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COSA SI INTENDE PER DIDATTICA ?
Scuola regionale di specializzazione per l’Insegnamento secondario Sezione di Parma Indirizzo Fisico -Informatico - Matematico Appunti di Didattica della Matematica I DANIELA MEDICI COSA SI INTENDE PER DIDATTICA ? La parola didattica deriva da didakticos , participio passato di didaskein (insegnare). Vediamo come tale parola è stata utilizzata a partire dal XIX secolo. Antonio Rosmini (1797 – 1855), sacerdote e filosofo scrive: “Il metodo didattico si contiene in un complesso di regole subordinate tra loro e ridotte a una, principio dell’altre, osservando le quali il maestro, che comunichi la verità per via di segni, ordinariamente per la parola, ottiene che sieno ricevute dal discepola colla maggiore possibile facilità, distinzione, convincimento e persuasione” Niccolò Tommaseo (1802 – 1874), scrittore : “le norme della didattica; non la insegnano i libri di metodo, ma il cuore, l’esempio, l’esperienza”. Addirittura Giovanni Gentile (1875 – 1944), filosofo ufficiale del fascismo: “Tutta la didattica, come didattica generale e come didattica speciale, si è così risoluta in una critica del concetto di scuola, come oggetto proprio della didattica” Gentile fu ministro della Pubblica Istruzione dal 1922 al 1924 e attuò una riforma scolastica, che da lui prese il nome, nella quale furono modificati i corsi scolastici, la distribuzione dell’orario settimanale assegnato a matematica e di conseguenza i programmi. Tutte queste modifiche vennero attuate in base allo spirito antiscientifico gentiliano che porta ad accentuare solamente gli studi letterarie filosofici. Al principio secondo cui le scienze matematiche sono altamente educative, si sostituisce il principio che l’unica educazione degna dell’uomo è quella umanistica; si accresce così il ruolo di èlite del Liceo classico. La riforma istituisce un liceo scientifico quadriennale senza il corrispondente corso inferiore (fino ad allora ai licei si accedeva dopo tre anni di ginnasio), che sostituisce la sezione fisico-matematico dell’istituto tecnico e il liceo moderno (in cui si studiava il latino e due lingue straniere), con lo scopo “di sviluppare e d’approfondire l’istruzione dei giovani che aspirano agli studi universitari in facoltà diverse da quelle di giurisprudenza e di lettere”. Infatti il ruolo diverso degli studi classici e di quelli scientifici era evidenziato anche dal fatto che il Liceo classico permetteva l’accesso ad ogni tipo di facoltà, mentre l’istituto tecnico soltanto a quelle scientifiche (nel frattempo, nel 1920, era stato istituito il Corso di laurea in Matematica e Fisica). Egli si scaglia in particolare contro le scienze, la cui “intrusione” nel mondo scolastico ha “arrecato dannosissimi frutti”, ma soprattutto contro la matematica la quale dice è “morta, infeconda, arida come un sasso”. Con Gentile si raggiunge il minimo delle ore settimanali assegnate alla matematica: 1 ore in prima, 2 ore dalla seconda alla quinta ginnasio, 3, 2, 3 in prima seconda e terza liceo; si abbina la matematica all’insegnamento della fisica. 1 In linea con il suo pensiero, non si fa accenno al ruolo formativo dell’insegnamento della matematica, fra le istruzioni leggiamo: - per l’aritmetica basta che l’alunno sappia “calcolare espressioni aritmetiche o date direttamente o da ricavare mediante sostituzioni di valori numerici da assegnate espressioni letterali” e “orientarsi nella risoluzione di un problema ed eseguire con franchezza le operazioni che esso richiede” - per la geometria “l’insegnamento non deve avere altro scopo che quello di mantenere vivo il ricordo delle nozioni geometriche apprese nelle scuole elementari e di fissare bene la nomenclatura”. (Osserviamo che era ancora lontana l’istituzione della scuola media, 1940) Egli sostiene inoltre che la didattica della Matematica coincide con la matematica, essendo l’insegnante di matematica solo un ripetitore di teoremi; in generale quindi che la didattica specifica coincide con la disciplina che ha come oggetto. Questa posizione è molto pericolosa perché ne viene che la preparazione dell’insegnante è dunque legata solo alla sua formazione disciplinare, occorre poi solo un po’ di entusiasmo, buon senso, sensibilità e una forte motivazione ad insegnare. Federigo Enriques1, a questo proposito, scrive (1928): “Il posto che si è fatto nella scuola media2 e particolarmente nell’Istituto classico, agli insegnamenti scientifici è inadeguato agli scopi che occorre raggiungere, non ne indago le cause. Riconosco d’altronde, tutto il valore dell’educazione classica e storica che si è voluto promuovere.Però sono convinto che in questa stessa educazione ha parte necessaria lo studio delle scienze fisiche e matematiche… Si deve richiedere che esso sia svolto seconda lo stesso criterio che è domandato per le discipline letterarie: avviando via via i giovani a lavorare da sé, a ricercare in sé la scoperta della verità, anziché porgerne loro la semplice notizia; aiutandosi, ove occorra, con qualche illustrazione storica per chiarire il senso dei problemi e dei metodi.”3 E’ da notare l’attualità di tale affermazione. Variazioni di poco rilievo nei programmi del 1936, mentre nel 1940 fu istituita la Scuola Media unificando i trienni inferiori del ginnasio, dell’istituto magistrale e dell’istituto tecnico. I programmi della scuola media rimasero in vigore fino al 1979. I programmi della scuola superiore subirono successive modifiche attraverso piani di studio che però non ebbero l’approvazione del Parlamento. Addirittura queste proposte comprimevano maggiormente l’insegnamento della Matematica, segno che il pensiero gentiliano non era ancora superato. I programmi quindi di Gentile sono tuttora in vigore rinnovati solo dalle sperimentazioni. Per quanto riguarda la scuola superiore, fu pubblicata per il biennio nel maggio 1990 una prima stesura dei programmi della commissione Brocca, rivista poi da un’altra