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LA RESPONSABILITA CIVILE E PENALE REVISORE

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LA RESPONSABILITA CIVILE E PENALE REVISORE
Monografia
LA RESPONSABILITA’
CIVILE E PENALE DEL
REVISORE LEGALE ALLA
LUCE DEL D.LGS.
N. 39/2010
Giulia Gaslini
Monografia
LA RESPONSABILITA’
CIVILE E PENALE DEL
REVISORE LEGALE ALLA
LUCE DEL D.LGS.
N. 39/2010
Giulia Gaslini
INDICE
pag.
1.
Introduzione
1
2.
La responsabilità civile del revisore
3
3.
La responsabilità penale del revisore
7
4.
Le singole fattispecie penali contenute nel d.lgs. n. 39/2010
12
4.1. Art. 27 – Falsità nelle relazioni o comunicazioni dei responsabili della
revisione legale
12
4.2. Art. 28 – Corruzione dei revisori
22
4.3. Art. 29 – Impedito controllo
34
4.4. Art. 30 – Compensi illegali
37
4.5. Art. 31 – Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a
revisione
44
1. Introduzione
Questa monografia è tratta dalla tesi discussa nel dicembre 2014 presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e vuole rappresentare una guida di
consultazione per i revisori legali e/o società di revisione.
La grave crisi che da anni investe il sistema economico e che ha costretto molte
imprese ad abbandonare il mercato, ha determinato un significativo aumento del
numero dei fallimenti e delle procedure concorsuali, passaggi precedenti alle azioni
di responsabilità contro gli organi di amministrazione e controllo delle società. In
questa situazione sono aumentate anche le azioni tentate nei confronti dei soggetti
incaricati della revisione legale dei conti1 la cui responsabilità è disciplinata oggi dal
d.lgs. n. 39/2010.
Il decreto è intervenuto sulla responsabilità dei revisori, modificando il sistema
precedente, prevedendo un’ipotesi tipica e autonoma di responsabilità. Con tale
modifica il legislatore ha inteso diversificare la responsabilità dei revisori da quella
del collegio sindacale.
Il d.lgs. n. 39/2010 ha rinnovato l’intera disciplina della revisione legale dei
conti, facendo confluire in un unico testo normativo disposizioni prima contenute in
diversi testi di legge, nel tentativo di dare maggiore logicità ad una disciplina che fino
a quel momento si presentava fortemente disomogenea e di difficile lettura.2
La “rivisitazione” della disciplina della revisione ha interessato anche gli
aspetti civilistici e penalistici relativi alla revisione legale. Nonostante tale
rivisitazione, il legislatore produce nuove contraddizioni in impianti di legge già
caratterizzati da una logica non lineare.
1
La tendenza a non diffondere notizie riguardanti l’avvio di azioni di responsabilità per motivi di tutela della
reputazione, non consente di supportare l’affermazione riportata nel testo con dati statistici né con altro riscontro
ufficiale. L’incremento del numero di azioni di responsabilità contro i soggetti incaricati della revisione legale dei conti
riveste le caratteristiche del notorio, essendo informalmente riconosciuto da esponenti di importanti società di
revisione coinvolti nella gestione del contenzioso.
2
S. PAZIENZA, La responsabilità ex crimine delle società di revisione al vaglio delle Sezioni Unite, in Le Società, 2012, p.
202.
1
Il presente lavoro illustra gli aspetti pratici maggiormente rilevanti per i
revisori legali dei conti in materia di responsabilità civile e penale alla luce del d.lgs.
n. 39/2010 attraverso il commento alle singole disposizioni.
2
2. La responsabilità civile del revisore
L’art. 15 del d.lgs. 39/2010 ha sostituito gli abrogati artt. 2409-sexies c.c. e 164
T.U.F., riguardanti, in passato, rispettivamente la responsabilità dei soggetti incaricati
del controllo contabile delle società disciplinate dal codice civile e della revisione
contabile delle società con azioni quotate.3
L’art. 15 ripropone, nella sostanza, quanto stabilito nell’art. 2409-sexies (ora
abrogato) primo comma c.c. che prevedeva anch’esso una responsabilità solidale nei
confronti della società revisionata, dei soci e dei terzi, derivante da inadempimento
dei propri doveri.
Non era contenuta nell’art. 2409-sexies né nell’art. 164 T.U.F. (anch’esso
abrogato) la precisazione, ora contenuta nell’art. 15 primo comma, secondo cui “nei
rapporti interni tra i debitori solidali”, gli stessi rispondono entro i limiti del
contributo effettivo al danno cagionato.4
La questione della responsabilità solidale e illimitata dei revisori era già stata
affrontata nel previgente regime mediante rimando (rinvenibile negli artt. 2409-sexies
c.c. e 164 T.U.F.) all’art. 2407 secondo comma c.c., riguardante i sindaci, dove si
afferma la responsabilità solidale con gli amministratori per i danni dovuti alla
condotta di quest’ultimi che non si sarebbero prodotti in caso di adeguato controllo.5
Non sembra creare problemi interpretativi la mancanza di un espresso collegamento,
in precedenza stabilito dall’art. 2407 primo comma c.c., alla “professionalità e
diligenza richieste dall’incarico”.6 Infatti, l’art. 15 primo comma d.lgs. n. 39/2010
non richiede espressamente che i revisori operino con diligenza. Tuttavia è scontato
che, in applicazione dei principi generali, essi debbano operare diligentemente. Anzi
3
F. SALERNO, La responsabilità del revisore tra nuove incertezze e vecchi problemi, in Rivista delle società, 2013, p.
986.
4
F. SALERNO, op. cit., p. 988.
5
F. SALERNO, op. cit., p. 989.
6
ASSONIME, op. cit., p. 60; G. M. BUTA, Art. 15 - Responsabilità, in Le nuove leggi civili commentate, 2011, p. 162, che,
in considerazione della scelta operata dal d.lgs. n. 39/2010 di richiedere specifici requisiti professionali, considera
acquisito l’orientamento interpretativo che fa obbligo al revisore di operare nel rispetto di standard di diligenza
stabiliti dalle associazioni professionali e dalla Consob.
3
la diligenza richiesta ai revisori non è quella del buon padre di famiglia, disciplinata
dall’art. 1176 primo comma c.c., bensì quella specifica contenuta nell’art. 1176
secondo comma, il quale stabilisce che: “nell’adempimento delle obbligazioni
inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve essere valutata con
riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Il secondo comma dell’art. 15 d.lgs. n. 39/2010 stabilisce che “il responsabile
della revisione ed i dipendenti che hanno collaborato all’attività di revisione contabile
sono responsabili, in solido tra loro e con la società di revisione legale, per i danni
conseguenti da propri inadempimenti o da fatti illeciti nei confronti della società che
ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati. Essi sono responsabili
entro i limiti del proprio contributo effettivo al danno cagionato.”
Anche il secondo comma dell’art. 15 ripropone il contenuto dell’art. 164
T.U.F. secondo comma. Costituisce invece una novità, non presente né nell’art. 164
T.U.F. né nell’art. 2409-sexies c.c., l’aggiunta della precisazione “essi sono
responsabili entro i limiti del proprio contributo effettivo al danno cagionato”.7
Le previsioni contenute nel primo e secondo comma dell’art. 15 sono
contraddittorie, in quanto “la responsabilità solidale espone il soggetto tenuto a
risarcire il danno al rischio di pagare oltre quanto sarebbe a lui imputabile sulla base
di una ripartizione individuale (parziaria) del danno fondata su stretti criteri di
causalità giuridica”8; ciò a prescindere dal fatto che il nesso causale tra la violazione
dei doveri di controllo e il danno prodotto debba essere provato affinché il danno sia
imputabile. Il revisore è responsabile per i fatti commessi dai soggetti posti sotto la
sua vigilanza e può risultare difficile distinguere il suo contributo effettivo nella
produzione del danno, rispetto a quello dei soggetti sottoposti al controllo.9
Il principio di responsabilità proporzionata che si è cercato di introdurre
attraverso l’art. 15 d.lgs. n. 39/2010 presenta delle difficoltà relativamente alla
confusione che inevitabilmente si crea tra rapporti interni e rapporti esterni. Mentre
7
F. SALERNO, op. cit., p. 988.
P. GIUDICI, La nuova disciplina della revisione legale, cit., p. 539 ss.
9
G. CIERVO, op. cit., p. 81.
8
4
nei rapporti interni non vi è alcun dubbio circa l’opportunità di attribuire rilevanza
alla minore gravità dell’apporto causale di chi certifica positivamente il bilancio
falso, rispetto alla condotta degli amministratori che hanno predisposto il bilancio
stesso, nei rapporti esterni dovrebbe ritenersi più corretta una valutazione differente:
nei confronti dei terzi, indotti a prestare fiducia ad una società nel mercato finanziario
in virtù della valutazione positiva fornita dal revisore contabile, la responsabilità
degli amministratori che hanno predisposto un bilancio falso e quella dei revisori che
hanno “garantito” la veridicità di tale rappresentazione nei confronti del “mercato”,
potrebbe e dovrebbe considerarsi equivalente. Dunque, mentre la responsabilità
solidale consente di distinguere la responsabilità interna da quella esterna, la
responsabilità proporzionata presenta il difetto di equiparare due diverse
prospettive.10
Il legislatore, restio ad abbandonare le regole della responsabilità civile, ha
creato un testo che è al tempo stesso ibrido e incoerente nel prevedere una
“responsabilità solidale ma solo nei limiti del contributo effettivo al danno”. 11
La responsabilità nei confronti dei singoli soci e dei terzi è disciplinata dall’art.
15 primo comma c.c. sul modello della responsabilità ex art. 2395 c.c., norma,
quest’ultima, che disciplina la responsabilità degli amministratori per i danni che
possono arrecare ai soggetti interessati ad entrare in rapporti con la società (i terzi
appunto) o che sono già entrati in rapporto con la società (i soci).
L’art. 15 terzo comma d.lgs. n. 39/2010 stabilisce che “l’azione di risarcimento
nei confronti dei responsabili si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della
relazione di revisione sul bilancio d’esercizio o consolidato, emessa al termine
dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento”.
Si tratta di un’importante innovazione rispetto al regime previgente che faceva
decorrere il termine di prescrizione dalla cessazione dell’incarico (art. 2409-sexies
terzo comma c.c.).
10
11
G. CIERVO, op. cit., p. 81-82.
P. GIUDICI, La nuova disciplina della revisione legale, cit., p. 540.
5
Nel nuovo assetto, la permanenza dell’incarico non sospende il termine di
decorrenza della prescrizione, contrariamente a quanto previsto per gli amministratori
ex art. 2941 n. 7 c.c. e a quanto esteso, ad opera della dottrina, ai sindaci.12
12
G. CAVALLI, I sindaci, in G. E. COLOMBO - G. B. PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni, vol. V, Torino,
1988, p. 184 ss.
6
3. La responsabilità penale del revisore
Il d.lgs. n. 39/2010, come è noto, ha innovato l’intera disciplina della revisione
legale dei conti, facendo confluire in un unico testo normativo disposizioni prima
contenute in diversi testi di legge, nel tentativo di dare maggiore logicità ad una
disciplina che fino a quel momento si presentava fortemente disomogenea e di
difficile lettura.13
La “rivisitazione” della disciplina della revisione ha interessato anche gli
aspetti penalistici relativi alla revisione legale.
Nella parte penalistica del decreto del 2010, il legislatore corregge errori di
formulazione letterale, di tecnica normativa o di coordinamento sistematico, ma
finisce inesorabilmente per produrre nuove contraddizioni in impianti di legge già
contraddistinti da una logica non lineare.14
Ci si riferisce alla riforma dei reati societari, cioè al d.lgs. n. 61 del 2002 (che
ha introdotto gli artt. 2624, 2625 e 2635 c.c., abrogando invece gli artt. 175 e 176
T.U.F.) e alla c.d. legge sulla tutela del risparmio, cioè alla l. n. 262 del 2005 (la
quale ha inserito nel T.U.F. gli artt. 174-bis e 174-ter, accanto agli artt. 177 e 178).15
A seguito del decreto in commento invece gli artt. 174-bis, 174-ter, 177 e 178
T.U.F. e l’art. 2624 c.c. sono abrogati, mentre vengono contemporaneamente
eliminati dagli artt. 2625 e 2635 i riferimenti ai revisori e alle società di revisione.16
Nel nuovo quadro elaborato dal legislatore si possono individuare tre macro
categorie di soggetti destinatari dell’intervento penalistico. I reati colpiscono: 1) i
13
S. PAZIENZA, La responsabilità ex crimine delle società di revisione al vaglio delle Sezioni Unite, in Le Società, 2012, p.
202.
14
F. CONSULICH, Revisione contabile e responsabilità penale tra riforme e controriforme, in Le società, 2010, p. 45.
15
Come faceva notare L. D. CERQUA, Falsità nelle relazioni delle società di revisione, in A. LANZI - A. CADOPPI (a cura
di), I reati societari, Padova, 2007, p. 78 “il legislatore, operando in maniera così frammentaria, ha inferto un colpo
decisivo alla sistematicità della disciplina penale della revisione contabile, ora disseminata qua e là per effetto di scelte
del tutto irrazionali. In particolare, sulla coerenza delle tecniche di tipizzazione dei nuovi reati societari adottate dal
legislatore a partire dalla riforma del 2002, con i principi costituzionali di tassatività-determinatezza e di offensività.
Cfr. F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, Torino, 2004, p. 151 ss.
16
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, in Diritto penale e processo, 2010, p. 663664.
