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Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 1 1.1 Anatomia e fisiologia L’osso è un tessuto connettivo; esso è costituito da cellule viventi (osteociti) e da sostanza intercellulare che risulta impregnata di sali minerali, tra i quali prevale il fosfato di calcio. La presenza di sali minerali conferisce all’osso la durezza che lo contraddistingue come l’unico tessuto connettivo rigido. Incluse nella matrice calcificata vi sono numerose fibrille costituite da collagene. L’unità fondamentale dell’osso è l’osteone, un cilindretto di tessuto osseo attraversato da un canale centrale, detto di Havers, in cui entrano un vaso sanguigno ed un nervo (spesso contengono un solo grande capillare, talvolta però si possono riscontrare un’arteriola, una venula o vasi linfatici). Intorno al canale di Havers la sostanza fondamentale del tessuto osseo è disposta a formare molteplici lamelle concentriche, come in figura 1.1. L’insieme del canale e delle lamelle è detto sistema di Havers. Le cellule ossee occupano piccoli spazi chiamati lacune che si trovano fra le lamelle. Canali microscopici (canalicoli) si irradiano in tutte le direzioni, partendo dalle lacune, per connetterle ai canali di Havers dando la possibilità ai liquidi interstiziali di raggiungere le cellule ossee. Del tessuto osseo esistono due varianti riconoscibili dal diverso arrangiamento lamellare: il tessuto osseo compatto ed il tessuto osseo spugnoso (spongioso). Nell’osso compatto i sistemi haversiani sono fittamente addensati l’uno all’altro ed i piccoli spazi interposti sono riempiti da lamelle interstiziali. Nell’osso spugnoso invece, vi sono parecchi spazi vuoti compresi tra esili processi Canale di Volkmann ossei (trabecole) che sono uniti gli uni Figura 1.1 Struttura dell’osso. agli altri quasi come le travi di una impalcatura. Le ossa non sono strutture prive di vita, come sembrano essere; si ha la tendenza a considerarle tali forse perché, quando le osserviamo, vediamo soltanto la sostanza intercellulare effettivamente non vitale. Insieme a questo materiale duro e inanimato vi sono molte cellule vitali che devono continuamente rifornirsi di sostanze nutritive ed ossigeno e liberarsi dai rifiuti, quindi l’afflusso di sangue all’osso è importante e deve essere abbondante. Numerosi vasi sanguigni dal periostio (membrana che riveste l’osso) penetrano nell’osso stesso tramite i canali di Volkmann che vanno a congiungersi ai Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 2 vasi dei canali di Havers. Infine una o più arterie giungono al midollo osseo che si trova nella cavità midollare delle ossa lunghe o nelle lacune dell’osso spugnoso. Nell’osso è presente un continua attività di trasformazione e rimodellamento dell’architettura interna, tendente a rendere le ossa stesse più adeguate alle esigenze funzionali delle varie età. Vi sono infatti processi di edificazione di nuove lamelle nelle zone dell’osso che vanno irrobustite e processi di demolizione nelle zone che possono essere alleggerite. I processi di edificazione sono dovuti alla proliferazione degli osteoblasti, quelli di demolizione agli osteoclasti che esplicano attraverso il meccanismo del riassorbimento lacunare. Gli osteoclasti hanno la capacità di consumare lentamente il tessuto osseo grazie alla secrezione di acido lattico, che scioglie i minerali di calcio e di magnesio depositati sull’osso, e di uno speciale enzima proteolitico che scompone e digerisce la sostanza organica del tessuto osseo in cui i sali sono contenuti. I processi di calcificazione e di demolizione si svolgono parallelamente sullo stesso osso ma in zone diverse determinando le seguenti trasformazioni: 1. Fase fetale: le ossa hanno una struttura intermedia fra quella a fibre intrecciate (del periodo embrionale) e quella lamellare. 2. Fase finale dell’attività infantile: i processi di erosione e costruzione lamellare sono attivi e già si distinguono i sistemi interni di apposizione lamellare mentre sempre più si ingrandisce l’interno canale midollare. 3. Fase adulta: l’attività costruttiva periferica rende più spessa e compatta la parte esterna dell’osso, mentre l’interno canale midollare si amplia maggiormente. 4. Fase senile: inoltrandosi nell’età senile le lacune dell’erosione osteoclastica si allargano e minano la compattezza e la solidità dell’osso: questo è il quadro dell’osteoporosi senile che diradando e allargando l’intera trame del tessuto osseo rende le ossa porose, leggere e fragili ovvero più soggette frattura. 1.2 Proprietà meccaniche I test meccanici si effettuano applicando delle forze al campione e osservando come varia la deformazione. Si definisce stress il rapporto fra la forza applicata al campione e l’area in esame mentre lo strain è, invece, il rapporto tra lunghezza del campione, quando è sottoposto ad un certo stress, e la lunghezza originale dello stesso. Se prendiamo un provino cilindrico ed vi applichiamo una forza F uniassiale, lo stress risulta: σ= F A0 Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 3 mentre la deformazione è data da: ε= ∆L L − L0 = L0 L0 dove L0 rappresenta la lunghezza a riposo e A0 la sezione. Al variare del carico applicato si può rilevare la misura della deformazione. Nell’osso osserviamo un andamento stress-strain come in figura 1.2. Punto di rottura Punto di yield-stress Curva1.2 stress-strain per un per campione di osso. Figura Curva stress-strain un campione d’osso. Vediamo come fino a certi valori di stress l’andamento della curva è praticamente lineare (σ = Εε, dove E è il modulo elastico) poi abbiamo un punto detto di snervamento (120 MPa) a partire dal quale finisce il comportamento elastico del campione osseo ed inizia quello plastico. Analizzando il comportamento in trazione possiamo dire che per piccole deformazioni l’osso è lineare, plastico per grandi deformazioni. Lo snervamento può essere valutato geometricamente, basta spostarsi lungo l’asse degli strain di un tratto pari alla percentuale della deformazione non recuperata e tracciare una retta parallela al tratto lineare di curva. Tale retta interseca la curva nel punto di snervamento. Il punto di rottura dell’osso è 0.015. Per l’osso le curve stress-strain sono funzione della velocità di deformazione; infatti per diverse velocità si ottengono differenti pendenze della curva, uno spostamento del punto di snervamento e del punto di rottura: si nota che l’osso si irrigidisce (aumento del modulo di Young) al crescere della velocità di deformazione. In figura 1.3 sono rappresentate alcune curve stress-strain in funzione della velocità di deformazione. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 4 GPa 1500 s-1 300 300 s-1 0.01 s-1 200 100 0.001 s-1 0 0.004 0.008 0.01 0.016 ε Figura 1.3 Curve stress-strain in funzione della velocità di deformazione. La valutazione della deformazione in funzione della velocità può avvenire attraverso l’equazione di Ramberg-Osgood: ε= ⋅ σ C ⋅ε ⋅ d + a ⋅σ n ⋅ε b Per livelli fisiologici di stress e strain il secondo termine dell’equazione è trascurabile. Quindi in queste condizioni il modulo di Young risulta: E= ⋅ σ = C ⋅ε d ε 1.2.1 Relazioni anisotrope L’osso è un materiale viscoelastico non omogeneo, anisotropo, non lineare. Per le nostre applicazioni si ipotizza che l’osso sia un materiale lineare il cui comportamento è descritto da una equazione costitutiva del tipo: σij = Cijkl εkl dove Cijkl è un tensore del quarto ordine, mentre σij e εkl sono due tensori del secondo, rispettivamente delle tensioni e delle deformazioni. Essendo l’idrossiapatite un componente fondamentale del tessuto osseo, possiamo pensare di sfruttare le sue simmetrie cristallografiche, come punti di riferimento, per ottenere una semplificazione delle equazioni costitutive nel seguente modo: σi = Cij εj Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 5 dove Cij è la matrice di rigidezza. Tali simmetrie sono determinate dalle forze d’interazione fra atomi e molecole. Con tale descrizione, tuttavia, si omette la caratteristica fondamentale dei tessuti biologici: quella di interagire con l’ambiente esterno (legge di Woolf: tessuti animali e vegetali adattano la struttura locale in base ai carichi esterni). Perciò si deve parlare di simmetrie tessutali indotte dalle forme esterne e quindi dal tensore degli stress. Si può ottenere una condizione d’isotropia se si crea uno stato tensionale idrostatico. Allora la matrice di rigidezza assume la forma: C11 C 21 C C ij = 31 0 0 0 C12 C 22 C 32 0 0 0 C13 C 23 C 33 0 0 0 0 0 0 C 44 0 0 0 0 0 0 C 55 0 0 0 0 0 0 C 66 1.2.2 Effetto piezoelettrico L’effetto piezoelettrico diretto consiste nella produzione di una polarizzazione elettrica per mezzo di uno sforzo meccanico applicato nel materiale. La relazione che lega la polarizzazione Pi allo sforzo σj in materiale omogeneo è: Pi = dij σj Dove dij è la costante piezoelettrica (notare che i varia fra 1 e 3 mentre j tra 1 e 6), le sue unità di misura sono coulomb su newton (C/N). Esiste anche l’effetto piezoelettrico inverso che fa si che l’applicazione di un campo elettrico al campione di tessuto osseo causi uno stato di deformazione. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 6 PROTESI ORTOPEDICHE 2.1 Introduzione Nel settore ortopedico si parla di protesi con riferimento a due tipi di dispositivi artificiali: le protesi d’arto e le endoprotesi. Le prime sono dispositivi che sostituiscono completamente un arto (superiore o inferiore), hanno ruoli funzionali, ma anche finalità estetiche e la loro interfaccia con l’organismo è la superficie cutanea. Le endoprotesi sono invece dei sistemi impiantabili permanentemente all’interno della superficie corporea dove svolgono il ruolo in diretto contatto con i tessuti dell’organismo ospite. Sotto il nome di endoprotesi si raggruppano le protesi articolari, cioè quei sistemi artificiali che sostituiscono totalmente o in parte un’articolazione che non funziona più in modo adeguato. Le articolazioni di interesse per la sostituzione con protesi sono quelle degli arti superiori, la spalla, il gomito, la radiocarpica e delle dita della mano. Le articolazioni degli arti inferiori sono l’anca, il ginocchio, la tibiotarsica e le dita dei piedi. Ogni articolazione è caratterizzata da propri gradi di libertà, ciò dipende dalla forma delle superfici articolari, dal numero e tipo di legamenti. Questi ultimi sono dei tessuti connettivi fibrosi che determinano l’unione delle superfici articolari durante il movimento dovuto alla contrazione dei muscoli scheletrici. In figura 2.1 viene mostrata l’articolazione dell’anca (o coxo femorale). L’anca consente il movimento relativo fra coscia e bacino. Il suo funzionamento si basa sull’accoppiamento sferico tra la testa del femore e la coppa acetabolare che la ospita. I movimenti rotatori hanno angoli limitati non solo dalla presenza di strutture legamentose e muscolari, ma anche dall’acetabolo che presenta una Figura 2.1 Articolazione dell’anca (coxo Articolazione dell’anca(coxo femorale) struttura a labbro che garantisce la femorale) stabilità dell’accoppiamento. Altre articolazioni non presentano questa soluzione ad incastro, come nel caso dell’articolazione scapolo-omerale, e così si ha rischio di lussazione con perdita dell’accoppiamento. Nel valutare il funzionamento di un’articolazione occorre considerare, oltre ai tipi e all’entità dei movimenti, anche le sollecitazioni meccaniche trasmesse. Durante l’appoggio bipodalico (entrambi i piedi a terra) il peso corporeo meno il peso degli arti è distribuito uniformemente sulle due articolazioni. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 7 Nell’appoggio monopodalico (un solo piede a terra come avviene durante il passo) il baricentro della massa che grava sull’articolazione dell’arto che poggia si sposta verso l’arto sollevato e la massa è uguale al peso corporeo meno l’arto che poggia a terra. Il baricentro O del sistema si abbassa. Figura 2.2 Forze che agiscono sull’articolazione dell’anca nel caso di appoggio bipodalico (a) e di appoggio monopodalico (b). O: baricentro, C: peso corporeo; F: forza agente sull’articolazione; m: muscoli abduttori; R: forza generata dalla contrazione dei muscoli abduttori; M: momento generato dalla contrazione dei muscoli abduttori. Le forze agenti sull’anca possono essere identificate in due vettori K e M come si vede nella figura 2.3 La forza K, peso del corpo meno il peso dell’arto portante, è diretta verso il basso lungo l’asse baricentrale. Essa agisce sul punto Ω attraverso il braccio b. La forza M esplicata dagli abduttori agisce su Ω attraverso il braccio a per mantenere la pelvi orizzontale. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 8 O a b Ω Figura 2.3 Forze agenti sull’anca. L’equilibrio del bacino, rispetto all’articolazione, impone l’annullamento del momento del peso del tronco più quello dell’arto sollevato. La somma dei momenti agenti su è Ω nullo: K ⋅ b − M ⋅ a = 0. Il valore della forza M può essere calcolata con la seguente formula: M = K ⋅b a La forza M può essere scomposta in due componenti attive (figura 2.4): la forza PM componente verticale, e QM componente orizzontale. Le forze agenti su Ω della testa del femore sono PM e K dirette verticalmente mentre QM è diretta orizzontalmente. La risultante delle forze sono PM, K e QM corrisponde alla forza R. O Ω Figura 2.4 Composizione delle forze agenti sull’anca. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 9 Per motivi di semplificazione si pone PR = PM + K componente verticale di R ed inoltre QR = QM, come componente orizzontale di R. Figura 2.5 Derivazione delle forza R, risultante delle forze verticali, PM e K, e della forza orizzontale QM. Alla forza R si contrappone una forza uguale e contraria corrispondente alla contro spinta proveniente dall’urto del piede con il terreno. Questa forza, indicata con R1, ha direzione obliqua, sviluppa una forza di taglio ed una di pressione: si indica la prima con Q e la seconda con P. Ω shearing pressione Figura 2.6 Alla forza R si oppone una forza R1 uguale e contraria, prodotta dalla contro spinta del suolo. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 10 La forza Q spinge la testa femorale all’interno dell’acetabolo e presenta intensità e direzione opposta a QM. La forza P ha intensità e direzione uguale a PM. Complessivamente sull’anca gravano carichi estremamente elevati (valori fino a sette volte il peso corporeo in condizioni dinamiche) e ciclici pertanto, mentre nelle strutture ossee possono indurre risposte di rimodellamento, nelle protesi producono fenomeni di fatica. 2.2 Generalità della protesi d’anca Le protesi d’anca sono costituite da quattro elementi come in figura 2.7: uno stelo metallico infisso nel canale midollare del femore, una testina sferica metallica, un elemento articolare acetabolare (cotile), in genere polimerico, ed un supporto metallico (metal back) che lo vincola alle ossa del bacino. metal back cotile testina stelo a b Figura 2.7 a: componenti di una protesi d’anca; b: protesi impiantata. a: componenti di una protesi d’anca; b: protesi Nel progettare la protesi occorre tenere in considerazione certe specifiche anatomiche, funzionali e di biocompatibilità che derivano dallo studio del normale funzionamento dell’articolazione sana e dall’esperienza clinica. Una protesi deve: 1. consentire il movimento; 2. sopportare gli sforzi a cui è sottoposta l’articolazione; 3. resistere alla fatica meccanica (l’articolazione dell’anca è sottoposta in 10 anni a 10 milioni di cicli di carico da un soggetto che conduce una normale attività fisica); 4. resistere all’usura; 5. essere biocompatibile; 6. avere un tempo di vita medio lungo; 7. essere tecnologicamente perfetta (possibilità di esser sottoposta a microlavorazioni che consentano la migliore adattabilità al sito d’impianto). Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 11 8. essere strerilizzabile, maneggiabile, pratica da impiantare e da rimuovere in caso di danneggiamento o necessità di sostituzione. 2.3 Protesi non cementate e cementate Le protesi non cementate sono ancorate all’osso mediante semplice incastro meccanico (press-fit) tra una parte metallica (stelo) ed il canale di dimensioni inferiori ricavato nell’osso. Successivamente sono sviluppate protesi cementate per le quali, l’ancoraggio, è dovuto ad una miscela di materiali che, polimerizzando e indurendo, determina la stabilità d’interfaccia. 2.3.1 Protesi non cementate Tali protesi si basano sull’osteointegrazione, cioè il contatto diretto fra osso e protesi senza tessuto connettivo interposto. Il contatto diretto deve garantire la stabilità del sistema nel senso che le forze sviluppate all’interfaccia non si devono tradurre in movimento relativo fra protesi ed osso, quindi un primo aspetto da considerare riguarda la quantità di superficie dello stelo a contatto con l’osso. Il chirurgo prepara il canale nell’osso corticale per garantire il contatto. È però estremamente difficile ottenere una geometria del canale tale che tutta la superficie laterale dello stelo sia a contatto con l’osso. Minore è la superficie di contatto, maggiori sono gli sforzi locali che possono in alcune zone danneggiare l’osso. Dove non c’è contatto non vengono trasmesse sollecitazioni e può esserci riassorbimento osseo. Inoltre la geometria dello stelo deve essere tale che, sotto il continuo carico, la protesi non sprofondi nel canale midollare. Avviene frequentemente che una protesi non cementata scarichi le forze provenienti dal bacino nella sua zona distale ed in tal modo il tratto osseo prossimale risulta poco sollecitato e può andar incontro a riassorbimento. Quindi occorre garantire la massima stabilità possibile tramite precompressione in fase di impianto che a sua volta dipende non solo dall’abilità del chirurgo, ma anche dalla forma dello stelo e dal canale ricavato. La finitura superficiale (scelta di materiali macroporosi o presenza di fori attraverso lo stelo) possono svolgere un ruolo importante per l’osteointegrazione delle protesi non cementate. Uno stelo molto liscio si ancora difficilmente all’osso ed ha la tendenza a non trasmettere sforzi tangenziali generando movimenti relativi. Le soluzioni adottate prevedono l’ottenimento di porosità superficiali con pori di dimensioni dell’ordine di 100 µm, in modo da permettere l’alloggiamento degli osteoni e l’inglobamento nella matrice ossea, così come il semplice aumento della rugosità superficiale. I materiali usati per realizzare il rivestimento poroso sono titanio e leghe del titanio. Con il titanio si possono realizzare diverse tipologie di rivestimento: • Plasma spray; • Microsfere sinterizzate; • Fibre sinterizzate; Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 12 I processi di rivestimento avvengono ad alta temperatura e questo può portare ad un indebolimento della struttura superficiale del metallo. Un’altra problematica di tali tecnologie è costituita dall’aumento della superficie esposta alla corrosione e dal conseguente incremento del rilascio ionico. Talvolta si procede con un rivestimento dello stelo con idrossiapatite: l’osso ha la tendenza a riconoscerla, essendo la componente minerale dell’osso corticale, e quindi a legarsi con essa. Un’ulteriore espediente è la copertura a base di polimero. Il metodo rende buoni risultati: il polimero trasferisce meglio i carichi dalla protesi all’osso e previene il rilascio di ioni da parte del metallo. Tuttavia si genera un’interfaccia debole tra rivestimento e stelo, producendo un effetto limitante nell’applicazione di carichi dinamici. a b c d Figura 2.8 Diverse soluzioni per favorire l’adesione degli steli femorali: a) con fori passanti nei quali può crescere l’osso; b) con superficie rugosa; c) con superficie microporosa; d) con superficie rivestita in idrossiapatite. Infine sono allo studio tecniche in grado di accelerare la ricrescita dell’osso che prevedono l’applicazione di stimoli elettrici o elettromagnetici. Un altro aspetto rilevante delle protesi cementate è la rigidità dello stelo. La maggiore rigidità della protesi rispetto all’osso che la ospita tende a produrre il fenomeno dello stress-shielding, cioè a far sì che sia la protesi a sopportare i carichi mentre l’osso risulta scarico e tende ad atrofizzarsi. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche σ 13 forza AISI 316 σr σs σr tessuto osseo a b ε spostamenti Figura 2.9 a) prove di trazione su AISI 316L e tessuto connettivo; b) spostamenti della testa del femore con e senza protesi. Materiali Femore direzione assiale Femore direzione tangenziale Osso spongioso PMMA PMMA rinforzato Allumina policristallina Acciaio 316L CoCrMo CoCrNiMo Ti6Al4V Biovetro Fosfato di calcio (idrossiapatite) Modulo di Young (GPa) 17.0 UTS (MPa) Elongazione forza tensile % 130 3.0 Densità (g/cm2) 2.0 12.0 60 1.0 2.0 0.1 2 15 400 2 30 100 260 2.5 3 2 <0.1 1.0 1.1 1.8 3.9 200 230 230 110 200 120 1000 660 1800 900 200 200 9 8 8 10 0.1 0.1 7.9 8.3 9.2 4.5 2.5 3.2 Tabella 2.10 Proprietà meccaniche dei materiali usati per la realizzazione di protesi. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 14 Per quel che riguarda la biocompatibilità il problema principale è la corrosione. I metalli principalmente usati nella realizzazione degli steli sono: • Leghe Titanio-6Al-4V • Acciaio inox 316L • Leghe CoCrMo Le leghe del titanio resistono bene all’aggressività dell’organismo, tuttavia è nota loro suscettibilità alla corrosione per sfregamento. Le altre leghe subiscono l’attacco di tutte le forme di corrosione generalizzata e localizzata. Gli effetti della corrosione localizzata associata a sollecitazioni cicliche possono portare a cedimenti dello stelo per fatica meccanica. Infine queste leghe tendono a rilasciare ioni liberi che a seconda della quantità e della capacità dell’organismo di smaltirli possono esser dannosi per le cellule. I problemi chirurgici principalmente derivano dalla preparazione del canale che viene effettuata mediante raspe ed è tanto più difficile quanto più complessa risulta la forma dello stelo. In genere la superficie di contatto stelo-corticale è inferiore a quella ideale, e se troppo piccola, può causare il fallimento dell’impianto. A parità di dimensioni dello stelo, le protesi non cementate necessitano di un canale di sezione inferiore rispetto a quelle cementate e quindi rendono agevole anche un successivo impianto, eventualmente cementato. L’espianto, generalmente, risulta poco distruttivo per l’osso ospite ad eccezione per gli steli porosi dove la neoformazione può richiedere procedure complesse e traumatiche per l’estrazione. 