commissione nel novembre-dicembre 1990. Quest’ultima, ulteriormente rimaneggiata è stata pubblicata nel luglio 1991. Il programma per il triennio nelle diverse versioni, elaborato nel novembre, dicembre 1991, è stato pubblicato il primo marzo 1992 e nel luglio 1992 è stata aggiunta una appendice. Tali programmi erano stati preceduti da anni di sperimentazione del piano nazionale per l’informatica (P.N.I.). I programmi Brocca sono ancora in forma sperimentale. I programmi della scuola elementare furono rivisti nel ’34, nel 45’ (in cui viene reinserita la Geometria affiancata all’Aritmetica dalla Commissione Reale e tolta successivamente nei programmi del 1923) e nel 1955 con rinnovamenti solo di carattere metodologico (il lavoro viene ripartito in cicli, l’apprendimento come personale conquista dell’allievo e principio della globalità). Una vera rivoluzione invece per quanto riguarda gli argomenti e una rivalutazione della matematica nei suoi aspetti culturali si ha solo nei programmi del 1985. Tali programmi sono considerati fra dei più avanzati in ambito mondiale, ma ha trovato gli insegnanti, sia “vecchi” che “nuovi”, impreparati ad accoglierli. 1 Federigo Enriques (1871-1946) è stato uno dei più grandi matematici italiani fra il 1800 e il 1900. Si occupò anche di filosofia e storia del pensiero scientifico e filosofico, di questioni connesse all’organizzazione della scuola e dell’Università e della preparazione degli insegnanti. 2 Intesa come istruzione secondaria, inferiore e superiore per un totale di otto anni. 3 “ La riforma Gentile e l’insegnamento della matematica e della fisica nella scuola media” Periodico di Matematiche 1928 2 Anche il mondo universitario era impreparato: gli studenti si laureavano in Matematica senza avere la conoscenza diretta degli argomenti che avrebbero dovuto insegnare, di metodologie d’insegnamento, di processi cognitivi, ecc. Basti pensare che anche nelle varie Università i corsi di didattica di matematica, ma anche di didattica generale, sono attivi solo da una quindicina d’anni e non in tutte le sedi. Ecco che allora nascono in Italia intorno al 1973 i gruppi di ricerca didattica, primi quelli del Prof. Speranza a Parma e del Prof. Montaldo a Cagliari e con essi i primi corsi per la formazione degli insegnanti. Il problema dei corsi di laurea per la formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia ed elementare era già discussione nel 1983-84, solo nel 1996 sono state approvate tale lauree in contemporanea alle scuole di specializzazione. E’ chiaro che la preparazione specifica dell’insegnante è necessaria ma non sufficiente. L’entusiasmo che un’insegnante mostra durante l’insegnamento è senz’altro importante per gli allievi che ne potranno essere contagiati, ma non basta per trarre da ognuno di loro il meglio. Allo stesso modo il buon senso può trarre in inganno: esistono insegnanti di buon senso che hanno comportamenti didattici molto diversi. A questo proposito Cartesio scrive: “ Il buon senso è fra le cose del mondo quella più equamente distribuita, giacchè ognuno pensa di esserne così ben dotato, che perfino quelli che sono più difficili da soddisfare riguardo ad ogni altro bene non sogliono desiderarne più di quanto ne abbiano” Un'altra idea, a volte perseguita dai futuri insegnanti e che stava alla base del tirocinio attuato all’Istituto magistrale, è che “si impara ad insegnare per imitazione” osservando altri insegnanti, ma soprattutto, e ciò è molto pericoloso, ricordando l’insegnamento avuto e appoggiandosi quasi totalmente ai libri di testo. Freudenthal4, si dice d’accordo sul fatto che si debba imparare ad insegnare nelle aule scolastiche, ma non che si impari ad insegnare insegnando. Non si può in questo caso, come egli dice, ricalcare il detto comune “ camminando si impara a camminare” , che non va certo bene per altre attività quali il nuotare, parlare, ecc. E’ indubbio per Freudenthal che “la pratica dell’insegnamento è una componente indispensabile per imparare ad insegnare” ma non basta. La constatazione quindi di una grande complessità di rapporti fra insegnamento e apprendimento e la convinzione che le situazioni d’insegnamento possano essere descritte in modo razionale è alle origini della didattica come campo scientifico. Qual è dunque il campo di studi della Didattica della Matematica? Dal vocabolario della lingua italiana Zingarelli (1999): “Settore della pedagogia che ha per oggetto lo studio dei metodi d’insegnamento”. Dal dizionario enciclopedico De Agostini (1992): “Parte della pedagogia che ha per oggetto l’insegnamento e il suo metodo” Ecco cosa intendono per didattica alcuni ricercatori contemporanei: Lacombe∗ (1985): “ La didattica riguarda essenzialmente la trasmissione delle conoscenze e delle capacità; essa costituisce, di conseguenza, il nucleo cognitivo delle ricerche sull’insegnamento” Vergnaud 5(1977): 4 Hans Freudenthal è stato professore di Matematica all’Università di Utrecht (Olanda). 5 Gérard Vergnaud è psicologo e insegna ad un’ Università di Parigi. Insieme a Brousseau è considerato in Francia il fondatore della Didattica della Matematica come disciplina scientifica. 