...

maggio / giugno 2015 - Istituto Nazionale per la Guardia d`Onore

by user

on
Category: Documents
163

views

Report

Comments

Transcript

maggio / giugno 2015 - Istituto Nazionale per la Guardia d`Onore
GUARDIA D’ONORE
Registrazione del Tribunale di Roma n° 300/86 del 10/06/1986
C/0553/2011
Filippo Corridoni, sindacalista rivoluzionario,
caduto alla Trincea delle Frasche il 23 ottobre 1915
maggio / giugno 2015
3
SOMMARIO
pag.
MAGGIO
-
GIUGNO
2015
Rivista bimestrale dell’Istituto
Nazionale per la Guardia d’Onore
alle Reali Tombe del Pantheon
Direzione:
00186 Roma - Via della Minerva, 20
Tel. 06.67.93.430
Fax. 06.69.92.54.84
Indirizzo Internet:
www.guardiadonorealpantheon.it
E-mail dell’Istituto:
[email protected]
Quote sociali
1
Cronaca delle delegazioni
2
Prossimi eventi
12
Servizi di Guardia 2014
14
Medaglie al merito di servizio 2014 18
Guardie scelte 2014
19
Cultura
20
Libri
42
Note liete
45
Necrologi
45
Nuovi iscritti
46
Oggettistica
47
Modulo di domanda di ammissione 48
Direttore Responsabile:
Ugo d’Atri
Le lettere e gli articoli esprimono unicamente le opinioni
degli autori. Proprietà letteraria, artistica e scientifica
riservata. per le riproduzioni anche se parziali, è fatto
abbligo di chiederne preventiva autorizzazione, citarne
la fonte, inviando all’Istituto una copia.
Registrazione del Tribunale di Roma
n.° 300/86 del 10-06-1986
Spedizione in abbonamento postale
Del presente numero di 48 pagine sono state
stampate 3700 copie
Finito di stampare il
Impaginazione e stampa: Co.Art s.r.l.
www.co-art.it
Prevista consegna alle poste il
SOMMARIO
La collaborazione del Direttore
e dei soci è da sempre gratuita e mai può assumere la
forma di lavoro dipendente
o di collaborazione autonoma perché incompatibile
con la natura volontaristica
dell’Istituto Nazionale per la
Guardia d’Onore alle reali
Tombe del Pantheon, di cui
la Rivista è organo.
Fermo quanto precede, la
direzione si riserva di ospitare, in attuazione all’art. 21
della Costituzione, interventi
anche di non soci a titolo
gratuito, riservandosi sempre e comunque il diritto di
apportare tagli e modifiche
ritenute necessarie.
Ogni collaborazione implica
accettazione integrale e senza
riserve di quanto precede.
Hanno collaborato a questo numero:
Giorgio Aldrighetti
Carlo Bindolini
Valter Cotti Cometti
Ugo d’Atri
Onofrio L. delli Carri
Domenico Giglio
Pietro Grassi
Riccardo Mattoli
Fabio Monescalchi
Lorenzo Orrino
Ciro Romano
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
QUOTE
SOCIALI
AMMISSIONE .............................................................100 Euro (senza fascia e cravatta/foulard)
.....................................................................................150 Euro (con fascia e cravatta/foulard)
RINNOVI ANNUALI ................................................... 50 Euro (sostenitori oltre i 50 euro)
PER EFFETTUARE IL PAGAMENTO UTILIZZARE LE SEGUENTI MODALITÀ
Istituto Nazionale per la Guardia d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon
Conto corrente postale: 59325001
Bonifico: Poste Italiane
codice IBAN: IT 08 D 07601 03200 000059325001
codice BIC: BBBIITRRXXX
SOCI BENEMERITI E SOSTENITORI
Baggio Veronica
Bondioli Osio Mario
Borrini Franco
Cardellini Claudio
Cecconi Anna
Coppi Maria Beatrice
Duvina Pierluigi
Fazzi Giovanni Benedetto
Formato Marco
Frau Marcello
Fumagalli Gianferdinando
Galdini de Galda Marco
Galli di Acciano Francesco Antonio
Grandi Maria Luisa
Gremo Vittorio
Lapucci Francesco
Levato Carmine
Lubin Valentini Giuseppina
Lucia di Masca Edoardo
Nobili Giuseppe
Panariti Benito
Passoni Rodolfo
Pizza Ciro
Rubino Giacomo
Sartor Giorgio Giulio
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
1
CRONACA DELLE
DELEGAZIONI
ALESSANDRIA
Pecetto di Valenza, 28 marzo 2015
La delegazione provinciale ha organizzato una visita
alla mostra su Borsalino e la Grande Guerra presso
il museo del Cappello. Dell’evento ha dato notizia
anche la stampa locale. Le Guardie d’Onore presenti
erano: Ronza, Torielli, Luxardo, Amisano, Barco,
Scaffino, Ulandi, Ferrari, Calvi di Bergolo, Lombardi, Raspagni, Cassero, Camagna, Marabello (delegazione di Savona), Tizzoni (Piacenza).
AREZZO
6 febbraio 2015
In un ristorante del centro
della città di Arezzo, si è
tenuta una riunione conviviale della Delegazione
della Guardia d’Onore
delle Province di Arezzo e
Siena. La riunione, dovuta all’iniziativa della
Delegata Maria Isolina
Forconi, ha rappresentato
il secondo evento del genere svoltosi, a distanza di
circa un anno dal precedente, nella città toscana.
All’evento stesso hanno
preso parte le seguenti
Guardie d’Onore della Delegazione: Tiziana Bianchini, Luigi Borgia, Lorenzo Carlini, Massimo Cocchi, Francesco Saverio Farina, Maria Isolina Forconi,
Luciano Gatteschi, Raffaello Giorgetti. Sono stati altresì presenti quattro aspiranti all’ingresso nella
Guardia: Mino Marino Faralli che, nell’occasione, ha
consegnato alla Delegata la relativa domanda di
ammissione, Giuliano Caroti, Paolo Debolini, Ascanio Morreale.
2
Terminata la cena, su invito della Delegata, ha preso
la parola la Guardia d’Onore Luigi Borgia, il quale ha
trattato di un argomento, molto poco conosciuto, che
ha riguardato la storia sabauda della prima metà dell’Ottocento: il legittimo trasferirsi dei diritti sulla corona del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda dall’ultimo rappresentante degli Stuart reali, il cardinale
Enrico Benedetto (*1725†1807), a due generazioni
della Reale Casa di Savoia. In breve, ecco i fatti.
Il 2 febbraio del 1689 Giacomo II Stuart, Re d’Inghilterra e di Scozia, marito in seconde nozze della
cattolica Maria Beatrice d’Este e favorevole al Cattolicesimo, venne deposto e sostituito dal genero
Guglielmo III di Nassau Orange, figlio di Maria
Stuart, prima sorella di Giacomo II, e marito di Maria II, figlia avuta dallo stesso Giacomo dalla prima
moglie Anna Hyde. Morto Guglielmo III, gli succedette la regina Anna Stuart, secondogenita di Giacomo II e della Hyde. Come è noto, morta anche
Anna senza discendenza nel 1714, il trono britannico
(nel 1707 si era costituito il Regno Unito) passò al
Principe Elettore Giorgio I di Hannover, nipote abiatico di Elisabetta Stuart, sorella maggiore di Re
Carlo I. Da Giorgio di Hannover discende l’attuale
Sovrana del Regno Unito.
Da Maria Beatrice d’Este, però, Re Giacomo II aveva
avuto nel 1688 un figlio maschio, anch’egli di nome
Giacomo, detto il Vecchio Pretendente, che i legittimisti britannici riconobbero come Giacomo III.
Da Maria Clementina Sobieska questi ebbe due figli.
Il primo, Carlo Edoardo, detto il Giovane Pretendente, Re di solo titolo con il nome di Carlo III, condusse lo sventurato tentativo di restaurazione stuardiana culminato nel 1746 nel disastro di Culloden;
dalla moglie, Luisa di Stolberg Gedern, la famosa
Contessa di Albany amante di Vittorio Alfieri, non
ebbe discendenza. Il secondo figlio, Enrico Benedetto, venne creato cardinale nel 1747 da Benedetto
XIV e, alla morte del fratello primogenito, venne riconosciuto Re titolare con il nome di Enrico IX dai
legittimisti cattolici britannici.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Il cardinale Enrico Benedetto, ultimo rappresentante della linea reale di
Casa Stuart, morì a Roma
nel 1807 dopo aver trasferito i suoi diritti al più
prossimo parente, Vittorio
Emanuele I di Savoia, Re
di Sardegna. Questi discendeva dalle nozze che
Re Vittorio Amedeo II di
Savoia aveva contratto
con Anna, figlia di Filippo di Borbone, duca di
Orléans e fratello minore del Re Sole, e di Enrichetta
Stuart, sorella ultragenita di Re Giacomo II: il legame
di parentela che univa Enrico Benedetto con la Casa
di Savoia era, quindi, più vicino di un grado rispetto al legame parentale con la Casa di Hannover,
ascesa al trono britannico nel 1714.
Perciò, morto Enrico Benedetto nel 1807, i legittimisti e i cattolici britannici riconobbero come legittimo pretendente al trono britannico Vittorio Emanuele I di Savoia con il nome di Vittorio I.
Come è noto, nel Reame
britannico non vige la
Legge salica: pertanto,
morto Vittorio I nel 1824
la successione stuarda fu
raccolta, in mancanza di
figli maschi, dalla figlia
primogenita Maria Beatrice, riconosciuta come
legittima pretendente con
il nome di Maria III; alla
morte di Maria, avvenuta
nel 1840, i diritti derivanti
dalla successione stuarda si trasferirono al figlio primogenito natole da Francesco IV d’Asburgo Este,
Duca di Modena, il Duca Francesco V (Francesco I
del Regno Unito). Dal ramo modenese degli Asburgo
i diritti stessi si sono trasferiti, ancora per via femminile, al capo della Casa di Baviera del ceppo dei
Wittelsbach.
Ecco spiegato come, nel corso dei trentatré anni
compresi tra il 1807 e il 1840 i legittimisti britannici
hanno riconosciuto come loro Sovrani, sia pure di
solo titolo, un Re e una Principessa di Casa Savoia.
Per essere di ben scarsa notorietà, l’argomento ora
rapidamente riassunto ha suscitato nell’uditorio un
notevole interesse.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
ASTI
5 marzo 2015
La Delegazione provinciale ha partecipato, nell’ambito delle iniziative per celebrare il centenario della
Prima Guerra Mondiale (1914 – 1918), all’inaugurazione della mostra itinerante dello Stato Maggiore
dell’Esercito presso la sala del Coro dell’Archivio
Storico di Stato di Asti. L’invito a presenziare è pervenuto da parte della Prefettura di Asti, della Provincia e del Comune. La mostra offre la possibilità
di vedere esposti pannelli con foto dell’epoca, tra cui
divise, armi, piastrine, gavette, elmetti, mezzi.
Presenti all’evento Mons. Francesco Ravinale Vescovo di Asti, il Vice Prefetto Reggente di Asti Dr.
Paolo Ponta, il Sindaco e Presidente della Provincia
Avv. Fabrizio Brignolo, vari Assessori, il Col. Antonio Zerrillo del Comando Regione Militare Nord, il
Col. Bartolucci, la Consigliera provinciale delegata
alla Cultura Dr.ssa Barbara Baino, il Dirigente dell’Ufficio Scolastico di Asti Dr. Alessandro Militerno,
il Comandante dei Carabinieri, il Questore, il Comandante della Guardia di Finanza, giornalisti e
operatori tv. Le Guardie d’Onore di Asti erano presenti
con tre bandiere e il labaro. GG. d’O. presenti: Federico Bollito – Alfiere, Agagliati Severino – Alfiere, Michela Morreale – Alfiere, Vittorino Pia, Giorgio Galeasso, Paolo Ponta, Arnaldo Agresta, Paolo
Mastrocola, Giuseppe Gallo, Osvaldo Dezzani, Ivano
Gavazza, Giuseppe Nobili, Alessandro Raviola, Lucia
Portioli.
14 marzo 2015
La Delegazione provinciale è stata invitata, presso la
Sala Convegni del Comitato provinciale di Asti della
Croce Rossa Italiana, alla conferenza sul tema:
3
“Come cambia la figura femminile all’alba del
Grande Conflitto”. Relatrice della conferenza la
Guardia d’Onore della Delegazione di Asti S.lla Lucia Portioli.
L’argomento è stato molto interessante, corredato da
filmati dell’epoca sulla condizione della donna durante la Prima Guerra Mondiale.
La conferenza è stata inserita nell’ambito delle manifestazioni e celebrazioni del centenario della prima
Guerra Mondiale. Presenti il Sindaco di Asti e Presidente della Provincia e vari Assessori. GG. d’O. presenti: Giovanni Triberti – Delegato, Federico Bollito,
Michela Morreale, Osvaldo Dezzani, Ivano Gavazza,
Alessandro Raviola, Viviana Cornaggia.
21 marzo 2015
La Sezione U. N. I. R. R. di Asti, con il Presidente
Comm. Giovanni Triberti, il labaro e una decina di
soci, su invito del Sindaco di Milano Avv. Giuliano
Pisapia, ha partecipato alla cerimonia commemorativa in onore di tutti i caduti di Russia, nella ricorrenza del 72° anniversario della battaglia del Don,
presso la Basilica di Sant’Ambrogio.
La Santa Messa è stata celebrata da Mons. Enrico Pirotta, Capo del Servizio Spirituale Interforze, alla
presenza di numerosissimi fedeli tra cui il Vice Sindaco di Milano e due assessori, il Consigliere Comunale Prof. Matteo Forte, il Vice Presidente della
Provincia, un assessore regionale e autorità militari
di alto grado. Presenti i labari del Comune di Milano
e della Provincia.
La Presidente Nazionale dell’U. N. I. R. R. Cav. Uff.
Luisa Fusar Poli, ha pronunciato un toccante e commovente discorso commemorativo in onore dei caduti e dispersi nella Campagna di Russia.
4
Il Vice Presidente Nazionale dell’U. N. I. R. R., Presidente dell’U. N. I. R. R. Sezione di Asti e Delegato
provinciale di Asti dell’Istituto, Giovanni Triberti, ha
ringraziato la Presidente Nazionale Cav. Uff. Luisa
Fusar Poli per l’impegno, la dedizione e il sacrificio
profusi in questi anni per dare lustro all’U. N. I. R.
R. e per ricordare i nostri caduti e dispersi in terra
di Russia e per tenere alto l’onore dei pochi reduci ormai rimasti in vita.
Giovanni Triberti ha pure ricordato il precedente
Presidente Nazionale dell’U. N. I. R. R., Cav. Pietro
Fabbris, reduce di Russia.
Alla cerimonia hanno presenziato numerose associazioni combattentistiche e d’arma con labari e
bandiere. Al termine della funzione sono stati resi gli
onori con deposizione di corona d’alloro al sacrario
dove riposano i resti di soldati caduti. Le Guardie
d’Onore presenti sono state poi invitate al pranzo
presso il Circolo degli Alpini. GG. d’O. presenti:
Giovanni Triberti – Delegato, Romolo Triberti, Nello
Scrimaglio – alfiere, Michela Morreale – alfiere, Federico Bollito, Osvaldo Dezzani, Greta Podavini.
Cenni storici.
Nella Basilica sotto il presbiterio vi è la tomba del Vescovo S. Ambrogio, patrono di Milano, accanto alle
reliquie dei Santi Gervasio e Protasio.
Nel 1928, accanto alla Basilica, è stato eretto dalle
associazioni combattentistiche il sacrario dedicato ai
caduti milanesi. Si tratta di un tempio ottagonale a
ricordo delle otto porte della città.
La nicchia anteriore accoglie la statua bronzea alta
5 metri del santo patrono che calpesta le serpi, simboleggianti i sette vizi capitali. Nei lacunari della
volta sono rappresentati i 3 santi protettori delle
varie armi: S. Martino, Santa Barbara e S. Giorgio.
Nei diversi lacunari presenti sono rappresentati i
simboli, i trofei, i fregi in bassorilievi degli anni
delle guerre 1916/1917/1918. Sul portale della vittoria del 1918 sono incisi i nomi delle vittorie riportate nelle battaglie di cielo, mare e terra.
Attraverso il portale si accede alla cripta sulle cui pareti si trovano le tavole bronzee con i nomi dei caduti
della prima guerra mondiale.
Il sacrario che raccoglie le spoglie dei caduti tumulati nei vari cimiteri cittadini, consiste in un enorme
salone suddiviso in tre piani da ampie balconate; accoglie attualmente 4578 urne con i resti di caduti
delle due grandi guerre ed è meta del continuo pellegrinaggio di scolaresche, di associazioni culturali,
di associazioni combattentistiche italiane e straniere.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
23 marzo 2015
La Delegazione provinciale di Asti ha partecipato, su
invito del Comandante dei Carabinieri Col. F. Federici, del Comandante della Guardia di Finanza Col.
M. Vendola e del Questore Dr. F. C. Di Francesco,
presso la bellissima Cattedrale di Asti, alla celebrazione del precetto pasquale.
La S. Messa è stata officiata da Mons. Francesco Ravinale, Vescovo di Asti.
Presenti tutte le autorità civili, militari e religiose.
Erano presenti le seguenti GG. d’O.: Giovanni Triberti – Delegato, Federico Bollito – Alfiere, Nello
Scrimaglio – Alfiere, Maurizio Madonia, Dr. Paolo
Ponta, Osvaldo Dezzani, Ivano Gavazza, Antonino
Lo Giudice, Antonello Lilliu.
BARI
Corato, 14 marzo 2015
per saldare ulteriormente un afflato che dura ormai
da molti anni. Nel citato convegno, oltre che le relazioni dei tre Delegati si sono affrontate le prospettive
di futuri impegni e iniziative da intraprendere, tra
cui, quella dell’istituendo Monumento alla Principessa Mafalda di Savoia, in fase già avanzata di
realizzazione e di autorizzazioni amministrative nel
Comune di San Severo a cura e spese, unicamente,
delle Guardie d’Onore della provincia di Foggia,
che doneranno alla città di San Severo. Alla Manifestazione erano presenti circa sessanta Guardie d’Onore delle tre province ed altri ospiti quali il Generale Pasquale Stella, il giornalista Franco Tempesta,
il Presidente Regionale pugliese dei Granatieri di
Sardegna Giuseppe Caldarola. Erano presenti,
tral’altro, il prof. Gaetano Minenna, il Dott. Mariano Rubini, il dott. Felice De Carlo, Piccinni Vincenzo, Presidente ass. Combattenti e Reduci di Molfetta, Andrea de Gennaro e le Guardie d’Onore:
Piazzolla Ruggiero, Oronzo Cassa, Onofrio delli
Carri, Calvano Matteo, Galli Antonio, Miche Cupaiolo, Antonio De Giorgi, Agostino Franco, Frisoli
Nicola, Bove Luigi, Piazzolla Filippo Antonio, Porcelluzzi Domenico, Di Staso Tommaso, De Nisi Alberto, squiccimarro Nicola, Leone Filomena, Ragno Sergio, Interesse Giuseppe, Mininno Michele,
Tarantini Nunzia, Barione Giuseppe, Nevola Francesca, Rutigliani Niccolò, Sisto Damiano, Altini Giuseppe, Neri Nicola, Parato Vincenzo, Baldassarre
Dionigi, Delia Anna, Albino Mariastella, Gigante
Renzo.
BIELLA
Proseguendo nella politica di co-organizzazione le tre
province della Puglia nord ossia Bari, Barletta-Andria-Trani, e Foggia, anche per merito dei tre Delegati Oronzo Cassa, Ruggiero Piazzolla e Onofrio
delli Carri, si è consolidata una sorta di afflato, non
solo tra i delegati, ma anche tra le guardie d’Onore
che, sempre più volentieri e numerose, partecipano
alle manifestazioni, culturali e celebrative, nelle
quali non si notano, come nei decenni passati, invidie gelosie e rivalità ma unità ed uniformità di comportamenti tendenti alla crescita del nostro glorioso
Istituto. Nel mese di Marzo a Corato (BA) nella sede
del Club Reale Savoia che è anche la sede provinciale
delle Guardie d’Onore si sono date appuntamento le
Guardie d’Onore di Bari, la manifestazione è stata
un’occasione per le tre Delegazioni della Puglia Nord
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
20 marzo 2015
Nel contesto delle celebrazioni del centenario della
Grande Guerra, ad iniziativa della Prefettura di
Biella, è stata presentata la mostra itinerante dello
Stato Maggiore Esercito unitamente ad una selezione della mostra allestita dall’Istituto.
Ha fatto seguito la proiezione del film “Fango e gloria” realizzato per l’occasione con la collaborazione
di SME.
Fra i presenti, tutte le autorità della Provincia e
della città, il vice-comandante della Regione Militare
Nord, Gen. Petrosino, le associazioni combattentistiche e d’arma, il Gen. Magnani, presidente dell’Istituto del nastro Azzurro, vari parlamentari locali,
per l’Istituto, il labaro della delegazione biellese, il
5
presidente dell’Istituto, comandante d’Atri, il delegato provinciale R. Conzon, le Guardie d’Onore Bernardini, Bona, Cerami, A. Ferrari, Rosazza Mina
Gianon, Semenzato.
BRESCIA
Temù, 18 aprile 2015
Ricordati i “Diavoli dell’Adamello”.
“I morti è meglio che non vedano quel che sono capaci
di fare i vivi e la strada storta che sta prendendo il
mondo. È meglio che non si accorgano nemmeno che noi
siamo diventati così poveri e tanto miseri che non siamo
capaci di volerci bene. No, è meglio che i morti stiano
nella neve e nel ghiaccio e che non sappiano di noi, altrimenti potrebbero pensare di essere morti invano ed allora si sentirebbero ancora più soli”
Gian Maria Bonaldi – combattente sull'Adamello
La Delegazione di Brescia nel contesto delle celebrazioni del centenario dell’inizio della Grande
Guerra, in collaborazione con l’Ispettorato per la
Lombardia ha organizzato la visita al Museo della
Guerra Bianca di Temù, che custodisce le memorie
del sacrificio e i segni del valore dei soldati combattenti sulle vette delle Alpi.
Il Museo della Guerra Bianca nasce nel 1972 per iniziativa di Sperandio Zani – alpino reduce della
prima Guerra Mondiale – che combatté proprio sul
ghiacciaio dell’Adamello, con l’intento di conservare e valorizzare il patrimonio storico di quel periodo, in onore degli uomini che sulle nostre montagne hanno sofferto e si sono sacrificati per la Patria.
Nelle sale del Museo sono raccolti manufatti, armi ed
oggetti ritrovati sul ghiacciaio, a testimonianza delle
fatiche e dell’eroismo di una guerra svoltasi ad oltre
3000 metri di quota. I numerosi Soci sono stati guidati nella visita dalla competente ed appassionata
guida Fabio Fogliaresi che nella sua esposizione non
ha inteso fare un’esaltazione della guerra bensì rendere un doveroso omaggio a uomini valorosi, senza
6
discriminazioni fra le parti in lotta. Soldati dello
stesso ceppo montanaro si fronteggiarono per quasi
quattro lunghi anni di guerra, chiamati dal senso del
dovere ad assolvere un compito arduo ed ingrato,
battendosi in silenzio per la propria causa, con la tenacia e la modestia che sono caratteristiche di tutta
la gente di montagna.
Le Guardie d’Onore bresciane hanno reso omaggio
all’effige e al medagliere dell’eroico ufficiale degli Arditi alpini, il “camoscio” camuno Giacomo Comincioli a cui la Delegazione è dedicata (Cavaliere della
Corona d’Italia, quattro volte decorato di M. A. V.
M., tre volte decorato di M. B. V. M.), custodite nella
prima sala museale.
Alpini e Kaiserjäger scrissero pagine toccanti, in cui
al valore puramente militare, si aggiunse quello di
straordinarie esperienze alpinistiche e di vita in alta
montagna, in condizioni difficilmente concepibili,
oggi, a cent’anni di distanza.
La Guerra Bianca fu lotta di piccoli reparti e di pochi
uomini contro le insidie e le tremende difficoltà naturali la cui memoria, grazie alla meticolosa e precisa
opera di catalogazione ed esposizione esplicativa, è tramandata dal solo Museo di Temù. Così, senza vana retorica, vengono degnamente ricordate le eccezionali
battaglie di cui furono protagonisti italiani ed austriaci sui più elevati campi di battaglia della Grande
Guerra perché si constati in quale misura gli uomini
seppero, in passato, combattere e sopportare sacrifici
per un alto sentimento del dovere.
L’iniziativa è stata apprezzata dai Soci, particolarmente dai più giovani, che hanno potuto testimoniare ancora una volta i valori patriottici e storici del
nostro Istituto ed ha ricevuto il plauso convinto dell’Ispettore Cav. Dott. Eugenio Longo.
CAGLIARI
Gesico, 21 marzo 2015
La Delegazione provinciale ha partecipato ad una
Santa Messa solenne da requiem organizzata dagli
Ordini Dinastici di Casa Savoia in occasione del 32°
anniversario della morte di S. M. il Re Umberto II,
nella Chiesa Parrocchiale di S. Giusta Vergine Martire, officiata dal Parroco Rev. Cav. don Luca Pretta.
Erano presenti le Guardie d’Onore: Cav. Gr. Cr. Cav.
Nob. Dott. Don Antonello Fois, Comm. Nob. Cav.
Ing. Don Alessandro Grondona, Gr. Uff. Cav. Nob.
Prof. Don Enrico Sanjust di Teulada, Comm. Enrico
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
NAPOLI
De Murtas, Comm. Dott. Alberto Lazzardi, Comm.