7
revisori o gli esponenti delle società di revisione che esercitano la revisione legale dei
conti di enti di pubblico interesse;17 2) i revisori (persone fisiche o esponenti di
società di revisione) che, invece, svolgono l’attività di revisione di enti non di
interesse pubblico;18 3) i direttori generali, i componenti dell’organo di
amministrazione e dell’organo di controllo della società assoggettata alla revisione.
Per quanto riguarda i primi, si possono individuare cinque fattispecie che
sanzionano i responsabili della revisione legale secondo un ordine di crescente
pericolosità per l’”interesse pubblico” alla “buona qualità della revisione contabile”:
1) l’art. 31 che disciplina gli illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a
revisione; 2) l’art. 30 primo comma relativo ai compensi illegali; 3) l’art. 28 secondo
comma che sanziona la corruzione dei revisori; 4) l’art. 27 terzo comma dedicato alla
falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale; 5)
e, infine, la più severa previsione sanzionatoria dell’art. 27 quarto comma che punisce
le falsità dei revisori derivanti da una previa collusione con i rappresentanti della
società revisionata.19
Con riferimento, invece, ai revisori che esercitano la revisione legale di società
non di pubblico interesse, lo schema di intervento penalistico è parzialmente diverso:
come i primi, infatti, quest’ultimi sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con
la multa da € 206 a € 2.065 per gli illeciti rapporti patrimoniali con la società
assoggettata a revisione (art. 31) e con la reclusione da uno a tre anni e con la multa
da € 1.000 a € 100.000 e per aver percepito dei compensi illegali (art. 30 primo
comma). A differenza dei revisori di enti di pubblico interesse, tali soggetti non sono,
invece, puniti per la corruzione privata, ma solo per un reato di infedeltà verso la
stessa società di revisione che, come si vedrà nel prosieguo del lavoro, viene
collocato sotto la rubrica “Corruzione dei revisori”. (art. 28)
17
La definizione di ente di interesse pubblico è contenuta nell’art. 16 d.lgs. n. 39/2010, il quale stabilisce che “oltre
alle banche e alle assicurazioni, sono le varie figure di operatori finanziari a ricadere nella nozione di interesse
pubblico tra cui Sim, Sicav, Sgr, Società di gestione del mercato, società emittenti strumenti quotati nei mercati
regolamentati ed emittenti strumenti finanziari che, anche se non quotati su mercati regolamentati, sono diffusi tra il
pubblico in maniera rilevante.
18
La nozione di ente di interesse pubblico, al contrario, ha carattere residuale e comprende tutti i soggetti che non
hanno contatto con i mercati.
19
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 664.
8
Infine, i revisori di enti non di interesse pubblico sono esposti ad una blanda
contravvenzione (arresto fino ad un anno) a norma dell’art. 27 primo comma (falsità
nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale) e non
subiscono alcuna sanzione ulteriore per le falsità dei revisori derivanti da una
preventiva collusione con i rappresentanti della società revisionata, salvo che non
ricorra anche l’ipotesi dei compensi illegali.20
Da ultimo con riferimento alla responsabilità dei soggetti che a vario titolo
operano nella società assoggettata a revisione, il legislatore ha riproposto quattro
diverse fattispecie: innanzitutto, viene sanzionato, con la contravvenzione di impedito
controllo, l’ostacolo allo svolgimento dell’attività di revisione (art. 29); in secondo
luogo, viene prevista la responsabilità per la corresponsione di compensi illeciti ai
revisori (art. 30 secondo comma); infine, e solo nel caso di enti di interesse pubblico,
è punita sia la corruzione attiva dei revisori (art. 28 secondo comma), sia la
collusione con i rappresentanti della società di revisione, dalla quale poi sia derivata
la falsità nelle comunicazioni dei revisori (art. 27 quinto comma).21
A parte la lieve modifica dell’art. 27, che riguarda i responsabili della revisione
legale e non, come l’art. 174-bis T.U.F., le società di revisione, le rubriche delle
nuove fattispecie in nulla differiscono da quelle delle disposizioni abrogate.22
Nel nuovo statuto penale della revisione legale dei conti si evidenziano una
serie di problematiche relative alla disciplina penale così come riformulata dalla
novella legislativa. Per quanto qui interessa, la differenza più significativa e più
evidente riguarda il trattamento sanzionatorio. Infatti, se si considera la realizzazione
del reato nell’ambito della revisione di un ente di interesse pubblico una circostanza
aggravante, in presenza di una o più circostanze attenuanti riconosciute all’agente, si
pensi anche solo alle attenuanti generiche, tale circostanza entra nel c.d. giudizio di
bilanciamento del giudice. Esso consiste nella valutazione del “peso” delle
circostanze eterogenee compresenti nel caso posto al vaglio del giudice e può avere
20
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 664.
F. CENTONZE, La nuova disciplina legale della revisione legale dei conti, cit., p. 664.
22
F. CENTONZE, La nuova disciplina legale della revisione legale dei conti, cit., p. 664.
21
9
tre diversi esiti: se il giudice ritiene prevalenti le attenuanti sulle aggravanti non fa
luogo alle seconde e applica solo le riduzioni di pena; al contrario, se ritiene
prevalenti le aggravanti applica esclusivamente gli aumenti di pena; se, infine, valuta
come equivalenti attenuanti e aggravanti applica la pena che sarebbe inflitta se non
concorresse alcuna di esse.23
Con riferimento alle disposizioni comuni, va rilevato che ai sensi dell’art. 32
primo comma d.lgs. n. 39/2010 è previsto un aumento di pena fino alla metà qualora
il reato abbia causato alla società di revisione o alla società revisionata un danno di
rilevante gravità.24
Tale aumento opera per tutti i reati, esclusa l’ipotesi di falsità nelle relazioni o
nelle comunicazioni dei responsabili della revisione prevista dal primo comma
dell’art. 27, trattandosi di reato strutturalmente di pericolo, già aggravato dalla
previsione del successivo secondo comma in caso di danno prodotto ai risparmiatori,
l’ipotesi di corruzione dei revisori di enti non di interesse pubblico essendo qui il
danno alla società tipico e, infine, al reato di impedito controllo che prevede
un’apposita aggravante.
L’art. 32 impone la comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria che ha
emesso la sentenza al Ministero dell’Economia e delle Finanze e alla Consob della
sentenza di condanna a carico dei responsabili della revisione legale, dei componenti
dell’organo di amministrazione, dei soci e dei dipendenti della società di revisione
legale, per i reati commessi nell’esercizio della revisione legale. Tale comunicazione
era già prevista dall’art. 179 del T.U.F.
Non è stata, infine, prevista dal d.lgs. n. 39/2010 l’attenuante contenuta
nell’art. 2640 c.c., precedentemente applicabile ai reati di falsità nelle relazioni o
nelle comunicazioni della società di revisione, di infedeltà a seguito di dazione o
promessa di utilità e di impedito controllo, commessi nell’ambito di società non
aperte, ora trasposti nel decreto, che comporta una riduzione di pene nel caso in cui il
reato, contenuto nel capo IV titolo XI libro V c.c., abbia cagionato un’offesa di
23
24
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 597-598.
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 598.
10
particolare tenuità. In ogni caso, trattandosi di norma di favore per il reo, l’attenuante
continuerà ad applicarsi per i fatti realizzati antecedentemente l’entrata in vigore del
decreto.25
25
G. MARTIELLO, La nuova disciplina sanzionatoria della “nuova” revisione dei conti, in Diritto e pratica delle società,
Monografia, Reati societari, finanziari, fallimentari, 2010, p. 56.
11
4. Le singole fattispecie penali contenute nel d.lgs. n. 39/2010
4.1. Art. 27 – Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei
responsabili della revisione legale
L’art. 27 d.lgs. n. 39/201026 disciplina l’ipotesi delittuosa della falsità nelle
relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale.
La fattispecie in commento ha subito varie modifiche: essa è transitata dal
testo unico sull’intermediazione finanziaria (art. 175 d.lgs. n. 58/98) al codice civile
(art. 2624 c.c.) modificato dal d.lgs. n. 61/2002 ed ha subito una successiva
duplicazione con l’introduzione nel T.U.F. dell’art. 174-bis (l. n. 262/2005) che ha
riprodotto l’abrogato art. 175, determinando un effetto di frammentazione della
disciplina.27
In questo quadro caotico della situazione normativa precedente, il d.lgs. n.
39/2010 ha ripristinato l’unità delle fattispecie incriminatrici in materia di falso dei
revisori, prima contenute in separati ambiti legislativi (codice civile e T.U.F.) e ora
collocate in un unico testo normativo destinato a regolare l’intera materia della
revisione.28
La norma in commento ha apportato significative innovazioni con riferimento
ai soggetti attivi del reato. La nuova incriminazione, infatti, stabilisce che i soggetti
26
1. I responsabili della revisione legale i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle
relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle
comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o
finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo a indurre in errore i destinatari delle
comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con
l’arresto fino ad un anno”. 2. Se la condotta ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la
pena è della reclusione da uno a quattro anni. 3. Se il fatto previsto dal primo comma è commesso dal responsabile
della revisione legale di un ente di interesse pubblico, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. 4. Se il fatto
previsto dal primo comma è commesso dal responsabile della revisione legale di un ente di interesse pubblico per
denaro o altra utilità data o promessa, ovvero in concorso con gli amministratori, direttori generali o sindaci della
società assoggettata a revisione, la pena di cui al terzo comma è aumentata fino alla metà”. 5. La pena prevista dal
terzo e quarto comma si applica a chi dà o promette l’utilità nonché ai direttori generali e ai componenti dell’organo di
amministrazione e dell’organo di controllo dell’ente di interesse pubblico assoggetto a revisione legale, che abbiano
concorso a commettere il fatto”.
27
L. SIRACUSA, op. cit., p. 245.
28
L. SIRACUSA, op. cit., p. 245.
12
attivi dell’illecito sono “i responsabili della revisione legale” i quali, ai sensi dell’art.
1 d.lgs. n. 39/2010, vanno identificati nel revisore legale cui sia stato conferito
l’incarico, se si tratta di persona fisica e nel soggetto iscritto nel Registro,
responsabile dello svolgimento dell’incarico, se questo è stato conferito ad una
società di revisione; in questo modo, laddove la società di revisione scelga di affidare
l’incarico ad un soggetto diverso dal socio o dall’amministratore della società di
revisione, sarà il soggetto incaricato a rispondere penalmente delle false attestazioni,
in qualità di firmatario della “relazione di revisione legale”.
Infine, solo nei casi di revisione legale di enti di interesse pubblico, si sanziona
anche l’eventuale collusione tra i revisori legali da un lato, e i direttori generali, i
componenti dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo dell’ente
soggetto a revisione dall’altro, qualora da tale illecito sia scaturito il falso in revisione
(quinto comma).29
Il primo ed il secondo comma dell’art. 27 d.lgs. n. 39/2010 riprendono
integralmente il contenuto dell’abrogato art. 2624 c.c. e nella revisione di enti non di
interesse pubblico prevedono rispettivamente al primo comma una contravvenzione30,
riguardante le falsità non produttrici di danno al patrimonio ed al secondo comma un
delitto, concernente i falsi da cui derivi una lesione patrimoniale a carico dei
destinatari della comunicazione.31
Si tratta di una struttura simile ad altri reati societari (come per esempio le false
comunicazioni sociali) che individua due incriminazioni poste tra loro in una specie
di progressione criminosa dello stesso bene giuridico. Con questa tecnica legislativa
la contravvenzione prevista al primo comma art. 27 si consuma con il deposito della
relazione sui bilanci o con la pubblicazione delle altre relazioni nelle forme previste
nel testo unico, mentre il delitto previsto nel secondo comma del medesimo articolo
si perfeziona con la causazione del danno ad uno dei destinatari della norma.32
29
L. SIRACUSA, op. cit., p. 247.
L’art. 39 c.p. distingue due grandi categorie di reati: delitti e contravvenzioni. Le contravvenzioni prevedono la pena
detentiva dell’arresto o dell’ammenda, mentre i delitti la reclusione o la multa come pena pecuniaria.
31
L. SIRACUSA, op. cit., p. 247.
32
E. GARAVAGLIA, op. cit., p. 56.
30
13
Avuto riguardo al bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame, i primi due
commi dell’art. 27 sono posti a tutela di interessi privatistici, in particolare del
patrimonio dei destinatari ai quali le società di revisione comunicano i dati falsi od
omettono le informazioni. Rispetto a questo bene giuridico, la fattispecie
contravvenzionale prevede una tutela anticipata e indiretta secondo lo schema del
reato di pericolo33 concreto, mentre quella delittuosa è strutturata come reato di
danno.34
Con riferimento alla revisione legale di enti di interesse pubblico, il terzo
comma della disposizione in esame fa, invece, esclusivo rinvio al fatto tipizzato al
primo comma, senza estendere la responsabilità penale dei revisori anche ai casi di
falso produttivo di un danno al patrimonio.35 Qui si punisce un reato di pericolo nei
confronti dell’interesse patrimoniale ma non si sanziona l’eventuale approfondimento
dell’offesa che si realizza quando la condotta dia luogo ad un evento di danno in
pregiudizio del patrimonio dei destinatari della comunicazione.36
La responsabilità penale per i falsi in revisione di enti di pubblico interesse si
restringe dunque alle sole ipotesi in cui il fatto abbia posto in pericolo l’interesse
patrimoniale senza determinare una concreta lesione del patrimonio.
