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Se non si scopre l`origine, si può comunque curare
NOVITÀ DALLA CLINICA Cancro di origine ignota Se non si scopre l’origine, si può comunque curare Talvolta si individuano cellule maligne in organi che non ne sono all’origine, ma non si riesce a trovare il tumore primitivo. Oggi, con le tecniche di diagnosi molecolare, è però più facile trovare il colpevole e anche eliminare la malattia a cura di AGNESE CODIGNOLA iovanna ha 43 anni, tre figli e una storia di tumore del seno alle spalle; è stata operata quattro anni fa e tutto sembrava andare per il meglio, dopo l'intervento, la radio e la chemioterapia. Sei mesi fa, però, il marito ha notato un rigonfiamento sul collo, comparso all'improvviso. Giovanna si è rivolta al suo oncologo, all'otorinolaringoiatra e al medico di famiglia e tutti le hanno consigliato un agoaspirato, che purtroppo conferma i peggiori sospetti: quelle che ingrossano il linfonodo sono cellule tumorali, si teme una recidiva del tumore del seno. E invece l'esame istologico conferma che quel nuovo tumore non ha assolutamente nulla a che vedere con il primo, ma è la me- G tastasi di un qualcosa che ancora non si si vede, cioè un CUP, da cancer of unknown primary origin, espressione traducibile con “cancro di origine ignota”. Per Giovanna inizia allora la caccia alla neoplasia da cui quelle cellule si sono staccate, che inizialmente non viene trovata né con la TC e la PET né durante l'intervento di asportazione del linfonodo. Finalmente, mentre le cure procedono e solo dopo ulteriori esami ed esclusioni, il colpevole viene individuato: è in una tonsilla, che sarà quindi oggetto di ulteriori trattamenti. La storia (vera) di questa paziente è un esempio di che cosa significhi scoprire un tumore di origine ignota: paure, accertamenti, dubbi per certi aspetti ancora più inquietanti di quelli che nascono dopo 12 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2011 una diagnosi "normale" di cancro. Eppure questi tumori non sono poi così rari: rappresentano circa il cinque per cento di tutte le diagnosi. Accade cioè raramente, ma non troppo, che si scopra una metastasi senza sapere – e talvolta senza riuscire a individuare mai – qual è la massa da cui essa è partita. tempo e ancora oggi, in certi casi, non si riesce a capire da dove vengano. Quando si scopre un CUP, quindi, si procede a una serie di esami che prevedono innanzitutto la TC e, quando è il caso, la PET, cioè le indagini radiologiche che possono consentire di trovare la massa primaria" spiega Stefano Cascinu, direttore della Clinica di oncologia medica degli Ospedali Riuniti di Ancona-Università politecnica delle Marche, dove sono stati condotti È l’esame istologico che conferma la diagnosi LE TAPPE DELLA CACCIA AL RESPONSABILE "I CUP sono noti da molto L’ARTICOLO IN BREVE... irca cinque diagnosi di cancro su 100 riguardano un tumore già metastatizzato di cui non si conosce l’organo di origine. Ciò significa che la cura deve basarsi sulle caratteristiche istologiche e talvolta genetiche del tessuto identificato: è un progresso dovuto ai recenti sviluppi dell’oncologia molecolare, che ha aumentato la curabilità di questi casi ma che non esclude la necessità di continuare a cercare la massa primaria. L’importante è affidarsi a chi ha esperienza di tumori di origine ignota, scegliendo i centri con la maggiore casistica. C In questo articolo: cancro di origine ignota diagnosi imaging oncologico alcuni studi sull'argomento. Lo schema più comune, riportato recentemente in una revisione sull’argomento pubblicata da Lancet Oncology, prevede un primo esame istologico che conferma la natura metastatica del tumore (cioè conferma che si tratta di cellule con caratteristiche diverse da quelle del tessuto che le circonda), a cui fa seguito un’accurata anamnesi, perché talvolta sintomi anche apparentemente insignificanti possono mettere il medico sulla buona strada. La visita