Gen. Pierluigi Pascolini, Cav. Prof. Peter Gregory Jones, Cav. Nob. Don Emanuele Aymerich di Laconi,
Cav. Nob. Dott. Don Emanuele dei Conti Villa Santa,
Cav. Uff. Pietro Pisu, Dama di Gr. Cr. N. D. Maria
Antonietta Fois Camboni e Dama N. D. Alice Aymerich di Laconi.Gianon, Semenzato.
28 marzo 2015
La delegazione provinciale di Napoli dell’Istituto e la
delegazione campana degli Ordini Dinastici di Casa
Savoia, entrambe rette dal conte avv. Gerardo Mariano Rocco dei Principi di Torrepadula, hanno celebrato il precetto pasquale con una Santa Messa officiata nella Reale Basilica di San Francesco di Paola.
Ha fatto seguito una cena di beneficenza presso il
Circolo Canottieri Napoli con trantacinque partecipanti, fra i quali, oltre al delegato delle Guardie
d’Onore e degli Ordini, il presidente dell’Istituto,
capitano di vascello dr. Ugo d’Atri, l’ispettore per la
Cultura, prof. dr. Ciro Romano, le Guardie d’Onore
dr.ssa Iadicicco, avv. Scalingi, avv. Federica d’Atri,
comm. Armenio, cav. Araimo, comm. Balzano, rag.
Bruscino, ing. Di Martino, com.te Monda.
RAVENNA
GENOVA
11 febbraio 2015
La delegata provinciale, prof.ssa Raffaella Saponaro, ha tenuto una conversazione su “Mafalda di
Savoia-Assia: principessa martire” per i “Convegni
di Cultura Beata Maria Cristina di Savoia”. Il personaggio di Mafalda ha suscitato molta commozione.
Santa Margherita Ligure, Marzo 2015
La prof.ssa Saponaro ha tenuto una conversazione
su di un personaggio poco conosciuto, dal titolo:
“Xavier de Maistre: un sabaudo alla corte di San Pietroburgo”.
MILANO
Nel numero della rivista marzo-aprile 2015 è stata
riportata erroneamente la partecipazione al corteo
svoltosi nel novembre 2014 a Milano del dr. Michele
De Blasiis, presente a titolo meramente personale
senza partecipare al corteo.
Il dr. De Blasiis, inoltre, era presente nella veste di
presidente del Gruppo Savoia alle esequie del dott.
comm. PierLuigi Beretta, vice-presidente di quest’ultimo sodalizio.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Faenza, 12 aprile 2015
Dal 1983, anno della morte di S. M. il Re Umberto
II, la famiglia Leonesi Ricciardelli fa celebrare una
Santa Messa in suffragio del Sovrano e, dal 2001, di
S. M. la Regina Maria Josè.
Quest’anno, la partecipazione delle Guardie d’Onore è stata ancora più numerosa che negli anni precedenti; le presenze sono state circa un centinaio.
Dopo la S. Messa, la Guardia d’Onore Alessandra
Leonesi Ricciardelli, ha ospitato i convenuti a colazione nel suo palazzo.
Fra i presenti il presidente Ugo d’Atri, Ciro Romano, Paolo e Antonella Arfilli, Giancarlo e Maria
Luisa Flamigni, Serena Savorani, Jean ed Elisa de
Vito, Raffaella Sparapano, Romano Giovannini,
Luca Giunchi, Fernando Imbroglini, Marco Magnani, Alberto Urizio, Dionigi Ruggeri, Andrea de
Tomasi, Elisa Squerzanti, Raffaele Galliani, Adolfo
Legnani Annichini, Pietro Barbieri, Emilio ed Alessandra Manzini, Elisabetta Fava, Salvatore Caudarella, Franco Cacciari, Cristiano Lovatelli Ravarino,
Antonia Pugliese Negroni, Domenico e Beatrice
Guarnieri, Michele Claudia Romano, Luigi e Carla
Guarnieri, Patrizio Gagliardi, Roberto Vittorio Favero con la consorte, Claudio Angeli, Lidia Angeli,
Paolo Camorani, Giordano Cangini, Giammarco,
Nice e Paolo Zannetti, Vittorio Berdondini, Pietro ed
Elvira Maranca, Antonio Del Biondo, Giuseppe Be7
deschi, Gianni Ruzzier, Aleardo Maria Cingolani,
Giorgio Galvani, Adalisa Cavuti, Antonella Bergamaschi, Marco Sgroi, Carlo Spaggiari, Andrea Elefanti, Marco Formato e Cecilia Dealessi, Riccardo
Rubbiani, Gaetano Scaravelli, Anna Volta.
ROMA
14 marzo 2015
L’Istituto, unitamente all’Associazione Amici della
Somalia, ha ricordato gli anniversari della morte di
S. M. il Re Umberto II e di S. A. R. il Principe Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi con una Santa Messa
celebrata al Pantheon dalla Guardia d’Onore fra
Marco Galdini de Galda.
Circa settanta le persone presenti, fra le quali il
principe Gonzaga marchese del Vodice, il capitano di
vascello d’Atri, la marchesa Ripa di Meana, presidente, il nob. avv. A. Marini Dettina, il gen. Blais, i
conti Harrach con la figlia, il dr. Pietroni, il col. pil.
Caruso, l’ing. Piazzini, il nob. dr. R. Mattoli, il dr. T.
Monescalchi, il cav. F. Monescalchi, il dr. Iannaccone,
il dr. Formato, il comm. Mereu, la prof.ssa Piraccini,
il rag. Giulivi, il cap. Gottardi, il sig. Polini, il sig.
Preziosi, il dr. Amorosi Golisciani, il dr. Tabili, il sig.
Crisafulli, la dr.ssa Pantano.
21 marzo 2015
154° anniversario della proclamazionedel regno d’Italia - Guardia Solenne.
17 marzo 2015
La Guardia d’Onore Costantino Lucatelli alla 415°
fiera Nazionale di Grottaferrata
18 marzo 2015
Il sottosegretario alla Difesa On. Gen. C. d’A. Rossi,
depone una corona d’alloro alla tomba del Padre
della Patria.
8
10 aprile 2015
Nella sede dell’Unione Nazionale Ambiente Agriturismo (U. N. A. A. T.), gentilmente concessa dal suo
presidente, la Guardia d’Onore Nob. dr. Carlo Dettori, è stato presentato il libro Piccolo grande Re. Vittorio Emanuele III. Un’altra storia della Guardia
d’Onore Guglielmo Bonanno di San Lorenzo, con interventi di Emilio Petrini Mansi della Fontanazza,
Ugo d’Atri e Raffaello Cecchetti.
Oltre ottanta le persone presenti, fra le quali le
Guardie d’Onore Principe Carlo Massimo, dr.ssa
Anita Garibaldi, avv. Pazzaglia, nob. avv. A. Marini
Dettina, nob. dr. Lazzarino de Lorenzo, dr. Carpinelli, avv. Rovere, cav. F. Monescalchi, cav. D’Orazio,
prof.ssa Piraccini, nob. amb. Cassani Pironti, avv. F.
Gagliani Caputo, sig.ra Pasquali, comm. Mereu,
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
prof. avv. Scarpa, dr.
Gallelli Benso, gen.
Gizzi, dr. Imperato
di Montecorvino,
gen. Calò, sig. Preziosi, dr.ssa Lombardi Satriani, maestro Lovera, amb.
Bosco, ten. col. Cipriani ed inoltre i
Principi Luigi e
Orietta Boncompagni Ludovisi, il principe Stefano Pignatelli di Cerchiara,
Pierluigi Brancia di
Apricena, il dottor
Pietro Lucchetti, il Prof. Avv. Fausto Giumetti, il dr.
Ferrari, il dr. Felici, il dr. R. Mattoli, il dr. Guerriero,
la sig.ra Pasqua, la sig.ra Carrozzo.
VERCELLI
27 dicembre 2014
Si sono svolte le celebrazioni del 67° Anniversario
della Scomparsa di S.M. Vittorio Emanuele III, del
60° anniversario del Ritorno di Trieste all’Italia, e dei
Caduti di Tutte le Guerre.
La cerimonia ha avuto inizio presso la Confraternita
di Sant’Anna, dove l’Infermiera Volontaria Lucia
Portioli, ha tenuto la Conferenza dal Titolo: ESODO
e SOCCORSO per gli ISTRIANI, FIUMANI e DALMATI in VERCELLI.
I presenti ne sono rimasti contenti della sua grande
preparazione.
Si è proseguito con il corteo, il quale si è diretto presso
il Municipio di Vercelli, deponendo così una Corona
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
d’alloro ai Caduti della Prima Guerra Mondiale.
La Fanfara degli Alpini della Valsesia ha accompagnato il Corteo.
Il corteo è poi ripartito alla volta della stessa Chiesa
per la Santa Messa, celebrata dall’Assistente Spirituale delle Delegazioni di Novara e Vercelli, Cav. Uff.
Can. Mons. Gian Luca Gonzino.
Al termine della Funzione, ha preso la parola l’Alpino Carlo Fedeli, il quale ha illustrato la figura di
Re Vittorio Emanuele III durante la Prima Guerra
Mondiale, riscuotendo gli applausi dei presenti.
Il Delegato di Novara. Marco Lovison, ha voluto
comunicare ai presenti che c’è ancora molto da testimoniare sulla figura del Re Vittorio Emanuele
III, oltre al rientro della sua salma, si uniscono quelle
della consorte, la Regina Elena, del figlio, Re Umberto II e della consorte la Regina Maria Josè.
È stato letto il Messaggio Augurale di Sua Altezza
Reale Vittorio Emanuele di Savoia, Capo di Casa Savoia.
I Delegati delle Province di: Novara, Vercelli, Alessandria e Torino a conclusione, a riprova delle reciproche visite e del forte legame che le unisce, hanno
voluto fortemente gemellarsi, unendo i relativi labari
e bandiere con un nastro tricolore, il quale è stato tagliato dal Padrino, il conte Niccolò Calvi di Bergolo.
Erano presenti: il Sindaco di Vercelli Prof.ssa Maura
Forte, il Sindaco di Borgo Vercelli, Dr. Mario Demagistri. L’evento è stato Patrocinato dai Comuni di
Vercelli e Olcenengo. Inoltre: Infermiere Volontarie
– Ispettorato Provinciale di Vercelli; Associazione
Nazionale Arma di Cavalleria Bianchi Lancieri di
Novara (Sezione di Novara) – Presidente Prof. Ten.
Agatino Pietro Paolo Marletta; Associazione Nazionale Bersaglieri Provinciale e Sezione di Vercelli –
Presidente di Sezione Vercelli Bers. Franco Talpo, Alfiere, Luigi Zanellato; Associazione Nazionale Marinai d’Italia Sezione di Alessandria – Presidente
9
Enrico Brusa, Segretario Alberto Pozzo, Fabio Migletta, Carla Carucci; Associazione Nazionale Autieri
d’Italia – Presidente di Novara Brig. Generale Salvatore Granatino; Associazione Nazionale Famiglie
e Caduti e Disperi in Guerra Presidente Provinciale
di Asti Dr. Maurizio Zarli, Consigliere Nazionale.
Guardie d’Onore presenti: Novara – Delegato Marco
Lovison, Alfiere Mario Angelo Crivelli, Segretario
Angelo Larossa, Roberto Squarini, Paolo Guglielmi;
Vercelli – Assistente Spirituale Can. Mons. Gian
Luca Gonzino; Alessandria – Paola De Andrea,
Conte Niccolò Calvi Bergolo, Natalino Amisano, Augusto Sensi, Emanuele Lombardi, Francesco Pastore, Simona Castellana; Torino – Claudio Cardellini; Asti – Alessandro Raviola.
VITERBO
Capodimonte, 25 – 26 ottobre 2014
La delegazione provinciale è stata invitata dal Comune
di Capodimonte alla cerimonia per il centenario del
primo conflitto mondiale. Il gen. C. d’A. Rocco Panunzi
e la prof.ssa Felicita Menghini hanno tenuto una conferenza su “L’Europa in fiamme” mentre il giorno seguente si è svolto un corteo istituzionale per la deposizione della corona d’alloro al monumento ai Caduti
della città lacuale. A seguire, si è tenuto un concerto per
la pace e la lettura di lettere e poesie dalla trincea.
Erano presenti con il labaro e la Bandiera stemmata le
GG. d’O. Attilio Apolloni, Renato Pizzichetti, Franca
Quadrani, Pier Ferdinando Petri, Aldo Quadrani, Mario Mochi e Paola Petri.
4 novembre 2014
In occasione della Festa dell’Unità Nazionale la delegazione provinciale, con le insegne dell’Istituto,
ha partecipato alla cerimonia dell’alzabandiera e, nel
pomeriggio, alla conferenza “Il rombo del cannone”.
Capodimonte e Bagnaia, 9 novembre 2014
Le GG. d’O. viterbesi sono state presenti alle cerimonie che si sono tenute per la Festa delle Forze Armate nei due comuni della provincia.
Capodimonte, 6 gennaio 2015
L’Istituto della Guardia d’Onore alle Reali Tombe del
Pantheon ha voluto portare un pacco di derrate alimentari all’Associazione della Caritas di Capodimonte.
10
11 aprile 2015
Nella chiesa di S. Angelo in Spatha in Viterbo è
stata celebrata la S. Messa per ricordare il centenario della nascita del T. Col. pilota Francis Leoncini
al quale è intitolata la sezione di Viterbo dell’Associazione Arma Aeronautica.
Alla cerimonia oltre al Labaro associativo dell’Arma
era presente la Bandiera del regno d’Italia per
espressa volontà del figlio Francesco.
Il Leoncini nacque a Viterbo l’11 aprile 1915 e morì
in un incidente di volo il 10 maggio 1950 presso San
Crispiano (TA) mentre era alla guida di un Bell P39
Airacobra. A seguito di un’avaria al motore anziché
lanciarsi con il paracadute cercò di dirottare l’aeroplano dalle case sottostanti per un atterraggio di fortuna, ma la manovra gli
fu fatale.
Conseguì il brevetto di
volo nel 1933, quello
militare nel 1936 a seguito di chiamata alle
armi. Partecipò alla
guerra di Spagna ed
alla Seconda Guerra
Mondiale sul fronte dei
Balcani, su quello Russo
e nel Mediterraneo.
Introdusse in Italia i
primi velivoli a reazione
(De Havilland Vampires) prelevandoli in Inghilterra
nel 1950 e diresse la prima scuola di volo Aviogetti
il NAVAR.
Decorato di Medaglia d’Oro al Valor Aeronautico, tre
Medaglie d’Argento al Valor Militare, una medaglia
di Bronzo al Valor Militare, tre croci al merito, la
Croce di Ferro tedesca di seconda classe, Medaglia
di bronzo al Valor Militare spagnola e Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia. Abilitato al pilotaggio di
numerosi velivoli, conseguì 835 ore di volo di guerra.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
CANADA-QUÉBEC
ARGENTINA
Buenos Aires, 4 novembre 2014
Presso l’ufficio dell’addetto militare e navale dell’ambasciata d’Italia in Argentina, su invito del generale di brigata Antonio Dibello, il delegato dell’Istituto in Argentina, dr. Horacio Humberto Savoia,
accompagnato dal dr. Manfredo Cordero Lanza di
Montezemolo, hanno partecipato alla commemorazione della “Giornata dell’Unità Nazionale e delle
Forze Armate”.
AUSTRALIA
Il 26 settembre 2014 il delegato, maggiore Andrea
M. Coda di San Grato, ha donato la cifra di tremila
dollari canadesi all’ente benefico Le Pont Bridging,
allo scopo di rendere omaggio alla memoria di due
grandi italiani: il capitano di vascello, marchese
Emilio Faà di Bruno, medaglia d’oro al valor militare nella sfortunata battaglia di Lissa del 1860, ed
il giornalista e scrittore Giovanni Guareschi.
Il successivo 11 ottobre una donazione di duemila
dollari canadesi è stata recapitata a favore del Royal
Canadian Legion and the Veterans of Canada, un’associazione combattentistica che si occupa di aiutare
con iniziative di solidarietà i suoi aderenti e di promuovere la Memoria nazionale. Questa volta si è voluta onorare la memoria di tutti i caduti della Prima
Guerra Mondiale e, in particolare, due importanti
personaggi della politica italiana che si sono opposti alla nostra entrata in guerra, l’ex primo ministro
Giovanni Giolitti ed il fondatore del quotidiano “La
Stampa” di Torino, Alfredo Frassati.
In data 24 ottobre, infine, il magg. Coda di San
Grato ha effettuato un’ulteriore donazione a favore
del Royal Canadian Legion and the Veterans of Canada. Questa donazione, come anche la precedente,
era dedicata alla memoria della Guardia d’Onore canadese, dr. Riccardo Bonaccio, scomparso nel 2012.
U.S.A.
U.S.A. dicembre 2014
Il delegato INGORTP, prof. Eric Ierredi con la Guardia d’Onore barone Robert Larocca.
Melbourne, 9 novembre 2014
La Delegazione dell’Istituto ha commemorato il 4 novembre nel municipio di Murchinson dove ogni anno
l’Istituto si riunisce insieme alle altre associazioni
d’Arma. Questo sacrario si trova a circa 200 chilometri da Melbourne, nello Stato di Victoria; era presente
il delegato, comm. Salvatore Staglianò, il presidente
della città di Avendale-Keilor Mario Sabatini, la presidente della città Greater Dandenong Lina Palermo,
unitamente al vice-presidente Pietro Strangis, il segretario Francesco Nicotera, la tesoriera Lina Villella,
il consigliere e madrina Maria Mete, le consigliere Vittoria Strangis, Concettina Nicotera, Maria Marotta; infine i signori Giovanni Mete e Pietro Marotta.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
11
PROSSIMI
EVENTI
Domenica 31 maggio 2015
Padova, tempio della pace, ore 11, Santa Messa e deposizione di corone da parte della rappresentanza dell’Esercito e della delegazione provinciale dell’Istituto.
Al termine, ore 12.30 circa, riunione conviviale.
Sabato 6 giugno 2015
Caltanissetta, sala cineforum “Beata Maria Cristina
di Savoia”, viale della Regione n° 1, ore 18.30, conferenza: “I martiri di via Medina ed il Referendum
Istituzionale del 1946”.
Domenica 7 giugno 2015
Roma, guardia congiunta alle Reali Tombe del
Pantheon dei soci dell’Emilia-Romagna. Programma: ore 10.30 Santa Messa; ore 11.30 inizio del
servizio di guardia; ore 13 partecipazione alla colazione sociale presso il Circolo Ufficiali FF. AA.
Domenica 7 giugno 2015
Roma, Circolo Ufficiali delle Forze Armate d’Italia,
via Venti Settembre n° 2, ore 13, colazione sociale in
occasione della Festa dello Statuto (euro 40, prenotazioni presso la segreteria della presidenza).
Giovedì 11 giugno 2015
Roma, sede da definire, ore 18, conferenza della
Guardia d’Onore ing. Roberto Piazzini: “Storia della
Bandiera italiana”.
Sabato 13 giugno 2015
Roma, Pantheon, ore 17, Santa Messa in suffragio
dei giovani caduti a via Medina nel 1946.
Luglio 2015
Monza (MB), la delegazione provinciale organizza una
cerimonia nell'anniversario del regicidio di Sua Maestà il Re Umberto I. Seguirà una riunione conviviale.
Sabato 4 luglio – Domenica 26 luglio 2015
Riccione (RN), mostra storica sulla Grande Guerra
curata dall’Istituto.
Mercoledì 29 luglio 2015
Roma, Pantheon, ore 18, Santa Messa in suffragio di
Sua Maestà il Re Umberto I.
Sabato 8 agosto – Sabato 15 agosto 2015
Massa Martana (PG), mostra storica sulla Grande
Guerra curata dall’Istituto.
Venerdì 28 agosto – Domenica 6 settembre 2015
Viterbo, mostra storica sulla Grande Guerra curata
dall’Istituto.
Settembre 2015
La delegazione provinciale di Milano, Lodi e MonzaBrianza organizza una guardia solenne alle Reali
Tombe del Pantheon.
Venerdì 4 settembre – Domenica 13 settembre 2015
Trivignano Udinese (UD), la delegazione provinciale, in collaborazione con gli Ordini Dinastici, allestisce la Mostra sulla Grande Guerra.
Sabato 20 giugno – Martedì 30 giugno 2015
Piovera (AL), mostra storica sulla Grande Guerra
curata dall’Istituto.
Venerdì 11 settembre/Domenica 13 settembre 2015
La delegazione di Udine, in collaborazione con gli
Ordini Dinastici, promuove un incontro di pace a
cento anni dalla Grande Guerra. I luoghi di incontro sono: Cividale del Friuli, Udine, Redipuglia, Palmanova e Cormons. Programma da definire.
Sabato 27 giugno – Giovedì 30 luglio 2015
Senigallia (AN), mostra storica sulla Grande Guerra
curata dall’Istituto
Venerdì 25 settembre – Domenica 27 settembre 2015
Civitavecchia (RM), mostra storica sulla Grande
Guerra curata dall’Istituto.
12
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Martedì 29 settembre – Sabato 10 ottobre 2015
Roma, Circolo Ufficiali delle Forze Armate d'Italia, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto.
Domenica 8 novembre 2015
Peschiera del Garda (VR), commemorazione del
Convegno storico.
Sabato 10 ottobre 2015
Trivignano Udinese (UD), Parco della Dogana Vecchia, ore 11, commemorazione della Principessa
Reale Mafalda di Savoia, Langravia d’Assia. Saranno presenti le Associazioni d’Arma, Combattentistiche e Sindaci.
Sabato 21 novembre – Sabato 5 dicembre 2015
Cerignola (FG), mostra storica sulla Grande Guerra
curata dall’Istituto.
Lunedì 12 ottobre – Sabato 24 ottobre 2015
Messina, mostra storica sulla Grande Guerra curata
dall’Istituto.
Sabato 17 ottobre 2015
Grauglio (UD), ore 18, incontro presso la sala convegni di Palazzo Stefanato-Roncato: “ LA GRANDE
GUERRA – Come siamo entrati in Guerra – scenario internazionale “ con il Patrocinio del Comune di
San Vito al Torre e Trattoria Dogana Vecchia di Trivignano Udinese. Relatore: prof. Stefano PERINI.
Sabato 24 ottobre 2015
Padova, circolo unificato dell’Esercito, ore 18, convegno: “La Grande Guerra vista dagli storici”, con
la partecipazione dei professori Giulio de Renoche,
Francesco Perfetti, Mario Eichta. Al termine, ore
19.45, riunione conviviale.
Venerdì 30 ottobre – Domenica 15 novembre
2015
Campobasso, mostra storica sulla Grande Guerra curata dall’Istituto.
Novembre 2015
Milano, la delegazione provinciale organizza il "corteo della Vittoria", cui seguirà pranzo di gala per la
Vittoria.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Sabato 28 novembre 2015
Roma, Pantheon, ore 17, Santa Messa in suffragio di
Sua Maestà la Regina Elena.
Sabato 28 novembre 2015
Castellerio-Pagnacco (UD), chiesetta di S. SILVESTRO, ore 17, Santa Messa in suffragio di S. M.
la Regina Elena. Seguirà la cena presso il Ristorante “AL CJAVEDAL” (in collaborazione con gli
Ordini Dinastici del Friuli V. G). La Santa Messa
sarà celebrata dal Cappellano, mons. Francesco
Millimaci.
Sabato 5 dicembre – Sabato 19 dicembre 2015
San Severo (FG), mostra storica sulla Grande Guerra
curata dall’Istituto.
Sabato 12 dicembre 2015
Castellerio-Pagnacco (UD), chiesetta di S. SILVESTRO, ore 17, Santa Messa in suffragio di S. M. il Re
Vittorio Emanuele III. Seguirà la cena presso il Ristorante “AL CJAVEDAL”. La Santa Messa sarà
celebrata dal Cappellano. mons. Francesco Millimaci.
Lunedì 28 dicembre 2015
Roma, Pantheon, ore 17, Santa Messa in suffragio di
Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III.
Giovedì 7 gennaio – Giovedì 21 gennaio 2016
Foggia, mostra storica sulla Grande Guerra curata
dall’Istituto.
13
SERVIZI DI
GUARDIA 2014
Il numero delle ore tiene conto anche dei servizi prestati presso le Tombe Reali provvisoriamente all’estero, per le
quali sono state attribuite 4 ore per ciascun servizio, così come per le cerimonie di Roma (anniversario dell’Istituto, gennaio), e di Altacomba (marzo).
Per le messe ufficiali al Pantheon sono state attribuite 2 ore di servizio.
Si ricorda che i servizi di guardia sono esclusivamente quelli espletati presso le Tombe dei Re e delle Regine d’Italia (Pantheon, Alessandria d’Egitto, Montpellier, Altacomba), non altri. È stato quindi eliminato dal conteggio (e
quindi dal totale) ogni altro tipo di servizio.
Per quanto concerne i servizi resi a Superga e quelli resi a Monza nell’anniversario del regicidio, se ne terrà conto
con riconoscimenti diversi.
AGRIGENTO: Avona A.G. 9, Baldassano 8, Di Cesare
C. 39, Iacona P. 4, La Mendola G. 5, Raia C. 2, Tornambè 5, Trafficanti P. 11, Vella S. 5, Vella Cannella
G. 5, Vella Cannella P. 5, Vella Cannella P.G. 5
dera I. E. 4, Olivieri A. 4, Pileggi F. 4, Raimo E. 4, Rigollet O. 8, Toia A. C. 4, Vacca E. 8
ALESSANDRIA: Adiletta 4, Balossino A. 10, Balbo 4,
Calvi Di Bergolo N. 6, Cappella 4, De Andrea P. 9, Degli Uberti 4, Francese 4, Gatti G. 4, Ferrari 4, Iori T.
2, Lume 4, Passalacqua 8, Pastore F. 4, Raspagni A.