Sia l’illecito contravvenzionale disciplinato al primo comma dell’art. 27 che il
delitto contenuto nel secondo comma del medesimo articolo puniscono condotte di
33
Nel diritto penale i reati di pericolo sono quei reati che si limitano a mettere in pericolo il bene giuridico protetto
dalla norma penale. Reato di pericolo è ad esempio quello di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), dove viene messo in
pericolo il bene giuridico consistente “nella corretta formazione delle decisioni dell’autorità giudiziaria”. Il reato di
pericolo concreto è un reato in cui il pericolo è elemento (esplicito o implicito) del fatto tipico. Il giudice deve
accertare se nel singolo caso concreto il bene giuridico ha corso un effettivo pericolo.
34
Per reato di danno, nel diritto penale, si fa riferimento a quei reati che offendono il bene giuridico protetto dalla
norma penale; per esempio il reato di omicidio (art. 575 c.p.). Cfr. D. CULTRERA, Le falsità nelle relazioni o nelle
comunicazioni delle società di revisione, in C. L. CERQUA (a cura di), Diritto penale delle società, Padova, 2009, p. 184;
F. GIUNTA, La riforma dei reati societari ai blocchi di partenza. Prima lettura del d.lgs. n. 61 del 11 aprile 2002, in
Studium Iuris, 2002, p. 706; F. SIMONI, op. cit., p. 226; R. BRICCHETTI - L. PISTORELLI, Il patrimonio nel mirino delle
società di revisione, in Guida diritto, 2002, p. 62.
35
L. SIRACUSA, op. cit., p. 247.
36
L. TROYER - A. INGRASSIA, Prime riflessioni sullo statuto penale della revisione legale a seguito del d.lgs. n. 39/2010,
in Riv. dott. comm., 2010, p. 605-606 Ingrassia osserva come il rinvio al primo comma da parte del terzo comma
dell’art. 27 connoti la condotta illecita del requisito del dolo specifico di profitto, non previsto nel previgente art.
174-bis T.U.F. Nell’ambito degli enti di interesse pubblico, l’introduzione di tale nuovo elemento costitutivo darebbe
luogo ad una sostanziale abolitio criminis dei falsi commessi prima della riforma che risultassero privi del dolo
specifico del profitto.
14
falso ideologico aventi ad oggetto le relazioni e le altre comunicazioni dei revisori
legali.37
Con riferimento alle condotte di falso ideologico38, le “relazioni” sono gli atti
con cui la società di revisione porta a compimento il proprio giudizio sul bilancio di
esercizio e sul bilancio consolidato della società revisionata.39
Come per il passato, anche per il futuro la norma trova applicazione in tutti i
casi in cui il revisore legale è tenuto a redigere un atto qualificato come “relazione”
dalla normativa di riferimento (es. relazione sulla congruità del rapporto di cambio
nel caso di fusione o di scissione di società ai sensi dell’art. 2501-sexies c.c. e art.
2506-ter c.c., ecc.).40
Quanto alla condotta tipica, l’art. 27 prevede due distinte modalità di
realizzazione del falso: a) attestazione del falso; b) occultamento di informazioni
riguardanti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria dell’ente soggetto a
revisione.
Il primo tipo di condotta si riferisce ai casi di attestazione non veritiera della
corrispondenza tra i dati contabili accertati e quelli dichiarati nel bilancio, nonché ai
casi in cui il responsabile della revisione affermi in maniera non corrispondente al
vero la conformità della redazione del bilancio ai principi regolatori della materia ed
alle disposizioni di legge e certifichi la tenuta regolare della contabilità.41
La dimensione “valutativa” dell’attività di revisione complica la possibilità di
accertare la sussistenza del falso, il quale si atteggia qui come un giudizio di
conformità legale, formulato in modo contrario al vero. Si tratta di un falso valutativo
dai confini sfumati, considerata l’ineliminabile componente di discrezionalità degli
37
R. ZANNOTTI, op. cit., p. 168.
Il falso ideologico è un reato che consiste nel sostenere il falso in un documento ufficiale.
39
Art. 14 d.lgs. n. 39/2010.
40
Come ricordano, con riferimento all’art. 2624 c.c., S. SEMINARA, op. cit., p. 354; A. MASSARO, Reati societari. Art.
2624 c.c., in A. GAITO - M. RONCO, I codici ipertestuali. Leggi penali complementari commentate, Milano, 2009, p.
2948.
41
L. SIRACUSA, op. cit., p. 249.
38
15
apprezzamenti del responsabile della revisione circa la corrispondenza della gestione
contabile alle norme giuridiche in materia.42
La seconda tipologia di condotta si riferisce all’occultamento di informazioni
che consiste, invece, nella mancata esposizione di informazioni riguardanti la
situazione economica, patrimoniale o finanziaria dell’ente sottoposto a revisione.
Dato che la disposizione non specifica che tale condotta debba avere ad oggetto
comunicazioni cui il responsabile della revisione legale sia tenuto per obbligo
attribuito dalla legge, il veicolo del falso per occultamento potrebbe essere costituito
da ogni tipo di comunicazione proveniente dal revisore legale; e dunque si
consumerebbe anche nel caso di nascondimento di informazioni non imposte dalla
legge cioè di natura facoltativa.43
Allo stesso modo, la previsione che le mancate informazioni riguardino lo
status patrimoniale, economico o finanziario del soggetto revisionato e che il falso
debba
avere
l’attitudine
ingannatoria
nei
confronti
dei
destinatari
delle
comunicazioni, fa propendere per una lettura che restringe il significato della
condotta punita all’occultamento di notizie riguardanti elementi significativi per una
rappresentazione veritiera dell’assetto economico, patrimoniale o finanziario della
società o dell’ente, in grado di fuorviare i soggetti che facciano affidamento nelle
dichiarazioni del revisore legale.44
Le due diverse modalità di realizzazione del reato (falsa attestazione ed
occultamento di informazioni) sono accomunate dal requisito dell’attitudine
ingannatoria della condotta, che deve risultare idonea ad indurre in errore i destinatari
della comunicazione sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dell’ente
soggetto a revisione legale.45
42
Come evidenziato da F. ANTOLISEI, op. cit., p. 571.
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 603. Secondo Ingrassia la valutazione delle informazioni il cui occultamento
può dirsi penalmente rilevante è in concreto affidata alla discrezionalità del giudice per un difetto di adeguata
determinatezza della fattispecie.
44
Questa era l’interpretazione dominante sotto il vigore dell’art. 2624 c.c. Cfr. S. SEMINARA, op. cit., p. 355-356; F.
ANTOLISEI, op. cit., p. 571-572.
45
L. SIRACUSA, op. cit., p. 250.
43
16
Tale caratteristica ha la funzione di individuare i confini della sfera applicativa
delle fattispecie, controbilanciando la vaghezza di taluni dei suoi elementi costitutivi
con la demarcazione dei contorni offensivi del fatto, soprattutto nei confronti della
contravvenzione di cui al primo comma art. 27 e della condotta di occultamento delle
informazioni.46
Per effetto della particolare dimensione “valutativa” dell’attività di revisione,
infatti, l’idoneità del falso a indurre in errore non può che essere valutata in relazione
agli scopi delle comunicazioni dei revisori legali tra i quali, accanto all’attestazione
della correttezza formale nella relazione del bilancio, vi è anche quello di fornire una
rappresentazione non distorta delle reali condizioni economiche, finanziarie e
patrimoniali delle società o degli enti revisionati.47
Il secondo comma dell’art. 27 prevede una pena più severa per i falsi in
revisione che abbiano cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle
comunicazioni.
Si tratta di una fattispecie delittuosa di reato la cui pena viene stabilita in
maniera autonoma, senza alcun riferimento alla sanzione prevista per la
contravvenzione di cui al primo comma.
Non vi è dubbio che l’evento tipizzato debba essere causalmente collegato alla
condotta illecita dei revisori legali, nonostante la natura essenzialmente valutativa e
parzialmente discrezionale dell’attività di tali soggetti renda particolarmente
complesso l’accertamento della conditio sine qua non.48
Effettivamente, poiché i revisori devono esprimere un giudizio sulla correttezza
e sulla veridicità del bilancio, materialmente redatto da altri, è poco probabile che il
loro comportamento costituisca l’unica causa del danno patrimoniale subito dai
46
L. SIRACUSA, op. cit., p. 250.
Come hanno correttamente evidenziato, con riferimento all’art. 2624 c.c., S. SEMINARA, op. cit., p. 354-355; L.
FOFFANI, op. cit., p. 1832.
48
L. SIRACUSA, op. cit., p. 251. La conditio sine qua non è un’espressione latina che letteralmente significa condizione
indispensabile senza la quale non si può compiere un’azione. Nel diritto penale l’espressione si ricollega a qualunque
comportamento che ha influito sul verificarsi dell’evento e ne costituisce la causa, indipendentemente dal concorso di
altre circostanze, anche consistenti nel comportamento colposo di altri (art. 41 terzo comma c.p.) che possono avere
avuto incidenza causale dell’evento. Il principio è temperato dalla previsione contenuta nel secondo comma art. 41
c.p. secondo la quale “le cause sopravvenute escludono il nesso di causalità quando sono state da sole sufficienti a
determinare l’evento.”
47
17
destinatari delle comunicazioni in conseguenza del falso. Per questo motivo, sembra
che ai fini della verifica del nesso causale49 non si possa prescindere dal ricorso
all’art. 41 c.p. sul concorso di cause e quindi dal considerare il falso dei revisori
legali una delle concause che insieme ad altre influisce sul nesso causale produttivo
dell’evento.50
Quanto ai soggetti passivi del reato, la disposizione utilizza una formula ampia
e generica che fa riferimento a qualunque persona (la società sottoposta alla
revisione, i creditori, i soci, i risparmiatori, gli investitori, ecc.) abbia compiuto scelte
economiche sbagliate, portatrici di pregiudizi patrimoniali, in conseguenza del
falso.51
L’elemento soggettivo della norma in commento è strutturato in maniera
abbastanza complessa, ricalcando fedelmente quello dell’art. 2624 c.c.
Oltre al dolo generico52 di compiere la condotta in modo idoneo ad indurre in
errore i destinatari, (che nel secondo comma deve investire anche la causazione del
danno ai destinatari), sono previsti anche un dolo intenzionale53 di trarre in inganno i
medesimi (che esclude quindi le ipotesi di dolo diretto54 e dolo eventuale55) e un dolo
specifico56 di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto.57
49
Il nesso causale è il collegamento tra la condotta e l’evento dannoso che integra il fatto di reato.
E. MUSCO, op. cit., p. 147. S. SEMINARA, Le falsità nell’attività di revisione contabile, cit., p. 361 precisa che “il
richiamo alla disciplina del concorso di cause sarebbe correttamente impostato, se la condotta dei revisori fosse
considerata alla luce della posizione di garanzia da essi rivestita rispetto all’impedimento degli illeciti da parte degli
amministratori”. Cfr. F. CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, Milano, 2009, p. 330 ss.
51
F. SIMONI, op. cit., p. 242; L. FOFFANI, op. cit., p. 1832; C. L. CERQUA, op. cit., p. 89.
52
Il dolo è l’elemento costitutivo del fatto illecito ed è la forma più grave in cui quest’ultimo può realizzarsi. Il reato è
quindi doloso quando il soggetto agente ha piena coscienza e volontà delle proprie azioni (piena consapevolezza dello
stesso). Il dolo è generico quando il soggetto vuole realizzare la condotta tipica prevista dalla norma penale, ma per
realizzarla non è richiesto un fine particolare ed ulteriore (es. omicidio).
53
Il dolo intenzionale si ha quando la realizzazione del fatto tipico è l’obiettivo ultimo del comportamento voluto dal
soggetto.
54
Il dolo diretto si configura quando il fatto tipico non costituisce lo scopo finale della condotta, ma il soggetto si
rappresenta tale evento come conseguenza certa o altamente probabile delle sue azioni.
55
Il dolo eventuale si caratterizza per il fatto che il risultato della condotta non è voluto in via diretta dal soggetto
come conseguenza della propria azione od omissione, ma viene previsto come una delle sue possibili conseguenze.
56
Il dolo specifico si ha quando alla previsione e alla volontà si aggiunge il perseguimento di un fine ulteriore indicato
dalla norma penale (es. arricchimento in caso di furto).
57
In senso contrario M. LA ROSA, Black out nei controlli: stato dell’arte e prospettive di riforma in tema di revisione
contabile, in Giur. Comm., 2005, p. 197.
50
18
L’elemento soggettivo così strutturato determina una forte selezione delle
condotte rilevanti, determinando una notevole restrizione dell’ambito di operatività
della norma.58
A causa di tale impostazione permane il rischio, che restino esclusi dalla pena i
falsi dei revisori legali non direttamente finalizzati al conseguimento di un profitto
ingiusto, ma realizzati per altri scopi, tra i quali per esempio il mantenimento di
incarichi e di consulenze particolarmente remunerative, come è accaduto nel noto
caso Enron.59
A tale complessa questione, si aggiunge poi l’arbitrarietà della scelta di
circoscrivere la forma di dolo all’intenzionalità dell’inganno. Tale impostazione non
solo è poco coerente con la funzione tipica della revisione legale, nell’ambito della
quale il falso costituisce di per sé un’evidente violazione dei doveri di controllo e di
trasparenza dei revisori legali, a prescindere dalla volontà di questi di fuorviare i
destinatari delle comunicazioni60, ma impedisce anche di considerare reati le falsità
dei revisori legali che abbiano agito non volendo direttamente ingannare i destinatari
del loro operato, rappresentandosene la possibilità e accettandone il relativo rischio
(dolo eventuale).61
Il quarto e quinto comma della disposizione in esame descrivono
rispettivamente una circostanza aggravante62 ed una clausola di estensione della
punibilità analoghe a quelle descritte nell’abrogato art. 174-bis T.U.F.