medica deve essere completa e c o m prende in genere anche quella ginecologica e gastrointestinale. Agli esami del sangue si affiancano i test radiolo- gici e infine gli approfondimenti di laboratorio, che analizzano le caratteristiche molecolari e genetiche del tumore. Talvolta, però, e nonostante le tecniche di imaging molto sensibili riescano oggi a trovare masse di pochi millimetri, non si vede assolutamente nulla, come è accaduto a Giovanna. E allora? "Allora non bisogna spaventarsi, perché disponiamo di altre informazioni che possono aiutare quanto e talvolta più di quelle fornite dalle immagini" continua Cascinu. "Molto dipende infatti da ciò che trova l'anatomopatologo sulla biopsia. Se per esempio scopre recettori per gli estrogeni, i sospetti si concentrano su un tumore mammario; se invece c'è una positività per l'antigene prostatico specifico, è probabile che il tumore primario sia un carcinoma della prostata e così via. A quel punto si può quindi procedere con esami più mirati, con buone probabilità di avere successo". Ma il riscontro derivante dall'esame istologico non è importante soltanto per l'evoluzione della fase diagnostica: conta molto anche per le scelte terapeutiche. Ancora Cascinu: "Oggi disponiamo di farmaci mirati, ad altissima specificità, che agiscono contro bersagli presenti in tipologie diverse di tumori. Così, per esempio, se le analisi molecolari ci dicono che su una massa ascellare sono presenti recettori di HER2, possiamo pensare di trattarla con l'anticorpo mono- Le caratteristiche molecolari permettono di scegliere la cura NEL CASO DEI TUMORI PERITONEALI, IL RICORSO ALL’IMAGING È RISOLUTIVO IL RUOLO DELLA RISONANZA no dei casi più frequenti di CUP nelle donne è quello di un tumore che si sviluppa nel peritoneo e di cui non si capisce l'origine, perché non si vedono masse laddove sarebbe logico aspettarsele, ossia nell'ovaio o nelle diverse parti dell'utero. Ora però uno studio presentato a fine giugno a Chicago, al meeting dell'American Roentgen Ray Society, dagli oncologi dell'MD Anderson Cancer Center di Houston dimostra che talvolta, più che la PET o la TC, può essere risolutiva la risonanza magnetica. I medici texani hanno infatti selezionato una cinquantina di donne nelle quali era stata trovata una metastasi che in base alle caratteristiche biologiche avrebbe potuto avere la sede primaria nel corpo o nella cervice uterina, oggetto di trattamenti chemioterapici molto diversi, e le hanno sottoposte a una risonanza magnetica. Quindi hanno fatto leggere le immagini a due specialisti, uno con cinque anni di esperienza e uno che interpretava risonanze da 18 anni. Hanno così dimostrato che l'esame aveva consentito di fare una diagnosi esatta nel 79 per cento dei casi, e che i due specialisti avevano dato risposte sostanzialmente identiche, a riprova del fatto che queste ultime sono abbastanza chiare da non risentire più di tanto dell'occhio e dell'esperienza dell'esaminatore. Secondo gli autori, la risonanza magnetica dovrebbe essere impiegata anche in altri casi simili perché può fornire informazioni molto preziose e perché può essere gestita senza spese eccessive. Fino a pochi anni fa i CUP più frequenti nelle donne avevano una sede primaria nella mammella o nell'apparato genitale, mentre per gli uomini era più consueto trovare una metastasi nella testa o nel collo e un tumore primario nello stesso distretto o nel polmone, perché gli uomini fumavano molto di più. Nel tempo però le differenze si sono assottigliate perché, come è noto, mentre gli uomini stanno progressivamente smettendo di fumare, le donne non ci riescono e anzi, in certi Paesi e in certe fasce d'età fumano sempre di più. Si è realizzata dunque una triste parità, di cui le donne avrebbero volentieri fatto a meno. U ? NOVITÀ DALLA CLINICA DALLA SCOPERTA DEL GENE DELLE METASTASI ALLA CREAZIONE DI UN CENTRO DEDICATO UN NUOVO AMBULATORIO A CANDIOLO CUP sono un po' meno misteriosi, grazie anche