Comments
Transcript
SCHEDA TECNOLOGICA: Empire State Building
1ª Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari Sede di Bari Corso di Laurea triennale in Ingegneria Civile Corso di ARCHITETTURA TECNICA prof. Vincenzo NUZZOLESE Anno Acc. 2007/2008 SCHEDA TECNOLOGICA: Empire State Building A cura di Tommaso COLUCCI 1 Localizzazione geografica dell’edificio 2 EMPIRE STATE BUILDING L’Empire State Building è il grattacielo simbolo di New York. Quando venne portato a termine nell’Aprile del 1931, questo edificio, che era il più alto del mondo, infranse ogni record. Con i suoi 381,61 mt superava l’originale coronamento del Chrysler Building di ben 60,96 mt (fig. 1) e la cuspide del Manhattan Company Building al n° 40 di Wall Street (fig. 2), terzo edificio più alto nel 1930, di oltre 91 mt. Di proporzioni gigantesche, metteva a disposizione 195.090 mq di superfici da affittare, in confronto ai 78.965 mq del Chrysler Building ed ai 111.480 mq del secondo edificio per uffici più grande della città, l’Equitable Building (fig. 3), un autentico colosso della Downtown negli anni precedenti fig. 1 la prima guerra mondiale. fig. 2 fig. 3 Il dato più stupefacente dell’Empire State, in ogni caso, è la velocità con cui è stato progettato e costruito. Ci sono modi differenti per descrivere tale impresa. Il 7 Aprile 1930, appena sei mesi dopo la posa dei primi pilastri portanti, lo scheletro in acciaio svettava fino all’85° piano. I lavori di costruzione e finitura dell’edificio, compreso il pilone di ormeggio che ne portava l’altezza all’equivalente di 102 piani, vennero terminati solo undici mesi dopo, nel Marzo del 1931. Ancor più sorprendente, tuttavia, è il fatto che l’Empire State venne progettato, eretto e messo a disposizione degli inquilini in soli ventuno mesi, dal primo contratto firmato con gli architetti nel Settembre 1929 alla festa d’inaugurazione il 1° Maggio 1931. In tutto questo periodo vennero preparati i disegni architettonici e le piante, demolito il precedente blocco di epoca vittoriana dell’hotel Waldorf-Astoria sul lotto che avrebbe dovuto poi ospitare il grattacielo, scavate e posate le fondazioni ed i telai di fondazione, fusi e laminati, secondo precise specifiche, i pilastri e le travi in acciaio (qualcosa come 57.000 tonnellate), posati dieci milioni di mattoni ordinari, fusi più di 47.400 mc di c.l.s, montate 6.400 finestre ed installati 67 ascensori in 11,27 km di vani appositi. Nei periodi di attività più intensa, il cantiere occupava 3.500 operai e lo scheletro cresceva di oltre un piano al giorno. Da allora, nessuna struttura paragonabile ha mai fatto registrare un simile tasso di crescita. Due fattori permisero di rispettare questo incredibile programma: un approccio progettuale orientato al lavoro di squadra, che coinvolse direttamente architetti, proprietari, costruttori ed ingegneri nella pianificazione e nella risoluzione dei problemi, nonché il genio organizzativo del general contractor, la Starrett Brothers and Eken. Nel suo Skyscrapers and the Men Who Build Them del 1928, William (Bill) Starrett ha scritto: “la costruzione dei grattacieli è l’equivalente più prossimo della guerra in tempo di pace (…). L’analogia con la guerra è data dalla lotta contro gli elementi. Le fondazioni sono progettate nel terreno lungo i grattacieli svettanti già esistenti. Acqua, sabbie mobili, roccia e fanghi argillosi ci sbarrano la strada verso le rocce di fondazione. Il traffico romba in alto sopra le nostre teste nelle affollate strade principali, e le metropolitane, le condutture del gas e dell’acqua, le linee elettriche e quelle, più delicate, dei telefoni e dei segnali, chiedono di non essere disturbate per non rischiare di sconvolgere il sistema nervoso di una grande città. Procurarsi i materiali vicini e lontani e gestire tutte le migliaia di operazioni che servono a completare l’insieme, sono le attività principali dei costruttori dei grattacieli. La conoscenza dei trasporti e del traffico dev’essere sfruttata in modo che l’edificio possa essere realizzato partendo da autocarri che sostano nelle strade a grande scorrimento di traffico: qui non vi sono ampi spazi di stoccaggio, ma soltanto una manciata scarsa di materiali che hanno bisogno di un rifornimento costante; si vive ora per ora. Ma tutto fila liscio e nei tempi, in accordo con un programma messo a punto attentamente; il servizio di rifornimento in questa guerra in tempo di pace e l’organizzazione della costruzione, e questi uomini sono i soldati di un grande sforzo creativo”. Nel penultimo capitolo di Changing the Skyline, Paul Starrett ha scritto: “La storia dell’Empire State Building è davvero un’epitome di tutte le vicende precedenti. In poche pagine essa narra dello spirito, 3 dell’immaginazione e dell’audacia tecnica, ma anche qualcosa della frenesia che animarono il decennio di cui esso costituì il culmine”. Il boom edilizio, iniziato nel 1923, subì un’accelerazione nel corso del decennio. In quegli anni il volume totale degli spazi per uffici di Manhattan si trovò quasi raddoppiato, ed allo skyline della città si aggiunsero più di cinquanta edifici di almeno 35 piani ciascuno. Nella Midtown, specialmente di fianco al grande nodo dei trasporti di Grand Central Terminal, sorsero tra gli altri il Chryler, il Chanin (fig. 4), il Lincoln (fig. 5) ed il Daily News Building (fig. 6). Le città crescono a scatti, conosciuti come cicli della proprietà immobiliare, e gli edifici più elevati solitamente sorgono al termine di ciascun ciclo. A metà del ciclo di New York, intorno al 1925-26, i maggiori grattacieli contavano in media tra i 30 ed i 40 piani, ma alla fine del decennio gran parte dei nuovi edifici erano di 40-45 piani, anche quando sorgevano su siti abbastanza limitati. L’ondata più consistente di nuove costruzioni si ebbe tra il 1929 ed il 1931. Questi tre anni videro, oltre all’Empire State, dieci nuove cuspidi di 50 o più piani, tra cui quella del Chrysler Building con i suoi 77 piani, del 40 Wall Street di 70 piani (fig. 7) e del Cities Service Building (noto anche come 60 Wall Street o 70 Pine Street), alto 67 piani (fig. 8). fig. 5 fig. 4 fig. 6 fig. 8 fig. 7 Le ragioni primarie dell’infittirsi dei progetti e della loro crescita in altezza vanno ricercate nell’escalation del prezzo dei terreni e nel facile accesso ai finanziamenti. Quando gli operatori immobiliari pagano grandi somme per un lotto di terreno, sono costretti a sovrapporre molti piani sullo stesso lotto per poter abbassare il costo del terreno per ciascun piano. Il prezzo del terreno è un fattore di grande rilievo in quella complessa equazione della proprietà immobiliare conosciuta come altezza economica, che dà come risultato il numero