14, Ronza A. 10, Scaffino P. 6, Sensi 4, Ulandi M. 6,
Zaffino 8
AVELLINO: Genovese A. 7
ANCONA: Aiudi G. 4, Cesca A. 5, Cicconi Massi C. 8,
Di Ruvo D. 12, Moresi M. 6, Petito A. 4, Pellegrino 4
AOSTA: Alessi A. 8, Alessi V. 8, Calderone N. 4, Fonte
Iozzino R. 8, Galeone M. 8, Gasparini M. 8, Giannuzzi
M. 4, Gobetto R. 9, Lo Drago L. 8, Morale P. 8, Nor14
AREZZO: Farina F. S. 2, Forconi M. I. 5
BARI: Albino M. 5, Baldassarre D. 4, Barione G. 4
Cassa O. 4, Gadaleta 4, Gigante R. 4, Lombardi L. 4,
Minenna G. 31, Rubini M. 29
BARLETTA-ANDRIA-TRANI: Caputo G. 1, De Nisi 4,
Leone F. 4, Piazzolla F. A. 4, Piazzolla R. 4, Pica A. 4,
Porcelluzzi G. 13
BENEVENTO: Moccia 2
BERGAMO: Bressani C.M. 20, Buffoli F. 3
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
BIELLA: Bona R. 6,Conzon R. 11, Rosazza Mina Gianon M. 6, Semenzato D. 2.
BOLOGNA: Alberti G. 1, Balzarotti 4, Cacciari F. 2, De
Tomasi A. 6, Galliani R. 1, Manzini E. V. 6, Pulito A.
2, Rocco Di Torrepadula N. 1, Ruggeri 4, Squerzanti
E. 6, Spettoli A. 4
BRESCIA: Abbiatico E. 4, Belleri A. 4, Beltrami C. 4,
Bodei 4, Buffoli F. 16, Cotti Cometti E. 6, Cotti Cometti
V. 44, Didiano R. 2, Ertani F. 2, Gatelli G. 4, Guglielmi
G. 4, Piantoni E. 7, Spada 4, Tonni A. 4
BRINDISI: Altavilla A. 9, Carrieri D. 9, Carrieri G. 9,
Chiriatti S. 5, Danese C. 9
CAGLIARI: Antolino P. 11, Caboni L. 1, Piga C.
12,Piga L. 12
CALTANISSETTA: Abate G. 5, Alaimo S. 7, Andolina
A. 7, Cardella M. E. 8, Citarda N. 5, D’angelo G. 9,
Giammorcaro M. G. 5 Falcone M.
4, Falzone V. 4,
Serpente S. 9
Caserta: Anzevino 6
CATANIA: Aversa V. 9, Barrale F. 5, Caruso G. 7, Caruso S. 7, De Francesco V. 5, Gatto A. 8, Guarino M.
8, Lapis 4, Novara M.8, Rapisarda 16, Schinocca S.11,
Schinocca R. 4, Squillaci F. 23, Suriano P. G. D., 4
CATANZARO: Amelio S. 4, De Nardo F. 5, Papasidero 1
CHIETI: Carta A. 7, Dal Buono G. 7, Della Penna M.
D. 4, Di Donato L. 6, Di Nardo 36, Di Pietro M. 4, D’orazio V. 55, Faieta P. 4, Frangione E. 9, Gaspari M. 4,
Gatto F. 9, Luciano G. 6, Marini M. 7, Marino G. 4,
Morelli F. 6, Natarelli N. 4, Patricelli A. 7, Petrocchi M.
12, Pizzola G. 4, Rapa A. 7, Rollo P. 9, Scampoli S. 6,
Spatocco G. 4, Trinchini P. 6,Vitale R. 6
ENNA: Amico A. 6, Astorina A. 5, Astorina F. M. 9,
Barbagallo A. 6, Barbagallo F. E. 6, Di Giorgio G. C.
6, Fundrisi P. 6, Platania Greco C. 10, Restifo G. 4, Salamone G. 6, Scarlata G. 6, Scillia L. 6, Valore G. 15
FIRENZE: Belli 4, Castini A. 4, Duvina G. 4, Duvina
P. 4, Noferi G. 2
FOGGIA: De Giorgi A.M. 4, Delli Carri O. L. 6, Errico
P. 1, Galli A. 8
FORLÌ-CESENA: Casadei A. 10, De Vito J. 1, Falli A.
1, Flamigni 4, Giunchi L. 4, Merendi R. 1, Savorani 4
FROSINONE: Coltellacci L. S. 4, Marche P. 2, Pasin M.
A. 6, Sacchettino G. 2, Verrelli A. 2
GENOVA: Arena G. 3, Carlini G. 4, De Martiis 20, Patrone A. 9, Rachero M. T. 4, Zoppi Di Zolasco 4
GROSSETO: Giusti 4, Iori V. 2
IMPERIA: Davico O. 5
ISERNIA: Gaglione G. 2, Militano F. S. 3, Orrino F. 4,
Rotondo D. 2
L’AQUILA: Addari A. B. 14, Agostinelli D. 1, Cerasoli
F. 14, Cofini G. 1, Colasante L. 27, Del Pinto C. 4, Di
Rocco G. 1, Iurlaro 2, Miceli F. 3, Micochero A. 1, Sid
2, Trinchini P. 1
LA SPEZIA: Riu P. 39
LATINA: Calandrini 4, Pece S. 1, Soldà N. 1
LECCE: Alemanno M. 4, Chianella 4, La Torre V. 2,
Maggiulli L. 4, Maggiulli M. G. 4, Mazza L. 14, Miastkowski V.4, Murciano B. S. 8, Nutricati F. 6, Raho G.
A. 6, Sarcinella A. 4, Tarantino C. 15, Zizzi A. 4
COMO: Compagnucci R. 4, Ortelli V. 28, Pichierri G.
13, Poggi C. 4, Puppi F. 10, Reina G. 13
LIVORNO: Sirabella A. 9
COSENZA: Bacci C. 4, Di Santo F. 2
LODI: Pirovano C. L. 5
CROTONE: Cerra F. 2, Costa V. 17, Fragale M. F. 4,
Geracitano G. 4, Grosso F. 2, Panteca A. 11, Paturzo
S. 2
MACERATA: Cicconi F. 2, Compagnucci R. 1, Compagnucci R. 6, Luciani L. 6
CUNEO: Bruno D. D. 7, Bruno P. 6
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
MANTOVA: Martelli M. 6, Mattioli A. 1, Sassi F. 1,
Venturelli 5
15
MASSA-CARRARA: Ambrosini A. 4, Barzaghi U. 4,
Franzoni P. 4
nucci M. 4, Martucci G. 7, Ruffier C. 33, Sanese M. L.
4, Savini C. 9, Viscardi M. 4, Corselli R. 5
MESSINA: Arena L. 6, Branca M. C. 2, Brancato A. 2,
Cacciolla G. 4, Cardullo D. 12, De Lorenzo M. 4, Felice S. 17, Giuffrè 4, Micali G. 7, Mignani G. 21,
Mungo R. 2, Musolino R. 11, Proto S. 17, Sabato V. 6,
Saja G. 2, Savica V. 11, Tomasello G. 4, Tortorici 4,
Turiano Mantica A. 3
PIACENZA: Tizzoni D. 5
PISA: Dinelli B. 8, Lapucci F. 3, Medori 6, Sbranti L. 1
PORDENONE: Sciarrino 4
POTENZA: Dragonetti D. 4, Dragonetti S. 8
MILANO: Abbiate M. 8, Angiolini Ch. 2, Barbieri M.
4, Bauer S. 4, Bertoli R. 2, Cazzaniga P. 2, Centis A. 4,
Dalla Chiara L. 8, Di Maria A. 16, Di Martino S. 28,
Ervas R. 4, Finizio M. 21, Garosci 16, Gelsi A. 14, Giraudo M. 6, Gozzelino 2, Grancagnolo S. 5, Grosso
F. 8, Letta M. 6, Longo E. 8, Magni M. 6, Marazzi M.
L. 8, Mastroianni L. 10, Melandrone G. 6, Monfardini
D. 30, Morfea E. 2, Olmari L. 4, Paltrinieri M. 8,
Panza V. 4, Piccinelli Cassata V. 2, Pierato S. 12, Pirovano C. 9, Pizzi F. 9, Porretti F. 11, Sciaraffia 11,
Stringhini P. 4, Tamburello Careddu A. 15, Ye Z. 15
MONZA-BRIANZA: Gentil V. G.2, Mazzù F. 1, Perego
G. 26
PRATO: Paoletti A. 2, Previero L. 41
RAGUSA: Moltisanti M. 4
RAVENNA: Angeli C. 5, Angeli L. 1, Bedeschi G. 1,
Bertoni A. 1, Cangini G. 1, Casadio Malagola 4, Del
Biondo A. 1, Filippi D. 1, Maranca P.
1, Ricciardelli Colombi 1
REGGIO CALABRIA: Speciale A. 11
RIETI: Locci 43
RIMINI: Apicella M. 1, Ruzzier G. 6
NAPOLI: Alfonso S. 2, Buonaiuto M. 5, Cuccaro G. 6,
Crovato M. 4, De Angelis C. 1, Del Mercato 4, D’iorio
A. 4, Emione I. 2, Ferrara E. 2, Fiorenza P. 4, Gargiulo
M. 1, Lombardo Di Cumia 4, Panico G. 12, Riva A. 6,
Rocco Di Torrepadula 4, Romano C. 4, Rosano G. 6,
Sautto P. 15, Scotti V. 6
NOVARA: Lovison 4
PADOVA: Giacalone R. 6, Giustiniani N. 9, Grassi P.
5, Pozzer A. 4, Ronzani G. 3, Scimeca S. 1
PALERMO: Di Giovanna A. 13, Minardo A. 2, Simone C. 12
PAVIA: Agrillo M. T. 8, Allegrini 4, Bellani E. 4, Bellinzona G. 4, Corbella G. 10, Meisina A.4, Moncalieri
M. R.6, Rivoira A. 6
PERUGIA: Barlozzari S. 123, Micheli Vincenti M. C.
1, Vichi G. 4
PESARO URBINO: Belli L. 2
PESCARA: Cipriani C. C. 20, Manzo A. 12, Mari16
ROMA: Agostinelli 2, Alicicco F. 15, Alloggio F. 33,
Ametrano 4, Amorosi Golisciani 4, Antonelli C. 4,
Apicella 2, Arsetti 6, Assogna 1, Ballati A. 10, Bagalà
2, Baldan R. 4, Bastianelli S. 47, Bianchi 34, Bilotti 30,
Binaghi J. 7, Blais V. 7, Bonaventura 2, Buccioni 2, Calandra 463, Calderara 4, Cantaboni 2, Capra 2,
Cardinale
2, Carfora E. 2, Caroli G. 1, Caruso P.
87, Castoldi C. 1, Castoldi A. 1, Chirivì 2, Cialdini 2,
Contedini 1, Coculo Satta 11, Covelli G. 2, Covino A.
8, Crisafulli A. 74, Cuomo 4, D’atri U. 27, De Angelis
L. 2, De Angelis P. 3, De Donno A. 3, Deiana G. 15, Del
Prete G. 14, De Marzo 2, De Nardo E. 9, De Piccis M.
18, De Santis 4, Dettori C. 21, Di Carlo 2, Di Conza M.
4, Di Crosta M. 5, Di Giacomo 2, Di Giovanni L. 1, Di
Rocco 2, Di Tosto A. 6, Di Tota 2, D’orazio 2, Dongiovanni 6, Duma A. 5, Errico A. 21, Errico F. M. 4,
Falaschi 2, Falcioni 4, Fantinel F. 4, Fatucci 4, Ferrero
2, Ficaccio V. 4, Figà Talamanca A. 8, Fiorani A. 4,
Flammini M. 3, Flumeri 1, Fornaciari E. 8, Fornaciari
P. 41, Furlan 39, Gagliani Caputo 10, Galano 2, Galdini De Galda 2, Galeone M. 8, Garofalo G. 49, Ghezzo
E. 2, Giger M. 3, Giglio D. 12, Giordano E. 4, Giovannini M. L. 16, Giulivi G. 15, Gizzi 6, Gonzaga 2,
Goretti 8, Gottardi 20, Grassi M. 4, Guerriero 2, GuinGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
zio F. 4, Hassan L. 2, Iannaccone A. 6, Ilardi 4, Ingrosso I. 43, James J. R. 10, Jelencovich C. 32, La
Longa Mancin F. 4, La Nave 3, Landi Lauro A. 28, La
Piana M. E. 15, Lazzarino De Lorenzo A. 6, Liverzani
G. 24, Lombardi Satriani 2, Longobardi 2, Lovera 7,
Lucatelli C. 8, Lupi 6, Luzi G. 5, Maddalena 2, Marcucci 2, Mariani Di Corneto G. 9, Marini Dettina A. 12,
Mastrosanti G. B.58, Mereu B. 25, Messina D. 2, Miceli 2, Micochero 2, Militano V. 59, Monescalchi F. 24,
Monescalchi T. 12, Morganti 7, Motolone G. 12, Mottola V. 21, Mulargia L. 3, Murace 2, Murano 20, Murciano B. S. 6, Nardacci 1, Nardi 15, Nicolosi A. 8, Oliveri G. 6, Ortenzi A. 15, Otta 2, Panariti 2, Pantano F.
8, Pasqua 2, Pazzaglia A. 4, Pelligra 3, Perciballi M.
2, Persico 14, Pesce M. 52, Petrilli C. 5, Picco L. M. 24,
Pietroni A.16, Pignalosa A. 18, Piraccini V. 3, Pizzichetti 1, Pizzuti 2, Polini M. 36, Politelli R. 5, Porro
Papa E. 183, Preziosi E. 30, Ricci 2, Rocchi M. 9, Rossi
M. 2, Rovere A. 26, Ruffino A. 6, Russo F. 2, Russo S.
4, Rutili P. 2, Saldicco D. 37, Savarese A. T. 21,
Schiano Di Pepe L. 45, Scuderi S. 15, Silvestri 2, Sinibaldi M. 12, Sordi 2, Stifano D. 2, Tabili De Andrade
M. 2, Taddei R. 2, Tarelli 6, Tripepi P. 8, Trovalusci G.
4, Vassallo U. 2, Venditti A. 6, Vigliar Falaschi 2,
Zanzotto 6, Zeppetella L. 1, Ziliani 2, Zucchi V. 4
Orlando D. 2, Piccinni C. 6, Tessariol S. 4
TERNI: De Angelis M. 8, Temperoni M. 1
TORINO: Cardellini 4, Garosci 4, Gozzelino F. 2,
Gremo V. 1, Settimini A. 4, Rigoni C. 2, Rosa Brusin
C. 1
TRENTO: Bertrand 4, Bonomi E. 1
TREVISO: Cannaò 9, Trentin A. 5
UDINE: Millimaci 4, Pontelli 4, Serafini P. 1
VARESE: Agrifoglio V. 23, Berlinguer P. 8, Castoldi G. 1,
Cecchetti M. 1, Del Curatolo D. 1, Filimberti M. 8, Giussani Gallazzi A. 33, Lubin Valentini 10, Marzoli S. 2, Modena A. 3, Morresi P. 2, Premoli C. 9, Scolaro M. 7
VENEZIA: Belladonna G. 6, Busetto M. 4, Scrascia C.
19
VERONA: Braganza M. F. 4, De Razza Planelli 4, Meo
F. 5
VIBO VALENTIA: Bonaventura G. 2
ROVIGO: Conventi M. R. 8, Ferro O. 4, Garbin L. 5,
Gialain L. 5, Giliberto M. 4, Giuliotti W. 8, Manfrinato
V. 5, Melloni G. 8, Panebianco C. 8. Valentini R. 4,
Zennaro S. 8
SALERNO: Caruccio E. 2, Cuomo L. 4, D’errico A. 4,
Gatto A. 6, Longobardi P. 11, Sguazzo R. 4
SASSARI: Dettori M. E. 6, De Murtas E. 16, Onida D. 6
VICENZA: Benazzato G. 7, Faedo I. 2, Lamonea F.10,
Lembo A. 4, Leonardi M. 3, Ronzani G. 4, Tura M. 22
Viterbo: De Donno A. 35, Quadrani 6, Petri 4, Ramacciani 1
ARGENTINA: Pennino 4
CANADA: Di Renzo 1, Muia L. 3, Palermo L. 4, Stornelli C. 1
SAVONA: Sangiorgi B. 1
SIENA: Davitti 9
SIRACUSA: Fazzino L. 24, Grancagnolo F. 16, Grancagnolo I. 19
FRANCIA: Berod 4, Carrier-Dalbion 9, Curtenaz De
Maronzier 4, Declercq 11, Torbiero 8
OLANDA: Ruijgrok 1, Stuive W. 5
SAN MARINO: Arfilli P. 9
TARANTO: Blasi E. 4, Calò F. 5, Caprioli E. 4, Carrozzo
N. 7, Delli Quadri S. 6, Festa G. F. 2, Leo Aldo 6, Leo Angela 6, Lopresto C. 4, Miccoli 1, Montalto G. 7, Nisi N. 4,
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
SVIZZERA: Giuliano Di Sant’andrea 4, Hoegen
Dijkhof H. 5
17
MEDAGLIE AL
MERITO DI
SERVIZIO 2014
HANNO OTTENUTO PER LA PRIMA VOLTA LA
CONCESSIONE:
AGRIGENTO: Trafficanti
ALESSANDRIA: Balossino A., Calvi di Bergolo N.,
Raspagni A., Ronza A.
AOSTA: Alessi A., Alessi V., Fonte Iozzino R., Gobetto R., Lo Drago L., Rigollet O., Vacca E.
BARI: Minenna G., Rubini M.
BOLOGNA: De Tomasi A., Manzini E. V., Squerzanti E.
BRESCIA: Buffoli F., Piantoni E.
BRINDISI: Altavilla A., Carrieri G., Danese C.
CAGLIARI: Antolino P., Piga C., Piga L.
CALTANISSETTA: Alaimo S., Andolina A.
CATANIA: Gatto A.
CHIETI: Luciano G., Patricelli A., Trinchini P.
COMO: Puppi F.
CUNEO: Bruno D. D.
ENNA: Amico A., Barbagallo A., Barbagallo F. E.,
Fundrisi P., Salamone G., Scarlata G.
FORLÌ – CESENA: Casadei A.
L’AQUILA: Addari A. B., Cerasoli F.
MACERATA: Compagnucci R., Luciani L.
MILANO: Abbiate M., Letta M., Marazzi M. L., Melandrone G., Sciaraffia
NAPOLI: Cuccaro G., Rosano G.
PADOVA: Giacalone R.
PALERMO: Di Giovanna A.
PAVIA: Moncalieri M. R.
PESCARA: Manzo A., Martucci G.
ROMA: De Piccis M., Fornaciari P., Galeone M.,
Murano G., Polini M., Preziosi E., Rovere A.
ROVIGO: Conventi M. R., Melloni G., Panebianco
C., Zennaro S.
SASSARI: Onida D.
TARANTO: Carrozzo N., Delli Quadri S., Leo A.,
Piccinni C.
TREVISO: Cannaò
VARESE: Agrifoglio V.
VICENZA: Benazzato G.
VITERBO: De Donno A.
18
FRANCIA: Declercq
HANNO OTTENUTO LA RICONFERMA:
AGRIGENTO: Avona A. G., Baldassano, Di Cesare C.
ALESSANDRIA: De Andrea P., Passalacqua, Scaffino P., Ulandi M., Zaffino
ANCONA: Cicconi Massi C., Di Ruvo D., Moresi M.
AOSTA: Galeone M., Gasparini M., Morale P.
AVELLINO: Genovese A.
BARLETTA – ANDRIA – TRANI: Porcelluzzi G.
BERGAMO: Bressani C. M.
BIELLA: Bona R., Conzon R., Rosazza Mina Gianon M.
BRESCIA: Cotti Cometti E., Cotti Cometti V.
BRINDISI: Carrieri D.
CALTANISSETTA: Cardella M. E., D’Angelo G., Serpente S.
CASERTA: Anzevino A.
CATANIA: Aversa V., Guarino M., Novara M., Rapisarda, Schinocca S., Squillacci F.
CHIETI: Carta A., Dal Buono G., Di Donato L., Di
Nardo, D’Orazio V., Frangione E., Gatto F., Marini M.,
Morelli F., Petrocchi M., Rapa A., Rollo P., Scampoli S.,
Vitale R.
COMO: Ortelli V., Pichierri G., Reina G.
CROTONE: Costa V., Panteca A.
CUNEO: Bruno P.
ENNA: Astorina F. M., Di Giorgio G. C., Platania
Greco C., Scillia L., Valore G.
FOGGIA: delli Carri O. L., Galli A.
GENOVA: De Martiis, Patrone A.
L’AQUILA: Colasante L.
LA SPEZIA: Riu P.
LECCE: Mazza L., Murciano B. S., Nutricati F., Raho
G. A., Tarantino C.
LIVORNO: Sirabella
LODI: Pirovano C.
MANTOVA: Martelli M.
MESSINA: Arena L., Cardullo D., Felice S., Micali G.,
Mignani G., Musolino R., Proto S., Sabato V., Savica
V.
MILANO: Dalla Chiara L., Di Maria A., Di Martino S.,
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Finizio M., Garosci R., Gelsi A., Giraudo M., Grosso F.,
Longo E., Magni M., Mastroianni L., Monfardini D.,
Paltrinieri M., Pierato S., Pizzi F., Porretti F., Tamburello Careddu A., Ye Z.
MONZA – BRIANZA: Perego G.
NAPOLI: Panico G., Riva A., Sautto P., Scotti V.
PADOVA: Giustiniani N.
PALERMO: Simone C.
PAVIA: Agrillo M. T., Corbella G., Rivoira A.
PERUGIA: Barlozzari S.
PESCARA: Cipriani C. C., Ruffier C., Savini C.
PISA: Medori S., Dinnelli B.
POTENZA: Dragonetti S.
PRATO: Previero L.
REGGIO CALABRIA: Speciale A.
RIETI: Locci F.
RIMINI: Ruzzier G.
ROMA: Alloggio F., Bastianelli S., Bianchi M., Bilotti
E., Calandra A., Caruso P., Crisafulli A., d’Atri U., Dettori C., Errico A., Furlan C., Garofalo G., Gottardi M.,
Ingrosso I., Jelencovich C., Landi Lauro A., Liverzani
G., Mastrosanti G. B., Mereu B., Militano V., Monescalchi F., Mottola V., Pesce M., Picco L. M., Pignalosa
A., Porro Papa E., Saldicco D., Savarese A. T., Schano
di Pepe L.
ROVIGO: Giuliotti W.
SALERNO: Gatto A., Longobardi P.
SASSARI: Dettori M. E., De Murtas E.
SIENA: Davitti D.
SIRACUSA: Fazzino L., Grancagnolo F., Grancagnolo I.
TARANTO: Leo A., Montalto G.
TERNI: De Angelis M.
VARESE: Berlinguer P., Filimberti M., Giussan Gallazzi A., Lubin Valentini, Premoli C., Scolaro M.
VENEZIA: Belladonna G., Scrascia C.
VICENZA: Lamonea F., Tura M.
FRANCIA: Carrier-Dalbion, Torbiero
SAN MARINO: Arfilli
GUARDIE D’ONORE
SCELTE 2014
AGRIGENTO: Di Cesare
BARI: Minenna, Rubini
BRESCIA: Cotti Cometti V.
CHIETI: Di Nardo, D’Orazio
COMO: Ortelli
LA SPEZIA: Riu
MILANO: Di Martino
PERUGIA: Barlozzari
PESCARA: Ruffier
PRATO: Previero
RIETI: Locci
ROMA: Alloggio, Bastianelli, Bilotti, Calandra, Caruso, Crisafulli, Fornaciari, Furlan, Garofalo, Ingrosso,
Jelencovich, Landi Lauro, Mastrosanti, Militano, Pesce, Polini, Porro Papa, Preziosi, Saldicco, Schiano di
Pepe
VARESE: Giussani Gallazzi
VITERBO: De Donno
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
19
CULTURA
EMANUELE FILIBERTO (TESTA DI FERRO)
di Onofrio Luigi delli Carri
Terzo figlio del Duca
Carlo II e di Beatrice
del Portogallo nacque a
Chambéry l’8 luglio del
1528. I suoi genitori
destinarono il giovane
principe Emanuele Filiberto ad una carriera
ecclesiastica di Cardinale o quanto meno di
Vescovo. A seguito della
morte del primogenito
Adriano e poi del secondo genito Lodovico, Emanuele Filiberto è il Principe ereditario di un regno che
non esiste più.
Emanuele Filiberto, detto anche “Testa di Ferro”, è
stato sicuramente, tra i tanti regnanti di Casa Savoia,
il personaggio più determinato, il più efficiente. A
soli 13 anni si offre all’Imperatore per combattere
per la crociata, ma Carlo V non accetta tale offerta.
Emanuele Filiberto due anni dopo, e cioè a 15 anni,
torna dall’Imperatore per offrirsi quale combattente
nell’esercito imperiale-spagnolo ma ancora una volta
riceve un rifiuto. Nel 1545, con il consenso paterno,
ben armato egli con il suo seguito è accettato dall’Imperatore e qui si copre di gloria a San Quintino
nell’agosto 1557.
Il suo motto, ”spoliatis arma supersunt” (ai nullatenenti restano le armi) lo vide vincitore e l’Imperatore Carlo V, suo zio, lo nominò governatore dei
Paesi Bassi in un’epoca assai difficile di guerre religiose, che videro il calvinismo conquistare l’Olanda.
Il successivo trattato di pace di “Chateau-Cambresis” attribuì al giovane Duca i vecchi possedimenti.
