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“Vince solo chi è convinto di poterlo fare.”

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“Vince solo chi è convinto di poterlo fare.”
Anno IV – Numero XII – aprile / maggio / giugno 2014 -- Il Giornalino del L.S.S. Vito Volterra
liceovolterra.it
“Vince solo chi è convinto di
poterlo fare.”
Virgilio
editoriale
ViPaaK
Mr. V
Siris
INDICE
Il pluripremiato elettron-volt (pag. 3)
Venti di guerra attraversano l’Ucraina
(pagg. 4, 5)
Andy Warhol sbarca a Roma (pagg. 6, 7)
Dieci mesi in Australia (pagg. 8, 9)
Nikola Tesla (pagg. 10, 11)
Attenti al virus! (pagg. 12, 13)
Robocop è un drone (pagg. 14, 15)
GDA: La scuola agli studenti (pagg. 16, 17)
Vent'anni: un capitolo tutto da scrivere
(pag. 18)
Il Grattacielo (pagg. 19, 20, 21)
Passeggiate lunghe un ricordo (pag. 27)
Una nuova
Vittoria
Carassimi Volterriani,
bentrovati su questo terzo ed ultimo numero del giornalino dell’
anno scolastico 2013-2014.
Come avrete capito dalla copertina, abbiamo vinto un concorso,
che si aggiunge alle soddisfazioni che questo progetto ci dona. Si
tratta del Concorso Carmine Scianguetta, la cui premiazione, alla
quale noi della direzione abbiamo presenziato, si è tenuta il
17/05/2014, a Manocalzati(AV), come ogni anno. Infatti avevamo
già partecipato negli anni passati vincendo il Primo e il Secondo
premio. Quest’anno invece siamo vincitori del Premio Speciale
per la Grafica e i Contenuti e di questo non possiamo che essere
contenti, chiudendo gloriosamente questa quarta edizione del nostro giornalino.
Detto ciò, ringrazio tutti i componenti della redazione e tutti quelli
che ci hanno aiutato, come i nonni e altri studenti che hanno
collaborato con noi e ringrazio anche voi lettori che continuate a
supportare il nostro lavoro con entusiasmo.
Infine, buona fortuna a tutti i ragazzi del quinto che, come me e
molti altri della redazione, tra meno di un mese sosterranno gli
esami di stato.
Ah dimenticavo…
Buone Vacanze!!!
gabriele giuliani
Compagno di banco o bigliettino? Questo
è il dilemma (pag. 22)
Recensione del romanzo di S. Bonvissuto
“Dentro” (pag. 23)
E la felicità prof? (pag. 24)
Senza smettere di guardare il cielo (pag. 25)
Volterrap (pag. 26)
Ancora caro Samuel... (pag. 28)
Ricette di nonno Nando (pag. 29)
(pag. 30)
(pag 31)
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rubrica
Il pluripremiato elettronvolt
“Il giornale è molto apprezzabile dal punto di vista dei contenuti, che vengono espressi dai giovani
giornalisti con incisività e originalità. Le immagini concorrono sapientemente a dare maggiore efficacia ai testi scritti”.
È questa la motivazione per
premio. Per fortuna c’era la
cui siamo stai premiati, anprofessoressa, che ha parche quest’anno, alla
lato per tutti noi.
XIV edizione del
Siamo quindi ritornati a
Concorso
NazioCiampino stanchi, ma sodnale Scolastico di
disfatti.
Manocalzati (AV).
È, infatti, importante per
Il 17 maggio scorso,
noi ricevere un riconosciinfatti, ci siamo remento per un lavoro svolto
cati a ritirare il precon tanto impegno ed entumio con la professosiasmo.
ressa Fuselli e due
È un incoraggiamento ad
genitori, che ci
andare avanti, dando semhanno
accompapre il meglio di noi stessi.
gnati con le loro
È una spinta in più che ci
macchine.
aiuta a superare tutte le difEra presto quando
ficoltà che incontriamo nel
ci siamo incontrati
nostro cammino e ci fa cadavanti alla scuola
pire che, se vogliamo raged eravamo tutti un
giungere dei traguardi,
po’ euforici. Non sapevamo
dobbiamo crederci fermaquale premio avremmo ricemente, ma soprattutto imvuto.
eravamo ancora di più
pegnarci seriamente.
Giunti a destinazione, dopo
quando ci hanno consegnato
Il prossimo anno saremo,
una lunga attesa, siamo stati
la coppa, l’attestato ed un
quindi, ancora più forti e più
invitati a salire sul palco. Eracartoncino sul quale era
entusiasti.
vamo emozionatissimi e lo
scritta la motivazione del
mirko grossi
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cronaca
Venti di guerra attraversano l’Ucraina
Da circa tre mesi una grave crisi politica
sconvolge l’Ucraina.
Dal punto di vista economico, dopo una
sfavorevole congiuntura sociale all’inizio degli
anni ‘90, l’economia ucraina è cresciuta.
Grazie all’aiuto dell’Europa centrale,
l’Ucraina e i suoi 45 milioni di abitanti
potrebbero vedere migliorato il proprio tenore
di vita. A tali tendenze unificatrici si
oppongono, però, interessi opposti. Il
presidente Putin non è favorevole ad
un’eventuale entrata dell’Ucraina nell’U.E., in
quanto, se ciò effettivamente dovesse
verificarsi, la Russia non potrebbe più
continuare ad esercitare il suo controllo sul
Paese.
L’Ucraina, infatti, riveste grande importanza
per gli interessi sovietici poiché assicura il
controllo di numerosi gasdotti. La regione
della Crimea con la base navale di Sebastopoli,
in "affitto" a Mosca fino al 2042, più una serie
di caserme, poligoni e porti sono postazioni
usate direttamente dalla Russia. Per non
parlare poi della strategica posizione
geografica della regione: da Sebastopoli
partono navi dirette in tutte le zone del
Mediterraneo.
La prima fase dell’attuale rivolta ha inizio il 21
novembre 2013, allorché il governo
dell’allora presidente ucraino filo-russo
Janukovych decide di non firmare l’accordo
con l’Unione Europea. Le motivazioni del
rifiuto sono direttamente riconducibili allo
stretto controllo della Russia sull’intero paese.
Il Cremlino, di rimando, propone a
Janukovych un contro-accordo che verrà
accettato: la Russia si impegna ad elargire 15
miliardi di Grivnia (moneta ucraina) ed a
ridurre i prezzi del gas.
Questa scelta politica del premier ucraino
genera proteste che, dapprima pacifiche,
assumono in breve tempo una piega violenta.
La notte del 30 novembre quando i Berkut, le
forze speciali ucraine, sgomberano con la forza
piazza Maidan non resta più alcuna traccia del
precedente pacifismo e delle bandiere europee.
L’obiettivo è diventato quello di opporsi alla
mala gestione di Janukovych. È in questa fase
che assumono la guida, progressivamente, i
gruppi d’opposizione più estremi.
La protesta diventa una vera e propria
guerriglia urbana e l’obiettivo principale è la
rimozione del premier ad ogni costo.
Il 22 febbraio, infine, il presidente fugge da
Kiev; ciò sancisce la sua delegittimazione da
parte del parlamento.
Ad aggravare ulteriormente una situazione
già di per sé drammatica, si aggiungono le
pressioni delle altre città e di parte della
popolazione che, in virtù di un maggiore
attaccamento alla cultura russa, non
condividono una separazione dell’Ucraina.
La rivolta porta ad un governo di unità
nazionale e all’elezione del nuovo presidente
Arseni Yatseniuk, che fa parte del fronte antiJanukovych.
I manifestanti occupano gli uffici statali della
capitale Sinferopoli, ove si verificano anche i
primi scontri con la minoranza etnica dei
tartari, schierati con Kiev. Il 27 Febbraio la
sede del Parlamento della Crimea è assaltata da
un gruppo di uomini armati che ne prende
possesso, issando la bandiera russa sul tetto
dell’edificio.
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cronaca
In Crimea, come in buona parte dell’Ucraina
orientale, la popolazione politicamente è
schierata con il fronte pro- Mosca. Le tensioni,
al confine portano allo stato di allerta delle
truppe russe.
Il 3 e 4 marzo, queste ultime, sempre più
numerose, assumono il controllo dei punti di
confine tra Crimea ed Ucraina.
Il 16 marzo si tiene un referendum in Crimea,
con cui viene chiesto agli abitanti della regione
autonoma
dell’Ucraina
se
intendono
procedere sulla strada dell’indipendenza. Il
risultato della tornata è chiaro: il 97 per cento
di chi ha votato sceglie di recedere
dall’Ucraina.
Il 18 marzo Putin, nel suo discorso, difende
senza indugi quanto accaduto in Crimea,
dopodiché firma il decreto con cui la penisola
ucraina entra a far parte della Federazione
russa.
Il mondo, nel frattempo, non resta a guardare
ed il 27 marzo l’Assemblea generale dell’Onu
approva una risoluzione che bolla come
illegale l’adesione della Crimea alla
Federazione russa mentre la Nato sospende la
cooperazione militare e civile con la Russia.
Da questo momento in poi il conflitto si
allarga. Altre zone vengono investite da queste
ondate filo-russe di secessione. Gruppi filorussi, infatti, manifestano a Donetsk, la
roccaforte industriale del Paese, occupano la
sede del governatorato e chiedono un
referendum sulla falsariga di quello tenutosi in
Crimea. Le stesse scene – occupazione e
rivendicazione del referendum – si verificano
a Lugansk e Kharkhiv, altri due centri urbani
della fascia orientale dell’Ucraina. Queste
iniziative, all’unisono, indicano l’inizio di una
nuova fase dell’azione che si rivolge contro il
governo di Kiev e risulta presumibilmente
diretta da Mosca. Il governo ucraino, per
rispondere a queste ulteriori ondate rivoltose,
lancia un’offensiva anti-terrorismo nelle
regioni dell’est, inviando mezzi militari e
soldati per tenere la situazione sotto controllo.
Se il risultato della guerra è incerto, però, il
dato politico sembra acquisito: Stati Uniti e
Unione europea hanno smesso di invitare il
governo di Kiev alla prudenza e hanno dato il
loro sostegno all’operazione militare nell’est
dell’Ucraina.
L’Europa ha fatto il possibile per dissuadere il
governo di Arseniy Jatseniuk da un’offensiva
militare su larga scala; ora quell’offensiva è
cominciata.
La risposta di Angela Merkel e di Barack
Obama è stata quella di minacciare nuove
sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin,
responsabile – secondo Washington e gli
europei – di aver armato i ribelli
(«normalmente i manifestanti non dispongono
di missili terra-aria per abbattere gli elicotteri»,
ha spiegato Obama).
