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Sull`Essenziale Falsit`a dell`Ipotesi del Continuo

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Sull`Essenziale Falsit`a dell`Ipotesi del Continuo
Sull’Essenziale Falsità dell’Ipotesi del
Continuo
Gabriele Gullà
2
A Federica, ovviamente.
E ad Andrea, Gianni e Matteo.
3
“There are more things in heaven and earth,
Horatio,
than are dreamt of in your philosophy.”
(William Shakespeare, “Hamlet”)
4
Indice
1 Introduzione
7
2 Definizione del Problema e Struttura di H(ω)
9
3 Cenni di Aritmetica Cardinale e Grandi Cardinali
15
3.1 Grandi Cardinali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
4 Cenni di Teoria Descrittiva degli Insiemi
4.1 Insiemi Proiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Determinatezza Proiettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.1 Il teorema di Martin-Steel . . . . . . . . . . . . . . . .
25
25
28
34
5 Struttura di H(ω1 )
43
6 Assiomi di Martin
47
7 Struttura di H(ω2 )
51
7.1 Varianti del Massimo di Martin . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
8 Introduzione all’Ω-Logica
8.1 Insiemi Universalmente Baire . . . . . . . . . .
8.2 Il Massimo di Martin-Woodin e l’Ω-Consistenza
8.3 Ω-Provabilità e Ω-Validità . . . . . . . . . . . .
8.4 Riducibilità di Wadge . . . . . . . . . . . . . . .
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55
55
57
59
62
9 Ω-Logica e CH
65
A L’Assioma di Simmetria di Freiling
69
5
6
INDICE
B Il Problema di Suslin
71
C Sulla Definibilità di CH come Problema Matematico
75
Capitolo 1
Introduzione
Come è noto l’ipotesi del continuo (CH) fu formulata da Georg Cantor nel
1886 a seguito dei suoi risultati sulle cardinalità. Egli era fortemente convinto della verità di CH e forse sarebbe stato entusiasta di fronte al risultato di Kurt Gödel del 1940 che asserisce la consistenza di CH con la teoria
di Zermelo-Fraenkel. Probabilmente sarebbe stato meno contento se avesse
potuto assistere alla celebrazione nel 1966 di Paul Cohen con la Medaglia
Fields ottenuta anche e soprattutto per la dimostrazione di tre anni prima
della consistenza di ¬(CH) con gli assiomi di ZF. Fino a qui la storia di CH
è relativamente conosciuta. Ma cosa è avvenuto dopo?
È appunto negli anni ’70 che il mondo matematico si mobilita nuovamente
verso un nuovo e ancor più approfondito studio di CH. Alla base di questo interesse rinnovato (o forse mai assopito....) vi sono considerazioni metamatematiche consolidatesi ai tempi di Gödel: egli era infatti un accanito platonista,
ovvero era convinto che la matematica fornisse una conoscenza reale, quasi
fisica, e in quanto tale non esitava ad affermare la sua convinzione della falsità
di CH; Gödel imputava l’indipendenza di CH alla mancanza di assiomi atti
alla buona fondazione del problema e alla sua risoluzione. Anche Cohen, che
pure era un formalista, ovvero molto distante dalle concezioni platoniste (e
quindi molto vicino meta-matematicamente al sottoscritto) propendeva per
la negazione di CH. A livello intuitivo, la negazione di CH porterebbe ad
un universo matematico più ampio (anche se il significato di questa frase
potrebbe essere per nulla ovvio..), ma necessariamente meno ordinato, mentre affermare CH significherebbe accettare un universo più gestibile, ma meno
ricco.
7
8
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
Recentemente Matthew Foreman, che pure afferisce alla scuola platonista
come Woodin, si è detto moderatamente scettico riguardo ai risultati di Hugh
Woodin, risultati che saranno il punto focale del presente lavoro; egli ha inoltre affermato che ciò che lui chiama massimalismo ontologico (ovvero la
propensione per un universo più ricco) sia in realtà favorevole a CH in quanto i “modelli con più insiemi di reali sono quelli in cui è più probabile che
CH sia vera” (cfr. [22]).
Sull’affermazione di Foreman si potrebbero fare interi dibattiti, ma non è
questo il fine di questa trattazione; infatti nel presente lavoro analizzeremo i
progressi riguardanti l’ipotesi del continuo ottenuti dalla fine degli anni ’60,
fino ai recentissimi sviluppi (anni 2000) avuti con l’Ω-logica inventata da
Hugh Woodin. Mostreremo come l’introduzione di convenienti assiomi sui
grandi cardinali e l’uso di un nuovo concetto di dimostrabilità hanno portato Woodin alla creazione di un modello di ZFC (più i suddetti assiomi)
in cui CH è falsa (in un senso preciso che verrà specificato). Il punto che
ha spinto chi scrive ad affrontare questo tema è che, al di là delle considerazioni epistemologiche, ontologiche o meta-matematiche, il lavoro di Woodin
ci dice qualcosa in più su CH (e su molto altro...), cosa che credo sia
rilevante per chi propende verso un universo matematico il più possibile ricco.
Capitolo 2
Definizione del Problema e
Struttura di H(ω)
Cominciamo coll’enunciare l’ipotesi del continuo che d’ora in avanti indicheremo con CH:
2ℵ0 = ℵ1
Come è noto CH è il “passo 0” di quella che viene oggi chiamata ipotesi
generalizzata del continuo GCH:
2ℵα = ℵα+1
In questo lavoro ci proponiamo di studiare solo CH che, in quanto passo 0,
rappresenta il nucleo fondante anche di GCH.
Vi sono molti modi differenti di enunciare CH, equivalenti in presenza
dell’assioma della scelta (AC) (recentemente sono state avanzate idee circa lo studio di questi diversi enunciati in assenza di AC); di seguito diamo
le tre versioni più interessanti:
1) Non vi è alcun insieme infinito A di numeri reali tale che la cardinalità di
A è strettamente compresa tra quella dei naturali e quella dei reali. L’insieme
A si chiama interpolante.
2) Ogni buon ordinamento dei reali ha tipo d’ordine minore di ℵ2 .
3) Non esiste alcuna suriezione da R in ℵ2 .
9
10CAPITOLO 2. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA E STRUTTURA DI H(ω)
Cominciamo ora a lavorare per gradi. Definiamo la gerarchia di Von Neumann
V0 = ∅
[
Vα =
Vβ se α è un ordinale limite
β<α
Vα+1 = P(Vα )
[
Vα = V = {x : x = x} , classe universale di tutti gli insiemi
α∈Ord
Cosı̀ come il fine ultimo dell’aritmetica è determinare tutti gli enunciati soddisfatti dalla struttura (N, +, ·), quello della teoria degli insiemi è determinare
tutti gli enunciati soddisfatti dalla struttura (V, ∈). Poiché sappiamo che tale
proponimento è irraggiungibile, ciò che si farà sarà restringere il campo di
investigazione a delle strutture più semplici (H, ∈), dove H è un certo frammento di V . È allora naturale la seguente definizione che associa ad ogni H
un cardinale che lo identifichi:
Def. 2.1
Per k intero, si denota con H(ωk ) (o indifferentemente con H(ℵk )) l’insieme
di
T quegli insiemi X la cui chiusura transitiva (ovvero l’insieme
{Y |Y è transitivo e X ⊆ Y }) ha cardinalità minore di ℵk . In modo informale si può definire H(ωk ) come l’insieme di tutti gli insiemi A di cardinalità
ereditariamente strettamente minore di ℵk , nel senso che A, i suoi elementi,
gli elementi dei suoi elementi, etc. sono tutti di cardinalità minore di ℵk (e
l’equivalenza delle due definizioni si può mostrare con AC).
Remark
L’Assioma di Regolarità (ovvero l’esistenza di un elemento ∈-minimo per
ogni insieme non vuoto) implica che per ogni insieme A esiste un k tale che
A ∈ H(ωk ).
In particolare H(ω) = Vω , H(ω1 ) e Vω+1 sono mutuamente interpretabili (si
veda più avanti per la definizione), ma H(ω2 ) e Vω+2 lo sono solo se vale CH,
altrimenti la prima struttura è meno ricca della seconda.
In questo capitolo ci occupiamo di (H(ω), ∈), ovvero il livello degli insiemi
ereditariamente finiti. Denotiamo con ZFf il sistema ZF privato dell’Assioma
dell’Infinito.
11
Lemma 2.1
A partire dagli assiomi di ZFf , si può definire dentro (H(ω), ∈) una copia di
(N, +, ·); viceversa, a partire dall’aritmetica di Peano si può definire dentro
(N, +, ·) una copia (H(ω), ∈).
Dimostrazione (cenni)
La copia Ñ di N si ottiene tramite la rappresentazione
di Von Neumann degli
˜ 1 = ĩ ∪ ĩ . Viceversa (si veda il formalinteri positivi dove 0̃ = ∅ e i +
˜ di ∈ ponendo p∈
˜q
ismo di Ackerman) si definisce in (N, +, ·) una copia ∈
se la p-esima cifra dell’espansione binaria di q è 1, e si dimostra a partire
˜ ) soddisfa gli assiomi di ZFf e è isomorfo
dall’aritmetica di Peano che (N, ∈
a (H(ω), ∈). Per ulteriori dettagli si consultino [16] e [17].
•
Il Lemma asserisce quindi che vi è uno stato di bi-interpretabilità tra il livello dell’ “ereditariamente finito” e l’aritmetica (informalmente, dire che una
teoria T interpreta una teoria S significa che esiste una “procedura” per associare strutture N nel linguaggio di S a strutture M nel linguaggio di T in
modo che se M è un modello di T, allora N è un modello di S).
Quindi come per l’aritmetica, anche per (H(ω), ∈) esistono enunciati ivi soddisfatti ma non provabili a partire da ZFf . Porsi quindi all’interno della
teoria degli insiemi permette di ottenere maggiore completezza: non si tratta
di verificare che un enunciato φ sia provabile a partire da ZFf , ma se l’enunciato “(H(ω), ∈) soddisfa φ” è provabile a partire da ZFC. Ancora dai teoremi
di Gödel si sa che l’assiomatizzazione di ZFC non fornisce una descrizione
completa; purtuttavia questa descrizione è in pratica soddisfacente, essendo
la maggior parte egli enunciati veri ma non provabili derivati ad hoc dalla
logica.
Da quando nel 1963 Cohen ha introdotto il metodo di forcing, esso è diventato in un certo senso la chiave di volta di una grandissima quantità di
problemi insiemistici. In questa sede non affronteremo specificatamente il
tema del forcing, ma ne useremo di quando in quando delle varianti definendole laddove ci serviranno (si consiglia la lettura del testo di K.Kunen “Set
12CAPITOLO 2. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA E STRUTTURA DI H(ω)
Theory An Introduction To Independence Proofs” per un introduzione al
forcing). Per il momento notiamo che non è infrequente che una nozione
di forcing P1 generi un modello M[G1 ] che soddisfa un enunciato φ, tanto
quanto una seconda nozione di forcing P2 ne genera un altro che soddisfa ¬φ,
rendendo quindi “imbarazzante” la scelta fra l’una e l’altra. Ebbene, si ha
che tale inconveniente non può avvenire nel caso dell’aritmetica:
Def 2.2
Sia H un insieme definibile, ovvero un insieme i cui elementi verificano una
certa formula del linguaggio della teoria degli insiemi (per esempio gli H(ωk )
sono definibili). Diciamo che le proprietà della struttura (H, ∈) sono invarianti per forcing se, quali che siano l’enunciato φ, il modello M e l’estensione
generica M[G], l’enunciato “(H, ∈) soddisfa φ” è soddisfatto in M se e solo
se lo è in M[G].
I teoremi di invarianza per forcing sono noti in letteratura anche come risultati di assolutezza.
Teorema 2.2
Le proprietà di (N, +, ·) (e quindi di (H(ω), ∈)) sono invarianti per forcing.
•
Questo risultato è un corollario del teorema di Assolutezza di Shoenfield :
si ha invarianza non solo passando a un’estensione generica, ma anche ad un
estensione qualunque. Non diamo dimostrazione di questo risultato (peraltro
classico) perchè anche solo la sua formulazione generale ci costringerebbe a
dare molte, molte altre definizioni....
Remark
Supporre che H sia definibile, ovvero sia caratterizzato da una formula ψ(x)
non significa chiedere che gli insiemi definiti da ψ(x) in M e M[G] coincidano, si chiede solo che questi due insiemi abbiano le stesse proprietà.
A questo punto appare chiaro che l’incompletezza di ZFC al livello dell’aritmetica non è collegata ad alcuna “variabilità” dovuta al forcing. Ora, quello
che si vorrebbe fare, è ritrovare per le strutture (H(ωk ), ∈), k ≥ 1, la stessa
situazione che sia ha fra (H(ω), ∈) e l’aritmetica. Questo ha condotto Woodin a formulare il seguente problema che ci accompagnerà durante tutta la
trattazione:
13
Problema Fondamentale (PF)
Trovare un quadro assiomatico (sarà tipicamente ZFC completato di alcuni
assiomi compatibili con l’esistenza dei grandi cardinali) che fornisca una descrizione sufficientemente completa per (H(ωk ), ∈) e che renda le proprietà
di quest’ultimo invarianti per forcing.
Ottenere l’invarianza per forcing significa neutralizzare l’azione di forcing
al livello di H(ωk ). Tale richiesta è quindi molto forte e a priori non si ha alcuna garanzia che tale richiesta posa essere realizzata al di là di H(ω), infatti
Teorema 2.3 (Woodin)
Non è possibile alcun risultato di invarianza per forcing per le proprietà di
(Vω+2 , ∈) (e dunque essenzialmente per tutti i frammenti contenenti P(R)).
In questo contesto si sta quindi privilegiando fortemente la richiesta di invarianza per forcing, da ciò segue la seguente nozione:
Def 2.3
Un enunciato φ in una struttura definibile (H, ∈) è detto essenzialmente vero
se:
i) esiste almeno una soluzione di PF per (H, ∈) e
ii) ciascuna di queste soluzioni prevede che φ sia vera
Detto in altro modo, φ è essenzialmente vera se è vera in tutti i contesti
coerenti in cui l’azione di forcing è stata neutralizzata.
Decidere se la verità essenziale di un enunciato costituisca un argomento
definitivo sarà una questione brevemente trattata alla fine del presente lavoro. In ogni caso il tema su cui si basa questo lavoro sarà il seguente: data
CH (che vedremo essere una proprietà di H(ω2 )), essa è essenzialmente vera, essenzialmente falsa o nessuna delle due?
Nei prossimi due capitoli ci occuperemo di aritmetica cardinale e teoria
descrittiva degli insiemi cosı̀ da avere tutti i prerequisiti per studiare H(ω1 ).
14CAPITOLO 2. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA E STRUTTURA DI H(ω)
Capitolo 3
Cenni di Aritmetica Cardinale
e Grandi Cardinali
Come è noto, dal teorema di Cantor segue che 2ℵα ≥ ℵα+1 per ogni α.
Ma cos’altro si può dire della funzione (detta, non a caso, del continuo)
ℵα 7−→ 2ℵα ? Diamo di seguito dei risultati in proposito dando per scontate
le basi dell’aritmetica cardinale e della teoria dei filtri. Soprattutto daremo
dei risultati di limitatezza superiore per la funzione del continuo
Def. 3.1
Dato α ordinale limite (infinito), la cofinalità di α, indicata con cf (α), è il più
piccolo ordinale β (che si rivela essere limite) tale che esiste una β-sequenza
crescente hαξ : ξ < βi con limξ→β αξ = α. Ovviamente cf (α) è un ordinale
limite e cf (α) ≤ α.
Un cardinale infinito ℵα è regolare se cf (ωα ) = ωα . Se invece cf (ωα ) < ωα il
cardinale si dice singolare.
Capiterà nel seguito di usare il simbolo k + : esso denota il primo cardinale
più grande di k.
Lemma 3.1
Si ha sempre cf (cf (α)) = cf (α) e cf (α) è cardinale regolare.
Dimostrazione
Se hαξ : ξ < βi è cofinale in α e hξ(ι) : ι < γi è cofinale in β, allora αξ(ι) : ι < γ
è cofinale in α. Per la seconda parte, se α non è un cardinale, allora mappando suriettivamente card(α) su α, si può costruire una sequenza cofinale
15
16CAPITOLO 3. CENNI DI ARITMETICA CARDINALE E GRANDI CARDINALI
in α di lunghezza ≤ card(α), e quindi cf (α) < α. Poiché cf (cf (α)) = cf (α)
segue che cf (α) è un cardinale, ed è regolare.