Nel 1563 Torino, per volere di Emanuele Filiberto,
diventa Capitale del Regno, e da qui l’illuminato sovrano, parte per la ricostruzione di quello stato che
20
non c’era più e che comprendeva: il Piemonte, la sesia, Nizza, i territori originari della dinastia Savoia,
Chiablese, Moriana, Tarantàsia e Faucigny, oltre
che Bresse, Bugey, e Valromey di là dal Rodano, ed
una fetta di Ginevra, dove la lingua ufficiale era l’italiano.
Emanuele Filiberto sposa Margherita di Valois, figlia
del Re di Francia Francesco I e di Claudia di Francia, dalla loro unione nacque Carlo Emanuele I.
Molti furono i figli naturali di Emanuele Filiberto.
Egli ebbe l’abilità di trasformare, ridando vigore e
fertilità a quei territori resi aridi ed improduttivi da
decenni di incuria (periodo nel quale ai Savoia erano
state tolte quelle terre). In poco tempo il Regno divenne un paese prospero e quella dei Savoia una
delle Monarchie più forti e disciplinate di quel
tempo.
Dopo tanto sfacelo un giovane Principe accorto e risoluto operò quella grande trasformazione. Una nota
di colore nella storia di Emanuele Filiberto è quella
del rifiuto di Elisabetta Tudor figlia di Anna Bolena
e di Enrico VIII, che rifiuta di convolare a nozze con
Emanuele Filiberto, e pare abbia detto: “meglio la
morte che il matrimonio con un Savoia”.
Emanuele Filiberto morì di cirrosi epatica nel 1580
lasciando in eredità al figlio uno stato saldo, una potenza militare. A Torino è ricordato con una statua
equestre in Piazza San Carlo opera dello scultore Marocchetti.
DON GIUSEPPE GABANA
di Valter Cotti Cometti
Don Giuseppe GABANA nacque a Carzago della Riviera (Brescia) il 26 aprile 1904, figlio di Giovanni
e di Maddalena Bigotti, genitori di altri sette figli.
Giuseppe fu ammesso al Seminario Diocesano di
Brescia in giovane età ed ordinato sacerdote il 2
giugno 1928, destinato dapprima a Pezzaze ed in seGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
guito alla Parrocchia di
Gazzane, una frazione
di Roè Volciano, ove
peraltro si era trasferita
anche la sua famiglia.
Don Gabana svolse il
suo apostolato parrocchiale fino al novembre
del 1935, allorquando,
volontariamente, decise
di seguire i soldati inviati a combattere in
Etiopia. Assunto in
temporaneo servizio
come "Cappellano Militare di mobilitazione
con assimilazione al grado di Tenente" in data 25
novembre 1935, Don Giuseppe raggiunse Mogadiscio il 3 gennaio 1936. Assegnato ad un ospedale da
campo, chiese in seguito di essere inviato insieme ai
reparti combattenti in prima linea dove, mentre prestava aiuto ai militari colpiti, venne a sua volta ferito ricevendo anche per questo la Medaglia di
Bronzo al V.M. e, successivamente, la Croce di
Guerra. Terminato il conflitto e rientrato in Patria,
il 24 aprile '37, l'Ufficiale fu destinato al Presidio Militare dì Villa del Nevoso, una località in provincia di
Fiume, ove rimase sino allo scoppio della II guerra
mondiale, assistendo i soldati e le guardie di frontiera
dislocate in località disagiate del confine. Il 24 maggio 1941, Don Giuseppe cessò di prestare servizio
presso il Regio Esercito e fu trasferito nei ranghi della
Regia Guardia di Finanza, nominato Cappellano
Militare presso la VI Legione "Giulia" di Trieste. Il
sacerdote raggiunse la città in un momento delicato,
che vedeva i reparti della Legione impegnati nel
mantenimento dell'ordine pubblico, sconvolto da
azioni terroristiche provocate dagli sloveni. Il Cappellano rimase legittimamente in servizio anche dopo
l'8 settembre 1943, proseguendo così l'opera di sacerdozio fra le centinaia di Fiamme Gialle rimaste al
proprio posto, oltre a svolgere opera umanitaria inizialmente in favore dei profughi istriani e, successivamente, a tutela degli ebrei triestini, perseguitati
dopo l'arrivo dei tedeschi in città. A Trieste, ove l'8
settembre '43 ebbe risvolti più drammatici rispetto
ad altre aree del Paese, la situazione degli ebrei era
diventata insostenibile. In città, la presenza degli
ebrei era consistente (4.000/5.000 ebrei su di una
popolazione di circa 250.000 abitanti) e per le poGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
sizioni di rilievo ricoperte nei variegati ambienti locali, nonostante le leggi razziali in vigore.
Dopo l'occupazione tedesca, i territori della Venezia
Giulia furono incorporati nella "Adriatisches Küstenland", una vera e propria provincia del Reich,
mentre nella stessa Trieste fu allestito un Lager all'interno dell'ex Risiera di San Sabba, munito di un
forno crematorio, ove, si stima, furono detenute
circa 5.000 persone, oltre alle migliaia di vittime di
passaggio che dalla Risiera presero la strada verso altri campi di sterminio del Nord-Europa. I rastrellamenti degli ebrei, sia nella Venezia Giulia che nelle
vicinissime province slave ed istriane, assunsero caratteristiche di particolare gravità, che i finanzieri
della Legione di Trieste cercarono in qualche modo
di mitigare. Tra i tanti ricordiamo il Cap. Luigi Pagliaro, allora Aiutante Maggiore presso il Comando
della V Zona di Trieste. L'Ufficiale, dal settembre
'43 al 31 marzo 1944 (data del suo trasferimento a
Brescia), si adoperò per dare manforte - tramite
una persona di fiducia - alla famiglia ebrea del Dott.
Guido Goldsmith. Il Pagliaro precisò successivamente, con dichiarazione sottoscritta in data 9 settembre 1945, che la persona di fiducia altri non era
che il citato Cappellano della stessa VI Legione
Guardia di Finanza di Trieste, Ten. Don Giuseppe
Gabana. Non solo, ma dal suo ufficio legionale, Don
Giuseppe si recava giornalmente presso l'Oratorio dei
Salesiani ove celebrava la Santa Messa, in un crescente clima di odio, sia etnico che nei riguardi del
clero cattolico, fomentato dagli irredentisti slavi,
per il timore che l'insegnamento religioso e l'apostolato avrebbero potuto rappresentare un'alternativa ai principi della dottrina marxista. In tale quadro si inserì la tragica fine del sacerdote: il 2 marzo
1944, verso le ore 19,35 tre uomini in divisa militare
imprecisata e con volto travisato bussarono alla
porta dell'abitazione di Don Gabana, qualificandosi
come amici. Appena la vittima designata uscì, i tre
assassini gli vibrarono un colpo alla testa con il calcio di una pistola e poi gli spararono, ferendolo gravemente all’addome. Il Cappellano, soccorso e trasportato all'Ospedale Militare, si spense il 4 marzo
al termine di strazianti sofferenze tra le braccia del
Vescovo Santin, non prima di aver invocato il perdono per i suoi assassini. Terminava così l'esistenza
un prete che amava l'Italia e i suoi finanzieri e predicava la pace fra le due etnie. Con dichiarazione
sottoscritta il 4 marzo 1944 dal Direttore dello stesso
Ospedale Militare, la morte del Tenente Giuseppe
21
Gabana fu ritenuta dipendente da causa di servizio
e, come tale, il suo nome è stato iscritto fra i "Caduti
della Guardia di Finanza durante la II guerra mondiale”.
LA BATTAGLIA DI MONTEBELLO
di Carlo Bindolini
Trascorsi dieci anni dagli eventi che si conclusero con
la “fatal Novara” e che avevano visto l’abdicazione
di Re Carlo Alberto e la sua morte ad Oporto, grazie alla tenace attività diplomatica portata avanti da
uno dei principali protagonisti del Risorgimento italiano: il Conte Camillo Benso di Cavour e dal nuovo
Re Vittorio Emanuele II, il Regno di Sardegna, grazie all’alleanza con l’Impero di Napoleone III potè ritrovare la forza e l’orgoglio di sfidare una seconda
volta il suo secolare nemico, gli Austriaci, sui campi
di battaglia e riscattare l’eroico sacrificio di quanti
erano caduti un decennio prima ed avevano arrossato con il loro sangue le zolle della terra lombarda
e piemontese.
Con la Seconda Guerra d’Indipendenza nazionale si
aprì così una nuova pagina del nostro Risorgimento
nazionale che avrebbe portato alla conquista della
Lombardia.
La battaglia di Montebello fu il primo scontro della
Seconda Guerra d’Indipendenza Nazionale che vide
contrapposta gli eserciti Franco-Piemontesi a quelli
Austriaci. A Montebello per la prima volta si confuse
insieme il sangue francese al sangue italiano. Pur non
essendo paragonabile, sia per il numero dei combattenti, che per l’estensione dello scontro alle successive e più celebri battaglie di Solferino e di San
Martino, costituì il battesimo del fuoco per gli eserciti in campo, inoltre il suo esito positivo per gli Alleati, che dopo questa battaglia presero l’iniziativa
strategica per il resto della guerra. Importante fu l’esito favorevole della vittoria di Montebello per le
truppe franco-piemontesi che, molto inferiori nel
numero, rispetto a quelle austriache, riuscirono a dimostrare da un lato che l’armata sarda, piccola ma
solida, era in grado di potersi finalmente misurare
con uno dei maggiori eserciti europei, quello austriaco che dimostrò la propria inferiorità sul piano
qualitativo e la scarsa abilità dei suoi comandanti.
Tutto ciò agì negativamente sul piano psicologico nei
confronti degli Austriaci che videro la loro armata
superiore nei numeri e nei mezzi sconfitta da un pic22
colo contingente di forze nemiche anche a causa
della mancanza di slancio e di rapida capacità reattiva dimostrata durante le fasi della battaglia che caratterizzò a Montebello il comportamento degli ufficiali dell’armata austriaca.
La battaglia di Montebello è ricordata nella storia
militare anche per il fatto che vide un moderno impiego delle forze della cavalleria, i cosiddetti cavalleggeri piemontesi che con le loro cariche e le loro
azioni di disturbo riuscirono ad aggirare il nemico
preponderante ed a ritardarne l’avanzata in attesa
del sopraggiungere della propria fanteria. Fu proprio
al seguito della battaglia di Montebello che venne infatti istituito un nuovo reggimento di cavalleria, che
esiste ancora ai giorni nostri, i “Lancieri di Montebello”, che presero il nome dalla omonima battaglia.
Il 20 maggio 1859, grazie all’indecisione degli austriaci, le truppe sardo-piemontesi si ricongiunsero
con quelle francesi realizzando così la premessa che
porterà al successo della guerra di Re Vittorio Emanuele II e dell’Imperatore Napoleone III.
Ecco come si svolse la battaglia secondo le memorie
di un testimone oculare.
“Il 20 maggio verso il meriggio, gli Austriaci occupavano Casteggio e spingevano su Montebello gli
avamposti composti da un distaccamento di cavalleria piemontese del corpo d’armata del generale di
Sonnaz. A quell’avviso il generale Forey si portò
immediatamente sugli avamposti sulla strada di
Montebello, con due battaglioni del 74° di linea; e
questo mentre tutta la divisione del maresciallo Baraguay-d’Hilliers prendeva le armi e marciava contro il nemico con una batteria d’artiglieria alla testa.
Ma mentre queste mosse succedevano, gli Austriaci
avevano da Montebello proceduto su Ginestrello in
due colonne, l’una sulla strada maestra, l’altra sul
cammino di Peno. Il generale Forey, aprì le sue ali
onde impedire che il nemico potesse prenderlo alle
spalle. Ciò era appena terminato allorché da ambo
le parti incominciarono il fuoco su tutta la linea. Ben
tosto le artiglierie cominciarono il loro triste ufficio.
La dritta dei Francesi marciò allora avanti, i nemici
piegarono allo slancio di quei soldati; ma gettandosi
sulla sinistra sperò prendere il corpo francese tra due
fuochi. Furono delusi, il generale de Sonnaz condusse contro di loro la sua cavalleria e li respinse. In
quel fallo cadde ferito a morte con la sciabola in pugno caricando alla testa del suo distaccamento il colonnello conte Tommaso Morelli di Popolo, dei cavalleggeri di Monferrato. Allora i Francesi presero a
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
viva forza la posizione di Ginestrello e con l’aiuto
della cavalleria piemontese ed organizzatisi in colonna d’attacco sotto gli ordini del generale Beuret
si slanciarono su Montebello. L’assalto fu terribile, la
resistenza imponente; il combattimento fu corpo a
corpo, le strade del villaggio, e le case furono una per
una espugnate. Il nemico si ritirò allora nel cimitero,
posizione favorevole onde proteggere la sua ritirata
su Casteggio; ed anche quello fu superato, e servì ai
Francesi per molestare con le artiglierie le colonne in
ritirata. Alle sei ore dopo il meriggio finì quel combattimento che in nulla e per nulla rivaleggia quello
riportato dal grande Napoleone sul medesimo terreno il 9 giugno 1800 contro i medesimi nemici.”
Queste memorie son tratte da: “Filippo Santi, Il caporale degli Zuavi, ovvero, il Re galantuomo Vittorio Emanuele II. Milano, Tipografia dell’Editore
Francesco Panani, 1860.
Le perdite della battaglia furono di 92 morti, 529 feriti e 69 prigionieri da parte francese; 17 morti, 31 feriti e 3 dispersi da parte piemontese; 331 morti, 785
feriti, 307 dispersi o prigionieri da parte austriaca.
La fanteria francese era comandata dal generale Elie
Frédrèric Forey, la cavalleria piemontese dal generale
Ettore Gerbaix de Sonnaz, le forze austriache erano invece comandate dal Conte Philipp Franz von Stadion.
Gli alleati franco-piemontesi avevano impiegato nella
battaglia 6800 fanti, 800 cavalieri e 12 cannoni; circa
un terzo delle forze avversarie.
I più illustri caduti furono il generale francese Georges
Beuret, che comandava la I brigata francese, ed il casalese Conte Tommaso Morelli di Popolo che, alla testa dei suoi due squadroni di cavalleria del “Reggimento Cavalleggeri di Monferrato”, fu ferito
mortalmente dopo ripetute cariche di cavalleria che
spezzarono le fila della fanteria austriaca. Il conte
Tommaso Morelli di Popolo aveva ricevuto il comando
del Reggimento dalle mani del colonnello de Sonnaz,
che per quel fatto d’armi ottenne poi la medaglia d’oro
e la promozione a generale. Il comando del Morelli di
Popolo fu come una meteora di luce, che dura quanto
un baleno. Morelli morì il giorno dopo a Voghera,
dove era stato inutilmente ricoverato, insieme ad un
soldato volontario lombardo, il marchese Fadini, che
aveva fatto scudo con il suo corpo per salvare la vita
del suo capo, il generale de Sonnaz. Nel combattimento
di Montebello ufficiali e soldati gareggiarono in temerarietà ed i comandanti de Sonnaz e Boyl, i capitani Soman, la Forest de Divonne, Piola Caselli, Ferdinando
Aribaldi-Ghillini e Francesco Ristori di Casaleggio,
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
furono quasi tutti feriti.
Ma a questi dobbiamo unire la gloria di un altro
nome: quello del marchese Carlo Medici di Marignano, che quando vide il suo comandante Morelli
di Popolo a terra, circondato da una selva di baionette, si slanciò in suo soccorso, seguito dal bravo
trombettiere Astesiano. Il giovane ufficiale, avendo
trovato il suo colonnello tra i feriti, lo collocò su un
cavallo vagante, e lo guidò verso le linee piemontesi
che avanzavano. Disgraziatamente per il povero Morelli, passarono presso un fanatico tirolese che giaceva al suolo gravemente ferito mentre i cavalli
avanzavano lentamente, in un impeto di furore questi si precipitò sul Morelli con la baionetta e gli aprì
una ferita mortale nella schiena, ferita a causa della
quale il Morelli morì il giorno dopo a Voghera. Un
medico francese, chiamato sul luogo, aveva subito
giudicato mortale il colpo inferto al Morelli, ma ciò
nonostante procedette ad una prima medicatura e
cucì la ferita. Venne imbastita alla meglio una barella, vi venne collocato il prode colonnello che venne
trasportato fino all’ambulanza e di là a Voghera,
dove morì senza dare un lamento.
Dopo la battaglia il Re Vittorio Emanuele II, elogiando in un ordine del giorno il valore della sua cavalleria ne riassunse l’azione dicendo che “con vigore
e replicate cariche ritardava l’avanzarsi delle poderose colonne finchè le prime truppe della divisione
Forey, accorrendo, entrarono in linea. Giunte queste,
con altre animose cariche secondava il loro attacco,
contribuiva alla splendida vittoria di Montebello e riscuoteva l’ammirazione degli Alleati.”
Anche l’Imperatore Napoleone III, nel far noto all’armata francese il brillante risultato della giornata
di Montebello, pose in rilievo il non comune valore
della cavalleria sarda.
La battaglia di Montebello, primo combattimento
della campagna intrapresa per l’Indipendenza italiana del 1859, fu dunque sostanzialmente vinta
per l’immenso valore della cavalleria piemontese.
A Montebello sul monumento dedicato al soldato si
legge l’iscrizione ben conservata:
“Onore a voi cavalleggeri di Novara, di Aosta, di
Monferrato che il 20 maggio dell’anno 1859 nei
campi di Montebello con ripetuti assalti sgominaste
l’invasore austriaco. Pochi di numero, eppure grande
aiuto alla vittoria delle federate armi di Francia.
Onore a voi che avete mostrato al mondo come il soldato italiano a piedi, a cavallo non è secondo a nessuno dei più lodati”.
23
La battaglia di Montebello venne immortalata da una
tela del pittore Giovanni Fattori che s’intitola “Carica
di cavalleria a Montebello” del 1862 che è oggi conservata al Museo Fattori di Livorno. Probabilmente il
cavaliere che nel quadro del Fattori cade da cavallo in
primo piano, pugnalato dalle baionette austriache è
proprio il Conte Tommaso Morelli di Popolo.
La battaglia di Montebello è riprodotta anche su una
tavola dell’album storico artistico 1859. Guerra d’Italia scritta dal corrispondente del “Times” al campo
franco sardo con disegni dal vero del pittore luganese
Carlo Bossoli. La litografia su carta è attualmente
conservata presso il Museo del Risorgimento di Pavia.
LA SCIARPA AZZURRA
di Giorgio Aldrighetti
Parlando della “sciarpa azzurra” che è, come noto,
il simbolo particolare degli Ufficiali delle Forze Armate Italiane, annotiamo che l’origine di tale particolare insegna distintiva risale nientemeno al XIV secolo e precisamente al 21 giugno 1366 quando
Amedeo VI il Conte Verde salpava da Venezia per la
Terra Santa, al comando di una spedizione forte di
circa duemila uomini, con una flotta composta da
due grandi galere veneziane e numerose altre navi
minori noleggiate a Genova ed a Marsiglia.
Sull’albero di maestra
della sua nave ammiraglia,
per l’occasione egli aveva
voluto che, accanto allo
stendardo dei Savoja, di
rosso alla croce d’argento,
garrisse anche un’altra insegna, di zendalo azzurro,
con caricata in cuore l’immagine di Maria SS.ma e
l’intero drappo seminato
di stelle d’oro, proprio per
onorare la madre di Dio.
Il Cibrario nella sua monumentale Storia della
Monarchia di Savoia così
descrive la galera ammiraglia di Amedeo VI il
Conte Verde: “La galera
capitana su cui veleggiava
24
il Conte Verde era, secondo la magnificenza di quell’età,
leggiadramente dipinta e colla poppa
coperta di foglie d’oro
e d’argento. Sventolavano su quella nave
molte bandiere, fra le
quali primeggiava
quella di devozione,
di zendale azzurro
coll’immagine di Nostra Signora, in un
campo seminato di
stelle. E quel color di
cielo consacrato a Maria è, per quanto a me pare, l’origine del nostro colore nazionale. Gli altri stendardi
erano quelli dei Savoia vermigli, colla croce d’argento; dei nodi d’argento in campo verde, special divisa di Amedeo VI; e quello dell’Ordine del Collare
che, poco prima istituito, ebbe una stupenda occasione di segnalare il valore dè suoi cavalieri in lontane contrade e di renderne, da due opposte e famose
riviere, spettatrici l’Asia e l’Europa. Amedeo levò
l’ancora il 20 e il 21 giugno 1366 da Venezia”.
Parimenti e sempre per onorare la nostra Madre celeste, alcuni Cavalieri della spedizione sabauda cinsero, in tale occasione e per la prima volta, delle
sciarpe azzurre.
L’uso delle sciarpe azzurre, da tale data, si diffuse tra
gli Ufficiali dell’Esercito Savoiardo tanto che tale
smalto assurse poi a simbolo araldico dinastico, al
posto degli smalti di rosso e d’argento dello scudetto
di Savoja antica.
Il 10 gennaio 1572, il duca Emanuele Filiberto di
Savoja, detto Testa di
ferro, rese obbligatoria per tutti i suoi Ufficiali l’uso della
sciarpa azzurra1, che
da secolare tradizione
era stato già adottato,
per iniziativa personale di parecchi Ufficiali: “intendendo noi
che i nostri soldati
portino sciarpe e
bende del nostro colore, cioè azzurro, osGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
sia celeste et non di altro a piacer loro, come siamo
informati essi fanno”.
Il di Gerbaix de Sonnaz, nel suo volume: Bandiere,
stendardi e vessilli di casa Savoia dai Conti di Moriana ai Re d’Italia precisa che: “lo stendardo di zendale azzurro dal 1366 fu l’origine, come accenna il
Cibrario, del colore azzurro nelle divise di casa Savoia, e tuttora dà il colore alla fascia di servizio degli Ufficiali di terra e di mare”.
La fascia azzurra che tuttora portano gli Ufficiali di
terra, di mare e di cielo ha quindi un’origine antichissima, quale forse nessun’altra insegna può vantare, legata alla speciale devozione a Maria, all’Aiuto
dei cristiani; l’azzurro, infatti, per la scienza araldica,
è simbolo di giustizia, di lealtà, di purezza, di gentilezza ma, soprattutto, è lo smalto tipico mariano.
Parimenti i decorati al Valor Militare hanno il nastro
della decorazione d’azzurro2.
Infine ricordiamo che gli “Azzurri” della nostra Nazionale di calcio e di altre discipline sportive derivano, invece, dalla prima Olimpiade dell’era moderna, che si è svolta in Atene nel 1896, quando
sorse il problema del colore da adottare per le divise
delle nostre rappresentanze sportive che partecipavano al primo consesso sportivo internazionale.
Vennero chiesti lumi al re d’Italia Umberto I di Savoja che assegnò subito alle nostre squadre sportive
nazionali il colore azzurro, colore sabaudo e mariano,
per eccellenza, dal 1366.
1
Sotto il regno di Carlo Emanuele II, il Regolamento stabilì,
in data 24 febbraio 1750, che la sciarpa dovesse essere a strisce azzurre e oro, completata alle estremità da due fiocchi dorati, con la striscia centrale dorata che si assottigliava ed il
fiocco che si rimpiccioliva a seconda dei gradi, scendendo a ritroso la scala gerarchica, verso i gradi inferiori.
Nel 1775 Vittorio Amedeo III modificò la sciarpa per i Tenenti
Colonnelli e i Maggiori, dividendola in tre strisce uguali, di cui
la centrale rigata in azzurro, mentre per gli Ufficiali inferiori
vi erano sottili distinzioni a seconda del grado.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Sotto Vittorio Emanuele I, il regolamento dell'8 novembre 1814
stabilì che la sciarpa fosse gialla cosparsa in file parallele di puntini azzurri, rimanendo invariata per gli Ufficiali Generali, cioè in
maglia dorata a puntini azzurri. Dal 25 giugno 1833 si stabilì che
la sciarpa fosse portata distesa attorno alla vita, con il nodo sul
fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore, gli Aiutanti
di campo e gli Ufficiali applicati alle divisioni dovevano portarla
ad armacollo da destra a sinistra.
Dal 4 marzo 1843 la sciarpa si dovette portare arrotolata e non
distesa in vita, per non celare la cintura. In data 25 agosto 1848
fu prescritto il colore turchino per tutti i gradi, tranne il fiocco.
Essa veniva indossata ad armacollo dalla spalla destra al
fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore e gli Aiutanti di campo dovevano portarla ad armacollo al contrario. La
sciarpa azzurra divenne definitivamente un distintivo di servizio e non di grado in data 9 ottobre 1850, uguale per tutti i
gradi, in tessuto color turchino con i fiocchi del medesimo colore. I due capi della sciarpa erano uniti da un passante cilindrico o "noce" in tessuto di seta turchina.
2
Il nocchiero del Regia Marina Sarda, Domenico Millelire nella notte fra il 24 e il 25 febbraio 1793 - contribuisce, con
grande coraggio, perizia e determinazione, a respingere con
gravi perdite una formazione navale Francese guidata dal Ten.
Col. Bonaparte. Il Re Vittorio Amedeo III di Savoja a seguito
di questa brillante e ardita azione, emana Regie Patenti il 21
maggio1793 con le quali si prevede di premiare il Valore Militare con la Medaglia d’Oro o in subordine, di Argento da destinarsi a “bass’uffiziali” o soldati distintisi in combattimento.
La prima medaglia d’Oro venne così appuntata sul “giustacuore” del nocchiero Millelire. Era previsto che tali distinzioni
fossero solo individuali ma, nel combattimento del Colle del
Brichetto (Mondovì) del 1796 il comportamento del Reggimento “Dragoni del Re” fu tale da indurre il Sovrano a concedere due medaglie d’Oro al Reparto che ora ha nome “Genova Cavalleria”: viene quindi sanzionata la possibilità di
concedere medaglie collettive a Reparti o Città. L’insegna era
ed è sostenuta da un nastro di seta “turchino-celeste” - Da qui
il “Nastro Azzurro....”.