di piani che una società immobiliare deve costruire per ottenere il massimo ritorno rispetto alle somme investite. Torri sempre più alte richiedono, infatti, una maggiore quantità di fondazioni, di acciaio per le strutture, di controventature, di impianti ed, in particolare, più ascensori con i relativi vani. Per ogni grattacielo esiste così un numero limite di piani oltre il quale i canoni di affitto riscossi per ulteriori piani aggiuntivi non giustificano i costi addizionali da sostenere, tanto che il proprietario avrà guadagni maggiori costruendo un edificio più basso: questo numero di piani rappresenta appunto l’altezza economica dell’edificio. Anche se l’Empire State Building è spesso menzionato come un edificio di 102 piani, in realtà ne ha solo 85 ed è alto 320,04 mt, ma è sormontato da una torre che oggi ha una funzione essenzialmente ornamentale: il c.d. “pilone di ormeggio” per i dirigibili (figg. 9 e 10), il quale si sviluppa per altri 60,96 mt, l’equivalente di 17 piani (pur non essendo presenti, all’interno di questa struttura in metallo, delle strutture orizzontali). fig. 10 4 fig. 9 fig. 12 fig. 11 Nella torre per uffici (figg.11 e 12), i piani che vanno dal 1° all’80° sono serviti dalle batterie principali di ascensori; per raggiungere invece i piani che vanno dall’80° all’85°, nonché la piattaforma di osservazione corrispondente all’85° piano, i visitatori devono trasbordare su ascensori dalla corsa separata ma più breve. Questi piani superiori erano utilizzati originariamente per gli uffici dei proprietari e come zone di servizio. In altre parole, l’Empire State fu progettato come un edificio per uffici di 80 piani: e questa era effettivamente la sua altezza economica. I primi disegni resi pubblici dell’Empire State (fig. 13) raffiguravano un edificio di 80 piani, dalla copertura piana, troncato appena al di sotto del traguardo dei 305 mt. Nel Novembre del 1929 i proprietari e gli architetti aggiunsero 5 piani addizionali e concepirono il pilone di ormeggio di 60,96 mt che avrebbe garantito il record. Questa altezza superlativa costituì ben più di un semplice vanto; la piattaforma di osservazione garantì infatti degli incassi considerevoli: durante il primo anno essa fece guadagnare infatti circa un milione di dollari, ossia una somma pari a quella incassata affittando le superfici interne dell’edificio. L’Empire State non era soltanto più alto di tutti gli altri grattacieli, ma era decisamente più grande quasi sotto ogni aspetto. La superficie affittabile netta era di 195.090 mq rispetto ai soli 78.965 mq del Chrysler Building o ai 78.500 mq del 40 Wall Street. La superficie dei piani della torre era di circa 1.672 mq, in rapporto con i 733,91 mq ed i 752,49 mq degli altri due edifici. Vi erano 64 ascensori passeggeri invece dei 32 e dei 41 presenti rispettivamente negli altri due grattacieli. Lo scheletro d’acciaio pesava 57.000 tonnellate rispetto alle 21.000 tonnellate del Chrysler Building ed alle 18.500 del 4 0 Wall Street. fig. 13 La tavola pubblicata sul “Fortune” del 1930 (fig. 14) nella quale l’Empire State è raffrontato con la Torre Eiffel, con il Chrysler Building, col 40 Wall S t r e e t , con il Woolworth B u i l d i n g, con la Metropolitan Life Tower e con il New York Life Insurance Company Building, dà un’idea delle dimensioni senza precedenti dell’Empire State, nonostante raffiguri lo slanciato fronte est-ovest dell’edificio piuttosto che le più ampie facciate nord e sud. Dopo esser stato l’edificio più alto del mondo per quarant’anni, l’Empire State venne superato negli anni ’70 prima dalle Twin Towers del W.T.C., poi dalla Sears Tower di Chicago. 5 fig. 14 Cuspidi di carta Le ragioni delle notevoli dimensioni dell’Empire State sono state soprattutto economiche e, forse, in parte dovute anche ad una certa superbia. Concepito nel 1929, l’edificio era un sintomo della febbre speculativa che spingeva al rialzo sia la borsa che l’altezza dei grattacieli. La strategia era quella di far ricorso ad una scala che lo rendesse quasi autonomo, quasi una “città nella città”. L’edificio è stato perciò progettato per ospitare 25.000 persone, una popolazione temporanea di circa 40.000 abitanti ed un massimo di 80.000. Come osservò un giornalista di “Fortune”, “era un gesto davvero spettacolare. Se (i proprietari) avessero avuto ragione, sarebbero riusciti a (…) lasciare il segno sul centro della metropoli. Se avessero avuto torto avrebbero sentito nelle orecchie i fischi degli esperti per tutto il resto della loro vita”. In effetti gli uomini che crearono l’Empire State Building non erano certo degli esperti di proprietà immobiliare. I maggiori investitori furono Pierre S. du Pont, dell’antica famiglia di industriali del Delaware, e John Jacob Raskob, un milionario fattosi da sé, che aveva cominciato la propria carriera come segretario personale di du Pont e che aveva poi risalito tutti i ranghi della compagnia fino a diventare uno dei direttori della General Morors, nonché uno degli uomini più facoltosi del Paese. Molti dei loro ricchi soci d’affari erano investitori e facevano parte del consiglio di amministrazione della compagnia, ma Raskob era l’unico coinvolto direttamente nella progettazione dell’edificio. Il volto pubblico del progetto era quello dell’ex governatore di New York, Alfred E. Smith, che fu ingaggiato come presidente della società immobiliare (la società The Empire State Incorpored venne costituita ufficialmente il 5 Settembre 1929) con un contratto da 50.000 dollari l’anno. Se questi gentlemen avessero avuto più confidenza col mondo degli investimenti immobiliari, non avrebbero avuto il coraggio di erigere un edificio così grande tra la 5th Avenue e la 34^ Strada (fig. 15), Se, come si suol dire, i tre fattori più importanti nella proprietà immobiliare sono la posizione, la posizione e la posizione, l’Empire State rischiava di trovarsi in serio svantaggio. Non sorgeva infatti in un quartiere di uffici, né era ben servito dalla ferrovia o dalle linee della sotterranea. La 5th Avenue, tra la 23^ e la 42^ Strada, era principalmente un distretto a bassa densità votato allo shopping, fiancheggiato da negozi eleganti che traevano vantaggio da una frequentazione delle strade fig. 15 intensa ma legata per lo più al tempo libero. L’edificio più alto nelle immediate vicinanze era l’International Combustion Building, completato nel 1928, che nonostante occupasse l’intera metà di un isolato era troncato al 27° piano. Il gruppo guidato da Raskob non rastrellò un po’ alla volta il terreno necessario, ma lo acquisì approfittando del fallimento di un’altra società immobiliare. Sarebbe errato pensare che il gruppo iniziò il progetto con l’intenzione di erigere il grattacielo più alto del mondo. Piuttosto, l’idea si sviluppò da sola, guidata più da calcoli economici che dalla pura ambizione. Nel tracciare la storia del sito dell’Empire State, il modello consueto della trasformazione di Manhattan da città residenziale a bassa densità, in città ad uso commerciale intensivo, è stato grossolanamente sopravvalutato. A partire dal 1850, eleganti dimore e chiese coronate da guglie abbellivano quest’area lungo la 5th Avenue, che ai primi dell’800 era ancora campagna. Sul fianco occidentale dell’Avenue, tra la 33^ e la 34^ Strada, si trovavano le vicine case Astor, in cui l’aristocrazia sociale di New York, i cosiddetti Quattrocento, attendevano ai loro sfarzosi divertimenti. 