•
Esistono cardinali singolari arbitrariamente grandi: per ogni α, ℵα+ω è un
cardinale singolare di cofinalità ω. Usando l’assioma di scelta si mostra invece che ℵα+1 è sempre regolare.
Teorema 3.2 (König)
Se ki < λi per ogni i ∈ I, allora
X
ki <
i∈I
Y
λi
i∈I
DimostrazioneP
Q
Mostriamo che i∈I ki 6≥ i∈I λi . Sia Ti , i ∈ I tale che Q
|Ti | = λi
Basta mostrare che se ZiS
, i ∈ I sono sottoinsiemi di T = i∈I Ti e
|Zi | ≤ ki ∀i ∈ I, allora i∈I Zi 6= T .
Per ogni i ∈ I sia Si la proiezione di Zi sulla i-esima coordinata:
∀i ∈ I.
Si = {f (i) : f ∈ Zi }
Poichè |Zi | < |Ti | segue che Si ⊂ Ti . Sia ora f ∈ T una funzione tale
che
/ Si ∀i ∈ I. Ovviamente f non appartiene ad alcun Zi e quindi
S f (i) ∈
Z
=
6
T.
i∈I i
•
Corollario 3.3
cf (2ℵα ) > ℵα
Dimostrazione
P
ℵα
Basta mostrare che se ki < 2ℵα per i < ωα , allora
i<ωα ki < 2 . Sia
ℵα
λi = 2 . Allora
X
Y
ki <
λi = (2ℵα )ℵα = 2ℵα
i<ωα
•
i<ωα
17
Il seguente risultato è di particolare importanza
Teorema 3.4 (Easton 1963)
Si assumano ZFC consistente e GCH. Si supponga che la funzione F sia una
classe definibile, di dominio i cardinali regolari infiniti e codominio i cardinali, e tale che
i) se k ≤ λ allora F (k) ≤ F (λ)
ii) cf (F (k)) > k
Allora ZFC+“Per tutti i cardinali regolari infiniti k, 2k = F (k)” è consistente.
Per la dimostrazione si rimanda a [11] (teorema 15.18, parte 2, capitolo 15)
•
Il teorema di Easton afferma quindi che, per i cardinali regolari, il teorema
di Cantor e il corollario del teorema di König sono le uniche due proprietà
non banali sulla funzione del continuo provabili in ZFC.
Per quel che riguarda i cardinali singolari si può dire qualcosa di più e,
dopo qualche definizione, lo faremo.
Se k è un cardinale limite, definiamo
2<k = sup 2λ : λ < k
allora
Lemma 3.5
Se k è un cardinale limite, segue che
2k = (2<k )cf (k)
Dimostrazione
P
Sia k = i<cf (k) ki , dove ki < k per ogni i. Si ha
Y
Y
P
2k = 2 i ki =
2ki ≤
2<k = (2<k )cf (k) ≤ (2k )cf (k) = 2k
i
•
i
18CAPITOLO 3. CENNI DI ARITMETICA CARDINALE E GRANDI CARDINALI
Teorema 3.6 (Bukovsky-Hechler)
Sia k un cardinale singolare tale che esiste γ0 < k tale che
2γ = 2γ0 ∀ γ, γ0 ≤ γ < k
Allora 2k = 2γ0
Dimostrazione
Se k è un cardinale singolare che soddisfa le ipotesi del teorema allora esiste
γ0 tale che cf (k) ≤ γ0 < k e 2<k = 2γ0 . Quindi
2k = (2<k )cf (k) = (2γ0 )cf (k) = 2γ0
•
Definizione 3.2:
Un cardinale k è un limite forte se 2λ < k per ogni λ < k.
Ipotesi dei Cardinali Singolari (SCI)
Per ogni cardinale singolare k, se 2cf (k) < k allora k cf (k) = k + .
Questa definizione, tra le altre cose, è importante nel momento in cui si
vede che essa segue da GCH. Se 2cf (k) ≥ k allora k cf (k) = 2cf (k) ; se 2cf (k) < k
allora k + è il più piccolo valore possibile di k cf (k) . Questo vuol dire che se vale
tale ipotesi l’aritmetica cardinale si semplifica molto in quanto ogni calcolo
può essere ricondotto alla funzione del continuo.
Nel 2006 Matteo Viale ha dimostrato SCI attraverso tecniche proprie della
teoria PCF (si veda più avanti) e usando l’assioma PFA (si veda la sezione
dedicata agli assiomi di forcing).
Diamo ora due classici risultati :
Teorema 3.7 (Silver)
Sia k un cardinale singolare di cofinalità non numerabile. Se vale GCH
sotto k, allora vale per k, ovvero 2k = k + . Se vale SCI per tutti i cardinali
singolari di cofinalità ω, allora vale per ogni cardinale singolare.
19
Teorema 3.8 (Galvin-Hajnal)
Sia k un cardinale limite forte e singolare di cofinalità non numerabile tale che k < ℵk , allora 2k < ℵk . Più precisamente se k = ℵη allora
2k < ℵγ dove γ = (2card(η) )+ .
Genesi delle due Dimostrazioni
Innanzitutto per semplificare le notazioni poniamo k = ℵω1 (il caso generale
è totalmente analogo).
Siano f e g due funzioni su ω1 ; diciamo che sono quasi disgiunte se esiste un
α0 < ω1 tale che f (α) 6= g(α) per ogni α ≥ α0 .
Una famiglia F di funzioni su ω1 è quasi disgiunta se ogni coppia di funzioni
in F è quasi disgiunta.
Si assuma che ℵℵα1 < ℵω1 per ogni α < ω1 ; sia
Y
F⊂
Aα
α<ω1
una famiglia quasi disgiunta di funzioni tale che l’insieme
{α < ω1 : |Aα | ≤ ℵα }
sia stazionario (si veda la def 6.4). Allora |F| ≤ ℵα .
Da questo risultato deduciamo che, se F è tale che ad essere stazionario sia
l’insieme
{α < ω1 : |Aα | ≤ ℵα+1 }
allora |F| ≤ ℵα+1 .
Allora segue che:
sia k un cardinale singolare tale che cf (k) ≥ ω1 , e si assuma che λcf (k) < k
per ogni λ < k; se kα : α < cf (k) è una sequenza normale di cardinali tale
che limα kα = k, e se l’insieme
α < cf (k) : kαcf (kα = kα+
è stazionario, allora k cf (k) = k + , che è una generalizzazione del risultato di
Silver.
D’altra parte se usiamo una famiglia F per la quale |Aα | ≤ ℵα+φ(α) , dove
φ : ω1 → ω1 , otteniamo che |F| ≤ ℵω1 +||φ|| , e quindi |F| < ℵγ dove γ = (2ℵ1 )+ ,
che è a sua volta una generalizzazione del teorema di Galvin-Hajnal.
20CAPITOLO 3. CENNI DI ARITMETICA CARDINALE E GRANDI CARDINALI
Da notare che ||φ|| è una norma definita come sup {||ψ|| + 1 : ψ < φ} dove
ψ < φ s.es.s. {α < ω1 : ψ(α) ≥ φ(α)} è magro.
•
Il teorema di Galvin e Hajnal è un importante risultato di limitatezza nel
contesto di ipotesi molto deboli (cardinale singolare e limite forte, con cofinalità non numerabile).
Per ultimo un risultato notevole:
Teorema 3.9 (Shelah)
Se ℵω è un cardinale limite forte, allora
2ℵω < ℵω4
Dimostrazione (cenni)
Questo risultato deriva dalla teoria delle Possibili Cofinalità, (PCF), introdotta da Shelah intorno al 1978. In questa sede sarebbe inutilmente dispendioso approfondire questa tematica, ma data l’importanza della teoria
tratteggerò le idee fondamentali.
Sia Q
A un insieme di cardinali regolari e U un ultrafiltro su Q
A. Indichiamo con
cf ( A/U ) la cofinalità dell’insieme ordinato di funzioni A, dove l’ordine
è dato da
f < g ⇔ {x ∈ A : f (x) < g(x)} ∈ U
Introduciamo poi l’insieme
n Y
o
pcf (A) = cf ( A/U ) : U è un ultrafiltro su A
Se si considerano ultrafiltri concentrati su elementi di A si ha che A ⊂ pcf (A).
Shelah ha mostrato che se |A| < min(A) allora pcf (A) ha un elemento più
grande, e dunque vi sono sottoinsiemi
Bα = {α ∈ pcf (A)} ⊂ A tali che per
Q
ogni ultrafiltro U su A, cf ( A/U ) è il più piccolo α di pcf (A) tale che
Bα ∈ U . Di conseguenza |pcf (A)| < 2|A| .
Se poi A è l’insieme dei cardinali regolari compresi tra due cardinali dati, allora anche pcf (A) è un intervallo di questo tipo, e si ha che |pcf (A)| < |A|+4 ,
da cui deriva la disuguaglianza del teorema.
Per approfondire la dimostrazione di questo risultato, estremamente complessa e lunga, si può consultare [29].•
3.1. GRANDI CARDINALI
21
Questi risultati mostrano come il comportamento della funzione del continuo
sui cardinali singolari sia “provabilmente (in ZFC) cruciale”!.
3.1
Grandi Cardinali
Le dimostrazioni di alcuni dei teoremi di questa sezione possono essere reperite
in [11] e/o [13].
Definizione 3.1.1
un cardinale non numerabile k è inaccessibile se è un limite forte regolare; un
cardinale non numerabile è misurabile se esiste un ultrafiltro non-principale
k-completo su k.
Definizione 3.1.2
Dati due modelli di ZFC M e N , una funzione iniettiva j : N → M è
un’inclusione elementare s.es.s. soddisfa lo schema elementare: per ogni
formula φ(v1 .....vn ) e x1 .....xn in N
N |= φ[x1 .....xn ] ⇔ M |= φ[j(x1 ).....j(xn )]
Se j è l’identità su N , allora N è una sottostruttura elementare di M .
La nozione di Inclusione elementare assume un interesse specifico quando
il modello di partenza e quello d’arrivo hanno essenzialmente la stessa re˜ ) è un modello interno di (M, ∈)
lazione di appartenenza: diciamo che (N, ∈
˜
se N ⊂ M e ∈ è la restrizione di ∈ a N (è necessario che gli ordinali di M
siano in N e che x ∈ y ∈ N implichi x ∈ N ); diciamo che j è un’inclusione
˜ ) in (M, ∈) se (N, ∈
˜ ) è un modello interno di
elementare interna di (N, ∈
(M, ∈) e se la restrizione j|x è un elemento di M per ogni x ∈ M .
Definizione Fondamentale
Un cardinale k è detto di Woodin s.es.s. per ogni funzione f : k −→ k esistono un’inclusione elementare j : V −→ M e un ordinale α < k, tali che da
ξ < α segue j(ξ) = ξ e f (ξ) < α, crit(j) > α e Vj(f (α)) ⊆ M , dove crit(j) è
il punto critico di j, ovvero il primo ordinale δ tale che j(δ) > δ.
Remark
In modo a mio avviso controintuitivo, Kunen, usando AC, ha mostrato
22CAPITOLO 3. CENNI DI ARITMETICA CARDINALE E GRANDI CARDINALI
che più si richiede che il modello d’arrivo sia prossimo a quello di partenza,
più l’esistenza di un’inclusione elementare costituisce un assioma forte di
grandi cardinali. In particolare non è possibile che i due modelli coincidano.
In ciò risiede la connessione tra inclusioni elementari e grandi cardinali: l’ordinale critico di una j è un grande cardinale, tanto più grande quanto più
vicini sono i modelli d’arrivo e partenza di j.
L’esistenza o meno di un inclusione elementare di V in sè stesso in assenza
di AC è ancora oggetto di studio, ma se tale inclusione (o più inclusioni)
dovesse esistere si potrebbero introdurre ulteriori grandi cardinali, ovvero i
cardinali di Reinhardt, punti critici dell’inclusione in oggetto.
Def. 3.1.3
Un cardinale non numerabile k è compatto s.es.s., per ogni insieme S, ogni
filtro k-completo su S può essere esteso a un ultrafiltro k-completo su S.
Remark
In realtà la definizione 3.4 è un teorema di Tarski e Keisler, ovvero prima
è stata data da Tarski la definizione di cardinale compatto e poi è stato
mostrato che essa equivale a Def. 3.1.3; a mio avviso usare tale proprietà
come definizione semplifica molto il significato di cardinale compatto.
Def. 3.1.4
Un cardinale k è γ-supercompatto se esiste j : V −→ M tale che crit(j) = k,
γ < j(k) e M γ ⊆ M . k è supercompatto se è γ-supercompatto per ogni γ ≥ k.
Per chiarire un po’ le idee ci soffermeremo ora sulla gerarchia fra i cardinali che abbiamo introdotto (che, ripeto, ricoprono solo una piccola parte
della classe dei grandi cardinali).
Quello che faremo in questa digressione sarà mostrare in che modo sono legati
fra loro alcuni dei grandi cardinali, in particolare quelli necessari alla nostra
trattazione. Tutto ciò sarà molto utile per comprendere quanto è forte un
assioma di grandi cardinali (concetto cruciale che introdurremo nel Cap 4).
Proposizione 3.1.1 (Ulam-Tarski)
Se k è un cardinale misurabile allora è inaccessibile.
3.1. GRANDI CARDINALI
23
Dimostrazione
Se k è misurabile in particolare vi è una misura m k-additiva tale che
m(X) = 0 ogniqualvolta |X| < k, quindi k è regolare.
Dimostriamo ora che è un limite forte: supponiamo che U sia un ultrafiltro
k-completo su k e supponiamo per assurdo che esiste una funzione iniettiva da k in λ 2 con λ < k. Per ogni α < λTesiste un iα < 2 tale che
Xα = {τ < k : f (τ )(α) = iα } ∈ U . Quindi X = α<λ Xα ∈ U , e per τ ∈ X,
f (τ )(α) = iα per ogni α < λ. Ma allora X può avere al più un elemento, che
è una contraddizione.
•
Proposizione 3.1.2 (Erdős-Tarski)
Se k è un cardinale compatto allora è misurabile.
Dimostrazione
Innanzitutto notiamo che k è regolare: se non lo fosse la k-completezza implicherebbe la k + -completezza dei filtri. Quindi, se U è un ultrafiltro kcompleto su k + che estende il filtro {X ⊆ k + : |k + − X| < k + } (che è sia
k-completo che k + -completo), allora U sarebbe k + -completo e quindi k +
sarebbe misurabile contraddicendo Prop.3.1.1.
Ora, segue che il filtro F = {X ⊆ k : |k − X| < k} è k-completo e ogni ultrafiltro k-completo su k che estende F implica la misurabilità di k.
•
Ora, il concetto di supercompattezza fu introdotto da Solovay e Reinhardt
negli anni ’70 e da subito si vide che il rapporto fra tale proprietà, la compattezza e la misurabilià non era affatto scontato. Dalle definizioni segue che
Proposizione 3
Se k è un cardinale supercompatto allora è compatto.
•
Solovay era convinto anche del contrario, ma
Teorema 3.1.3 (Menas)
Se k è un cardinale misurabile e limite di cardinali compatti allora è compatto; se è il più piccolo ad avere le precedenti proprietà allora non è
2k -supercompatto.•
24CAPITOLO 3. CENNI DI ARITMETICA CARDINALE E GRANDI CARDINALI
Ciò mostra anche che il primo supercompatto è più grande del primo misurabile. Tarski si chiese se anche il primo compatto fosse necessariamente
più grande del primo misurabile, in quanto un misurabile non necessita affatto di essere compatto (Vopĕnka-Hrbác̆ek). Tale domanda, oltre a quella
sul rapporto fra compattezza e supercompattezza, trovò risposta nel 1973:
Teorema 3.1.4 (Magidor)
Se k è un cardinale supercompatto allora esiste un’estensione del modello in
cui resta supercompatto ed è anche il più piccolo compatto.
Se k è compatto esiste un’altra estensione in cui, oltre a restare compatto, è
anche il più piccolo misurabile.
•
C’è da dire che, sebbene vi siano molti altri risultati sulla supercompattezza, vi sono ancora molte questioni irrisolte.