L’oligarca Petro Poroshenko, in seguito alle
votazioni del 25 maggio scorso, è il nuovo
presidente ucraino. Quest’ultimo sostiene un
programma di restaurazione della pace nella
regione.
Il prezzo della “stabilizzazione” dell’Ucraina
orientale rischia di diventare una repressione
brutale, mentre il numero dei morti è destinato
a salire ancora.
luca verdini &
nicolò zanella
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arte&cultura
ANDY WARHOL SBARCA A ROMA
Omaggio a un pioniere della Pop Art
Se è vero che, come disse lui stesso, si può conoscere Andy Warhol semplicemente tramite
l’osservazione delle sue opere, allora sarà possibile farlo nella Capitale fino al 28 settembre.
Da aprile infatti, a seguito del gran successo riscosso in occasione della mostra esposta a Milano, è presente a Palazzo Cipolla la collezione
privata di Peter Brant, amico e collega di Andy
Warhol, nonché proprietario delle svariate
opere oggi esposte a Roma.
Forse il nome dell’artista in questione non dirà
molto a svariati “profani”, ma
alcune delle sue opere sono diventate delle vere e proprie
icone, vantando oggi una risonanza a livello globale.
A chi non è mai passato sotto
gli occhi un quadro colorato
che rappresenta una sorta di
stilizzazione di una celebre foto
di Marylin Monroe in tonalità
accese? L’originale è frutto di
Andy Warhol, avanguardista
di inimitabile eccentricità, nonché principale esponente della
corrente artistica della Pop Art.
Considerando che “Pop” sta per “popolare”,”
adatto a tutti”, si può comprendere la peculiarità di fondo delle opere dell’artista in questione. Se fino a pochi anni prima l’arte era
stata elitaria e finalizzata all’espressione di
un’emozione su tela, la nuova arte proposta da
Andy Warhol risulta fondata su aspetti radicalmente differenti, primo tra tutti quello dell’artista-macchina, capace di produrre e riprodurre
molto più che inventare.
Ed ecco la ragione per cui le sue innumerevoli
opere, tra cui quelle per cui è passato alla sto-
ria, sono state realizzate con il metodo serigrafico, tanto caro ad Andy Warhol perché gli rendeva facile e rapida la ripetizione ad infinitum
di una immagine qualsiasi, per poi, magari,
personalizzarla con una pennellata d’autore.
Basti pensare al caso di” Mao Tse-tung”, di cui
Warhol elaborò più di 2000 copie solo nel
1972, alcune delle quali fanno parte della collezione esposta.
Altro iconicissimo soggetto furono le lattine di
pomodoro firmate” Campbell’s.” Infatti Andy
pensò bene di andare al supermercato, comprarne ben 32 diverse varianti per poi riprodurle su tela. Chissà se quei
quadri stereotipati si sarebbero
mai aspettati di valere molto
più di qualche dollaro, prezzo
attribuito loro originariamente?
Due delle prime trentadue
Campbell’s, esposte nel maggio
1962 alla “Ferus Gallery” di Los
Angeles, fanno parte della collezione di Brant ed hanno oggi
un valore inestimabile.
Gemma della mostra è sicuramente la Shot
Light Blue Marilyn, ritratto della famosa attrice
che tra gli occhi ha il segno restaurato di uno
dei colpi di pistola sparato da un’amica di
Andy Warhol nella “Factory”.
Spesso accostato all’attributo “silver” per il
fatto che le pareti interne della struttura fossero
interamente ricoperte di carta argentata, “Factory” era il nome dello studio dove Andy
Warhol e i suoi collaboratori erano soliti lavorare e collaborare.
Senza parlare dei numerosi scatti di Polaroid,
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arte&cultura
che l’artista amava proporre
per ogni evento pubblico,
ma anche per le numerose
celebrità che invitava abitudinariamente nel suo studio.
Nell’osservare le opere
dell’artista, ciò che conta è riflettere non tanto sulle tele in
sé o su un loro significato nascosto, di fatto volutamente
assente, bensì sull’ideologia
di stampo democratico di cui
ogni pezzo presente nella
mostra è intriso ed è emblema.
È probabilmente, solo dopo
aver conosciuto l’ideologia e lo stile di vita di
Warhol, ci si può immergere appieno nella mostra ed ammirare i capolavori dell’artista che,
inizialmente, era solo un americano di origini
slovacche pervaso dalle più svariate manie, a
partire da quella per l’igiene fino ad arrivare a
quella per il denaro. Celebrazione di chi ha saputo fare di una lattina di pomodoro un vero e
proprio business, facendo ritrovare all’interno
delle gallerie d’arte più trendy oggetti di uso
quotidiano, la mostra con la sua giusta estensione mette in luce il genio di Andy Warhol,
l’artista che vide l’arte come un semplice modo
di fare soldi, priva delle valenze sacre, tanto care a molti
artisti precedenti, i quali la ritenevano il frutto di impulsi
emozionali profondi, che per
contro Warhol amò ridicolizzare. Non c’è da sorprendersi
quindi se nel mezzo della visita
all’esposizione ci si ritrova davanti a un Cristo in toni fluorescenti o a un “Oxidation”,
opera realizzata utilizzando
pigmento di rame e urina su
tela.
Parodie di quadri più che celebri, ritratti di persone conosciute da tutti, come Elvis Presley e Liz Taylor,
così come di prodotti utilizzati indifferentemente da tutti, quali la Cola Cola e i cereali
Kellog’s, costituiscono solo alcuni dei capolavori che fanno della mostra un’esperienza per
cui vale la pena sacrificare un’oretta di shopping a Via del Corso; un luogo aperto a tutti,
dal più giovane al più anziano, dalla casalinga
all’avvocato, dall’Italiano al Cinese, perché,
come direbbe Andy, “ non c’è niente che riguarda l’arte che uno non possa capire”.
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martina pensa
arte&cultura
Dieci mesi in Australia
Non saprai mai quando esattamente diverrai
un adulto e tanto meno come e per quali ragioni. La vita ti propone sfide e la maniera di
affrontarle è quello che distingue un adulto da
una persona che ha ancora bisogno di fare le
proprie esperienze. Quest'ultima è la chiave
per divenire adulti. Non si cresce per aver sentito dire o per aver visto da lontano, bisogna
vivere la propria vita guardando avanti e affrontando le difficoltà che si presentano e soprattutto ponendosi sfide da superare. All’età
di sedici anni ritenni che la mia prossima sfida
sarebbe stata l'Australia. Decisi di partire per
dieci mesi lasciando famiglia ed amici per scoprire un’altra cultura e un’altra lingua. Ricordo
ancora quando ero in procinto di scendere le
scale mobili che mi avrebbero portato all'interno dell'aeroporto: lanciai uno sguardo alla
mia famiglia che era là e mi salutava per quella
che sarebbe stata un vera propria avventura
nella terra dei canguri. Devo essere onesto, una
volta che mi sedetti sull'aeroplano pensai: “Ed
ora? Ed ora è troppo tardi”. Quelle maledette
24 ore di volo sembravano non passare mai.
Mi giravo e rigiravo sul sedile, guardai un film,
due chiacchiere, ma comunque il tempo non
passava. Un senso di ansia e una voglia di andare alla scoperta di un nuovo “mondo” non
mi permisero di chiudere occhio durante il
volo. Arrivai a Sydney in una notte fredda di
inverno. La prima sera fu come se non fossi
mai partito, non riuscivo ancora a realizzare
che la mia casa fosse a sedicimila chilometri di
distanza. Passai una settimana con studenti provenienti da tutta Europa, potei confrontarmi
con altri diciassettenni che stavano vivendo la
mia stessa esperienza: non importava da dove
venissimo, a quale famiglia ed a quale cultura
appartenessimo, eravamo tutti ragazzi felici di
essere finalmente giunti nel posto dove volevamo vivere i nostri prossimi mesi.
Prima di conoscere la famiglia che
mi avrebbe ospitato ero emozionato
e felice ma, dopo un breve periodo,
mi resi conto delle barriere che si
frapponevano fra noi. Probabilmente avevano sottovalutato le reali
difficoltà nell’accogliere un ospite
con grandi differenze culturali e con
un’oggettiva difficoltà di espressione
e comunicazione. Dopo una turbolenta convivenza, decisi di cambiare
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arte&cultura
famiglia. Dal New South Wales
mi spostarono a Brisbane, capitale del Queensland, uno dei
sette stati che compongono la federazione australiana. Lì conobbi coloro che furono molto
più che custodi legali: dei veri e
propri amici.
L’inserimento
nella nuova famiglia fu sicuramente facilitato da una mia miglior conoscenza dell’inglese. Cominciai a frequentare il liceo pubblico Coorparoo Secondary College e lì trovai un fantastico gruppo di
amici con cui legai molto. Era un ambiente che
mi accettava e comprendeva le mie difficoltà
dovute alla lingua. Finalmente potei realizzare
qualche sogno: imparare il surf, ammirare le
bellissime spiagge del Queensland, osservare
in natura animali come canguri, koala ed
echidne. Un’esperienza unica fu quella di visitare uno dei luoghi più famosi dell’Australia:
Uluru, secondo la denominazione tradizionale
aborigena (Ayers Rock). Trascorsi quei mesi
nella più grande gioia, ma comunque conseguendo il mio obiettivo principale: quello di
imparare l’inglese. Fra le mie tante esperienze
australiane la più particolare è stata quella della
scuola, nella quale vigono regole completa-
mente diverse dalle nostre, fra
cui quella di indossare obbligatoriamente la divisa. Il fastidio di
avere una camicia di cotone e
una cravatta con i tipici 35 gradi
diurni australiani mi fece alquanto impazzire per i primi
tempi, fino a che non cominciai
a farci l’abitudine. Dieci mesi
passarono in fretta. Ripercorrendo con la mente la mia avventura mi viene
solamente da pensare che non ho nessun rimpianto e che è stata una delle più intense esperienze della mia vita. L’Australia mi ha aiutato
a far crescere una parte di me: la serietà nel
lavoro e la voglia di intraprendere la propria
via senza voltarsi indietro. Da exchangestudent
consiglio a tutti gli studenti del biennio di intraprendere quest’avventura. Bisogna staccarsi
dalla propria famiglia; non è un dirle addio, ma
è un processo naturale che avviene, o almeno
dovrebbe avvenire gradualmente, in tutti gli esseri umani che giungono all’età adulta. Questo
scambio interculturale è, a mio parere, fondamentale per mettersi alla prova nella vita cercando la propria strada.
fabio valerio buonomo
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scienza
NIKOLA TESLA
Un uomo fuori dal tempo
A molti di noi piacerebbe credere che le grandi
conquiste vengano sempre premiate, se non dal
punto di vista monetario, almeno attraverso lo
sguardo imparziale della storia. Rimarrete scioccati quando scoprirete che almeno un uomo, i cui
contributi continuano ad essere fondamentali per
alcuni dei processi scientifici più importanti della
nostra civiltà, è stato praticamente dimenticato.
