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Canto XXIV - Edu.lascuola
p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 10.59 Pagina 211 Canto XXIV Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia Peccatori Ladri Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subiscono mostruose metamorfosi Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come i serpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubati del loro stesso corpo Dante incontra Vanni Fucci ■ Sequenze narrative ® vv 1-21 TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO Nel vedere il maestro turbato, anche Dante si sconforta, ma poi si rianima quando, vicino alla frana del ponte, il volto di Virgilio ritorna sereno. È una sensazione simile a quella del pastore che, dopo essersi abbattuto nel vedere al mattino i campi coperti di brina, pensando che sia nevicato durante la notte, si riprende quando la brina si scioglie e i campi ritornano a verdeggiare. ® vv 22-63 Inferno, XXIV, 91-96, miniatura ferrarese, Ms. Urb. Lat. 365, f. 63 v. Roma, Biblioteca Vaticana. VERSO LA SETTIMA BOLGIA La salita lungo la frana è faticosa e Virgilio aiuta amorevolmente il discepolo, giungendo infine sull’argine della settima bolgia; i due poeti salgono quindi sul ponticello che la sovrasta. ® vv 64-96 LA BOLGIA DEI LADRI Dal ponte non è però possibile vedere il fondo del fossato né distinguere le voci che vi si levano; per questo i due si spostano verso l’argine successivo, da cui la bolgia appare in tutto il suo orrore. Questa è completamente ricoperta di serpenti di ogni tipo, in mezzo a cui corrono nudi i dannati, con le mani legate con serpi dietro alla schiena.Vengono qui puniti i ladri, che, per uno degli aspetti del contrappasso, non possono ora usare le mani che servirono loro in vita per rubare. ® vv 97-151 VANNI FUCCI Un serpentello trafigge alla nuca un dannato, che subito incenerisce, ma immediatamente riprende forma umana, come la mitica Araba Fenice, che ogni cinquecento anni brucia e subito risorge, rinnovata, dalle proprie ceneri. Alla domanda di Virgilio, il dannato risponde di essere il pistoiese Vanni Fucci, che Dante ebbe modo di conoscere in vita come uomo violento e sanguinario. Per questo infatti il poeta si meraviglia di vederlo punito tra i ladri. Vanni Fucci confessa allora di trovarsi in questa bolgia a causa di un furto sacrilego, del quale erano stati ingiustamente incolpati altri. Infuriato per essere stato smascherato da Dante, gli predice per dispetto le prossime sconfitte dei Bianchi* pistoiesi e fiorentini. 211 p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 212 Inferno C ant o XXI V ■ Temi e motivi L’ardua impresa di Dante Come si era già verificato nel canto XXI, aperto dal paragone tra la bolgia dei barattieri e l’arzanà de’ Viniziani, e come si ripeterà ancora nel canto XXX, anche in questa occasione l’esordio è affidato ad un’ampia similitudine*, secondo l’uso retorico medievale. Si tratta di un quadro campestre di raffinata fattura letteraria – che annuncia la sfida con i poeti classici esplicitamente dichiarata nel canto successivo (Inf. XXV, 94-99) –, ma non fine a se stesso, in quanto la ripresa di fiducia del villanello allo sciogliersi della brina scambiata in un primo momento per neve, cosa che gli avrebbe impedito di condurre il gregge al pascolo, è assimilata al mutare dello stato d’animo di Dante, prima turbato nel vedere Virgilio accusare il colpo delle parole beffarde di Catalano*, rivelatrici dell’inganno di Malacoda*, poi riconfortato dallo stesso maestro, rientrato prontamente nel ruolo di guida esperta e sicura che gli compete. Dopo la similitudine iniziale, intessuta di precisi echi di Virgilio*, di Stazio* e di Lucano*, il confronto con i poeti classici (i gran savi evocati al v. 106), assunto come tecnica portante per questo canto e per il successivo, prosegue attraverso la descrizione del terribile ambiente infestato di rettili, in cui la precisione realistica (di ordine geografico e zoologico) si fonde con il fascino del favoloso e dello strano (riferimenti ad animali mitici come l’Araba Fenice*), e della prima metamorfosi di un dannato, che subito dopo si presenterà come il pistoiese Vanni Fucci*. La sfida è rivolta in particolare a Lucano, che nella Farsaglia aveva descritto gli orrori del deserto libico, e a Ovidio*, poeta delle Metamorfosi, che Dante non si accontenta di imitare, ma cerca anche di superare quanto a tecnica