Per ultimo enunciamo solo un risultato, necessario, ma il cui studio completo
ci porterebbe all’introduzione di nozioni di grandi cardinali non necessarie
alla trattazione:
Proposizione 3.1.5
Se k è un cardinale compatto allora è di Woodin.
•
Remark
Usando il noto lemma di Ricoprimento di Jensen, è stato mostrato che la
negazione di SCI è equiconsistente con l’esistenza di particolari cardinali
misurabili.
Remark
Il teorema di Silver mostra in ZFC che CH non può decadere al livello di
ℵω1 mentre Magidor nel 1977 mostrò che CH può decadere al livello di ℵω ,
ma solo assumendo la consistenza di un cardinale supercompatto.
Capitolo 4
Cenni di Teoria Descrittiva
degli Insiemi
Nel seguito ci porremo nel contesto di spazi Polacchi, ovvero spazi topologici
omeomorfi a spazi separabili e completamente metrizzabili. Limitatamente a
questo capitolo quando parleremo di misurabilità e misura sarà sempre secondo Lebesgue, quindi ometteremo la suddetta locuzione.
Partiamo col ricordare il teorema della Categoria di Baire: dato X spazio
polacco, l’intersezione di una quantità numerabile di aperti densi di X è non
vuota.
Ricordiamo che un insieme A ha la proprietà di Baire se esiste un aperto G
tale che (A \ G) ∪ (G \ A) è magro, ovvero è l’unione di una quantità numerabile di insiemi rari. Un insieme è raro se il suo complementare contiene un
aperto denso.
4.1
Insiemi Proiettivi
Def. 4.1.1 (Luzin)
Sia X uno spazio polacco. Un sottoinsieme A di X p è chiamato proiettivo
se, per qualche intero k, si può ottenere a partire da un chiuso di X p+k attraverso un numero finito di proiezioni e di passaggi al complementare. A è
analitico se esiste un insieme chiuso C in X p+2 tale che A è la proiezione di
X p+1 \ Y , dove Y è la proiezione di C.
25
26 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
Si ha quindi la cosiddetta gerarchia di Luzin:
sia R lo spazio di Baire NN munito della topologia prodotto indotta da quella
discreta (e sappiamo che esiste un isomorfismo fra R e R); poniamo
Π10 = {A : A chiuso in R}
e definiamo induttivamente Σ1n e Π10 come segue:
i) gli elementi di Σ1n+1 sono le immagini continue degli elementi di Π1n ;
ii) gli elementi di Π1n sono i complementari degli elementi di Σ1n ;
T
Definiamo allora ∆1n = Σ1n Π1n .
Per quanto detto poco sopra gli insiemi analitici sono gli elementi di Σ11 mentre i boreliani sono gli elementi di ∆11 .
Ora, per guidare la nostra trattazione consideriamo l’idea seguente: l’assioma della scelta implica il paradosso di Banach-Tarski, ovvero l’esistenza
di una partizione paradossale per la palla unitaria B1 di R3 : è possibile cioè
suddividere la palla unitaria in un numero finito di sottoinsiemi non misurabili che possono essere ricomposti a formare due copie di B1 .
Sorge allora la seguente
Domanda 1
Si può partizionare in modo paradossale B1 in sottoinsiemi ciascuno proiettivo?
È del 1917 il seguente risultato
Teorema 4.1.1.(Luzin)
Ogni sottoinsieme analitico di Rn è misurabile.
•
Segue che non esistono partizioni paradossali di B1 in parti appartenenti
alla σ-algebra generata dagli insiemi analitici perché una partizione paradossale prevede l’uso di insiemi non misurabili.
Segue quindi la seguente
4.1. INSIEMI PROIETTIVI
27
Domanda 2
Gli insiemi proiettivi sono misurabili?
Gödel ha dato una risposta:
Teorema 4.1.1
Se si assume ZFC consistente allora lo è anche ZFC+“Esiste un insieme proiettivo non misurabile”
Dimostrazione(cenni)
Restringiamoci agli insiemi costruibili. Sia A = {(x, y) : x <L y} ∈ R2 : esso
è un insieme proiettivo di ∆12 e “<L ” è il buon ordinamento (proiettivo) di L.
Per ogni y, l’insieme {x : (x, y) ∈ A} è numerabile e dunque di misura nulla.
Quindi, se A è misurabile, è di misura nulla.
Sia B il complementare di A; ancora, per ogni x, l’insieme {y : (x, y) ∈ B}
è numerabile quindi di misura nulla il che rende ancora b, se misurabile, di
misura nulla. Quindi A non puó essere misurabile.
•
Remark
Che gli insiemi {y : (x, y) ∈ B} (e simili) siano numerabili (chiave della dimostrazione) deriva dal fatto che “x è costruibile” e “x <L y” sono relazioni
sulla classe degli insiemi ereditariamente finiti. Ciò, unito al tipo d’ordine
di “<L ”, fa si che per ogni x costruibile ed ereditariamente finito, l’insieme
{y : y <l x} sia al più numerabile.
Un corollario immediato è la consistenza dell’enunciato “Esiste una partizione paradossale di B1 in pezzi che sono proiezioni di complementi di
insiemi analitici”. E segue che il teorema di Luzin è il risultato più forte
ottenibile a partire da ZFC.
Quindi abbiamo che la consistenza con ZFC che ogni insieme proiettivo è
misurabile non può essere provato ipotizzando la sola consistenza di ZFC. Se
ne deduce allora il seguente corollario
Corollario 4.1.2 (Solovay)
Se ZFC è consistente allora lo è ZFC+“Non esiste partizione paradossale di
B1 in insiemi proiettivi.
•
28 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
4.2
Determinatezza Proiettiva
Def. 4.2.1
Diciamo che un sottoinsieme A di [0, 1] è determinato se il seguente enunciato
infinito, in cui gli i valgono 0 o 1, è soddisfatto:
X
X
(∃1 )(∀2 )(∃3 )....(
i 2−i ∈ A) ∨ (∀1 )(∃2 )(∀3 )....(
i 2−i ∈
/ A)
i
i
In realtà questa definizione è una versione semplificata di una definizione
più articolata. Infatti si può definire un gioco GA , ovvero un elemento di ω ω ,
in cui due giocatori scelgono le due sequenze finite {2k }k<N e {2k+1 }k<M
come sopra; una strategia è una funzione
dall’insieme delle sequenze finite, a
P
−i
valori in {0, 1}; essa è vincente se ( i i 2 ∈ A); allora diciamo che il gioco
GA (e quindi l’insieme A) è determinato se esiste una strategia vincente per
uno dei due giocatori.
In effetti la stragrande maggioranza delle dimostrazioni di determinatezza
usa le tecniche della teoria dei giochi infiniti.
Teorema 4.2.1 (Gale-Stewart 1953)
Tutti gli aperti (e, per complementarità, anche tutti i chiusi) sono determinati, ed esiste almeno un insieme di reali non determinato.
Dimostrazione
Dimostriamo solo la seconda parte del teorema, non perchè la prima sia difficile, ma perché necessiterebbe di diversi “tecnicismi” che in questa sede
possiamo omettere.
Poiché ci sono 2ℵ0 strategie per i giochi della forma G(A), siano (σα )α<2ℵ0 e
(τα )α<2ℵ0 due numerazioni per le strategie risp. di I e II. Scegliamo ricorsivamente aα , bα per α < 2ℵ0 come segue: avendo scelto aβ , bβ , β < α, scegliamo
bα = σα ∗ y per un qualche y, e tale che bα ∈
/ {aβ |β < α}. Questo è possiω
ℵ0
bile perché card({σα ∗ y : y ∈ ω }) = 2 , essendo la funzione che mappa y
in σα ∗ y iniettiva. Similmente, scegliamo aα tale che sia uguale z ∗ τα per
qualche z e che aα ∈
/ {bβ |β < α}. Con la scrittura σα ∗ y denotiamo il gioco
parziale fra la strategia σα e y.
Gli insiemi risultanti A = aα |α < 2ℵ0 e B = bα |α < 2ℵ0 sono disgiunti,
e nessuno dei due giocatori ha una strategia vincente per G(A). •
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
29
Teorema 4.2.2 (Martin)
Tutti i boreliani sono determinati.
Dimostrazione(cenni)
La dimostrazione parte con l’associare ad un boreliano A, tramite induzione
sul rango di Borel di A, un aperto A∗ ⊆ Z N , dove Z è discreto. A∗ è costruito
in modo che dalla determinatezza di GA∗ (i giocatori giocano in Z) si deduca
quella di GA . Essendo A∗ aperto, da 4.2.1 si ha la tesi.
•
Poiché A varia fra gli insiemi di Borel, Z varia in {P α (R)|α < ω1 } crescendo
in cardinalità con il rango di A. È importante notare che senza l’assioma
di rimpiazzamento non sarebbe provabile l’esistenza di P ω (R), quindi tale
assioma è indispensabile alla dimostrazione di Martin.
Poiché non si può mostrare in ZFC la determinatezza dei sottoinsiemi analitici di [0, 1], quest’ultimo teorema è il risultato più forte sulla determinatezza,
provabile in ZFC (infatti nel modello L dei “costruibili” di Gödel esiste un
insieme non determinato che è proiezione di un boreliano). Quindi porre
che oltre ai boreliani vi siano altri insiemi determinati è un assioma proprio
rispetto a ZFC.
L’insieme non determinato del teorema di Gale-Stewart (fornito in sostanza
dall’assioma della scelta) è in generale non proiettivo; ciò ha portato a suggerire la seguente nozione:
Def. 4.2.2 (Assioma di Determinatezza Proiettiva, PD)
Sia A un sottoinsieme proiettivo di [0, 1], allora GA è determinato (ovvero
tutti gli insiemi proiettivi sono determinati). Tale assioma si può massimizzare definendo AD come segue: “Ogni insieme di numeri reali è determinato”
Non solo non è naturale supporre tale assioma vero: esso non è nemmeno
consistente in modo ovvio!
30 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
Def. 4.2.3
Abbiamo già visto nella dimostrazione di 4.1.1. gli insiemi del tipo
Ax = {y ∈ R : (x, y) ∈ A} , A ⊆ R2
Essi sono, per ogni x, le sezioni di A in x. Sia B = {x : Ax 6= ∅} la proiezione
di A. Allora diciamo che una funzione f : B −→ R uniformizza A se per
ogni x ∈ B f (x) ∈ A.
Teorema 4.2.3 (Banach-Mazur; Mycielski-Swierczkovski)
Il sistema ZFC+PD prova che tutti gli insiemi proiettivi sono misurabili,
hanno la proprietà di Baire e quella di uniformizzazione.
•
La dimostrazione di quest’ultimo teorema è una sorta di collage di un notevole numero di risultati riguardanti separatamente le tre proprietà, quindi la
omettiamo per ragioni di sintesi
Dal teorema segue che PD implica la non esistenza di partizioni paradossali
di B1 in pezzi proiettivi. L’assioma implica inoltre che ogni insieme proiettivo
non numerabile ha cardinalità 2ℵ0 . Ma è vero di più:
Teorema 4.2.4 (Davies)
Da PD segue che in ogni insieme proiettivo non numerabile vi è un sottoinsieme chiuso non numerabile.
•
Ciò signifca che (assumendo PD) non esiste un controesempio formale a CH
nella classe degli insiemi proiettivi.
Introduciamo ora un concetto che ci seguirà durante tutto il resto della trattazione:
Def. 4.2.4 (Assiomi dei Grandi Cardinali)
Chiamiamo assioma di grande cardinale ogni enunciato del tipo ∃kφ(k) con
φ in Σ2 (ovvero del tipo ∃∀, ma il significato preciso sarà spiegato nella
definizione 6.1) tale che, se φ(k) è soddisfatta in V , allora k è inaccessibile
e in più φ(k) è soddisfatta anche in tutte le estensioni generiche di V associate a una nozione di forcing di cardinalità minore di k. Diciamo allora
che ∃kφ(k) è terminata se, per ogni insieme X, esiste un modello transitivo
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
31
(M, ∈) di ZFC e un ordinale k di M tale che X appartiene a Vk ∩ M e (M, ∈)
soddisfa φ(k).
Esempi di assiomi di grandi cardinali sono l’esistenza di un cardinale inaccessibile (questo è l’assioma più debole), quella di un cardinale misurabile,
quella di un cardinale di Woodin, e cosı̀ via crescendo sulla complessità dei
cardinali.....
Teorema 4.2.5 (Martin)
Se esiste un cardinale misurabile ogni insieme analitico (e ogni suo complementare) è determinato (e poiché ogni insieme di Borel è analitico ne segue
la determinatezza, ma non in ZFC).
Dimostrazione
Prima un po’ di definizioni: se f : ω → A definiamo f¯(n) come la sequenza
hf (0), f (1), ..., f (n − 1)i. Sia Seq l’insieme di tutte le sequenze finite di numeri naturali e sia n → kn una numerazione di lunghezza minore o uguale a
n.
Definiamo l’ordine di Kleene-Brouwer di Seq nel modo seguente: f¯(m) <
ḡ(m) s.es.s. f¯(m) è un’estensione propria di ḡ(m) o f (p) < g(p) per il primo
p tale che f (p) 6= g(p). Sia R(i, j, k) una relazione su Seq 3 , una sequenza kn
è sicura rispetto a f , g e R se
∃m ≤ n : R(f¯(m), ḡ(m), km )
Un fatto fondamentale è che (h)(∃n)R(f¯(n), ḡ(n), h̄(n)) vale s.es.s. l’ordine
di Kleene-Brouwer delle sequenze insicure è un buon ordinamento.
Sia x un cardinale non numerabile e sia x[n] l’insieme di tutti i sottoinsiemi
di x di cardinalità n. Sia F un insieme tale che per ogni F ∈ F esiste un
n < ω tale che F : x[n] → ω.
X ⊆ x è un insieme omogeneo per F se per ogni F ∈ F ed elementi a e b
sottoinsiemei di X e nel dominio di F , F (a) = F (b).
Se α è un ordinale, x → (α)ω significa che, per ogni F numerabile, c’è un
insieme omogeneo per F con tipo d’ordine α.
Sia x → (ω1 )<ω ; sia R ⊆ Seq 3 . I giocatori I e II, muovendo alternatamente,
producono funzioni f : ω → ω e g : ω → ω. II vince se
(h)(∃n)R(f¯(n), ḡ(n), h̄(n))
32 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
Questo sarà il Gioco 1.
Consideriamo ora un Gioco 2 in cui II pesca anche una funzione G : ω → x
(al passo n, II seleziona la coppia ordinata (g(n), G(n)).
Tramite la numerazione kn , g induce una mappa G∗ : Seq → x. II vince
Gioco 2 se G∗ (k) = 0 per ogni k sicura rispetto a f , g e R e G∗ preserva
l’ordine di Kleene-Brouwer sulle sequenze insicure. Allora, dal teorema di
Gale-Stewart per gli aperti, si deduce che Gioco 2 è determinato.
Lemma
Se II ha una strategia vincente per Gioco 2 allora I ha strategia vincente per
Gioco 1.
Dimostrazione
Se II vince Gioco 2, l’ordinamento di Kleene-Brouwer sulla sequenza insicura
è un buon ordinamento. (l’inverso del lemma si può mostrare con la sola
ipotesi che x sia non numerabile).
Lemma
Se I ha una strategia vincente per Gioco 2 allora ha una strategia vincente
per Gioco 1.
Dimostrazione
Sia f (n) = f ∗∗ (ḡ(n), Ḡ(n)) una strategia vincente di I per Gioco 2. siano
f¯(n) e ḡ(n) due sequenze finite. Siano ki1 , ..., kim , per ij ≤ n, le sequenze
insicure rispetto a f 0 , g 0 e R per ogni f 0 , g 0 che coincidono con f¯(n) e ḡ(n)
(poichè kj ha lunghezza minore o uguale a j, il fatto che sia sicura dipende
solo da f¯(j) e ḡ(j)).
Sia Q ∈ x[m] . Esiste un’unica sequenza Ḡ(n) tale che G(p) = 0 se kp è sicura
e G∗ mappa {ki1 , ..., kim } in Q cosı̀ da preservare l’ordine di Kleene-Brouwer.
Definiamo
Ff¯(n),ḡ(n) : x[m] → ω
ponendo Ff¯(n),ḡ(n) (Q) = f ∗∗ (ḡ(n), Ḡ(n)).
