se non
mancano del necessario materiale, molte persone si sentono più
sole, lasciate in balia di se stesse, senza reti di sostegno affettivo”.
(nn. 7,8).
Che cosa significa dunque Natale? Scriveva Romano Guardini:
“Ora dobbiamo avanzare verso il nucleo della fede cristiana, poiché
la risposta può essere data solo se si parte da esso. Anche
sull'essenza del cristianesimo esistono definizioni annacquate e
corrotte; e anche da esse devono venir purificate le parole, perché il
cristiano possa render loro onore. Il cristianesimo non è la religione
dell'amore del prossimo, o dell'interiorità, o della personalità o di
quant'altro di questo genere si possa ancora dire. Naturalmente, in
tutto ciò v'è qualcosa di esatto, ma come un secondo aspetto, che
acquisisce il suo senso solo quando è chiaro ciò che è primo e
autentico. Ma questo significa che nella Rivelazione Dio manifesta
se stesso in un modo in cui nessuna esperienza psicologica o
comprensione filosofica può manifestarlo.(…) Ora ci viene rivelato
che questo Figlio è entrato nel mondo. Ma ciò in un senso inaudito.
Non solo per via psicologica, nell'animo di una persona pia
profondamente dotata; non solo in termini spirituali, nei pensieri
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di una grande personalità; realmente, storicamente invece, così da
produrre l'unità personale con un essere umano. Dio s'è fatto uomo,
figlio di una madre umana, uno di noi - ed è rimasto ciò che Egli è
eternamente, Figlio del Padre nel ciclo. Egli, che come Dio era in
tutto, ma sempre «dall'altro lato del confine», nell'eterno riserbo, è
venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi.
Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo
soltanto. Tutto il resto - la gioia per i doni, l'affetto della famiglia, il
rinvigorirsi della luce, la guarigione dall'angustia della vita - riceve di là il suo senso. Quando quella consapevolezza però
svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale,
anzi brutalmente affaristico”(Natale e Capodanno, Pensieri per far
chiarezza, Morcelliana, Brescia, 1994, pp. 21-30).
Vogliamo pertanto guardare al nato Messia, a quel Bambino che
giace in una mangiatoia e che la Vergine Santissima ci mostra e ci
offre e crederlo veramente l’Emmanuele, il Dio con noi.
Vogliamo ripartire da Cristo, ritornare a Lui per essere rinnovati,
per fuggire le mille illusioni e, continua il beato Giovanni Paolo II
nella suddetta esortazione, “ritrovare quella speranza che sola offre
pienezza di senso alla vita. Anche oggi lo (…) possiamo (…)
incontrare, perché Gesù è presente, vive e opera nella sua Chiesa:
Egli è nella Chiesa e la Chiesa è in Lui (cfr Gv 15, 1ss; Gal 3, 28; Ef 4,
15-16; At 9, 5).
In essa, in virtù del dono dello Spirito Santo, continua
incessantemente la sua opera salvifica. Con gli occhi della fede
siamo abilitati a vedere la misteriosa presenza di Gesù nei diversi
segni che ci ha lasciato. Egli è presente innanzitutto nella Sacra
Scrittura, che in ogni sua parte parla di Lui (cfr Lc 24, 27.44-47).
Tuttavia in modo veramente unico Egli è presente sotto le specie
eucaristiche. Questa «presenza» si dice «reale» non per esclusione,
quasi che le altre non siano «reali», ma per antonomasia, perché è
sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa
presente.
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Nell’Eucaristia,
infatti,
«è
contenuto
veramente,
realmente,
sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo,
con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero»” (n.22).
Dunque cosa dobbiamo fare?
Ritornare ad essere fedeli alla partecipazione alla santa Messa
domenicale, alla preghiera, alla celebrazione frequente del
sacramento della confessione o riconciliazione, alla lettura della
Sacra Scrittura.
Da qui si riparte per riappropriarsi della speranza, per essere
uomini di carità, solidali con i fratelli le cui necessità possono
essere soccorse realmente, radicalmente e soprattutto gratuitamente
solo alla luce e nella potenza della grazia di Dio, perché è da Lui
che speriamo abbondante salario e la vita eterna.
Sia questa la nostra preghiera, il nostro programma di vita, il dono
che chiediamo al Signore, mentre celebriamo il suo farsi uomo, il
suo venire ad abitare in mezzo a noi:
“Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli;
infondi in noi la luce della tua parola
per confortare gli affaticati e gli oppressi:
fa’ che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti.
La tua chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di
giustizia e di pace,
perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo”
(Preghiera Eucaristica V/d).
A tutti un affettuoso augurio di un santo e felice Natale e prospero
anno nuovo nella verità, nella libertà e nella carità che Cristo ci
dona.
+ Carlo, vescovo
Santo Natale, 2012
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