3 “Occorre scartare ogni schema riduzionista: la didattica non è riconoscibile né alla conoscenza di una disciplina né alla psicologia, né alla pedagogia, né alla storia, né all’epistemologia. Essa suppone tutto ciò, ma non vi si può ridurre, essa ha una sua identità, suoi problemi, suoi metodi.” “ La didattica di una disciplina studia i processi di trasmissione e di acquisizione relativi al dominio specifico di questa disciplina, o delle scienze vicine con le quali interagisce.” Brousseau 6(1986): Il campo di studi della didattica sono “i fenomeni legati all’attività di insegnamento, concernenti specificatamente il sapere insegnato” Laborde∗ (1989): Ciò che noi chiamiamo didattica della Matematica in Francia riguarda lo studio dei rapporti fra insegnamento ed apprendimento nei loro aspetti che sono specifici della matematica. Margolinas∗ (1990): “Oggetto di studio di questo campo scientifico è il sistema didattico = (Insegnante – Allievo – Sapere)” Henry ∗(1991) “La didattica della matematica studia i fenomeni d’insegnamento e di apprendimento di questa disciplina” Le cinque definizioni precedenti portano dunque i didattici ad occuparsi del come e cosa si insegna, ma anche del come e cosa si apprende. La distinzione fra insegnamento e apprendimento è fondamentale: occorre rendersi conto dello scarto fra gli obiettivi o le intenzioni dell’insegnante e le conoscenze o i sapere realmente acquisiti dagli allievi. Tutto ciò si riassume nel cosiddetto “triangolo didattico”: S I A In questo triangolo sono riassunte le interazioni fra insegnante e alunno relative ad un dato sapere in una situazione d’insegnamento. Viene così superato il modello lineare della sola relazione insegnante- allievo. Oggetto di studio della didattica diventano pertanto l’insegnante, l’alunno e il sapere insegnato, in tutte le loro interazioni. In particolare la pedagogia ha spesso considerato l’attività dell’allievo indipendente dal sapere insegnato, ora invece si è capito che fra i parametri necessari per valutare l’attività dell’allievo è indispensabile inserire anche il contenuto dell’insegnamento. Infatti le teorie generali che si sono staccate dai contenuti delle discipline, “non riescono ad aiutare gli insegnanti a comprendere le difficoltà incontrate dagli studenti per specifici concetti e specifiche competenze” (Vergnaut): Inoltre è chiaro che i concetti e le conoscenze derivino da problemi specifici che l’uomo ha dovuto affrontare nel corso della storia, quindi nelle teorie generali manca l’importante aspetto epistemologico. Per concludere, in una disciplina possiamo distinguere • i contenuti di tale disciplina d • i contenuti della didattica di quella disciplina Dd, questi contenuti non sono proprio quelli della disciplina d , ma sono nuovi rispetto a d, in quanto il sapere da insegnare non è il sapere sapiente. • i contenuti di didattica generale, la quale si pone il problema di come passare dai contenuti di d ai contenuti di Dd, qualunque sia la disciplina. 6 ∗ Guy Brousseau è professore di matematica al IUFM di Bordeaux. Ricercatori francesi nel campo della Didattica della Matematica. 4 Per la preparazione di un buon docente di matematica sono quindi necessarie le tre discipline: matematica, didattica della matematica e didattica generale. Oggi la ricerca in didattica segue in particolare due filoni: • studi e ideazioni di strumenti (concreti o non), di curricula, creazioni di situazioni atte a migliorare l’insegnamento. Il centro dell’attenzione non è l’allievo bensì l’argomento in gioco. • ricerca empirica sulla fase di apprendimento. Il centro dell’attenzione è soprattutto l’allievo e il processo di apprendimento, ma anche l’insegnante e il suo metodo d’insegnamento. MODELLI DI APPRENDIMENTO I modelli d’apprendimento vengono chiamati anche modelli d’insegnamento- apprendimento in quanto descrivono modi di insegnare e i relativi modi di apprendere. I modelli di apprendimento che si sono sviluppati nel corso del tempo sono tanti, non possiamo descriverli tutti ma ci soffermeremo sui tre più importanti e attualmente più diffusi. Il modello trasmissivo Si basa sulla concezione trasmissiva del sapere, antica e tradizionale. Secondo tale concezione gli oggetti matematici hanno una esistenza propria, sono astratti e quindi non esistono nella realtà fisica. Non dipendono dallo spazio, dal tempo né dall’uomo che li evoca. Fare matematica significa accedere all’ordine teorico che regola la razionalità dell’universo e immergersi nella teoria precostituita, indipendentemente dai nostri sistemi di ragionamento. In tale tipo di concezione si accede alle verità matematiche mediante il discorso, esposizione e la dimostrazione. La matematica viene insegnata quindi nella sua forma deduttiva, come una successione di assiomi, definizioni, lemmi, teoremi e corollari, senza dare spazio alla genesi delle teorie, ai contesti problematici nei quali queste teorie funzionano e all’attività matematica autonoma degli allievi. Questo è il ruolo dell’insegnante e le conoscenze devono essere presentate in modo talmente coerente e concatenato mediante proposizione vere che l’allievo altro non può che riconoscere la verità del sapere trasmesso. Il discente è dunque solo il destinatario di un messaggio che si deve imprimere nella sua testa. Per poter apprendere l’allievo deve essere attento, deve ascoltare, seguire, imitare, ripetere e applicare. (Quanti sono i bambini che alla scuola elementare hanno grossi problemi in matematica soprattutto per quanto riguarda quelle attività non di pura applicazione, ma che richiedono un minimo di ragionamento come la risoluzione di problemi (sia pure di problemi-esercizio), ma che ad un certo punto sembra loro aprirsi la mente e improvvisamente riescono in qualche modo a entrare con un’altra visione nelle conoscenze fino ad allora a loro imposte. Questo cambiamento nell’apprendimento spesso avviene per merito di un cambio dell’insegnante, ma altre volte scatta nel bambino stesso senza alcun aiuto esterno, Questi sono i casi di individui che riescono ad entrare nel vivo della matematica indipendentemente dal tipo di insegnamento imposto, immaginiamoci cosa potrebbe trarre dalla loro mente un insegnante ad hoc. Purtroppo discenti di questo tipo se ne trovano troppo pochi. Proviamo a fare un’intervista alle persone che conosciamo.) Ecco lo schema di questo tipo di apprendimento: INSEGNANTE: SORGENTE MESSAGGIO-CODIFICA 5 ↓ ALLIEVO-RECETTORE testa decodifica trasmissione testa Il modello trasmissivo non fa “perdere del tempo”, l’insegnante riesce così a “finire il programma”. Ma in tale concezione l’allievo è passivo, quindi non si sa se il transfer ha funzionato e di conseguenza se l’allievo ha ricevuto il messaggio dell’insegnante e come lo ha ricevuto. Il modello behaviorista o comportamentista