58
E. GARAVAGLIA, op. cit., p. 61.
Tale preoccupazione era stata energicamente espressa, tra gli altri, da S. SEMINARA, Le falsità nell’attività di
revisione contabile, cit., p. 358-359; L. FOFFANI, op. cit., p. 1833; R. ZANNOTTI, op. cit., p. 172.
La Enron era una società americana di produzione e distribuzione di elettricità fondata nel 1985. Dopo una serie di
scandali negli anni ’90 ed irregolarità contabili che sconfinarono in frode, avallate dalla società di certificazione bilanci
Arthur Andersen, il 2 dicembre 2001 la Enron dichiarò la bancarotta. Furono scoperte enormi perdite nei bilanci,
nascoste con la complicità della società di revisione Arthur Andersen. Questa negli anni ‘90, certificando bilanci falsi,
fece decollare le azioni della Enron. Nel gennaio 2002 il Dipartimento della Giustizia diede avvio al processo penale.
Della disperata situazione finanziaria causata dalle ruberie del management, ne erano a conoscenza tutti i top
manager della Enron. Tutti i manager della società furono condannati e nel giro di cinque anni la giustizia americana
ha chiuso tutti i processi nei confronti di tutte le persone coinvolte nel crack Enron.
60
S. SEMINARA, Le falsità nell’attività di revisione contabile, cit., p. 358.
61
L. SIRACUSA, op. cit., p. 251-252.
62
Si tratta di circostanze che di per sé non sono indispensabili per la sussistenza del reato e la cui presenza determina
una modificazione della pena in aumento o in diminuzione. Si distinguono in aggravanti (maggiore gravità del reato e
conseguente aumento della pena) disciplinate dall’art. 61 c.p. e attenuanti (minore gravità della pena e conseguente
diminuzione della pena) disciplinate dall’art. 62 c.p.
59
19
Con riferimento alla fattispecie di cui al quarto comma, si tratta di una
circostanza aggravante ad effetto speciale63 che punisce più severamente i revisori
legali che abbiano commesso il falso a seguito di un accordo corruttivo, o in concorso
con amministratori, direttori generali o sindaci della società assoggettata a revisione,
per le ipotesi di falsità in revisione di enti di interesse pubblico.64
E’ evidente che, come nel caso di falso realizzato per denaro o altra utilità data
o promessa, l’aumento di pena sia giustificato dal particolare disvalore penale del
comportamento tenuto. Al contrario, nel caso di concorso degli organi apicali o di
controllo della società sottoposta a revisione, il legislatore ha voluto attribuire
maggiore importanza penale ai falsi realizzati in “collusione” tra controllato e
controllante, coerentemente con il dato criminologico delle “sospette” sintonie che
spesso si realizzano tra i revisori legali ed i soggetti da essi controllati, in relazione
alla correttezza della gestione contabile e alla redazione del bilancio.65
La previsione di queste circostanze aggravanti ha la funzione di rafforzare la
tutela penale della trasparenza e della correttezza dell’informazione societaria, per
quanto strumentalmente collegata alla protezione del patrimonio privato quale bene
finale, attraverso l’incriminazione degli intrecci economici o di semplice connivenza
che possono intercorrere tra i soggetti controllati e i controllanti e che risultano in
grado di ledere l’autonomia e l’imparzialità tipica di una funzione di rilievo
pubblicistico, come la revisione legale.66
Infine, va evidenziato come il quinto comma estende la pena prevista per i
corrotti anche ai corruttori,67 apportando però sotto tale profilo un’importante
63
Per circostanza aggravante ad effetto speciale s’intende la circostanza che determina un aumento della pena di oltre
un terzo e che si riferisce al singolo reato o ad un gruppo limitato di reati. Si distingue dalle circostanze aggravanti
comuni, previste dall’art. 61 c.p., le quali possono realizzarsi con riferimento ad un numero indeterminato di reati.
64
L. SIRACUSA, op. cit., p. 252.
65
G. MARTIELLO, La riforma della disciplina penale della revisione contabile, in F. GIUNTA - D. MICHELETTI (a cura di),
La disciplina penale del risparmio, Milano, 2008, p. 120 ss.
66
Per una ricostruzione della significatività offensiva delle fattispecie di corruzione dei revisori, si legga F. CONSULICH,
Corruzioni private e pubblico risparmio. Riflessioni teoriche sul nuovo statuto penale del revisore contabile, in Giur.
Comm., 2009, p. 790 ss.
67
Il problema del possibile concorso delle “alte” sfere delle società assoggettate a revisione nel falso commesso dai
revisori era stato sollevato da S. PUTINATI, Ipotesi peculiari di responsabilità penale nella revisione contabile, in AA.
VV., Le responsabilità degli organi di gestione e controllo. La tutela delle minoranze, in Il sole 24 ore. Le monografie,
2003, p. 41 ss., il quale aveva suggerito di punire gli amministratori, i sindaci e i direttori generali della società
20
modifica alla disciplina contenuta nel vecchio art. 174-bis T.U.F. Quest’ultimo
restringeva, infatti, tassativamente la punibilità della compravendita del falso agli
amministratori, ai sindaci e ai direttori generali della società sottoposta a revisione,
atteso che l’illecito di corruzione nel falso in revisione di cui al T.U.F. riguardava
solo le società quotate in borsa, le società da queste controllate e le società emittenti
strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in maniera rilevante.68
Il quinto comma dell’art. 27, invece, adegua il contenuto della norma
incriminatrice alla molteplicità di modelli di amministrazione e di controllo presenti
nel diritto societario, in coerenza con l’avvenuto ampliamento dell’ambito applicativo
della fattispecie e fa quindi generico riferimento ai direttori generali, ai componenti
dell’organo di amministrazione ed a quelli dell’organo di controllo.69
sottoposta a revisione in qualità di “istigatori” o di “determinatori” della condotta illecita dei revisori, ai sensi dell’art.
110 ss c.p.”. Tale tesi viene oggi richiamata da F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti,
cit., p. 667, a dimostrazione della superfluità della previsione di cui al quinto comma dell’art. 27 d.lgs. n. 39/2010. Lo
stesso Putinati, all’indomani dell’introduzione dell’art. 174-bis T.U.F., aveva espresso soddisfazione per l’avvenuta
tipizzazione delle forme di concorso di terzi nel falso dei revisori, pur non mancando di ribadire l’inutilità di una
disposizione i cui effetti si sarebbero potuti egualmente conseguire mediante una corretta applicazione delle norme
codicistiche sul concorso di persone nel reato. S. PUTINATI, Art. 174-bis d.lgs. n. 58/98, in A. LANZI - A. CADOPPI (a
cura di), I reati societari. Commentario aggiornato alla legge 28 dicembre 2005 n. 262 sulla tutela del risparmio,
Padova, 2007, p. 97 ss.
68
L. SIRACUSA, op. cit., p. 253.
69
L. SIRACUSA, op. cit., p. 253.
21
4.2. Art. 28 – Corruzione dei revisori
L’art. 28 d.lgs. n. 39/201070 disciplina la fattispecie della corruzione dei
revisori.
La norma in esame realizza una reductio ad unum delle fattispecie finalizzate a
reprimere l’illegalità delle attività dei revisori. La disciplina previgente era
caratterizzata da una scarsa coerenza sistematica71 se si tiene conto che “il fenomeno
corruttivo” pensato per i revisori era dislocato nell’art. 2635 c.c. (infedeltà a seguito
di dazione o promessa di utilità) e nell’art. 174-ter T.U.F. (corruzione dei revisori).
Tuttavia tale armonizzazione è riuscita solo in parte in quanto i requisiti strutturali
delle citate fattispecie, che a causa della loro infelice formulazione non avevano dato
risultati, sono rimasti sostanzialmente identici.72
Il primo comma dell’art. 28, richiedendo che il mercimonio della funzione
abbia causato un nocumento per la società, segue una linea di tutela “interna”, volta a
garantire l’interesse patrimoniale privato della società per cui il corrotto svolge le
proprie funzioni73, anche a prescindere dall’esercizio della revisione legale dei
conti;74 il secondo comma, invece, segue una linea di tutela “esterna”, volta cioè a
tutelare l’interesse pubblico del corretto svolgimento delle attività di revisione e a
70
1. I responsabili della revisione legale, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od
omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società, sono puniti con
la reclusione sino a tre anni. La stessa pena si applica a chi dà o promette utilità. 2. Il responsabile della revisione
legale e i componenti dell’organo di amministrazione, i soci e i dipendenti della società di revisione legale, i quali,
nell’esercizio della revisione legale dei conti degli enti di interesse pubblico o delle società da queste controllate, fuori
dei casi previsti dall’art. 30, per denaro o altra utilità data o promessa, compiono od omettono atti in violazione degli
obblighi inerenti il loro ufficio, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chi dà o
promette utilità. 3.Si procede d’ufficio.
71
Cfr. P. ALDROVANDI, Commento sub art. 174-ter d.lgs. n. 58/98, in A. LANZI - A. CADOPPI (a cura di), op. cit., p. 212.
72
R. G. MARUOTTI, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, in A. MANNA (a cura di), Corso di diritto penale
dell’impresa, Padova, 2010, p. 216 ss.
73
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 609 ss.; L. MARIANI, Art. 28 d.lgs. n. 39/2010, in AA.VV. La riforma della
revisione legale in Italia: una prima analisi del d.lgs. n. 39/2010, a cura della Scuola di Alta Formazione dell’Ordine dei
dottori commercialisti e degli esperti contabili - Commissione Controllo Societario, Quaderno della Scuola di Alta
Formazione n. 31, Milano, 2010, p. 150.
74
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 669.
22
garantire la corretta funzione connessa alle attività esercitate dagli enti di interesse
pubblico individuati nell’art. 16 dello stesso decreto.75
L’interesse dei terzi è, dunque, estraneo all’ambito di applicazione della
fattispecie contenuta nell’art. 28 primo comma.76
In entrambi i casi, sono puniti con la stessa pena coloro che offrono o che
promettono l’utilità.77
La fattispecie delineata nel primo comma è strutturata come delitto di evento di
danno.78 In particolare, il fatto tipico è caratterizzato da una duplice condotta: da un
lato, la dazione o la promessa di utilità che un terzo rivolge al revisore legale
(corruzione attiva); dall’altro è necessario il compimento o l’omissione di atti in
violazione dei doveri di ufficio da parte del corrotto (corruzione passiva).79
La norma scompone il fatto tipico in tre momenti tra loro legati da un duplice
nesso causale: 1) la dazione o la promessa di utilità da parte del corruttore, 2) il
compimento o l’omissione di un atto in violazione degli obblighi inerenti l’ufficio,
75
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 669, il quale, con riferimento all’art.
28 primo comma, propone questo esempio: il revisore legale “(...) riceve del denaro da una società concorrente di
quella revisionata per carpire notizie utili ai fini commerciali e ciò nuoce alla società di revisione che, tra le altre cose,
vedrà compromessa la propria reputazione e quindi la capacità di attrarre la clientela; oppure si pensi al soggetto che
riceve sottobanco da un consulente giuridico esterno al quale il primo fa in modo che vengano pagate, dalla società di
revisione, parcelle di valore superiore al lavoro effettivamente svolto”; in relazione al secondo comma, Centonze
immagina il caso del “(…) soggetto incaricato della revisione che pattuisce una “tangente” per svolgere in modo
pilotato i controlli a campione di una società quotata”.
76
G. FORTI, La corruzione tra privati nell’orbita di disciplina della corruzione pubblica: un contributo di tematizzazione,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1163. In relazione all’art. 2635 c.c.: “la somiglianza con la corruzione pubblica
manifestata da queste fattispecie è solo esteriore: l’interesse del “terzo” è qui del tutto estromesso o, quantomeno,
artificiosamente fatto coincidere con quello del “principale” ad esercitare il controllo del suo agente da una visione
dell’infedeltà come problema esclusivamente interno alla società e dagli effetti ristretti all’ambito patrimoniale”. In
argomento anche E. AMATI, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, in A. ROSSI (a cura di), I reati societari,
Torino, 2005, p. 436; J. L. DE LA CUESTA ARZAMEDI - I. BLANCO CORDERO, La criminalizzazione della corruzione nel
settore privato: aspetti sovranazionali e di diritto comparato, in AA. VV. La corruzione tra privati. Esperienze
comparatistiche e prospettive di riforma, (a cura di) R. ACQUAROLI - L. FOFFANI, Milano, 2003, p. 45.
77
In relazione all’art. 2635 c.c., la dottrina aveva manifestato alcune perplessità circa la previsione della stessa pena
edittale per il corrotto e per il corruttore, sulla base della considerazione per cui se tale soluzione poteva ritenersi
coerente nell’ottica della tutela della concorrenza, risultava del tutto irrazionale nella diversa prospettiva della tutela
del patrimonio, mettendo così in evidenza la divaricazione fra la struttura della fattispecie (che riflette il modello
socio-criminologico della corruzione) e la sua oggettività giuridica (orientata alla tutela del patrimonio della società).
Cfr. L. FOFFANI, Infedeltà patrimoniale e conflitto di interessi, in R. ACQUAROLI - L. FOFFANI, La corruzione tra privati,
Milano, 2003, p. 39; A. L. MACCARI, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, in F. GIUNTA (a cura di), I nuovi
illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, Torino, 2002, p. 173.
78
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 609.