6 Negli anni ’70 dell’800, il quartiere cominciò a mutare in direzione delle funzioni commerciali, ma la prima intrusione significativa nell’omogeneità del tessuto residenziale fu l’hotel Waldorf con i suoi 12 piani (fig. 16), costruito nel 1893 in corrispondenza della metà sud dell’isolato Astor. Nel 1897 venne edificato l’hotel Astoria (fig. 17), molto più alto; i due edifici furono uniti per diventare il Waldorf-Astoria, centro di eleganza e di savoir vivre celebre in tutto il mondo. fig. 17 fig. 16 A metà degli anni ’20 tuttavia, molti newyorkesi, attratti dall’era del jazz, iniziavano a considerare il vecchio isolato di età vittoriana un po’ fuori moda, e per l’edificio iniziarono le difficoltà economiche. Incapaci di resistere alla tentazione costituita dalla crescita esponenziale del valore del loro terreno, i proprietari annunciarono che avrebbero costruito un nuovo moderno hotel su un intero isolato nei quartieri eleganti della città, intorno a Park Avenue. Nel Dicembre 1928, la “Real Estate Record and Builder’s Guide” riferiva della vendita del Waldorf-Astoria Hotel alla Bethlem Engineering Corporation, di cui era presidente Floyd Brown, e pubblicava un disegno prospettico (fig. 18) raffigurante, quasi su un’intera pagina, l’edificio di 50 piani che la proprietà si proponeva di costruire sul lotto. Il costo di 14 milioni di dollari (quasi 17 con le spese addizionali di affitto) era il più elevato dell’anno. Il disegno dello studio di architettura Shreve and Lamb mostrava un edificio con una base massiccia, arretramenti multipli ed una torre non molto sviluppata. Veniva descritto come una struttura ad uso misto, con 185.800 mq di superfici d’affitto, i 25 piani inferiori dedicati a negozi e loft, ed i 25 superiori dedicati ad uffici. fig. 18 E’ possibile che Brown, che vantava una formazione da architetto e che aveva sviluppato altri grandi progetti, avesse l’intenzione di erigere direttamente l’edificio, o che invece pensasse di cedere i suoi progetti ad altri investitori. Un mese prima aveva pagato 100.000 dollari per un’opzione sulla proprietà, e stabilito per contratto di versare altri 2,5 milioni di dollari in contanti in due rate. Egli adempì al primo pagamento ma non anche al successivo. Il 30 Aprile 1929, il giorno prima della scadenza del versamento, venne costituito un sindacato per rilevare il contratto di Brown e costruire sul lotto; l’organizzatore era Louis G. Kaufman, presidente della Chatham and Phenix National Bank and Trust, dalla quale proprio Brown aveva ottenuto in prestito 900.000 dollari per la prima rata prevista dal suo contratto. I cambi di proprietà a metà di un accordo erano frequenti nell’edilizia speculativa, e causati in genere da errori nel garantirsi i finanziamenti o da un’opportunistica ricerca del profitto. Un operatore immobiliare localizzava una proprietà adatta alla costruzione di un grande edificio e si assicurava un’opzione pagando una somma di denaro sufficiente a mantenere il possesso del lotto per un anno o versando un deposito, cosiddetto di garanzia, su un contratto di vendita. Poi incaricava un architetto di preparare una prospettiva di grande effetto visivo, che veniva inviata ai giornali insieme ad un comunicato stampa. Tanta pubblicità 7 attraeva spesso brokers immobiliari che conoscevano, o speravano di trovare, un facoltoso cliente interessato ad un edificio di tali proporzioni. La possibilità di ritorni alti, le somme limitate necessarie per iniziare un affare, nonché la relativa facilità nell’assicurarsi i finanziamenti per procedere alla costruzione, stimolarono ulteriormente un mercato speculativo già in piena fioritura. Alcuni lotti cambiarono proprietario anche più di quattro volte prima di essere edificati, rendendo possibile, come osservato da William Starrett, “realizzare profitti senza dare un solo colpo di vanga”. I nuovi proprietari immobiliari disponevano di molti più mezzi. Nell’estate del ’29, Kaufman propose a du Pont e a Raskob di diventare i principali azionisti della società immobiliare, proposta che venne accettata. Inizialmente i piani procedettero secondo il progetto originale di Brown, che prevedeva un edificio a destinazione mista, ma presto si prese in considerazione un importante cambiamento di programma: la trasformazione della struttura in una torre ad uffici di grande altezza, di “classe A”. In una lettera di accordi inviata a Kaufman il 28 Agosto 1929, Raskob confermava la partecipazione propria e di du Pont all’investimento, ed allegava una pagina di dati in cui si paragonavano i costi ed i guadagni stimati di due possibili alternative, un edificio di 55 piani ed uno di 80. Il primo avrebbe raggiunto un volume complessivo di 820.990 mc, sarebbe costato 45 milioni di dollari ed avrebbe generato un reddito dovuto agli affitti, di 5,12 milioni di dollari, producendo un ricavo lordo sui costi totali pari all’11,4%. Il secondo avrebbe messo a disposizione 30.657mq aggiuntivi di spazio affittabile, generando un reddito complessivo di 6,3 milioni di dollari, ovvero un ricavo lordo del 12,6%. Si stimava che l’edificio più alto avrebbe fatto incassare un altro milione di dollari in più di affitti, il che appariva un argomento valido per spingere gli investitori a rischiare. I dati riportati nella lettera di Raskob del 28 Agosto erano basati su formule standard applicate al mercato immobiliare, non su uno specifico progetto di costruzione. In realtà, dall’acquisizione della proprietà fino alla costituzione dell’Empire State Incorporated, avvenuta il 5 Settembre 1929, gli unici piani esistenti per l’edificio furono finanziari, non architettonici. I differenti schemi venivano descritti soltanto in termini numerici: piani, metri cubi, costi operativi e redditi da affitto stimati. A tali relazioni non erano allegati disegni, né se ne faceva alcuna menzione. Nella lettera, Raskob osservava che uno dei prossimi passi avrebbe dovuto comportare la scelta di un architetto che redigesse un progetto. Il 29 Agosto, Al