Questo modello pone le sue radici nella teoria comportamentista il cui maggiore esponente fu lo psicologo statunitense John Watson (1878-1958) il quale affermava che i processi psichici non possono essere studiati scientificamente in quanto sono esperienze individuali. L’unico dato osservabile direttamente e quindi studiabile è il comportamento. Le ricerche, effettuate negli Stati Uniti e in Unione sovietica (dopo Pavlov) con vari punti di contatto, sono incentrate sul problema dell’apprendimento. I behavioristi hanno come intento solo quello di spiegare l’apprendimento unicamente in termini di stimolo-risposta. Nelle teorie stimolo-risposta l’apprendimento viene definito come “un cambiamento più o meno permanente del comportamento che avviene come risultato di un esercizio” (1961) I comportamentisti non parlano mai di scopo, motivazione, intenzione, comprensione, ecc. Questa concezione si basa quindi sull’idea che, per far passare l’allievo da un livello di conoscenza ad un altro, sia necessario stimolare i comportamenti attesi e rinforzare le risposte positive. (Ci si comporta cioè allo stesso modo in cui si addestrano gli animali) Un principio fondamentale è che il comportamento è appreso mediante un rinforzo, anche se si ammette che vi sono eventi autogratificanti. Il rinforzo viene definito come un’azione gratificante che segue un comportamento che vogliamo venga ripetuto e che quindi rinforza il suo apprendimento. Un comportamento insoddisfacente invece può essere eliminato attraverso la mancanza di attenzione (trattenimento del rinforzo). Ad esempio una risposta errata può essere annullata anche ignorandola. Alcuni, per eliminare un comportamento errato, utilizzano anche un rinforzo negativo o punizione. Questo metodo può aumentare la probabilità di ottenere una risposta positiva, ma non necessariamente compresa dai discenti. Inoltre, così operando, non si induce nell’alunno la curiosità del conoscere e del sapere, perché la ricompensa non chiarisce il motivo che sta sotto alla risposta positiva e non induce ad effettuare alcuno sforzo per comprenderlo. Numerose ricerche hanno messo in luce che molti ragazzi non erano in grado di risolvere problemi od esercizi un po’ diversi da quelli svolti abitualmente, dimostrando di non aver compreso né i concetti né le loro mutue relazioni. Nel metodo comportamentista si definiscono in modo preciso le tappe attraverso le quali l’allievo deve passare, obiettivo per obiettivo, per poi organizzare situazioni adatte nel corso delle quali egli sarà condotto a scoprire una nuova conoscenza. Ogni volta che si sarà raggiunto l’obiettivo prefissato, si proporranno esercizi sistematici per fissare la nuova conoscenza, prima di passare all’obiettivo successivo. Tale concezione si può visualizzare con un cammino a piccoli passi. 6 insegnante allievo Tappe intermedie Questo modello è quello seguito dalla cosiddetta istruzione programmata, nella “pedagogia per obiettivi” e in tutte quelle sequenze di schede programmate dette di “scoperta” dove all’allievo si chiede di rispondere a numerose e semplici domande. Gli anni ’70 e ’80 erano quelli in cui era in voga questa concezione, naturalmente fra gli insegnanti più “attenti”. L’istruzione programmata (1955), ideata dallo psicologo e matematico statunitense Skinner (19041990), si basa sui seguenti principi: • la difficoltà viene suddivisa in piccoli passi • il soggetto viene gratificato ad ogni passo • ogni risposta positiva viene rafforzata e ogni errore subito corretto. Skinner affermava che si può insegnare “tutto a tutti” utilizzando la tecnica dei condizionamenti successivi. Egli enuncia la legge dell’errore: sbagliando si impara a sbagliare, che porta inevitabilmente a cercare di evitare il ripetersi dell’errore, ecco quindi la correzione immediata, e di prevenire l’errore per evitarlo. L’intervento in classe viene quindi programmato in modo tale che l’allievo non possa mai trovarsi in situazione di insuccesso. In questo modo si credeva che fosse l’allievo stesso a scoprire la conoscenza e che si potesse addirittura effettuare un percorso adatto ad ogni allievo. L’insegnante assume il ruolo di cooperatore del discente e interviene come ad una “lezione privata” presso l’alunno in difficoltà. C’è il vantaggio di fare lavorare nello stesso tempo allievi di diversa preparazione, di consentire ai più veloci e ai migliori di arrivare fin dove le loro forze lo permettono. Una delle maggiori carenze di questo modello è dovuta al fatto che la padronanza di ciascuna tappa o di ciascun sotto-obiettivo non assicura però l’acquisizione della conoscenza globale. Inoltre l’alunno rimane isolato dal resto della classe, l’istruzione diventa quindi un fatto individuale. 7 Anche alcuni pedagogisti contemporanei, come Mialaret7 individuano i limiti, gli inconvenienti e i pericoli di questa tecnica di individualizzazione dell’insegnamento: l’educazione presuppone un contatto umano reale, l’attività scolastica prende la forma di un rito, l’allievo si può assuefare alla mancanza d’iniziativa inoltre la suddivisione di una parte del programma crea serie difficoltà psicologiche perché il percorso della maturazione psicologica non è sempre rettilineo. Presupposti al socio-costruttivismo In entrambi i precedenti modelli di apprendimento, l’allievo non è autonomo nel suo apprendimento. Spesso in questi due modelli si da troppo spazio all’addestramento allo svolgimento di calcoli di routine concentrando l’attenzione sulla applicazione di regole rigide, delle quali si perde di vista sia l’origine che la loro funzione nella cultura matematica globale. Gli allievi imparano infatti a combinare simboli, da un lato senza vedere il legame con le teorie che vengono loro impartite, dall’altro senza utilizzarli nella risoluzione di problemi. E’ quello che talvolta chiamiamo “calcolo nudo”. Anche le attività matematiche più tecniche devono essere finalizzate se si vuole che abbiano un senso: a che cosa serve saper