79
G. LEINERI, op. cit., p. 256.
23
che deve scaturire, dal punto di vista del nesso causale, dalla dazione o promessa; e 3)
il nocumento per la società.80
Anche per la fattispecie descritta dall’art. 28 primo comma non è richiesta una
particolare forma per le condotte “potendo ugualmente rilevare tanto una
dichiarazione esplicita, quanto un comportamento concludente, come pure
l’intervento di un intermediario, senza che vi sia un incontro diretto tra le parti”; 81
così anche per quanto riguarda la formazione dell’accordo, si può ritenere che
l’iniziativa può essere presa tanto dall’extraneus (il corruttore) quanto dall’intraneus
(il revisore legale).82
Così come l’art. 2635 c.c., anche l’art. 28 primo comma del decreto si riferisce
alla “utilità”, senza utilizzare l’espressione tipica dei reati contro la pubblica
amministrazione “denaro o altra utilità” (espressione, invece, utilizzata nel delitto
disciplinato nel comma successivo della norma in esame). Il concetto di “utilità”
comprende, oltre al denaro, qualunque cosa che rappresenti un vantaggio per la
persona, abbia essa natura patrimoniale o meno, come ad esempio i favori sessuali.83
La condotta del responsabile della revisione legale deve poi essere stata
compiuta od omessa in violazione degli obblighi riguardanti all’ufficio. Tuttavia, tale
formula legislativa, anche se vaga e incerta, non consente di comprendere generici
doveri di fedeltà, lealtà e correttezza che non trovino concretizzazione in forma
scritta; piuttosto, occorrerà considerare tutti gli obblighi che regolano l’esercizio delle
funzioni di revisore legale imposte dalla legge e di fonte negoziale: “(…) rileva
perciò penalmente la violazione degli obblighi di ufficio che produca un patologico
funzionamento della complessiva organizzazione preposta alla revisione e crei in
definitiva un pericolo di un flusso informatico alterato al mercato mobiliare”.84
80
E. MUSCO, op. cit. p. 240.
A. L. MACCARI, op. cit., p. 174.
82
A. L. MACCARI, op. cit., p. 174.
83
E. MUSCO, op. cit., p. 237; N. MAZZACUVA - E. AMATI, Diritto penale dell’economia: problemi e casi, Padova, 2013,
p. 252.
84
F. CONSULICH, op. cit., p. 803. Nello stesso senso F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei
conti, cit., p. 669; L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 609; P. ALDROVANDI, Commento sub art. 2635 c.c., in A. LANZI
- A. CADOPPI (a cura di), I reati societari, cit., p. 217-218.
81
24
Anche per l’art. 28 primo comma, così come per l’art. 2635 c.c., si pongono gli
stessi dubbi interpretativi con riferimento all’evento collegato alla condotta
“infedele” e identificato dalla norma in esame con la vaga e generica espressione di
“nocumento”.85 Sicuramente, la nozione di nocumento è più ampia rispetto a quella di
“danno” e racchiude in sé anche i pregiudizi morali arrecati all’ente come il danno
all’immagine o al corretto funzionamento o al prestigio della società.86
La fattispecie disciplinata dal secondo comma dell’art. 28 è strutturata come un
reato d’obbligo e di pericolo astratto.87 Si tratta della vera e propria corruzione dei
revisori: una corruzione propria in cui si richiede il compimento o l’omissione degli
atti in violazione degli obblighi di ufficio nell’ambito degli enti di interesse pubblico
o in società da questi controllate.88
L’attuale formulazione dell’art. 28 secondo comma contiene una clausola di
riserva per effetto della quale si dispone l’applicabilità della norma in commento nel
caso in cui il fatto concreto abbia integrato il delitto di compensi illegali di cui all’art.
30 del decreto.89
Infine, il terzo comma dell’art. 28 prevede che i delitti di cui al primo e
secondo comma sono perseguibili d’ufficio. Tale disposizione, quindi, modifica il
precedente regime di procedibilità esclusivamente a querela previsto per il delitto di
infedeltà del revisore a seguito di dazione o promessa di utilità ex art. 2635 c.c.90
L’elemento soggettivo che caratterizza entrambe le fattispecie disciplinate
nell’art. 28 è il dolo generico che consiste nella consapevolezza e volontà, dal punto
di vista dell’extraneus, di dare o promettere utilità al soggetto qualificato in cambio
85
G. LEINERI, op. cit., p. 257.
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 610; in precedenza, per l’art. 2635 c.c. v. A. ZAMBUSI, Infedeltà a seguito di
dazione o promessa di utilità (art. 2635 c.c.): alcuni aspetti problematici, in Indice penale, 2005, p. 1058.
87
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 610; F. CONSULICH, op. cit., p. 801. I reati d’obbligo sono illeciti volti a
sanzionare la violazione di un dovere extra-penale che qualifica un particolare soggetto. Nei reati di pericolo astratto
la messa in pericolo del bene protetto è insita nella realizzazione stessa del fatto tipico senza la necessità di indagine
alcuna da parte del giudice con la facoltà per l'autore del fatto di provare, in concreto, l'inesistenza di tale pericolo.
88
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 668.
89
Per i rapporti tra le due norme si rinvia al commento di L. DELLA RAGIONE, Art. 30 - Compensi illegali, in N. DE LUCA
(a cura di), La revisione legale dei conti annuali e consolidati, in Le nuove leggi civili commentate, 2011. L’originaria
formulazione dell’art. 174-ter T.U.F. conteneva una clausola di riserva non in favore del delitto di compensi illegali, ma
del delitto di falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni di cui all’art. 174-bis T.U.F.
90
G. LEINERI, op. cit., p. 258.
86
25
del compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio (con l’ulteriore
consapevolezza, per la fattispecie di cui al primo comma, di provocare un nocumento
alla società); dal punto di vista dell’intraneus, di ricevere l’utilità o la promessa per
compiere un atto in violazione degli obblighi dell’ufficio (con l’ulteriore
consapevolezza, per la fattispecie di cui al primo comma, di determinare il suddetto
nocumento). In entrambi i soggetti dovrà essere presente la chiara rappresentazione
della qualifica soggettiva rivestita dall’intraneus.91
Con particolare riferimento alla fattispecie contenuta nel primo comma,
considerato che il legislatore non ha richiesto, così come non lo ha fatto nell’art. 2635
c.c., né la presenza di un dolo specifico né la presenza di un dolo intenzionale, si può
concludere che il delitto possa essere punibile anche nella forma del dolo eventuale,
essendo sufficiente che il nocumento alla società sia rappresentato e accettato dagli
agenti come possibile conseguenza della loro condotta illecita.92
L’art. 1 del d.lgs. n. 61/2002, che ha riformato il diritto penale societario, ha
introdotto con l’art. 2635 c.c.93 la fattispecie di “infedeltà a seguito di dazione o
promessa di utilità”, incriminazione generale e diretta della corruzione privata.
Tale disposizione rappresentava il risultato di impegni sovranazionali, come la
Convezione sulla lotta alla corruzione94, la Convenzione OCSE sulla lotta alla
corruzione95 e l’Azione comune europea del dicembre 1998, aventi lo scopo di
indurre gli Stati membri ad introdurre nei loro ordinamenti fattispecie penalmente
rilevanti di corruzione anche nel settore privato, con particolare riferimento
all’ambito del diritto penale societario.96
91
A. ROSSI, Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, in F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi
complementari, cit., p. 455.
92
E. MUSCO, op. cit., p. 245; P. ALDROVANDI, op. cit., p. 219; E. AMATI, op. cit., p. 444; M. BELLACOSA, Obblighi di
fedeltà dell’amministrazione di società e sanzioni penali, Roma - Milano, 2006, p. 271.
93
1. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i
sindaci, i liquidatori e i responsabili della revisione, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità,
compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti il loro ufficio, cagionando nocumento alla società,
sono puniti con la reclusione sino a tre anni. 2. La stessa pena si applica a chi dà o promette utilità. 3. Si procede a
querela della persona offesa.
94
Firmata a Bruxelles il 26 maggio 1997.
95
Stipulata a Parigi il 17 dicembre 1997 ed entrata in vigore il 15 febbraio 1999.
96
F. PETRILLO, Corruzione tra privati: l’iter storico dell’art. 2635 del Codice Civile, in www.filodiritto.com, 30 settembre
2013, p. 1.
26
La ratio che stava alla base dell’introduzione dell’art. 2635 c.c. era quella di
estendere, sia pure con le dovute distinzioni, la tutela del modello pubblicistico della
corruzione anche alla sfera privatistica, in modo da assicurare una rigida separazione
degli interessi patrimoniali dell’ente da quelli dell’amministratore e creare uno statuto
penale dell’impresa autosufficiente e svincolato dall’applicazione delle fattispecie in
tema di pubblica amministrazione.97
Con la l. 25 febbraio 2008 n. 34, all’art. 29, il Parlamento aveva delegato il
Governo ad adottare un “decreto legislativo contenente le norme necessarie per dare
attuazione alla decisione quadro 2003/568/GAI” e, in particolare, aveva
espressamente previsto l’introduzione “nel libro II, titolo VIII, capo II del codice
penale di una fattispecie criminosa, la quale punisse con la reclusione da uno a cinque
anni la condotta di chi, nell’ambito di attività professionali, intenzionalmente
sollecita o riceve, per sé o per un terzo, direttamente o tramite un intermediario, un
indebito vantaggio di qualsiasi natura, oppure accetta la promessa di tale vantaggio,
nello svolgimento di funzioni direttive o lavorative non semplicemente esecutive per
conto di un’entità del settore privato, per compiere od omettere un atto, in violazione
di un dovere, sempreché tale condotta comporti o possa comportare distorsioni della
concorrenza riguardo all’acquisizione di beni o servizi commerciali”.
Con tale delega era stato, inoltre, indicato di “prevedere la punibilità con la
stessa pena anche di colui che, intenzionalmente, nell’ambito di attività professionali,
direttamente o tramite intermediario, dà, offre o promette il vantaggio” e di introdurre
tali fattispecie “fra i reati di cui alla sezione 111 del capo I del d.lgs. 8 giugno 2001 n.
231, (…) con la previsione di adeguate sanzioni pecuniarie e interdittive nei confronti
delle entità nel cui interesse o vantaggio sia stato posto in essere il reato”.98
In questo quadro s’inserisce la riforma dell’art. 2635 c.c.99 attuata con l. 6
novembre 2012 n. 190.
97
F. PETRILLO, op. cit., p. 1.
Su questa “programmata innovazione”, v. D. PERRONE, L’introduzione nell’ordinamento italiano della fattispecie di
corruzione privata: in attesa dell’attuazione della l. 25 febbraio 2008, n. 34, in Cass. Pen., 2009, p. 769 ss.
99
Art. 2635 c.c.: 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti
preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della
98
27
Le novità introdotte dalla riforma possono così riassumersi:100
a) è stato modificato il nomen juris del reato, che attualmente è identificato con la
denominazione “Corruzione tra privati”;
b) si è anteposta alla descrizione della fattispecie una clausola di sussidiarietà
espressa (“Salvo che il fatto costituisca più grave reato…”);
c) si è modificata la cerchia dei soggetti attivi, che oggi sono rappresentati da
“amministratori”, “direttori generali”, “dirigenti preposti alla redazione dei
documenti contabili societari”, “sindaci” e “liquidatori”, con esclusione del
precedente riferimento ai “responsabili della revisione”;
d) è stata parzialmente corretta la descrizione della condotta tipica, in passato
basata sul compimento di atti od omissioni posti in essere dai soggetti attivi del
reato “in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio”, attualmente estesa
anche all’ipotesi di violazione degli “obblighi di fedeltà”;
e) ancora sul piano della descrizione oggettiva della fattispecie, come oggetto
della dazione o della promessa, alla formula “altra utilità” è stata aggiunta la
nozione di “denaro” e si è specificato che tale dazione o promessa rilevano se
ricevute sia “per sé” che (questa la novità) “per altri”;
f) si è introdotto un limite minimo edittale, pari ad un anno di reclusione, per la
fattispecie oggi prevista al primo comma;
g) all’attuale secondo comma si è introdotta una fattispecie meno grave (punita
con la pena della reclusione fino ad un anno e sei mesi), nell’ipotesi che il fatto
sia “commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei
soggetti” attivi della fattispecie base;
promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al
loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre
anni. 2. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla
direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma. 3. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle
persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. 4. Le pene stabilite nei commi
precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati
dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive
modificazioni. 5. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza
nella acquisizione di beni o servizi.
100
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2698.
28
h) è stata introdotta una deroga alla precedente procedibilità a querela, nel caso in
cui “dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di
beni o servizi”;
i) per le fattispecie di “corruzione attiva”, oggi fissate al terzo comma, è stata
estesa la possibilità, in precedenza non prevista, di una responsabilità diretta
dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001.
La modifica del nomen juris ha avuto un importante ruolo dal punto di vista
“politico-criminale”, sia perché tende a separare anche sul piano formale la
fattispecie in esame da quella della infedeltà patrimoniale prevista dall’art. 2634 c.c.,
sia perché, anche se privo di una reale corrispondenza nel corpo della fattispecie,
fonda il disvalore del fatto più sul patto corruttivo che sulla semplice gestione
infedele.101
Allo stesso modo risulta appropriata e condivisibile l’esclusione dalla cerchia
dei soggetti attivi del reato dell’originario riferimento ai “responsabili della
revisione”.102
L’attuale formulazione della fattispecie di “corruzione dei revisori”, prevista al
citato art. 28 d.lgs. n. 39/2010, ribadisce la previsione di una responsabilità per fatti
corruttivi che comportino la causazione di un “nocumento alla società” e, quindi,
conferma la scelta legislativa di valorizzare anche una espressa esigenza di tutela
degli interessi patrimoniali della società. Allo stesso tempo, però, nel caso della
revisione di enti di interesse pubblico, la dimensione del fatto tipico si allarga alla
previsione della semplice commissione di condotte corruttive, così estendendo ed
anticipando il momento di rilevanza penale del fatto.103
Ancora nell’ambito dell’attuale riformulazione della cerchia dei soggetti attivi
del reato, opportuna e apprezzabile è anche l’esplicita considerazione di soggetti
101
R. BARTOLI, Corruzione tra privati, in B. G. MATTARELLA - M. PELISSERO (a cura di), La legge anticorruzione.
Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, p. 441. Secondo A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2699, “la
modifica del nomen juris, oggi esplicitamente collegato al concetto di “corruzione”, va vista sicuramente con favore,
anche se non è certo da questo aspetto che si può attendere una più concreta rilevanza applicativa della fattispecie o,
tanto meno, una più diretta assimilazione del modello della corruzione “privata” a quello della corruzione di pubblici
funzionari”.