2.3.2 Protesi cementate Il nome cemento per ossa indica una classe di materiali a base di polimetilmetacrilato (PMMA). L’impiego primario è quello di sostanza di riempimento degli spazi fra protesi ed osso con lo scopo di migliorare la distribuzione degli sforzi trasmessi durante il carico e di assorbire gli urti. La migliore distribuzione degli sforzi trasmessi riduce la concentrazione degli sforzi stessi e la conseguente necrosi ossea che si osserva con una protesi non cementata mal impiantata. Un secondo scopo dell’uso del cemento è quello di ridurre il dolore dovuto ai micromovimenti relativi tra protesi ed osso. Il cemento per ossa di uso commerciale viene fornito in una confezione che comprende un componente solido ed uno liquido. Il cemento viene ottenuto per polimerizzazione radicalica del MMA utilizzando il perossido di benzoile come iniziatore radicalico. L’aggiunta di polibutilmetacrilato (PBMA) serve a migliorare le proprietà meccaniche complessive del cemento. L’ossido di zirconio e il solfato di bario rendono il materiale radio opaco. Il perossido di benzoile si decompone ad una temperatura di circa 70-80 °C. Per questo motivo si ricorre ad una ammina aromatica, la N,N-dimetil-p-toluidina, che lo decompone a temperatura ambiente. L’idrochinone, infine, serve ad impedire la polimerizzazione Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 15 spontanea del monomero che risulta molto reattivo. Quando i due componenti sono mescolati inizia un nuovo processo di polimerizzazione che produce polimeri a catena lunga che penetrano fra le microsfere del PMMA e le legano insieme formando un’unica massa di sostanza. Composizione della polvere sterile Composizione del liquido Polimetilmetacrilato (PMMA); Metilmetacrilato (monomero); Polibutilmetacrilato (PBMA); Butilmetacrilato (monomero); Ossido di zirconio o solfato di bario; Ammina aromatica N,N-dimetil-p-toluidina Perossido di benzoile; Idrochinone; Tabella 2.11 Cemento per ossa: composizione. 4-7 mm di spessore 4-7 mm di spessore cemento per ossa 1-3 mm di spessore 1-3 mm di spessore Figura 2.12 Stelo di una protesi d’anca applicato con cemento per ossa. L’impiego del cemento per ossa deve affrontare alcune problematiche: • Tossicità Tutte le componenti del cemento sono tossiche (monomeri e l’idrochinone), il perossido di benzoile è un sospetto cancerogeno. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 16 • Esotermia Il processo di indurimento del cemento ha tre tempi caratteristici: il tempo di mescolamento, il tempo di indurimento ed il tempo di lavorazione. Tali tempi sono mostrati nel diagramma tempo-temperatura di figura 2.13. Figura 2.13 Tempi caratteristici del cemento per ossa: 1) t1 tempo di mescolamento; 2) t2 tempo di indurimento; 3) t3 tempo di lavorazione. Il tempo di mescolamento è l’intervallo di tempo per il quale è possibile mescolare il cemento prima che si attacchi ai guanti chirurgici, la sua durata è circa 2-3 minuti. Il tempo di indurimento è il tempo, misurato a partire dall’unione dei componenti, perché la massa raggiunga la metà della sua temperatura massima. Il tempo di indurimento è in genere compreso fra 8-10 minuti. Il processo di polimerizzazione provoca un aumento di temperatura nei tessuti circostanti. Il calore si sviluppa omogeneamente e si trasmette verso la superficie da dove viene smaltito. Per questo motivo la temperatura di superficie assume valori crescenti con la massa di materiale polimerizzato. Lo stelo metallico, con la sua capacità termica e il suo coefficiente di trasmissione del calore, e la circolazione sanguigna dei tessuti circostanti favoriscono la dissipazione del calore prodotto. Il tempo di lavorazione è la differenza fra i tempi sopra citati. • Ritiro volumetrico Il cemento è applicato ancora fluido in un canale che viene preparato dal chirurgo di dimensioni maggiori dello stelo e quest’ultimo inserito nella massa di cemento prima che indurisca. In fase di indurimento si può avere un ritiro volumetrico che si spinge persino al 21-22 % impedendo l’ancoraggio della protesi. La contrazione è parzialmente compensata da un’espansione dovuta all’aumento di temperatura conseguente il procedere della polimerizzazione ed all’esposizione ai fluidi biologici. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 17 • Porosità La presenza di porosità nel materiale dipende molto dalla modalità di mescolamento del componente solido con quello liquido in quanto tale operazione favorisce l’intrappolamento di aria nella miscela. In genere le porosità riducono le proprietà meccaniche del cemento fra cui la sua resistenza alla fatica meccanica. Il cemento per ossa non è un materiale adesivo, dopo l’indurimento non si riesce ad aumentarne la quantità aggiungendone di nuovo in quanto non c’è adesione con il vecchio. Il cemento non aderisce con il metallo anche se questo è pulito ed asciutto. Per avere adesione fra cemento e metallo quest’ultimo viene prerivestito con un sottile strato di monomero che entra in contatto con quello preparato all’atto dell’impianto nei primi istanti successivi al mescolamento: più tardi avviene il contatto peggiore è l’adesione. Tra le tecniche per supportare l’interfaccia protesi-cemento ci sono quelle che prevedono l’apposizione di materiali di rinforzo attorno allo stelo della protesi per resistere meglio ai carichi radiali. Si possono utilizzare cementi compositi di PMMA e fibre, sempre per i medesimi scopi, anche se questo diminuisce l’estensibilità. protesi cemento fibra di metallo osso tampone Figura 2.14 Rinforzo dell’osso attorno alla protesi cementata per aumentare la resistenza radiale incorporando una fibra, di titanio o carbonio, che si adatta alle irregolarità dello stelo della protesi e che può essere montata durante l’operazione oppure prefabbricata in fase di costruzione della protesi. Con l’uso del cemento si ottiene la massimizzazione della superficie di contatto. Nel tempo si può avere degradazione del PMMA ad opera dei tessuti circostanti, con riduzione delle proprietà meccaniche e dell’integrità dell’osso all’interfaccia dovuta ai traumi termici. Tali eventi possono addurre ad una mobilizzazione della protesi. La rimozione di una protesi cementata è complicata dalla necessità di rimuovere completamente il cemento ed i suoi frammenti dall’osso; l’impianto di una nuova protesi avviene in un osso fortemente traumatizzato e di spessore ridotto. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 18 2.4 Il giunto articolare Il giunto articolare ha il doppio obiettivo di trasmettere i carichi attraverso l'articolazione e di permettere i movimenti articolari. Tali obiettivi devono essere raggiunti limitando l'usura del giunto e garantendone la stabilità spesso compromessa da una ridotta o assente funzionalità dei legamenti normalmente presenti nelle articolazioni naturali. L'articolazione naturale è costituita da due corpi solidi, le terminazioni ossee, ciascuna delle quali è rivestita da uno strato elastico e poroso, la cartilagine. Fra le cartilagini si trova la sinovia che è un liquido lubrificante viscoso composto da plasma contenente acqua con proteine, sali e acido ialuronico. Il liquido sinoviale, a seconda del tipo di articolazione, può separare più o meno completamente le cartilagini fra loro. L'intero sistema articolare o contenuto in una capsula sigillante. In condizioni di funzionamento normale questo sistema lubrificato non subisce usura grazie a meccanismi idrodinamici e elastoidrodinamici. Il coefficiente d'attrito normalmente è compreso fra 0.005 e 0.025. Le patologie che riducono la capacità lubrificante del liquido sinoviale, ovvero che danneggiano le superfici articolari, aumentano il coefficiente di attrito inducendo l'usura delle superfici con conseguente dolore, perdita della funzionalità articolare e necessità di impianto di una protesi. Testina Cotile Polimeri Metalli metallo ceramica PTFE UHMWPE PE-CF POM PETP CoCrMo Al2O3 FeCrNiMo - ++ - ? ? x x FeCrNiMnMoNbN ? ++ x 7 ? x x CrCoMo ? ++ - - - ++ x Ti6Al4V ? - - x x x x Al2O3 ? ++ ? ? ? x ++ ZrO2 ? + ? ? ? x x - fallito clinicamente + in valutazione clinica ++ di uso clinico ? non ancora sperimentato x tecnicamente non sostenibile Tabella 2.15 Combinazioni di materiali impiegati per le superfici articolari delle protesi d’anca. I giunti articolari artificiali non sono in grado di riprodurre l’efficacia