effettuare un’operazione se non si sa quando e perché è necessario effettuarla? Fortunatamente esiste un altro modo d’insegnare, nel quale professori e allievi lavorano insieme sulla matematica, nel quale ognuno si pone domande e impara a pensare. In quest’ottica le grandi teorie della matematica non vengono abbandonate, ma ricostruite per rispondere a certe domande. Freudenthal usa nell’insegnamento la parola “reinvenzione guidata”: “reinvenzione” per indicare l’attività matematica dell’allievo, “guidata” per indicare l’ambiente in cui essa avviene. “Il discente deve reinventare il fare la matematica piuttosto che la matematica; l’azione di astrarre piuttosto che le astrazioni; il formalizzare piuttosto che utilizzare delle formule; il costruire algoritmi piuttosto che gli algoritmi; il parlare piuttosto che il linguaggio.” (Freudenthal “Ripensando all’educazione matematica”) Imparare è creare una nuova rete di conoscenze: infatti la conoscenza non è il risultato di un semplice cumulo di conoscenze che si sommano le une alle altre: Quando si impara qualcosa di nuovo, questa nuova conoscenza si collega alla mappa di conoscenze esistenti e le modifica. Man mano che l’allievo cresce le reti di conoscenze si ampliano e si collegano mutuamente fino a formare un sistema completo. Tale costruzione non è lineare: essa subisce trasformazioni profonde, rotture e riorganizzazioni. A volte il disequilibrio che precede e che accompagna una riorganizzazioni delle strutture intellettuali, può provocare dei comportamenti che, agli occhi degli adulti, possono apparire come una regressione. I concetti devono nascere nelle menti degli studenti, non possono essere trasferiti in essa dall’insegnante. A questo proposito: Nulla egli sappia per averlo udito da voi, ma solo per averlo compreso da sè: non impari la scienza: la scopra. Se nella sua mente giungerete a sostituire l’autorità alla ragione, non ragionerà più, non sarà che lo zimbello dell’opinione altrui. ( “L’Emilio” Jean Jacques Rousseau (1712-1778) ) Non cercate di soddisfare la vostra vanità, insegnando loro troppe cose. Risvegliate la loro curiosità. E’ sufficiente aprire la mente, non sovraccaricarla. Mettetevi soltanto una scintilla. 7 Gaston Mialaret, autore di numerose pubblicazioni di carattere pedagogico, psicologico e didattico, maestro nel 1938, laureato in matematica nel 1943, in psicologia nel 1947 e in lettere nel 1957, ha insegnato in ogni ordine di scuola dalle elementari all’Università. 8 Se vi è della buona materia infiammabile, prenderà fuoco. (Le jardin d ‘Epicure, Anatole France (1844-1924), Premio Nobel per la letteratura nel 1921) …vorremmo che per quel che riguarda la matematica l’accento battesse non tanto su “l’insegnamento” quanto su “l’apprendimento”, non tanto sulle nostre esperienze quanto su quelle dei ragazzi, in pratica che si spostasse dal nostro mondo al loro mondo… (“Costruiamo la matematica” (1960) Z.P. Dienes ) Dienes8 individua un “esercito di emarginati” in matematica (73% della popolazione scolastica) e classifica gli allievi che sembrano dotati come “abili fruitori di formule memorizzate”. Egli indica come causa principale di questa incomprensione con la matematica la cosiddetta “scuola seduta” tipica di un insegnamento trasmissivo. Dienes enuncia tre principi fondamentali: • principio dinamico: la matematica non va insegnata ma “scoperta”, in una continua evoluzione di situazione psicologiche ambientali (attività in piccoli gruppi) • principio di costruttività: un concetto si costruisce per tappe successive attraverso le fasi attivaiconica-simbolica (Bruner9) • principio di variabilità matematica: una struttura concettuale deve avvenire attraverso tutte le situazioni matematiche possibili per evitare la fissità funzionale (Bruner). Inoltre ritiene importante rappresentare una stessa situazione utilizzando varie rappresentazioni ( uso di gessi colorati, lavagna luminosa, filmati, disegni, materiale strutturato e non). Oggi diremmo che è bene lavorare utilizzando vari registri: es. grafico, algebrico, verbale. Gli psicologi e i pedagogisti di questo periodo sono sostenitori della “scuola attiva”10 (“Si conosce solo ciò che si è agito”), cioè di un metodo d’insegnamento basato non sulla ripetizione e sulla imitazione, ma sull’azione (materiale o mentale) dello studente. Nel metodo attivo cambia il ruolo dell’insegnante: non deve insegnare un insieme identico di nozioni, ma fare acquisire delle positive abitudini di lavoro e creare un atteggiamento culturale. Egli deve rimanere disponibile per un gran numero di nuove esperienze proprio per imparare a sua volta dai ragazzi e imparare a perfezionarsi. Mialaret afferma che l’azione permette al concetto, all’idea e alla conoscenza di diventare parte integrante dell’individuo e di inscrivere in maniera stabile nella propria personalità gli apporti esteriori. Egli afferma ancora che: “L’umiliante imitazione o la ripetizione non motivata provoca una forma sbiadita di attività di stampo anonimo; ….ci si limita a formare degli esseri perfettamente uguali fra loro senza educare e sfruttare le ricchezze implicite nell’uomo. La vera azione..permette all’individuo di prendere atto del 8 Zoltan P. Dienes, matematico ungherese, ha orientato le sue ricerche nell’ambito della psicologia dell’apprendimento in particolar modo della matematica. Egli ipotizza che le fasi del Piaget (in particolare il periodo preoperatorio (2-7anni), quello operatorio concreto (7-11 anni) e quello operatorio formale (dagli 11 anni ) che interessano il periodo scolare) possono subire una contrazione temporale qualora si operi con una metodologia ad hoc, utilizzando giochi con materiale strutturato. 9 Jerome S. Bruner, psicologo (tutt’ora vivente) che incentra le sue ricerche sullo sviluppo cognitivo. 