All'inizio del XX secolo Nikola Tesla, un immigrato serbo, inventore, il cui nome è stato quasi dimenticato, catapulta la nostra civiltà in una nuova
era. L'uso della corrente alternata, della radio,
dell'illuminazione a fluorescenza, del telecomando
e della robotica si possono attribuire a quest'unico
uomo.
Incredibilmente consapevole delle conseguenze delle sue invenzioni e dell'impatto
che avrebbero avuto sull'intero sviluppo del
genere umano, è solito dire: “La scienza non
è nient'altro che una perversione se non ha
come suo fine ultimo il miglioramento delle
condizioni dell'umanità”.
Ma come mai questo grande uomo viene
così trascurato dai suoi colleghi scienziati e
dal pubblico?
Forse la risposta è nelle opere che non sono mai
state realizzate piuttosto che nei traguardi che gli
sono stati pubblicamente riconosciuti.
Secondo la leggenda, Nikola Tesla nasce allo scoccare della mezzanotte nell'anno 1856, nel mezzo di
un forte temporale. Da ragazzo la sua aspirazione
più grande è quella di incanalare la potenza delle
cascate del Niagara e, riuscendo a realizzare questo
sogno, rende popolare la corrente alternata.
Viene spesso rappresentato come il tipico scienziato pazzo, ma forse il suo unico sbaglio è stato
quello di essere troppo avanti rispetto al suo tempo.
Al centro della rivoluzione tecnologica dell'elettricità, Tesla è il prototipo del genio folle: carismatico,
mago nel presentare al pubblico i suoi esperimenti,
ossessionato dall'igiene, ma amante dei piccioni,
che accoglie a decine nelle camere d'albergo dove
vive, col risultato di farsi cacciare regolarmente.
Probabilmente l'unica innovazione che lo rende in
parte noto è la bobina di Tesla, le cui impressionanti scariche elettriche sono il simbolo del laboratorio dello scienziato pazzo. Dotato di memoria fotografica, ha la misteriosa capacità di visualizzare le
proprie invenzioni, assemblarle, testarle e smontarle, avendo le loro esatte dimensioni nella sua
mente, tanto da non riuscire più a distinguere le sue
"visioni" dagli oggetti reali.
Emigrato negli Stati Uniti praticamente senza soldi,
si presenta da Thomas Edison e viene immediatamente assunto, ma è ben presto visto come un pericoloso concorrente e quindi licenziato. Edison fa
di tutto per screditare la corrente alternata dimostrando come si poteva morire westinghousati, dato
che lo stesso George Westinghouse ne aveva acquistato i brevetti, dando inizio alla celebre guerra
delle correnti.
Nonostante la notorietà raggiunta nel 1897, Tesla
rimane un puro e semplice inventore agli occhi del mondo, che non punta allo sfruttamento commerciale delle proprie idee, anzi
è spesso costretto a venderne i brevetti. Le
sue numerose ed importanti scoperte nell'elettricità ad alta frequenza tra cui il radar, la
radio, il neon, le lampade fluorescenti ed i
raggi cosmici vengono spesso attribuite ad altri.
"Marconi è un bravo ragazzo, lasciamolo fare. Sta
usando diciassette dei miei brevetti".
Ad esempio, l'invenzione di Tesla della shadowgraph, un sistema per fare le fotografie a raggi X è
precedente all'opera di Wilhelm Röntgen oppure
le visioni e le teorie di Tesla sulla televisione ed
internet (AND,OR) sono idee che precorrono i
tempi futuri.
Lo scienziato mostra i suoi esperimenti ad amici e
luminari, come Mark Twain e J.P. Morgan e grazie
a queste conoscenze riesce a finanziare alcuni degli
esperimenti più spettacolari della storia. Senza l'uso
di fili la corrente che viaggia nell'aria del laboratorio illumina la lampada nelle mani di Tesla o percorre il suo corpo senza danni alla salute. È per
giunta il primo a mostrare come trasmettere energia senza fili attraverso l'aria per accendere lampadine elettriche e tubi fluorescenti che rispondono a
diverse frequenze, in modo simile ad una melodia.
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scienza
Dopo un rovinoso incendio all'interno del suo laboratorio, l'inventore riesce a ricostruire l'opera andata perduta e nel 1899 si trasferisce a Colorado
Springs dove effettua alcuni esperimenti con le
onde terrestri ed atmosferiche dichiarando di poter
riuscire, volendo, a distruggere la terra con un terremoto scatenato da un semplice apparecchio a risonanza oppure a controllare l'intero sistema mentale a livello mondiale (6-8 Hertz).
Nella prateria segue la propria passione di ricercare
fonti di energia libera sia al di sopra che al di sotto
della superficie terrestre. Utilizzando il fenomeno
della Cavità Schumann, sviluppa la teoria di utilizzare fonti di energia illimitate condivisibili da tutti
gli abitanti del mondo tramite la ionosfera e l'energia ricavata dai fulmini. Saranno proprio i fulmini
a renderlo famoso, che siano globulari od artificiali.
Avete presente la pubblicità dell'Enel in cui la spina
inserita nel terreno trasmette corrente? Beh, Tesla
sapeva farla funzionare davvero! Fulmini blu creati
dall'uomo crepitano verso il cielo a più di 100 piedi
d'altezza dalle sue antenne in rame, il rumore dei
tuoni viene udito a più di 15 miglia di distanza.
Con l'intento di dimostrare il suo concetto di radio
trasmissione dell'energia costruisce nel 1900 il famoso laboratorio di Wardenclyffe, ma poco dopo
riceve la notizia che Guglielmo Marconi ha portato
a termine con successo la radiotrasmissione transoceanica della lettera “m”.
Il progetto purtroppo dura poco, perché lo stesso
inventore è costretto a bloccarlo per evitare che
venga usato esclusivamente a scopo militare, con
conseguenze più disastrose della potenza di una
bomba atomica.
Nel 1915 si dice che Tesla ed Edison debbano entrambi ricevere il premio Nobel, tuttavia queste
voci si dimostrano false e lo scienziato viene costretto a distruggere la centrale di Wardenclyffe
perché ritenuta dai nemici in guerra uno strumento
di spionaggio.
Passano pochi anni ed il NY Times rivela che l’inventore ha iniziato la costruzione di un "raggio mortale" basato sull’accelerazione elettrostatica di piccolissime particelle cariche portate a velocità elevatissime grazie ad un alto voltaggio, capace di distruggere 10000 aeroplani a 250 miglia di distanza.
Queste affermazioni spaventano l’opinione pubblica, ma affascinano sia Hollywood, che fa dello
scienziato un personaggio fantascientifico, sia il Governo americano. Con l'intenzione di far cessare
ogni tipo di guerra, Tesla permette che ogni Stato
del mondo possa usufruire del brevetto del raggio
e di satelliti spaziali a raggio di particelle, essendo
però costretto a collaborare con gli altri.
Lo scienziato ha la sfortuna di captare segnali radio
dallo spazio. Nonostante sia oggi risaputo che i pianeti emettono radiazioni, egli, avendo ritenuto di
aver parlato con gli alieni, viene considerato dalla
comunità scientifica come una specie di idiota, da
condannare perciò all' "ostracizzazione".
Quando Tesla muore all'età di 87 anni, la sua eredità di più di 700 importanti brevetti scivola nell'oscurità e viene dimenticata quasi da tutti, tranne che
dal Governo degli Stati Uniti, il quale sequestrerà
tutti i suoi beni smentendo l'esistenza di un'ipotetica arma letale. Tutto ciò è curioso.
Qualsiasi uso sia stato fatto delle scoperte di Tesla
non portate a compimento, la cosa certa è che le
invenzioni che rimangono contribuiscono quotidianamente alla scienza dei nostri giorni, alla medicina
ed all'ambiente, proprio come Tesla deve aver immaginato.
Forse è giusto che i segreti perduti di Nikola Tesla
rimangano dove si trovano.
Alcune sue teorie gli hanno fatto guadagnare la
fama di pazzo, mentre altre hanno scosso per sempre il mondo della scienza, il nostro pianeta e le
nostre vite, rendendolo il brillante custode dell'illuminazione.
La prossima volta che accendete la vostra vecchia
TV a tubo catodico o la radio, mentre osservate i
motori a campo magnetico rotante dei nostri elettrodomestici, il tachimetro delle automobili, le lampade a neon degli uffici o le porte logiche dei Pc,
ricordatevi dell'uomo che ha reso possibile tutto
ciò.
Potrete anche immaginare un mondo fatto di energia gratuita, illimitata e senza fili, perché è proprio
tutto questo ciò a cui abbiamo rinunciato quando
abbiamo perduto l'illuminazione di Nikola Tesla.
"Il presente sarà anche loro, ma il futuro appartiene
a me!"
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ginevra lautizi
tecnologia
Attenti al virus!
Drogati della tecnologia: “La realtà è diventata mobile”
Smartphone, ipad, tablet, iphone. La tecnologia del terzo millennio lancia sul mercato prodotti sempre più aggiornati, muniti di una connessione internet a banda larga e di un veloce sistema operativo.
Computer fissi, portatili, laptop stanno abbandonando la loro posizione primaria di piattaforme di
accesso al web, cedendo il primo posto a quelle che sono definite “tecnologie mobili”. Tuttavia, è
sempre più evidente che, accanto allo sviluppo tecnologico, si sta diffondendo, con l’avvento di questi
strumenti, una vera e propria patologia, un vettore virale che sta infettando gli utilizzatori di cellulari
e li sta rendendo, al pari di una droga, dipendenti. La questione che bisogna porsi è: “Vale la pena
di essere psicologicamente succubi, pur di mantenersi al passo con i tempi?”
Comodità e rapidità sono i due motori che portano
all’apice del successo i prodotti tecnologici moderni. Le
applicazioni, continuamente inserite nello store di un telefono, consentono all’utilizzatore di collegarsi immediatamente a ciò cui si è interessati, senza sprecare tempo, vagando e perdendosi nell’immenso universo di internet.
Ovunque una persona si trovi, è talmente facile e pratico
riuscire ad ottenere informazioni mediante uno
smartphone, che risulta inutile ritornare alle vecchie abitudini, riprendendo in mano un computer per svolgere una ricerca, per inviare un’e-mail, un messaggio
su un social network o per guardare video musicali. Ma l’uomo, che al giorno d’oggi è continuamente
stressato ed impegnato nello svolgere i propri impegni, come può evitare la dipendenza da uno strumento così agevole e veloce?