descrittiva, come risulterà evidente nel canto successivo (Inf. XXV, 94-97). Vanni Fucci Al centro dell’episodio (tra la fine del canto XXIV e l’inizio del canto XXV) si colloca l’incontro con l’individuo che incarna il peccato nel modo più empio e bestiale: il pistoiese Vanni Fucci*, guelfo di parte Nera*, ladro e omicida, uno dei grandi protagonisti delle lotte interne alla propria città. Con una protervia superiore a quella dello stesso Capaneo* (cfr. Inf. XIV), il peccatore confessa compiaciuto i propri reati e, vedendosi scoperto tra i ladri a causa del furto sacrilego alla cappella di S. Iacopo nel duomo di Pistoia (di cui furono ingiustamente incolpati altri), sfoga la propria rabbia predicendo la rovina dei Bianchi* e dello stesso Dante, con la precisa volontà di ferirlo (v. 151). Su questa vendicativa affermazione termina il canto, ma la scena continuerà in quello successivo, che si aprirà con il gesto osceno rivolto dal peccatore a Dio in segno di sfida, che si rivelerà tanto blasfemo e arrogante quanto vano, destinato ad essere immediatamente stroncato dalla divina giustizia. 3 In quella parte del giovanetto anno che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra e già le notti al mezzo dì sen vanno, 6 quando la brina in su la terra assempra l’imagine di sua sorella bianca, ma poco dura a la sua penna tempra, 9 lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna biancheggiar tutta; ond’ei si batte l’anca, 212 ® vv 1-21 TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO Nel periodo (parte) iniziale (giovanetto) dell’anno in cui il sole rende più tiepidi (tempra) i propri raggi (crin) nella costellazione (sotto) dell’Acquario e le notti già si avviano (sen vanno) a durare la metà del giorno (al mezzo dì), quando la brina riproduce (assempra) sulla (in su) terra l’immagine della neve (sua sorella bianca), ma la tempera (tempra) della sua penna (con cui la brina riproduce la neve) dura poco, il pastorello (villanello) che non ha foraggio per le pecore (a cui la roba manca), si alza, guarda e vede tutta la campagna biancheggiare; per cui egli (ond’ei) si rammarica (si batte l’anca), p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 213 Canto XXI V Inferno 12 ritorna in casa, e qua e là si lagna, come ’l tapin che non sa che si faccia; poi riede, e la speranza ringavagna, rientra in casa e ogni tanto (qua e là) si lamenta (si lagna), come un poveretto (’l tapin) che non sa che fare (per rimediare qualcosa) (che si faccia); poi esce di nuovo (riede) e riguadagna (ringavagna) la speranza, 15 veggendo ’l mondo aver cangiata faccia in poco d’ora, e prende suo vincastro e fuor le pecorelle a pascer caccia. nel vedere (veggendo) la terra (mondo) aver cambiato (cangiata) aspetto (faccia) in poco tempo (in poco d’ora), e prende il suo bastone (vincastro) e spinge (caccia) fuori le pecorelle a pascolare (pascer). 18 Così mi fece sbigottir lo mastro quand’io li vidi sì turbar la fronte, e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro; Allo stesso modo mi fece stupire (sbigottir) il maestro quando lo vidi corrucciare (turbar) la fronte e altrettanto rapidamente (così tosto) giunse il rimedio (lo ’mpiastro) allo sconforto (mal); 21 ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio dolce ch’io vidi prima a piè del monte. dal momento che (ché), appena giungemmo al ponte franato (guasto), la guida si rivolse a me con quell’espressione (piglio) dolce che avevo visto la prima volta ai piedi (a piè) del colle (nella selva oscura). 24 Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima ben la ruina, e diedemi di piglio. 27 E come quei ch’adopera ed estima, che sempre par che ’nnanzi si proveggia, così, levando me sù ver’ la cima Aprì le braccia e, valutata (eletto) tra sé (seco) la scelta migliore (alcun consiglio) dopo aver osservato bene (riguardando… ben) le condizioni della frana (ruina), mi afferrò (diedemi di piglio) (per aiutarmi a salire). E come colui che agisce (adopera) e allo stesso tempo riflette (sul da farsi) (estima), in modo che sembra (par) sempre provvedere (si proveggia) in anticipo all’azione successiva (’nnanzi), così, spingendomi (levando me sù) verso (ver’) l’estremità (cima) 30 d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa; ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia». di un masso (ronchione), adocchiava (avvisava) un’altra sporgenza rocciosa (scheggia) dicendo: «Aggrappati poi a (Sovra) quella; ma prima (pria) prova (tenta) se essa è in grado (s’è tal) di reggerti (ti reggia)». 