102
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2700.
103
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2700.
29
diversi da figure “apicali”.104 Infatti, con l’attuale previsione, contenuta al secondo
comma dell’art. 2635 c.c., della punibilità del fatto anche quando commesso da
persone “sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti” attivi della
fattispecie base, il legislatore italiano sembra aver finalmente tenuto conto delle
precedenti critiche e di quelle indicazioni sovranazionali che obbligavano ad
estendere la punibilità nei confronti di chiunque svolga “funzioni direttive o
lavorative di qualsiasi tipo”.105
Con riferimento alla dimensione tipica del fatto, nessuna modifica è stata
chiaramente apportata alla precedente qualificazione del reato quale illecito di evento,
fondato sulla necessaria causazione di un “nocumento alla società”.
Sul piano oggettivo della fattispecie emergono, invece, altri elementi di
innovazione. Da un lato, spicca la prevista estensione dei profili di tipicità della
condotta base all’ipotesi che la prestazione attiva od omissiva, realizzata in
conseguenza della dazione o della promessa di utilità, vada identificata non più solo
in ragione di una “violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio”, bensì anche
tenendo conto della possibile violazione di “obblighi di fedeltà”.106
L’attuale ampliato riferimento anche a più generici “obblighi di fedeltà”
potrebbe essere stato determinato dalla parallela estensione della fattispecie
incriminatrice (attuale secondo comma art. 2635 c.c.) al “fatto” commesso da persone
“sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti” attivi dell’ipotesi base;
persone, cioè, rispetto alle quali non avrebbe potuto essere fatta valere tale proposta
di correzione interpretativa, di fatto valida solo per “soggetti qualificati”.107
In sostanza, però, in assenza di una diretta riferibilità ai soli soggetti attivi “non
qualificati”, la modifica oggi introdotta rischia di estendere a tutti soggetti attivi del
reato la rilevanza di questo sfuggente requisito di semplice “fedeltà”; un requisito del
quale non si sentiva la necessità e che molto probabilmente rischierà di rivelarsi
ripetitivo, potendosi considerare in contrasto con tale “obbligo di fedeltà” il fatto
104
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2700.
Così, in particolare, prevedeva l’indicazione contenuta nell’art. 2 della decisione quadro 2003/568/GAI.
106
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2700.
107
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2700-2701
105
30
stesso di aver ricevuto e/o accettato la promessa di “denaro od altra utilità” da parte di
soggetto esterno alla società per compiere un atto di “nocumento” per la società
stessa.108
Dopo lunghe discussioni parlamentari e critiche all’iniziale proposta di
mantenere il regime della procedibilità a querela, l’attuale formulazione dell’art. 2635
c.c. è il risultato di un preciso emendamento governativo, indicato dal Ministro di
Giustizia. Quindi, oggi “si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto
derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.
Sempre sul piano della fattispecie oggettiva, poco significativa sembra
l’aggiunta della nozione di “denaro” a quella di “utilità” che veniva indicata quale
oggetto della “dazione” o della “promessa”. Si tratta di un’innovazione che sembra
giustificarsi solo da una prospettiva di più diretta corrispondenza alla fattispecie di
“corruzione propria” del pubblico funzionario, ex art. 319 c.p.109
Molto più importante è, invece, l’attuale precisazione in forza della quale si
stabilisce che questa parte della condotta è oggi “tipica” anche se posta in essere per
conto “di altri”. In questo modo viene estesa la rilevanza penale del fatto a quella
ipotesi c.d. di “intermediazione”, che prima sfuggiva alla previsione della fattispecie
incriminatrice e che, come visto, proprio per questa lacuna aveva già portato a
sollevare critiche sovranazionali rispetto alla disciplina vigente in Italia.110
L’attuale innovazione legislativa limita questa responsabilità dell’ente alla sola
figura della c.d. “corruzione attiva”111, essendo evidente l’impossibilità di ipotizzare
un atto di “infedeltà” dell’altro attore del patto o del fatto corruttivo realizzato con
causazione di un “nocumento” per la società di appartenenza di quest’ultimo, quale
reato commesso “nell’interesse o a vantaggio” di questa stessa società. 112 La
possibilità di una responsabilità diretta dell’ente, con tutte le conseguenze
108
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2701.
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2701. Art. 319 c.p. - Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio: “Il pubblico
ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per
aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la
promessa, è punito con la reclusione da quattro a otto anni”.
110
Cfr. Relazione della Commissione CE al Consiglio del 18 giugno 2007, cit., p. 6. A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2701.
111
Ipotesi del terzo comma dell’art. 2635 c.c.
112
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2701.
109
31
organizzative con riguardo all’onere di realizzare organismi di vigilanza e controlli
funzionali ad una efficace prevenzione di questo reato, viene fissata solo con
riferimento all’ente per il quale opera il “corruttore” e non il “corrotto”.113
Quindi, evidenti sono le ombre e le luci di questa riforma. 114 A modifiche utili
e necessarie per una maggiore precisione della precedente formulazione dell’art. 2635
c.c. e dei relativi obblighi di adeguamento ad impegni sovranazionali, si affiancano
innovazioni che preannunciano un’ampliata problematicità applicativa delle nuove
fattispecie. Ma soprattutto, gli interventi approvati dal Parlamento pongono la
disciplina italiana ancora molto lontana dai quei modelli di incriminazione che gli
organismi comunitari continuano ad indicare come necessari per un’efficace
repressione della “corruzione” anche nel settore privato.115
Il 15 marzo 2013 è stato presentato dal senatore Grasso ed altri firmatari un
disegno di legge rubricato “Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio,
falso in bilancio e riciclaggio”116, che propone, nell’ambito di un articolato intervento
di riforma, anche la riscrittura della fattispecie di corruzione tra privati come reato di
pericolo e non di danno, con la conseguente eliminazione della punibilità a querela.117
Infatti, secondo i firmatari della proposta, “l’attuale previsione determina
un’eccessiva limitazione della punibilità di condotte pur idonee a generare gravi
alterazioni del mercato e della libera concorrenza. Inoltre, con il presente
provvedimento, si propone di punire con la medesima sanzione prevista per i dirigenti
il fatto corruttivo commesso dai dipendenti”.118
Quindi, l’art. 2 del disegno di legge vorrebbe apportare all’art. 2635 c.c. le
seguenti modifiche: “a) il primo comma è sostituito dal seguente: “Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti
alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori nonché coloro
113
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2701.
Molto critica anche la prima valutazione di E. DOLCINI - F. VIGANO’, op. cit., p. 246.
115
A. MELCHIONDA, op. cit., p. 2701.
116
Il disegno di legge è stato assegnato in data 8 maggio 2013 alla seconda Commissione permanente Giustizia in sede
referente.
117
F. PETRILLO, op. cit., p. 5.
118
Cfr. Relazione di accompagnamento alla proposta di legge in oggetto.
114
32
che sono sottoposti alla direzione o vigilanza di uno dei predetti soggetti, che, a
seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri,
compiono od omettono atti, in violazione dei loro doveri, sono puniti con la
reclusione da sei mesi a tre anni”; b) il secondo e il quinto comma sono abrogati.”
Verrebbe meno, quindi, il requisito del “nocumento” alla società che oggi deve
derivare dalla condotta corruttiva ed il reato in esame avrebbe come unico bene
giuridico tutelato quello della concorrenza.119
119
F. PETRILLO, op. cit., p. 6.
33
4.3. Art. 29 – Impedito controllo
L’art. 29 d.lgs. n. 39/2010120 disciplina la fattispecie di impedito controllo
riprendendo con significative modifiche, le previsioni di impedito controllo previste
dall’art. 2625 c.c.121, tutt’ora vigente, cui sottrae il nucleo di condotte che hanno
come titolari dell’attività impedita o ostacolata i revisori.122
Il legislatore ha introdotto una norma ad hoc, destinata a punire i
comportamenti diretti ad ostacolare l’esercizio delle attività di revisione, da parte
dell’organo amministrativo della società sottoposta a verifica legale dei conti.
Contestualmente è stato eliminato dall’art. 2625 c.c.123 il riferimento alle attività di
revisione, con la conseguenza che, nell’attuale formulazione, la disposizione
codicistica sanziona le sole forme di ostacolo allo svolgimento delle attività di
controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali.124
La ratio della norma è quella di garantire affidabilità e veridicità dei giudizi
espressi dai soggetti preposti alla revisione. In quest’ottica risulta indispensabile
punire condotte, anche solo ostruzionistiche, finalizzate a paralizzare o comunque a
rendere più gravosa l’attività di revisione.125
Le disposizioni di cui agli artt. 27, 28, 30 e 31 sono, infatti, volte a punire
comportamenti illeciti dei responsabili della revisione legale, fatta salva la possibilità
120
1. I componenti dell’organo di amministrazione che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o
comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di revisione legale sono puniti con l’ammenda fino a
settantacinque mila euro. 2. Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno ai soci o ai terzi, si applica la
pena dell’ammenda fino a settantacinquemila euro e dell’arresto fino a diciotto mesi. 3. Nel caso di revisione legale di
enti di interesse pubblico, le pene previste al primo e secondo comma sono raddoppiate. 4. Si procede d’ufficio.
121
Art. 2625 c.c. 1. Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque
ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci o ad altri organi sociali, sono puniti
con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro. 2. Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si
applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa. 3. La pena è raddoppiata se si tratta
di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico
in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 T.U.F.
122
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 611-612.
123
Tale intervento è stato realizzato dall’art. 37 comma 35 d.lgs. n. 39/2010.
124
Il sistema penale a tutela delle funzioni di controllo interno delle società, contenuto negli artt. 2625 secondo
comma c.c. e 29 d.lgs. n. 39/2010, trova completamento nell’art. 2638 c.c., volto a punire comportamenti di ostacolo
all’esercizio delle funzioni da parte delle autorità di vigilanza (c.d. vigilanza esterna).
125
V. RAIMONDO, Art. 29 - Impedito controllo, in N. DE LUCA (a cura di), La revisione legale dei conti annuali e
consolidati, in Le nuove leggi civili commentate, 2011, p. 259.
34
di estendere la responsabilità in capo ai vertici aziendali della società sottoposta a
revisione.126
La fattispecie contenuta nell’art. 29, invece, è l’unica a configurare un reato
proprio127 dei componenti l’organo amministrativo della società revisionata, facendo
riferimento all’ipotesi in cui tale società agisca, per il tramite del suo vertice
aziendale, in netta contrapposizione rispetto ai responsabili della revisione, soggetti
passivi del reato al punto da poter essere qualificati quali terzi danneggiati
nell’ipotesi aggravata di cui al secondo comma.128
Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la comparazione con le altre
disposizioni incriminatrici di cui al d.lgs. n. 39/2010 evidenzia come l’art. 29 punisca
comportamenti
di
minore
gravità
penale,
trattandosi
dell’unica
ipotesi
contravvenzionale.129
Sotto il profilo dei requisiti strutturali, la norma in esame individua, tra i
soggetti attivi, i componenti dell’organo di amministrazione, intendendosi tutti gli
organi gestori del modello tradizionale, monistico o dualistico di organizzazione
societaria.130
In particolare, il primo comma dell’art. 29 riprende la previsione del primo
comma dell’art. 2625 c.c., con l’importante novità di rendere però il fatto penalmente
rilevante: infatti, il primo comma dell’art. 29 del decreto punisce l’impedito controllo
a titolo di contravvenzione, mentre nella disciplina civilistica tale condotta integra un
illecito amministrativo.131
Il secondo comma dell’art. 29 prevede un’aggravante ad effetto speciale per
l’ipotesi in cui l’impedito controllo abbia cagionato un danno ai soci o ai terzi.
Nell’art. 2625 c.c., invece, il danno patito dai soci costituisce l’elemento differenziale
126
Cfr. art. 27 quinto comma, art. 28 secondo comma e art. 30 secondo comma.
Il reato è un fatto giuridico illecito al quale l’ordinamento ricollega, come conseguenza, una sanzione penale
(arresto, reclusione, multa o ammenda). Il reato è proprio quando può essere commesso solo da chi possiede una
determinata qualifica (per esempio il reato di peculato può essere commesso solo da un pubblico ufficiale). Il reato è
comune quando può essere commesso da chiunque (es. omicidio).
128
V. RAIMONDO, op. cit., p. 259.
129
V. RAIMONDO, op. cit., p. 259.
130
V. RAIMONDO, op. cit., p. 259.
131
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 612.
127
35
tra illecito amministrativo di pericolo di cui al primo comma e il delitto di cui al
secondo comma.132
Un’ulteriore aggravante è prevista dal terzo comma che applica una pena
raddoppiata rispetto a quella prevista nei due commi precedenti nel caso di
realizzazione del fatto tipico di impedito controllo nell’ambito dell’attività di
revisione legale di enti di interesse pubblico.133
In altre parole, sarà punito con l’ammenda fino a centocinquantamila euro
l’amministratore che impedisce l’attività di revisione se da tale condotta non deriva
alcun danno ai soci o ai terzi. La pena imposta all’amministratore dell’ente di
interesse pubblico consisterà, invece, nell’ammenda fino a centocinquantamila euro e
nell’arresto fino a tre anni, qualora cagioni un danno ai soci o ai terzi.