L’ASSISTENZA FEMMINILE E
DELLA CASA REALE DURANTE
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
di Riccardo Mattoli
Un secolo fa, con l’entrata in guerra dell’Italia nel
primo conflitto mondiale, mentre i nostri soldati furono impegnati al fronte per la conquista degli ultimi
territori rimasti in mano allo straniero per quella che
fu la quarta Guerra d’Indipendenza, si verificava in
Patria un fenomeno ai nostri giorni dimenticato dal
trascorrere del tempo: lo slancio patriottico delle
donne italiane e di Casa Savoia.
Con slancio unanime le donne d’Italia risposero all’appello della nazione che le chiamò a raccolta nell’ora del glorioso e solenne cimento; tutte, ricche e
povere, colte e popolane, giovani e vecchie che videro
25
partire i mariti e i figli per il fronte, seppero soffocare l’ansia
ed il dolore della necessaria separazione,
per dedicarsi a molteplici opere di assistenza e di carità.
L’attività femminile
italiana gravitò attorno alla Croce
Rossa che contava
migliaia di abili infermiere della classe
più educata, che conseguì il diploma dopo tre anni di serio studio teorico
e due anni di pratica negli ospedali; corsi accelerati
tenuti in tutte le grandi città prima e durante la
guerra prepararono un grandissimo numero di infermiere ausiliarie, in grado anch’esse di rendere
buoni servigi sotto la guida delle più anziane. Il
compito che tutte le volontarie si assunsero, mise a
dura prova la loro volontà e le loro forze: esse dovettero prestar servizio di turno negli ospedali regolari ed improvvisati, nelle ambulanze, nei treni e sulle
navi ospedali, ai posti di primo soccorso e a quelli di
ristoro, nelle stazioni ferroviarie. Non vi furono diserzioni o lagnanze per gli inevitabili disagi della
missione liberamente prescelta, ma tutte, con mirabile slancio, servirono la nobilissima istituzione.
Vennero offerti alla Croce Rossa palazzi privati interamente arredati per il loro scopo ospitaliero, ville
al mare e molte famiglie agiate ospitarono dei soldati
convalescenti. Un commovente plebiscito di carità
riuscì a Milano: la festa del Tricolore, nel
giorno dello Statuto
del 1915: signore e
signorine del Comitato della Croce
Rossa
ricavarono
75.000 lire dalla vendita di fiori e di distintivi.
Un grande esempio
venne fornito dalla
Casa Reale ed in particolare dalle nostre
Regine, sempre le
prime a prodigare
26
soccorsi quando l’Italia attraversò ore
decisive e supreme:
aprirono a Palazzo
Pitti, in Firenze un
laboratorio per le
ambulanze militari;
la Regina Madre affidò alla Croce Rossa
una delle palazzine di
villa Margherita e la
Regina Elena fece
aprire ospedali al
Quirinale, nei palazzi
reali di Mantova e di
Verona. La duchessa
d’Aosta, che fu già l’angelo consolatore dei feriti libici – mirabile fu la sua abnegazione a bordo della
nave Melfi – dopo aver ispezionato le varie istituzioni
italiane della Croce Rossa, si fece visitatrice infaticabile di tutti gli ospedali militari ove incoraggiò i
soldati col suo buon sorriso materno e sorvegliando
tutti i servizi.
La contessa Spalletti-Rasponi, presidente del Consiglio Nazionale delle donne italiane, inviò all’inizio
della guerra ai capi dello Stato Maggiore il seguente
saluto, nel quale si compendia l’entusiasmo e la
bontà della femminilità italiana:
“A voi, prodi soldati di terra e di mare, il saluto augurale delle donne italiane. Al vostro valore, l’onore
e la gloria di consacrare col successo delle armi le fervide aspirazioni della grande anima italiana. Combattete da eroi e vi conforti il pensiero che sui vostri
cari vegliamo noi”.
Iniziative private
Durante il conflitto la Croce Rossa, ebbe un grandissimo numero di
ospedali territoriali.
Ma se questi, nella
massima loro parte,
sorsero in pubblici locali forniti dal Governo, dalle prefetture e da comuni del
regno (scuole, collegi,
accademie ecc.), in
parte vennero anche
impiantati in ville e
palazzi che il cuore di
ricchi cittadini ceGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
dette all’ente benemerito.
Innumerevoli le
iniziative private
tra le quali ricordiamo quelle di
Casa Savoia.
I nostri Sovrani,
primi in ogni
slancio di carità,
aprirono subito le
loro dimore regali
al riposo ed alle
cure dei soldati
reduci dal fronte:
dalla
Regina
Elena alla Regina
Margherita, dalla Duchessa d’Aosta alla Principessa
Letizia, tutti i componenti della Casa Regnante vollero portare il loro valido tributo nell’assistenza che
l’Italia fece ai feriti.
Il Palazzo del Quirinale, per lo zelo infinito della
stessa Regina Elena, e del duca d’Oporto, si trasformò in modo da diventare uno dei più organici
ospedali moderni. Nella «Sala del Trono», in quella
degli «Ambasciatori» ed in quella da ballo, furono
stabilite le condutture d’acqua e l’impianto dei bagni, mediante un ingegnoso rialzo del livello del pavimento; le stesse sale furono divise in ambienti ragionevoli, mediante tramezzi; nelle stanze attigue
vennero istituite sale di medicazione, operatorie e di
radiografia, guardarobe, refettori,
farmacie e cucina. L’ospedale
fu destinato ad
accogliere soltanto soldati semplici e comprendeva
l’intero
appartamento del
primo piano e
constò di undici
corsie, con 206
letti. I guardaroba
occuparono quattro stanze, senza
contare quello
centrale (per la
biancheria
da
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
letto) che si trovava allogato nell’antica Cappella
Paolina. In lato
dell’appartamento
vennero ospitate
le 24 dame infermiere che, dirette
dalla Principessa
di Paternò e coadiuvate da 5 Figlie di S. Vincenzo, portarono
agli ospiti il continuo conforto della
loro delicata assistenza. La farmacia fu installata nella sala d’armi ed il gabinetto radiologico nel salottino del Don Chisciotte.
Cappellano era monsignor Beccaria. I ricoverati ricevevano ottimi pasti, allietati dal suono di inni patriottici, che un grammofono offerto dai Principini,
intonò di continuo, e, oltre a ricevere in lettura i giornali quotidiani e le riviste, avevano a disposizione
anche una piccola biblioteca, messa insieme per loro
dalla stessa Regina. Ai convalescenti furono aperti i
viali dei giardini per qualche passeggiata ristoratrice.
Non meno delizioso fu l’ospedale istituito dalla Regina Madre nel Palazzo Margherita e, per essere
precisi, nella palazzina così detta dei Principini e nell’appartamento un tempo abitato dalla marchesa di
Villa Marina. Esso comprendeva 120 letti e una
quantità di poltrone a rotelle per il facile trasporto
dei convalescenti attraverso i viali della villa. Nel suo
interno tutto era nitido ed elegante, ed ogni comodità era offerta agli ospiti: sale di lettura e di scrittura, giornali e riviste, perfino acque minerali. In
ogni camera spiccavano, sulle pareti, massime dettate dalla stessa Regina: che stimolavano fortemente
le virtù civili e militari dei ricoverati. L’Augusta Signora (come la Regina Elena) ogni giorno, accompagnata dal medico capo, prof. Margarucci, faceva
il giro delle sale, fermandosi letto per letto e lasciando in tutti il ricordo della sua infinità bontà.
Alla Regina Elena (che offrì pure i palazzi Reali di
Genova, Caserta e Firenze) e alla Regina Margherita,
si unirono la Duchessa d’Aosta, col mettere a disposizione della Croce Rossa il Palazzo della Cisterna di
Torino, e la Principessa Letizia, con l’offrire il castello di Moncalieri.
27
Nel castello di Moncalieri, che tante memorie custodisce della Casa Sabauda, furono raccolti un certo
numero di mutilati e divenne la pietosa dimora di
120 tra i più eroici soldati d’Italia, perché fra i più
provati. Con una serie di adattamenti, il vetusto castello alleviò le sofferenze fisiche e morali di tanti infelici, si trasformò adattandosi ad ogni esigenza dell’igiene moderna. La Principessa sorvegliò di persona
la convalescenza di ciascuno, fino al giorno in cui,
debitamente munito del suo arto posticcio, potè
uscire dal castello e tornare in seno alla famiglia. Un
egregio professore si incaricò di insegnare a leggere
e a scrivere agli analfabeti, e, due volte alla settimana, in brevi conferenze, si spiegarono ai soldati gli
ultimi eventi della guerra. Poche suore e dame volontarie coadiuvarono l’Augusta Signora nella sua
non semplice né lieve opera di carità. Nel Castello di
Moncalieri si provvide anche alla rieducazione dei
mutilati.
IL CONTE VERDE
di Lorenzo Orrino
Il paese di S. Stefano, oggi frazione del comune di
Campobasso, è famoso soprattutto perché qui morì
di peste Amedeo VI di Savoia, meglio conosciuto
come il Conte Verde per la sua predilezione per questo colore che usò non solo per i suoi vestiti, ma anche per le divise dei suoi soldati e per gli arredi
delle sue stanze.
Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, era nato a
Chambéry il 4 gennaio 1334. Signore della Savoia,
aveva combattuto i Turchi su invito di papa Urbano
V. Dopo una serie di imprese militari nel bacino
mediterraneo arrivò con le sue navi fino a Costantinopoli che occupò. Si spostò sul Mar Nero e poi ad
Anchialo, Mesembria, Varna e Sozopoli per tornare
nel 1367 a Costantinopoli stabilendosi nel palazzo
imperiale.
Poi cominciò il viaggio di ritorno. Passò per Gallipoli
e poi per Corfù per rientrare a Venezia.
Si recò a Pavia per spostarsi finalmente a Viterbo a
scortare il papa Urbano V che riportava il papato a
Roma.
Il 10 dicembre 1367 finalmente ritornò nella sua
Chambéry e nel 1371 si spostò in Piemonte dove
aderì alla Lega Italica contro i Visconti di Milano. Intanto il papato con Gregorio XI, l’ultimo papa francese, nel 1374 riconosceva la forza dei Visconti.
28
Con la morte di Gregorio XI nella Chiesa cominciava
un complicato conflitto scismatico fino ad arrivare al
1382 quando la regina Giovanna moriva ammazzata
a Muro dove era prigioniera.
Luigi d’Angiò partiva dalla Francia con 12.000 cavalieri per venire a Napoli a prendersi il regno usurpato da Carlo III. Nel suo esercito anche le 1000
lance del Conte Verde, cento delle quali costituivano
la sua guardia d’onore.
Il 17 luglio di quello stesso anno l’esercito francese
arrivava in Abruzzo dove, come ricorda Michele Camera (M. CAMERA, Elucubrazioni storiche-diplomatiche su Giovanna I regina di Napoli e Carlo III
di Durazzo, Salerno 1889), riusciva a riunire i baroni filo-angioini particolarmente irritati nei confronti del Durazzo che, per prepararsi ai nuovi eventi
bellici, li aveva obbligati alla riscossione di un donativo di 300.000 fiorini e al pagamento di nuove
imposte per cinque anni.
Tra gli alleati di Luigi vi furono anche i Caldora.
Amedeo VI, il Conte Verde, dopo una serie di peripezie nell’Abruzzo, Lazio e Campania, venne nel
Molise con il fisico fortemente compromesso dalla
peste che aveva, peraltro, decimato le sue truppe.
Da Montesarchio (BN) si era spostato a S. Stefano,
frazione del comune di Campobasso, dove il 15 febbraio 1383 aveva sistemato ciò che rimaneva del suo
esercito, compresi i cento lancieri della sua guardia.
La sua malattia si aggravava e qui, all’età di 49 anni,
finiva i suoi giorni il 1° marzo 1383.
La morte del Conte Verde fu ricordata da Arnaldo
De Lisio in una delle sue pregevoli lunette della
Banca d’Italia di Campobasso.
LA REGIA NAVE “ZEFFIRO”
di Fabio Monescalchi
Nome: ZEFFIRO
Tipo: cacciatorpediniere (dal 1905 al 1921)
Torpediniera (dal 1921 al 1924)
Classe: Nembo
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Altre unità della classe:
NEMBO(1901)
TURBINE (1901)
AQUILONE (1902)
BOREA (1902)
ESPERO (1902)
Note tecniche: le navi
della classe turbine furono progettate dall’Ing.
Scaglia in collaborazione
#
"
"
23
.
//
.
% 4 33 50 0 1" 0
4 33 6 " 0
44
6/
0
.
3
3
"
/
7
0 /1
!
5
2
3
$%
$
%
&
/
8%
44
" %55
4
3
"
%55
9:"/ ; " %
91:" ; " %
%
%
/ 1
"
con la Thornycroft. È evidente infatti la discendenza dal modello “27-Knotters” inglesi. Tra il 1908
ed il 1912 le navi di questa classe furono sottoposte
ad importanti modifiche nel campo della propulsione
e dell’armamento. Si passò dall’alimentazione a carbone alla nafta, mentre furono sostituiti i cannoni da
57 mm con 4 pezzi da 76, e i quattro tubi lanciasiluri da 356 mm con altrettanti da 450 mm. Esternamente cambiò la sagoma della nave perché il numero dei fumaioli passò da due a tre.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Altre modifiche avvenute nel 1914 consentirono la
possibilità di trasportare e posare da 10 a 16 mine.
Nel dopoguerra fu eliminata una caldaia con il relativo fumaiolo. La potenza massima sviluppabile
scese a 3400 hp. La plancia venne arretrata verso
poppa e fu eliminato uno dei pezzi da 76, sostituito
da una mitragliera antiaerea da 6,5/80 mm.
Anche in conseguenza di questi lavori, nel 1921 fu
declassata a torpediniera. Il 13 marzo 1924 avvenne la radiazione per demolizione.
Impiego operativo: Lo Zeffiro partecipò alla guerra
italo-turca. Il 29 settembre 1911 prese parte, insieme
ad altre navi italiane, ad uno scontro con due torpediniere turche, la Tokat e l’Antalya, uscite dal
porto di Prevesa. Lo Zeffiro, insieme ai cacciatorpediniere Alpino e Carabiniere ed alla torpediniera
Spiga, circondò l’Antalya, che, gravemente danneggiata, andò ad incagliarsi e venne catturata, per poi
essere finita a cannonate dall’Alpino.
Nella prima guerra mondiale operò in Adriatico. In
particolare partecipò alle operazioni di forzamento
dei porti austro-ungarici. Lo Zeffiro faceva parte
della IV Squadriglia Cacciatorpediniere, con base a
Brindisi, che formava unitamente ai cacciatorpediniere Ascaro, Alpino, Carabiniere, Pontiere e Fuciliere. Al comando della nave il Capitano di Corvetta
Arturo Ciano.
La notte successiva alla dichiarazione di guerra, alle
ore due circa del 24 maggio 1915, lo Zeffiro entrò a
gran velocità nel canale navigabile che portava a
Porto Buso, nella laguna di Grado, dove erano presenti un porticciolo nemico ed una caserma. Giunto
a circa 500 metri dalla caserma (intorno alle 3 di
notte), il cacciatorpediniere lanciò un siluro contro
il pontile, danneggiandolo, distrusse le piccole imbarcazioni ormeggiate, cannoneggiò con i cannoni da
76 mm, la caserma e la torretta di guardia danneggiandole ed incendiandole. Il distaccamento comprendeva un ufficiale, il tenente della riserva Johann
Mareth, di origini ungheresi ma cresciuto a Vienna,
68 uomini, di cui 17 erano dislocati in altri punti
della laguna, 11 uomini della guardia di finanza e 2
uomini addetti all’eliografo da poco installato. Della
guarnigione, 11 uomini rimasero uccisi nel cannoneggiamento od annegarono nel tentativo di fuggire,
23 – solo 6 dei quali, tuttavia, erano effettivamente
a Porto Buso al momento dell’attacco – raggiunsero
le proprie linee, 48, compreso l’ufficiale si arresero
e furono presi a bordo dello Zeffiro, che li condusse
a Venezia, ove giunse alle 6 del mattino.
29
Gli austroungarici, dal racconto degli scampati, ma
anche dalla lettura dei giornali italiani, si convinsero
che la colpa dell’accaduto fosse da addebitare in gran
parte alla presunta codardia del tenente Mareth e
non all’audacia dell’azione. I testimoni raccontarono di aver visto uomini in mutande scappare dalla
caserma per arrendersi agli italiani. Inoltre i giornali
riportarono il resoconto di un’umiliante cessione
della sciabola da parte del tenente al capitano della
nave.
Il rapporto austrungarico di quell’azione riporta i seguenti nomi dei prigionieri:
%
0
+
00
@ %
I
'
5
.
0 0
2
5
.
E0
2
5
3
4 $
$
G
, 33 ,
, %
%
% G
+4%
G
# 33 ,
.
G 5
#
J
E 4
G 5
4
,
$
3G 5
'
E 4
' 2 8% $
# 4
#
G
# % L% %
#
$
. 2 4G 5
4
$
4 %
#
% $
4 $
+ 4 K
3
,
G
%
G 5
%
G
J 2
3
G K G 5
2 G
G
% 5
G
% 4
3
4%
#%
$
%
G
K
3% G
4 %4
4 .
2
$
- 3 4
KG
G
+
+
#
+
K
G
4 K$
3
E
L
# %
E
+K
KM
I K $%4%
%
I
4 M
Il rapporto italiano mette in evidenza che tre dei prigionieri risultavano feriti.
Il 5 giugno 1915 missione di scorta al bombarda-/
mento dei cantieri di Monfalcone.
Il 26 luglio 1915 missione di caccia al sommergibile
che aveva affondato la torpediniera 5PN.
Il 30 aprile 1916 la nave salpò per posare un campo
minato a largo di Sebenico, ma fu scoperta dalle navi
30
ospedale Anfitride e Tirol e dovette quindi rinunciare
alla missione. Nelle notti tra il 3 ed il 4 e tra il 4 ed
il 5 maggio lo Zeffiro ed il Fuciliere poterono effettuare la posa di un campo minato nelle acque di Sebenico.
Il 12 giugno 1916 al comando di Costanzo Ciano,
fratello di Arturo, e Nazario Sauro come pilota, irredento nativo di Capodistria, alla ricerca degli Hangar degli idrovolanti austroungarici, parteciparono al
forzamento del Porto di Parenzo. il CT Zeffiro entrò nel porto di Parenzo, con l’appoggio dei cacciatorpediniere Alpino e Fuciliere e delle torpediniere
costiere 40 PN (tenente di vascello Emilio Stretti) e
46OS (tenente di vascello Roberto Sinclair de Bellegarde), degli Hangar non v’era traccia, così si decise
di accostare al molo dove tre gendarmi osservavano
stupìti le manovre del CT. Nazario Sauro rivolgendosi in veneto (lingua ufficiale della marina austroungarica) ai gendarmi, si fece aiutare da questi
ad ormeggiare, a quel punto, insieme a dei marinai
scese a terra per catturarli. Due gendarmi scapparono e il terzo fu catturato.
Fu lasciato sul molo del materiale propagandistico.
Dall’interrogatorio del gendarme si ottenne la posizione approssimativa del rimessaggio degli idrovolanti. Usciti dal porto, le unità iniziarono il cannoneggiamento contro costa al quale pochi minuti
dopo risposero i difensori del porto. Dopo circa 40
minuti le navi ripresero la via del ritorno. Durante
quest’ultima fase le navi furono attaccate anche da
idrovolanti nemici. Il numero degli apparecchi è rimasto imprecisato per discordanza delle fonti. Nave
Fuciliere ed Alpino furono colpite e dovettero registrare 4 morti e 8 feriti. Gli idrovolanti seguirono le
navi finché non vennero a loro volta intercettati da
aeroplani italiani e francesi. Aerei italiani ed alleati
continuarono a bombardare la base anche nei giorni
successivi.
Il rapporto nemico diede la colpa all’ufficiale di picchetto e alle vedette che nel dubbio sulla nazionalità
delle navi in avvicinamento rimasero inattivi. Emanarono nuove regole d’ingaggio oltre a raccomandazioni sulle licenze domenicali (il nemico attaccava
nei giorni di festa) e la sincronizzazione degli orologi.
Gli austriaci ancora oggi descrivono la loro organizzazione marinaresca “perfetta” contrapposta a
quella italiana definita “dilettantistica”.
Il 18 luglio dello stesso anno lo Zeffiro trainò – fino
ad una ventina di miglia da Meleda (di fronte a Ragusa - Croazia), ed appoggiò, insieme alle torpediGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
della notte e, scoperta la corazzata MARS contro essa
lanciò i suoi siluri che purtroppo non scoppiarono.
L’intrepido motoscafo, nonostante che la piazzaforte
si fosse levata in allarme, potè uscire dal varco, sapientemente preparato, e raggiungere incolume le
unità di protezione.
Il 24 settembre 1917 Zeffiro, Pontiere e Carabiniere salparono da Venezia per intervenire in uno
scontro tra le torpediniere costiere 9 PN, 10 PN, 11
PN e 12 PN e quattro cacciatorpediniere austroungarici, ma il combattimento ebbe termine, in seguito all’intervento di aerei italiani, prima dell’arrivo
delle navi salpate da Venezia.
Dal 18 aprile 1918 ebbe il compito di protezione del
traffico marittimo nazionale.
20
20
niere Climene e Procione, tre idrovolanti («L 141»,
«L 156», «L 157») che effettuarono un’infruttuosa
incursione nel canale della Morlacca, che si risolse
senza risultati e con la perdita di due velivoli.
Alla sera del 1° novembre 1916 una spedizione composta dal CT Zeffiro, dalla torpediniera 9 PN e dal
MAS 20 partì da Venezia per tentare il forzamento
di Pola e penetrare nel canale di Fasano. Nella notte
la 9 PN riuscì ad applicare un congegno ed aprire un
varco nelle ostruzioni, per il quale il MAS 20 condotto dal Tenente di Vascello GOIRAN entrò nelle
chiuse acque del nemico. Cercò il bersaglio nel buio
Corvetta a vela, scafo di legno costruita a Napoli,
varata il 19 dicembre 1832. Dislocamento 594 tonn.
Passata alla Regia Marina Italiana nel 1861, fu radiata il 9 maggio 1869.
Cacciatorpediniere, costruito a Sestri Ponente dalla
Ansaldo. Varata il 27 maggio 1927. Affondata nel
porto di Tobruk il 5 luglio 1940.
Dislocamento: tra 1200 e 1800 tonn.
Lunghezza: 93 m. largh. 9,2 m. pesc. 3,9 m.
Potenza: max 40.000 hp vel. 33 nodi
Autonomia: 3200 miglia a 14 nodi
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
31
Equipaggio: 145 uomini
Armamento: 4 cannoni da 120/45
2 mitragliere da 40/39 mm
2 mitragliere da 13,2/76 mm
Siluri: 6 da 533 mm
2 tramogge per bombe di profondità
Attrezzatura per la posa di 52 mine
Fregata missilistica, costruita a Riva Trigoso da
Fincantieri, varata il 19 maggio 1984.
Potenza: max 50.000 hp velocità 31 nodi
Autonomia: 6000 miglia a 15 nodi
Lunghezza: 123 m. largh.12,9 m.
Equipaggio: 225 uomini
Armamento: 1 cannone 127/54
2 ciws AA da 40 mm
Missili: 4 lanciamissili otomat antinave
1 impianto AA albatros
Siluri: 2 tubi da 533 mm
2 lanciasiluri da 324 mm
Mezzi aerei: 2 elicotteri AB 212 ASW
VITTORIO EMANUELE III
AL CONVEGNO DI PESCHIERA
di Ciro Romano
Il 24 ottobre 1917, con la disfatta di Caporetto, per
l’Italia sembra iniziare la fine e sembra profilarsi all’orizzonte la disfatta e la perdita della guerra; una
sconfitta che però avrebbe significato per la Nazione, e per la stessa Casa regnante, ben più di una
sola disfatta militare, già di per sé non piacevole. La
sconfitta, la perdita del I° Conflitto mondiale avrebbe
avuto ben altro significato poiché avrebbe bruscamente impedito la conclusione del processo di unificazione territoriale del Regno d’Italia, processo che
si sarebbe compiuto con l’annessione di quei territori
ancora asburgici e che non erano stati annessi al Regno d’Italia a circa cinquant’anni dall’Unità nazionale. La guerra contro l’Austria, quindi, doveva es32
ser vinta non solo per una questione prettamente militare, ma anche - e soprattutto - per una questione
“ideologica” si potrebbe dire, cioè per concludere il
processo risorgimentale di unificazione d’Italia, e la
Dinastia sabauda in tutto questo giocava un ruolo
fondamentale a livello simbolico. Ma anche a livello
pratico, e quindi attivo (e fattivo), la Monarchia o
meglio il Re, nei concitati giorni post-Caporetto ha
ricoperto un ruolo non secondario
Dopo Caporetto il Generale Cadorna che, insieme al
Governo presieduto da Boselli, aveva guidato le
truppe al fronte, diffuse un bollettino dove scaricava
tutte le colpe sulle truppe, un bollettino che recitava
“La mancata resistenza di reparti della II Armata,
vilmente ritiratisi senza combattere, ignominiosamente arresisi al nemico o dandosi codardamente
alla fuga, ha permesso alle forze austrogermaniche
di rompere la nostra ala sinistra del fronte Giulia”.