La risposta è semplice: non può. Una volta che si entra in questo circolo vizioso, è impossibile uscirne
senza rinunciare alla modernità, all’informazione, a tenersi in contatto costantemente con il mondo
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tecnologia
esterno. Nel Maryland è stato fatto persino un esperimento in cui si chiedeva a duecento studenti di
mantenersi per 24 ore lontani da internet e di non utilizzare alcuno strumento tecnologico. Il risultato?
La gran parte di loro ha dovuto ammettere la propria assuefazione alla tecnologia non potendo resistere alla tentazione di accedere al web. I danni relativi alle tecnologie mobili non si limitano soltanto
ad un mero aspetto pratico: l’uomo, infatti, non solo risente di quegli effetti collaterali determinati
dalla necessità di avere un mezzo per connettersi velocemente ed in qualsiasi istante ad internet, ma
diventa anche affetto da nervosismo ed agitazione. Coloro che
abusano di social network, spesso, avvertono inquietudine ed
irrequietezza, mentre attendono ad esempio la risposta ad un
messaggio o che qualcuno li “tagghi” in una fotografia o che un
loro conoscente li “twitti”. In un test svolto su un campione
ristretto, è emerso che il trentasette percento degli adulti ed il
sessanta percento degli studenti recepiscono una vibrazione, un
segnale, un suono che, in realtà, non è mai stato emesso da
nessuna fonte. La mente delle persone sottoposte al test è condizionata fino a tal punto dall’apparecchio telefonico da illudersi dell’esistenza inverosimile di uno stimolo esterno, nel momento in cui si è in attesa di riceverne uno.
La trasformazione che le tecnologie stanno attuando sulla nostra
mente è, pertanto, molto più profonda di quanto si possa immaginare e la “tecno-dipendenza” da cui ormai siamo affetti risulta drammaticamente lampante al solo guardarci intorno. Il
progetto di un ricercatore finlandese intitolato We never look up ha come scopo
quello di evidenziare ulteriormente ciò che viene definito come
Sindrome da smartphone: scattando delle fotografie in vari luoghi e momenti della giornata, il ricercatore raffigura, in ciascuna di esse, una persona con la testa china verso il basso, la
mano e lo sguardo puntati su uno schermo. La realtà che le
circonda è semplicemente di intralcio al mondo bidimensionale che viene posto loro dallo smartphone: Il mondo è diven-
tato mobile.
Alla luce di questi fatti, l’essere umano è ad un bivio in cui
deve comprendere se il gioco vale la candela e, conseguentemente, scegliere : scegliere di restare dipendente da un attrezzo
digitale o rinunciare ai pregi delle moderne tecnologie e tornare, come un tempo, a guardare il
mondo a tre dimensioni, piuttosto che quello virtuale.
guido evangelisti
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tecnologia
Robocop è un drone
Il poliziotto del futuro potrebbe essere un drone.
La pensano così i tecnici della AD Precision
Mechanics di Monterotondo, che lo hanno costruito e battezzato Guardian 2000.
Con un'apertura alare di quasi 2 metri, Guardian 2000 è spinto da un motore elettrico ad
elica e può raggiungere una velocità di crociera
di 45 km orari, con un'autonomia di volo di
circa 45 minuti.
Un'azienda che si occupa di servizi di vigilanza
e sicurezza nella zona di Roma lo utilizzerà per
monitorare in volo l’area di interesse ed effettuare riprese aeree ad alta definizione di giorno
e di notte.
I droni, aeromobili caratterizzati dall’assenza
del pilota umano a bordo (conosciuti anche
con l’acronimo inglese UAV Unmanned aerial
vehicles), sono nati per scopi militari, ma
stanno vivendo oggi un vero boom in Italia e
in tutto il mondo soprattutto per quanto riguarda una serie di applicazioni civili, che
hanno richiamato l’interesse del grande pubblico.
Basti pensare che, solo in Italia, operano attualmente circa 300 droni impiegati in operazioni
specializzate, gestiti da una galassia di piccole
e medie aziende. E si tratta di un settore ancora
in rapida espansione.
Questo accade grazie all’impennata rapidissima che hanno registrato negli ultimi anni le
tecnologie legate allo sviluppo dei sistemi impiegati nella costruzione di questi apparecchi
robotici. In particolare, lo sviluppo tecnologico
nell'ambito della sensoristica permette di equipaggiarli con camere digitali compatte o professionali, con camere termiche o multispettrali, fino ad arrivare a sensori più evoluti,
come ad esempio quelli impiegati per il monitoraggio della qualità dell'aria.
I droni sono oggi largamente utilizzati per la
sorveglianza di impianti di produzione di energia elettrica o di oleodotti o, più in generale, di
impianti industriali o di grandi strutture.
In combinazione con le più recenti e leggere
video-fotocamere digitali, anche di largo consumo e non solo professionali, si stanno, inoltre, rendendo sempre più concorrenziali per
tutte quelle necessità di ripresa aerea che fino
ad ora sono state appannaggio quasi esclusivo
di complicati e costosi strumenti.
Parliamo di riprese fotografiche, televisive e cinematografiche, amatoriali e professionali, ma
anche di attività prettamente scientifiche, per le
quali il rilevamento fotografico dall’alto risulta
necessario al fine di creare modelli digitali del
terreno o eseguire il rilievo architettonico di infrastrutture ed edifici da utilizzare per la realizzazione di modelli in 3D.
Ma ci riferiamo anche ad attività con lo scopo
di ricavare informazioni, qualitative e quantitative, sull'ambiente e su determinati oggetti.
Grazie alla possibilità di volare, anche a quote
molto basse, e di disporre di sensori di piccole
dimensioni, ma di buona qualità, in grado di
eseguire misure della radiazione elettromagnetica (emessa, riflessa o trasmessa) che interagisce con le superfici fisiche di interesse, essi possono, infatti, essere utilizzati per applicazioni legate al telerilevamento (Remote Sensing), quali
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tecnologia
la creazione di mappe di colture agricole e il
monitoraggio dello stato di salute della vegetazione, la creazione di mappe di copertura e uso
del suolo e il monitoraggio e la mappatura
delle dispersioni termiche di edifici (case, capannoni, impianti industriali) privati e pubblici.
Inoltre possono essere utilizzati per il monitoraggio degli animali selvatici e il controllo numerico periodico per quelle specie con un alto
tasso di riproduzione, che potrebbero essere
un problema sia per la biodiversità dell'ambiente in cui vivono sia per quanto riguarda i
danni economici causati alle produzioni agricole e zootecniche presenti sul territorio.
Non dimentichiamo, poi, che - a differenza degli aerei tradizionali - il loro utilizzo è possibile
in situazioni caratterizzate da un elevato pericolo per la vita umana e nelle aree inaccessibili
o impervie, volando a bassa quota. Per questo
motivo possono svolgere un ruolo importante
nelle operazioni di ricerca e soccorso, consentendo di effettuare delle ricognizioni in tempi
rapidi, in particolare a seguito del verificarsi di
situazioni di emergenza. Essi trovano, quindi,
impiego durante le fasi di monitoraggio di aree
colpite da calamità naturali o da avvenimenti
particolari (terremoti, esondazioni, incidenti
stradali ecc.).
Sono stati, ad esempio, gli UAV americani
Global Hawk che
hanno sorvolato
la Centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, addentrandosi nella "no go
zone” (zona vietata), col fine di monitorare i
reattori dopo le esplosioni causate dal terremoto del 2011 e scattando anche foto con i sensori a infrarossi. L'alta radioattività rendeva infatti impossibile l'avvicinamento degli esseri
umani.
Più in generale, essi sono in grado di svolgere
tutta una serie di missioni "noiose, sporche e
pericolose" (dull, dirty and dangerous) con costi minori rispetto ai velivoli tradizionali e senza
rischio per l’uomo. A questo aspetto si affianca
la facilità di utilizzo e la loro versatilità.
E ora in Italia c’è Guardian 2000 che - muovendosi sul sentiero tracciato dai droni americani
utilizzati per arginare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e del traffico di sostanze
stupefacenti attraverso il confine con il Messico
- si occuperà dal cielo di garantire la nostra sicurezza.
Benvenuto, Robocop!
giulio remo cupilari
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volterrafocus
GDA: La scuola agli studenti
Entrare in classe e trovare un corso di Beatboxing. Nei campi esterni si spazia dalla giocoleria al floorball. In 4C un interessante corso di
Astronomia. Per non parlare dell’aula 2 G,
piena di chitarre suonanti. Per rilassarsi un po’,
l’ideale è andare al secondo piano palazzina B,
classe 4Be seguire “I Colori dell’anima”: accompagnati da musiche rilassanti si possono
sperimentare le proprie abilità artistiche. E ancora, il prof. Malantrucco ci spiega in modo
approfondito come stare bene con se stessi,
mentre in Auditorium si parla di Fisica delle
particelle e in 2A si “Cucina con Garbo”.
Questi sono solo alcuni dei 64 corsi che hanno
avuto luogo il 23 e il 24 aprile 2014 nel nostro
istituto: si sono infatti svolte due Giornate di
Didattica Alternativa.
La Giornata di Didattica Alternativa (GDA) nasce nel nostro liceo il 31 marzo 2011 su iniziativa dei rappresentanti d'istituto: ha come
scopo principale il coinvolgimento di tutte le
componenti scolastiche per la realizzazione di
una manifestazione cogestita. Differisce dalla
didattica tradizionale in quanto agli studenti è
affidato direttamente insegnamento e i corsi
proposti esulano dalle discipline canoniche.
Come si arriva ad organizzare un simile
evento che coinvolge per due giorni un'intera scuola di 1239 studenti e 109 professori?
A dicembre i rappresentanti cominciano a
raccogliere le proposte di corso, esaminate
entro marzo da una commissione composta
prevalentemente da studenti.
Dopo l’approvazione si procede a distribuire
a tutti gli studenti il materiale necessario per
esprimere le preferenze. Bisogna quindi raccogliere e digitalizzare tutte le 9912 preferenze espresse. Il risultato di questo lavoro è
evidente nel grafico a torta qui riportato.
Il corso che ha riscosso più preferenze è stato
“Chocolat” con una media di 100 partecipanti a ora.
Per motivi pratici e di sicurezza, ogni corso
può avere un massimo di 25 partecipanti. Si
procede dunque alla ridistribuzione delle
quote eccedenti, applicando un criterio per età
e privilegiando gli studenti delle classi superiori. Inoltre, i professori non impegnati nei
corsi svolgeranno funzione di sorveglianza.