Sia F = Ff¯(n),ḡ(n) : f¯(n), ḡ(n) ∈ Seq . Sia X un insieme omogeneo per F con
tipo d’ordine ω1 . Definiamo una strategia f ∗ di I per Gioco 1 induttivamente
tramite
f ∗ (ḡ(n)) = Ff¯(n),ḡ(n) (Q)
Se f ∗ non è una strategia vincente esiste una mossa g tale che, per la mossa f
data da f ∗ , l’ordinamento di Kleene-Brouwer delle sequenze insicure rispetto
a f , g e R è un buon ordinamento. Sia G tale che G(n) = 0 per kn sicura
e G∗ mappa le sequenze insicure in X preservando l’ordine. Allora f è la
mossa data da f ∗∗ contro g e G, che è una contraddizione. •
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
33
Teorema 4.2.6 (Solovay)
La consistenza di ZFC+PD implica quella di ZFC+“Esiste un cardinale misurabile.
Dimostrazione
Dimostriamo che AD⇒ ω1 è misurabile . Il nostro teorema ne è un’ovvia
conseguenza.
Siano a, b ∈ ω ω tali che
a ≤T b ⇔ a ricorsivo in b
a ≡T b ⇔ a ≤T b ∧ b ≤t a
[a]T = {c ∈ ω ω |c ≡T a}
dove abbiamo usato rispettivamente la riducibilità, l’equivalenza e il grado di
Turing.
Poniamo
DT = {[a]T |a ∈ ω ω }
La relazione ≤T genera un ordinamento su DT definito da:
d0 ≤ d1 ⇔ ∃a∃b(d0 = [a]T ∧ d1 = [b]T ∧ a ≤T b)
Consideriamo ora il filtro MT su DT definito da:
X ∈ MT ⇔ ∃d0 ∈ DT ({d ∈ DT |d0 ≤ d} ⊆ X)
Che MT sia un filtro è facile provarlo, ma AC implica che MT non può essere
un ultrafiltro. Martin ha mostrato però, che se si assume AD MT è un ultrafiltro e quindi è ω1 -completo perchè in presenza di AD non ci sono ultrafiltri
non principali su ω.
L[a]
L[b]
Per a, b ∈ ω ω con a ≡T b, ω1 = ω1 , e quest’ultimo è un ordinale numerL[a]
abile. Quindi f : DT → ω1 che mappa [a]T in ω1 è ben definita. Essendo
MT un ultrafiltro segue che f∗ (MT ) = {X ⊆ ω1 |f −1 (X) ∈ MT } è un ultrafiltro ω1 -completo su ω1 . Per verificare che esso non è principale, notiamo che
L[b]
per qualche α < ω1 e a ∈ ω ω esiste un b ∈ ω ω con a ≤T b tale che α < ω1 ,
cosı̀ che f −1 ({α}) ∈
/ MT .
•
34 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
Segue dal secondo teorema di Gödel che non è possibile dedurre PD dall’esistenza di un cardinale misurabile, quindi quello dell’esistenza di un cardinale misurabile è ancora un assioma troppo debole per le conclusioni che
vogliamo trarre.
Teorema 4.2.7 (Woodin-Shelah 1984)
Se si assume l’esistenza di infiniti cardinali di Woodin ogni insieme proiettivo
è misurabile secondo Lebesgue.
Per la dimostrazione si rimanda all’articolo originale [30].
•
Questo teorema fu una prova molto forte in favore della possibilità di mostrare
il prossimo risultato che sarà quello che ci consentirà di studiare H(ω1 ) perché
stabilisce la compatibilità di PD con l’esistenza dei grandi cardinali
Il prossimo teorema è di un’importanza (e di una difficoltà!) tale da dovergli
dedicare una sezione apposita.
4.2.1
Il teorema di Martin-Steel
Teorema 4.2.8 (Martin-Steel 1985)
Se esistono infiniti cardinali di Woodin allora PD è vero.
Dimostrazione(cenni)
La dimostrazione di questo teorema è contenuta in svariate decine di pagine
di articoli vari quindi ne forniremo una visione generale, che comunque non
sarà affatto sbrigativa.
Il primo passo consiste nella ricerca di una rappresentazione “conveniente”
degli insiemi dei quali si vuole mostrare la determinatezza. A tal proposito
necessitiamo della seguente
Definizione: Un sottoinsieme A di R è detto di Suslin-Z se è proiezione
di un chiuso di R × Z N , dove Z è munito della topologia discreta che induce
quella prodotto su Z N .
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
35
Con questa definizione sappiamo che Σ11 è esattamente la classe degli insiemi di Suslin-ℵ0 , che Σ12 quella degli insiemi di Suslin-ℵ1 e che (con AC)
ogni insieme di P(R) è di Suslin-2ℵ0 .
Dato un insieme Y , chiamiamo Y ∗ l’insieme di successioni finite di elementi
di Y ; se f ∈ Y ∗ indichiamo con |f | la sua lunghezza; se |f | < n indichiamo
con f |n la restrizione di f ai suoi primi n elementi. Ora, sebbene saranno
date nuovamente (in modo leggermente diverso) nell’appendice B, diamo le
definizioni di albero e ramo:
Definizione: Un albero su Y è un sottoinsieme di Y ∗ chiuso rispetto all’operazione di restrizione. Se T è un albero su Y chiamiamo ramo una
successione f di Y N tale che per ogni n si ha f |n ∈ T . Indichiamo con [T ]
l’insieme dei rami di T .
Con questa notazione si ha che i chiusi di uno spazio prodotto Y N sono
esattamente gli insiemi della forma [T ] con T albero su Y . Allo stesso modo
un insieme A è di Suslin-Z s.es.s. si scrive come p[T ] dove T è un albero su
N × Z e p è la prima proiezione.
Adesso, il problema per mostrare la determinatezza di un insieme (rappresentato come uno) di Suslin è che tale proprietà in generale non passa alla
proiezione. Procediamo dunque come segue: per ogni k-misura µ, denotiamo
con Mµ un modello interno di (M, ∈) modello fissato.
Supponiamo che µ̃ è una k-misura su un insieme Ỹ e che π è un’applicazione
definita su Ỹ con immagine Y . Se µ è la misura immagine di µ̃ tramite π,
allora l’applicazione
Z
Z
jµµ̃ : F dµ → (F ◦ π)dµ̃
è un’inclusione elementare di Mµ in Mµ̃ .
Supponiamo ora che (Yn , πnm )m≤n∈N sia un sistema proiettivo e che (µn )n∈N
sia una successione coerente di k-misure su (Yn , πnm )m≤n∈N (ovvero che µn
è una misura su Yn e, per m ≤ n, la misura µm è l’immagine di µn tramite
πnm ); allora (jµm µn )m≤n∈N è un sistema induttivo di inclusioni elementari il
cui limite è una famiglia di inclusioni elementari in un modello che denoteremo lim Mµn .
Definizione: Sia k > ℵ0 ; un albero k-omogeneo su Z è un sistema (T, (µs )s∈N )
36 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
tale che:
i) T è un albero su N × Z;
ii) µs è una k-misura su {t ∈ Z ∪ {0} ; (s, t) ∈ T };
iii) per ogni α ∈ R, la successione (µα|n )n è coerente rispetto alle restrizioni;
iv) se α è in p[T ], allora lim Mµn è un modello ben fondato (ovvero la sua
relazione di appartenenza è ben fondata).
Un sottoinsieme A di R è detto k-omogeneamente di Suslin se esiste un insieme Z e un albero k-omogeneo (T, (µs )s∈N ) su N × Z tale che A è p[T ].
Proposizione: Se A è k-omogeneamente di Suslin allora è determinato.
Dimostrazione
Supponiamo che A è p[T ] dove (T, (µs )s∈N ) è un albero k-omogeneo su N × Z.
Sarà comodo considerare gli elementi di T non come successioni di coppie, ma
come coppie di successioni. Parallelamente al gioco canonicamente associato
ad A, introduciamo un gioco ausiliario in cui il giocatore I gioca elementi
di N × Z mentre II gioca solamente interi positivi; diciamo che I vince se
((n1 , n2 ......), (z1 , z2 .....)) è in [T ], o, altrimenti detto, se (n1 , n2 ....) è in A e
(z1 , z2 ......) prova che (n1 , n2 ....) è in A. Tale gioco, essendo chiuso, è determinato. E chiaramente se I ha una strategia vincente in questo gioco, per
proiezione ce l’ha anche per GA .
Supponiamo che II abbia una strategia vincente per il gioco ausiliario Formalmente una tale strategia si definirà come un’applicazione σ̂ che indichi a
II come rispondere ad ogni successione finita di giocate precedenti, dunque
come un’applicazione di {(s, t) ∈ N × (Z ∪ {0}); |s| = 2|t| − 1} in N. Definiamo per tale applicazione l’albero hσ̂i formato da tutte le posizioni finite del
gioco giocate conformemente a σ̂, ovvero
{(s, t) ∈ N × (Z ∪ {0}); |s| = 2|t| ∧ (∀i ≤ |t|)(s(2i) = σ̂(s|(2i − 1), t|i))}
Allora dire che σ̂ fa vincere
II significa dire che ogni ramo di hσ̂i evita [T ],
T
ovvero che l’albero T σ̂ non ha rami infiniti.
Si tratta ora di costruire una strategia σ per II in GA , ovvero un’applicazione
da N in N tale che [hσi] ∩ A sia vuoto.
Il problema consiste nell’immaginare degli elementi di Z giocati da I: consideriamo le misure su T che permettono di prendere dei valori “medi”, e
poniamo per s di lunghezza 2n
Z
σ(s) := σ̂(s, t)dµs|n (t)
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
37
Poiché le misure µs sono ℵ1 -additive, ogni funzione a valori in N è costante
q.o., e σ è a valori in N.
Sia dunque α un elemento qualunque di hσi (ovvero il risultato di una partite
giocata conformemente a σ). Denotiamo con (Mα , ∈α ) il limite induttivo del
sistema formato dai modelli Mµα|n , e sia j l’inclusione elementare di (M. ∈)
in (Mα , ∈α ) dedotto dal passaggio al limite. Si ha che
Lemma: Esiste una successione “canonica” g : N → jZ tale che, per ogni
n, si ha:
i) (jα|n, g|n) ∈ T ;
ii) jα(2n) = j σ̂(jα|(2n − 1), g|n).
•
Detto altrimenti, nel modello (Mα , ∈α ), l’immagine tramite j della partita giocata secondo σ è una partita giocata seguendo j σ̂ relativamente ad
una certa successione di elementi
di jZ. La g è costruita come segue:
R
g(n) è l’immagine in Mα di t(n)dµα|n (t). Allora (i) deriva dal fatto che
µα|n ({t; (α|n, t) ∈ T }) vale 1, mentre (ii) deriva dal fatto che, se µ è una
k-misura su Y e se jµ è l’inclusione elementare associata, si ha, per ogni
funzione F di dominio Y ,
Z
Z
F (t)dµ(t) = jµ F ( tdµ(t))
e applicando il seguente (classico) teorema di Loś si ha la Q
tesi.
Teorema (Loś): Sia U un ultrafiltro
su
un
insieme
S;
sia
S Mi il prodotto
Q
fra |S| strutture; per f e g in S Mi stabiliamo la relazione d’equivalenza
f =U g ⇐⇒ {i ∈ S|f (i) = g(i)} ∈ U
Q
sia (f )U la classe d’equivalenza di f Q
e sia S Mi /U il quoziente; allora per
una formula φ(v1 .....vn ) e f1 .....fn ∈ S Mi /U , si ha che
Y
Mi /U |= φ[(f1 )U .....(fn )U ] ⇐⇒ {i ∈ S|Mi |= φ[f1 (i)....fn (i)]} ∈ U
S
•
Di conseguenza (jα, g) è contemporaneamente un ramo di jT e di j hσ̂i. Ora
non possiamo invocare il fatto che j σ̂ è vincente per II per affermare che jα
non è in jA, e dunque α non è in A, perché la successione g non è in Mα .
Si ragiona dunque come segue.
38 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
Poiché j σ̂ è vincente per II in Mα , l’albero jT ∩ hj σ̂i non ha, in Mα , rami
infiniti; altrimenti detto la relazione ⊃ |(jT ∩ hj σ̂i) è ben fondata in Mα ,
quindi, per il seguente
Lemma (Mostowski): Sia (M, ∈) un modello di ZFC ed E una relazione
binaria ben fondata su X elemento di M ; allora esiste in M un’applicazione
π definita su X tale che xEy implica π(x) ∈ π(y).
•
tale relazione si proietta su ∈α . Ma allora il ramo (jα, g) trovato in M
fornisce (in M ) una successione decrescente per la suddetta relazione,la cui
immagine, punto per punto, attraverso la proiezione, è una successione decrescente per ∈α , cosa che, per definizione di albero omogeneo, impedisce che
α sia in A, e la proposizione è dimostrata.
•
A questo punto il problema consiste nel rappresentare gli alberi della gerarchia proiettiva come omogeneamente di Suslin. Ciò è semplice nel caso di
Π11 in presenza di un cardinale misurabile: si tratta di adattare un risultato
classico di rappresentazione come di Suslin-ℵ1 . Ciò fatto, bisogna trovare un
modo per “scalare” la gerarchia. Il passaggio ad immagini continue (ovvero
proiezioni) richiede un lavoro di pura tecnica, mentre il passaggio al complementare è il punto cruciale della dimostrazione di Martin e Steel. Si ha che
Proposizione: Se δ è un cardinale di Woodin e se A è un sottoinsieme
δ + -omogeneamente di Suslin in R, allora il complementare Ac di A è komogeneamente di Suslin per ogni cardinale k < δ.
Una volta stabilito questo risultato, si ottiene per ricorrenza una rappresentazione come omogeneamente di Suslin per Π1n+1 a partire dall’esistenza
di n cardinali di Woodin e un misurabile al di sopra di essi, e ne segue la
determinatezza.
La dimostrazione della proposizione è estremamente delicata quindi daremo
solo un’idea delle problematiche soggiacenti.
Si tratta di esprimere la non appartenenza di un elemento α a un sottoinsieme A di R come l’esistenza di una ostruzione Ω(α) che sia “lipschitziana
in α”, ovvero Ω(α) è limite di approssimazioni finite Ωn (α) dipendenti solo
da α|n. Da ciò, se T̃ è l’albero formato da tutte le coppie (s, Ω|s| (s)) (ovvero
tutti i tentativi di prova che non si è in A), si avrà che α è in Ac s.es.s. esiste
f tale che (α, f ) è in [T̃ ], ovverosia l’insieme R \ A sarà p[T̃ ] e dunque di
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
39
Suslin.
Partiamo da A di Suslin: sia A = p[T ] con T albero su N × Z. Dire cheα
non è in A significa dire che non esistono rami di T “passanti” per α, o, più
precisamente, introducendo per s ∈ N l’albero Ts su Z come
t ∈ Ts ⇐⇒ |t| ≤ |s| ∧ (s|(|t|), t) ∈ T
S
significa dire che l’albero Tα|n non ha rami infiniti, ovvero ancora che esiste
su tale albero un’ostruzione all’esistenza di un ramo infinito costituito da una
funzione di rango, cioè un’applicazione ρ da Z in On classe degli ordinali,
tale che “ŝ prolunga s” implica “ρ(ŝ) < ρ(s)”. Se allora si introduce l’albero
T̃ su N × OnZ come l’insieme delle coppie (s, (ρ1 .....ρ|s| )) tali che, per i ≤ |s|,
ρi è una funzione di rango su Ts|i e ρj prolunga ρi se j ≥ i, si ha che α è
in Ac s.es.s. α ∈ p[T̃ ] e questo fornisce il principio per trasferire il carattere
susliniano di un insieme al suo complementare (per esempio per trasferire il
carattere di Suslin-ℵ1 a Π11 ).
Partiamo ora da A omogeneamente di Suslin, A = p[T ] con (T, (µs )s∈N ) albero k-omogeneo. Se α è in A, per ipotesi il modello limite lim Mµα|n ha una
relazione di appartenenza ben fondata (si tratta di una relazione d’equivalenza). Dunque si ha che α non è in A s.es.s. la relazione d’appartenenza
del modello limite possiede una successione infinita decrescente e tale condizione equivale all’esistenza di un’ostruzione costituita da una successione
di ordinali Θn tali che
Θn+1 < jµα|n µα|n+1 (Θn )
(una tale successione fornisce una successione decrescente di ordinali nel limite induttivo). Lo stesso ragionamento conduce a introdurre l’albero T̂ su
N × On ponendo
(s, t) ∈ T̂ ⇐⇒ (∀i < n)(t(i + 1) < jµs|i µs|i+1 (t(i)))
Si mostra allora che Ac coincide con p[T̂ ] e il problema è ricondotto a stabilire
che T̂ sia λ-omogeneo per un opportuno λ.
