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Nuove ricerche per battere gli effetti collaterali sul sistema nervoso

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Nuove ricerche per battere gli effetti collaterali sul sistema nervoso
COME CURARE
La neurotossicità da chemio
Nuove ricerche per battere
gli effetti collaterali
sul sistema nervoso
I medici sanno che, specie quando devono
somministrare terapie oncologiche in dosi
elevate, possono comparire neuropatie e
disturbi cognitivi. Gli esperti si interrogano
alla ricerca di una soluzione efficace
a cura della REDAZIONE
er combattere una
malattia come il
cancro i pazienti
sono disposti a
sopportare gli effetti collaterali delle terapie
oggi disponibili, anche se alcuni di questi possono
essere intensi e, a volte,
portare all’interruzione
della
cura. Ora la
ricerca scientifica punta
a trovare un
rimedio almeno per i
più pesanti,
come quelli
che colpiscono il sistema nervoso centrale e i nervi periferici. Una recente revisione
sulla tossicità di chemiote-
P
Dopo la
cura il
danno ai
nervi
scompare
in sei mesi
rapici classici e di più
nuova concezione come i
farmaci biologici, pubblicata su Lancet Oncology, dimostra che i sintomi a carico
del sistema nervoso sono la
causa del 15 per cento delle
interruzioni di terapia o
della necessità di cambiare
strategia e molecola.
PERDITA DI SENSO
Quando un farmaco danneggia i nervi periferici si
possono avere disturbi dal
punto di vista sia motorio
sia sensitivo. Molto frequenti sono le sensazioni come
bruciori e formicolii, a volte
molto intensi e persino dolorosi: si tratta delle tipiche
manifestazioni della neuropatia, dovuta a un’azione diretta del farmaco sul fascio
nervoso. In genere compare
solo quando la chemio viene
somministrata in dosi piuttosto elevate, ma esiste
un’ampia variabilità indivi-
20 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2012
duale e le singole persone
reagiscono in modo imprevedibile. “È importante dire
che si tratta di un danno reversibile nella quasi totalità
dei casi” spiega Guido Cavaletti, del Dipartimento
di neuroscienze e tecnologie biomediche dell’Università
Bicocca di Milano, che da
anni fa ricerca sull’argomento. Analizzando i dati epidemiologici disponibili, si scopre che a due mesi dalla fine
della cura la neuropatia è
scomparsa in più della metà
dei pazienti, ma anche che il
15 per cento di coloro che ne
soffrono se la porta dietro per
sei mesi o più.
“Molte sostanze usate per
la cura del cancro hanno
un’affinità per i tessuti nervosi e quindi possono facilmente diventare tossiche. La
sfida della ricerca sta proprio nel trovare terapie
alternative per i casi più
gravi, ma anche nello scoprire altre sostanze (a volte
vitamine o oligoelementi)
che hanno
u n’ a z i o n e
protettiva
sul nervo
e
quindi
limitano i
danni”.
Tra le difficoltà incontrate dai medici anche quella di
distinguere tra effetti legati
al farmaco ed effetti della
malattia stessa, poiché alcuni tumori secernono sostanze che possono dar luogo a
sintomi molti simili a quelli
di una classica neurotossicità. “Bisogna stare attenti a
non interrompere una cura
efficace per poi scoprire che
il farmaco non c’entra” spiega Cavaletti.
Per questo i neurologi
sono una componente im-
Le sostanze
anticancro
agiscono anche
sui neuroni
In questo articolo:
neurotossicità
chemioterapia
farmaci
portante del team che cura
un paziente oncologico e,
quando il danno è periferico,
possono fornire, con strumenti come l’elettromiografia, qualche indicazione più
precisa sulla causa.
Nel frattempo anche i
pazienti possono fare qualcosa per ridurre i danni.
