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Corano: primo tentativo di stampa Venezia 1538
The Venice Internationl Foundation Corano: primo tentativo di stampa Venezia 1538 dannasse un’edizione araba del Corano, in una lingua ignorata dal grande pubblico e, solo qualche anno dopo, nel 1547, accettasse la traduzione in italiano del Corano da parte di Andrea Arrivabene, di cui a tutt’oggi esistono numerosi esemplari. Un’ipotesi ragionevole è che gli stessi Paganini, consapevoli dell’impossibilità di commercializzare il loro prodotto, lo abbiano mandato al macero, forse per recuperarne la carta. O, probabilmente, non ci sia neanche stata un’edizione, ma abbiano sospeso l’iniziativa fin dalle prime prove o della stessa prima bozza. Per secoli si è creduto che tutte le ipotetiche copie allora stampate fossero state perdute o distrutte. A chi addirittura dubitava che non vi fosse stato tale tentativo, Maria Nallino, che nel 1964 portò l’in segnamento dell’arabo a Ca’ Foscari, [00-00] Quarta sura delle donne e, diede ampia prova della passata esi- in basso, il corano nella biblioteca stenza di quell’opera nel 1965 nel- del convento di San Francesco della Vigna a Venezia. l’articolo Una cinquecentesca edizione del Corano stampata a Venezia pubblicato negli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti. Il mistero è rimasto tale fino a tempi recenti, quando Angela Nuovo, studiosa di cinquecentine, gli incunaboli del Cinquecento, nel 1987 scopre un esemplare di quel Corano nella biblioteca del convento dei frati francescani all’isola di San Michele, dove sta il cimitero di Venezia [dal 2008 l’intera biblioteca dei frati francescani è ospitata nel convento di San Francesco della Vigna, ndr]. Il volume, senza luogo e senza data, stampato in 464 pagine di ottima carta, sembra essere il solo sfuggito a una sorte ignota toccata alle altre presunte copie sorelle. Padre Maurice Borr mans, del Pontificio Istituto di Studi Arabo-Islamici, ha pubblicato due studi su questo Corano nella rivista “Quaderni di studi arabi”, rilevandone i numerosi errori. Anche se l’impresa dei Paganini fallì, l’unico esemplare di questo libro testimonia – insieme a tanti altri esempi rintracciabili nella città lagunare – l’intensa e complessa attività di relazione di carattere economico-commerciale, ma anche artistico-culturale tra la Serenissima Repubblica di Venezia e i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo in quell’epoca. Nonostante tutto, rimane stupefacente la perizia dei due tipografi veneziani nel preparare, pur nella loro sommarietà, quei caratteri arabi, in quella fase primitiva di vita della stampa progettando e vivendo un’avventura sti- A pagina 464 del Corano, sotto una nota cancellata, molante, immagini- si legge “Fr. Archang(elus) Asula Vic(arius) S(ancti) fica e sfortunata nel- Off(icii) Cremone Concessit R(everendis) Canonicis Regularib(us) Lateranen(sibus)”. lo stesso tempo. EROS BALDISSERA I l XVI secolo vede un gran proliferare dell’editoria a Venezia. La stampa, giuntavi nel 1469, trent’anni dopo vede attive ben 417 tipografie fra cui eccelle quella di Aldo Manuzio che nel 1499 inserisce delle parole arabe nella sua famosa Hypnerotomachia Poliphili. Nell’Europa di allora, tra le opere maggiormente diffuse e di successo c’era la Bibbia, libro sacro del cristianesimo. Essa era stata la prima opera, uscita attorno al 1454 a Magonza, di Johann Gutenberg [00] Scritte in arabo nel Polifilo che pochi anni prima aveva inventa - di Aldo Manuzio del 1499. to la stampa a caratteri mobili. Con spirito razionale e pragmatico, caratteristico dell’approccio stabilito dalla Repubblica veneziana con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo, gli stampatori veneziani Paganino Paganini e il figlio Alessandro, originari di Brescia, consapevoli della vastità del mondo musulmano – specie arabo e turco in continuo contatto con la Repubblica – tra il 1537 e il 1538 decisero di attuare la prima edizione a stampa del libro sacro dei musulmani nella previsione di una sua grande diffusione in quel Mondo. [00-00] Prima sura del corano stampato In realtà l’iniziativa fallì. Forse a Venezia e, a destra, esempio di corano per l’avversione dei musulmani riccamente decorato di produzione nei confronti della stampa, in araba. particolare relativamente al loro testo sacro e a causa delle forme primitive dei caratteri impiegati, con un effetto estetico discutibile, specie se l’opera veniva messa a confronto con le preziose copie manoscritte e miniate del Corano allora diffuse nella terra dell’islam. Ma un altro fattore fu determinante nel fallimento dell’impresa e cioè la presenza di numerosi errori di stampa e di contenuto da far ricadere sull’opera l’accusa di falso (tahrìf), decisiva perché fosse rifiutata. In particolare l’uso della sola vocale A, trascurando gli altri due segni vocalici dell’arabo classico: la U e la I quand’erano necessarie. Molte consonanti erano confuse con altre. Errori comparivano spesso anche nel nome delle sure, i capitoli coranici, nel numero dei loro versetti e la confusione tra sure meccane e medinesi. Indicazioni, queste, poste all’inizio di ogni sura. Dopo tale fallimento, ogni traccia di quell’iniziativa si perse. Riguardo la totale scomparsa di ogni esemplare dell’opera, studi recenti hanno confutato l’ipotesi della distruzione per ordine papale. Non era ragionevole, infatti, che l’autorità ecclesiastica con24