Infine, l’ultimo comma aggiunge che per il reato di impedito controllo si
procede d’ufficio, diversamente da quanto avviene per l’ipotesi di cui all’art. 2625
c.c.134
132
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 612.
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 612.
134
L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 612.
133
36
4.4. Art. 30 – Compensi illegali
L’art. 30 d.lgs. n. 39/2010 dispone al primo comma che “il responsabile della
revisione legale e i componenti dell’organo di amministrazione, i soci, e i dipendenti
della società di revisione, che percepiscono, direttamente o indirettamente dalla
società assoggetta a revisione legale compensi in denaro o in altra forma, oltre quelli
legittimamente pattuiti, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa
da euro mille a euro centomila”.
Il secondo comma dell’articolo in commento prevede che “la stessa pena si
applica ai componenti dell’organo di amministrazione, ai dirigenti e ai liquidatori
della società assoggettata a revisione legale che hanno corrisposto il compenso non
dovuto”.
L’art. 30 d.lgs. n. 39/2010 regola l’ipotesi delittuosa di compensi illegali.
L’articolo riprende, con lievi modifiche di carattere formale, il reato di “compensi
illegali” già previsto dall’abrogato art. 178 T.U.F. e, prima ancora, dall’art. 16 d.p.r.
31 marzo 1975 n. 136 unitamente a quello di “prestiti e garanzie della società”.135
In questa nuova struttura, il delitto di compensi illegali configura uno
strumento di tutela avanzata rispetto alla fattispecie di cui agli artt. 27 secondo e terzo
comma e 28 secondo comma, con cui si pone in un rapporto di progressione
criminosa, in quanto in esso il compenso non dovuto non è ricollegabile ad alcuna
specifica condotta antidoverosa ed è invece punito in quanto tale, secondo una logica
di marcata tutela dell’indipendenza di giudizio dei revisori ed in ragione
dell’importanza della credibilità delle loro valutazioni.136
La ratio della norma è individuato nell’esigenza di garantire la trasparenza dei
rapporti esistenti tra la società di revisione e la società controllata e, quindi, di
tutelare l’imparzialità dell’attività di revisione della prima rispetto a qualsiasi forma
di retribuzione occulta della seconda nella quale potrebbe nascondersi “un illecito
135
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 661.
Con riferimento alla disciplina del vecchio T.U.F., vedi F. ANTOLISEI, op. cit., p. 584. L. DELLA RAGIONE, Art. 30 Compensi illegali, cit., p. 262-263.
136
37
patto sinallagmatico volto al compimento di atti contrari all’ufficio esplicato”. 137 Per
questo motivo la fattispecie è strutturata come reato di pericolo presunto 138, o meglio
come reato ostativo rispetto alla corruzione propria privata dei revisori, incriminando
anche le ipotesi in cui alla corresponsione del compenso non dovuto non segua
un’attività illecita da parte dei soggetti incaricati della revisione, ovvero quando la
medesima corresponsione non costituisca il corrispettivo di una revisione in qualche
modo “addomesticata”.139
A questo proposito, va precisato che il legislatore ha finalmente eliminato una
vistosa irrazionalità del sistema, riportando i limiti edittali a livelli congruenti con
quelli di altre norme incriminatrici rivolte ai revisori.140 Infatti, a seguito della c.d.
legge sulla tutela del risparmio (l. n. 262/2005), che aveva raddoppiato tutte le
sanzioni penali del T.U.F. introducendo allo stesso tempo gli artt. 174-bis e 174-ter, i
compensi illegali (così come gli illeciti rapporti patrimoniali con la società
assoggettata a revisione), finirono per essere puniti con la reclusione rispettivamente
da 1 a 6 anni e da 2 a 6 anni. Il risultato era illogico e suscettibile di censura di
illegittimità costituzionale ai sensi dell’art. 3 Costituzione141 per una chiara assenza di
ragionevolezza, dato che il pericolo di un’eventuale corruzione veniva sanzionato più
gravemente dell’effettiva violazione degli obblighi dell’ufficio conseguente ad un
137
S. SEMINARA, Sub art. 178 T.U.F., in G. F. CAMPOBASSO (a cura di), Testo unico della finanza, Torino, 2002, p. 1445;
G. PEDRAZZI, Mercati finanziari (nuova disciplina penale), in Digesto IV ed., Disc. Pen., Agg., Torino, 2000, p. 453.
138
In quanto sono criminalizzate condotte che rischiano di determinare una situazione di potenziale conflitto
d’interessi che può indurre il soggetto responsabile della revisione a non svolgere in modo corretto la propria
funzione. In tema, E. MUSCO, op. cit., p. 294; C. SANTORIELLO, Mercati finanziari (tutela penale), in Digesto IV ed.,
Disc. pen., Agg., Torino, 2008, p. 670.
Il reato di pericolo presunto si ha quando il pericolo è presunto dal legislatore nel momento in cui formula la
fattispecie penale incriminatrice.
139
F. MUCCIARELLI, La tutela penale dell’intermediazione e della trasparenza dei mercati, in Studium Iuris, 1998, p.
1302.
140
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 263
141
Art. 3 Cost.: 1. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 2. E’ compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.
38
accordo corruttivo (l’art. 174-ter, trasposto oggi nell’art. 28 secondo comma,
prevedeva infatti la reclusione da 1 a 5 anni).142
Quanto ai soggetti attivi, è necessario premettere che si tratta di un reato
proprio, che può essere commesso dal responsabile della revisione legale, dai
componenti dell’organo di amministrazione, dai soci e dai dipendenti della società di
revisione legale; alla stessa pena soggiacciono gli amministratori, i dirigenti e i
liquidatori della società sottoposta a revisione che abbiano corrisposto il compenso
illegale. Si configura, quindi, un reato necessariamente plurisoggettivo, cioè a
concorso necessario proprio, nel senso che si richiede la contemporanea presenza di
due soggetti (entrambi punibili) specularmente operanti: uno che corrisponde il
compenso illegale e l’altro che lo riceve. A fondamento di questa concezione è
possibile evidenziare l’analogia con le disposizioni codicistiche in materia di
corruzione143, tenuto conto della tecnica legislativa usata che estende al corruttore le
pene stabilite per il revisore contabile corrotto.144
La ratio della previsione di punibilità anche dei soci responsabili della
revisione si giustifica con l’esigenza di colpire i beneficiari dell’attività di revisione
contabile e con la necessità di scongiurare i comportamenti elusivi del divieto.145
L’indicazione espressa dei soggetti di “entrambi i lati”, cioè il fatto che sia
prevista la stessa pena per il corruttore e per il revisore, elimina il problema della
punibilità del concorrente necessario.146
La condotta consiste nella corresponsione e percezione, diretta o indiretta, di
compensi in denaro o in altre forme ulteriori rispetto a quelli legittimamente pattuiti,
cioè tutti i compensi non stabiliti dall’assemblea della società revisionata ai sensi
dell’art. 10 d.lgs. n. 39/2010.
142
Il problema era stato sollevato da S. SEMINARA, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del
risparmio, cit., p. 561; L. TROYER - A. INGRASSIA, op. cit., p. 615.
143
C. BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Padova, 2001, p. 524; M.
ROMANO, Commentario sistematico del codice penale (artt. 314 - 335-bis), Milano, 2006, p. 218. In tema di corruzione
in atti giudiziari, di recente, v. V. MAIELLO, La corruzione susseguente in atti giudiziari tra testo, contesto e sistema, in
Dir. pen. proc., 2010, p. 955 ss.
144
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 263.
145
C. SANTORIELLO, op. cit., p. 684.
146
F. ANTOLISEI, op. cit., p. 586.
39
Il termine “compenso” presuppone un generico rapporto di correlazione con
l’attività di revisione”.147 Compenso è ogni prestazione di denaro o altro beneficio
economicamente apprezzabile ed è ravvisabile anche nella concessione di prestiti o di
garanzie per “debiti propri”.148
L’art. 30 si applica ad ogni ipotesi di revisione contabile e, quindi, anche a
società non di pubblico interesse149; inoltre, esso riguarda i casi in cui i compensi
siano provenienti dalla società assoggettata a revisione e quindi non dalle “tasche” di
persone fisiche, siano essi soggetti terzi o i componenti dell’organo di
amministrazione, i dirigenti o i liquidatori della società assoggettata alla revisione
legale.150
Il reato si consuma con l’effettiva corresponsione del compenso ulteriore
rispetto a quello legittimamente pattuito e nel momento in cui il destinatario ottiene il
beneficio. Quindi la promessa non seguita da dazione del compenso non integra
espressamente la norma, come può accadere nell’art. 28 secondo comma e come
accade nello schema della corruzione codicistica.
Ai fini del perfezionamento del reato, non è richiesta la violazione degli
obblighi dell’ufficio da parte del responsabile della revisione legale e degli altri
soggetti indicati, risultando sufficiente che quest’ultimi percepiscano compensi
eccedenti quelli pattuiti legittimamente, cioè sulla base delle scansioni procedurali
previste dagli artt. 10 e 13 del d.lgs. n. 39/2010. Tali disposizioni prevedono che la
deliberazione del corrispettivo è affidata all’assemblea che, “su proposta motivata
dell’organo di controllo, conferisce l’incarico di revisione legale dei conti” e
“determina il corrispettivo spettante al revisore legale o alla società di revisione
legale per l’intera durata dell’incarico e gli eventuali criteri per l’adeguamento di tale
corrispettivo durante l’incarico”.151
147
In tema, V. PLANTAMURA, I reati dei revisori, in A. MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova,
2010, p. 662.
148
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 264.
149
F. CENTONZE, La nuova disciplina penale della revisione legale dei conti, cit., p. 667.
150
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 264.
151
Art. 13 d.lgs. n. 39/2010.
40
Si considera, quindi, legittimamente pattuito il corrispettivo che, determinato
secondo le formalità appena richiamate ed accettato dalla società di revisione, non sia
stato “subordinato ad alcuna condizione”, non sia stato “stabilito in funzione dei
risultati della revisione”, né sia stato “fatto dipendere in alcun modo dalla prestazione
di servizi diversi dalla revisione alla società che conferisce l’incarico, alle sue
controllate e controllanti, da parte del revisore legale o della società di revisione
legale o della loro rete”.152 Il legittimo corrispettivo per l’incarico di revisione legale
è quello “determinato in modo da garantire la qualità e l’affidabilità dei lavori”.153
A questo scopo i soggetti incaricati della revisione legale sono obbligati a
determinare “le risorse professionali e le ore da impiegare nell’incarico avendo
riguardo: 1) alla dimensione, composizione e rischiosità delle più significative
grandezze patrimoniali, economiche e finanziarie del bilancio della società che
conferisce l’incarico, nonché ai profili di rischio connessi al processo di
consolidamento dei dati relativi alle società del gruppo; 2) alla preparazione tecnica e
all’esperienza che il lavoro di revisione richiede; 3) alla necessità di assicurare, oltre
all’esecuzione materiale delle verifiche, un’adeguata attività di supervisione e di
indirizzo”, nel rispetto dei principi di revisione.154
Come si desume chiaramente dalla lettera della norma, i compensi in parola e
la loro percezione integrano la fattispecie delittuosa solo se esulano da quanto in
precedenza pattuito dalle due società: la norma dunque non fa riferimento alla
ragionevolezza del compenso, subordinando all’esorbitanza di quest’ultimo la
configurabilità del reato, ma ritiene sufficiente che il compenso effettivamente pagato
non rientri nei limiti di quello pattuito.155
La formulazione della norma mostra la volontà del legislatore di impedire
aggiramenti del divieto (ad esempio mediante fringe benefit in natura o estinzione dei
152
Art. 10 nono comma d.lgs. n. 39/2010.
Art. 10 decimo comma d.lgs. n. 39/2010.
154
Art. 10 decimo comma d.lgs. n. 39/2010.
155
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 265.
153
41
debiti). Viene presa in considerazione anche l’ipotesi di incarichi professionali che
nascondano nella realtà una ricezione di favori dai soggetti qualificati.156
L’avverbio “indirettamente” impone di ritenere esistente il reato anche nel caso
in cui l’indebito compenso sia corrisposto alla società di revisione, quando si rifletta
in un vantaggio per il soggetto qualificato.157
Nessuna
particolare
difficoltà
presenta
l’individuazione
dell’elemento
soggettivo del reato in commento: il delitto è punito a titolo di dolo generico158, il
quale, però, oltre alla coscienza e volontà di percepire o corrispondere compensi
ulteriori rispetto a quelli pattuiti, deve includere anche la consapevolezza della
qualifica soggettiva, nonché dell’illegalità delle somme ricevute.159 Quindi, l’errore
sull’illegalità del compenso rappresenta un “classico” errore sulla legge extra penale,
che però cade sul fatto costitutivo del reato e quindi, ex art. 47 terzo comma c.p.160,
esclude la punibilità.161
Un problema di sovrapposizione tra l’art. 28 secondo comma e l’art. 30162 si
pone nei casi in cui uno dei soggetti attivi previsti dalle due fattispecie abbia
effettivamente violato gli obblighi riguardanti il proprio ufficio a seguito di un
accordo corruttivo con gli esponenti della società sottoposta a revisione, consistente
nel pagamento, mediante un qualche stratagemma, di un compenso superiore a quello
legittimamente pattuito. In tali casi, ci si troverebbe di fronte ad un concorso
apparente di norme163: l’espressione contenuta nell’art. 28 secondo comma, “fuori dai
casi previsti dall’art. 30”, è certamente indice della chiara volontà del legislatore di
evitare un concorso tra le due fattispecie. Considerato poi che la norma sui compensi
illeciti offre una tutela avanzata rispetto alla corruzione dei revisori e all’effettiva
156
F. ANTOLISEI, op. cit., p. 585.
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 265.