Smith annunciò ufficialmente alla stampa che la società avrebbe eretto l’edificio più alto del mondo sul sito dell’hotel Waldorf-Astoria. Quello che era iniziato come un progetto per un blocco di uffici e loft di grandi dimensioni, ma anonimo e di altezza media, si era trasformato in una vera e propria impresa, pensata per catturare l’attenzione del mondo. Oltre al piano economico, furono molti i fattori che diedero forma all’edificio prima che gli architetti cominciassero a progettarlo: in particolare le enormi dimensioni del lotto, i regolamenti urbanistici della città e la rapidità del programma di costruzione. L’Empire State poté raggiungere dimensioni così notevoli perché il lotto su cui sorgeva era circa il doppio di quello dei maggiori edifici della Midtown. Una volta riunite, le particelle di terreno dell’hotel Waldorf-Astoria e dell’Astor Court formarono un lotto lungo 60 mt, ossia quanto l’intero isolato (fig. 19), sulla 5th Avenue, che si estendeva per 129 mt ad ovest lungo la 33^ e la 34^ Strada. Un lotto di tali dimensioni, cioè di quasi due acri (0,81 ettari), era insolito nei distretti di edifici commerciali; a parte gli isolati che in seguito diedero origine al Rockefeller Center (concepito alla fine del 1929 - fig. 20), gli unici siti ad esso paragonabili erano i lotti che occupavano interi isolati su Madison S q u a r e , su cui sorgevano i quartieri generali delle compagnie di assicurazione New York Life e Metropolitan Life. fig. 19 fig. 20 La dimensione dei lotti influenzò fortemente la progettazione dei grattacieli dopo il 1916, quando la prima legge urbanistica della città introdusse dei vincoli alle forme degli edifici commerciali. Prima di tali norme, gli edifici generalmente crescevano perpendicolari rispetto alle linee di confine dei lotti per 20, 30 e persino 40 piani, trasformando molte strade in veri e propri canyon privi di luce. Per preservare una certa quantità di luce ed aria, la legge introdusse un nuovo concetto nel vocabolario dell’urbanistica, quello di sviluppo per zone. Si trattava di una formula (anzi, di cinque formule differenti) che limitava e definiva la quota ed il volume degli edifici alti, imponendo ad ogni edificio, una volta raggiunta una quota massima verticale sul livello del marciapiede (in genere pari a 38 o 46 mt), di arretrare progressivamente in linea con una 8 diagonale proiettata dal centro della strada antistante. Era permesso costruire una torre di altezza illimitata solo se si occupava un quarto del lotto. Quest’ultima condizione aveva una conseguenza importante, perché rendeva i siti grandi particolarmente appetibili per le compagnie immobiliari, dal momento che la loro ampiezza dava la possibilità di erigere torri di proporzioni remunerative. Il grande lotto dell’Empire State consentiva la costruzione di una torre con una superficie netta di circa 1.858 mq, che lasciava ampio spazio per gli ascensori ed i locali di servizio così come per uffici ampi e ben illuminati. Un’altra limitazione che influì sul progetto dell’Empire State, fu la richiesta dei proprietari di completare l’edificio entro il 1° Maggio 1931. Tale programma era dettato dalle consuetudini in campo immobiliare tipiche degli anni ’20, epoca in cui i canoni d’affitto erano annuali e decorrevano proprio dal 1° Maggio. Gli edifici dovevano essere quindi completati entro quella data, pena la perdita del ricavato degli affitti di un anno. Inoltre i costi correnti degli interessi e delle tasse per l’Empire State vennero stimati in 10.000 dollari al giorno. Il risultato fu che su quasi ogni decisione da prendere relativamente alla progettazione ed alla costruzione dell’Empire State, gravava la necessità di operare in fretta. L’interazione tra tutti questi fattori diede luogo ad una complessa equazione che influenzò la forma finale dell’edificio. La decisione di erigere l’Empire State, nonché di conferirgli una certa forma ed altezza, venne presa basandosi sui dati riportati sulla carta, assecondando le regole della proprietà immobiliare, le norme urbanistiche e le esigenze della finanza, ancor prima che qualsiasi consulente venisse incaricato di produrre un progetto. Come riassunto da un articolo comparso su un numero del 1930 di “Fortune” ed intitolato Paper Spires, “Tutti questi elementi disegnavano il perimetro di un solido geometrico dalla strana forma, delimitato da un lato da un terreno di 7.790,60 mq, da un altro da 35 milioni di dollari, da un altro dalla legge della diminuzione dei profitti, da un altro dalle leggi della fisica e dalle caratteristiche della struttura in acciaio, da un altro dalle esigenze coniche delle ordinanze urbanistiche, e da un altro ancora dal 1° Maggio 1931”. Un progetto risultante da aspetti così disparati non poteva certo essere gestito unicamente da uno studio di architetti. Era necessaria la collaborazione di un team di esperti, che comprendesse proprietari, costruttori, architetti, ingegneri impiantistici e strutturali, consulenti in ascensoristica ed agenti immobiliari, in primo luogo per definire il problema, quindi per risolverlo. Progettazione in team I responsabili si misero all’opera con grande rapidità per formare i rispettivi team. I primi ad essere incaricati furono gli architetti Shreve, Lamb ed Harmon, che avevano sviluppato la proposta originaria del blocco di uffici e loft per Floyd Brown. Tutti e tre erano grandi esperti nella costruzione di grattacieli e responsabili dell’edificazione di un gran numero di torri nella città, tra cui il quartier generale newyorkese della General Motors ed il 500 Fifth Avenue, fratello dell’Empire State, alto 60 piani (fig. 21). La loro era una società commerciale di successo, abituata a lavorare con grandi compagnie ed operatori immobiliari dediti ad interventi speculativi. Il secondo passo fu la selezione del costruttore. Erano poche le imprese costruttrici che potessero vantare un’esperienza sufficiente in operazioni di questa scala e disporre del capitale necessario a coprire gli elevati costi delle attrezzature e del lavoro. Nella sua autobiografia, Paul Starrett racconta che oltre alla propria, vennero contattate altre quattro grandi società quali la George A. Fuller Company, la Thompson-Starrett, la Marc Eidlitz and Son e la Turner Construction. fig. 21 Durante il colloquio che dovette sostenere, Paul Starrett spiegò perché la propria società fosse la più qualificata, e citò i successi più recenti dell’impresa: i grattacieli per la New York Life Insurance ed il complesso lavoro svolto per il 40 Wall Street, in procinto di essere completato proprio allora in tempi record. Egli assicurò che l’impresa Starrett Brothers and Eken sarebbe stata in grado di demolire il Waldorf-Astoria