Alla lettura di queste parole il Re Vittorio Emanuele
III rimase fortemente turbato tanto da affermare
che “Quel bollettino di Cadorna per Caporetto fu
una cosa stupidissima. Non si insulta un esercito che
è come dire una nazione. Fu una brutta cosa - dice
il Re - e poi non era vero che i soldati non avessero
combattuto. Non era vero”; tanto che il Ministero
della Guerra rivide il testo e si riuscì a non far pubblicare l’originale sui giornali italiani, ma all’estero
la prima versione - quella di Cadorna - fu quella
maggiormente diffusa. E di questo bollettino i nemici
si servirono per fiaccare moralmente le truppe italiane alle quali venivano lanciati in trincea dei volantini stampati con le seguenti parole:“Italiani ! Italiani! Il comunicato del Gen. Cadorna del 28 ottobre
vi avrà aperto gli occhi sull'enorme catastrofe che ha
colpito il vostro esercito. In questo momento così
grave per la vostra nazione, il vostro generalissimo
ricorre ad uno strano espediente per scusare lo sfacelo. Egli ha l'audacia di accusare il vostro esercito
che tante volte si è lanciato dietro suo ordine in inutili e disperati attacchi! Questa è la ricompensa al vostro valore! Avete sparso il vostro sangue in tanti
combattimenti; il nemico stesso non vi negò la stima
dovuta come avversari valorosi. E il vostro generalissimo vi disonora, v'insulta per discolpare sé
stesso”. In questi volantini il nemico stesso riconosceva il valore delle truppe italiane, ma allo stesso
tempo le induceva allo scoraggiamento, alla sovversione, all’ammutinamento ed alla diserzione. Insomma, anche agli alleati, era giunta l’idea che le
truppe italiane erano allo sbando e non più governabili, e che l’unica cosa utile da fare fosse l’attestarsi
su posizioni di difesa ben più arretrate rispetto alla
linea del Piave.
In tutto questo sfacelo il Re è al fronte, potremmo
dire è ovunque: il 31 ottobre è ad Abano (il Quartier
Generale era ad Altichiero) poi a Padova e Treviso,
sulla sinistra della linea del Piave a Porcia, a Motta
di Livezza, sale sul monte Grappa per controllare i
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
lavori di fortificazioni lì condotti.
L’8 novembre di ritorno da Padova, quindi, il Re decide di prender parte al Convegno con gli Alleati per
gestire la situazione, non facile, dopo Caporetto. La
situazione era di forte panico ed indecisione, soprattutto per i politici e gli altri vertici militari, e la
delegazione (12 persone in tutto) si incontra al primo
piano di piccolo edificio a Peschiera del Garda proprio nelle immediate vicinanze delle vecchie mura
della fortezza del quadrilatero che riportava alla
memoria la Guerra del 1848/49. Questa palazzina,
che era una scuola elementare prima della guerra,
era in quel momento adibita a Comando di Battaglione.
L’Italia era rappresentata, oltre che dal Re Vittorio
Emanuele III, dal Presidente del Consiglio On. Emanuele Orlando, dal Barone Sidney Sonnino, dal Generale Alfieri e dall’On. Bissolati; per l’Inghilterra
erano presenti il Primo Ministro Lloyd Gorge, il Generale Wilson, il Generale Robertson, ed il Generale
Smutz; la Francia era rappresentata da Painlevé
Capo del Governo, da Franklin Bouillon ed dal Maresciallo Foch.
Il colloquio non durò - in tutto - forse tre ore, ma in
queste tre ore il Re, che fu l’unico a parlare tra gli
Italiani, riuscì a far presente ai rappresentanti delle
potenze alleate i punti principali per cui doveva esser mantenuta - e potenziata - la linea del Piave, fidando sulle forze delle truppe italiane. Tra gli italiani
è solo il Re a parlare perché è l’unico a saper usare
fluentemente sia l’inglese che il francese, e nelle due
lingue egli esamina le cause di Caporetto. Per il Re
le gravi condizioni metereologiche con le conseguenti
serissime difficoltà oggettive per i combattenti, la
scarsa visibilità dovuta alla nebbia (che era in realtà
il fumo prodotto dai gas asfissianti usati dai nemici), la giovane età di tanti ufficiali preparati
troppo sommariamente e spediti al fronte, la lunga
durata della guerra, la propaganda antimilitarista a
cui i combattenti non restarono insensibili, rappresentarono le cause di quella fiacchezza che portò alla
disfatta. Non fa parola il Re di quella viltà di cui
parla Cadorna nel suo bollettino, né scarica la colpa
sui suoi Generali, ben consapevole che agli alleati
poco interessava il gioco dello scaricabarile delle
colpe. Con decisione e fermezza il Re impone la linea del Piave, certo che le truppe non l’avrebbero
persa e che da lì sarebbe partita la riscossa e con
un’arguzia particolare il Re traduce in inglese il
detto italiano “alla guerra si va con un bastone per
darle, e con un sacco per prenderle” e l’Italia a Caporetto aveva usato quel sacco, intendeva dire il Re,
ora era il momento di usare il bastone. E con padronanza, concisione, e senza inutili retoriche fece
presente gli alleati la necessità di fornire quegli appoggi necessari affinché non si perdesse tutto il Veneto, arretrando ancora (così come gli paventavano
alcuni generali).
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Il Primo ministro inglese disse del Re d’Italia che a
Peschiera “parlò con il fervore di Mazzini, con la
chiaroveggenza di Cavour e conquistò tutti. Egli
propugnò la resistenza a qualunque costo per la
causa comune, anche se l’Italia aveva dovuto abbandonare temporaneamente al nemico una provincia. Si dichiarò pronto ad abdicare. Con la sua
eleganza dissipò tutte le dubbiezze, troncò tutte le titubanze. Egli fu, in quella precarietà, il salvatore
della causa degli alleati”. Questa testimonianza è
fondamentale perché il Primo Ministro inglese, presente al Convegno, è da ritenersi una fonte attendibile e scevra da intenti propagandistici a favore del
Re. Viene riconosciuto al Re d’Italia il merito della
“motivazione”, perché è grazie a quel suo intervento a Peschiera se gli Alleati, poi, decisero di non
abbandonare la linea del Piave e di giocare tutto
sulla ripresa di quanto perso con Caporetto. Il Re,
inoltre, riuscì a rassicurare gli Inglesi ed i Francesi
che lo spirito sovversivo non era tra le truppe italiane
e che il “contagio” di certe idee non doveva esser ritenuto pericoloso.
Indubbiamente la presa di posizione del Re, e il suo
personale coinvolgimento hanno dato al Convegno di
Peschiera quella direzione, che potremmo definire
“politica”, che orientò le sorti belliche successive
verso Vittorio Veneto. Il Re, in prima persona, si
spende per indirizzare le azioni successive in quella
direzione da lui ritenuta più congeniale per la causa
italiana, innanzitutto. Una direzione che era quella
del perseguimento dell’unità territoriale piena, in ossequio agli italiani morti al fronte, ed agli italiani
delle guerre risorgimentali. La consapevolezza del
Re, che metteva in gioco se stesso e la sua corona, era
ben chiara a lui per primo, e paventò l’eventualità
dell’abdicazione, come abbiamo letto nelle parole del
Primo Ministro inglese, ma anche il generale Wilson
(sempre della parte inglese) scrive che Vittorio Emanuele III lo chiamò qualche giorno dopo, il 12 novembre, e l’alto ufficiale britannico riconosce che il
Re in quella guerra si giocava tutta la sua posizione,
il suo trono, l’avvenire di sua moglie e dei suoi figli,
il futuro della sua fortuna e dell’Italia.
La Monarchia era pienamente coinvolta e il suo
principale attore era il Re che in primo piano si era
messo in gioco dimostrando fiducia nelle truppe, e
dimostrando una capacità di persuasione non indifferente. Quel pessimismo “cadorniano” che adduceva tutte le cause della sconfitta alla viltà dell’esercito, che paventava fucilazioni di massa, che
preferiva un arretramento ulteriore della linea del
fronte lasciando un pezzo d’Italia maggiore al nemico, fu vinto in quelle poche ore a Peschiera proprio grazie alla comunicazione diretta che il Re
seppe mantenere - senza interpreti - con gli altri alleati. Per Cadorna, dimostrando una miopia intellettuale molto profonda, la sua Caporetto non era diversa dalla sconfitta di Chemin des Dames che
33
nell’aprile del 1917 fu subita dai Francesi contro i
Tedeschi, in quell’occasione il generale Foch non fu
sollevato dall’incarico ed anzi era a Peschiera come
rappresentante degli Alleati. Mentre Cadorna fu sostituito da Diaz. Questo a conferma del fatto che la
percezione della guerra e della sconfitta era ben diversa in Cadorna e nel Re. Al Re era più che chiaro
che la guerra per l’Italia aveva ben altro valore rispetto alla Francia, rappresentava la conclusione
dell’Unificazione della Nazione. Il Capo del Governo
Orlando, del resto, scrisse che a Peschiera il Re “fu
il principalissimo oratore di tale convegno. Con assoluta padronanza dell’argomento espose la nostra
situazione militare e conquistò coloro che lo ascoltavano. Il Re ebbe sempre una fede incrollabile nel nostro esercito. È bene che il popolo italiano sappia che
l’umile ed anonimo soldato italiano, quello che doveva
esser glorificato come il Milite Ignoto, ebbe nel re un
difensore tenace e commosso anche quando era di
moda far gravare su di esso le cause del rovescio”.
Del resto il Re era ben consapevole che il disastroso
stato dei soldati era da imputare a Cadorna che li angariò, li sfruttò, li tenne lontani da casa per mesi, li
equipaggiò malissimo, li sottopose alle intemperie, li
mandava stoltamente ad assalti criminali, ma di
tutto ciò non ne fece parola al Convegno perché non
amava attardarsi nella ricerca delle colpe di qualcuno, non credeva nell’utilità di soffermarsi sulle varie recriminazioni intorno al passato, ma non condivideva nemmeno che la colpa, per intero, venisse
scaricata sui combattenti.
Il Re tiene fermo, a Peschiera, sulla linea del Piave
andando contro chi voleva l’abbandono anche del
Veneto, ed alla fine persuade che la sua linea è
quella vincente. Come Vittorio Emanuele II divenne
un collante per la neonata Italia, con il Convegno di
Peschiera Vittorio Emanuele III rappresentò per la
Nazione un motivo di rivalsa, e soprattutto di fiducia, fiducia che esattamente 12 mesi dopo, si sarebbe
tramutata in realtà poiché fu l’Italia a sfondare a Vittorio Veneto e a travolgere ogni resistenza; ed il seguente mito del “Re soldato” a giusta ragione pose
Vittorio Emanuele III come principale protagonista
dell’epopea della Ia Guerra Mondiale.
Dopo Peschiera il Re, lontano da ogni colpevolizzazione, emana un bollettino in cui parla dell'incoercibile
diritto dell'Italia che doveva esser tutelato e protetto da
ogni violazione ed invita gli Italiani ed i soldati ad esser un Esercito solo. Il Re è certo che ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Con immensa fiducia e speranza
Vittorio Emanuele III conclude con una lucidissima osservazione: “Al nemico, che ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e
della nostra compagine, si risponda con una sola coscienza, con una voce sola: tutti siamo pronti a dar
tutto, per la vittoria e per l'onore d'Italia!”.
34
Bibliografia di riferimento:
Bertoldi Silvio, Vittorio Emanuele III, UTET, Torino
1970.
Ceschin Daniele, Gli esuli di Caporetto, Laterza,
Roma-Bari, 2006.
Cognasso Francesco, I Savoia, Il Corbaccio, Milano
1999.
Silvestri Mario, Isonzo 1917, BUR, Milano 2014.
DALLA NEUTRALITÀ ALL’INTERVENTO
28 LUGLIO 1914 – 24 MAGGIO 1915
di Domenico Giglio
Nulla faceva presagire, alla fine di giugno 1914,
quanto stava per avvenire a Serajevo, nel corso della
visita dell’arciduca ereditario dell’Impero AustroUngarico Francesco Ferdinando, accompagnato
dalla sua consorte, sposa morganatica, Sofia Chotek,
città dove si sapeva sussistere qualche possibilità di
disordini e di contestazioni, in quanto si riteneva
fosse stata programmata dalla imperial-regia polizia
ed esercito, un adeguato servizio d’ordine e di sicurezza. Invece le vicende andarono come andarono,
ma malgrado lo sdegno, la solidarietà dinastica, la riprovazione unanime che scosse tutti gli stati europei,
non si immaginava ancora quello che sarebbe accaduto un mese dopo, con l’inaccettabile ultimatum
dell’Austria-Ungheria, che la Serbia non poteva discutere, ma accettare integralmente, il che, non essendo avvenuto, fu ritenuto motivo sufficiente per la
diplomazia austroungarica, forte del richiesto appoggio e consenso germanico, ma non di quello italiano, punto fondamentale sul quale ritorneremo, per
dichiarare guerra al Regno di Serbia, che pur sapevano essere sotto l’alta protezione, per solidarietà religiosa e slava, dell’Impero Russo.
Perché doveva l’Austria-Ungheria rivolgersi anche al
Regno d’Italia? Perché così era chiaramente previsto in un articolo di quel trattato di alleanza difensivo, denominato “Triplice alleanza”, che dal 1882
legava il Regno d’Italia all’Impero Germanico ed a
quello Austro-Ungarico, e doveva scattare solamente
quando uno dei tre contraenti fosse stato attaccato
da altre nazioni, e inoltre prevedeva compensi agli
altri firmatari se uno dei tre avesse ottenuto in Europa, dei vantaggi territoriali. Per cui giustamente un
autore non italiano, Oswald Uberegger, precisa:
“…l’Austria e la Germania non coinvolsero l’Italia,
ciò violava chiaramente le clausole del Patto difensivo che prevedevano l’obbligo di consultazione con
violazione dell’art.1 e 3…”. Purtroppo questo timore
del grande impero Austroungarico nei confronti del
piccolo Regno di Serbia, era da qualche tempo una
costante della diplomazia austriaca, anche dopo che
la stessa aveva proceduto all’annessione formale
della Bosnia Erzegovina, dove era Serajevo, avvenuta
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
nel 1908 dopo decenni, dal 1878, di amministrazione fiduciaria austriaca, ed a questo proposito si
seppe che già nel 1913, senza alcun pretesto l’Austria
volesse attaccare la Serbia, venendone dissuasa dal
governo italiano, presieduto da Giolitti. Perciò la
dichiarazione della neutralità italiana, da parte del
governo presieduto da Antonio Salandra, era la logica conseguenza della violazione austriaca dei patti,
anche se la stessa fu malvista ed anche vituperata da
Vienna e dall’opinione pubblica austriaca che ritenevano la “servetta” Italia dovesse fare quello che
decidevano i “padroni”!
La guerra iniziata vedeva perciò in campo da una
parte Germania ed Austria-Ungheria, alle quali si sarebbe aggiunto diversi mesi dopo l’Impero Ottomano, dall’altra parte la Serbia, la Francia, il Regno
Unito e l’impero Russo, mentre il neutrale Regno del
Belgio, veniva attraversato dalle armate germaniche,
malgrado la resistenza del suo piccolo e valoroso
esercito, comandato personalmente dal Re Alberto,
suscitando lo sdegno sia nei paesi della “Intesa”, termine usato per l’alleanza franco-britannica, sia nei
paesi neutrali, fra i quali l’Italia.
Perché allora il Regno d’Italia si era legato all’Austria
ed alla Germania? La risposta è lunga ed articolata
e discende dalla solitudine dell’Italia, dopo il 1870,
quando con Roma, si era completata l’unificazione
del Regno, nato nel 1861, salvo il Trentino e l’Istria,
quella che poi chiamammo Venezia-Giulia, “…si
com ‘a Pola, presso del Quarnaro, che Italia chiude
e suoi termini bagna…” (Dante – canto IXvv.113/114), in quanto la Francia, caduto Napoleone III, non ci era più amica, temendo la nostra
concorrenza nel Mediterraneo ed in Africa, ed i cattolici francesi non ci perdonavano il nostro ingresso
a Roma, ponendo fine all’assurdo potere temporale,
che, a quei tempi molti ancora ritenevano indispensabile per l’indipendenza del Pontefice. C’era poi
l’Austria che nel suo intimo avrebbe desiderato riprendersi, anche con le “cattive” il ricco LombardoVeneto. Rimaneva fuori la Gran Bretagna, che pur
essendoci stata vicino ed amica durante il nostro processo unitario, non intendeva impegnarsi nel continente europeo, volendo ancora accrescere e consolidare il suo impero negli altri continenti, impero
come mai se ne era visto, né si sarebbe visto successivamente, l’eguale. Quanto a Spagna e Portogallo,
dove era Regina Maria Pia, figlia di Vittorio Emanuele II, la loro importanza in Europa era ormai secondaria ed erano oltre tutto lontani, come lo era
l’Impero Russo, che all’epoca cercava quella alleanza dei tre imperatori di Austria, Germania e
Russia, che, finché fu mantenuta fino alla fine del
XIX secolo, tanto contribuì alla pace europea. Rimaneva la Germania che aveva raggiunta anch’essa
nel 1870 la sua unità imperiale, e con la quale il regno d’Italia era già stato alleato nella guerra del
1866 (per noi terza guerra d’indipendenza). Qui il
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
cancelliere Bismarck, ottenuti e raggiunti gli obiettivi territoriali con le guerre tutte vittoriose, da quella
del 1864 contro la Danimarca, insieme con l’Austria,
per i due ducati dello Schleswig e dell’Holstein, alla
successiva guerra del 1866 contro l’Austria, alleata
con il regno di Baviera, per estrometterla dalla guida
degli stati tedeschi, ed infine la guerra del 18701871 contro la Francia, con l’acquisizione della Alsazia e della Lorena, voleva dedicarsi, sia alla politica coloniale, alla quale l’Austria non era interessata, sia al rafforzamento interno dell’Impero
Germanico, ed assicurare quei decenni di pace di cui
l’Europa godette fino allo sciagurato luglio 1914,
quando Bismarck era morto da anni (1898), dopo
essere stato estromesso nel 1890, dalla guida del governo.
In questa ottica possiamo affermare che Bismarck fu
l’ideatore ed il fautore della “Triplice”, che impediva
all’Austria di attaccare l’Italia, tranquillizzava l’Italia stessa e formava un blocco territoriale, che dal
mare del Nord e dal mar Baltico, raggiungeva il
mare Adriatico ed il Mediterraneo. Si arrivò così
sotto il Governo Depretis, esponente principale della
“sinistra storica”, alla firma del trattato, avvenuta a
Vienna, il 20 maggio 1882, da parte del nostro ambasciatore di Robilant, trattato segreto, di carattere
esclusivamente difensivo, che ripetutamente rinnovato, era ancora in vita nel 1914, trattato in cui era
stato aggiunta una interessante postilla, da noi sollecitata, nella quale si precisava che non doveva essere usato “contro” la Gran Bretagna.
Se queste erano le più che giustificate motivazioni
storiche della “Triplice”, non possiamo dimenticare
che in Italia, esisteva fin dal 1866 un fondo di amarezza, negli spiriti risorgimentali, per Trento e Trieste, rimaste all’Austria, chiamato “irredentismo”,
che l’atteggiamento austriaco nei confronti delle esigenze scolastiche, linguistiche e culturali della minoranza di lingua italiana, in diverse occasioni provvedeva a rinfocolare, mantenendolo così vivo e vitale,
come si vide proprio nel periodo che esaminiamo,
quando a Trieste il principe di Hohenlohe, ancora nel
1913, emetteva una ordinanza con la quale venivano
licenziati dagli impieghi i cittadini italiani, accentuando la politica slavofila che già da anni veniva
svolta nell’Istria e nella Dalmazia, favorendo l’invasione dell’elemento slavo, le cui conseguenze si sono
protratte anche dopo la nostra vittoria del 1918 ed
hanno pesantemente determinato il destino degli
italiani dopo la seconda guerra mondiale.
Di tutto ciò il Regno d’Italia era consapevole. Operava diplomaticamente, accoglieva gli italiani provenienti da queste regioni, ma non poteva scatenare
una guerra, contando su di una evoluzione naturale,
anche dinastica, del vicino impero, per cui lo scoppio della guerra nel luglio 1914 apriva di colpo e
senza alcun preavviso nuovi scenari e prospettive,
alle quali non eravamo preparati, né materialmente,
35
né psicologicamente.
Il Regno d’Italia, non aveva nessuna colpa o responsabilità nello scoppio della guerra, come ribadito
da Domenico Fisichella, nel suo recente studio Dal
risorgimento al fascismo, anche se qualche scrittore
italiano masochista sostiene questa tesi, facendo riferimento alla nostra guerra di Libia contro l’impero
Ottomano, alla quale erano seguite nel 1913 le
guerre balcaniche che avevano senza dubbio modificato la geografia politica della regione ed ingrandito il Regno di Serbia, ritenendola prodromica alla
grande guerra, ma la tesi è facilmente opponibile dal
momento che senza l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, nessuna guerra sarebbe scoppiata
in quella estate del 1914 che ancora vedeva le località termali, come Vichy dove riposava Giolitti, ed altri siti turistici pieni di esponenti politici dei più
vari paesi. Per cui giustamente Giacomo Perticone,
nella sua L’Italia contemporanea 1871-1948, scrive
testualmente: “…l’Italia, l’unica tra le grandi potenze che avesse escluso dalla sua politica estera
una soluzione del problema dell’equilibrio attraverso un conflitto armato. Gli Italiani credevano
nella ragione, contro la forza. Era stata l’Italia l’unica che aveva gettato apertamente un ponte tra le
due coalizioni europee, mettendole in guardia contro i facili calcoli degli stati maggiori militari. L’Italia aveva inequivocabilmente negato ogni solidarietà alla politica della sciabola guglielmina, alla
politica della sacra “revanche” francese, ponendosi
in questo modo fuori del circolo delle responsabilità
che gravano, più o meno, sulle altre Potenze”.
Giustamente quindi, rifacendosi alle clausole del
Trattato, disattese dall’Austria, il governo Salandra, in carica dal 21 marzo 1914, raccogliendo quasi
l’unanimità della Camera, il 2 agosto 1914 proclamava la neutralità dell’Italia, nel conflitto appena
iniziato, ed il Ministro degli Esteri, il marchese Antonino di San Giuliano, in una nota successiva spiegava che essere neutrali non significava non provvedere alla tutela degli interessi nazionali, nota
particolarmente importante perché proveniva da un
ministro che dal 1910 dirigeva la nostra politica
estera ed era quindi stato Ministro con Giolitti, nel
precedente governo. In quanto Giolitti si era sì dimesso il 10 marzo 1914 per l’uscita dei radicali
dalla sua maggioranza, ma aveva lui stesso indicato
al Re il nome di Salandra come successore. È infatti
da ricordare che già altre volte Giolitti si era ritirato
dal governo, lasciando spazio temporaneo ai Fortis,
ai Sonnino ed ai Luzzatti, prima di riprenderne le redini, ma questa volta il destino aveva deciso diversamente e Salandra, al governo da pochi mesi si
trovò a gestire con il di San Giuliano, purtroppo già
malato e che sarebbe mancato il 16 ottobre 1914, il
più grave problema che l’Italia avesse dovuto affrontare e risolvere da quando era unita e con Roma
Capitale. Giova qui ricordare che Antonio Salandra,
36
di origine pugliese, nato a Troia in provincia di Foggia, era uno degli esponenti principali delle “destra” liberale, ed era tra quelli che maggiormente intendevano collegarsi con i valori patriottici e
risorgimentali della “Destra storica”, dei Ricasoli,
Minghetti e Sella.
L’ipotesi di scendere in campo con gli alleati della
Triplice, se albergò in qualche vecchio Senatore,
ambasciatore o addetto militare, non fu mai presa in
considerazione per il noto motivo che era stata l’Austria ad aggredire la Serbia e non il contrario, per cui
il problema era il mantenimento della neutralità o la
entrata in guerra a fianco dell’Intesa, se non si fossero altrimenti ottenute le famose modifiche delle
frontiere, rimaste tali dal 1866 e che vedevano centinaia di migliaia di Italiani, ancora sotto un governo
straniero, da cui quell’irredentismo, che tenuto a
freno per quarant’anni per i motivi già esposti poteva
finalmente tornare ad essere l’ago della bilancia e
con l’irredentismo, si muoveva l’interventismo, che
aumentava di peso di giorno in giorno e nel quale
confluivano le tendenze più disparate, che ci voleva
a fianco della “cugina” Francia, dove già una “legione garibaldina” di volontari era accorsa, memore
di quanto era già avvenuto con Garibaldi nel 1870,
anche se di quell’intervento la Francia non gli era
stata grata, avendo già avuto numerosi caduti tra i
quali proprio i nipoti Bruno e Costante Garibaldi.
Abbiamo parlato di tendenze disparate dell’interventismo, a cominciare dalla massoneria, legata particolarmente alle Logge Francesi, dai repubblicani,
dove riemergeva con prepotenza la componente patriottica e risorgimentale, dai sindacalisti rivoluzionari, che più antiveggenti di altri ritenevano che
dalla guerra, come poi accadde, con la scomparsa di
quattro imperi, sarebbe uscito un mondo del tutto diverso da quello in essere, dai futuristi ed anche dai
nazionalisti dopo una iniziale sbandata. A questi
via via, specie dall’ottobre si sarebbero aggiunti anche gruppi cattolici, con personalità di spicco quale
Giuseppe Donati e successivamente Filippo Meda,
che divenne successivamente Ministro, ed ai primi
del 1915, anche gli aderenti all’Unione Popolare
dei cattolici italiani, nella loro assemblea approvavano per acclamazione un ordine del giorno che affermava la necessità della piena efficienza delle
Forze Armate ed invitava i cattolici a sottoscrivere il
prestito nazionale di un miliardo, che, a titolo indicativo, ma significativo, ebbe poi sottoscrizioni per
1380 milioni, ed il loro Presidente, Giuseppe della
Torre affermava che la neutralità era “…condizionata dall’inviolabilità di quei diritti, di quelle aspirazioni, di quegli interessi che costituiscono il patrimonio di una Nazione che sono la vita della sua vita,
la speranza di tutto il suo avvenire”. Quanto ad altri interventisti persino un famoso anarchico Enrico
Malatesta proclamava che la Monarchia neutralista
era condannata e da Torino, Efisio Giglio Tois, paGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
cifista, fondatore della Federazione Internazionale
studentesca “Corda Fratres”, telegrafava minacciosamente al Re, “se non avesse portato l’Italia in
guerra, sarebbe stato spazzato via dalla rivoluzione.”