La difficoltà non è ottenere delle misure su T̂ , ma che i limiti corrispondenti siano ben fondati. Più in generale, il problema è il seguente: costruire
(tramite un procedimento “lipschitziano”, ovvero tale che i primi n termini della successione d’arrivo dipendano solo dai primi n termini di quella
di partenza) a partire da un sistema induttivo di inclusioni elementari jmn
un nuovo sistema induttivo di inclusioni elementari j̃mn tale che il limite del
40 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
secondo abbia una relazione di appartenenza ben fondata s.es.s. il limite
del primo non ce l’ha. È precisamente su questo punto che la dimostrazione
di Martin e Steel marca un progresso decisivo grazie all’introduzione di un
oggetto chiamato albero d’iterazione. Tale oggetto, detto grossolanamente e
nel caso più semplice, è una successione (Mn , ∈ |Mn )n∈N di modelli interni,
una successione non decrescente di cardinali (ρn )n∈N tali che, per ogni n, Mn
e Mn+1 hanno gli stessi insiemi fino al rango ρn , e una successione di inclusioni elementari (jn )n tale che, per ogni n, jn+1 è un’inclusione elementare
di (Mn , ∈ |Mn ) in (Mn+2 , ∈ |Mn+2 ). In questa situazione abbiamo due limiti
induttivi, uno corrispondente ai modelli di indici pari e uno a quelli dispari,
e si mostra che, se le inclusioni sono definibili in modo “sufficientemente
semplice” e se i cardinali ρn sono “abbastanza grandi”, la buona fondazione
della relazione di appartenenza di uno dei due limiti equivale alla cattiva
fondazione nell’altro limite, ottenendo la tesi.
La costruzione di un albero d’iterazione, nel nostro caso, sembrava essere impossibile (il perché deriva sostanzialmente dalla contrapposizione fra le due
ipotesi virgolettate sopracitate....), ma Martin e Steel, usando il metodo di
estensione introdotto da Dodd, Jensen e Mitchell, sono riusciti nell’intento.
Essendo tale metodo estremamente tecnico non entreremo in alcun dettaglio.
•
La “compatibilità” del teorema 4.2.8 è rafforzata dal seguente
Teorema 4.2.9 (Woodin 1987)
I seguenti enunciati sono equivalenti:
1) PD
2) Per ogni k ∈ N esiste un insieme numerabile transitivo M tale che
(M, ∈) |=ZFC+“Esistono k cardinali di Woodin”.
Inoltre, per massimalità, se esistono infiniti cardinali di Woodin, in L(R) vale
AD.
Dimostrazione(cenni)
Che (2) implichi (1) deriva dal fatto che tutti gli insiemi di reali in L(R) sono
omogeneamente di Suslin.
Viceversa (restringiamoci al caso k=1), supponiamo det(Π12 ) vero in (M, ∈);
allora esiste un elemento r ∈ R(M,∈) tale che , in (L[r], ∈L[r] ) (ovvero il più
piccolo sottomodello di (M, ∈) contenente r) tutti i sottoinsiemi di R definibili in termini d’ordinali, sono determinati. Allora nel modello
4.2. DETERMINATEZZA PROIETTIVA
41
(HODL[r] , ∈HODL[r] ) ⊆ (L[r], ∈L[r] ) formato da tutti gli insiemi ereditariaL[r]
mente definibili in termini d’ordinali, il cardinale ℵ2 è di Woodin.
•
Remark
AD consente un’estensione massimale del teorema 4.2.3: il sistema ZFC+AD
prova che tutti gli insiemi di reali sono misurabili, hanno la proprietà di Baire
e quella di uniformizzazione.
42 CAPITOLO 4. CENNI DI TEORIA DESCRITTIVA DEGLI INSIEMI
Capitolo 5
Struttura di H(ω1)
Alla luce dei risultati e delle definizioni delle due sezioni precedenti, ora speriamo di poter determinare per H(ω1 ) proprietà analoghe a quelle trovate per
H(ω). Purtroppo, come si poteva immaginare, ZFC non rende le proprietà di
H(ω1 ) invarianti per forcing, ma estendendo convenientemente ZFC, si può
trovare un’ottima soluzione al nostro problema fondamentale per H(ω1 ).
Ciò che facciamo qua è identificare la struttura (H(ω1 ), ∈) con
(P(N), N, +, ·, ∈), ovvero l’aritmetica del secondo ordine in cui, oltre agli interi positivi, si considerano gli insiemi di interi positivi con la relazione di
appartenenza. Determinare gli enunciati soddisfatti da questa struttura significa studiare i sottoinsiemi di P(N) che sono definibili, che in questo caso
particolare hanno la forma
A = {x ∈ P(N); (P(N), N, +, ·, ∈) soddisfa φ(x)}
(5.1)
Tipicamente sapere se l’enunciato ∃xφ(x) è soddisfatto equivale a sapere se
l’insieme sopra definito è o no vuoto.
I sottoinsiemi di P(N) definibili in (P(N), N, +, ·, ∈) sono esattamente i sottoinsiemi proiettivi dell’insieme di Cantor, che qui indicheremo con K =
{0, 1}ω . Se φ è senza quantificatori, (5.1) definisce un aperto; aggiungere un
quantificatore esistenziale significa effettuare una proiezione e una negazione
coincide col passaggio al complementare. Il fatto di considerare classi di
insiemi con i boreliani ci permette di stabilire un isomorfismo fra P(N) e
R, quindi lo studio di (H(ω1 ), ∈) è essenzialmente lo studio dei sottoinsiemi
proiettivi di R.
43
44
CAPITOLO 5. STRUTTURA DI H(ω1 )
Un argomento, euristico, in favore di PD (ovvero che ZFC+PD fornisce una
“buona” descrizione di H(ω1 ), lasciando ovviamente inevitabili le conseguenze dei teoremi di Gödel...) è che, con esso, ZFC dà le risposte “empiricamente” soddisfacenti: l’uniformizzazione permette di evitare l’uso dell’assioma della scelta per gli insiemi proiettivi e la misurabilità proibisce l’esistenza di decomposizioni paradossali per B1 . Al contrario, ZFC+“V=L”,
fornisce una descrizione abbastanza completa (anche se incompatibile con l’esistenza dei grandi cardinali e non invariante per forcing), ma in cui vi sono
risposte meno soddisfacenti, come per esempio l’esistenza di insiemi proiettivi non misurabili. Un altro punto che distingue PD da “V=L” è che ogni
modello di ZFC include L come sottomodello, e quindi una teoria di L è presente come sottoteoria. Dunque adottare PD non significa rigettare “V=L”,
il quale diviene un “restringimento della teoria”. Nonostante tutto ciò è
ZFC+“Esiste una classe propria di cardinali di Woodin” ad essere
una soluzione efficace del problema fondamentale per (H(ω1 ), ∈),
infatti:
Teorema 5.1 (Woodin)
Se si suppone l’esistenza d una classe propria di cardinali di Woodin (ovvero
per ogni cardinale k esiste un cardinale di Woodin al di sopra di k), allora le
proprietà di (H(ω1 ), ∈) sono invarianti per forcing.
Dimostrazione(cenni)
Questo teorema è conseguenza diretta del seguente
Lemma
Assumiamo che V sia un modello di ZFC con infiniti cardinali di Woodin e
sia P una nozione di forcing; allora per ogni n
H(ω1 )V <Σn H(ω1 )V
p
Dimostrazione
Innanzitutto enunciamo l’asserto che indichiamo con F Aµ (P ): P è un ordine
parziale tale che per ogni collezione di µ sottoinsiemi densi di P esiste un
filtro g ⊂ P che li interseca tutti. Dimostriamo il lemma tramite induzione
su n: dal teorema di forcing di Cohen segue che per tutti i modelli M di ZFC
e tutte le nozioni di forcing P ∈ M
H(ω1 )M <Σ1 H(ω1 )M
p
45
Supponiamo di aver dimostrato il passo n-esimo del teorema per ogni modello M di ZFC+“Esistono infiniti cardinali di Woodin”, fissiamo uno di questi
modelli V e una nozione di forcing P al suo interno.
Sia δ un cardinale di Woodin in V tale che P ∈ Vδ . Per semplificare le notazioni supponiamo che V sia transitivo e che vi sia un filtro G V -generico
su Rℵδ 1 (questo insieme è detto torre stazionaria e i suoi elementi sono particolari insiemi in Vδ ). Allora poichè F Aℵ0 (P ) vale in V e P ∈ Vδ , esiste in
V un’inclusione completa i : P → Rℵδ 1 . Sia H = i−1 [G]. Allora per l’ipotesi
induttiva
H(ω1 )V <Σn H(ω1 )V [H] <Σn H(ω1 )V [G]
Inoltre dai lavori di Woodin sul forcing stazionario a torre (di cui non diremo
assolutamente nulla) segue anche che
H(ω1 )V < H(ω1 )V [G]
Ora proveremo che
H(ω1 )V [H] <Σn +1 H(ω1 )V [H]
Dobbiamo provare i seguenti enunciati per ogni Σn -formula φ(x, y) e per ogni
Πn -formula ψ(x, y):
1) Se H(ω1 )V |= ∀xφ(x, p) per qualche p ∈ RV allora H(ω1 )V [H] |= ∀xφ(x, p);
2)Se H(ω1 )V |= ∃xψ(x, p) per qualche p ∈ RV allora H(ω1 )V [H] |= ∃xψ(x, p).
Mostriamo (1):
da H(ω1 )V < H(ω1 )V [G] segue che H(ω1 )V [G] |= ∀xφ(x, p) e quindi per l’ipotesi induttiva si ha che H(ω1 )V [H] |= φ(q, p) per ogni q ∈ H(ω1 )V [H] .
Mostriamo ora (2):
notiamo che per qualche q ∈ H(ω1 )V [H] abbiamo che H(ω1 )V |= ψ(q, p) e
quindi, ancora per ipotesi induttiva, segue che H(ω1 )V [H] |= ψ(q, p), ed il
lemma è provato.
•
Per ulteriori precisazioni rimandiamo a [30].
46
CAPITOLO 5. STRUTTURA DI H(ω1 )
Capitolo 6
Assiomi di Martin
In questo capitolo introduciamo alcuni tra gli Assiomi di Forcing. Essi sono
essenzialmente delle generalizzazioni del teorema della categoria di Baire e,
quando parleremo di Ω-logica, specificheremo in che senso.
Non vi è, come per gli assiomi dei grandi cardinali, una definizione che unisca
tutti gli assiomi di forcing, quindi nel seguito definiremo i singoli assiomi di
forcing che useremo.
Tali assiomi rivestono un ruolo fondamentale: infatti ancora oggi si sta tentando di capire se essi possano essere una valida alternativa agli assiomi di
grandi cardinali per estendere ZFC. Inoltre, come vedremo, da uno di essi
deriva una “specifica negazione” di CH.
Def. 6.1 (CCC)
Uno spazio di Haussdorff compatto Ω rispetta la condizione della catena numerabile se ogni collezione di sottoinsiemi aperti, a due a due disgiunti, di Ω
è numerabile.
Possiamo quindi dare il primo importante assioma di forcing:
Def. 6.2 (Assioma di Martin(ω1 ), MAω1 )
Sia Ω uno spazio di Haussdorff compatto con la CCC. Allora Ω non è unione
di ℵ1 suoi sottoinsiemi magri.
L’assioma di Martin propriamente detto afferma che MAk vale per ogni
k < 2ℵ0 , o analogamente che se (P, <) è un insieme parzialmente ordinato che soddisfa CCC e D è una collezione di meno di 2ℵ0 sottoinsiemi densi
47
48
CAPITOLO 6. ASSIOMI DI MARTIN
di P allora esiste un filtro D-generico su P .
Poichè MAω è sempre vero segue che MA è una conseguenza di CH e in effetti
in numerose dimostrazioni che usano CH in realtà basta usare MA. Questo
vuol dire che anche laddove CH decade, MA può ancora sussistere.
L’importanza di MA è tale che in appendice diamo una sua importante applicazione.
Def. 6.3
Un insieme cofinale C ⊆ ω1 è chiuso e illimitato se è chiuso nella topologia
dell’ordine di ω1 .
Definiamo tale topologia nel modo seguente:
se X un insieme totalmente ordinato la topologia dell’ordine è generata dagli
insiemi {x : a < x}, {x : x < b} e {x : a < x < b} per ogni a, b ∈ X. Gli aperti sono allora dati dall’unione (anche infinita) dei suddetti insiemi. Se λ è
un ordinale possiamo definire l’insieme [0, λ] = {α : α ≤ λ} che, dotato della
topologia dell’ordine sopra definita, diviene uno spazio ordinale. Nel nostro
caso λ = ω1 .
Per ulteriori nozioni su gli ordinali intesi come spazi topologici consiglio vivamente la lettura di [27].
Def. 6.4
Un insieme S ⊆ ω1 è stazionario se per ogni insieme C ⊆ ω1 chiuso e illimitato, S ∩ C 6= ∅. Un insieme il cui complemento in ω1 sia stazionario è detto
co-stazionario
Allora
Teorema 6.1 (Foreman-Magidor-Shelah)
Sia Ω uno spazio compatto di Haussdorff tale che per ogni aperto non vuoto
O ⊆ Ω esso non sia unione di ℵ1 sottoinsiemi magri.
Sia B = {U ∈ Ω : U = int(cl(U ))} l’algebra degli aperti regolari di Ω. Allora
B preserva gli insiemi stazionari.
Per la dimostrazione si veda [9].
•
Remark
Nel suo lavoro Woodin fa notare come CH e AC siano strettamente collegati in quanto assumendo AC i reali possono essere bene ordinati e quindi
49
card(R) = ℵα per qualche ordinale α. Quale α? Questo è il problema del
continuo!
Un’analisi metamatematica mostra che, assumendo PD, non vi sono manifestazioni di AC a livello di H(ω1 ), ovvero che lo studio degli insiemi proiettivi
in presenza di PD non richiede AC.
Def. 6.5 (Massimo di Martin, MM)
Sia Ω uno spazio compatto di Haussdorff la cui algebra degli aperti regolari
preserva gli insiemi stazionari. Allora Ω non è l’unione di ℵ1 suoi sottoinsiemi
magri.
Teorema 6.2 (Foreman-Magidor-Shelah)
Se vale MM allora 2ℵ0 = ℵ2 .
Per la dimostrazione si rimanda a pag. 17 di [9].
•
Remark
In realtà si può indebolire MM con un altro assioma, PFA (Proper Forcing
Axiom), ed ottenere la stessa tesi di 6.2.
Non solo, in realtà questo teorema vale assumendo qualsiasi assioma di forcing strettamente più forte di MAω1 .
Gli assiomi di grandi cardinali usati per provare la consistenza di MM sono
molto più forti di quelli usati per mostrare PD. È naturale allora pensare
che MM possa implicare PD, anche se, a rigor di definizione, MM non è un
assioma di grande cardinale.Vediamo che non è proprio cosı̀, infatti
Def. 6.6 (MM(c))
Sia c un cardinale. Allora MM(c) vale per gli spazi di Haussdorf compatti la
cui algebra degli aperti regolari preserva gli insiemi stazionari e per i quali
esiste una base della topologia con cardinalità al più uguale a c.
Teorema 6.3 (Woodin)
MM(c)⇒PD.
Dimostrazione (cenni)
Per mostrare questo risultato si fa vedere che per ogni n < ω esiste un in-
50
CAPITOLO 6. ASSIOMI DI MARTIN
sieme transitivo numerabile M tale che (M, ∈) |=ZFC+“Esistono n cardinali
di Woodin” e poi usando il fatto che PD e grandi cardinali sono connessi tra
loro.
Capitolo 7
Struttura di H(ω2)
In questa sezione ci occupiamo del livello di P(ℵ1 ), ovvero l’insieme di successioni di reali di lunghezza ℵ1 .
Questo è l’“ambiente naturale” di CH e anche, come visto nel capitolo precedente, il primo livello in cui il peso dell’assioma della scelta diviene notevole.