e di consegnare un edificio finito in diciotto mesi, e chiese un compenso forfetario di 600.000 dollari. L’incarico gli fu offerto per 500.000 dollari, ed egli accettò dopo aver richiesto alcune variazioni negli accordi assicurativi e di finanziamento. Una lettera del 13 Settembre confermò l’accordo, ed il 20 Settembre 1929 venne firmato il contratto. La demolizione del Waldorf ebbe inizio quattro giorni più tardi. Sin dal principio i proprietari, gli architetti ed il costruttore lavorarono congiuntamente per sviluppare il programma di edificazione. Questo metodo permise di evitare l’insorgere di disguidi nel progetto e di costosi ritardi nella costruzione, e di ottenere economie significative durante il processo di progettazione. Come 9 spiegò Shreve, la complessità insita nella realizzazione di grandi edifici commerciali richiedeva competenze che andassero oltre quelle possedute tradizionalmente dagli architetti o da ciascuna delle singole figure professionali coinvolte nel progetto. Tutti i dettagli dell’edificio furono esaminati in anticipo e stabiliti prima di essere inseriti nel progetto. Il gruppo teneva riunioni regolari, lavorando a stretto contatto con i consulenti sui problemi tecnici. Queste sessioni iniziali di pianificazione occuparono circa quattro settimane nel Settembre 1929, e diedero come risultato un elenco completo di requisiti tecnici, di piano ed economici per il progetto. Tali linee guida divennero il programma essenziale per l’edificio. Spiegava William Lamb: “Il programma era abbastanza ridotto: un budget fisso, uno spazio massimo di 8,53 mt tra le finestre ed i corridoi, realizzare quanti più piani possibile con questo spazio, esterni in pietra calcarea e data di completamento il 1° Maggio 1931, cioè un anno e sei mesi dopo l’inizio dei disegni”. All’interno di questo programma semplificato, il team cercò di elaborare il progetto più efficiente ed in grado di generare la massima rendita, sviluppando numerose versioni che differivano per volumi ed altezze, ciascuna suffragata da una stima dei costi. La 17^ versione, denominata “progetto K”, fu approvata durante una riunione del comitato esecutivo il 3 Ottobre 1929. Oltre a riportare ulteriori cambiamenti, compresa la variazione del numero di piani e l’aggiunta di un pilone di ormeggio per i dirigibili, questo schema stabiliva anche la distribuzione dei volumi, la pianta e le proporzioni dell’edificio; in fig. 22 sono riportate le piante del pian terreno e di tre livelli tipo. Il punto fondamentale del progetto definitivo era l’esigenza che gli spazi per gli uffici non fossero più profondi di 8,53 mt, misura che costituiva uno standard immobiliare. Per tutta la prima metà del ‘900, la luce naturale ha costituito il mezzo principale per illuminare le postazioni di lavoro, oltre che il fattore più importante nella definizione delle dimensioni e del layout degli uffici standard. fig. 22 La redditività dipendeva dalla creazione di ampie finestre e di alti soffitti, che permettevano alla luce del sole di penetrare all’interno degli edifici per la via più diretta possibile. I soffitti erano alti tra i 3 ed i 3,65 mt, mentre le finestre dovevano essere il più possibile ampie senza risultare troppo pesanti da aprire, ed in genere erano larghe tra 1,22 e 1,52 mt ed alte tra 1,83 e 2,44 mt. Tali vincoli riguardavano le piante dei vari piani, oltre che la forma complessiva dell’edificio. Una grande quantità di spazio al centro, reso il più compatto possibile, contiene i sistemi di circolazione verticale, i servizi igienici, i vani ascensori ed i corridoi. Intorno a questo si trova un’area perimetrale che ospita gli uffici ed è profonda 8,53 mt (v. fig. 22). Le dimensioni dei piani diminuiscono di pari passo col decrescere del numero degli ascensori. I quattro gruppi di elevatori a tragitto lungo sono collocati al centro dell’edificio, mentre i gruppi di ascensori a tragitto breve si affiancano lungo i lati est ed ovest in modo che, quando questi terminano la propria corsa, l’edificio si restringe passando in pianta dalla forma allungata del lotto a quella quadrata del pilastro. Il risultato è che, invece di essere una torre collocata su una serie di arretramenti progressivi come prescritto dalle leggi urbanistiche, l’edificio diventa un’unica torre che si eleva su un grande basamento di 5 piani. Dunque la forma compatta dell’Empire State rappresenta l’espressione diretta delle piante dei suoi piani (v. fig. 22). Gli arretramenti segnalano il livello al quale termina la corsa dei vari ascensori, mentre l’altezza è limitata dall’area centrale necessaria per gli elevatori. La collocazione precisa degli arretramenti al 20°, al 24° ed al 29° piano era anch’essa richiesta dalle norme urbanistiche. Gli spazi interni dei grattacieli non nascono già ripartiti in uffici separati, ma rappresentano ambienti indifferenziati che vengono poi suddivisi e completati nelle finiture a partire dal momento in cui ogni spazio trova un inquilino. La pianta di ogni piano è studiata in modo da permetterne facilmente la suddivisione in un numero ottimale di singoli uffici. Negli anni ’20, il sistema strutturale a pilastri, rivelatosi più efficiente, richiedeva un passo di distanza tra i pilastri di circa 5,50-6,00 mt, il ché permetteva di ricavare due uffici per campata. Le campate erano larghe generalmente 2,75-3,00 mt e comprendevano una finestra pienamente utilizzabile. Nessun ufficio veniva 10 affittato senza finestre, necessarie a garantire, oltre alla luce naturale, anche la ventilazione dei locali stessi. La dimensione delle singole unità di uffici e l’intervallo tra le finestre, determinavano in larga parte la trama delle facciate. L’altezza dell’edificio fu un’altra questione che venne risolta grazie alla collaborazione tra i team. Quando gli architetti elaborarono gli studi preliminari, scoprirono che 85 piani di uffici corrispondevano più o meno all’altezza che poteva essere raggiunta con il denaro disponibile. Studi effettuati sugli impianti di risalita dimostrarono anche che quel numero di piani rappresentava il limite massimo di operatività efficiente ed economica per gli ascensori da installare in un edificio simile. In altre parole, l’altezza e la bellezza dell’Empire State Building derivano da considerazioni strettamente pratiche. Il processo, tuttavia, era più complicato. Come già osservato in precedenza, l’altezza economica di un grattacielo deriva da un calcolo complesso, che prende in considerazione molti fattori. Gran parte dei costi relativi all’altezza sono imputabili alla necessità di sistemi di circolazione verticale efficienti; ma per quanto gli ascensori siano molto dispendiosi da costruire e da far funzionare, il