E successivamente si intimò “o guerra o repubblica”, simile anche come origine a “o la repubblica
o il caos”, del 1946!
Dunque il Re! fino ad ora non avevamo mai accennato al Re, Vittorio Emanuele III. Ebbene il Re era
profondamente legato alla storia ed alle tradizioni
della Sua Casa, e particolarmente al Risorgimento,
e da bambino non voleva giuocare nel giorno dell’anniversario della tragica giornata di Novara del
1849, per cui pur mantenendo la Triplice Alleanza,
aveva intensificato i rapporti personali con la Gran
Bretagna, la Francia e l’Impero Russo, recandosi e ricevendo i relativi Capi di Stato, Re, Presidenti ed Imperatori, in modo che l’Italia non fosse ritenuta
esclusivamente legata agli Imperi centrali, ma aperta
all’amicizia ed alla collaborazione con tutte le altre
maggiori potenze dell’epoca, per preservare il bene
inestimabile della pace europea, pur “pensando da
irredentista”, come scrissero personalità che lo avvicinarono in quegli anni. Ed a tale proposito è bene
ricordarlo e ripeterlo, il prestigio internazionale del
Re era tale che a Lui furono affidate da altre nazioni,
arbitrati su questioni di confini, ed a Lui si rivolse
un prestigioso uomo d’affari statunitense, anche se
nato in Europa, David Lubin, israelita, per i problemi della agricoltura, ottenendo il Suo consenso ed
il suo aiuto, che portò, il 7 giugno 1905, alla nascita
dell’Istituto Internazionale dell’Agricoltura, con sede
in Roma, progenitore dell’attuale FAO, che per questo motivo ha mantenuto la sua sede nella Capitale
d’Italia.
Il Re dunque, nel 1914, seguiva attentamente le vicende internazionali, ed aveva già dovuto prendere
delle decisioni che si sarebbero rivelate fondamentali
nel prosieguo del tempo, la prima con la nomina, 10
luglio 1914, di Luigi Cadorna, a Capo di Stato Maggiore Generale del Regio Esercito, essendo deceduto
improvvisamente il primo luglio, Alberto Pollio, che
ricopriva tale carica, e la nomina a Ministro degli
Esteri, di Sidney Sonnino, uomo politico toscano,
nato a Pisa, e più volte oltre che Ministro, Presidente
del Consiglio, ed esponente della “destra” liberale,
anche in questo caso per la morte del marchese di
San Giuliano. Si afferma che entrambe queste personalità scomparse fossero “tripliciste”, ma su questo punto è bene fare chiarezza. Se la Triplice era
l’alleanza ufficiale del Regno d’Italia potevano due
altissimi funzionari dello stato remare “contro?”.
Potevano, specie il Pollio, militare, uomo di vasta
cultura storico-militare, autore di importantissimi
studi su “Custoza 1866” e su “Waterloo”, progettare
piani d’azione contro gli alleati, e questo anche a prescindere dal fatto del fascino che esercitava, non
solamente in Italia, lo Stato Maggiore e l’esercito gerGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
manico, il primo in Europa e nel Mondo, dopo la disfatta dell’esercito francese nel 1870 e di quello
russo, nella guerra russo-giapponese del 1904?
Quindi che fossero “triplicisti” non era assolutamente una colpa e lo stesso Cadorna, appena insediato, pensava a progetti di appoggio, in caso di
guerra, all’esercito germanico sul Reno! Quanto a di
San Giuliano, oltre e dopo la nota già citata sul significato della neutralità, negli ultimi travagliati
mesi della sua vita, aveva già ipotizzato e studiato il
distacco dalla Triplice e l’adesione all’Intesa.
Quindi la guerra dichiarata dall’Austria, modificava
lo scenario, anche se come già detto l’Italia aveva
scelto la neutralità, il che sul piano della guerra appena iniziata giovò alla Francia che potè così sguarnire la frontiera alpina, e ci consentiva di rivolgere
l’attenzione ai problemi dell’esercito, in quel momento ridotto a poco più di 300.000 uomini, anche
a causa della recente guerra di Libia, terminata nel
1912, che aveva richiesto un notevole dispendio di
uomini e di materiali, e a richiamare alcune classi per
portarlo lentamente a 900.000, ed infine, quando si
decise l’intervento, con la relativa mobilitazione generale, alla cifra di 1.554.535 soldati.
Che la giusta decisione del 2 agosto 1914, cioè, la
neutralità non potesse essere definitiva fu presto
evidente per il fronte “interventista”, ma era altrettanto evidente che l’eventuale passaggio dalla neutralità all’intervento, presentava sul piano diplomatico difficoltà gravissime, anche se proprio da
Bismarck, molto tempo addietro, era venuta questa
lapidaria affermazione che “nessun popolo, sull’altare della fedeltà ad un trattato (in altra occasione
definito “chiffon du papier”) potrà mai sacrificare le
ragioni della propria esistenza”. Per cui il fronte interventista si andava ulteriormente ampliando, con
la svolta del socialista Mussolini, ancora direttore
dell’Avanti, che nell’ottobre passa alla neutralità
“attiva ed operante”, e da lì a poco all’interventismo,
con la conseguente estromissione dall’Avanti ed all’espulsione, il 29 novembre, dal Partito socialista, ed
alla contemporanea nascita di un nuovo giornale, da
Lui diretto, Il Popolo d’Italia. Strani mesi per l’Italia quelli da agosto a dicembre 1914, quando avviene una sterzata governativa, prima con la frase del
“sacro egoismo”, pronunciata da Salandra, ma particolarmente con il suo discorso, da Presidente del
Consiglio, il 3 dicembre, che annuncia una “neutralità poderosamente armata e pronta”, ed i deputati della maggioranza sorgono in piedi inneggiando
all’Italia ed a Trieste, atteggiamento che viene criticato da Alfredo Frassati, direttore de La Stampa di
Torino, e senatore del Regno dal 1913, uno dei quotidiani più importanti e diffusi dell’epoca, decisamente neutralista, anche se di profonde convinzioni
patriottiche, convinto che l’Italia non dovesse essere
“rinunciataria”, ma neutrale, sfruttando questa sua
neutralità in maniera dinamica ed attiva, utiliz37
zando gli strumenti diplomatici e negoziando le acquisizioni territoriali con l’Austria finché fosse possibile.
Sulla sponda opposta, Il Giornale d’Italia, sonniniano e diretto da Alberto Bergamini, il Secolo, ma
soprattutto l’altro maggiore quotidiano italiano, Il
Corriere della sera, di Luigi Albertini, anche lui senatore del Regno, che era fautore deciso dell’intervento, ritenendo la guerra “metafora della rigenerazione morale, civile e politica del paese”,
atteggiamento che avrebbe influito sulla media ed
anche piccola borghesia urbana, indirizzandola verso
l’intervento, e sugli studenti, da cui provennero successivamente numerosi volontari, convincendo che
l’Italia, se voleva essere una potenza europea non potesse rimanere fuori dal conflitto.
Lo scontro che avrebbe assunto nel successivo 1915,
anche per l’intervento di Gabriele d’Annunzio, oratore principe del fronte interventista, toni sempre più
aspri e violenti, favorito anche dai mesi di incertezza,
come non era accaduto nel resto dell’Europa, dove
la fulmineità delle decisioni governative non dettero
tempo a contrasti e polemiche e quindi furono accolte con entusiasmo dalle popolazioni e dalle forze
politiche, socialisti compresi, con l’eccezione della
Francia, dove il leader socialista Jean Jaurès, noto
antimilitarista fu ucciso il primo agosto 1914, alla vigilia della guerra, da un nazionalista.
Abbiamo sottolineato il confronto ed il conflitto giornalistico esistente a livello dei maggiori quotidiani,
ma anche nelle numerose riviste esistenti, nate nel
primo quindicennio del secolo ventesimo, testimonianza di una notevole vivacità intellettuale e della
volontà di uscire dal provincialismo della vecchia Italia preunitaria, ricordiamo Lacerba, il Leonardo,
Hermes, Il Regno, ma particolarmente La Voce, fondata nel 1908 dall’allora giovanissimo Giuseppe
Prezzolini (1882-1982), che si firmava Giuliano il
Sofista, che nel 1914, prima di essere sostituita da
La Voce politica, erano tra le voci più qualificate e
documentate a favore dell’intervento, a fianco dell’Intesa. E questo non solo per il raggiungimento
della completa unità nazionale e territoriale, ma,
come scrisse lucidamente Gaetano Salvemini perché
“la vittoria della Triplice Intesa non minaccia l’indipendenza nazionale dell’Italia né di alcun’altra
nazione europea, al contrario di ciò che si deve
aspettare da una vittoria austro-germanica”, e perché “L’ Italia non essendosi fatta da sola, aspetta finalmente l’atto che la dimostrerà capace di fare da
sé”. Su queste riviste, è bene sottolinearlo, scrivevano
giovani scrittori, poeti e letterati che coerenti parteciparono alla guerra, arruolandosi anche come “volontari”, pagando in molti casi con la vita la loro
scelta e la loro passione da Giosuè Borsi ad Umberto
Boccioni, Alberto Caroncini, Renato Serra, Antonio
Sant’Elia, Scipio Slataper e Carlo Stuparich.
Nelle decisioni che si sarebbero poi prese, argomento
38
non indifferente, anche se di minore impatto emotivo, e molto trascurato nella pubblicistica sia recente
che dell’epoca, ma che doveva essere tenuto ben
presente dai governanti, era quello degli approvvigionamenti di merci, anche alimentari, di materie
prime e di materiali di cui l’Italia aveva assolutamente bisogno, essendone in tutto o in parte priva,
approvvigionamenti che arrivavano via mare, via
controllata dalla Gran Bretagna, la cui flotta era la
prima del mondo, e che, pertanto, sarebbero mancati nel caso di una nostra confermata neutralità,
che, a questo punto, sarebbe divenuta un vantaggio
non indifferente sul piano militare per gli Imperi
Centrali e quindi svantaggiosa per le Potenze dell’Intesa che ne avrebbero tratto le relative conseguenze.
In ogni caso prima di svincolarci in modo civile dai
residui finali della Triplice, dovevamo esperire con
l’Austria, secondo l’articolo 7, del trattato, la strada
dei compensi territoriali dovutici e solo la loro dimostrata impossibilità di conclusione positiva,
avrebbe giustificato agli occhi di tutti, l’accordo con
l’Intesa. Iniziava così il 9 dicembre 1914, come da
istruzioni date da Sonnino, sull’art. 7 che, ripetiamo, imponeva l’obbligo, previ accordi, di congrui
compensi per occupazioni territoriali, la lunga trattativa con il governo austroungarico, tenuta dal nostro ambasciatore a Vienna, Avarna, con contemporanea conoscenza al governo germanico, da parte
dell’ambasciatore Bollati. Questa trattativa protrattasi per mesi, fino ad aprile, è documentata nel “Libro verde”, predisposto per la seduta del 20 maggio
della Camera dei Deputati, dal Ministero degli Esteri,
ricco di ben 77 documenti ufficiali, che dimostra la
iniziale riluttanza della diplomazia austriaca a riconoscere le nostre ragioni, poi la lentezza nell’approfondire le nostre richieste territoriali, poi una
loro respinsione, poi ancora una accettazione parziale e riduttiva, portando così l’Italia a stipulare il
26 aprile 1915 il “Patto di Londra” con l’Intesa,
Gran Bretagna, Francia e Russia.
In questa vicenda delle trattative con l’Austria, si inserisce la missione straordinaria diplomatica a
Roma, che l’Impero Germanico, più lungimirante e
concreto del suo alleato, affidò ad una personalità di
primo piano, già Cancelliere dell’impero, il Principe di Bulow, buon conoscitore dell’Italia e della sua
classe politica e governativa, oltre tutto sposato con
la figlia di Donna Laura Minghetti e cognato del Senatore del Regno, il Principe di Camporeale. Il Principe di Bulow, dal suo alloggio di Villa Malta, si
prodigò in quei mesi sia a convincere gli amici italiani sulla opportunità e sui vantaggi del mantenimento della neutralità, sia soprattutto a convincere
Berlino, che a sua volta convincesse Vienna ad accedere a tutte le richieste italiane dal Trentino a
Trieste, intervento che portò alle tardive ed ancora
incomplete concessioni del 18 maggio, quando già il
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Governo Italiano aveva provveduto il 3 maggio alla
denuncia della “Triplice”.
Qui giunti è necessario fare il punto sulle accuse di tradimento, cambio di fronte, disprezzo dei trattati, definiti come una “costante” della storia italiana e come
tali ripetute incoscientemente anche da noi, cominciando dal Risorgimento, che portò all’Unità d’Italia,
in quanto prima dello stessa vi erano gli italiani dispersi
in vari stati, diversi dei quali per di più con Sovrani
stranieri, ma non l’Italia. La Storia d’Italia, come disse
mirabilmente Giovanni Pascoli, nel suo discorso del 9
aprile 1911 agli Allievi dell’Accademia Navale di Livorno, inizia dal 1861! In ogni caso vediamo la Prima
Guerra d’Indipendenza, 1848 – 1849.
Il Regno di Sardegna iniziò da solo la guerra all’Austria nel 1848 e da solo la terminò, sia pure sconfitto, nel 1849, dato che il concorso iniziale di truppe
pontificie e napoletane, venne a mancare essendo
state ritirate dai rispettivi governi.
La seconda Guerra d’Indipendenza del 1859 vide il
Regno di Sardegna alleato con l’Impero Francese di
Napoleone III, ed aveva lo scopo di liberare il Lombardo-Veneto dal dominio austriaco, ma dopo la
battaglia pur vittoriosa, di Solferino, Napoleone
firma con Francesco Giuseppe l’armistizio di Villafranca, ritirandosi dalla guerra, senza tener conto dei
patti e dell’alleanza con Vittorio Emanuele, limitando così il ricongiungimento della sola Lombardia
al Regno Sardo.
La terza Guerra d’Indipendenza del 1866 vede il Regno d’Italia alleato con il Regno di Prussia, ma i
prussiani dopo la vittoria di Sadowa sull’esercito
austriaco, ritengono raggiunti gli scopi della guerra
e non tengono conto dell’alleato italiano che ottiene
egualmente il Veneto, ma grazie all’intervento di
Napoleone III.
Nella guerra Franco-Prussiana del 1870-1871, il
Regno d’Italia si mantenne neutrale non avendo né
patti, né trattati con i due belligeranti, e sarà Garibaldi, libero da impegni di carattere istituzionale ad
accorrere in soccorso della Francia, ottenendo a Digione, l’unica vittoria sull’esercito prussiano.
Dal 1871 al 1914 l’Europa rimase in pace, Balcani
esclusi, per cui non vi potevano essere cambiamenti
di fronte ed il Regno d’Italia partecipò insieme con
le altre potenze alle vicende di Creta e della Cina, ed
alla guerra, oggetto di queste note, l’Italia partecipò
dall’inizio nel 1915 alla fine nel 1918 a fianco dell’Intesa. Quindi quali cambiamenti di fronte?
Ed i trattati stracciati? Ripetiamo che la Triplice era
un trattato esclusivamente difensivo e prevedeva la
solidarietà solo nel caso che una delle tre potenze venisse attaccata da altre potenze, ”casus foederis”,
mentre nel luglio 1914 avvenne decisamente il contrario! I due imperi germanico ed austroungarico
non si curarono di chiedere il parere dell’Italia,
prima di gettarsi nel conflitto, forse perché ritenevano che sarebbe stato negativo, come nel 1913. AlGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
lora chi ha violato i trattati? Non certo l’Italia che
cercò, nell’ambito ancora della Triplice di raggiungere i risultati territoriali che si era storicamente proposta e dopo il tergiversare dell’Austria, come già
detto, prese contatto con le altre potenze, la vittoria
delle quali, in quella primavera del 1915 non era poi
così certa, per cui non si può dire che ci buttammo
dalla parte dei vincitori!
In conclusione il Patto di Londra dava al Regno
d’Italia molto di più di quanto ci avrebbe riconosciuto l’Austria, cioè ci riconosceva il confine del
Brennero, invece che a Salorno, confine che avrebbe
ripetuto la vulnerabilità della nostra frontiera, così
come era stato il confine del 1866 che vedeva l’Impero Austriaco, con il Trentino incuneato tra Lombardia e Veneto, con i conseguenti rischi che si videro
nel 1916 quando l’Austria, sferrò la famosa offensiva, la spedizione punitiva, “Strafexpedition”, e
l’altro confine delle Alpi Giulie, con Trieste, non più
“città imperiale”, l’Istria, e poi la Dalmazia, le isole
Curzolari e Zara, bloccando le pretese di ingrandimento della Serbia, dopo il 1918, divenuta Jugoslavia, che voleva raggiungere il confine dell’Isonzo, che
solo la sfortunata guerra del 1940, le ha consentito
di avere, escluse però Gorizia e Trieste sulle quali ancora sventola quel tricolore, che dovemmo invece
ammainare a Pola, Fiume e Zara, con l’esodo di oltre trecentomila giuliano-dalmati. Ed a proposito di
Fiume, che dopo la fine della guerra, nel 1919, fu
motivo di scontri, e di accuse di “dimenticanza” nel
Patto di Londra, è bene precisare che all’epoca del
patto, che oltre tutto non prendeva in considerazione
lo smembramento dell’Impero Austro-Ungarico, risultava essere maggiore desiderio dei fiumani di
avere una ampia e completa autonomia, piuttosto
che l’annessione all’Italia, per divenire lo sbocco
commerciale di tutto il retroterra slavo.
Il Patto di Londra, firmato il 26 aprile 1915, prevedeva un mese di tempo per la nostra entrata in
guerra, per cui la strada dell’intervento era aperta,
ma i neutralisti erano ancora numerosi, specie nel
Parlamento. Fu bello ci si chiese e si chiede negoziare
quasi contemporaneamente su due fronti? A questa
domanda recentemente ha risposto Sergio Romano:
“No, ma è impossibile negare che le concessioni degli Alleati Occidentali rispondessero maggiormente
agli interessi nazionali come erano allora percepiti
dalla maggioranza della classe dirigente e della società italiana“.Tornando alla Camera dei Deputati,
la stessa eletta nel 1913, con le prime elezioni a suffragio quasi universale, era in maggioranza di osservanza giolittiana, e, malgrado il voto favorevole
dato al governo Salandra, guardava sempre a Giolitti e specie di fronte a questo nuovo ed imprevisto
problema della guerra, era neutralista perché sapevano che Giolitti sconsigliava la guerra. Ma il neutralismo di Giolitti era così assoluto? Era invece un
neutralismo condizionato e ritenuto tale per via di
39
una sua famosa lettera all’amico Peano, in cui si faceva l’ipotesi, ma non la certezza, non essendo lui al
governo, che si sarebbe ottenuto “parecchio” dall’Austria, senza ricorrere alle armi, perché “…io
considero la guerra come una disgrazia, la quale si
deve affrontare solo quando è necessario per l’onore
e per i grandi interessi del paese”. Posizione perciò
assolutamente diversa e contrastante con il neutralismo dei socialisti, l’unico vero ed assoluto, anche
dopo le critiche mosse allo stesso da Mussolini, di cui
abbiamo già parlato.
Ora questa posizione, forse volutamente non capita,
fece di Giolitti in quei primi mesi del 1915 il bersaglio principale degli interventisti, con definizioni
volgari ed oltraggiose, con sospetti ed accuse infamanti di corruzione, con minacce all’integrità fisica
della persona, che si dovette proteggere, e spiace che
in questa campagna contro Giolitti si distinguesse
d’Annunzio, che forse non gli perdonava la censura
che aveva dovuto doverosamente adottare nel 1911,
quale Presidente del Consiglio, su una sua “canzone
d’oltremare”, dove veniva colpita la persona dell’allora alleato Imperatore Francesco Giuseppe.
Quindi il mese di maggio del 1915 fu uno dei mesi
più drammatici che avesse attraversato la storia dell’Italia unita, per un possibile conflitto tra le istituzioni dello stato e nella società civile, per cui la riapertura della Camera, prevista per il 20 del mese era
attesa con un interesse, mai, forse raggiunto in precedenti occasioni.
Gli interventisti avevano toccato il culmine della
loro propaganda sull’opinione pubblica con i discorsi di Gabriele d’Annunzio, il 5 maggio a Quarto,
per l’inaugurazione del monumento ai “Mille”, dove
sarebbe dovuto intervenire anche il Re, presenza
che il Governo non aveva ritenuto opportuna, per cui
il Re si limitò a mandare un telegramma, il cui testo
predisposto da Ferdinando Martini, era però particolarmente significativo: “Se cure dello Stato, mutando il desiderio in rammarico, mi tolgono di partecipare alla cerimonia …non si allontana…dallo
scoglio di Quarto il mio pensiero. A codesta
…sponda…che vide nascere chi primo vaticinò l’unità della Patria (Mazzini) e il duce dei Mille (Garibaldi) salpare…verso immortali fortune, mando il
mio commosso pensiero. E con lo stesso fervore di affetti che guidò il mio grande Avo…traggo la fede nel
glorioso avvenire d’Italia”, ed il successivo discorso
il 16 maggio dalla ringhiera del Campidoglio.
Giolitti, non era a Roma, dove giunse da Cavour, la
mattina del 9 maggio, trovando i famosi trecento biglietti da visita di parlamentari suoi devoti, ed ebbe
subito colloqui con Salandra, ed il successivo 10
maggio con il Re, dove spiegò il suo pensiero ed anche l’origine del suo neutralismo, che non era antipatriottismo, ma nasceva dalla sua visione, oltre
modo pessimistica dell’Italia in caso di guerra, sia sul
terreno militare, sia per possibili rivolgimenti in40
terni, il che è ben strano nell’uomo che tanto aveva
contribuito alla crescita economica, politica e sociale
dell’Italia stessa nei tredici anni dei suoi governi, e
che aveva condotto positivamente la recente annessione della Libia. Di fronte a questa posizione il Governo ritenne doveroso dimettersi il successivo 13
maggio, ed il Re, nel suo abituale rispetto delle consuetudini parlamentari, iniziò con estrema urgenza
le consultazioni per la soluzione della crisi, convocando per primi i Presidenti delle Camere, Manfredi e Marcora, poi Giolitti, che dichiarandosi non
disponibile per costituire un nuovo governo, suggerì
il nome dell’on. Carcano, e poi ancora un vecchio stimato parlamentare, Boselli, ma avendo avuto tutte
risposte negative, il Re non potè che respingere le dimissioni del governo, rinviando lo stesso alle Camere.
Con questa decisione, statutariamente ineccepibile,
il Re, come sempre si assumeva le sue responsabilità,
mentre altri sfuggivano le loro, per cui non può parlarsi, come da alcuni fu detto allora e ripetuto successivamente, di “colpo di stato”, termine assurdo se
consideriamo che il Re era il Capo dello Stato.
Quindi mentre Giolitti ripartiva il 17 per Cavour, il
successivo 20 si apriva la Camera ed il Governo
presentava un disegno di legge, di un solo articolo,
che attribuiva al governo stesso, “..in caso di guerra
e durante la guerra...”, poteri straordinari per
agire,“...dalla difesa dello stato, dalla tutela dell’ordine pubblico, e da urgenti e straordinari bisogni
della economia nazionale...”, disegno di legge che veniva approvato con 407 voti favorevoli, 74 contrari,
in gran maggioranza socialisti e un astenuto, ed il 21
maggio il Senato confermava l’unanime l’approvazione da parte dei 281 senatori presenti.
Così dopo dieci mesi di discussioni anche accese, di
ragionevoli incertezze, di trattative necessariamente
nascoste, l’Italia entrava in guerra il 24 maggio, in
quella che fu anche definita “Quarta Guerra d’Indipendenza”, e sottolineo questa dizione, a dimostrazione che la nostra guerra non aveva fini imperialistici, ma quello di raggiungere i confini
storico-geografici della Nazione Italiana e compiere
così l’impresa del Risorgimento, per cui la formale
dichiarazione di guerra, che statutariamente spettava
al Re, fu inviata alla sola Austria-Ungheria, e non
alla Germania, con la quale non avevamo alcun
contenzioso, ed alla quale fummo costretti ad inviarla il successivo 25 agosto 1916.