Poiché il più delle volte
sentono gli arti pesanti o
formicolanti e possono
avere difficoltà nel sollevare le gambe o le dita, con riflessi anche sulla deambulazione e sulla corretta
prensione degli oggetti, è
importante che si facciano
accompagnare nelle passeggiate e che evitino di maneggiare oggetti potenzialmente pericolosi come forbici o coltelli, almeno durante la fase più acuta del
disturbo. Anche la sensibilità può essere compromessa: quando ciò accade ci si
può far male senza accorgersene. Per questo bisogna
sempre camminare con le
scarpe o le pantofole (un’eventuale ferita al piede potrebbe non essere percepita
come dolorosa e quindi trascurata) così come è bene
provare la temperatura di
un bagno caldo su una
parte di pelle non compromessa, perché la sensibilità
termica della parte colpita
potrebbe non funzionare
bene, col rischio di ustionarsi involontariamente.
DISTURBI COGNITIVI
Per quel che riguarda gli
effetti dei farmaci chemiote-
COME TENERE IL CERVELLO IN ESERCIZIO
COMBATTERE
LA CONFUSIONE MENTALE
e dopo una chemioterapia ci si sente disorientati e si hanno
difficoltà di memoria, potrebbe non essere colpa del
farmaco. In molti casi, infatti, si tratta di disidratazione o di
ipoglicemia, dovuta anche al fatto che la nausea indotta dalla
cura non invoglia a mangiare. Eppure in molti casi basta un
pasto per rimettere tutto in carreggiata.
Nel corso della chemioterapia è poi essenziale mantenere il
cervello attivo con semplici esercizi; studiare una materia
nuova, fare prove di enigmistica, giocare a bridge o a sudoku:
sono tutte attività che riducono l’impatto della cura sul cervello
e favoriscono, in molti casi, la socializzazione, evitando al
malato quell’esclusione dalla collettività che è all’origine di
solitudine e depressione.
S
rapici sul sistema nervoso
centrale, cioè sul cervello, la
discussione è ancora aperta
e molti medici sono convinti che anche se alcuni sintomi possono essere favoriti
dalla cura, sono in realtà da
ascrivere alla malattia stessa. Mancanza di concentrazione, difficoltà di apprendimento, perdita dell’orientamento sono solo alcuni dei
disturbi di cui molti pazienti
si lamentano, anche se, dal
punto di vista strettamente
farmacologico, sono pochissime le molecole in grado di superare la barriera ematoencefalica, cioè
quel sistema di filtri
che la natura ha messo
a protezione del nostro organo più importante.
“Per avere un quadro
chiaro dei propri deficit cognitivi, il paziente oncologico può rivolgersi a un
neuropsicologo, lo specialista che, con l’aiuto di test,
può dire se la sensazione di
‘perdere colpi’ corrisponde
a realtà o se è solo frutto di
un generale stato di prostrazione psico-fisica, più
che giustificato in una persona che si sta battendo
contro la malattia” spiega
Gabriella Bottini, neurolo-
ga e docente di neuropsicologia clinica all’Università
di Pavia. Una volta appurato che c’è effettivamente un
deficit di memoria o di attenzione, il neurologo può
verificarne l’origine con un
esame come la risonanza
magnetica o la tomografia a
emissione di positroni
(PET). Questo consente
anche di escludere l’eventuale presenza di metastasi.
“Non esistono purtroppo
farmaci in grado di agire su
questo tipo di disturbo: in
alcuni studi sperimentali
sono state usate le stesse
molecole
che si prescrivono
in genere
per la malattia di
Alzheimer, oppure quelle per i ragazzi che soffrono di iperattività e disturbi dell’attenzione, ma i risultati non
sono stati concludenti e, al
momento, non esistono indicazioni in tal senso” spiega ancora Bottini.
Più utile, invece, è l’allenamento mentale, che si è
dimostrato efficace in molti
pazienti e che ha anche il
vantaggio di ridurre un’eventuale componente depressiva che può aggravare
la sensazione di confusione.
La memoria
si preserva
con accorgimenti
pratici
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