del sistema naturale nel ridurre il coefficiente di attrito e l'usura. In genere la mancanza del lubrificante sinoviale, che peraltro è particolarmente dannoso in presenza della protesi sia perché tende a degradare i materiali polimerici, Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 19 sia perché corrode quelli metallici, determina il contatto diretto fra le superfici articolari generando attrito ed usura. Nella tabella 2.15 sono riportati i principali accoppiamenti impiegati per le protesi d'anca. Attualmente la soluzione più comunemente adottata per le protesi d'anca è l'accoppiamento di testine in acciaio austenitico o in lega Co-Cr-Mo e di cotili in polietilene ad altissimo peso molecolare (UHMWPE), il peso molecolare è compreso fra 2·106 e 10·106. Con questi accoppiamenti si ottengono usure lineari medie di circa 0.15 mm all'anno in condizioni di uso normale. I tentativi di utilizzare altri materiali polimerici al posto dell'UHMWPE non hanno dato risultati accettabili. L'accoppiamento fra allumina (Al2O3) e allumina produce, in condizioni corrette di posizionamento e di tolleranze dimensionali, un'usura lineare ci circa 8 µm all'anno. Nel caso invece in cui il contatto non avvenga in modo corretto, evenienza molto probabile dovuta alla difficoltà di ottenimento di strette tolleranze dimensionali, si ha un aumento della pressione di contatto che può produrre un'usura catastrofica per il cosiddetto effetto valanga: i grani di allumina si staccano progressivamente dalla massa di materiale. Anche l'accoppiamento fra testine di allumina e cotili in UHMWPE ha mostrato bassi coefficienti di attrito con un'usura lineare compresa fra 0.05 e 0.013 mm all'anno. L'accoppiamento fra testine e cotili entrambi in lega Co-Cr-Mo usato prima degli anni '60 ha dato risultati peggiori dell'accoppiamento con cotili in UHMWPE. Ciò però si ritiene fosse dovuto a problemi di produzione tecnologica che non garantivano né la finitura superficiale né le tolleranze dimensionali necessarie. Di fatto se l'accoppiamento viene realizzato a regola d'arte, la coppia metallo-metallo mostra un'usura lineare di soli pochi micron all'anno. L'usura delle superfici articolari conduce ad alcuni problemi che possono causare il fallimento dell'impianto. Fra questi la modificazione geometrica e quindi cinematica del giunto, il dislocamento o lussazione dell'articolazione (questa può in parte dipendere anche dai fenomeni di creep del componente polimerico), ma soprattutto la produzione di detriti polimerici che, come mostrato nel seguito, possono portare alla mobilizzazione della protesi. È opportuno sottolineare che il metal back, necessario nel caso di cotile in UHMWPE, serve ad evitare che i micromovimenti fra il cotile e l’osso generi l'usura massiccia del polietilene con elevata produzione di detriti. Sia l'usura, sia le caratteristiche meccaniche dell'accoppiamento dipendono, oltre che dai materiali con cui è realizzato l'accoppiamento e della finitura superficiale delle superfici articolari, anche dalle dimensioni dell'accoppiamento sferico, cioè dalle dimensioni della testina. Attualmente le testine più impiegate hanno diametro pari a 28 o 32 mm, ma esistono anche diametri inferiori o superiori. Questi ultimi sono maggiormente frequenti nel caso in cui la testina sia realizzata solidalmente con lo stelo (protesi monolitica). Testine di diametro molto maggiori sono state impiegate in protesi senza il componente acetabolare. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 20 2.5 Aspetti di biocompatibilità delle protesi articolari E' importante dare un quadro generale che consenta di considerare tutti gli aspetti che, spesso fra loro correlati, concorrono a determinare la biocompatibilità di una protesi articolare in generale e dalla protesi d'anca in particolare. La funzione primaria della protesi d'anca è quella di sostituire la funzione articolare garantendo nel tempo sia la cinematica, sia la trasmissione dei carichi. Di fatto l'esperienza clinica mostra come l'affidabilità nel tempo della protesi d'anca sia limitata da una serie di fattori che concorrono con priorità diverse a seconda del tipo di protesi, del tipo di ancoraggio, del tipo di materiali, della tecnica chirurgica, delle condizioni del paziente, ecc., all'insuccesso dell'impianto dopo un periodo molto variabile da caso a caso. L'insuccesso è determinato dalla mobilizzazione della protesi che consiste nella perdita della stabilità meccanica dell'interfaccia fra protesi e osso, nella perdita della funzionalità cinematica o in fenomeni di risposta biologica dei tessuti che provocano dolore nel paziente. Un primo aspetto da considerare è pertanto quello della stabilità dell'interfaccia protesi-osso nel lungo periodo. Un primo tipo di interfaccia è quello in cui la stabilità fra protesi e osso è dovuta all'attrito che si genera successivamente alla forzatura della protesi nell'osso. Questo tipo di interfaccia è tipico dei mezzi di osteosintesi impiegati per favorire la guarigione delle fratture e che usano viti e placche per stabilizzare i segmenti ossei. La forza di contatto, quindi l'attrito, può diminuire nel tempo a causa di fenomeni di creep, rilassamento degli sforzi, necrosi ossea e rimodellamento osseo. Il disegno di una protesi che preveda questo tipo di interfaccia e difficile in quanto non esistono conoscenze consolidate sulla risposta dell'osso al carico pressorio indotto dalla forzatura della protesi. Un secondo tipo di interfaccia è quello che prevede l'uso del cemento a base di PMMA. Dopo un certo periodo dall'impianto si giunge in una situazione stazionaria nel senso che si ritiene l'interfaccia matura. In questa situazione in genere fra lo stelo ed il cemento è interposta una membrana fibrosa spessa 50-100 µm. Una simile membrana è interposta anche fra il cemento e l'osso. Questa seconda membrana, il cui spessore varia da 50 µm e 1.5-3 mm, previene la perdita della stabilità se è di spessore inferiore a 1 mm. In genere la membrana è relativamente priva di cellule e può essere di natura infiammatoria se aumenta di spessore o quando ci sono movimenti relativi fra cemento e osso. Il cemento può migrare all'interno dell'osso anche per spessori di 1-1.5 cm senza provocare reazioni dannose nell'osso. Un terzo tipo di interfaccia è quello che si stabilisce quando l'osso è a contatto con una protesi dalla superficie porosa che lascia crescere, almeno in parte, l’osso all’interno dei pori favorisce l'interfaccia per penetrazione. La superficie dei pezzi ottenuti per fusione non è porosa, ma può avere una elevata rugosità favorendo pertanto la penetrazione. La superficie sinterizzata può permettere l'ottenimento di porosità controllate grazie alla scelta opportuna di polveri o grani di forma e a Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 21 dimensioni opportune. La superficie con deposito ottenuto per plasma spray di polveri in genere non è porosa, ma produce un aumento importante di estensione dell'area di contatto per unità di superficie. Infine si può ricoprire una superficie con una struttura fibrosa tipo feltro o tipo tessuto che può costituire una matrice di porosità controllata. La crescita dell'osso nella porosità superficiale può essere favorita dall'uso di sostanze con proprietà osteogeniche. protesi cemento osso a protesi rivestimento osso b protesi struttura artificiale osso c c Figura 2.16 Diversi tipi di interfaccia fra protesi e osso. a: cementata; b: aderente; c: penetrata. Un ultimo tipo di interfaccia è quello in cui si ha adesione fra l'osso e la superficie della protesi. Questo fenomeno può avvenire su superfici lisce di titanio puro o su superfici trattate con rivestimenti di ceramiche bioattive in presenza di modesti carichi dell'interfaccia. In genere i rivestimenti che sono fragili hanno spessori inferiori a 500 µm e l'adesione non presenta una membrana di separazione fra l'osso e la protesi. La presenza di ceramiche bioattive mostra talvolta uno stato amorfo dello spessore di 1-100 µm che contiene sostanze quali collagene o polisaccaridi. a b c d Figura 2.17 Strutture superficiali. a: ottenuta per fusione; b: ottenuta per sinterizzazione; c: ottenuta per plasma spray; d: ottenuta per rivestimento con strutture fibrose. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 22 I differenti tipi di interfaccia producono diverse sollecitazioni meccaniche locali, l'entità delle quali può indurre micromovimenti relativi all'interfaccia. L'entità dei micromovimenti può determinare, nel tempo, la perdita di tenuta dell’interfaccia. A questo proposito bisogna anche considerare la differente capacità di trasmettere e sopportare i carichi dei diversi tipi di interfaccia. Infatti l'interfaccia cementata consente movimenti relativi fra la protesi e l'osso che vengono assorbiti dal cemento che ha un modulo di elasticità inferiore a quelli di osso e protesi. Pertanto tali movimenti e le sollecitazioni associate non determinano danni alle interfacce osso-cemento e cemento-protesi. L'interfaccia con osso penetrato nella porosità mostra una capacità media di assorbire i movimenti in quanto l'osso vicino all'interfaccia è meno duro dell'osso corticale e quindi più elastico. L'interfaccia aderente è invece la più fragile. Se l’interfaccia è meccanicamente stabile nel primo periodo dopo rimpianto della protesi, la modificazione successiva è dovuta alla risposta biologica dei tessuti ospiti. Tale risposta può essere correlata con i carichi trasmessi all'interfaccia e con gli aspetti biologici e meccanici che si correlano nel meccanismo del rimodellamento osseo. Per certo una volta che il processo di mobilizzazione inizia diventa irreversibile e procede inesorabilmente anche se con velocità diversa da un paziente all'altro. La mobilizzazione della protesi è sempre associata a dolore. Un aspetto molto importante da considerare per la stabilità nel tempo dell'interfaccia è la produzione di detriti (debris) di polietilene. Infatti l'attrito nelle superfici articolari produce nel cotile in polietilene detriti che in genere escono dall'accoppiamento e si depositano sulla superficie femorale. Figura 2.18 Fenomeni che avvengono nell’intorno di una protesi d’anca a seguito dell’usura del cotile in polietilene e della conseguente produzione di detriti. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 23 L'accumulo di particelle di polietilene in questa zona induce il richiamo di macrofagi, induce cioè una reazione da parte dall'organismo che tende ad eliminare le particelle come corpi estranei. Laddove le particelle di polietilene sono particolarmente grosse i macrofagi si aggregano formando cellule giganti polinucleate. Se, come spesso accade, i macrofagi non riescono ad eliminare il debris perché le particelle sono troppe e/o troppo grosse, si instaura un processo infiammatorio. Le cellule giganti inducono, fra i vari fenomeni, la produzione di sostanze che attivano la reazione osteoclastica e quindi la degradazione del tessuto osseo circostante la zona prossimale dello stelo. In queste condizioni la stabilità dell'interfaccia diminuisce progressivamente spostandosi verso zone sempre più distali. In queste zone aumenta l'entità del carico trasmesso e nel tempo di arriva alla mobilizzazione. Questo fenomeno è stato osservato in maniera drammatica in quei cotili privi di metal back i quali subivano un'elevatissima usura nella zona posteriore a causa dei micromovimenti contro l'osso del bacino. Infine, un aspetto importante della biocompatibilità delle protesi articolari è quello legato alla corrosione dei metalli con cui sono fabbricati. Da una parte la corrosione localizzata può portare, in associazione con la fatica meccanica, ad una precoce rottura della protesi (dello stelo femorale nel caso dell'anca). Dall'altra la produzione di ioni metallici può determinare effetti dannosi nell'organismo ospite, sia a livello locale, sia a livello sistemico. Nella tabella 2.18 sono riportate, per i diversi tipi di metallo contenuto nelle leghe di uso ortopedico, le quantità normalmente contenute nel sangue, nel siero e nell’urina umana. Metallo Al Co Cr Fe Mn Mo Ni Ti V Nel sangue [ng/ml] ? < 0.3 <1 445 [mg/ml] ? <1 <1 ? ? Nel siero o plasma [ng/ml] < 10 < 0.3 < 0.3 1.090 < 0.7 <1 <1 <2 <1 Nell'urina [ng/ml di creatina] ? < 2.5 < 0.6 65 ? ? <5 ? ? Tabella 2.18 Quantità di metalli contenuti in alcuni fluidi biologici umani. Nei pazienti con protesi metalliche questi valori risultano aumentati così come si trovano concentrazioni anomale di metalli nei tessuti sia localmente, vicino alla protesi, sia in zone remote. Questi valori elevati permangono cronicamente. In genere pero non sono completamente noti gli effetti di quantità elevate di metallo Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 24 nell’organismo anche se di alcuni metalli si conoscono le attività di esaltazione di certi processi metabolici e catabolici, ad esempio il cobalto esalta la sintesi proteica e il cromo la regolazione dell’energia metabolica. Inoltre i metalli, combinandosi con alcune proteine, possono attivare la risposta del sistema immunitario inducendo una allergia al metallo. Fra i metalli che maggiormente inducono risposte allergiche si ricordano il cobalto, il cromo e soprattutto il nichel, mentre l'alluminio, il titanio, il molibdeno ed il manganese non sembrano essere allergizzanti ed il ruolo del vanadio in questi fenomeni non è ancora chiarito. 2.6 Cenni sugli altri tipi di protesi articolari Nel seguito saranno brevemente illustrate le soluzioni adottate per le principali protesi articolari oltre l'anca. Si tenga presente che tali dispositivi mostrano gran parte dei problemi descritti per l'anca anche se di volta in volta alcuni sono più gravi di altri a seconda della complessità della cinematica articolare, dell'entità dei carichi trasmessi, ecc. 1- Ginocchio II ginocchio è un’articolazione la cui cinematica è molto più complessa di quella dell'anca, ma i carichi trasmessi sono inferiori. Il movimento dell'articolazione del ginocchio è definito da strutture legamentose che vincolano le posizioni relative di tibia e femore e rendono possibili solo i movimenti consentiti all'interno del rango fisiologico. In figura 2.19 è mostrato uno schema cinematico rappresentativo del movimento del ginocchio. Figura 2.19 Rappresentazione schematica della cinematica del ginocchio. I due legamenti crociati (AD posteriore e BC anteriore) formano insieme al femore e alla tibia un quadrilatero articolato. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 25 Tale schema riguarda esclusivamente il movimento nel piano sagittale, che è il principale movimento del ginocchio, ma è opportuno ricordare che il ginocchio consente anche modeste rotazioni in altri piani, rotazioni che sono stabilizzate da altri legamenti. Il ginocchio, oltre alla complessa anatomia delle superfici articolari, comprende altre strutture quali i menischi e la rotula che hanno ruoli di stabilizzazione, di riduzione di attrito e di trasmissione di carico. Due sono le principali tipologie di protesi di ginocchio: quella di ricostruzione delle superfici articolari (più conservativa) e quelle in cui la protesi sostituisce una certa porzione delle estremità di tibia e femore. In figura 2.20 è mostrata una protesi di ginocchio del primo tipo. E' costituita da un componente metallico in Co-Cr-Mo che sostituisce i condili femorali e che si articola su piatto tibiale in UHMWPE. Quest'ultimo o supportato da una base metallica generalmente in Ti6A14V. I due componenti metallici devono garantire la stabilità meccanica dell'interfaccia osso-protesi. Come nel caso dell'anca possono essere cementati o non cementati. Se necessario si può anche rivestire la parte interna della rotula con un componente in polietilene e metallo. Figura 2.20 Protesi di ginocchio: ricostruzione delle superfici articolari. Rotazione Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 26 Mobilità antero – posteriore Mobilità medio-laterale Figura 2.21 Mobilità della protesi: la complessità dei movimenti riproducibili dipende dal trauma subito dall’articolazione. La protesi che prevede la sostituzione totale dei condili femorali e del piatto tibiale è ovviamente molto più distruttiva della precedente e in genere si considera l'ultima soluzione prima di bloccare definitivamente l'articolazione. La soluzione prevede l'ancoraggio della protesi mediante dei fittoni, simili allo stelo femorale della protesi d'anca, che si bloccano nel femore e nella tibia. In genere questo tipo di ginocchio artificiale è costituito da un giunto il cui movimento è la rotazione piana intorno ad un asse fisso o traslante. Si tratta quindi di una cerniera stabile e i due componenti non sono disaccoppiabili. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 27 Figura 2.22 Differenti tipi di rivestimento della superficie interna della protesi. Figura 2.23 Ginocchio di revisione: per aumentare la stabilità sono inseriti quattro fittoni sul lato femorale che nella maggior parte dei casi vengono cementati. 2- Spalla II principale movimento della spalla è rappresentato da un giunto sferico che ha angoli di rotazione superiori a quelli dell'anca e che sono i maggiori nel corpo umano. Come nel caso dell'anca le prime protesi di spalla erano costituite da un componente che rivestiva, ricostruendola, la superficie articolare dell'omero. Attualmente le protesi di spalla sono funzionalmente e strutturalmente simili alle protesi d'anca, ma ovviamente hanno forma e dimensioni diverse. Possono essere applicate con cemento per ossa o senza, mediante press-fit. La sfera del giunto è generalmente solidale con l'omero, ma in alcuni casi è solidale con il componente fissato nella scapola. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 28 Circa il 46% di tutte le sostituzioni totali di spalla sono eseguite a causa di un’osteoartrite, mentre le rimanenti vengono eseguite per artrite infiammatoria e altre cause. Figura 2.24 Protesi totale di spalla. Figura 2.26 Protesi a microsfere. Figura 2.25 Sostituzione della testa dell’omero. Sono oggi disponibili molti modelli diversi per la sostituzione del giunto della spalla. In linea di massima, possono essere divise nel seguente modo: • protesi vincolate (constrained) in contrapposizione a quelle non vincolate; • sostituzione totale della spalla in contrapposizione all’emiartroplastica o alla protesi bipolare; • sostituzione della testa in contrapposizione a rimodellamento della stessa. Le prime protesi vincolate sottoponevano l’interfaccia osso-cemento ad uno stress, il che poteva portare al fallimento dell’impianto. Sono ancora usate nel caso di totale perdita dell’osso o perdita della coppa rotazionale ma deltoide intatto. La protesi più riuscita è probabilmente quella non vincolata con due misure della testa e steli di diversa lunghezza e diametro. Uno studio condotto su 265 pazienti su Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 29 un periodo di 44 mesi rileva che l’emiartroplastica e la sostituzione totale di spalla producono effetti simili in termine di miglioramento delle funzioni motorie; ma il sollievo dal dolore, la possibilità di movimento e la soddisfazione del paziente è migliore in caso di sostituzione totale di spalla. Una tecnica usata prevede, invece, l’artroplastica della coppa, che preserva il tronco dell’osso e non viola il canale omerale. Questo comporta vari potenziali vantaggi, in quanto minimizza il rischio di fratture postoperatorie, e rende più semplice la successiva revisione in quanto la testa dell’omero non è stata rimossa nella operazione di partenza. 3- Gomito La protesi di gomito è generalmente costituita da un giunto a cerniera con moto di rotazione in un solo piano e che vincola stabilmente il componente omerale e quello ulnare. I due componenti sono vincolati alle ossa dell'arto superiore mediante l'uso di fittoni cementati o non cementati. Protesi più recenti non hanno il vincolo bilatero costituito dall'appoggio fra due superfici cilindriche. Anche la sostituzione del gomito è diventata sempre più diffusa con un ugualmente ampio numero di protesi basato sul concetto di assemblaggi vincolati, semi-vincolati o non vincolati. I più diffusi sono quelli non vincolati. La sostituzione della sola testa del radio non è molto diffusa. Uno studio condotto indica dolore nullo o molto lieve nel 97% dei casi, con risultati funzionali soddisfacenti riportati nel 90% dei pazienti. Le protesi non vincolate e quelle semi-vincolate danno entrambi buoni risultati, con 86% dei pazienti soddisfatti. 4- Polso e articolazione tibio-tarsica Queste due articolazione sono molto complesse sia per i movimenti che consentono, sia per il numero di ossa che coinvolgono. Esistono alcune soluzioni tecnologiche che sono in genere molto limitanti nella mobilità articolare ed il loro uso clinico non è molto diffuso. 5- Articolazioni delle dita Ogni dito ha tre articolazioni che sono controllate da tendini e legamenti in modo da non cedere sotto carichi di compressione. Il movimento di tali articolazioni è abbastanza complesso. La chirurgia necessaria per trattare le patologie degenerative è quello di praticare un'artroplastica resecando le estremità della articolazione, ma in tal modo si perde la stabilità e la capacità di sostenere i carichi. Esistono pertanto delle protesi che semplicemente distanziano le superfici articolari, che realizzano il movimento articolare con un giunto cilindrico o con l'interposizione di un materiale elastico flessibile. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 30 Esercizio 3.1 Calcolare gli sforzi e le deformazioni indotte su un osso sano nelle condizioni di appoggio bipodalico e monopodalico per un individuo di altezza 1.80 m e massa pari ad 80 kg, sapendo che la massa di ciascuna gamba è 10 kg. Si assuma, per la superficie della testa del femore, un valore pari a 10 cm2. Soluzione La forza agente sulle articolazioni in condizione di appoggio bipodalico è pari al peso del corpo meno quello delle gambe (massa di una gamba Mg = 10 kg). O P F F Figura 3.1 Distribuzione delle forze nell’appoggio bipodalico. Per cui risulta: FTOT = P − 2 ⋅ Pg = (M − 2 ⋅ M g )⋅ g = (80 − 2 ⋅10 ) ⋅ 9.8 = 588 N quindi su ciascuna articolazione grava una forza F pari, circa, a 300 N. Lo stress si ricava dalla relazione: σ= FTOT 300 = = 0.3MPa A 10 ⋅10 − 4 dove A è l’area della testa del femore. Per determinare le deformazioni bisogna conoscere il valore del modulo elastico dell’osso per le direzioni longitudinale e trasversale. Direttamente dalla tabella delle proprietà meccaniche: E y = 17GPa E x = 12GPa essendo ε = σ si ottengono le rispettive deformazioni: E σ 0.3 ⋅10 6 εy = = = 0.017 ⋅10 −3 m = 0.017 mm 9 E y 17 ⋅10 εx = σ 0.3 ⋅10 6 = = 0.025 ⋅10 −3 m = 0.025mm 9 E x 12 ⋅10 Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 31 La forza agente sulle articolazioni in condizione di appoggio monopodalico è pari al peso del corpo meno quello della gamba che poggia a terra: F = P − Pg = ( M − M g ) ⋅ g = (80 − 10) ⋅ 9.8 = 686 N ≅ 700 N 45° F Fx Fy Figura 3.2 Distribuzione delle forze nelle appoggio monopodalico. Supponendo che il baricentro si sposti rispetto alla verticale a formare un angolo di 45°, le due componenti Fx e Fy valgono: Fy = F ⋅ cos( 45) = 495 N Fx = F ⋅ sin( 45) = 495 N Quindi risulta: σ= Fx 495 = = 0.495 MPa A 10 −3 0.495 ⋅10 6 σ = = 0.029 ⋅10 −3 εy = 9 Ey 17 ⋅10 εx = σ 0.495 ⋅10 6 = = 0.041 ⋅10 −3 9 Ex 12 ⋅10 Esercizio 3.2 Riferendosi per i dati all’esercizio 3.1, determinare lo spostamento della testa del femore in un secondo dovuto alla componente orizzontale della forza F. Supponendo che la forza tensile generata da un muscolo sia di T = 90 N/cm2 (uguale in tutte le direzioni), si calcoli, l’area di ancoraggio del muscolo sull’osso. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 32 Soluzione Lo spostamento della testa del femore in un secondo dovuto alla forza orizzontale sarebbe: .. Fx = m ⋅ x .. da cui x = 490 m s2 10 risolvendo si ottiene x(t ) = x0 + v0 t + at 2 ovvero x(t ) = at 2 . 1 2 1 2 Infine x = ⋅ 49 ⋅ (1)2 ≅ 25m . 1 2 Per reggere la spinta Fx, i muscoli abduttori devono dell’anca devono avere una superficie di ancoraggio data da: Am = Fx 490 = ≅ 5cm 2 T 90 Tale superficie risulta di circa 5 cm2, dimensione che si avvicina abbastanza a quella reale di 7 cm2. Esercizio 3.3 Si vuole impiantare una protesi non cementata fatta in lega CrCoMo con acetabolo in polietilene. La velocità di usura dell’accoppiamento testina in lega CoCrMo e cotile in polietilene è circa 0.15 mm l’anno. Mentre per l’accoppiamento testina in allumina e cotile in polietilene è circa 0.05 mm. Determinare il tempo di vita di un cotile spesso 3 mm. Soluzione 3 = 20anni 0.15 3 2. T = = 60anni 0.05 1. T = si ottiene una durata del cotile, rispettivamente, 20 o 60 anni, se la persona non si sottopone a sforzi eccessivi dopo l’impianto. Esercizio 3.4 Calcolare le deformazioni all’interfaccia protesi-osso, in condizioni di appoggio bipopodalico, sapendo che la lunghezza dello stelo della protesi è 10 cm mentre il raggio è 1 cm. Per i dati si faccia riferimento all’esercizio 3.1 Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 33 Soluzione Nel caso di appoggio bipopodalico la forza agente è 300 N. Dalle tabelle si ricava un modulo elastico per la lega CoCrMo pari a 230 Gpa. Avendo assunto per la superficie della testa del femore il valore 10 cm2 si ottiene: σ= Fx 300 = = 0.3MPa A 10 ⋅10 − 4 0.3 ⋅10 6 ε= ≅ 10 −6 (deformazione della testina in lega CoCrMo). 9 230 ⋅10 Considerando la testina come una sfera di raggio 0.9 cm si ha un allungamento effettivo dato da: ( ) r − r0 = r0 ⋅ ε = 0.9 ⋅10−2 ⋅10 −6 = 0.009µm. Per la testina in allumina, essendo il modulo elastico 400 Gpa, la deformazione risulta: ε= 0.3 ⋅10 6 ≅ 0.75 ⋅10 −6 . 9 400 ⋅10 L’allungamento vale: ( ) r − r0 = r0 ⋅ ε = 0.9 ⋅ 0.75 ⋅10 −6 ≅ 0.007µm. La distribuzione delle deformazioni non è omogenea, ma ci sono punti soggetti a maggiore o minore sforzo caratterizzati da una diversa attività osteoclastica. In fase di progetto, si considera sempre il caso peggiore, cioè che tutto il peso si scarichi sullo stelo della protesi: σ= F Astelo = F 2πrstelo h ≅ 0.05MPa con Astelo ≅ 60cm 2 . Le deformazioni dell’osso sono: σ 5 ⋅10 4 εy = = = 2.9 ⋅10 − 6 9 E y 17 ⋅10 Capitolo 1 εx = L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 34 σ 5 ⋅10 4 = = 4.1 ⋅10 − 6 9 E x 12 ⋅10 la deformazione dello stelo è: 5 ⋅10 4 εp = ≅ 0.22 ⋅10 −6 9 230 ⋅10 ( )( ) l y − l 0 y = l0 y ⋅ ε = 10 ⋅10 −2 ⋅ 0.22 ⋅10 −6 ≅ 0.022 µm. Da questi calcoli si può vedere come le deformazioni del sistema protesi-osso sono minori di almeno un ordine di grandezza di quello dell’osso sano. Esercizio 3.5 Valutare le deformazioni nel caso in cui la precedente protesi venga fissata con uno strato di cemento dello spessore di 0.5 cm. Soluzione Dalle tabelle si ricava un modulo elastico per il cemento di 2 Gpa. Le deformazioni dello stelo e della testina sono uguale a quelle dell’esercizio precedente. Per il cemento si ha: ε cemento = σ E cemento 0.05 ⋅10 6 = = 0.025 ⋅10 −3 = 250 ⋅10 −6. 9 2 ⋅10 ( )( ) l yc − l 0 yc = l0 yc ⋅ ε c = 10 ⋅10 −2 ⋅ 250 ⋅10 −6 = 25µm. La deformazione dell’osso diviene: σ= 300 ≅ 0.032 MPa 2πrc h 0.032 ⋅10 6 εy = = 1.88 ⋅10 − 6 ≅ 2 ⋅10 −6. 9 17 ⋅10 Esercizio 3.6 Determinare gli sforzi e le deformazioni nell’osso prima dell’applicazione di una protesi di spalla, assumendo 10 kg per la massa della testa e 5 kg per la massa del braccio. La superficie della testa dell’omero è 5 cm2. Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 35 Soluzione Sulle spalle grava il peso della testa, quindi la forza che agisce sull’articolazione, in caso di arto rilassato, è data da: P F = t + Pb ⋅ g = 98 N ≅ 100 N 2 σ= F Aom ero = 100 = 0.2 MPa 5 ⋅10 − 4 La deformazione lungo l’asse verticale risulta: σ 0.2 ⋅10 6 = 10 −5 = 0.1. εy = = 9 E 17 ⋅10 Esercizio 3.7 Supponiamo che l’arto sia spostato di 45o rispetto alla verticale. Determinare le componenti della forza agente sull’articolazione e lo spostamento della testa dell’omero in un secondo dovuto alla componente orizzontale di tale forza. Supponendo che la forza tensile generata da un muscolo sia di T = 90 N/cm2 (uguale in tutte le direzioni) si calcoli, l’area di ancoraggio del muscolo sull’osso. Soluzione Le forze agenti sull’articolazione sono : Fx = Fy = 100 ⋅ 2 ≅ 70 N 2 quindi: .. Fx = m ⋅ x ed infine: x(t ) = 1 2 70 at = ⋅ (12 ) = 7 m 2 2⋅5 la superficie di ancoraggio è data da: Am = Fx 70 = = 0.7cm 2 . −4 T 90 ⋅10 Esercizi Proposti Capitolo 1 L’osso e le sue proprietà meccaniche ed elettromeccaniche 36 Esercizio 3.8 Si vuole impiantare una protesi di spalla press-fit in lega CrCoMo a struttura cilindrica; la lunghezza dello stelo è 10 cm mentre il raggio è 5 mm. Determinare le deformazioni nell’osso e nella protesi. Esercizio 3.9 Un bambino di 10 anni, altezza 1.2 m, pesa 40 Kg. Il peso di una gamba è 5 kg, la superficie della testa del femore 5 cm2. Si programma che la sua attività media giornaliera sia: camminare 10 km, correre 2 km, salire le scale 10 volte (abita al primo piano, due rampe di scale da 10 scalini ciascuna). I carichi medi per queste attività sono : camminare……………………5 volte il peso su 100 m (500 volte il peso al giorno); correre………………………...8 volte il peso su 100 m (1800 volte il peso al giorno); salire e scendere le scale…….. 7 volte il peso a scalino (2800 volte il peso al giorno); Supponendo che i carichi si sommino tutti, cioè si considerano applicati tutti contemporaneamente e che il bambino non cresca, calcolare quanto può durare, in tali condizioni, una protesi progettata per questo bambino. Esercizio 3.10 Nell’appoggio monopodalico la pelvi viene mantenuta orizzontalmente grazie alla contrazione degli abduttori. Determinare il valore della forza esercitata dagli abduttori per un individuo di altezza 1.80 m e massa pari a 80 kg, sapendo che la massa di ciascuna gamba è 10 kg. Si assuma un sistema di riferimento con origine sulla testa del femore rispetto al quale il braccio di azione della forza gravitazionale è 11 cm mentre quello della forza esercitata dagli abduttori è 8.5 cm. Esercizio 3.11 La valutazione del tenore presente nel corpo umano dei componenti per le leghe più usate per impianti, a seguito della corrosione, avviene attraverso la relazione sperimentale QT = Q0 + ( ) R 1 − e −kt , dove QT è la quantità di metallo nell’organismo al K tempo t (in giorni), Q0 la quantità presente prima dell’impianto, R la velocità di passaggio in soluzione del metallo K il coefficiente di eliminazione. Determinare la superficie di una testina in lega CrCoMo (fusa) per una protesi d’anca la cui durata prevista è 7 anni, sapendo che il cromo, per non indurre risposte allergiche, deve mantenersi nel sangue in una concentrazione non superiore a 0.3 ng/ml. Si assuma per il cromo della lega una velocità di corrosione di 0.015 mg/cm2 al giorno, un Q0 pari a 50 ng e per K 0.011 g-1. Determinare la quantità QT di cromo se la testina ha una superficie di 60 cm2.