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LA BRIGATA SASSARI NELLA GRANDE GUERRA: STORIA DI UN

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LA BRIGATA SASSARI NELLA GRANDE GUERRA: STORIA DI UN
LA BRIGATA SASSARI NELLA GRANDE GUERRA: STORIA DI UN “POPOLO IN DIVISA”.
di Alberto Cabboi
Nell’estate del 1914, mentre l’Europa si accingeva rapidamente a lanciarsi nell’immane tragedia di un
conflitto che l’avrebbe cambiata per sempre, la vita in Sardegna continuava a scorrere lentamente secondo i
suoi ritmi e le sue consuetudini secolari. In pochi, nelle campagne come nei principali centri urbani, potevano
sapere e capire quanto stava accadendo nel continente e quali avrebbero potuto essere le conseguenze per
l’Italia e per la loro terra.
Ben altre apparivano del resto le preoccupazioni. L’isola stava conoscendo allora un momento
particolarmente difficile, come spesso era accaduto nel corso della sua lunga storia: tra il 1913 e i primi mesi
del 1914 la siccità, i cattivi raccolti e la moria di bestiame avevano reso la situazione drammatica, aprendo
dinanzi alla grande massa della popolazione una tragica prospettiva di fame.
Le notizie legate all’inizio delle ostilità, con l’offensiva austriaca in territorio serbo, l’invasione tedesca del
Belgio neutrale, i grandi movimenti sul fronte orientale, giungevano così in un clima di disinteresse e scarsa
comprensione, riportate da una stampa locale peraltro poco letta per gli elevati tassi di analfabetismo. Poco
compresi erano allo stesso modo i termini delle questioni su cui si accendeva in Italia il dibattito fra neutralisti
ed interventisti. Nondimeno, la Sardegna si preparava, al pari delle altre regioni, a dare il suo contributo
all’enorme sforzo che di lì a poco avrebbe impegnato il paese nello scontro contro l’Impero austroungarico.
Tra il febbraio e l’aprile del 1915, dai depositi reggimentali della Brigata Reggio, di stanza nell’isola, furono
costituiti i due reggimenti – 151° e 152° – della Brigata Sassari. Superando gli orientamenti tradizionali
contrari al reclutamento territoriale, il Comando Supremo diede vita ad un reparto regionale, fortemente
omogeneo nella sua composizione, assimilabile in ciò soltanto ai battaglioni di montagna. “Per la prima volta
– avrebbe scritto molti anni dopo Emilio Lussu, tra gli ufficiali più noti della brigata – la gioventù sarda si
trovava assieme in una formazione sarda. Bisognava andare molto lontano nella sua storia per trovare un
avvenimento simile. La prima guerra mondiale creava questa eccezionale occasione”.
La Sassari lasciò la Sardegna alla volta della penisola tra il 13 e il 21 maggio 1915. Dopo un breve periodo di
addestramento nei pressi del Lago di Garda, il 20 luglio giunse l’ordine di partenza per il fronte. “Da Romans
– è il ricordo del capitano Sardus Fontana – il 24 attraversammo il paesello di Anversa e poi quello di Ajello,
dove ci vennero incontro i superstiti dei gloriosi 9° e 10° fanteria che dovevamo sostituire. La vista di questi
ci impressionò. Esausti di forze, pallidi, la divisa logora e interamente imbrattata di fango rosso.”
“Riposavano sui margini della strada – scrive Giuseppe Tommasi, ufficiale del 151° – coi segni della
stanchezza sul viso e negli occhi smarriti ancora le tragiche visioni degli orrori vissuti”.
Era il primo contatto con la guerra. Nella notte fra il 24 e il 25 luglio, sotto una pioggia violentissima e il tiro
delle batterie nemiche, le truppe sarde passarono l’Isonzo.
Per la Brigata, impiegata nella zona del San Michele fra il Bosco Lancia e il Bosco Cappuccio, la situazione
si presentò molto difficile fin da subito. Nell’allestimento delle difese sull’Altipiano carsico gli austriaci
avevano profuso grandi risorse ed impegno, in un settore considerato decisivo per le sorti dell’intero fronte
orientale. Gli assalti condotti contro trincee pressoché inespugnabili, ben strutturate e realizzate su posizioni
dominanti, dissanguavano i reparti italiani senza produrre alcun apprezzabile risultato.
Tra le centinaia di corpi dei caduti rimasti insepolti, le temperature elevate e il sole cocente durante il giorno
e i violenti temporali nelle ore notturne favorivano lo scatenarsi, a ondate, di un ulteriore e crudele nemico: il
colera. All’accanita battaglia contro il nemico si aggiungeva dunque la lotta quotidiana per la sopravvivenza
in trincea.
I mesi di guerra sul Carso, tra l’estate e l’autunno/inverno del 1915, videro nascere e consolidarsi la fama e il
mito della brigata sarda, protagonista di ripetute prove di valore nelle sue azioni contro i trinceramenti
austriaci. “Sul Carso – scrive Tommasi – si era subito manifestato il carattere particolare della nostra guerra;
la lotta accanita per un palmo di terra, tra una trincea e l’altra. E la conquista di un palmo di terra, di una
quantità pressoché incommensurabile nel vasto teatro delle operazioni, fu opera talvolta lunga, sempre
paziente e tenace di cuore e di polso, fatica di sangue, di molto sangue…”. Con la conquista delle trincee
delle Frasche e dei Razzi – contro le quali si erano già lanciati, invano, numerosi reparti di fanteria – giunse
per la Brigata la citazione nel Bollettino del Comando Supremo del 15 novembre. Gli <<Intrepidi sardi>>,
riconosciuti apertamente nei loro meriti come mai era accaduto prima per una singola unità, diventavano
modello di riferimento ed esempio da seguire.
