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Le paure che ci abitano

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Le paure che ci abitano
il libro del mese-
Angelo Casati,
Le paure che ci abitano.
Ed. Romena (prezzo € 10,00)
Ci sono tante paure e molte ci riguardano. La paura di morire,
e quella di vivere. La paura di ciò che è precario e insicuro.
La paura della nostra fragilità e di quella degli altri.
Don Angelo tocca uno ad uno tutti i tasti di quell’affanno che ci fa troppo spesso
restare immobili, mentre la vita scorre. Perché vogliamo avere il controllo su tutto? Perché non accettiamo la nostra provvisorietà? Le sue parole aprono piccoli
squarci di luce nel buio delle nostre ansie. “Non temete!” dice il Vangelo. Ed è in
fondo quello che questo suo libro prova a farci sentire.
La paura della vita. “Mi si fa strada nella mente una distinzione tra occuparsi e
preoccuparsi. O, se volete, tra occuparsi delle cose, anche le più necessarie, ed
essere occupati, cioè subire un’occupazione, un’invasione, un dominio. Non hai più
la mente sgombra, non hai più l’anima libera. La tua testa è altrove. Sei occupato.
Perdi le persone, le cose, gli eventi. Con la testa sei altrove” (p. 11).
La paura della mitezza. “Mitezza e umiltà, parole in esilio. E fossero solo le parole
in esilio. In esilio sembrano essere le donne e gli uomini che ancora osano impenitenti scommettere su mitezza e umiltà. Quasi fossero degli alieni nella stagione
dell’urlo. Ti è mai capitato di chiederti, assistendo ai dibattiti televisivi ridotti a
salotti del nulla, se a qualcuno di coloro che ormai vi hanno dimora pressoché
permanente, rimanga un briciolo che è un briciolo di umiltà e di mitezza? Moneta
fuori corso. Incenerire l’altro sembra ormai il sogno estremo” (p. 44).
La paura di amare. “In amore, perché non si generi paura, dovremmo, penso,
consumare di venerazione la soglia, guardandoci da parole e gesti che suonino anche lontanamente come invasioni di una intimità, del territorio che sta oltre: al di
là la terra è sacra.
Al cuore mi ritorna l’affascinante pagina del roveto dell’Oreb […]
Togliti i calzari, riconosci la tua fragilità, levati le tue precomprensioni, sta’ nudo.
Né Dio né l’altro sono terra di occupazione, terra da invadere o terra che ti meriti.
Riconosci la distanza. Anche nell’amore più forte e appassionato, riconosci la distanza. E togliti i sandali dai piedi” (p. 57).
La paura dell’insicurezza. “Ho trovato una traduzione che mi ha colpito, custodita nel rotolo di Isaia: “Ascoltatemi, ascoltatemi, mangiate la bellezza!” (Is 52,1).
Mi fermai come sorpreso alla lettura. Mi sentivo nascere dentro una domanda: di
che cosa ci nutriamo? Di che cosa nutriamo anima e pensieri? Mi interrogavo:
“Stiamo mangiando bellezza o stiamo mangiando parole che sono scialo di squallore, di disgusto, di degrado, di egoismi, di intolleranza, di miopie dello spirito, di
insensatezza del vivere?”. Le parole degradate ci fanno degradati, le parole della
bellezza ci fanno donne e uomini della bellezza, della bellezza del vivere e della
bellezza della terra” (p. 90).
[ fra Ermanno ]
Lettera
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U n p op ol o di f rate lli
Difficile fissare una definizione sulla chiesa. Lo stesso termine si presta a molteplici significati e usi, creando spesso molta confusione e troppe semplificazioni.
Il concilio Vaticano II ha svolto per primo, nella costituzione Lumen gentium, una
trattazione organica sulla comunità cristiana. Abbandonato lo schema deviante
della chiesa come “società perfetta”, la sua struttura è basata su due pilastri: la
chiesa come “mistero” e come “popolo di Dio”. Ciò consentì alle comunità cristiane
una nuova presa di coscienza di sé e del proprio stare nel mondo in mezzo a tutte
le nazioni.
Ma la soddisfazione per tale risultato e le aspettative suscitate in varie parti della
cristianità furono ben presto mortificate. Il testo comunque permane nel tempo a
disposizione di quanti se ne vogliono appropriare e illuminare. È intessuto di riferimenti biblici e arricchito di intuizioni dei Padri e Dottori della chiesa.
Il termine “chiesa”, ekklesìa in greco, chiarisce la sua natura divina: essa è “convocazione”, gente attirata «nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo». È
per azione divina che si fa parte della sua realtà: nessuna decisione umana interviene in tal senso e nessun potere storico determina l’appartenenza o meno ad
essa. Anzi, la chiesa stessa sta tutta “sotto la parola di Dio”.
La metafora biblica di popolo di Dio serve poi ai discepoli di Gesù di pensarsi come
realtà itinerante nella storia umana, sempre aperta a nuove trasformazioni. Spesso
essi sono come i primi discepoli «chiusi in casa per paura dei giudei», mentre il
risorto li invita ad andare sempre oltre, verso «cieli nuovi e terre nuove». Non è
infatti la chiesa al centro di tutto: essa vive solo se annuncia il regno con la vita e
le parole, senza lasciarsi imbrigliare da ricatti o da interessi di bassa lega. Il vitello
d’oro è sempre in agguato, pronto a schiavizzarla. Ma lo Spirito e la Sposa dicono:
«Vieni, Signore!».
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