All’inizio di ogni lezione verrà fatto l’appello,
in quanto la GDA è una giornata di didattica.
Arriva il grande giorno e, accompagnati dalle
note di RADIOVOLTERRA, ognuno si reca
al corso a cui è stato iscritto. Quest’anno un
risultato senza precedenti: sono state esaudite
in media 7 preferenze espresse su 8 ore di corsi.
Qui sotto un simpatico grafico a tachimetro nel
quale si può apprezzare graficamente la percentuale. E abbiamo avuto il tempo di organizzare anche un flash mob in cortile sull’onda del
nuovo tormentone di Pharell Williams
“Happy”, diventato a buon diritto colonna sonora della nostra GDA 2014.
Perché abbiamo fatto tutto ciò?
Ho pensato a lungo a questa domanda. Era il
25 aprile e, ispirato dal significato storico di
questa giornata, ho scritto poche righe: un’impressione a caldo sulle GDA.
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volterrafocus
Se siete interessati a conoscere qualcosa in più sulle GDA
2014, guardate il video al link
https://www.youtube.com/watch?v=9o5EO7YnBW0
“E forse perché alla fine comprendi che "per
aspera ad astra" raccoglie il senso intimo della
Vita. Tanto impegno, tanta fatica, tanto lavoro
per un unico obiettivo: essere liberi. E quando
ti rendi conto che il tuo tempo ha servito questo nobile scopo, tu, nel tuo piccolo, ti senti
Storia e
filosofia; 2%
Salute e
Benessere; 7%
grande e importante. E la GDA è stata anche
quella una piccola liberazione. Abbiamo riportato nella scuola entusiasmo e partecipazione.
Noi giovani, soprattutto, viviamo solo nell'illusione della libertà. Siamo costretti non tanto
dalle convenzioni, ma da una forma antichissima di "vinculum animi" dai molteplici nomi
e multiforme nei modi in cui ci si presenta:
qualcuno la chiama con il nome greco Apatia,
qualcun altro preferisce Noia, o il più moderno
Menefreghismo. Spesso sfocia nell'Ignoranza, e
qualche volta è solo puro Agnosticismo (nel
senso lato di "Sospensione di giudizio per mancanza di Conoscenza"). Non critichiamo più,
non ci agitiamo più, preferiamo essere qualcun
altro piuttosto che Noi Stessi. E non ci ricordiamo che gli Ignavi, di dantesca memoria,
non sono degni nemmeno dell'Inferno...
Perché la lezione dei nostri nonni è stata "non
arrendersi"...
Perché, in fondo, "Vincere significa Accettare", mentre Lottare è Vivere...
#gdavolterra thedayafter”
samuel patrone
Le nostre scelte
Fotografia; 11%
Informatica; 6%
Scienze; 5%
Libri; 2%
Musica; 4%
Sociale; 2%
Danza; 6%
Io e gli Altri; 15%
Sport; 13%
Divertimento;
12%
Matematica; 3%
Cinema e
teatro; 4%
Arte e
Creatività; 8%
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racconti
Vent'anni:
un capitolo tutto da scrivere
semplicemente leggere le parole sporadiche che
ho aggiunto nel capitolo 18, intitolato: "Sono maggiorenne". Sono parole vuote, una matrice costante nel libro della vita di ogni essere umano.
Non è un capitolo originale, dopotutto.
Vivere non è "riempire gli spazi". Non è "aderire
Vent'anni. Un'età che non lascia spazio a pronoalla traccia". Non è "pianificare".
stici. Un'incognita. Che cosa succede a vent'anni?
Per questo, non sono consapevole di aver vissuto
A diciotto anni si può guidare. A diciannove anni
completamente la mia vita.
finisce il liceo. E a venti?
John Lennon diceva: "La vita è ciò che accade
Che cosa posso aspettarmi io dai miei vent'anni?
mentre sei intento a fare altri piani". Questa io la
Niente.
definisco una pseudo - vita. Una vita fatta di spazi
Dai vent'anni non mi aspetto assolutamente nulla.
da compilare. La mia vita finora.
Non mi aspetto di cambiare casa. Non mi aspetto
Non si può vivere solo andando fuori tema,
di fare nuove conoscenze. Non mi aspetto di inuscendo dagli schemi. Per vivere, non bisogna
contrare la mia anima gemella.
avere nessuno dei due. Nessuna traccia. Nessun
Per i vent'anni non ho propositi, né positivi, né
piano. Niente.
negativi.
Altrimenti si vive per due ore al giorno, se si è
Dopo anni in cui ho vissuto in
fortunati.
vista della maggiore età, dell'eLa vita non è semplicemente
same di Stato, dell'ingresso
breve, come sovente ci ripeall'università, mi ritrovo comtiamo. Più pianifichiamo, più si
pletamente all'oscuro di tutto,
Disegno giulia
accorcia, perché malgrado ogni
privo di punti di riferimento, di
sofferenza, ogni dolore patito da
una meta da raggiungere.
ventenni, non si può negare
E devo ammettere tuttavia, che
che, qualsiasi cosa accada a
quest'ignoranza, quest'inconsaquell'età, essa sarà imprevedibile.
pevolezza di ciò che potrebbe accadere costituiPerlomeno, io non posso prevedere nulla.
sce essa stessa il bello di raggiungere i vent'anni.
Non posso prevedere cosa farò i sabato sera, che
Perché è facile rimanere delusi, quando si hanno
luoghi frequenterò, se farò dei viaggi.
delle aspettative. Se, invece, non si hanno obiettivi
Non posso rispondere a nulla.
prefissati, allora è più semplice vivere al meglio
Sono consapevole di discostarmi molto dalla
quell'età, lasciarsi maggiormente trasportare
massa, che sogna di vivere all'estero, di avere un
dall'emozione del momento. Per la prima volta,
fidanzato, di ricevere i primi stipendi. Molti proappena raggiungerò i vent'anni, potrò scrivere
gettano, idealizzano i vent'anni come un'utopia.
qualcosa su una pagina intonsa. Non ci sarà nesIpotizzano già che dovranno far fronte alla crisi
sun impegno già pianificato, neppure la minima
per vivere autonomamente, che dovranno essere
traccia di inchiostro. Sarò libero di poter divenraccomandati per poter lavorare ad alti livelli, che
tare io stesso lo scrittore della mia vita.
dovranno affrontare ogni ostacolo che si frapPerché è facile scrivere quando si ha già una tracporrà nel loro cammino verso il sogno nel cascia impostata: basta non uscire mai fuori tema e
setto, però sono già fermamente convinti che incercare di rendere il lavoro in maniera ottimale.
seguiranno un amore, reggeranno la testa ad un
Se bisogna trattare della scuola, ci si impegnerà
amico che vomita, vivranno più con il cuore che
per prendere buoni voti. Se si deve trattare dello
con la testa.
sport, si farà di tutto per vincere un torneo.
Io no.
Ma io sono stanco. Stanco di dover riempire gli
Io non so niente di niente.
spazi vuoti di un foglio già macchiato. Io voglio
Ma amo i vent'anni.
essere uno scrittore. Voglio poter aprire una paguido evangelisti
gina e poter urlare: "l'ho scritta io". Non voglio
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racconti
In questo numero il terzo racconto premiato al concorso "La scrittura non va
in esilio", promosso dalla fondazione Centro Astalli.
Il Grattacielo
Il Grattacielo si erge come un ago nelle vaste
steppe desolate
che lo circondano, gli alberi ormai
appassiti
danno una sensazione di abbandono a quella
zona, una sensazione di morte; gli
animali gironzolano intorno in
cerca di cibo, tra
di essi un piccolo
leopardo cerca invano una preda
da catturare, ma
nulla è rimasto in
quella zona, la catastrofe ha distrutto tutto, case, città, addirittura nazioni, ma
l’umanità, o quello che ne resta, è riuscita in
tempo a costruire un rifugio. Quel rifugio è Il
Grattacielo, o almeno è così che lo chiamo io,
ed è l’unica cosa che spezza quell’immensità.
Un enorme grattacielo, che con la sua mole,
sembra irremovibile, eterno. Nessuno poteva
pensare che un così grande numero di persone
sarebbe entrato in un solo palazzo anche se così
grande, ma è successo. Molte sono morte durante il viaggio verso Il Grattacielo per stenti o
per fame, ma i più ricchi hanno avuto un viaggio leggero, non come il nostro; sta di fatto che
una volta arrivati si sono subito diretti verso il
loro piano, quello più alto, perché è così che
funziona ne Il Grattacielo; i più ricchi hanno di-
ritto a un posto nei piani alti, mentre le altre popolazioni sono divise nei piani inferiori secondo
un ordine deciso dai ricchi.
I suoi piani sono strutturati così:
•
Dall’800° al 791° piano ci sono i più ricchi del mondo, di ogni nazionalità.
•
Dal 790° al 601° gli europei e i nordamericani
•
Dal 600° al 401° i cinesi
•
Dal 400° al 201° i sudamericani
•
Dal 200° al 1° gli africani
Il mio nome è Chad e abito al 178° piano del
Grattacielo, in una periferia ai confini del piano,
vivo qui con la mia famiglia da quando sono
nato, l’unica cosa che mi collega con il mondo
è guardare fuori dalla finestra e osservare
l’esterno, finché l’ombra del Grattacielo copre
la mia vista rendendomi cieco e non posso più
apprezzare gli spazi desolati e osservare la natura, devo aspettare. Pochi sapevano cosa ci
fosse veramente ai piani superiori, tanto che un
giorno, molto tempo fa, mio figlio Abasi mi
chiese cosa ci fosse veramente e così io gli risposi:
«Ci sono i più ricchi» dissi.
«Noi non siamo ricchi?» mi chiese
«Ci sono quelli più ricchi di noi ai piani più alti»
risposi.
«Un giorno potremmo arrivare ai piani alti?»
domandò.
«Forse Abasi, forse…» conclusi
Io lavoro nel centro di raffinamento dei materiali, ma non sono materiali comuni come il
ferro, alcuni sono strani, brillano come le stelle,
non sono di colore bianco, ma di uno strano
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racconti
verde. Certi materiali, invece, sono molto pe-santi
e spesso facciamo fatica a trasportarli e poi dopo
tutta la fatica fatta per estrarli e raffinarli, se ne
vanno ai piani alti e ci lasciano senza nien-te. Un
giorno realizzerò il sogno di mio figlio e visiteremo i piani superiori, ma normalmente questo
non è possibile.
Una volta, mentre tornavo a casa dopo una giornata di lavoro, una strana persona mi fermò in
mezzo alla strada e mi chiese:
«Vorresti raggiungere i piani più alti?»
«Perché lo viene a chiedere proprio a me?» Risposi.