33 Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, potavam sù montar di chiappa in chiappa. 36 E se non fosse che da quel precinto più che da l’altro era la costa corta, non so di lui, ma io sarei ben vinto. Non era un cammino (via) adatto a chi indossa vestiti ampi e pesanti (da vestito di cappa), poiché a malapena (a pena) noi, Virgilio (ei) leggero (lieve, in quanto spirito) ed io sospinto da lui, potevamo salire (sù montar) da un masso all’altro (di chiappa in chiappa). E se il pendio (costa) da quella parte dell’argine (da quel precinto) non fosse stato più corto dell’altro, non so Virgilio (di lui), ma di sicuro (ben) io sarei stato sopraffatto dalla fatica (vinto). 39 Ma perché Malebolge inver’ la porta del bassissimo pozzo tutta pende, lo sito di ciascuna valle porta Ma poiché Malebolge declina (pende) sensibilmente (tutta) verso (inver’) l’apertura (porta) del pozzo più basso (bassissimo), la conformazione (sito) di ciascuna bolgia (valle) è tale (porta) 42 che l’una costa surge e l’altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta onde l’ultima pietra si scoscende. che un argine (l’una costa) è più alto (surge) e l’altro più basso (scende); noi raggiungemmo finalmente (al fine) la sommità dell’argine (punta) da cui (onde) sporge (si scoscende) l’ultimo masso del ponte crollato. 45 La lena m’era del polmon sì munta quand’io fui sù, ch’i’ non potea più oltre, anzi m’assisi ne la prima giunta. Quando fui in cima (sù), il fiato (lena) mi era stato spremuto (munta) dai polmoni a tal punto (sì) che io non ero più in grado di procedere (non potea più oltre), e così (anzi) appena arrivato (ne la prima giunta) mi misi a sedere (m’assisi). ® vv 22-63 VERSO LA SETTIMA BOLGIA 213 p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 214 Inferno C ant o XXI V 48 «Omai convien che tu così ti spoltre», disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma, in fama non si vien, né sotto coltre; «Ormai è necessario (convien) che tu ti liberi dalla pigrizia (ti spoltre) con simili sforzi (così)», disse il maestro; «perché adagiandoti sulle piume (seggendo in piuma) o stando a letto (sotto coltre) non si raggiunge (non si vien) la fama; 51 sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, qual fummo in aere e in acqua la schiuma. chi spreca (consuma) la propria vita senza la fama (la qual), lascia in terra la stessa (cotal) traccia (vestigio) di sé che (qual) lascia il fumo (fummo) nell’aria o la schiuma nell’acqua. 54 E però leva sù; vinci l’ambascia con l’animo che vince ogne battaglia, se col suo grave corpo non s’accascia. Perciò (però) alzati (leva sù); supera (vinci) la fatica (l’ambascia) con la forza di volontà (l’animo) che vince ogni difficoltà (battaglia), se non si lascia abbattere (s’accascia) a causa del peso del corpo (col suo grave corpo). 57 Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia». 60 Leva’mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch’i’ non mi sentia, e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito». È necessario (convien) salire (che si saglia) una scala [la salita alla cima del Purgatorio] ancora più lunga; non è sufficiente (non basta) esserti allontanato (partito) dai peccatori (costoro). Se ben comprendi il senso delle mie parole (Se tu m’intendi), fa dunque (or) in modo (fa sì) che ti giovi (ti vaglia)». Allora mi alzai in piedi (Leva’mi), mostrandomi dotato (fornito) di forza (lena) maggiore (meglio) di quanto realmente non mi sentissi (ch’i’ non mi sentia), e dissi: «Va pure, che ora io sono forte e coraggioso (ardito)». 63 Su per lo scoglio prendemmo la via, ch’era ronchioso, stretto e malagevole, ed erto più assai che quel di pria. Ci incamminammo (prendemmo la via) lungo (Su per) il ponte (scoglio), che era pieno di sporgenze rocciose (ronchioso), stretto e malagevole, e assai più ripido (erto) di quello precedente (quel di pria). 66 Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l’altro fosso, a parole formar disconvenevole. 69 Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso fossi de l’arco già che varca quivi; ma chi parlava ad ire parea mosso. Avanzavo (andava) parlando per non sembrare (parer) stanco (fievole); per cui (per il fatto che parlavo) (onde) dall’altra bolgia (fosso) si levò (uscì) una voce, incapace (disconvenevole) di articolare (formar) parole comprensibili. Non so che cosa disse, benché (ancor che) fossi già sulla sommità (sovra ’l dosso) dell’arco che in quel punto (quivi) sormonta la bolgia (varca); ma chi parlava sembrava sollecitato (mosso) a camminare (ad ire). 