10 In Belgio il medico e pedagogista Ovidio Decroly (1871-1932) fondò una scuola, che fu chiamata “Scuola nuova”, i cui principi fondamentali erano la strutturazione per centri d’interessi e il metodo globale: non più scuola-uditorio, ma scuola- laboratorio, con attrezzi e ogni tipo di materiale d’osservazione e di studio. Egli ritiene che non è il fanciullo che deve adattarsi al programma, ma il programma deve essere costruito mediante la convergenza delle nozioni costitutive le singole materie verso quel centro d’interesse che impegna l’attenzione del fanciullo. In Svizzera Adolfo Ferrière fonda la “Scuola attiva” (1922) ispirata al metodo di Decroly: scuola dell’attività spontanea del fanciullo appoggiata sulle sue facoltà creatrici manuali o intellettuali. Osservare il fanciullo, svegliare in lui delle curiosità, aspettare che l’interesse susciti domande, aiutarlo a trovare da sé le risposte, usare poche parole e mostrare molte cose, fare osservare, analizzare, manipolare, sperimentare, lasciare libertà di parola e di azione, non forzare mai per non suscitare riflessi di difesa. 9 livello raggiunto, delle sue carenze e delle sue capacità; insomma essa è un validissimo mezzo di autocontrollo, di autovalutazione e di perfezionamento”. In questo modo l’allievo che costruisce il suo sapere si costruisce nella sua interezza. L’unita della persona nella sua interezza è espressa molto bene in un passo di Schopenhauer: “Un pensiero estraneo, letto, sta a un pensiero personale, che cresce in noi, come una pianta fossile sta ad una pianta in fiore in primavera….. E quando a volte, dopo tante riflessioni e combinazioni mentali, noi abbiamo individuato, con difficoltà e lentezza, una verità, una conoscenza, che avremmo potuto comodamente trovare già compiuta in un libro , allora questa verità ha un valore 100 volte più grande, dal momento che ha avuto origine dal nostro pensiero……La verità soltanto appresa aderisce a noi come un membro posticcio, un dente finto, un naso di cera, mentre quella conquistata dal nostro pensiero personale assomiglia a un membro naturale: essa soltanto ci appartiene veramente.” Il modello socio-costruttivista L’assunto di base di questa concezione è che l’allievo costruisce, in modo attivo, una sua propria conoscenza interagendo con l’ambiente ed organizzando le sue costruzioni mentali, L’istruzione influenza ciò che l’allievo apprende, ma non determina tale apprendimento, L’allievo cioè non si limita a recepire passivamente la conoscenza, ma la rielabora costantemente in modo autonomo. Questa linea, secondo Vergnaud, è quella più seguita attualmente da chi si occupa di teorie dell’apprendimento. Il punto di vista costruttivista richiede l’accettazione di due assunti fondamentali: a) la conoscenza non è recepita passivamente, ma costruita attivamente dal soggetto che apprende, b) conoscere è un processo di adattamento grazie al quale il soggetto che apprende organizza il proprio dominio di esperienze. Nascono così due posizioni di base. - costruttivismo semplice detto ingenuo, nel quale assunto; - costruttivismo radicale, nel quale si accettano entrambi. si accetta solo il primo La prima forma di costuttivismo fu quella radicale, anticipata da Vico (1710) che distingueva nettamente la conoscenza razionale e scientifica, legata all’esperienza, da quella metafisica. Successivamente Piaget rivolge la sua attenzione sulle strutture logiche attraverso le quali il bambino crescendo organizza il mondo sperimentandolo. In termini moderni il costruttivismo radicale della conoscenza è stato elaborato da Ernest Von Glasersfeld, che si è dedicato a tale studio per ottenere indicazioni per l’insegnamento delle scienze. Egli non nega la realtà assoluta, ma afferma che non si può conoscerla perché si è in grado di giustificare razionalmente solo la conoscenza che deriva dall’esperienza. Inoltre la conoscenza è un’attività di adattamento: il soggetto conoscente deve adattare ogni volta le proprie conoscenze precedenti alla nuova realtà che gli si pone davanti. Il termine realtà, per i costruttivisti indica l’insieme delle cose e relazioni su cui si basano nella loro vita e su cui credono si basino anche gli altri. L’introduzione di questo concetto porta ad eliminare l’idea secondo cui la verità che descrive il mondo sarebbe unica e indiscutibile. La risoluzione di un qualunque problema invece dipende dalle esperienze passate e dalla conoscenza di ogni individuo. Ecco dunque che ci si ritrova con diverse soluzioni, anche se non si metteranno tutte sullo stesso piano. Ci sarà il più rapido, il più economico, il più elegante, e così via. La critica che viene mossa al costuttivismo radicale, soprattutto dai didattici è l’eccessivo individualismo, cioè il non aver considerato nel processo della conoscenza l’interazione sociale. 10 Infatti per i costruttivisti radicali, come per Piaget, la costruzione della conoscenza rimane essenzialmente personale, le altre persone fanno parte dell’ambiente allo stesso modo degli oggetti. Nessuna realtà esterna può sostituirsi all’individuo nella costruzione della conoscenza. Da questa critica nasce il costruttivismo sociale che si basa, principalmente sul lavoro di Vygotsky11, che contrariamente a Piaget privilegia nella sua analisi sulla conoscenza il momento della comunicazione e quindi della interazione fra gli individui. In tale modello, oltre ad accettare i due assunti, si ammette l’esistenza di un realtà sociale e fisica e di conseguenza di un linguaggio di comunicazione. Paul Ernest è lo studioso che ha proposto per primo questa filosofia della matematica, spiegandone nel contempo l’oggettività, l’utilità e la fallibilità. Il suo obiettivo è quello di costruire una teoria riconoscendo ed ampliando il lavoro compiuto in precedenza. Egli distingue due correnti nella filosofia della matematica: - le filosofie assolutiste per le quali la matematica è sicura, certa e infallibile - le filosofie del cambiamento concettuale per le quali la matematica può essere corretta, è fallibile ed è un prodotto sociale che può cambiare. Secondo la prima corrente la matematica non si inventa ma si scopre. La seconda corrente si è consolidata