Lemma 7.1
Esiste un enunciato φCH tale che ((H(ω2 ), ∈) |= φCH ) ⇔ CH.
Dimostrazione
Sia φCH la formula che asserisce che esiste una funzione f il cui dominio è ω1 ,
ogni elemento della sua immagine è un sottoinsieme di ω e ogni sottoinsieme
di ω sta nell’immagine di f .
Si badi: non sto affermando che P(ω) sta in H(ω2 ) (cosa a priori non vera),
sto solo quantificando sui sottoinsiemi di ω, e sto affermando che ω1 , ω e i
suoi sottoinsiemi sono in H(ω2 ), cosa vera per definizione.
Se φCH è soddisfatta in (H(ω2 ), ∈) significa che esiste una suriezione tra ω1
e P(ω), ovvero vale CH.
Viceversa, se vale CH P(ω) sta in H(ω2 ) quindi possiamo trovare un
f ⊂ ω1 × P(ω) del tipo summenzionato e definire φCH come la formula che
asserisce l’esistenza di f .
•
Il lemma afferma un fatto cruciale: è possibile codificare CH in (H(ω2 ), ∈) e
questo spiega l’affermazione di inizio capitolo circa l’ambiente naturale di CH.
51
52
CAPITOLO 7. STRUTTURA DI H(ω2 )
Ovviamente ciò che si cerca di fare è trovare il corretto assioma che risolva il PF per H(ω2 ), ma sfortunatamente ciò non può essere fatto nell’ambito
degli assiomi di grandi cardinali, infatti
Teorema 7.2 (Levy-Solovay, 1967)
Non è possibile produrre alcun assioma di grandi cardinali che renda
(H(ω2 ), ∈) invariante per forcing.
La dimostrazione di questo risultato, presente in [21], mostra in particolare
che CH resta indipendente qualsiasi assioma di grandi cardinali si aggiunga
a ZFC.
•
La soluzione del problema quindi va ricercata fra gli assiomi di forcing introdotti nel capitolo 5, in particolare, come prevedibile, in una qualche variante di MM.
Prima di fare ciò ci si deve assicurare che una qualsiasi di queste varianti sia
compatibile con l’esistenza dei grandi cardinali (ovviamente per non perdere
tutto il lavoro svolto fin’ora...). La risposta, sostanzialmente grazie al forcing
iterato di Shelah, è positiva, infatti
Teorema 7.3 (Foreman-Magidor-Shelah)
Supponendo l’esistenza di un cardinale supercompatto, l’assioma MM è soddisfatto in un estensione generica di V.
Anche in questo caso, per la dimostrazione, si rimanda a [9] (teorema 5,
pag 12).
•
7.1
Varianti del Massimo di Martin
La variante (più debole) di MM che useremo è il Massimo limitato di Martin
(MMB) il cui enunciato differisce da MM nella misura in cui ci si restringe
all’intersezione di aperti densi che sono unioni di al più ℵ1 aperti regolari.
7.1. VARIANTI DEL MASSIMO DI MARTIN
53
Definizione 7.1.1
Chiamiamo limitate tutte le formule che contengono quantificazioni solo del
tipo ∃y ∈ z e ∀y ∈ z. L’insieme di queste formule viene indicato con Σ0 .
Le formule del tipo ∀x∃yφ, con φ ∈ Σ0 , formano l’insieme Π2 , mentre quelle
del tipo ∃x∀yφ, con φ ∈ Σ0 formano l’insieme Σ2 (si ricordi il loro uso
nella definizione 2.5). Altri insiemi di formule utili alla trattazione sono
Π1 = {ψ = ∀xφ|φ ∈ Σ0 } e Σ1 = {ψ = ∃xφ|φ ∈ Σ0 }.
Remark
Parlando intuitivamente, le formule Π2 richiedono due “ricerche ramificate
illimitate” per verificarne il valore di verità, mentre le Π1 richiedono una
sola ricerca. Come è intuibile dalla loro definizione, per le formule Σ1 la faccenda è ancora più semplice. Da notare come alcune note congetture siano
esprimibili come formule Π1 in (H(ω), ∈): ne sono un esempio la congettura
di Goldbach e l’ipotesi di Riemann. Vi sono poi congetture esprimibili in Π2
come P 6= N P o la congettura dei primi gemelli.
L’interesse di MMB rispetto a H(ω2 ) è dovuto alla seguente riformulazione
Teorema 7.1.1 (Bagaria)
MMB ⇔ “Ogni enunciato in Σ1 , dipendente da a in H(ω2 ), soddisfatto in
una estensione generica di V che preserva la stazionarietà è già soddisfatto
in H(ω2 )”.
•
Quindi MMB prova tutte le proprietà di H(ω2 ) che possono essere espresse
da un enunciato di Π2 , e invarianti per un forcing che preservi la stazionarietà.
Può quindi ZFC+MMB essere soluzione di PF per H(ω2 )?
Da questa domanda parte il lavoro di Woodin, lavoro che mira a risolvere il
fatto che ci siamo ristretti a enunciati di Π2 e che l’invarianza per forcing è
condizionata.
Si parte dal provare che
Teorema 7.1.2 (Woodin)
Se esiste una classe propria di cardinali di Woodin allora le proprietà di
(L(R), ∈) sono invarianti per forcing.
•
54
CAPITOLO 7. STRUTTURA DI H(ω2 )
A questo punto si cerca di realizzare MMB in un’estensione generica conveniente di L(R): a tal proposito si introduce un nuovo tipo di forcing, Pmax ,
i cui elementi sono essi stessi dei modelli di ZFC. Si giunge cosı̀ al modello
L(P(ℵ1 )) che include H(ω2 ) per costruzione. Il risultato finale usa un nuovo
assioma, il
Massimo di Martin-Woodin (MMW): AD è soddisfatto in L(R), e L(P(ℵ1 ))
è un’estensione Pmax -generica di L(R).
Questo assioma è la variante della formulazione di Bagaria di MMB nella
quale i sottoinsiemi stazionari di ℵ1 e un sottoinsieme di R appartenente a
L(R) possono essere presi come parametri. Questa sua formulazione è però,
a mio avviso, ancora poco sfruttabile; ne daremo un’altra, in un’apposita
sezione, quando parleremo di Ω-logica.
Teorema 7.1.3 (Woodin)
Supposta l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin, ZFC+MMW
fornisce un’assiomatizzazione empiricamente completa (cioè che prova tutti
gli enunciati che non possono essere confutati passando a un’estensione generica) della struttura (H(ω2 ), ∈) di cui rende le proprietà invarianti per forcing.
•
Ciò che manca è la compatibilità di MMW con i grandi cardinali (essa non
può essere banalmente dedotta, come per MMB, da quella di MM). Tale
questione sarà affrontata nel prossimo capitolo.
Capitolo 8
Introduzione all’Ω-Logica
In questo capitolo affronteremo forse la parte più complessa e “pericolosa”,
quindi ci muoveremo con estrema cautela e attraverso numerosi passaggi,
anche a costo di risultare pedissequi.
L’idea che sta alla base dell’Ω-logica è l’integrazione diretta dell’invarianza
per forcing. Per far questo va introdotta una relazione di dimostrabilità più
sottile che descriva in modo più semplice oggetti molto complessi. Si badi
che questa “nuova” logica differisce solo al livello degli enunciati e non al
livello della loro dimostrazione: i teoremi restano tali!
Come per tutte le logiche formali, anche l’Ω-logica può essere descritta a partire da una nozione sintattica di provabilità e da una semantica di validità.
Nel nostro caso il ruolo di dimostrazione non è giocato da successioni finite
di enunciati (come nella logica usuale), ma da un tipo particolare di insiemi
di reali.
Gran parte di questa sezione è ispirata e motivata dal contenuto di [6]; rimandiamo quindi a questo articolo per la maggior parte delle dimostrazioni.
8.1
Insiemi Universalmente Baire
Definizione 8.1.1 (Feng-Magidor-Woodin)
Un sottoinsieme A di Rp è detto universalmente Baire (uB) se, per ogni funzione continua f : K → Rp con K compatto, f −1 (A) ha la proprietà di Baire
in K (ovvero esiste un aperto U tale che la differenza simmetrica fra U e
f −1 (A) è magra).
55
56
CAPITOLO 8. INTRODUZIONE ALL’Ω-LOGICA
Diamo qualche risultato sugli insiemi uB: non è difficile mostrare che i boreliani e gli insiemi analitici sono uB; gli insiemi uB formano una σ-algebra
chiusa rispetto alle preimmagini delle funzioni di Borel; più sorprendentemente, gli insiemi uB sono misurabili. Inoltre, con il lemma di ricoprimento
di Jensen, si dimostra:
Teorema 8.1.1 (Feng-Magidor-Woodin)
Spponiamo che ogni insieme proiettivo sia uB. Allora ogni sottoinsieme analitico di [0, 1] è determinato.
•
Remark
Attenzione: assumere che ogni insieme proiettivo sia uB non implica PD.
Teorema 8.1.2 (Neeman)
Se esiste un cardinale di Woodin ogni sottoinsieme uB di [0, 1] è determinato.
La dimostrazione è contenuta in [26].
•
Se esiste una classe propria di cardinali di Woodin allora gli insiemi uB sono
chiusi sotto immagini continue (e quindi proiezioni), allora
Teorema 8.1.3
Supponiamo l’esistenza di cardinali di Woodin arbitrariamente grandi. Allora ogni insieme proiettivo è uB.
•
Vediamo ora come si possono usare gli insiemi uB nelle dimostrazioni;
Sia M un insieme transitivo tale che (M, ∈) |=ZFC. Supponiamo (Ω, F, τ ) ∈
M e che:
1) (M, ∈) |= “Ω è uno spazio di Haussdorff compatto”;
2) τ è la topologia di Ω, ovvero è l’insieme degli O ∈ M tali che
(M, ∈) |=“O ∈ Ω e O è aperto”;
3) (M, ∈) |= “F ∈ C(Ω, R)”.
8.2. IL MASSIMO DI MARTIN-WOODIN E L’Ω-CONSISTENZA
57
Si badi che τ non definisce necessariamente uno spazio compatto, infatti se
(M, ∈) |= “Ω = [0, 1]”, allora Ω = [0, 1]∩M ovvero un sottoinsieme denso numerabile di [0,1]. Purtuttavia tale spazio è necessariamente completamente
regolare.
Sia ora Ω̃ la compattificazione di Stone-Čech di Ω, Õ gli aperti derivanti
da quelli di τ e F̃ l’unica estensione di F . Supponiamo A ⊆ R uB. Allora la
n preimmagine di A tramiteo F̃ ha la proprietà di Baire in Ω̃. Sia
τA = O ∈ τ |Õ \ F̃ −1 (A) è magro .
Definizione 8.2
Sia (M, ∈) un modello transitivo di ZFC, e A un sottoinsieme uB di R. Diciamo che M è A-chiuso se, per ogni (Ω, F, τ ) ∈ M , τA appartiene a M .
Se A è un boreliano, ogni modello transitivo numerabile di ZFC è A-chiuso,
ma con l’aumentare della “complicatezza” di A anche la proprietà di Achiusura diviene più.... esigente.
8.2
Il Massimo di Martin-Woodin e l’Ω-Consistenza
Proseguiamo con una definizione legata al concetto di stazionarietà introdotto nel Capitolo 5: denotiamo con IN S l’ideale σ-additivo degli insiemi A ⊆ ω1
tali che ω1 \ A contiene un insieme chiuso e illimitato, ovvero l’ideale degli
insiemi non stazionari di ω1 (o ℵ1 ). Da notare che la numerabile additività e
la non massimalità di IN S sono conseguenze di AC. Osserviamo ora la struttura (H(ω2 ), IN S , X, ∈), dove X è uB.
Definizione 8.2.1
Dato un enunciato φ diciamo che ZFC+“(H(ω2 ), IN S , X, ∈) |= φ” è Ωconsistente se per ogni insieme uB A esiste un insieme transitivo numerabile
M tale che:
i) M è A-chiuso e X-chiuso;
ii) (M, ∈) |= ZFC;
iii) (H(ω2 )M , (IN S )M , X ∩ M, ∈) |= φ, dove
(H(ω2 )M = {a ∈ M |(M, ∈) |= “a ∈ H(ω2 )“}
58
CAPITOLO 8. INTRODUZIONE ALL’Ω-LOGICA
e
(IN S )M = {a ∈ M |“a ∈ IN S “}
Con questa definizione possiamo dare un altro enunciato di MMW, come
accennato in precedenza
MMW: Esiste una classe propria di cardinali di Woodin, e per ogni insieme
proiettivo X ⊆ R, per ogni enunciato φ in Π2 , se la teoria
ZFC+“(H(ω2 )M , (IN S )M , X ∩ M, ∈) |= φ” è Ω-consistente, allora
(H(ω2 )M , (IN S )M , X ∩ M, ∈) |= φ.
Ció mostra che MMW è un principio di massimalità per (H(ω2 ), IN S , ∈)
analogo alla proprietà di chiusura algebrica: un campo K è algebricamente
chiuso se tutte le proprietà Π2 di (K, +, ·), compatibili con gli assiomi di
campo, sono soddisfatte. Quindi dire che MMW è vero equivale ad affermare
che H(ω2 ) è, in un certo senso, algebricamente chiuso.
Teorema 8.2.1
Supponiamo l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin e che
esista un cardinale inaccessibile che sia limite di cardinali di Woodin. Allora
ZFC+MMW è Ω-consistente.
•
Questo risultato si prova tramite forcing e, sorprendentemente, non necessita
di forcing iterato (contrariamente a ZFC+MM). A seguito di questo teorema appare ovvio come MMW inquadri nell’Ω-logica la completa teoria della
struttura (H(ω2 ), ∈).
8.3. Ω-PROVABILITÀ E Ω-VALIDITÀ
8.3
59
Ω-Provabilità e Ω-Validità
Cominciamo in medias res:
Definizione 8.3.1
Supponiamo l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin. Diciamo che un sottoinsieme uB A di R è un’Ω-prova per un enunciato ψ se ψ è
soddisfatto in tutti i modelli transitivi numerabili di ZFC che sono A-chiusi.
Diciamo che un enunciato ψ è Ω-provabile se ammette almeno un’Ω-prova.
Remark
Osserviamo innanzitutto che contrariamente all’usuale concetto di dimostrabilità, qui stiamo mettendo in gioco quantità infinite. Purtuttavia esse sono
“piccole” relativamente al contesto dei grandi cardinali: usiamo infatti insiemi di reali e modelli numerabili. Ma ciò che è veramente importante è
il ragionamento seguente: ogni enunciato φ (classicamente) dimostrabile è
Ω-provabile. Questo perché se φ è dimostrabile allora è soddisfatto in ogni
modello di ZFC, in particolare in quelli transitivi numerabili e come Ω-prova
ammette un qualsiasi insieme uB, per esempio l’insieme vuoto.
Ma esistono enunciati Ω-provabili (le cui dimostrazioni non sono semplici
boreliani...) che non sono dimostrabili nella logica usuale, ovvero l’Ω-logica
estende propriamente la logica classica.
Ci chiediamo ora se gli enunciati Ω-provabili sono veri. Se essi non sono
dimostrabili classicamente, per i teoremi di Gödel, essi non dovrebbero essere soddisfatti in un qualche modello di ZFC. Vediamo però che tali modelli
sono, in un certo senso, trascurabili.
Teorema 8.3.1
Supponiamo che esiste una classe propria di cardinali di Woodin. Allora ogni
enunciato Ω-provabile è soddisfatto in tutti i modelli di ZFC del tipo “(Vα ∈)
rappresentato in una qualsiasi estensione generica di V ”.
Cioè un enunciato Ω-provabile non può essere confutato tramite forcing nell’ambito degli insiemi veri.
•
60
CAPITOLO 8. INTRODUZIONE ALL’Ω-LOGICA
Definizione 8.3.2
Diciamo che un enunciato φ è Ω-valido se φ è soddisfatto in tutti i modelli
di ZFC del tipo “(Vα , ∈) rappresentato in una qualsiasi estensione generica
di V ”.
In tal modo otteniamo una logica coerente: ciò che è dimostrabile è vero. Si
pone allora la questione dell’implicazione reciproca, ovvero della completezza
dell’Ω-logica. In tal senso si ha la seguente
Ω-Congettura (Woodin 1999)
Ogni enunciato Ω-valido è Ω-provabile.