72 Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi Io ero rivolto (vòlto) verso il basso, ma gli occhi, appartenenti a un vivo (vivi), non potevano (poteano) giungere (ire) fino al fondo della bolgia a causa (per) dell’oscurità (lo scuro); per cui dissi: «Maestro, fa in modo di arrivare (fa che tu arrivi) 75 da l’altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com’i’ odo quinci e non intendo, così giù veggio e neente affiguro». sull’argine successivo (cinghio) e vediamo di scendere (dismontiam) il ponte (muro); perché di qui (quinci), così come odo e non intendo (intendo), guardo (veggio) giù ma non distinguo (affiguro) nulla (neente)». 78 «Altra risposta», disse, «non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta si de’ seguir con l’opera tacendo». «Non ti do (rendo) altra risposta», disse, «se non l’agire (lo far); poiché la richiesta (dimanda) legittima (onesta) si deve (si de’) soddisfare con l’azione (con l’opera) senza parlare (tacendo)». 81 Noi discendemmo il ponte da la testa dove s’aggiugne con l’ottava ripa, e poi mi fu la bolgia manifesta: Scendemmo il ponte fino all’estremità (testa) in cui si congiunge (s’aggiugne) con l’argine dell’ottava bolgia (ripa), e quindi mi fu possibile distinguere (mi fu… manifesta) la bolgia: 214 ® vv 64-96 LA BOLGIA DEI LADRI p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 215 Canto XXI V Inferno 84 e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa. dentro vi vidi (vidivi) una terribile moltitudine (stipa) di serpenti, e di così orribile (sì diversa) natura (mena) che il ricordo (memoria) ancora mi guasta (scipa) il sangue. 87 Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree produce, e cencri con anfisibena, Non si vanti più la Libia col suo deserto sabbioso (rena); poiché se essa produce chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfisibene, 90 né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l’Etïopia né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. non mostrò mai, insieme all’Etiopia e alle terre a nord del Mar Rosso (ciò che di sopra al Mar Rosso èe), tanti serpenti velenosi (tante pestilenzie) e tanto nocivi (ree). 93 Tra questa cruda e tristissima copia corrëan genti nude e spaventate, sanza sperar pertugio o elitropia: In mezzo (Tra) a quella crudele (cruda) e malvagia (tristissima) abbondanza di rettili (copia) correvano (corrëan) dannati (genti) nudi e spaventati, senza speranza di trovare ripari (pertugio) o pietre miracolose (contro il morso dei serpenti) (elitropia): 96 con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. avevano le mani legate dietro la schiena con serpi; e queste spingevano (ficcavan) il capo e la coda lungo le reni dei dannati (per le ren), e si andavano ad attorcigliare sul ventre (ed eran dinanzi aggroppate). 99 Ed ecco a un ch’era da nostra proda, s’avventò un serpente che ’l trafisse là dove ’l collo a le spalle s’annoda. 102 Né O sì tosto mai né I si scrisse, com’el s’accese e arse, e cener tutto convenne che cascando divenisse; 105 e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa e ’n quel medesmo ritornò di butto. e subito dopo (poi che) essersi completamente incenerito (sì distrutto) a terra, la cenere (polver) si radunò (si raccolse) da sola (per sé stessa) e riprese immediatamente (di butto) l’originaria forma umana (’n quel medesmo). 108 Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; Allo stesso modo dai poeti e dai sapienti (per li gran savi) è attestato (si confessa) che l’araba fenice muore (more) e subito dopo (poi) rinasce, quando si avvicina (appressa) al compimento del cinquecentesimo anno di vita; 111 erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, e nardo e mirra son l’ultime fasce. per vivere non si ciba (non pasce) di erbe e di biade (biado), ma solo di gocce (lagrime) di incenso e di amomo, e il suo nido di morte (l’ultime fasce) è imbevuto (son) di nardo e di mirra. 