158
C. SANTORIELLO, op. cit., p. 685.
159
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 265.
160
Art. 47 terzo comma c.p.: ”L’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha
cagionato un errore sul fatto che costituisce reato”.
161
C. FIORE - S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2008, p. 274 ss.
162
I quali secondo attenta dottrina (in relazione alla vecchia formulazione L. FOFFANI, Art. 178 T.U.F., in C. F. PALAZZO
- C. E. PALIERO (a cura di), op. cit., p. 710) si troverebbero in rapporto di specialità bilaterale o reciproca.
163
Il concorso apparente di norme si ha quando una medesima condotta integra, apparentemente, più fattispecie
astratte di reato. Tuttavia, sulla base di un’analisi delle medesime fattispecie astratte o delle modalità concrete di
realizzazione dei reati, solo una delle norme risulta quella applicabile al caso concreto.
157
42
violazione degli obblighi inerenti all’ufficio, in tali casi si dovrebbe applicare l’art. 28
secondo comma che, tra l’altro, prevede anche una pena edittale superiore e, quindi,
assorbente l’intero disvalore del fatto di reato.164
164
L. DELLA RAGIONE, op. cit., p. 266.
43
4.5. Art. 31 – Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata
a revisione
L’ultima fattispecie delittuosa è contenuta nell’art. 31 d.lgs. n. 39/2010165 e
disciplina gli illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione.
L’articolo in commento trasferisce nel d.lgs. n. 39/2010 il reato di “illeciti rapporti
patrimoniali con la società assoggettata a revisione”, previsto dall’abrogato art. 177
T.U.F. e prima ancora contenuto nell’art. 16 primo comma d.p.r. 31 marzo 1975 n.
136, il quale, a sua volta, richiamava per le società di revisione contabile la
formulazione del previgente art. 2624 c.c., che vietava e sanzionava la concessione di
prestiti e garanzie da parte della società ed in favore di amministratori, direttori
generali, sindaci e liquidatori.
Gli autori dell’art. 6 legge n. 660 del 1931, da cui la disposizione in esame
deriva, indicarono come ratio l’esigenza di evitare ogni tipo di operazione compiuta
con denaro o con la garanzia della società a vantaggio personale dei titolari dei poteri
di gestione o controllo sulla medesima.
Considerando solo il rapporto dei revisori con la società controllata, è possibile
affermare che la formulazione della legge va al di là di tali intenzioni, in quanto
proibendo ogni genere di prestito o di garanzia senza imporre alcuna indagine sulla
concreta consistenza delle condizioni economiche, trascura il requisito della presenza
di un danno (o di un concreto pericolo) patrimoniale per la società e punisce anche
comportamenti che si siano rivelati vantaggiosi per l’ente; in questo modo si è
tutelato non tanto il patrimonio della società assoggettata a controllo ma il rispetto
scrupoloso delle forme, in relazione all’esigenza di evitare situazioni poco chiare. 166
Il bene giuridico tutelato dalla disposizione in oggetto è la trasparenza e
l’assoluta imparzialità dell’esercizio delle funzioni di revisione contabile,
165
1. Gli amministratori, i soci responsabili della revisione legale e i dipendenti della società di revisione che
contraggono prestiti, sotto qualsiasi forma, sia direttamente che per interposta persona, con la società assoggettata a
revisione o con una società che la controllo o ne è controllata, o si fanno prestare da una di tali società garanzie per
debiti propri, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 206 e euro 2065.
166
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 266.
44
potenzialmente messe in crisi quando esistono incerti e sospetti rapporti di tipo
patrimoniale fra la società assoggettata alla revisione ed i membri della società che
opera il controllo, tali da alterare o condizionare lo svolgimento della revisione. 167 A
questo scopo, consapevoli che dubbi circa tale indipendenza possono sorgere quando
esistono rapporti di tipo patrimoniale fra la società assoggettata a revisione ed i
membri della società che svolgono la revisione, si è deciso di impedire ogni rapporto
di tipo economico fra i membri delle società stesse.168
Il delitto di cui all’art. 31 ha natura di reato di pericolo presunto (cioè di
sospetto), nel quale cioè vi è una presunzione di lesione patrimoniale dovuta a
situazioni poco chiare, in grado di creare incertezze e sospetti sulla condotta sia delle
società controllate sia di coloro ai quali è affidato il controllo della gestione di beni
altrui.169
Si tratta di un reato proprio, che può essere integrato esclusivamente dalla
condotta degli amministratori, dei soci responsabili della revisione legale e dei
dipendenti della società di revisione. Si è così di fronte ad una vasta gamma di figure
diretta a comprendere tutte le possibili funzioni che possano svolgere concretamente
un ruolo nell’attività di revisione.170
Il fatto tipico può essere integrato da due tipi di condotta: a) contrarre prestiti,
sotto qualsiasi forma, direttamente o per interposta persona, nei confronti della
società soggetta a revisione o di sue controllate; b) farsi prestare garanzia per debiti
propri dalla stessa società o da una sua controllata.
Trattandosi di un reato di pericolo presunto, il divieto formulato
nell’esposizione è assoluto, non essendo necessaria una valutazione circa la lesività
167
A. PERINI, Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, in AA. VV. La legge Draghi e le
società quotate in borsa, (a cura di) G. COTTINO, Torino, 1999, p. 400.
168
C. PEDRAZZI, Società commerciali (disciplina penale), in Digesto IV ed., Disc. pen., XIII, Torino, 2000, p. 392; S.
SEMINARA, Sub art. 177, in G. F. CAMPOBASSO (a cura di), op. cit., p. 1443; A. DI AMATO, Diritto penale dell’impresa,
Milano, 2006, p. 375; L. FOFFANI, Art. 178 T.U.F., cit., p. 708.
169
C. SANTORIELLO, op. cit., p. 669; V. PLANTAMURA, op. cit., p. 659.
170
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 267-268.
45
del comportamento del soggetto attivo, il quale può rispondere del reato anche se non
ha commesso alcuna irregolarità nell’esercizio delle sue funzioni.171
Il prestito può avvenire “sotto qualsiasi forma”. Si deve, quindi, fare
riferimento ad un’accezione molto ampia del termine, che comprende ogni rapporto
giuridico che preveda una percezione di beni o di denaro con l’obbligo di restituirli in
natura o per equivalente, potendo quindi trattarsi di mutuo, anticipazione o apertura
di credito o anche di comodato o costituzione a titolo gratuito di un diritto di
usufrutto, uso o abitazione.172
Con riferimento al contratto di leasing finanziario, si deve distinguere tra le
due forme in cui esso si presenta. Nella prima l’impiego del bene da parte
dell’utilizzatore, dietro versamento dei canoni, s’inquadra, secondo la volontà delle
parti, in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata
del contratto, conforme alla potenzialità economica del bene stesso. In tal caso, i
canoni rappresentano il corrispettivo di tale godimento, con conseguente emersione
della funzione di finanziamento che fa scattare l’operatività dell’art. 31. Quest’ultima
non rientra, invece, nella seconda ipotesi, quando le parti prevedono che il bene,
avuto riguardo alla sua natura, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un
valore residuo apprezzabile per l’utilizzatore, quindi il trasferimento del bene
all’utilizzatore rientra nella funzione, assegnata dalle parti al contratto, assimilabile,
sotto tale profilo, alla vendita con riserva di proprietà.173
In definitiva, occorre guardare alla sostanza del trasferimento della
disponibilità di denaro o di beni piuttosto che allo schema negoziale con cui tale
trasferimento sia stato compiuto.174
Per questo motivo non importa se il prestito sia concesso direttamente in favore
dei soggetti qualificati o di persona interposta, formula quest’ultima che comprende
171
E. MUSCO, op. cit., p. 376.
S. SEMINARA, Sub art. 177, cit., p. 1444.
173
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 268. La
vendita con riserva di proprietà (c.d. vendita con patto di riservato dominio) è un particolare tipo di contratto, con il
quale un acquirente entra in possesso del bene ma non ne acquisisce la proprietà, che rimane al venditore fino a
quando l’acquirente non ha provveduto al pagamento dell’intero prezzo inizialmente pattuito con il venditore. Tale
tipo di contratto è disciplinato dall’art. 1523 c.c.
174
F. ANTOLISEI, op. cit., p. 581.
172
46
sia l’interposizione fittizia175 che quella reale176. E’ decisiva la circostanza che gli
effetti dell’operazione ricadano sul patrimonio della società soggetta a revisione.177
L’espressione “si fanno prestare” non indica la necessità che sia stata posta in
essere una particolare attività di pressione o sollecitazione. Non è neppure richiesto
che l’iniziativa sia del soggetto qualificato, ma è sufficiente la sua accettazione.178
Anche la nozione di garanzia, rilevante solo se riguardante “debiti propri”, va
intesa in senso ampio, comprensiva sia delle tipiche garanzie reali e personali sia di
quelle garanzie dissimulate sotto diverse forme negoziali179, con le quali la società si
obbliga ad intervenire nel caso di insolvenza per debiti dei soggetti attivi del reato. E’
poi indifferente che il prestito o la garanzia siano concessi dalla società assoggettata
alla revisione o da una società controllata o controllante.180
Il reato si consuma con il perfezionamento del prestito o con la concessione
della garanzia, quando quindi sono astrattamente presenti tutti i requisiti per produrre
gli effetti che gli sono attribuiti dalla legge e indipendentemente dalla validità e dalle
sorti del negozio relativo, nonché dalla produzione di un danno o di un pericolo per
gli interessi patrimoniali della società concedente. Non si presentano ostacoli alla
configurazione del tentativo.181
Il delitto è aggravato ex art. 32 d.lgs. n. 39/2010 qualora abbia arrecato un
danno di rilevante gravità alla società di revisione legale o alla società assoggettata a
revisione. Il danno sopportato dalla società deve essere di natura esclusivamente
175
L’interposizione fittizia consiste nell’attribuzione della qualità di parte ad un soggetto estraneo al negozio che si
stipula. L’interposto si limita a prestare il proprio nome mentre titolare del rapporto giuridico è un soggetto diverso. E’
il caso di chi, non volendo, per motivi fiscali, apparire acquirente di un immobile, si accordi con il venditore per far
apparire che l’acquisto è stato fatto da un terzo.
176
L’interposizione reale si realizza quando una persona agisce per conto di un’altra ma in nome proprio, divenendo
pertanto titolare in proprio del rapporto conseguente al contratto stipulato. Ne deriva che l’interposto, stipulando in
prima persona il contratto, è parte sia in senso formale sia in senso sostanziale dello stesso. L’accordo tra interposto e
interponente ha per oggetto l’obbligo di ritrasferimento all’interponente dei diritti acquistati dal contratto.
La differenza tra interposizione fittizia e reale consiste nel fatto che nell’interposizione reale il trasferimento è
realmente voluto dalle parti come produttivo di effetti e non esiste un accordo simulatorio volto a svuotare di valenza
questi effetti.
177
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 268.
178
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 268.
179
Nel termine garanzia si ricomprendono quindi l’avallo cambiario, la fideiussione, la costituzione di pegno o ipoteca,
nonché la prestazione di garanzia dissimulata come la vendita con patto di riservato dominio che nasconda un prestito
su pegno. Cfr. C. PEDRAZZI, Società commerciali (disciplina penale), cit., p. 391; L. FOFFANI, Art. 178 T.U.F., cit., p. 708.
180
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 268.
181
F. ANTOLISEI, op. cit., p. 583.
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patrimoniale: non ricorre l’aggravante in oggetto quando il danno derivi dal
discredito commerciale conseguente alla messa in essere di operazioni come quelle
descritte dall’articolo in commento.182
L’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico, cioè dalla coscienza e
volontà di contrarre il prestito o di ottenere la garanzia e, trattandosi di un pericolo
presunto, è irrilevante la volontà di onorare il prestito o di non avvalersi della
garanzia o anche il convincimento di stipulare un negozio vantaggioso per la società
concedente. Non si può, quindi, esigere la consapevolezza del pericolo per gli
interessi sociali, ma occorre la coscienza dell’irregolarità dell’operazione e la volontà
di mantenere quel comportamento; ciò comporta, però, che la mancanza di
conoscenza, in capo al revisore, del rapporto controllata/controllante (o viceversa), tra
la società soggetta a revisione e la società che gli ha concesso il prestito, o prestato la
garanzia, esclude il dolo.183
Come già accennato, non c’è motivo di escludere la responsabilità penale della
persona eventualmente interposta, tranne nel caso in cui, in capo alla stessa, manchi
la consapevolezza del rapporto di controllo, esistente tra l’effettivo destinatario dei
benefici patrimoniali del prestito ed il soggetto concedente il prestito medesimo. 184
Rispetto alle disposizioni di cui agli artt. 27 secondo e terzo comma e art. 28
secondo comma, la fattispecie in esame si presenta all’interno di un rapporto di
progressione criminosa, mancando in essa la necessità di una specifica falsa
attestazione o violazione di obblighi.185
182
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 269.
V. PLANTAMURA, op. cit., p. 661.
184
L. DELLA RAGIONE, Art. 31 - Illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione, cit., p. 269.
185
Sulla stessa linea, con riferimento al rapporto tra l’abrogato art. 177 T.U.F. e gli artt. 174-bis e 174-ter, F.
ANTOLISEI, op. cit., p. 584.
183
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