Detto altrimenti l’Ω-congettura afferma che ogni enunciato non confutabile
per passaggio ad un estensione generica ha una dimostrazione nella famiglia
degli insiemi uB. Allora l’Ω-logica ci permette di riformulare alcune questioni
inerenti PF:
Definizione 8.3.3
Supponiamo H definibile. Diciamo che A è un assioma Ω-completo per la
struttura (H, ∈) se per ogni φ uno e uno solo dei due enunciati
i) A ⇒“(H, ∈) soddisfa φ”
ii) A ⇒“(H, ∈) soddisfa ¬φ”
è Ω-provabile.
Teorema 8.3.2
Se l’Ω-congettura è vera,allora ZFC+A è una soluzione di PF per (H, ∈) se
e solo se A è un assioma Ω-completo per (H, ∈).
Dimostrazione
Supponiamo che A sia un assioma Ω-completo per (H, ∈). Sappiamo che
per costruzione le proprietà di H sono invarianti per forcing. Per mostrare
la compatibilità di A con l’esistenza di grandi cardinali; nel contesto dell’Ωlogica basta mostrare che ¬A non è Ω-valido.L’ipotesi che A è un assioma
Ω-completo garantisce che ¬A non è Ω-provabile. Quindi se l’Ω-congettura
è vera, la non-Ω-provabilità implica la non-Ω-validità.
Viceversa, supponiamo che ZFC+A renda le proprietà di H invarianti per
forcing. Allora per ogni enunciato φ uno e uno solo degli enunciati A ⇒“(H, ∈
) soddisfa φ” e A ⇒“(H, ∈) soddisfa ¬φ” è Ω-valido. Se l’Ω-congettura è ve-
8.3. Ω-PROVABILITÀ E Ω-VALIDITÀ
61
ra, essa implica che tale enunciato è Ω-provabile. In più la compatibilità di
A con l’esistenza di grandi cardinali implica che ¬A non è Ω-valido dunque
non-Ω-provabile, e quindi A è un assioma Ω-completo per (H, ∈).
•
Teorema 8.3.3 (Woodin)
Supposta l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin, allora
MMW è un assioma Ω-completo per (H(ω2 ), ∈) (e anche per la struttura
più forte (H(ω2 ), X, ∈) dove X è proiettivo).
•
Dal teorema 8.3.3 e da MMW deduciamo il seguente
Corollario 8.3.4
Se la Ω-congettura è vera, allora ZFC+MMW è una soluzione di PF per
(H(ω2 ), ∈).
•
Il prossimo risultato mostra come l’Ω-logica sia fondamentalmente la logica dei grandi cardinali:
Teorema 8.3.5
Si supponga l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin. Allora
un enunciato φ di Π2 è Ω-provabile se e solo se esiste un assioma di grandi
cardinali A tale che “A è terminato” sia Ω-provabile e che φ sia dimostrabile
(classicamente) a partire da ZFC+“A è terminato”.
•
Corollario 8.3.6
La Ω-congettura equivale alla seguente condizione: per ogni assioma di grandi cardinali A terminati in V , l’asserzione “A è terminato” è Ω-provabile.
•
Quindi il problema è di determinare gli assiomi di grandi cardinali A tali
che “A è terminato” sia Ω-provabile. Vi è un programma che consiste nel
costruire per ogni assioma di grandi cardinali un modello minimale dova tale
assioma sia soddisfatto, seguendo il modello di Gödel L. Tale programma a
tutt’ora si occupa dell’assioma “Esiste un’infinità di cardinali di Woodin”,
62
CAPITOLO 8. INTRODUZIONE ALL’Ω-LOGICA
ma non ha ancora raggiunto il livello di “Esiste un cardinale supercompatto”.
Teorema 8.3.7 (Woodin)
Per ogni assioma di grandi cardinali A per il quale un modello canonico
fondato sul metodo di comparazione può esistere, l’enunciato “A è terminato” è Ω-provabile.
•
Ora, tutti gli assiomi di grandi cardinali introdotti sino ad ora in letteratura si organizzano in una gerarchia lineare: dati due di tali assiomi uno
implica l’altro o, quanto meno, la consistenza di uno implica quella dell’altro.
Otteniamo cosı̀ una gerarchia bene ordinata legata alla consistenza relativa.
Per esempio la consistenza dell’esistenza di un cardinale supercompatto implica quella dell’esistenza di un’infinità di cardinali di Woodin che a sua volta
implica quella di un solo cardinale di Woodin che implica quella di un cardinale misurabile che implica quella di un cardinale inaccessibile.
8.4
Riducibilità di Wadge
Studiamo ora alcune proprietà connesse all’insieme di Cantor K. Potremmo
usare anche altri insiemi chiusi non numerabili e mai densi in [0, 1], o addirittura R (perché se A è uB in R esiste A∗ uB in K tale che, per ogni M
transitivo tale che (M, ∈) |=ZFC, M è A-chiuso se e solo se è A∗ -chiuso), ma
perderemmo in chiarezza ed esemplarità.
Definizione 8.4.1 (Wadge)
Per B, B 0 ⊆ K, diciamo che B è riducibile (risp. fortemente riducibile) a B 0
se si ha B = f −1 (B 0 ) con f : K → K continua (risp. 21 -lipschitziana).
Lemma 8.4.1 (Wadge)
Supponiamo valga DP; siano B e B 0 sottoinsiemi proiettivi di K. Allora o B
è riducibile a B 0 , oppure B 0 è fortemente riducibile a K \ B.
Dimostrazione
Consideriamo il gioco di Wadge
I : x(2k)k∈N
8.4. RIDUCIBILITÀ DI WADGE
63
II : x(2k + 1)k∈N
II vince esattamente quando xI ∈ B se e solo se xII ∈ B 0 . Se τ è una strategia vincente per II, allora z ∈ B se e solo se (z ∗ τ )II ∈ B 0 , z ∈ K, e poiché
la funzione che mappa z in (z ∗ τ )II è continua, B è riducibile a B 0 . D’altra
parte, se σ è una strategia vincente per I, allora (σ ∗ y)I ∈
/ B ⇔ y ∈ B 0 , con
y ∈ K, e quindi B 0 è fortemente riducibile a K \ B. •
La dimostrazione del lemma di Wadge richiede l’uso di un insieme C ⊆ [0, 1]
preimmagine dell’insieme (B ×(K\B 0 ))∪((K\B)×B 0 ) tramite una funzione
di Borel F : [0, 1] → R2 . Se entrami gli insiemi B e B 0 sono uB, lo è anche
C. Quindi, dal teorema 8.1.2 di Neeman
Teorema 8.4.2
Supponiamo l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin. Allora,
per ogni coppia di sottoinsiemi uB B e B 0 in K, o B è riducibile a B 0 , oppure
B 0 è fortemente riducibile a K \ B.
Dimostrazione (cenni)
Se F è 12 -lipschitziana, segue che esiste x0 ∈ K tale che F (x0 ) = x0 . Ciò
implica che nessun sottoinsieme di K può essere fortemente riducibile al suo
complementare e quindi presi due sottoinsiemi uB e assumendo l’esistenza di
un cardinale di Woodin può verificarsi solo una delle seguenti situazioni:
1) Sia B che K \ B sono fortemente riducibili a B 0 , ed esso non è riducibile
a B (o K \ B);
2) Sia B 0 che K \ B 0 sono fortemente riducibili a B, ed esso non è riducibile
a B 0 (o K \ B 0 );
3) B e B 0 sono uno riducibile all’altro oppure lo sono K \ B 0 e K \ B.
•
Nel modo summenzionato si può definire una relazione di equivalenza sugli
insiemi uB in K tramite B ∼W B 0 se vale (3), e ordinare totalmente le classi
ottenute ponendo B <W B 0 se vale (1). Ovviamente tale relazione genera un
ordine parziale su tutti i sottoinsiemi di K; a tal proposito sussiste il seguente
Teorema 8.4.3 (Martin)
Supponiamo che (Ak )k∈ N sia una successione di insiemi in K tale che per
ogni k Ak+1 e K \ Ak+1 sono entrambi fortemente riducibili a Ak . Allora
64
CAPITOLO 8. INTRODUZIONE ALL’Ω-LOGICA
esiste una funzione continua g : K → K tale che g −1 (A1 ) non ha la proprietà
di Baire.
•
Come corollario otteniamo la buona fondatezza di <W perché la preimmagine
continua di un insieme uB deve avere la proprietà di Baire. Segue che <W
non ha catene discendenti infinite, cosa che permette di associare ad ogni
insieme uB un ordinale che chiamiamo sua complessità. In questa gerarchia
gli insiemi proiettivi sono un segmento iniziale (perché ogni insiemi riducibile
ad un insieme proiettivo è esso stesso proiettivo), e gli insiemi di Borel sono
un segmento iniziale di lunghezza ω1 .
Teorema 8.4.4 (Woodin)
Per A assioma di grandi cardinali, denotiamo con ρ(A) la complessità minima di una Ω-prova dell’enunciato “A è terminato”. Allora, per gli assiomi
di grandi cardinali per i quali esistono dei modelli canonici, la gerarchia di
consistenza degli assiomi di grandi cardinali coincide con la gerarchia definita
da ρ.
•
Quest’ultimo è un forte risultato in favore dell’Ω-logica. Se l’Ω-congettura è
vera, la gerarchia definita da ρ ricopre tutti gli assiomi di grandi cardinali.
Capitolo 9
Ω-Logica e CH
In questa sezione, l’ultima del presente lavoro, concludiamo esponendo come
si possa “attaccare” CH con l’Ω-logica.
Cominciamo col seguente risultato
Teorema 9.1 (Woodin)
Supponiamo l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin misurabili. Allora due estensioni generiche di V che soddisfano CH, soddisfano
necessariamente gli stessi enunciati esistenziali a parametri in R.
Ovverosia, se due estensioni generiche sono d’accordo su CH, esse sono d’accordo anche su tutte le proprietà di complessità sintattica uguale a CH.
•
Nel corso degli anni ci si è accorti dell’esistenza di una certa asimmetria fra
CH e ¬CH: mentre molte varianti della seconda possono essere dimostrate
non è lo stesso per le varianti della prima. Infatti prima Foreman-MagidorShelah, poi Woodin e infine Todorcevic hanno mostrato che, sotto certe ipotesi, si ha sempre che 2ℵ0 = ℵ2 . I primi con l’ipotesi di MM, il secondo supponendo che l’ideale IN S sia ℵ2 -saturato (ovvero non esiste una partizione di
cardinalità ℵ2 ) e il terzo con l’ipotesi di MMB.
Ora, sappiamo che tutte le descrizioni sufficientemente complete di H(ω2 )
devono includere una soluzione di CH. Per esempio lo stesso MMW implica 2ℵ0 = ℵ2 . Infatti esiste un enunciato φAC in Π2 che, se verificato in
(H(ω2 ), ∈), implica 2ℵ0 = ℵ2 . Si ha che (H(ω2 ) ∈) |= φAC è Ω-consistente,
quindi da MMW segue la tesi.
65
66
CAPITOLO 9. Ω-LOGICA E CH
Definizione 9.1 φAC : supponiamo che S e T siano sottoinsiemi stazionari
e co-stazionari di ω1 . Allora esistono un insieme chiuso illimitato in ω1 , un
buon ordinamento (L, <) di cardinalità ω1 e una biiezione π : ω1 → L tale
che per ogni α ∈ C, se α ∈ S esiste α∗ ∈ T che è l’ordinale numerabile dato
dal tipo d’ordine di {π(β)|β < α} come subordine di (L, <).
Si mostra che φAC è esprimibile in Π2 , e inoltre che MM implica φAC .
Ma cosa possiamo dire delle altre assiomatizzazioni?
Sia L(B, R) il modello di ZFC costruito come il modello L di Gödel, ma
partendo dagli insiemi B e R.
Definizione 9.2
Un sottoinsieme T ⊆ N è detto Ω-ricorsivo se esiste un sottoinsieme uB B
di R tale che T possa essere definito in (L(B, R), ∈, {R}) sia attraverso una
formula esistenziale che con la negazione di una formula esistenziale.
Teorema 9.2
Supponiamo l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin e che T
sia un sottoinsieme Ω-ricorsivo di N. Allora
i) o T è definibile in (H(ω2 ), ∈),
ii) o esiste una suriezione definibile di R su ℵ2 .
•
Teorema 9.3 (Tarski, 1936)
L’insieme degli enunciati soddisfatti in una struttura S non è mai definibile
in S.
•
Remark
Intuitivamente questo classico risultato, qui enunciato in una variante semplificata, è una versione “ridotta” del teorema di Gödel; la sua dimostrazione,
semplice ma non banale, può essere derivata dal Lemma Diagonale (dimostrazione sintattica) o dal Teorema di Post (dimostrazione semantica).
Dagli ultimi due teoremi deriva l’ultimo teorema-cardine del lavoro
67
Teorema 9.4 (Woodin, 2000)
Supponiamo l’esistenza di una classe propria di cardinali di Woodin. Allora
ogni assioma Ω-completo per (H(ω2 ), ∈), di cui la negazione non sia Ω-valida,
implica ¬CH.
Dimostrazione (cenni)
La dimostrazione del teorema deriva dal teorema 9.2 tramite un argomento di diagonalizzazione: se A è un assioma Ω-completo per H(ω2 ), ∈) allora
l’insieme dei numeri di Gödel dei φ tali che A ⇒ “(H(ω2 ), ∈) soddisfa φ” sia
Ω-provabile, è un insieme Ω-ricorsivo.
Dal teorema di Tarski segue che l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati
soddisfatti in (H(ω2 ), ∈) non può essere definibile in (H(ω2 ), ∈) e quindi la
sola tesi possibile del teorema 9.2 è la (ii), vale a dire la falsità di CH.
•
A questo punto, da MMW deduciamo
Corollario 9.5
Se l’Ω-congettura è vera, allora ogni soluzione di PF per (H(ω2 ), ∈) implica
che CH è falsa.
•
Se l’Ω-congettura è vera, allora tutte le teorie degli insiemi ottenute aggiungendo a ZFC un assioma compatibile con l’esistenza dei grandi cardinali
e che rendono le proprietà di (H(ω2 ), ∈) invarianti per forcing, implicano la
falsità di CH.
Poiché sappiamo che ZFC+MMW risolve PF per (H(ω2 ), ∈) possiamo dedurre il nostro risultato finale:
Corollario 9.6 (Woodin)
Se l’Ω-congettura è vera, CH è essenzialmente falsa.
•
Ora si potrebbe dire che il problema di CH è stato solo spostato su quello dell’Ω-congettura; ma essa è un problema del tutto differente che peraltro
sembra in dirittura di soluzione: Woodin ha infatti mostrato una connessione
68
CAPITOLO 9. Ω-LOGICA E CH
fra l’Ω-validità e gli insiemi uB che sta conducendo verso l’Ω-provabilità.
Appendice A
L’Assioma di Simmetria di
Freiling
In questa sezione diamo un risultato del 1986 di Chris Freiling (anche se
già Sierpiński l’aveva studiato anni addietro). Esso è, in un certo senso, un
approccio probabilistico a CH, che, all’epoca della sua formulazione, generò
una vivida discussione fra i logici.
Definizione A.1 (Assioma di Simmetria)
Sia A un insieme di funzioni che mappano gli elementi dell’intervallo [0, 1] in
sottoinsiemi numerabili dell’intervallo stesso. Allora per ogni f ∈ A, esistono
x e y tali che x ∈
/ f (y) ∧ y ∈
/ f (x).
Teorema A.1
Fissato k cardinale infinito, sia AXk l’enunciato: “Non esiste alcuna mappa
f : P(k) → P(P(k)) per la quale ∀x, y ∈ P(k) o x ∈ f (y) oppure y ∈ f (x)”.
Allora ZF C ` 2k = k + ⇔ ¬AXk .
Dimostrazione
Prima parte (⇒): dall’ipotesi, ponendo σ : k + → P(k) una biiezione, abbiamo che f : P(k) → P(P(k)), che mappa σ(α) in {σ(β) : β ≤ α}, mostra
chiaramente dove l’assioma di Freiling decade.