a studi finanziati da AIRC e coordinati da Paolo Comoglio, oncologo dell'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo (Torino). I ricercatori torinesi hanno infatti dimostrato che in un CUP su tre c'è una proteina di membrana sempre attiva (anziché solo quando serve), codificata da un oncogene mutato chiamato MET. Spiega Comoglio: "Di solito il gene MET partecipa ai meccanismi che regolano la migrazione delle cellule, durante lo sviluppo dell'embrione; tuttavia esso, quando funziona ininterrottamente come nei CUP, può spingere verso la migrazione anche le cellule tumorali che si stanno formando. Può quindi accadere che le prime cellule malate non facciano neppure in tempo a formare la massa primitiva, perché la mutazione le costringe subito a migrare per formare metastasi. Per questo a volte non si trova il tumore primario: non si è mai formato". Per i pazienti, poi, c'è un'altra buona notizia, che annuncia lo stesso oncologo: "Proprio a Candiolo, a breve, verrà aperto un centro specificamente dedicato alla diagnosi e la cura dei CUP, una patologia che – per essere contrastata adeguatamente – richiede una particolare esperienza e tecniche di indagine avanzate". Il Centro per lo studio delle metastasi da neoplasia occulta (così si chiamerà la nuova struttura) sarà provvisto di un ambulatorio che potrà ricevere e prendersi cura dei pazienti interessati (per prenotazioni 011 993 3245 / 011 993 3246). I clonale specifico trastuzumab anche se non riusciamo a trovare la neoplasia primaria a livello della mammella, e lo stesso vale per diversi geni oggetto di terapie specifiche". IMPORTANTE L’ESPERIENZA Per i CUP come per gli altri tumori, del resto, è già in corso un grande ripensamento che parte proprio da questo dato: se è vero – come è vero – che gli stessi geni e proteine mutati sono presenti in tumori anche molto diversi per tessuto di origine, e che contro di essi esistono ormai farmaci che agiscono a prescindere dal tess u t o , forse la classica suddivisione dei tumori a seconda della sede in cui nasce la neoplasia non ha più molto senso e potrebbe essere destinata a diventare un dato di supporto, integrativo rispetto alle informazioni genetiche. "Può essere che si vada in questa direzione" commenta Cascinu, "ma per ora non è ancora così. Al momento rimane importante sapere dove si sviluppa inizialmente il tumore, anche perché l'esperienza accumulata in tanti anni ci dice come muoverci, soprattutto in casi non semplici come i CUP". Sì, perché quando si deve combattere un CUP e non ci sono indicazioni molto specifiche in base ai dati istologici (evenienza sempre più rara, per fortu- na), gli strumenti più efficaci restano l'esperienza e l'intuito dell'oncologo, che sa che un certo tipo di tumore può rispondere meglio di un altro a un certo tipo di chemioterapia. In ogni caso bisogna fare attenzione a non sopravvalutare l'importanza del tumore primario, e non perdere tempo. Spiega Cascinu: "In una prima fase è necessario approfondire e cercare il tumore primario, ma se la situazione è complicata e non si hanno risposte in tempi brevi, è molto più importante procedere tempestivamente con le cure come ha fatto Giovanna: nel suo caso, p e r esempio, il tumore della tonsilla è s t a t o identificato dopo l'intervento chirurgico per l'asportazione della metastasi, che nel frattempo continuava a crescere; toglierla ha significato affrontare al meglio il problema. Inoltre capita abbastanza spesso che una buona chemioterapia curi tanto il tumore primario quanto la sua metastasi, e cioè che il paziente guarisca senza sapere mai da che cosa il tutto ha avuto origine. Ma – è bene sottolinearlo ancora – se si perde tempo la stessa guarigione può essere compromessa". Un CUP non è quindi necessariamente un nemico peggiore rispetto a un tumore classico: l'importante è affrontarlo al meglio senza timore, affidandosi a mani esperte. È meglio affidarsi a centri di cura che hanno una buona casistica