anche dal fatto che ogni certezza in matematica è subordinata a ipotesi e perciò si tratta di una certezza non assoluta e condizionata Questa seconda concezione, unita al riconoscimento della matematica come costruzione sociale, porta Ernest ad aggiungere altri tre principi a quelli che sono i fondamenti del costruttivismo radicale: c) le teorie personali che risultano dall’organizzazione dell’esperienza debbono “rispettare “ i vincoli imposti dalla realtà fisica e sociale d) il punto precedente è rispettato con il ciclo teoria .ipotesi – controllo – fallimento – accomodamento – nuova teoria e) ciò da origine a teorie dotate di consenso sociale, a schemi sociali e all’uso di regole linguistiche Ernest vuole dimostrare che aggiungendo questi principi a quelli del costruttivismo radicale, è possibile salvaguardare l’oggettività della matematica. Infatti, interpretandola come costruzione sociale, risulta essere esterna all’individuo e, basandosi sul linguaggio naturale, ha come fondamenta le leggi della logica e la coerenza che caratterizzano l’uso della lingua. La certezza della matematica si fonda quindi su regole del discorso socialmente accettate. Secondo il socio-costruttivismo l’allievo costruisce il suo sapere facendo leva in ogni momento sulle sue acquisizioni anteriori. Il primo momento di un qualunque apprendimento è un tempo di “assimilazione” nel corso del quale si stabiliscono analogie, si confronta, si cercano analogie e differenze con le conoscenze precedenti. Se le informazioni ricevute e riorganizzate sono giudicate rientranti in quello che già si conosce, non si impara nulla di nuovo; si fa quindi esercizio, si confermano e si rinforzano le conoscenze precedenti. Se al contrario, ci si rende conto che le conoscenze di cui si è già in possesso non consentono di assimilare i dati della nuova situazione o si rivelano insufficienti , si crea un disequilibrio, si dice quindi che ci si trova davanti ad una vera e propria situazione problema. Le conoscenze precedenti costituiscono un ostacolo, bisognerà eliminarne alcune, trasformare quelle che sono ancora efficaci e riorganizzarle. Bachelard12 dice: “si conosce contro una conoscenza anteriore e distruggendo conoscenze mal fatte”. Lo schema seguente rappresenta la situazione di disequilibrio. 11 Lev Semenovich Vygotsky (1896-1934) psicologo russo. Egli afferma che i concetti scientifici non sono certo appresi dal bambino in funzione della sola memoria, ma interessano la natura stessa del processo della formazione dei concetti. Ciò che differenzia i concetti spontanei da quelli scientifici è il livello di generalizzazione: negli ultimi c’è una generalizzazione ulteriore del livello raggiunto dai concetti spontanei. 12 Gaston Bachelard è filosofo razionalista, professore di storia e filosofia della scienza. 11 Incontro con una nuova situazione nuovo equilibrio equilibrio precedente regressione massima Il nuovo equilibrio si raggiunge mediante un processo di “accomodamento” messo in atto dal soggetto. Anche Piaget parla di fasi di riequilibrazione a seguito di momenti di crisi e di disfunzione che il sapere attraversa (Epistemologia genetica). Un esempio si ha quando ci si rende conto che non sempre la moltiplicazione aumenta il primo numero, ma che lo diminuisce quando il secondo fattore e minore di uno. Un altro esempio è la necessità delle estensioni numeriche. I primi numeri naturali devono all’inizio integrare le loro funzioni ordinale e cardinale, i numeri più grandi possono essere compresi solo all’interno di una struttura di numerazione, servono a contare e a misurare, Ci si accorge però ben presto che non servono a misurare tutto: appaiono così i numeri razionali positivi, che non vengono ad aggiungersi ai precedenti, ma che li ampliano assorbendoli. Ma ecco nuova crisi: i razionali positivi non sono sufficienti a individuare i punti di una retta o ad individuare le soluzioni di determinate equazioni, da qui l’introduzione dei razionali relativi che estendono i precedenti e li assorbono. Ma questi ultimi numeri falliscono nel misurare la diagonale di un quadrato di lato unitario e da qui una nuova crisi. E così via. La matematica si costruisce così, ma è anche in questo modo che l’allievo conquista le proprie conoscenze, e aumenta le proprie capacità di comprendere e di interpretare la realtà. La cooperazione fra gli studenti è importante in questa fase: analizzare una situazione – problema in gruppo implica una scambio d’idee, un discutere di matematica, uno sforzo ad utilizzare forme di rappresentazione comprensibili e decodificabili dagli altri ad accettare un linguaggio convenzionale. Attualmente le ricerche in psicologia sociale mettono in evidenza il ruolo delle interazioni fra allievi e quello di conflitti socio-coignitivi: di fronte ad un problema, il confronto fra allievi di livello intellettivo un po’ diverso è molto utile per l’apprendimento. Per costruire una nuova conoscenza è necessario riconoscerne la necessità, cioè convincersi che serva a qualcosa. Per rinunciare alle conoscenze precedenti occorre ricercare e ammettere un senso alla nuova. Questo senso lo si trova nella situazione- problema da risolvere e nella relativa situazione di conflitto e destabilizzazione che ne deriva. Fin dagli anni ’70 si ritiene essenziale la motivazione per dare l’avvio ad una attività profonda ma non è possibile individuarla se non si tiene conto degli interessi degli allievi. Ad esempio l’attività di calcolo (aritmetico o algebrico) può non avere nessuna validità se poggia su una situazione completamente estranea all’alunno, mentre può rappresentare il punto di partenza di un’intensa attività mentale se permette di trovare la soluzione di un problema che preoccupa l’allievo. (Bisogna mantenere e sviluppare per tutto il corso dell’iter scolastico la sete di sapere e la gioia di conoscere che vediamo destarsi nei bambini di due o tre anni.) 12 L’apprendimento di una nuova conoscenza, che ne deriva dall’analisi