costo maggiore risiede nello spazio che i loro vani sottraggono a quello da affittare. Il parametro secondo cui si valuta un edificio di classe A è il suo servizio di ascensori, stimato sulla base della velocità delle cabine e, soprattutto, del tempo massimo di attesa, che nel corso del ‘900 è diventato di 25-30 secondi. Dato che aggiungere nuovi piani ad una torre richiede un maggior numero di ascensori, diventa necessario ridurre lo spazio per gli uffici ai piani inferiori. Gli architetti Shreve e Bassett Jones, dello studio di ingegneri impiantistici Meyer, Strong & Jones, spiegarono come il progetto dell’edificio e del sistema di ascensori si evolvesse attraverso gli incontri con il proprietario, con gli architetti, con gli ingegneri ed i costruttori, nonché con i produttori degli impianti, la Otis Elevator Company. Era un problema che coinvolgeva infatti la progettazione delle strutture in acciaio, le fondazioni, i fori nei solai, le luci dei vani e l’impianto elettrico, nonché il coordinamento di tutti gli attori coinvolti. L’elaborazione appropriata e simultanea dei progetti per l’edificio, per lo scheletro in acciaio e per gli ascensori, permise di evitare l’errore comune di cercare di inserire un impianto di risalita in un edificio la cui distribuzione interna ed il cui disegno dello scheletro d’acciaio erano già predefiniti. Ciò significa che i requisiti spaziali dell’impianto di sollevamento furono stabiliti prima di dare avvio al progetto strutturale. Considerando l’ampiezza della superficie e della sezione della torre dell’Empire State ed il sistema di risalita proposto – cabine ad un solo piano ad alta velocità per ogni vano, con tutte le cabine che partivano dal livello della strada –, si concluse che il limite pratico del sistema corrispondeva ad 80 piani. Di comune accordo, il team decise che per ottenere un maggior equilibrio tra un servizio efficiente di ascensori ed uno spazio di uffici ben illuminato, fosse necessario ridurre la base dell’edificio a 5 piani, al di sopra dei quali l’edificio avrebbe subìto un arretramento considerevole (18 mt; v. fig. 23). fig. 23 Al 4° piano l’area sfruttabile economicamente è di circa 6.410 mq; al 5° piano si riduce a 2.787 mq. In questo modo si è ottenuta una grande quantità di luce e di aria in tutti i piani, nonché un’ampia superficie sfruttabile economicamente ai 5 livelli inferiori, cosa che, grazie alla lunghezza ridotta della corsa, permetteva di servire tali piani con una batteria limitata di grandi ascensori. Le caratteristiche degli ascensori influirono dunque sulla forma dell’edificio in relazione sia all’altezza che al volume. La definizione dell’altezza dell’Empire State ebbe quindi poco a che fare con i vincoli ingegneristici e molto, invece, con le questioni economiche. I disegni della facciata e del suo sistema finestra-parapetto-parete procedettero in modo simile, dal punto di vista del buon senso, della semplicità d’uso e dell’economia e, soprattutto, della necessità di ottenere la massima rapidità di posa in opera. Il guscio dell’edificio avrebbe dovuto esprimersi come involucro e non, invece, come elemento strutturale portante. A tal fine si pensò ad un sistema composto da montanti in acciaio inossidabile, pilastri rivestiti in pietra calcarea, parapetti in alluminio fuso e finestre in metallo a traversa fissa. Il progetto era innovativo sotto molti aspetti; lo scopo era quello di standardizzare il più possibile i componenti, creando una sorta di kit di elementi che avrebbe reso più rapida sia la produzione che la posa 11 in opera; su un totale di 5.704 parapetti di metallo si ebbero, ad esempio, solo diciotto varianti. Le specifiche per alcuni di questi elementi richiesero nuove forme specializzate, e vennero formulate attraverso una stretta collaborazione tra il team ed i costruttori. Per esempio, la forma da dare all’acciaio al cromo-nichel utilizzato nei montanti continui e nel pilone di ormeggio, implicava la determinazione della lunghezza e della larghezza dei fogli che potevano essere laminati ed ottenuti; la possibilità di dare forma al foglio sulla pressa; il metodo di giunzione e di irrigidimento; la relazione tra la forma del metallo e le superfici esterne delle pareti, le velette delle finestre, le soglie ed i montanti ed i parapetti; i sistemi per fissare la forma di metallo allo scheletro della struttura, così come la finitura e la durevolezza della superficie lucente. Dato che gli architetti, i costruttori ed i subappaltatori non ritenevano di avere la competenza sufficiente per formulare da soli tali specifiche, coinvolsero i subfornitori che dovevano laminare il materiale, i rappresentanti delle officine metallurgiche che dovevano produrlo, gli operai che avrebbero dovuto posarlo in opera e gli ispettori incaricati di testare i fogli ai vari stadi di preparazione. Lo spettacolo messo in scena dal costruttore Tra le imprese di New York, la Starrett Brothers and Eken era la più importante nelle costruzioni di grattacieli. Anche se la ditta non figurava tra i cinque colossi (“the big five”) in termini di volume totale di nuove edificazioni, essendo specializzata in progetti a grande scala era abituata a competere per le commesse maggiori. Quando iniziò la costruzione dell’Empire State, Paul Starrett operava nel settore delle costruzioni già da più di quarant’anni, ed il fratello Bill da più di trenta. Paul iniziò la propria carriera nel 1888, lavorando come assistente nello studio di architettura Burnham & Root, dove rimase per sei anni, seguendo da vicino molti lavori importanti tra cui i due padiglioni per l’Esposizione colombiana del 1893. Nel 1897 entrò nella Gorge A. Fuller Company, dove ottenne l’incarico di supervisore di numerosi ampi progetti in varie grandi città. Dotato di un considerevole talento, presto Paul si trovò a capo della sede newyorkese della società, ricoprendo la carica di presidente per diciassette anni. Bill Starrett invece, cominciò la sua carriera nel settore delle costruzioni come controllore delle ore di lavoro per la Fuller Company. Dal 1901 al 1913 lavorò alla Thompson-Starrett, diretta dal maggiore dei suoi fratelli, Theodore. Durante la prima guerra mondiale organizzò la sezione del Ministero delle industrie belliche, che si occupava delle costruzioni di emergenza, realizzando con grande rapidità basi militari, ospedali e campi di volo. Tornato alla Fuller Company a lavorare col fratello Paul, fu promosso ad un ruolo direttivo. Per ragioni diverse, nessuno dei due fratelli in quel periodo era soddisfatto della direzione presa dalla propria carriera. Bill, impulsivo ed ambizioso, deciso a costituire una nuova società di costruzioni, chiese al fratello Paul di dirigerla. Nel 