114 E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch’a terra il tira, o d’altra oppilazion che lega l’omo, 117 quando si leva, che ’ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia ch’elli ha sofferta, e guardando sospira: E come colui (l’indemoniato o l’epilettico) che stramazza al suolo senza rendersene conto (e non sa como), a causa (per forza) di un demonio che lo trascina (tira) a terra, o di un’altra ostruzione (oppilazion) che gli blocca le funzioni fisiologiche (che lega l’omo), e quando si rialza (si leva) si guarda (si mira) intorno ancora frastornato (tutto smarrito) per la grave crisi (de la grande angoscia) che ha subito (sofferta), e guardando intorno sospira; ® vv 97-151 VANNI FUCCI All’improvviso (Ed ecco) contro un dannato (un), che si trovava presso l’argine su cui eravamo noi (ch’era da nostra proda), si avventò un serpente che lo trafisse nel punto in cui (là dove) il collo si congiunge (s’annoda) alle spalle. Non si scrisse mai così rapidamente (sì tosto) O o I come quegli (el) prese fuoco (s’accese) e bruciò (arse) e fatalmente (convenne che) cadendo a terra (cascando) incenerì (cener… divenisse); 215 p211-216_inferno-integr_p211-216_inferno-integr 20/10/11 11.00 Pagina 216 Inferno C ant o XXI V 120 tal era ’l peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant’è severa, che cotai colpi per vendetta croscia! tale era il dannato (peccator) dopo essersi rialzato (levato poscia). Quanto è severa la potenza di Dio, che vibra (croscia) colpi così forti (cotai) come giusta punizione (vendetta)! 123 Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fiera. Allora (poi) la mia guida gli (il) chiese chi fosse; per cui egli rispose: «Dalla Toscana precipitai (piovvi), poco tempo fa, in questa bolgia (valle) crudele (fiera). 126 Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana». Mi piacque condurre una vita più da bestia che da uomo, degna di quel bastardo (sì come a mul) che sono stato; sono Vanni Fucci detto bestia, e Pistoia fu la mia degna tana». 129 E ïo al duca: «Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù ’l pinse; ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci». Ed io al maestro: «Digli (Dilli) che non cerchi di scappare (non mucci), e chiedigli quale colpa lo (’l) fece sprofondare (pinse) in questa bolgia (qua giù); perché io lo conobbi (vidi) come uomo sanguinario (omo di sangue) e rissoso (di crucci)». 132 E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, ma drizzò verso me l’animo e ’l volto, e di trista vergogna si dipinse; E il peccatore, che udì le mie parole (’ntese), non cercò di fingere (non s’infinse), ma rivolse (drizzò) verso di me il volto e l’animo, e arrossì (si dipinse) di vergogna irosa (trista vergogna); 135 poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto ne la miseria dove tu mi vedi, che quando fui de l’altra vita tolto. poi disse: «Mi addolora (duol) di più il fatto che tu mi abbia colto nella miserabile condizione (miseria) in cui mi vedi, che non il momento (quando) in cui sono stato costretto a lasciare la vita terrena (fui de l’altra vita tolto). 138 Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch’io fui ladro a la sagrestia d’i belli arredi, Non posso negarti ciò che mi chiedi; sono collocato (messo) più in basso (di quanto credevi) nell’Inferno (in giù... tanto) per il fatto che rubai (fui ladro) il tesoro (belli arredi) di una sacrestia, 141 e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da’ luoghi bui, e il furto venne erroneamente (falsamente) attribuito (apposto) a un altro (altrui). Ma affinché tu non gioisca (non godi) di vedermi qui (di tal vista), se mai uscirai (sarai di fuor) dall’oscurità infernale (da’ luoghi bui), 144 apri li orecchi al mio annunzio, e odi. Pistoia in pria d’i Neri si dimagra; poi Fiorenza rinova gente e modi. apri le orecchie alla mia profezia (annunzio), e ascolta bene. Dapprima (in pria) Pistoia si spopolerà (si dimagra) dei (d’i) Neri; poi sarà Firenze a dover cambare partito (rinova gente) e abitudini (modi). 147 Tragge Marte vapor di Val di Magra ch’è di torbidi nuvoli involuto; e con tempesta impetüosa e agra Marte sta già traendo (Tragge) dalla Lunigiana (Val di Magra) un fulmine (vapor) avvolto (involuto) in dense (torbidi) nuvole; e con una bufera violenta (impetüosa) e crudele (agra) 150 sovra Campo Picen fia combattuto; ond’ei repente spezzerà la nebbia, sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. si combatterà (fia combattuto) presso Pistoia (sovra Campo Picen); per cui il fulmine (ond’ei) disperderà (spezzerà) improvvisamente (repente) la nebbia, così che ogni Bianco ne rimarrà ferito (feruto). E detto l’ho perché doler ti debbia!». E ho detto tutto ciò perché tu ne provi dolore (doler ti debbia)!». 216