Dietro il mito si celava tuttavia una realtà più complessa e difficile, fatta di dolore e patimenti per i lunghi
periodi in prima linea, le mancate licenze, i massacri quotidiani nell’indifferenza degli alti comandi. Le prove
carsiche erano costate molte vite umane. Nel dicembre del 1915 “la Sassari – scrive il tenente Alfredo
Graziani – esisteva sempre, ma soltanto sulla carta”.
Con la Brigata distrutta e da ricostituire, il Comando supremo ordinò che vi venissero trasferiti tutti i soldati
sardi di fanteria e, su richiesta, anche gli ufficiali. “Giunsero da tutto il fronte soldati colle mostrine dai cento
colori – ricorda Camillo Bellieni, sottotenente arrivato volontario dal 43° Fanteria – lanciabombe, tiratori
scelti, porta tubi di gelatina, elementi affezionati ai loro reggimenti, ben trattati dai loro comandanti, moltissimi
in attesa di andare in licenza. Strappati dal loro ambiente, questi soldati furono inviati alla Brigata Sassari
con una sola parola: Sardegna.” Questo “popolo in divisa” – secondo l’evocativa espressione usata proprio
dal Bellieni – ristabilì al fronte usi e costumi dei villaggi isolani, riallacciando antichi vincoli di ospitalità,
riprendendo le gare poetiche, trasferendo in guerra codici, valori ed abitudini del mondo agropastorale di
provenienza. Un pezzo di Sardegna si ricomponeva sul Carso.
Nel maggio del 1916, dopo poche settimane di riposo nella piana friulana, la Brigata fu trasferita d’urgenza
sull’Altipiano di Asiago: gli austriaci avevano attaccato dal Trentino. I combattimenti sulle posizioni di Monte
Fior e Monte Castelgomberto, investite in pieno dall’offensiva austroungarica tra il 7 e l’8 giugno, perse e
riconquistate più volte, costarono ancora il sacrificio di molte vite umane.
Il 5 Agosto alle bandiere di entrambi i reggimenti fu concessa la prima delle due medaglie d’oro al valor
militare. Nel giugno del 1917, nel corso della Battaglia dell’Ortigara, i suoi reparti furono impiegati contro le
posizioni austriache sul Monte Zebio. Dopo le carneficine di quel lungo anno sull’Altipiano, demoralizzata e
semidistrutta, la Brigata dovette ancora una volta essere in larga parte ricomposta nelle retrovie.
I fanti sardi combatterono ancora valorosamente sulla Bainsizza, di nuovo sull’Altipiano dei Sette Comuni e
sul Piave. La Battaglia dei Tre Monti (28 - 31 gennaio 1918), la prima vittoriosa azione offensiva per l’esercito
italiano dopo Caporetto, li vide protagonisti della conquista del Col del Rosso e di Col d’Echele. Il 21 giugno
1918 giunse l’ennesima citazione all’ordine del giorno per l’eroica difesa della zona ad occidente di San
Donà di Piave.
I Diari storici della brigata e dei suoi reggimenti restano oggi quali documenti fondamentali per ricostruire
quelle imprese.
Alla fine del conflitto la Brigata ebbe circa duemila caduti, di cui centocinquanta ufficiali, e oltre tredicimila tra
dispersi, feriti e mutilati. Molti furono anche i sardi che combatterono e caddero su altri fronti e in altre
formazioni militari, nelle Brigate Reggio, Cremona e in altre ancora. I caduti sardi furono complessivamente
13.602 (circa 138 morti ogni 1.000 chiamati alle armi). Fu tuttavia soprattutto l’esperienza della Sassari a
rendere visibile di fronte al paese il contributo e il sacrificio dell’Isola, spingendo i reduci a reclamare i propri
diritti e ad avanzare le proprie rivendicazioni, ponendo le premesse per i grandi cambiamenti politici del
dopoguerra.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
C. Bellieni, Emilio Lussu, Cagliari, Il Nuraghe, 1924.
L. Cadeddu, La vita per la patria: la storia della Brigata Sassari nella guerra del 1915, Udine, Gaspari, 2008.
G. Chirra, Trattare ke frates Kertare ke inimicos: Il cammino dei Sardi nella Grande Guerra, Sassari,
Chiarella, 1996.
G. Fois, Storia della Brigata Sassari, Sassari, Gallizzi, 1981.
S. Fontana, Battesimo di fuoco, Iglesias, Atzeni e Ferrara, 1934.
E. Lussu, La Brigata Sassari e il Partito Sardo d’Azione, in <<Il Ponte>>, VII, 1951.
G. Sotgiu, Storia della Sardegna dalla Grande Guerra al Fascismo, Bari, Laterza, 1990.
G. Tommasi, Brigata Sassari: note di guerra, Roma, Tipografia sociale, 1925.
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