di un problema, si caratterizza come una vera attività di ricerca, quindi con un processo di esplorazione e relativa produzione di ipotesi, di verifiche, di smentite, proprie a tutte le ricerche matematiche. Segue poi un’importante fase di istituzionalizzazione nel corso della quale la conoscenza è depersonalizzata, cioè liberata da ogni considerazione personale, riflessioni inutili, errori, ecc. e decontestualizzata cioè privata della sua storia precedente staccata quindi dal problema particolare per cercarne un contesto generale nel quale il concetto sia vero. C’è poi la fase della formulazione che può essere verbale o scritta. E’ proprio in queste ultime fasi che entrano un gioco, con un ruolo molto importante, le interazioni sociali: comunicazioni, dibattiti, “messa” in comune di idee, ecc Difficoltà del modello socio-costruttivista Il modello socio-costruttivista è però praticato ancora solo da una minoranza di docenti, soprattutto nella scuola superiore. Uno dei motivi è che la preparazione degli insegnanti è ancora solamente di tipo disciplinare, l’altro motivo dipende dal fatto che tale modello è complicato e difficile da gestire sia per l’organizzazione della classe che per gli aspetti affettivi che mette in gioco. Oltre alla difficoltà insita in questo tipo di insegnamento, un’altra difficoltà deriva dal fatto che i corsi universitari, che per la loro posizione contribuiscono a trasmettere uno stile, vengono svolti molto spesso sulla base della scienza deduttiva (e in molti corsi, specie in quelli molto numerosi, purtroppo non si potrebbe fare altrimenti). I corsi di questo tipo però non comunicano agli studenti il pensiero, le difficoltà e gli obiettivi dei ricercatosi che li hanno scritti. Inoltre il costruttivismo necessariamente concede autonomia agli allievi e questo può apparire come una minaccia per gli insegnanti. Ma anche se si ammette questa teoria si può avere difficoltà a: • dare fiducia agli allievi e all’attività scelta da loro stessi, rinunciando ad intervenire per aiutarlo; • rinunciare a dare la risposta attesa se questa tarda ad apparire, ad avere pazienza; • non dire “è giusto” o “sbagliato”; • non utilizzare la risposta dell’allievo “bravo” pensando che sia la migliore e rappresenti la norma; • non sentirsi investito della missione di “correttore”, ma soprattutto di coordinatore; • non evitare l’errore, ma dargli un senso; • rinunciare a seguire il proprio programma passo dopo passo, in una successione regolare, ma utilizzarlo per controllare quale parte è stata introdotta tramite l’attività eseguita; • non pensare solamente in termine di “lacune da colmare” o di “tempi da rispettare”, soprattutto quando si tratta di venire in aiuto ad un allievo in difficoltà L’abitudine di un adulto, anche come genitore, di appianare tutte le difficoltà fino al punto di evitare i problemi impedisce all’allievo di costruire le proprie conoscenze. Questo atteggiamento è molto frequente e d’altra parte comprensibile poiché rientra nell’idea che l’insegnante ha fatto il suo dovere quando l’allievo ha dato la risposta giusta, che è la risposta attesa. E’ molto difficile però rinunciare a queste abitudini educative perché restiamo sempre ancorati ai modelli che abbiamo appreso dalla nostra educazione personale e dalla nostra cultura. Le nuove concezioni, anche se ci convincono, per diventare efficaci devono entrare in conflitto con i nostri preconcetti.Questa presa di coscienza deve però essere aiutata, perché, oltre che difficoltoso, l’appropriazione di un nuovo atteggiamento è un processo lungo e in continua evoluzione. Per questo motivo tali problematiche devono essere prese in considerazione nella formazione iniziale degli insegnanti, ma anche nella formazione continua. BIBLIOGRAFIA 13 - E.Fischbein, G.Vergnaud, edited by B.D’Amore, Matematica a scuola: teorie ed esperienze, Pitagora, Bologna, 1992. B.D’Amore, Elementi di Didattica della Matematica, Pitagora, Bologna,1999. L.Grugnetti, V.Villani, (eds.), La matematica dalla scuola materna alla maturità, Pitagora, Bologna, 1999. Hans Freudenthal, Ripensando l’educazione matematica, (a cura di C.F.Manara), Editrice La scuola, Brescia, 1994. Von Glaserfeld E., Apprendimento e insegnamento dal punto di vista del Costruttivismo, L’educazione Matematica, vol.3.a.1, aprile 1992,27-37 Ernest.P., Il costruttivismo sociale come filosofia della matematica: riabilitazione del costruttivismo radicale? In Speranza F. (Ed), Quaderni di Didattica della Matematica e dei suoi fondamenti, Parma, Università degli studi di Parma, 1993,7-16 SCHEMA RIASSUNTIVO DEI MODELLI D’APPRENDIMENTO ILLUSTRATI Approccio trasmissivo Approccio behaviourista Attività principale degli allievi Ascoltare e essere attenti. Non c’e attività di ricerca da parte degli allievi. Risolvere una successione di attività guidate dall’insegnante, orali o scritte (schede) Ruolo principale dell’insegnante Comunicare o mostrare il sapere Aiutare l’allievo a risolvere i compiti proposti appianando le difficoltà. Istituzionalizzare le conoscenze Gli errori sono manchevolezze. Devono essere evitati soprattutto per guadagnare tempo. Gli errori sono manchevolezze. Devono essere evitati perché lasciano tracce indelebili Ruolo degli errori 14 Approccio Sociocostruttivista Risolvere una situazione problema. L’allievo deve assumere la responsabilità del problema e valicare la propria produzione Assicurare la consegna del problema alla classe. Animare la fase del confronto dei risultati. Istituzionalizzare delle conoscenze La presa di coscienza e il superamento di certi errori sono essenziali per l’acquisizione di concetti. Così certi errori sono provocati volontariamente, in modo che gli allievi possano Posizione del sapere Chi controlla la posizione degli allievi? Il sapere viene trasmesso dall’insegnante L’insegnante Il sapere viene scoperto dall’allievo L’insegnante 15 superarli dopo averli riconosciuti come errori. Il sapere viene costruito dall’allievo L’allievo