«Beh, perché lei mi sembra una persona ragionevole e poi continua a guardare in alto con aria
desiderosa. Allora? Vuole raggiungere i piani superiori?» Chiese nuovamente.
L’uomo misterioso era anziano, dallo sguardo
sembrava una persona che non mente, a occhio direi che fosse un contrabbandiere, ma non saprei
dire con precisione.
Sta di fatto che ascoltai il suo piano, prevedeva di
farmi portare insieme a delle casse in un ascensore,
nascosto nei confini della periferia, in modo da passare inosservato. Ovviamente questa persona voleva
un certo compenso per attuare questo piano, compenso che non fu molto basso, giacché voleva 5000
Bardi. Così mi disse che ci saremmo incontrati tre
mesi dopo nello stesso posto, io avrei portato i miei
Disegno giulia/federico
soldi e lui mi avrebbe fatto partire insieme a me una
persona di mia scelta.
Quando tornai a casa e raccontai tutto a mia moglie,
fu difficile decidere chi dovesse venire, ma alla fine
decretammo che sarebbe stato meglio che ci fossi
andato insieme ad Abasi, che ormai aveva già sedici
anni e sapeva badare a se stesso. I tre mesi successivi
li passai a lavorare molto duramente e dovetti anche
trovarmi un lavoro part-time in un piccolo negozietto ma, dopo molta fatica, riuscii a trovare i soldi
necessari più un piccolo extra per quando saremmo
stati ai piani alti. Dovetti preparare anche la valigia
prima di partire, così presi i pochi indumenti che
avevo e portai qualche ricordo della mia famiglia
con me per non dimenticare.
Ormai il giorno era giunto, guardai mio figlio e
vidi che era contento di conoscere cosa ci fosse
veramente ai piani alti, ero pieno di gioia che mi
pervadeva l’intero corpo, le mie gambe tremavano
dall’emozione, quasi non riuscivo a stare fermo
per l’agitazione. Poi si presentò il misterioso uomo
che avevo visto tre mesi prima, ci portò vicino a
un enorme ascensore lontano dalle abitazioni,
sembrava malmesso e un po’ rotto, ma era comunque molto grande e riusciva a trasportare almeno
una cinquantina di casse, tra le quali ci saremmo
infilati con le nostre valigie.
Mentre caricavano l’ascensore con le casse, rimasi
in attesa impaziente di vedere i piani alti, l’ansia
era sempre di più, l’agitazione aumentava e i pensieri sul futuro si ammassavano nel mio cervello
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racconti
come se un grande
uragano stesse per
scompigliare
tutto,
quell’idea di cambiare
vita spesso mi spaventava, ma a volte mi rassicurava, perché mio
figlio avrebbe vissuto
in condizioni migliori
rispetto a quelle in cui
ero
vissuto
io.
Quando l’ascensore fu
carico
l’uomo
ci
chiamò e ci ordinò di
salire.
Entrammo
nell’ascensore,
posammo le nostre valige, ci girammo e
guardammo per l’ultima volta quel mondo
che non avremmo più
rivisto, pensammo alla
famiglia, alle persone
che non avremmo potuto più vedere, i nostri amici, i nostri cari. Ma non
pensammo solo alla famigli pensammo anche alla
nostra città, con il suo soffitto pieno di crepe, qualche tubo sgocciolante le strade sempre sporche e insicure e alle povere persone che ci abitavano. Mi
sentii in colpa a lasciare mia moglie da solo in quel
posto, lasciarle affrontare da sola i pericoli che
c’erano ogni giorno, ma potevo portare anche lei,
avrebbe significato pagare un prezzo troppo alto.
Eravamo pronti a partire, le porte
dell’enorme ascensore si chiudevano lentamente, il misterioso
uomo ci guardava sorridendo, mentre noi sorridevamo a lui con gli occhi quasi pieni di lacrime. Poi prendemmo l’ultimo respiro prima del
grande viaggio, che avremmo compiuto; tra poco pronti a vivere una
nuova vita, a cambiare completamente.
Il viaggio non fu molto tranquillo, spesso l’ascensore
tremava e cademmo molte volte anche contro le misteriose casse, delle quali una quasi si ruppe. Mio
figlio non fu molto spaventato dal viaggio, sembrava
molto sicuro; io invece spesso mi chiedevo se saremmo giunti a destinazione e mi preoccupavo per
mio figlio; non volevo si facesse male. Poi, a un certo
punto, l’ascensore cominciò a emettere uno strano
rumore metallico e lentamente rallentava sempre di
più, fino ad arrestarsi completamente. Appena si
fermò mio figlio si alzò rapidamente e cominciò a
fissare le mastodontiche porte dell’ascensore, i suoi
occhi brillavano e sembrava quasi stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro. Ci aspettavamo un mondo moderno, con le strade pulite, il
soffitto intatto, dove potevi andare in giro tranquillamente senza pensare se la tua famiglia fosse al sicuro. Sicuro, questo era il mondo che ci aspettavamo, ed eravamo pronti per lui. Quando le porte
dell’ascensore si aprirono, vedemmo il nuovo
mondo, l’inizio della nostra nuova vita. Feci fare a
mio figlio il primo passo fuori dall’ascensore;
quell’unico passo valeva più di mille emozioni, non
era il semplice passo che fanno le persone ogni
giorno, era un passo di rivoluzione, di cambiamento, un passo così importante per entrambi, era
qualcosa di indescrivibile e unico nel suo genere, ed
era il suo primo passo verso la sua nuova vita.
alessandro mecchia
disegni a cura di:
giulia lanzillotta &
federico radiciotti
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Altro disegno federico
costume&società
Compagno di banco o bigliettino? Questo è il dilemma
Da sempre nella storia della
scuola c’è chi studia e chi si
affida alla fortuna cercando di
copiare.
Personalmente non mi è capitato spesso di dover ricorrere
alla copiatura. Mi sono trovato più volte, però, a dover
aiutare un compagno di
banco in difficoltà. In una situazione del genere, penso se
sia veramente giusto aiutarlo
e la risposta arriva secca:
“Sì!”, perché l’aiuto che serve
a lui, in futuro, magari, potrebbe servire a me.
Ma la domanda sorge spontanea: “Come fare?!”. I professori hanno “studiato” varie
tecniche per evitare il famigerato “atto di copiatura”, come
se fosse proibito. La più temuta è quella di strutturare il
compito in file: ovvero l’insegnante inventa più compiti
(solitamente due, ma anche
di più). Per copiare, però, esistono numerose strategie, una
di queste è il suggerimento. In
un compito in cui si espone
un argomento, se si è studiato, si finisce in poco
tempo e, quindi, si aiuta il
compagno in difficoltà.
Ma attenzione! Mai interrompere, completamente,
di svolgere la propria verifica, per completare quella
del vicino.
Il compagno, però, non è
l’unica fonte per copiare:
con i cellulari, con i quali
si può navigare su internet,
per gli studenti sfaticati si è
aperto un mondo! A meno
che non ci si faccia beccare!
Usare il telefono è, forse, con
i bigliettini, il modo più rischioso di copiare. Se infatti
un professore vede due
alunni parlare, intima loro di
tacere, ma se sorprende uno
studente con il telefono, non
solo glielo sequestra, ma
scatta anche l’annullamento
del compito, che, in termini
pratici, corrisponde a due (o
tre, a seconda della clemenza del professore).
Secondo me, però, copiare
(e far copiare) è un’azione di
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lealtà e amicizia. Infatti sono
del parere che può capitare a
tutti di non ricordare qualcosa, ed a volte un suggerimento può essere fondamentale.
In conclusione, posso affermare che, nonostante tutti i
pareri contrari, far copiare è,
e rimarrà sempre, un’azione
giusta che, eccettuato il caso
in cui chi copia va meglio di
chi fa copiare, esprime solidarietà “con chi condivide il nostro stesso destino”, per citare
Claudio Magris.
Inoltre, vorrei aggiungere:
“Cari professori, se un alunno
decide di copiare, nonostante
tutte le precauzioni, ci riuscirà; quindi, a mio avviso, è
inutile preparare due o più
compiti per la stessa classe,
impiegando così interi pomeriggi; per non parlare poi del
tempo in più che, immagino,
si impieghi a correggerli!”
daniele galiotta
recensioni
Le due recensioni premiate (per il biennio: Arianna Santillo e per il triennio: Sara De
Monaco) al termine del progetto lettura, durante il quale gli studenti hanno incontrato a
scuola gli autori dei libri letti
Recensione del romanzo di S. Bonvissuto “Dentro”
Un libro che parla “della vita”, ecco
luoghi che stanno “laggiù” e biciclette.
come Sandro Bonvissuto descrive il
Per un bambino ciò che è lontano ha un
suo romanzo d’esordio. Tre storie lafascino di gran lunga superiore a ciò che
sciate lì, su quei fogli di carta bianca,
è vicino, ma se ci si sposta a piedi si finidesiderose di farci riflettere, mentre ci
sce col rimanere indietro, proprio come
apprestiamo a quello che potrebbe esaccade al protagonista. Escluso dagli
sere definito come un viaggio a ritroso
amici provvisti ormai di bici, egli capisce
nell’esistenza umana. Un treno di sole
di dover imparare e sembra esserci una
tre fermate che non hanno molto in cosola figura più qualificata delle altre a farmune tra loro. Si inizia dal carcere,
gli da insegnante: suo padre. Come se i
questo “giardino delle arance amare”, di cui si
padri fossero quasi una specie a parte, l’unica in
parla senza giri di parole o pretese idealizzanti
grado di sobbarcarsi l’onere di questo insegnamentre il protagonista vi si muove all’interno.
mento. Si conclude così il viaggio di questo liAttraverso i suoi occhi emerge quella che è una
bro, in maniera semplice, così come era stato
descrizione di una semplicità disarmante, che ci
sin dall’inizio. È caratterizzato da un linguaggio
presenta fatti e realtà con un’immediatezza alla
fluido e vicino al parlato, che sembra trasporquale non si può sfuggire. Sebbene infatti tutti
tarci davvero “dentro” la narrazione, grazie ansappiano cosa sia una prigione, ben pochi sono
che alla scelta di una focalizzazione rigorosaa conoscenza di cosa avvenga davvero fra
mente interna. La voce narrante, questo “io” miquelle mura. E tra quei pochi la maggior parte
sterioso, ha la particolarità di esserci pressoché
lo ha sperimentato sulla propria pelle. Ma la
sconosciuto (non sappiamo nemmeno il suo
“vita” di cui ci racconta
nome), al punto da poter esl’autore va avanti, o meglio
sere chiunque. Egli si muove
indietro, fino ad arrivare
circondato da quelli che più
agli anni del liceo. Primo
che personaggi veri e propri
giorno di scuola, fatidico
potrebbero essere definiti apmomento di passaggio, inparizioni, in uno spazio osciltriso di tanti dubbi. Di uno
lante tra il relativo ed il prein particolare: chi si siederà
ciso, ed un tempo che si ritaal banco accanto al nostro? Sandro Bonvissuto, autore del libro glia prepotentemente un poSe si viene divisi a due a
sto in ogni storia, quasi fosse
due un motivo dovrà pur esserci, bisogna solo
un indipendente coprotagonista. E noi lo sesperare in un “caso” propizio. Ed il protagonista
guiamo rapiti, avanzando tra pensieri e riflesrisulterà essere molto fortunato in quanto nel
sioni che potrebbero essere nostri. Perché quesuo vicino troverà uno spirito affine, un compasto è un libro fatto di pensieri e scritto per far
gno di avventure che gli permetterà di sostituire
riflettere. Un libro che ha qualcosa da dire, ma
con un “noi” quello che prima era soltanto un
al tempo stesso lascia spazio anche al suo let“io”. Un “noi” quasi morboso che sfocia in
tore, lo rapisce e lo accompagna tra le singole
un’amicizia destinata a durare nonostante ostapagine, righe e parole, attraverso e all’interno di
coli e tempo. La narrazione si conclude con
esse.
un’ultima storia che parla di pomeriggi estivi,
Insomma, dentro.
sara de monaco
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recensioni
Titolo: E la felicità prof?