1922 i due fratelli crearono una propria società; ad essi si unì subito Andrei J. Eken, uno dei vicepresidenti della Fuller, per il quale Paul nutriva una grande stima personale. L’impresa si presentò pubblicamente con la denominazione Starrett Brothers and Eken, e nel giro di pochi anni si collocò tra i colossi dell’industria edile. Un general conctractor veniva incaricato di seguire tutte le operazioni. Con un contratto di questo genere, un proprietario affidava ad una singola agenzia i progetti e le specifiche di capitolato di un edificio; dal canto suo, l’agenzia si impegnava a fornire, entro un tempo prefissato, una struttura completa pronta per l’ingresso degli inquilini. Il contractor, oltre a finanziare il lavoro di mese in mese, mentre il proprietario gli versava una frazione delle spese effettive man mano che il lavoro procedeva, si occupava anche dell’acquisto e dell’assemblaggio dei materiali, assegnava direttamente i subappalti, aveva la facoltà di eseguire direttamente alcune opere come le fondazioni, le murature, la struttura in acciaio ed i lavori di carpenteria e di falegnameria. Supervisionava ed amministrava il tutto, e salvaguardava il proprietario da qualsiasi imprevisto. Il ruolo fondamentale del general contractor consisteva quindi nel provvedere ad una gestione efficace e centralizzata per coordinare le varie imprese, i materiali ed il denaro, controllando i tempi del lavoro e sincronizzando le singole attività secondo un piano determinato A maggior ragione un’elevata capacità di gestione era fondamentale per la Starrett Brothers and Eken, poiché l’impresa lavorava sempre dietro compenso fisso anziché utilizzare il sistema, preferito da molte altre ditte, basato sul ricarico dei costi. Quando il costruttore percepisce un onorario fisso, deve valutare i costi in modo molto accurato, poiché il costo di ritardi, gli ordini non evasi o altri errori di calcolo, vanno tutti a danno dei profitti della compagnia; viceversa, ogni somma risparmiata si trasforma in guadagno. Per l’Empire State, l’appalto concesso a Paul Starrett per 600.000 dollari (ed il compenso di 500.000 dollari negoziato alla fine) era basato su pochi dati in più rispetto al volume di 962.540 mc previsto dai proprietari. La lunga esperienza di Paul nell’industria edile e la sua perfetta conoscenza dei costi di costruzione, gli permisero di accettare quel compenso ben prima di avere a disposizione un disegno architettonico o un capitolato. Delle stime più dettagliate dei costi vennero poi preparate nella fase della cosiddetta buyout, che consisteva nell’incaricare le ditte subappaltatrici. La Starrett Brothers and Eken impiegò direttamente 1.928 unità e 1.511 subappaltatori, per un totale di 3.439 persone. 12 Paul Starrett scrisse che, in seguito all’accurata pianificazione del team di progettazione, “il nostro lavoro era ripetitivo: acquisto, preparazione, trasporto in cantiere e posa in opera degli stessi materiali nello stesso rapporto tra loro, di continuo. Come osservato dall’architetto Shreve, il lavoro era simile ad una catena di montaggio di elementi standard”. La difficoltà principale consisteva nel tenere in movimento quella catena di montaggio, alimentando continuamente, con i materiali, il lavoro delle persone, il cui numero poteva aumentare costantemente. Per tenere il passo, i materiali dovevano giungere in cantiere secondo un programma preciso. Ciò era necessario non soltanto per gli elementi dello scheletro in acciaio, che dovevano essere collocati nel punto specifico per il quale erano stati fabbricati e laminati, ma anche per i materiali impiegati su grande scala, come i 10 milioni di mattoni comuni ed i 5.605 mc di pietra calcarea utilizzati nell’edificio. Dato che per questi materiali non esistevano delle aree di stoccaggio, era necessario movimentarli una sola volta, dall’autocarro su cui erano arrivati, fino al livello in cui dovevano essere utilizzati, generalmente entro tre giorni. Il pian terreno dell’edificio venne lasciato libero da strutture provvisorie, sì che gli autocarri potessero introdurvisi per scaricare i loro materiali. Durante la fase più intensa dei lavori di costruzione, furono circa 500 gli autocarri che ogni giorno depositarono il loro carico all’interno dell’edificio. Ciò corrispondeva a circa un autocarro al minuto, considerando un giorno lavorativo di otto ore e senza contare il sollevamento degli elementi strutturali in acciaio per mezzo di gru esterne. Per la movimentazione dei materiali necessari alla costruzione dell’Empire State, vennero adottate diverse innovazioni come, ad esempio, dei carrelli sospesi, una decauville (figg. 24 e 25) e dei vagoncini (a bilico: figg. 27-28, ed a pianale: fig. 29) per i mattoni. I materiali venivano dunque manipolati e distribuiti per mezzo di vagoncini industriali su binari a scartamento ridotto, che seguivano esattamente il perimetro di ogni piano (v. figg. 24 e 25). I binari attraversavano le piattaforme dei montacarichi, cosicché i vagoncini, caricati ad esempio al piano interrato, potevano essere trasportati velocemente sul montacarichi fino al piano dove servivano, e scaricare i materiali quasi nel punto in cui dovevano essere di fatto utilizzati. I mattoni che arrivavano in cantiere al livello del pian terreno, venivano scaricati, nel piano interrato, in apposite grandi casse dal fondo inclinato, le c.d. tramogge: i mattoni scorrevano attraverso uno sportello e cadevano all’interno dei vagoncini dopo essere stati completamente bagnati (fig. 27). Col sistema di trasporto tradizionale si riuscivano a trasportare su una piattaforma standard solo due cariole per viaggio, contenenti appena 100 mattoni ciascuna. Con i vagoncini industriali e con lo stesso montacarichi invece, si potevano trasportare 400 mattoni per viaggio. fig. 25 fig. 24 fig. 28 fig. 27 fig. 28 13 I quattro “battistrada” della costruzione (ossia gli elementi dell’edificio condizionanti l’intero programma di costruzione) furono la struttura in acciaio, i solai in c.l.s. armato, le finiture esterne in metallo con i parapetti in alluminio, e le parti esterne in pietra calcarea. Per la posa in opera della muratura in pietra vennero eliminate completamente le solite gru. Gli autocarri arrivavano direttamente all’interno dell’edificio con i blocchi di pietra all’interno di casse. Contrassegnata con la sezione dell’edificio cui era destinata, ogni cassa veniva scaricata dall’autocarro per mezzo di una piccola gru, fissata ad una monorotaia sospesa al soffitto, e caricata sui carri-pianale della decauville (fig. 30). Una volta portate al piano di destinazione, le pietre venivano scaricate quasi nel punto esatto in cui dovevano essere posate. Al sollevamento