Seconda parte: fissiamo una f ; definiamo una relazione d’ordine su P(k)
tramite A ≤f B ⇔ A ∈ f (B). Questa relazione è totale e ogni punto ha una
quantità di predecessori minore o uguale a k. Definiamo ora una catena strettamente crescente (Aα ∈ P(k))α<k+ come segue: ad ogni stadio scegliamo
69
70
APPENDICE A. L’ASSIOMA DI SIMMETRIA DI FREILING
S
Aα ∈ P(k) \ ζ<α
S f (Aζ ). Questo processo può terminare poiché per ogni
+
ordinale α < k , ζ<α f (Aζ ) è unione di una quantità minore o uguale a k
di insiemi di cardinalità minore o uguale a k; quindi è di cardinalità minore
o uguale a k, ovvero minore di 2k e quindi è un sottoinsieme proprio di P(k).
Questa sequenza è inoltre cofinale nell’ordine definito, ovvero ogni membro
di P(k) è ≤f Aα , per qualche Aα . D’altra parte se B ∈ P(k) non è ≤f Aα
per qualche Aα , allora, poiché l’ordine è totale, per ogni α < k + , Aα ≤f B,
implicando che B ha una quantità di predecessori maggiore o uguale di k + ,
che è una contraddizione.
Possiamo quindi ben definire una mappa g : SP(k) → k + che S
mappa B in
+
−1
min {α < k : B ∈ f (Aα )}. Quindi P(k) = α<k+ g (α) = α<k+ f (Aα )
che è unione di k + insiemi ognuno di cardinalità ≤ k.
Quindi 2k ≤ k + · k = k + e questo conclude la dimostrazione.
•
Dato che card([0, 1]) = card(P(ℵ0 )) dalla dimostrazione, segue che ¬CH⇔AX.
Ciò che abbiamo appena detto può essere precisato:
ZF ` (ACP(k) + ¬AXk ) ⇔ CHk .
Per suffragare la sua propensione per ¬CH, Freiling giudicava AX “intuitivamente vero” perché la scelta di due numeri in [0, 1] consta di due eventi
indipendenti e, essendo f una funzione fissata, segue che f (x) e f (y) sono
numerabili di misura di Lebesgue nulla, quindi la probabilità di “y ∈ f (x)”
è nulla.
La (semplice) obiezione che gli fu mossa è che egli, accettando la misurabilità
di ogni sottoinsieme di R, stava negando AC.
Appendice B
Il Problema di Suslin
In questa appendice ci occupiamo della prima, importante applicazione degli
assiomi di Martin.
Come è noto la retta reale è l’unico insieme, a meno di isomorfismi, linearmente ordinato, denso, illimitato, completo e separabile.
Il problema di Suslin si basa su un indebolimento del concetto di separabilità:
Problema di Suslin (1920)
Sia S linearmente ordinato tale che
i) S è denso e illimitato;
ii) S è completo;
iii) S soddisfa CCC;
Allora S è isomorfo alla retta reale?
Ora, il problema di Suslin può essere riformulato come segue:
esiste un insieme denso linearmente ordinato che soddisfa CCC ma non è
separabile?
Un tale insieme lo chiamiamo linea di Suslin ed esso rappresenta un controesempio al problema di Suslin.
Il primo passo per affrontare il problema è riformularlo in termini di alberi
Definizione B.1
Un albero è un insieme parzialmente ordinato (T, <) tale che per ogni x ∈ T
l’insieme {y|y < x} è bene ordinato da < (ovvero gli alberi possono essere
considerati come una generalizzazione degli ordinali).Un ramo di T è un sot71
72
APPENDICE B. IL PROBLEMA DI SUSLIN
toinsieme massimale di T linearmente ordinato. L’α-esimo livello di T è
l’insieme di tutti gli x ∈ T tali che {y|y < x} ha tipo d’ordine α. L’altezza
di T è il più piccolo α tale che l’α-esimo livello di T è vuoto. Riassumendo
1) o(x) = tipo d’ordine di {y|y < x}
2) α-esimo livello= {x|o(x) = α}
3) alt(T )= sup{o(x) + 1|x ∈ T }
La lunghezza di un ramo è il suo tipo d’ordine.
Un’anticatena in T è un insieme B ⊆ T tale che ogni coppia di suoi elementi
sono incomparabili secondo <. Allora
Definizione B.2
Chiamiamo albero di Suslin un albero T tale che
i) alt(T ) = ω1 ;
ii) ogni ramo di T è al più numerabile;
iii) ogni anticatena in T è al più numerabile;
Il seguente risultato classico sembra dare la risposta definitiva al problema
di Suslin
Teorema B.1 (Tennenbaum-Jech-Solovay)
L’esistenza di un albero di Suslin è indipendente da ZFC.
È a questo punto che entrano in gioco gli assiomi di Martin:
Definizione B.3
Un albero di Suslin è normale se
i) T ha un unico punto minimo (la radice);
ii) ogni livello di T è al più numerabile;
iii) se x non è massimale in T allora ci sono infiniti y > x nel livello successivo;
iv) per ogni x ∈ T esiste qualche y > x in ogni livello successivo;
v) se β è un ordinale limite e x, y sono entrambi nel livello β e {z : z < x} =
{z : z < y} allora x = y;
73
Si ha che
Teorema B.2
Esiste una linea di Suslin se e solo se esiste un albero di Suslin, e da ogni
albero di Suslin si può ottenere un albero di Suslin normale.
Dimostrazione
Sia S una linea di Suslin. Costruiremo un albero di Suslin T che consisterà di intervalli chiusi di S con ordine parziale dato dall’inclusione inversa.
Cominciamo con un’induzione su α < ω1 : sia I0 = [a0 , b0 ] arbitrario tale che
a0 < b0 ; una volta costruito Iβ , β < α, consideriamo l’insieme numerabile
C = {aβ : β < α} ∪ {bβ : β < α} costituito dei punti estremi degli intervalli
Iβ , β < α. Poiché S è una linea di Suslin, C non è denso in S e quindi
esiste un intervallo [a, b] disgiunto da C; prendiamo uno di questi intervalli
[aα , bα ] = Iα . L’insieme T = {Iα : α < ω1 } è non numerabile e parzialmente
ordinato da ⊇. Se α < β, allora o Iα ⊃ Iβ o sono disgiunti. Segue che per ogni
α, {I ∈ T : I ⊃ Iα } è bene ordinato da ⊇ e quindi T è un albero. Se I, J ∈ T
sono incomparabili, essi sono intervalli disgiunti di S; e poiché S soddisfa
CCC, ogni anticatena di T è al più numerabile. Per mostrare che T non ha
rami non numerabili, notiamo che se b è un ramo di lunghezza ω1 , allora i
punti estremi sinistri degli intervalli I ∈ b formano una successione crescente
{xα : α < ω1 } di punti di S. È chiaro che gli intervalli (xα , xα+1 )α<ω1 formano una collezione non numerabile di intervalli aperti disgiunti di S, il che
contraddice il fatto che S soddisfa CCC.
Supponiamo ora di avere un albero di Suslin T e costruiamo una linea di
Suslin S. L’idea è di usare i rami dell’albero. Però, poiché in generale
S non sarebbe denso, dobbiamo prima normalizzare l’albero, dimostrando
cos‘ıl’ultima parte del teorema.
Sappiamo che alt(T ) = ω1 , e ogni livello di T è numerabile; per prima cosa
scartiamo i punti x ∈ T tali che Tx = {y ∈ T : y ≥ x} è al più numerabile, e
sia T1 = {x ∈ T : Tx è non numerabile }. Notiamo che se x ∈ T e α > o(x)
allora card(Ty ) = ℵ1 per qualche y > x a livello α. Quindi T1 soddisfa
(iv). Consideriamo ora i punti dell’albero che hanno almeno due successori:
i punti-ramo. Per ogni x ∈ T1 c’è una quantità non numerabile di tali punti z > x in T1 (altrimenti esisterebbe un ramo non numerabile). Quindi
T2 = {punti-ramo ∈ T1 } è un albero di Suslin che soddisfa (ii) e (iv), e (iii*)
che sta per: ogni x ha almeno due successori immediati. Consideriamo ora
tutte le catene C di T2 tali che C = {z : z < x} = {z : z < y} per qualche
74
APPENDICE B. IL PROBLEMA DI SUSLIN
x 6= y. Per ogni C cosı̀ fatta aggiungiamo a T2 un ulteriore nodo aC tale che
per ogni z ∈ C, z < aC . L’albero risultante T3 soddisfa (ii), (iii*), (iv) e (v).
Sia ora T4 l’insieme degli x ∈ T3 a livelli limite, allora scegliamo T5 ⊂ T4 che
soddisfa (i) e la tesi è (finalmente) provata.
Terminiamo ora la dimostrazione del teorema. Sia T l’albero normale di
Suslin, la linea S sarà fatta dei rami di T ; ogni x ∈ T ha una quantità
numerabile di successori che ordiniamo come i numeri razionali. Allora ordiniamo gli elementi di S lessicograficamente: se α è il primo livello in cui
due rami a, b ∈ S differiscono, allora α è un ordinale successore e i punti aα ∈ a, bα ∈ b a livello α sono entrambi successori dello stesso punto a
livello α − 1; poniamo a < b se aα < bα : In tal modo S è denso e linearmente ordinato. Se (a, b) è un intervallo in S, si può trovare x ∈ T tale che
Ix = {c ∈ S : x ∈ c} ⊂ (a, b), e se Ix e Iy sono disgiunti, x e y sono incomparabili in T . Quindi ogni collezione numerabile di intervalli aperti disgiunti
di S è al più numerabile e S soddisfa CCC. S non è separabile: se C è un
insieme numerabile di rami di T , sia α un ordinale numerabile più grande
della lunghezza di ogni ramo b ∈ C. Allora se x è un qualunque punto a
livello α, l’intervallo Ix non contiene alcun b ∈ C, e quindi C non è denso in
S.
•
Dimostrato questo teorema possiamo concludere con il
Teorema B.3
Se vale MAω1 non esiste alcun albero di Suslin.
Dimostrazione
Assumiamo l’esistenza di T albero di Suslin normale e sia PT l’insieme
parzialmente ordinato ottenuto da T rovesciando la relazione d’ordine. PT
soddisfa CCC. Per ogni α < ω1 sia Dα = {x ∈ T |o(x) > α}. Ogni Dα è denso
in PT ; se poniamo D = {Dα : α < ω} e se G è un filtro D-generico su PT ,
allora G è un ramo di T di lunghezza ω1 , il che è assurdo. Dal teorema B.2
segue la tesi.
•
Appendice C
Sulla Definibilità di CH come
Problema Matematico
La necessità di concludere col presente capitolo nasce dalla scoperta di due
articoli (cfr [5] e [16]), apparsi in via ufficiosa a cavallo fra il 2011 e il 2012,
nei quali Solomon Feferman e Peter Koellner, due logici illustri, si “scontrano” sulla definibilità di CH. Dico subito che entrambi gli articoli, di circa 30
pagine ciascuno, sono, a mio avviso, pervasi da una generale aura di “ingenuità argomentativa” e afferiscono perlopiù a quella che, oggi, in certi ambienti,
viene detta patafisica. Ci si può allora domandare perché spendere parole in
risposta ad idee ritenute cosı̀ poco “utili”: in primo luogo lo faccio per completare la presentazione del problema del continuo, e poi per fugare qualsiasi
dubbio su CH, sebbene infondato. Vorrei dapprima soprassedere sul concetto di “definibilità”, dando a questo termine il suo significato intuitivo, per
passare subito alle obiezioni di Feferman riguardanti CH:
1) Feferman deduce l’infondatezza di CH dal fatto che il comitato del premio
Clay non ha inserito l’ipotesi del continuo fra i problemi del 2010;
2) Feferman si definisce strutturalista concettuale, è convinto che questa visione metamatematica sia quella corretta e da essa deduce la vaghezza di
CH;
3) Per Feferman solo l’aritmetica del primo ordine è totalmente definita e
CH fa parte di quegli enunciati del secondo ordine non definiti.
Koellner, il quale comunque si definisce agnostico circa CH, controbatte alle
obiezioni di Feferman, ma a dir la verità ci riesce con alterne fortune.
Partiamo con la prima obiezione: avanzando con cautela ci si potrebbe as75
76APPENDICE C. SULLA DEFINIBILITÀ DI CH COME PROBLEMA MATEMATICO
pettare che il riferimento al premio Clay, fatto da un logico del calibro di
Feferman con tanto di esperimento mentale, possa essere un sottile ragionamento. E invece no: esso è esattamente ciò che sembra, ovvero una inconcepibile banalità. Poiché i matematici del comitato del premio non giudicano
la soluzione di CH “pagabile”, il problema manca di definizione. Punto.
Dato che la precedente argomentazione si commenta da sola, passo subito
alla seconda: Feferman cerca di spiegare cosa sia lo strutturalismo concettuale presentandolo come una sorta di variante del formalismo (e quindi
un’attitudine anti-platonica), e da esso deduce l’inconsistenza (psicologica)
di CH. Koellner mostra come, dagli stessi presupposti dello strutturalismo
concettuale, si possa dedurre la chiarezza di CH. In entrambi i casi si tratta
di puri esercizi di stile e le argomentazioni dei due autori sono assolutamente
ininfluenti. Il punto è che lo strutturalismo non è una teoria specificatamente ontologica (tant’è che ne esiste una versione ante rem di tipo
platonico, oltre a quella formalista) e il suo background psico-sociologico non
consente a questa corrente di pensiero di analizzare correttamente CH, la cui
fondatezza è un problema squisitamente metamatematico.
Il terzo e ultimo argomento è in realtà l’unico di cui valga la pena parlare:
i due autori riacquistano serietà e il problema viene finalmente ricondotto
ai fondamenti della matematica. Il fulcro del ragionamento di Feferman è
che l’idea di sottoinsieme arbitrario (di N) è vaga, non definita, non chiara:
l’arbitrarietà del sottoinsieme lo fa fuggire dalla comprensione della nostra
mente. Inoltre una certa polienunciabilità di CH renderebbe quest’ultima
una sorta di “mina vagante” dell’universo matematico: troppe definizioni
sono come nessuna definizione.
Alla prima obiezione posso rispondere nel modo seguente: prendiamo i numeri naturali (la cui logica, per lo stesso Feferman, è perfettamente definita),
la nostra mente non è cosciente di ogni singolo numero naturale nella
loro totalità, non ne ha bisogno, ma è cosciente singolarmente del numero
649302, per esempio, e, a partire dalla coscienza dello 0, del generico n come
successore di n − 1: come a dire che gli assiomi di Peano bastano alla nostra
mente (oltre che all’aritmetica).
Per rispondere alla seconda parte dell’obiezione di Feferman ecco un altro
esempio: possiamo vedere i numeri reali in molti modi, 2ω , ω ω , P(ω) o come
classi di equivalenza di successioni di Cauchy di razionali, ma questo non
rende i numeri reali fumosi o indefiniti, perché queste definizioni si equivalgono, proprio come per definizioni differenti di CH in presenza di AC.
Se poi non si assume AC la questione diventa, se vogliamo, più semplice:
77
quelli che erano enunciati equivalenti (con AC) non lo sono più e CH si
riduce al problema formulato da Cantor. Gli altri enunciati semplicemente
identificano altri problemi.
Per ultimo vorrei tornare alla questione lasciata in sospeso sul significato
della parola “definibilità”: il punto è che essa non ha significato nel contesto
presente! Ovvero l’unica cosa non definita è proprio l’idea di definibilità o
non definibilità di CH come problema matematico, infatti non viene mai spiegato cosa significhi che CH è un enunciato vago, non definito o non chiaro, ed
è lo stesso Feferman ad affermare che, in questo dominio, non è possibile
dare una definizione rigorosa di definibilità. Ovvero, ancora, tutta la
faccenda è ricondotta alla supposta inafferabilità del concetto di sottoinsieme
arbitrario. E tale obiezione ricorda troppo quella, presto decaduta, rivolta
da Kronecker a Cantor sull’impossibilità di “afferrare” il continuo.
Per concludere, non ha alcun senso (matematico e non) chiedersi se CH sia
un problema definito almeno fino a quando non si dia un significato rigoroso
al concetto di chiarezza di una questione matematica.
E anche allora, se mai ci sarà una tale ora, non credo che la risposta sarà
negativa visti i 130 anni di CH e le decine di matematici che vi hanno lavorato.
78APPENDICE C. SULLA DEFINIBILITÀ DI CH COME PROBLEMA MATEMATICO
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