Autore: Giancarlo Visitilli
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2012
“Ieri interrogazione, oggi interrogazione, domani interrogazione ma nessuno chiede mai le
cose importanti: come sto, cosa penso, dove
vado. Forse hanno paura di scoprire che ho le
idee più chiare di loro?” Esordisce così un
alunno durante un compito, nel quale gli viene
chiesto il suo parere riguardo all’istruzione. Alcuni ragazzi sono probabilmente d’accordo con
questo pensiero, altri invece no. Perché non
chiederglielo?
Ha forse pensato questo, mentre scriveva il suo
nuovo libro Giancarlo Visitilli, un giovane insegnante di Lettere di Bari che, con una scrittura
leggera ed estremamente scorrevole, riesce a
farci conoscere bene il mondo della scuola e
tutte quelle piccole cose che magari un esterno,
un professore, un preside non riesce a vedere o
perché poco interessato o perché troppo difficili
da comprendere.
Cosi l’autore stesso
scrive una
specie
di
piccola biografia della
classe
quinta dove
insegna, in
preda ad
ansie prematurità,
gravidanze,
problemi familiari e molto altro. La crisi economica, quella che porta tante persone sull’orlo di
una drastica decisione, quella che crea confusione, danni, nervosismi, si abbatte inesorabilmente anche su questi venti o più ragazzi, costretti ad aiutare la famiglia, a porre fine alla
Giancarlo Visitilli,
autore del libro
loro adolescenza troppo presto. In un età in cui
ognuno spera il meglio, in cui il futuro è una
grande incognita che fa paura ma che allo stesso
tempo incuriosisce a tal punto da far immaginare chissà quali grandi aspettative, questi ragazzi di Bari, studenti ma non solo, sono disillusi, arresi, abbattuti dalle mille difficoltà. Il romanzo non è però a sfondo tragico, è innanzitutto uno spunto per tutti gli adolescenti che si
trovano in alcune di queste situazioni, per far
capire loro che non sono i soli ad attraversare
periodi “bui”. È’ anche un grido di rivoluzione,
di sfinimento, per coloro che sono talmente
stanchi di questa situazione che l’unica cosa che
resta loro è appellarsi ad un libro che li rispecchia, nella speranza che un giorno qualcuno si
degni di ascoltarli. Non è facile trattare argomenti così delicati ed attuali con la positività di
Visitilli: egli è dunque anche un modello da seguire, affinché, soprattutto nelle scuole, ci sia
più dialogo, meno isolamento, meno violenza,
più disponibilità.
La struttura del libro è dunque lineare, composta da lettere, discorsi diretti talvolta anche passi
di libri. Sono presenti anche accenni a culture
straniere, ad esempio quella romena. Non esistono barriere né grammaticali né linguistiche,
l’autore si impegna e fa di tutto per far prevalere
l’animo di ciascun alunno, tralasciando qualche
errore.
In un romanzo nel quale le voci, né modificate
né minimizzate, sono dei ragazzi veri e propri,
con i loro pensieri magari sgrammaticati ma
concreti, con i loro sentimenti, magari confusi
ma sinceri, non si può far altro che comprendere ed apprendere.
www.liceovolterra.it
arianna santillo
recensioni
Senza smettere di guardare il cielo
Senza smettere di guardare il cielo racconta la
storia di Kathleen, una donna londinese sposata
con un uomo che ha sempre amato fin da ragazza, con una carriera affermata e una vita perfetta. Ma niente è come sembra e dei dubbi incominciano a insinuarsi nella sua anima. La sua
vita banale e il suo matrimonio infelice sembrano non bastarle più e così inizia a precipitare
in un baratro, il baratro del tradimento, che
porta il nome di Thomas. I due, pur essendo
entrambi sposati, cominciano a stringere una relazione, che porta nella vita di Kathleen
quell’avventura che aveva sempre desiderato.
Ma non tutto dura per sempre e la storia fra i
due naufraga inevitabilmente. Nonostante le lacrime, il dolore e la sofferenza, la protagonista
riesce comunque a rimettere in piedi la sua vita
e a riscoprire una parte di se stessa che da tanto
tempo aveva dimenticato. Riflessivo e sentimentale, questo romanzo descrive
la rinascita di
una donna che,
attraverso
un
viaggio interiore,
riscopre se stessa
e la forza di risollevarsi dagli ostacoli che la vita le
presenta. Attraverso un linguaggio semplice, ma allo stesso tempo ricco di immagini da cui nascono un turbinio di emozioni,
l’autrice ha saputo esprimere con intensità e
sentimento una storia d’amore, all’apparenza
come tante altre, ma che, grazie all’accurata descrizione dei dettagli e dei pensieri del personaggio, riesce a coinvolgere il lettore fino all’ultimo capoverso e a renderlo partecipe di una
storia senza tempo, in grado di emozionare e di
far riflettere. Ma ciò che più colpisce è il coraggio di questa donna che ha saputo vivere a
pieno ogni momento della sua vita, facendo
scelte che, seppur dolorose, le hanno permesso
di riscoprire la sua vera identità, la sua vera natura, il suo sentirsi donna. Kathleen rappresenta
tutte quelle donne che hanno avuto la forza di
cambiare, di dare un taglio decisivo a tutto ciò
in cui credevano, sfidando se stesse, mettendosi
in gioco e uscendo fuori da quegli schemi che
per anni le hanno oppresse, logorate e lentamente uccise.
marika curzi
Anna Risi, autrice del libro
www.liceovolterra.it
musica
VOLTERRAP
La musica rap tra i giovani ormai è una vera e
propria moda.
Per chi la segue e l'ha seguita fin dalla nascita,
la diffusione di questo fenomeno culturale sembra quasi un paradosso, considerata la reputazione che vantava fuori i confini americani nella
seconda metà del 1900.
Nacque infatti in America intorno agli anni
1970-1980 grazie alla collaborazione di due uomini, DJ KOOL HERC e AFRIKA BAMBAATAA, che saranno le colonne portanti
della "cultura hip hop".
Si può parlare infatti di una vera e propria cultura poiché le sue espressioni si manifestano in
vari campi artistici: nelle arti figurative con il
"writing", i graffiti, nella musica con il rap, nella
danza con la breakdance.
Oggi ci occuperemo solo del ramo musicale,
descrivendone le origini e l'impatto incisivo che
ha avuto a livello mondiale.
Intorno agli anni '70 i dj a New York che suonavano nei "block party" del Bronx passavano
velocemente dai dischi reggae e quelli funk,
rock e disco, ma notarono che i newyorkesi non
amavano particolarmente il reggae, preferendo
musica ballabile con più forti percussioni.
Verso gli anni '90 in America il rap era diventata la musica per eccellenza poiché la gente si
rispecchiava nelle parole del rapper, il quale nei
propri testi trattava temi complessi, a sfondo sociale, con un tono umoristico e coinvolgente.
Il rapper o MC (Master of Cerimony, Maestro
di Cerimonia) era diventata una figura predominante nella scena musicale americana e, con
le sue liriche, varcò i confini americani alla fine
del XX secolo, grazie all'interesse dei giovani di
tutto il mondo, in cerca di una valvola di sfogo
che solo il rap poteva offrire loro.
L'Italia fu uno dei Paesi in cui il rap fu oggetto
di critiche e considerato un genere minore. Nonostante questo nel 1993 l'album “Strade di
città” degli Articolo 31 (J-Ax e Dj Jad) entrò
nella classifica degli album più acquistati, con
più di 90.000 copie vendute.
Il mondo del rap è variegato: possiamo distinguere la “scena commerciale” con rapper e
crew, attenti anche al fattore economico, e
quella "Underground", che li accusa di proporre sonorità e rime orecchiabili per il grande
pubblico, senza offrire nulla di nuovo.
Nel XXI secolo il rap è la musica che riscuote
maggior successo tra i giovani e non solo: non
è un caso che la colonna sonora dei Mondiali
in Brasile per SKY sia stata realizzata da uno dei
rapper più in voga ultimamente, Emis Killa, oppure che il vincitore di "Sanremo giovani " sia
Rocco Hunt, un rapper giovanissimo, ma già da
parecchio al centro della scena rap.
I giovani, quindi, tendono a idolatrare i rapper
visti come veri e propri modelli di vita da imitare. Infatti nell'ultimo decennio c'è stato il
"boom" dei rapper emergenti, che provano ad
affermarsi partendo dai propri idoli per produrre un vero e proprio stile personale a livello
musicale.
Io stesso mi sento parte di questa categoria di
giovani poiché da quasi due anni mi sto cimentando nella registrazione di canzoni mie, con il
nome d'arte Scontro MC. Ho proposto online
per un pubblico giovane il mio primo mixtape
con il titolo "Sempre con il sorriso", variando
temi e toni dal romantico all'ironico.
Spero di aver offerto un mio piccolo contribuito affinché nella cultura hip hop possiate trovare le risposte alle vostre domande, dalle
più frivole alle più complesse.