Il larghissimo voto favorevole della Camera e la successiva entrata in guerra, se non crearono quella
“unione sacra” che sarebbe stata necessaria, perdurando l’atteggiamento negativo dei socialisti, ebbero però un riscontro positivo, anche in chi, fino ad
allora aveva professato convinzioni neutraliste ed a
tale riguardo ritengo particolarmente significativo citare il discorso che proprio Giolitti tenne al Consiglio
Provinciale di Cuneo, di cui era Presidente, il successivo 5 luglio, che per nobiltà di termini, oggi deGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
sueti, andrebbe affisso a testimonianza di un sentire
nazionale, altrettanto oggi desueto: “Quando il Re
chiama il paese alle armi, la provincia di Cuneo,
senza distinzioni di parti e senza riserve, è unanime
nella devozione al Re, nell’appoggio incondizionato
al Governo, nell’illimitata fiducia nell’esercito e nell’armata… L’impresa cui l’Italia si è accinta è ardua
e richiederà gravi sacrifici, ma nessun sacrificio ci
parrà troppo grave se ricorderemo sempre che dall’esito di questa guerra,... “dalla situazione politica
che ci troveremo a pace conclusa, dipenderà l’avvenire dell’Italia per un lungo periodo della sua storia,”
invocando infine concordia, perseveranza e la calma
dei forti”. Con l’entrata in guerra, il Re, partendo per
il fronte dove per quaranta mesi avrebbe seguito
giornalmente e personalmente le operazioni, la cui
responsabilità tecnica era demandata al Capo di
Stato Maggiore, Cadorna, nominava suo Luogotenente Generale, lo zio Tommaso di Savoia, Duca di
Genova, fratello della Regina Madre Margherita,
onde assicurare la continuità dell’attività governativa, legislativa ed amministrativa del Regno, e con
il Re, tutti gli altri componenti della Casa Savoia assumevano posti di responsabilità nella conduzione
della guerra stessa, dal Duca d’Aosta, comandante
della Terza Armata, al Conte di Torino, comandante
dell’Arma di Cavalleria ed al Duca degli Abruzzi, comandante della Forze Navali, mentre tutti i più giovani principi dei due rami, Genova ed Aosta, partecipavano alle operazioni belliche dando prova di
valore e di coraggio ed infine le Regine Elena e Margherita trasformavano in ospedali militari il palazzo
del Quirinale ed il Palazzo Margherita, e la Duchessa d’Aosta, ispettrice nazionale della Croce
Rossa, visitava instancabilmente gli ospedali da
campo e le altre strutture sanitarie in zona di guerra.
Dal Quartier Generale, il 26 maggio il Re indirizzava
un proclama ai Soldati di Terra e di Mare, messaggio, che lo storico Perticone nella sua opera già citata considera in termini positivi e per il quale il periodico La Voce, che non era certo una voce
cortigiana, scrisse questo commento: ”Il proclama
del Re: eccellente. Tutti lo dicono. Tutti lo sentono.
Breve, sobrio, efficace, senz’ira, senza vanteria. Se lo
Stato Maggiore condurrà la guerra con lo stessi stile,
l’Italia farà una bella figura. Ma c’è di più: il proclama del Re è una lezione di scrittura. Dovrebbe essere dato come modello ai giornalisti, agli oratori,
agli studenti. Senza Dio e senza paura, proprio moderno. In questa Italia, dove non si sa far nulla
senza l’aquile romane, il proclama del Re ha portato
una nota simpatica e nuova.” Ed ecco il proclama:
“L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle Forze di Terra
e di Mare, con sicura fede nella vittoria, che il vostro
valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a comGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
battere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal
terreno e dai sapienti apprestamenti dell’arte, egli
opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomito
slancio saprà di certo superarlo. Soldati, a voi la gloria di piantare il Tricolore d’Italia sui terreni sacri che
Natura pose a confine della Patria Nostra; a voi la
gloria di compiere finalmente, l’opera con tanto
eroismo iniziata dai nostri Padri”.
Bibliografia:
1) Antonio Salandra: La neutralità italiana - Collezione italiana diari etc. diretta da Angelo Gatti.Edizioni Mondadori - 1928
2) Antonio Salandra: L’intervento - 1915 - Collezione italiana diari etc. diretta da Angelo Gatti- Edizioni Mondadori – 1930
3) Amedeo Tosti: Storia della Guerra della Guerra
Mondiale vol.2 (volume primo) - Edizioni Mondadori – 1937
4) Gian Dauli: L’Italia nella Grande Guerra – Edizioni Aurora – Milano - 1935
5) Giacomo Perticone: L’Italia contemporanea –
1871 - 1948 dalla Storia d’Italia illustrata vol. 8.
Edizioni Mondadori - 1962
6) Gioacchino Volpe: L’Italia Moderna vol. 3 (volume terzo dal 1900 al 1915). Editore Sansoni –
1952 (l’opera è stata ristampata con prefazione del
prof. Francesco Perfetti)
7) Indro Montanelli: L’Italia di Giolitti – editore
Rizzoli 1974
8) Aldo A. Mola: Giolitti – lo statista della nuova Italia.
Collana “Le Scie”- Edizioni Mondadori - 2003
9) Documenti diplomatici presentati al Parlamento
Italiano dal Ministro degli affari esteri - Roma Tipografia Editrice Nazionale - 1915
10) Alberto Pollio: Custoza - 1866 edizione della Libreria dello Stato – Roma - 1935 IV edizione
11) Domenico Fisichella: Dal risorgimento al fascismo editore Carocci - 2012
Nota sui Principi di Casa Savoia dei Rami Aosta e Genova impegnati al fronte, Amedeo – n. 1898 – Duca
delle Puglie - volontario - artiglieria da campagna –
una medaglia di bronzo e due di argento (duca d’Aosta dopo la morte del Padre, Emanuele Filiberto)
Aimone - n. 1900 – Duca di Spoleto – guardiamarina, poi capo squadriglia idrovolanti – due medaglie di bronzo ed una di argento (Duca d’Aosta dopo
la morte del fratello Amedeo)
Umberto – n. 1889 – m.1918 – Conte di Salemi - tenente, due medaglie d’argento
Ferdinando – n.1884 – Principe di Udine – tenente
di vascello – due medaglie di argento (Duca di Genova dopo la morte del padre Tommaso)
Filiberto – n. 1895 - Duca di Pistoia - ufficiale di cavalleria – una medaglia di bronzo
Adalberto - 1898 – Duca di Bergamo – ufficiale di
cavalleria nei Lancieri di Novara.
41
LIBRI
CESARE MARIA DE VECCHI DI VAL CISMON:
il quadrumviro scomodo
di Domenico Giglio
“Onora il padre…”, è il quarto Comandamento che
Mosè, portò giù dal Sinai, che mi è venuto spontaneo
alla mente, incominciando a leggere il volume “Diari
1947 – 1949 “ di Giorgio De Vecchi di Val Cismon,
pubblicato da “Editrice Dedalo Roma – Euro 18,00”,
nell’anno 2014, ad opera dei figli di Giorgio, Cesare,
Paolo (mancato anni or sono) e Vittorio, perché pubblicandolo hanno reso onore all’azione svolta dal padre Giorgio, che a sua volta, come si evince dai Diari,
con l’opera appassionata svolta in difesa di suo Padre
Cesare, aveva onorato il comandamento divino.
I Diari, relativi agli anni 1947, 1948 e 1949, oltre
che delle vicende economiche della famiglia De Vecchi, e della vita quotidiana che la famiglia svolgeva
tra Torino e Roma in quel periodo, testimoniano le
faticose ricerche da parte di Giorgio, di documenti,
di testimonianze, gli incontri con quanti avevano conosciuto e collaborato con il padre Cesare Maria,
auto-esiliato in Argentina, che doveva difendersi di
fronte alla Corte d’Assise Speciale di Roma, per i cosiddetti “delitti fascisti”, di cui era accusato secondo
il D. L. Lt. 27/7/1944, n.159, dimenticando il ruolo
da Lui svolto il 25 luglio 1943 e dopo l’8 settembre,
non aderendo alla repubblica sociale e partecipando
alla Resistenza, accuse che grazie appunto all’imponente massa di prove e testimonianze favorevoli
raccolte dal figlio, portarono alla sentenza praticamente assolutoria del 14 novembre 1947, confermata dalla Corte Suprema di Cassazione il 16 giugno 1949, che consentirono finalmente il ritorno in
Italia di Cesare De Vecchi, il 10 luglio 1949.
Quanto poi all’altra accusa rivolta a Cesare De Vecchi dei “profitti di regime”, anche qui la minuziosa
analisi svolta dal figlio Giorgio, risalendo addirittura
ai Nonni, esemplare per chiarezza e precisione doveva portare al totale ridimensionamento delle richieste fameliche del Fisco.
42
Il volume è poi ricco oltre che di note storiche, di interessanti allegati, particolarmente la memoria difensiva predisposta dall’avvocato Manassero, di particolare importanza oltre che per la parte
storico-politica, per la parte giuridica, nella quale si
smontano pezzo per pezzo, articolo per articolo, le
accuse rivolte a De Vecchi, rifacendosi alla giurisprudenza che si veniva formando in quegli anni,
dopo i tormentati processi del biennio 1944-1945,
dimostrando la rinnovata, allora, “apartiticità” e
“apoliticità “della Magistratura italiana.
Con questa pubblicazione viene così a riempirsi un
vuoto storico nei confronti di questo valoroso soldato,
fedele al Re ed alla Patria, al di là ed al di sopra della
scelta politica da lui fatta nel 1921, spintovi dal
biennio “rosso”, 1919-1921, che troppi oggi dimenticano, riscattata in ogni caso con il voto a favore
dell’ordine del giorno Grandi, il 25 luglio 1943,
voto per il quale era stato condannato a morte, fortunatamente in contumacia, dal Tribunale Speciale
della repubblica sociale, in quel processo di Verona,
che aveva disonorato la nostra millenaria civiltà
giuridica, condannando coloro che, in una libera
votazione, su di un documento conosciuto in precedenza da chi poi lo pose regolarmente ai voti, avevano espresso una altrettanto libera volontà di pacifico cambiamento in quella tragica estate del 1943.
La Guardia d’Onore Giuseppe
Melloni di Rovigo ha curato la
realizzazione di un volume fotografico sul gemellaggio tra le
delegazioni di Rovigo ed Aosta. L’evento, di cui abbiamo
dato notizia nella rubrica “Cronaca delle delegazioni”, si è
svolto nei giorni 25 e 26 ottobre 2014, con la visita di alcuni
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
dei luoghi più suggestivi della Val d’Aosta; ora l’intento è quello di far svolgere un evento analogo nell’anno corrente, con la visita dei soci valdostani a Rovigo.
Le Edizioni Tigulliana di Santa
Margherita Ligure (GE) hanno
pubblicato il volume Pianeta
Donna 2014, raccolta antologica
a cura di Marco Delpino e Francesca Laganà, contenente due
profili biografici di cui è autrice la
prof.ssa Raffaella Saponaro
Monti-Bragadin, delegata dell’Istituto di Genova, dedicati a Maria Cristina di Savoia,
la reginella santa e alla Regina Margherita.
LE VIE DI SABAUDIA DEDICATE AI SAVOIA
IN UN BEL LIBRO DI FRANCO BRUGNOLA
di Pietro Grassi
Il 18 dicembre 1932,
in occasione della
inaugurazione del
capoluogo
delle
nuove terre prosciugate dell’agro pontino (Littoria, ora
Latina), il Capo del
governo Benito Mussolini così definì i
nuovi impegni che
avrebbero portato a
compimento
la
grande opera di bonifica: “Il 28 ottobre
si inaugureranno altre 981 case coloniche; il 21
aprile 1934 si inaugurerà il nuovo comune di Sabaudia” lasciando interdetti i responsabili dei lavori,
che disponevano di soli 16 mesi per quella realizzazione, anch’essa diretta dal Commissario del governo per l’Opera Nazionale Combattenti (O. N.
C.), il Conte Valentino Orsolini Cencelli. Si tralasciano i tanti, interessanti e a volte incredibili particolari che caratterizzarono l’edificazione della
nuova città, limitandoci a sottolineare che essa fu coGUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
struita in soli 253 giorni: posa della prima pietra il
5 agosto 1933 ad opera di Benito Mussolini “nella
terra ancora intrisa nell’acqua della palude” e inaugurazione il 15 aprile 1934 da parte dei Sovrani Vittorio Emanuele III e Regina Elena poiché il nome
della nuova città, stabilito con decreto ministeriale
del 22 luglio 1933, fu coniato per onorare la Dinastia dei Savoia così come recita l’aulica epigrafe
scolpita sulla torre civica: REGNANDO VITTORIO
EMANUELE III – BENITO MUSSOLINI CAPO
DEL GOVERNO PRESSO LE VESTIGIA DI REMOTE CIVILTÀ – DIEDE VITA A SABAUDIA –
CHE PORTA NEL NOME GLI AUSPICI DELL’AUGUSTA DINASTIA REGNANTE.
Lo scorso anno la splendida cittadina pontina sita in
riva al mare, ai piedi del Circeo e al centro del Parco
nazionale omonimo in un ambiente naturale talmente peculiare da essere stato dichiarato di recente dall’UNESCO “patrimonio dell’umanità”, ha
celebrato l’ottantesimo anniversario della fondazione (1934 – 2014).Vi sono state molte manifestazioni; il 15 aprile, data della sua nascita, è stato particolarmente fitto di avvenimenti: Consiglio
comunale straordinario, sfilata lungo le strade della
città presente il ministro dei Trasporti e Infrastrutture, mostra “Come eravamo” sulla vita dei cittadini
nel corso degli ottant’anni e concessione della cittadinanza onoraria a Vittorio Storaro, amante del
luogo e vincitore di ben 3 premi Oscar quale tecnico
delle luci. Ma l’azione più meritevole per la ricorrenza va attribuita a mio avviso a Franco Brugnola,
che ha pubblicato di sua iniziativa il volume Il «chi
è» delle strade di Sabaudia incentrato sulla “odonomastica sabaudiana” che va oltre la semplice toponomastica cittadina in quanto sublimata da un
puntuale studio storico-linguistico sui nomi che indicano le vie cittadine (ed. APS – Gruppo Editoriale
L’Espresso, euro 18,00 – sito: ilmiolibro.it). Poiché
il nome di Sabaudia, come detto, fu stabilito in
omaggio ai Savoia, il volume si apre con gli odonimi
della Dinastia: ben 29 personaggi storici ad iniziare
dal fondatore Umberto Biancamano dalla cui via,
non a caso, si accede alla città e che si tramuta, alle
prime case, in corso Vittorio Emanuele II, Padre
della Patria e protagonista dell’unificazione nazionale. Prima di accedere alla piazza del Comune, al
cospetto della bianca torre civica, detta via incrocia la
seconda grande arteria trasversale, il corso Vittorio
Emanuele III che onora il Regnante dell’epoca. A seguire le altre strade con i nomi dei protagonisti della
43
Casa; l’Autore ha stilato per ognuno dei profili sintetici, scorrevoli che ben illustrano la storia millenaria dei
Savoia attraverso i suoi protagonisti. Opera meritoria,
in contrasto con un diffuso senso di sufficienza se non
di fastidio verso i Savoia per via della “damnatio memoriae”, non ricordando che quella Dinastia ha fatto
l’Italia e che, dall’anno Mille, essa fu protagonista dell’intera storia europea.
Per il lettore il libro di Brugnola costituisce un gradevole, utile ”prontuario” per la conoscenza dei Savoia attraverso i nomi che ne indicano le vie. Unico
rilievo, per altro suscettibile di eventuale rettifica
nelle prossime edizioni: l’assenza di una figura centrale come quella di Vittorio Amedeo II che elevò il
Ducato a Regno nel 1713 (trattato di Utrecht), anche se a ciò indotto, forse, da una “svista” dei quattro urbanisti vincitori del concorso che stilarono la
pianta della città (gruppo Cancellotti, Montuori,
Piccinato, Scalpelli).
Dopo aver trattato i Savoia, l’Autore completa l’opera curando altri interessanti “profili”: gli urbanisti, i santi, le lestre e gli antichi mestieri, personaggi
storici e tanti altri argomenti riferiti a questi luoghi
incantevoli che, dalla preistoria, non hanno perso il
loro fascino.
Un plauso a Franco Brugnola e un grazie da parte di
chi scrive, che nel 1971 stilò una tesi su Sabaudia,
che fu il primo studio organico sulla cittadina e il suo
territorio. Ci si augura, infine, che nelle prossime edizioni il volume possa essere corredato da una piantina toponomastica che consenta al lettore di meglio
rendersi conto dello sviluppo viario cittadino, apprezzandone ancor più il messaggio storico.
TUITIO FIDEI ET OBSEQUIUM PAUPERUM
di Marco Letta
Anno 1048, Gerusalemme.
Qui, in un contesto di continui scontri tra cristiani e
musulmani, Frà Gerardo
fondò quello che, nel corso
dei secoli, sarebbe divenuto
il Sovrano Militare Ordine
Ospedaliero di San Giovanni
di Gerusalemme, di Rodi e
di Malta stabilendone, fin da
subito, i due carismi fonda44
mentali cristallizzati nel motto Tuitio fidei et obsequium pauperum.
L'Ordine, crescendo per importanza e numero dei
propri membri, aumentando le proprie ricchezze e i
propri possedimenti, moltiplicando i propri ospedali
nei quali forniva una eccelsa assistenza a tutti i bisognosi, destreggiandosi nelle alleanze tra i diversi
regnanti europei, svolgendo un importantissimo
ruolo militare nelle diverse battaglie terrestri e marine tra cristiani e musulmani, trovandosi a mutare
diverse volte la propria sede a causa degli eventi politici e militari susseguitesi, mantenendo sempre uno
speciale rapporto con la chiesa cattolica, è riuscito a
sopravvivere a tutte le vicissitudini e a diventare,
oggi, con le sue strutture e organizzazioni e forte del
suo ruolo internazionale, un fondamentale protagonista nelle opere umanitarie di soccorso e assistenza che si svolgono in tutti gli scenari mondiali,
non solo nei paesi poveri ma anche in quelli più sviluppati, in cui vi siano persone bisognose colpite da
fame, malattie, guerre, catastrofi naturali, emarginazione e delle quali, talvolta, il resto della comunità
mondiale sembra dimenticarsi o non volersi occupare.
Menotti Garibaldi fu
il primogenito di
Giuseppe e Anita.
Nato in Brasile nel
1840, partecipò dal
1859 al 1871 a tutte
le campagne militari
del padre, compresa
la Spedizione dei
Mille. Si distinse in
particolare a Bezzecca, nel 1866,
dove meritò una
medaglia d’oro.
Negli anni Settanta divenne deputato del collegio di
Velletri, carica che ricoprì per un ventennio, battendosi
sempre per il miglioramento delle condizioni dell’Agro
Romano e dei suoi abitanti. Divenne imprenditore
agricolo di una vasta area nella zona veliterna, trasformando il piccolo centro campestre di Carano in un
borgo rurale attivo e importante, provvisto di telegrafo,
scuola e stazione sanitaria. La sua incessante attività
di bonificatore lo portò ad ammalarsi e a morire, nel
1903, sconfitto dalla malaria.
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
Una figura fra le più romantiche del mondo garibaldino e certamente un “degno figlio di tanto padre”. Il volume ha il patrocinio dell’Istituto. L’autore,
Marco Formato, è Guardia d’Onore. Nato a Parma
nel 1983, è laureato in “Arte, spettacolo, immagine
multimediale” (Università di Parma). Vicepresidente del Circolo Culturale “Filippo Corridoni” e vicesegretario del comitato parmense dell’Istituto per
la storia del Risorgimento italiano, da anni svolge
l’attività di organizzatore di spettacoli ed eventi culturali in tutta Italia. Collabora saltuariamente con la
Gazzetta di Parma.
MONOGRAFIA
SULLA
CAVALLERIA
La Guardia d’Onore di
Varese, membro della
Consulta dei Senatori del
Regno, avv. Santino
Giorgio Slongo, è autore
di un opuscolo dal titolo:
“ La cavalleria: cenni
storici. L’Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro”.
NOTE LIETE
Il 17 febbraio 2015 è nata Stella, figlia della Guardia d’Onore Marco Di Conza.
NECROLOGI
BIANCULLI Victor Josè – Buenos Aires (Argentina) – socio n° 23004 iscritto dal 25 giugno 2013
CARLETTI Marco P. – Carrara (MS) – socio n° 19241 iscritto dal 2 dicembre 2005
MARLETTA Agatino P. P. – Novara – socio n° 23067 iscritto dal 13 settembre 2013
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
45
NUOVI
ISCRITTI
NUMERO
COGNOME
E
NOME
GRADO MILITARE
PROFESSIONE
CITTÀ
NASC.
23.451
MALAFRONTE Massimo
Luogotenente
Sottufficiale Guarda di
Finanza
23.452
BIASCO Emanuele
Carabiniere scelto
Graduato dei Carabinieri
Specchia (LE)
23.453
ZANINELLI Giusy
Imprenditrice
Brescia
23.454
MARTINICO Giuseppe
Commerciante
Brescia
1957
23.455
SERRATORE Michele A.
Sottufficiale dei Carabinieri
Cerreto Guidi (FI)
1962
23.456
TROVATO Giuseppe
Dottore commercialista
Messina
1969
23.457
SANNA Luis Fernando
Carabiniere scelto
Graduato dei Carabinieri
Tortona (AL)
1983
23.458
MARCHIONI Felice
Caporalmaggiore
Agente immobiliare
Rieti
1966
23.459
CAMAGNA Matteo
Studente
Balzola (AL)
1987
23.460
DE LELLIS Orazio
Capitano medico
Medico chirurgo
Roma
1958
23.461
ASCARI Renato
Sergente degli alpini
Consulente finanziario
Asti
1966
23.462
CALIENDO Mauro
Avvocato
San Damiano (AT)
1973
23.463
CERMELJ Paolo
Ingegnere
Roma
1945
23.464
ZEILSTRA Ijtsen
Imprenditore
Anversa (BELGIO)
1931
23.465
van ZWET Peter Willem
Imprenditore
S. Gravenhage
(OLANDA)
1956
23.466
DIGIORGIO Giampaolo
Capitano di Corvetta
Pensionato
Viareggio (LU)
1952
23.467
FRESCHI Alessandro
Tenente
Perito navale
Viareggio (LU)
1973
23.468
ELEFANTI Andrea
Carabiniere
Guardia del corpo
Parma
1961
23.469
LAGANÀ Michele
Paracadutista
Imprenditore
Misano Adriatico (RN)
1955
23.470
TJAPKES Manfred Wilhelm
Capitano dei Granatieri Consulente
Groningen (OLANDA)
1968
23.471
ARNONE Ida
23.472
BUSCEMI Giuseppe
23.473
Luogotenente
Scafati (SA)
1960
1981
Docente di lettere a riposo
Sciacca (AG)
Avvocato
Menfi (AG)
1969
CUSUMANO Santo
Libero professionista
Menfi (AG)
1969
23.474
ELLERA Angela
Casalinga
Naro (AG)
23.475
PALMINTERI Antonio
Impiegato
Menfi (AG)
1979
23.476
URICOLO Vincenzo Nicola
Imprenditore
S. Margherita di B. (AG)
1963
46
Nocchiere di porto
Caporale scelto istruttore
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
OGGETTISTICA
Fascia da Braccio
Foulard
Cravatta sociale
Cravatta
Marinella
Dist. commemorativo
per il trentennale della
morte del Re Umberto II
Distintivo
G. d’O. Scelta
€ 20,00
€ 30,00
€ 30,00
€ 100,00
€ 30,00
€ 20,00
Distintivo
Ispettore
Distintivo G. d’O.
Scelta Ispettore
Distintivo
G. d’O.
Medaglia al Merito
di Servizio grande
Medaglia al Merito
di Servizio piccola
Gemelli
€ 20,00
€ 20,00
€ 10,00
€ 50,00
€ 30,00
€ 30,00
Barrette
di riconferma perla
Medaglia al Merito di
Servizio piccola
Calendario 2014
€ 20,00
€ 10,00
Centenario morte
V.E. II
€ 30,00
Calendario 2015
Volume
“Morire a Napoli”
Volume “Storia e
ruolo della Guardia
d’Onore”
€ 10,00
€ 10,00
€ 15,00
DISTINTIVI COMMEMORATIVI
Quarantennale
Quarantennale
Scudetto di stoffa
morte V.E. III
morte V.E. III
€ 30,00
CD AUDIO
"Alle radici
della millenaria
Casa Savoia"
€ 10,00
Medaglia Regina
Elena
Fregio in
materiale plastico
€ 30,00
€ 10,00
€ 20,00
€ 5,00
Fregio da basco
Crest
€ 15,00
€ 35,00
Scudetto
ricamato
Bandiera
(in imitolana)
Adesivo tricolore
Distintivo Ispettore
riconfermato
(più di una conferma)
€ 25,00
€ 50,00
€ 2,00
€ 20,00
Sotto ciascun oggetto sono indicate le offerte minime per la cessione dei gadget sopraelencati.
La cessione può essere effettuata soltanto ai soci. Gli oggetti sono disponibili presso l'Istituto; in caso di spedizione occorrerà aggiungere € 5
per le spese postali. Per verificare l’effettiva disponibilità dei singoli articoli, consultare la sezione “Oggettistica” del nostro sito internet
www.guardiadonorealpantheon.it
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
47
48
GUARDIA D’ONORE N. 3 - 2015
MONTE NERO
Spunta l’alba del sedici giugno – comincia il fuoco l’artiglieria
il terzo alpin è sulla via – monte nero a conquistar.
Arrivati a trenta metri – dal costone trincerato
con un assalto disperato – il nemico fu prigionier
monte nero monte nero – traditore della vita mia,
ho lasciato la casa mia – per venirti a conquistar.
E per venirti a conquistare – abbiam perduto molti compagni
tutti giovani sui vent’anni – la lor vita non torna più.
Il Colonnello che piangeva – al veder tanto macello
fatti coraggio alpino bello – ché l’onore sarà per te
ma Francesco imperatore – sugli alpini mise la taglia
egli premia con la medaglia – e trecento corone d’or
a chi porta un prigioniero – di quest’arma valorosa
che con forza baldanzosa – fa sgomenti i suoi solda’.
Ma l’alpino non è vile – tal da darsi prigioniero.
Preferisce di morire – che di darsi prigioniero.
Bell’Italia, devi esser fiera – dei tuoi baldi e forti alpini
che ti danno i tuoi confini – ricacciando lo stranier.
O Italia, vai gloriosa – di quest’arma valorosa
che combatte senza posa – per la gloria e la libertà.
Antonio Salandra, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia nel 1915
Fly UP