“La vita vivila non fartela raccontare”
Scontro MC
matteo costa
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racconti
Passeggiate lunghe un ricordo
Il paese dei miei nonni ha una storia tutta sua, a tratti
anche molto importante, ma sembra non riuscire a
tenere il passo con il mondo che intorno ad esso
cambia. O meglio, è come diviso in due parti: una
fatta di bar, ragazzi urlanti fin dopo la mezzanotte e
palazzi nuovi. Poi c’è il centro storico. Quasi restio
al cambiamento, è lì che abitano i miei nonni, lungo
il corso principale che nasconde dietro di sé un labirintico insieme di vicoli scuri, talmente stretti da
poter quasi innaffiare le piante sul balcone del proprio dirimpettaio. E mentre di questi ancor oggi so
poco e niente, il corso lo conosco come le mie tasche. Tutte le domeniche infatti accompagnavo il
nonno a sbrigare le mille commissioni che la nonna,
sempre indaffarata e costantemente assalita dall’ansia di non riuscire a fare tutto (ansia piuttosto inutile
a mio parere, data la proverbiale efficienza delle
nonne), gli assegnava. A lui non dispiaceva, anzi, è
sempre stata una persona attiva, il settantenne meno
spaventato dalle scale che io conosca, fossero esse
quelle arzigogolate di casa sua o quelle infinite che
ci attendevano quando andavamo a trovare sua sorella. Mano nella mano ci avviavamo lungo quella
strada senza marciapiedi a comprare latte, pane o
uova, fermandoci quasi ogni due passi per salutare
qualcuno. Il nonno la percorreva così tante volte che
ormai conosceva praticamente tutti: il giocattolaio
proprio sotto casa, il panetterie dal quale comprava
sempre biscotti buonissimi che mangiavamo passeggiando, il barista amico di vecchia data, il nuovo titolare di quello che un tempo era il suo negozio e
perfino l’ottico lì vicino. Ma le mie preferite erano
sicuramente le tappe fuori programma. Capitava a
volte di uscire prima del solito oppure di avere una
lista della spesa più corta, e allora il nonno ne approfittava per fare quasi da guida turistica. Spesso
andavamo semplicemente a trovare zia, optando
però per una scorciatoia, avventurandoci in uno di
quei vicoli ombrosi, scendendo e salendo quelle che
erano manciate di gradini più che vere rampe di
scale, stando attenti ad imboccare la stradina giusta.
Altre volte andavamo al museo, una gran conquista
per una città composta sì e no da dodicimila anime.
Non c’era molto da vedere, soprattutto se si è abituati a pensare alle grandi costruzioni delle metropoli quando si sente la parola “museo”; ma al nonno
è sempre piaciuto raccontare ed io ho sempre adorato le sue storie. Cosi me ne stavo lì, di fronte a
quelle teche gelose
degli oggetti scintillanti che proteggevano, ad ascoltarlo rapita. Quando arrivava Natale, passavamo
sempre in cattedrale, per ammirare il presepe che
ogni anno veniva pazientemente allestito in una
delle nicchie delle navate laterali. Allora arrivavo a
malapena all’altezza del banco su cui era sistemato,
ma non mi sfuggiva nulla, e in caso ci pensava il
nonno, in un rispettoso silenzio smorzato da pochi
bisbigli, a mostrami tutte le meraviglie che l’anno
prima non erano lì. Tuttavia il posto che mi è rimasto più impresso è un altro. Arrivando fino in piazza
si possono imboccare svariate strade: si può tornare
da dove si è venuti, scendere fino al museo, salire
per bene tre direzioni diverse. Una di queste ultime,
più ripida delle altre, nasconde una porticina che ho
varcato raramente, ma la prima volta che il nonno
mi ci portò, alla veneranda età di cinque anni e
mezzo, mi sembrò un nascondiglio perfetto. Si trattava di tre stanze adiacenti con poltrone, divani e
nell’ultima c’era persino un tavolo da biliardo. Non
chiesi al nonno che posto fosse, credo che nemmeno mi interessasse presa com’ero a far rotolare
palline che non ne volevano saperne di andare in
buca. Nell’altra stanza invece c’era un pianoforte.
Pur essendo mia cugina la pianista di famiglia, questo strumento ha sempre esercitato un fascino irresistibile su di me e credo che sia in parte dovuto all’influenza del nonno. Amante della musica classica, lo
si poteva vedere seduto in poltrona, accanto alla nipote, ad ascoltare, senza perdersi una singola nota,
pausa o accordo che fosse. Sono ritornata in quel
posto non molto tempo fa con addosso qualche
anno (e centimetro) in più; ma senza il nonno che
rispondeva a tutte le mia interminabili domande,
quel posto ha perso quasi tutta la sua magia. Le nostre passeggiate si sono fatte più rare e più brevi,
alcuni posti sono cambiati. Un tempo mi guidava,
quasi rincorreva la sua “bambolina di zucchero”, attraverso quella che non era una semplice domenica
ai miei occhi. Adesso camminiamo piano, sotto
braccio, mentre lui si appoggia al suo bastone.
Adesso sono io che parlo, racconto, spiego e credo
di riuscire finalmente a mettermi nei suoi panni. E
so che, per quelle passeggiate ormai lunghe solo un
ricordo, non gliene sarò mai grata abbastanza.
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sara de monaco
l’angolo dei nonni
…continua la corrispondenza di nonno Mimmo con suo nipote Samuel
Ancora caro Samuel...
Caro Samuel,
Da tanto avevo smesso di scrivere, e poi …
E poi sei arrivato tu, il giornalino, l’idea dell’articolo ed ecco che i miei
pensieri sono diventati parole e lettere, e fogli di carta.
Ogni anno, ormai da molto tempo, in occasione del giorno della commemorazione dei defunti, ritorno al mio paese. E si riaffacciano ricordi di
un’infanzia passata, di tempi ormai lontani, vaghe immagini di prospettive
ormai perse, che solo io, dentro me, conservo e preservo dall’implacabile
scorrere del tempo.
In questi ricordi “s’annega il pensier mio” e rifletto sul tempo che passa … A te, che sei “il mio avvenire” voglio esternare alcuni miei pensieri.
Perché questo nostro mondo cambia continuamente? Perché il passato viene dimenticato? Perché
tutto deve scivolarci addosso?
Ora tutto corre! Tutto è tecnologia, immagine virtuale, immediata, fredda! E forse questa incertezza
che contraddistingue l’epoca in cui viviamo deriva dal fatto che la nostra civiltà sta lentamente morendo …
Il nostro stesso pianeta, come ogni cosa nell’Universo, nasce, vive e muore. Vogliamo affrettare la
sua morte? Vogliamo lasciarlo ancora più sfruttato, stuprato, consumato?
In voi, in te confido perché ci sia un futuro, che voi meritate di avere.
Come sempre …
Ti voglio bene,
Tuo Nonno
domenico patrone
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l’angolo dei nonni
Nonno Nando, il nonno di Federico Chiodi, ci ha inviato le sue ricette.
Provatele, i suoi dolci sono veramente squisiti!
Ricetta per crema pasticcera
STRUDEL DI MELE
Ingredienti:
--1 buccia d'arancia tagliata a pezzetti --3/4 mele --pasta sfoglia
--1 bustina di noci sbucciate, mandorle sbucciate, uvetta e nocciole.
Preparazione:
Tagliare a pezzetti le mele, tritare nocciole e noci. Posizionare la pasta
sfoglia in una teglia con sotto la carta forno. Dopo aver riempito la pasta sfoglia con l’impasto ottenuto, arrotolarla con delicatezza, come a
voler fare una "girella". Mettere sopra un po’ di zucchero bagnato leggermente con dell’acqua, in modo che con la cottura assuma un colore
dorato. Mettere il tutto a cuocere per 20/30 min. nel forno a 180°.
TORTA DI MELE
Ingredienti:
--pasta frolla
--4 mele
--crema pasticcera (vedi ricetta)
--zucchero
--pan di spagna (vedi ricetta)
--succo d'arancia
Preparazione:
Stendere la pasta frolla in una teglia ricoperta con carta forno. Tagliare
le mele a fettine e condirle con zucchero e succo d'arancia. Tagliare il pan
di spagna a fettine e bagnarlo con il succo ricavato dalle mele. Mettere
uno strato di pan di spagna, uno di crema pasticcera bagnata anch'essa
leggermente con il succo delle mele ed un altro di mele tagliate precedentemente e ripetere per due volte. Disporre lo strato finale di mele in modo
tale da decorare il tutto. Infornare per 40 min circa a 180°.
TORTA DI FRAGOLE
Ingredienti:
--pan di spagna
--3 cestini di fragole
--1/2 lt. di panna da montare
--crema pasticcera
Preparazione:
Tagliare a pezzettini le fragole e condirle con 3 cucchiai di zucchero. Tagliare il pan di spagna in due e bagnarlo leggermente con succo di fragole.
Spalmare uno strato di crema pasticcera e uno strato di panna montata
e sopra di essa posizionare uno strato di fragole tagliate a pezzettini.
Ripetere il procedimento una seconda volta e poi ricoprire con panna
montata e decorare con pezzi fragole. Mettere in frigo prima di servire.
Ingredienti:
--1 tuorlo d’uovo
--1 cucchiaio di zucchero
--1 cucchiaio di farina --1 bicchiere di latte
--1 scorza di limone o 1 stecca di vaniglia
Preparazione:
Portare ad ebollizione il latte con la scorza di limone
avendo avuto cura di eliminare la parte bianca.Nel
frattempo sbattere con le fruste in un recipiente il
tuorlo, lo zucchero e la farina. Quindi versare un po’
di latte caldo nel composto, levare la scorza di limone, mescolare ed in seguito continuare a versare
tutto il latte. Rimettere la crema sul fuoco a fiamma
molto bassa e lasciare per due o tre minuti, mescolando continuamente per non fare attaccare la crema
sul fondo. Togliere la crema dal fuoco ed appoggiare
sulla superficie qualche fiocco di burro che, sciogliendosi, eviterà la formazione della pellicina.
Ricetta per Pan di Spagna
Ingredienti:
--90 gr di farina
-- 90 gr di fecola di patate
--150 gr di zucchero
-- un pizzico di sale
--vanillina
-- 6 uova
Preparazione:
Dividete l’albume delle uova e metteteli in due ciotole separate. Montate i rossi con lo zucchero e,
nell’altra ciotola, montate gli albumi a neve con un
pizzico di sale. Unite quindi i due composti mescolando delicatamente: aggiungete alle uova anche la
farina, la fecola e la vanillina setacciate. Imburrate
una teglia e versatevi il composto: infornate a 180
gradi per 35 minuti.
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disegni a cura di federico radiciotti
& giulia lanzillotta
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Si ringrazia per la collaborazione la prof.ssa carla
valesini
LA REDAZIONE DI ELETTRONVOLT AUGURA A TUTTI
BUONE VACANZE
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