di tutte le pietre necessarie all’interno dell’edificio, furono adibiti due montacarichi. Sfruttando il sistema detto non solo ci fu un anticipo di due settimane sul programma di posa delle pietre, ma per un periodo di 10 giorni consecutivi si raggiunse una meda di 1,4 piani al giorno. fig. 30 Vennero stabiliti però anche altri record. Per la struttura in acciaio, il tempo guadagnato fu pari a 12 giorni. I solai in acciaio vennero terminati con 4 giorni di anticipo sul programma. Il rivestimento esterno in metallo ed i parapetti in alluminio fuso, vennero completati il 17 Ottobre 1930, 35 giorni prima della data prevista del 1° Dicembre. Il tempo guadagnato per gli elementi in pietra calcarea del rivestimento esterno e per il loro sostegno in mattoni, fu di 17 giorni. Con i sistemi ideati dai costruttori e con la collaborazione orchestrata di architetti, ingegneri e produttori, si costruì l’Empire State Building con quasi 2 milioni di dollari in meno rispetto al costo stimato originariamente. Il costo finale dell’edificio fu pari a 25 milioni di dollari. L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO La conquista dei record L’Empire State Building, simbolo maestoso dell’intraprendenza e dell’efficienza del suo tempo, è stato il risultato di un processo. Con la sua altezza spettacolare ed il suo aspetto architettonico degno di nota, esso rappresenta il vertice del boom dei grattacieli degli anni ’20. Ma la qualità più sorprendente di questa torre, mai superata da nessun altro edificio successivo, è però la velocità della sua costruzione, basata sull’impressionante logistica in cui i fratelli Starrett ed il loro socio Eken erano molto esperti. Quando la struttura fu terminata nel 1930, i 318,52 mt da terra alla copertura principale ed i 381,61 mt fino al culmine del pilone di ormeggio, erano si un record ma non rappresentavano un salto di scala significativo. La maggior parte della gente considerava però l’Empire State una bella costruzione, al di là della sua altezza. L’Empire State fa parte di una serie di edifici a grande altezza eretti negli anni ’30 in uno stile moderno, con gli interni organizzati attorno ad una disposizione degli ascensori e ad un sistema di accesso per i locatari, sicuramente efficienti; tuttavia il suo stile, i dettagli e la distribuzione interna, anche se ben concepiti, non erano eccezionali per quei tempi. Ciò che in realtà rimane insuperato nell’Empire State è il fatto che venne completato, dallo scavo delle fondazioni all’entrata degli inquilini, in meno di un anno. Si tratta di una velocità di costruzione già invidiabile per qualsiasi grande struttura, ma davvero incredibile se paragonata ad un edificio di tale altezza realizzato su un lotto soffocato nel centro della congestionata Midtown di Manhattan. La struttura: scheletro, solai e facciate La forma primaria della struttura dell’Empire State riflette la tecnologia dell’epoca, ossia la lezione appresa dalla progettazione e dalla costruzione di migliaia di edifici a scheletro d’acciaio di minore altezza in quel periodo. Nessuna parte della struttura principale era eccezionale; lo scheletro d’acciaio, i solai in c.l.s. armato e gli impianti tecnici che permettevano di utilizzare l’edificio, erano del tutto simili a quelli adottati in altri edifici, sebbene avessero uno sviluppo significativamente maggiore. La struttura costruttiva dell’Empire State può essere suddivisa in tre elementi principali: lo scheletro, i solai e le facciate. Altri elementi, come ad esempio gli ascensori o gli impianti idraulici, sono fondamentali per il 14 funzionamento quotidiano del grattacielo, ma non per la sua identificazione come edificio. Senza ascensori sarebbe molto faticoso raggiungere l’80° piano, ma non esisterebbe un 80° piano senza solai. Lo scheletro dell’Empire State (fig. 31) è costituito da elementi d’acciaio giuntati per mezzo di chiodi. Sebbene non si trattasse di una tecnica particolarmente originale per gli edifici elevati, all’epoca questo costituiva il metodo più sperimentato degli ultimi trentacinque anni. La struttura in acciaio va citata per prima, e non solo per una questione di precisione cronologica. Gli altri tre “battistrada” erano i solai ed i due componenti principali dei fronti esterni. Non solo la posa in opera di questi elementi dipendeva direttamente dallo sviluppo dello scheletro d’acciaio, ma la loro stessa localizzazione era meno evidente per il pubblico. Chiunque invece, anche senza alcuna esperienza di costruzioni, poteva osservare lo scheletro svilupparsi in altezza fino al cielo e valutare la velocità della costruzione. Nell’Empire State le travi ordinarie che sorreggono i solai ed i pilastri più stretti (quelli verso la sommità dell’edificio) hanno fig. 31 fig. 32 tutti la forma a I, nota come sezione ad ala larga (fig. 32). Il disegno delle travi che reggono i solai è indipendente dal livello a cui ciascuna trave viene utilizzata. Al contrario, la forma data ai pilastri varia a seconda dei carichi, allargandosi verso la base del grattacielo. Ai piani superiori non vi sono grandi differenze a livello dimensionale tra le sezioni ad ala larga delle travi e quelle dei pilastri, mentre ai piani intermedi ed a quelli inferiori le travi sono identiche a quelle della sommità. Ai piani intermedi i pilastri sono costituiti da elementi con sezione ad ala larga più pesanti. Alla base dell’edificio (figg. 33, 34 e 35), le sezioni ad ala larga più grandi che si riuscivano a produrre nel 1930 erano troppo ridotte per sopportare il peso dei piani superiori, cosicché i pilastri sono composti da sezioni relativamente piccole chiodate insieme. Questa tecnica, di largo impiego prima che fossero disponibili sezioni ad ala larga maggiori, divenne progressivamente più rara durante gli anni ’20, quando le acciaierie cominciarono a sfornare sezioni sempre più grandi. Alcuni dei pilastri collocati alla base del grattacielo erano gli elementi di acciaio più pesanti mai utilizzati, fino ad allora, nella costruzione degli edifici. Se questo rappresenta solo uno dell’enorme numero di primati statistici conquistati dall’Empire State, risulta tuttavia direttamente legato al carattere eccezionale dell’edificio: la dimensione dei pilastri è infatti una regola approssimativa per valutare l’altezza dell’edificio. fig. 33 15 fig. 34 fig. 35 Gli elementi in acciaio giungevano in cantiere con gli innesti già applicati, sì da poter essere sollevati immediatamente nella posizione finale (fig. 34) e chiodati alle membrature già esistenti che li circondavano (figg. 36 e 37). fig. 36 I pilastri d’acciaio venivano di solito forniti, come avviene tuttora, in sezioni alte 2 piani, con una giunzione alla base, innesti per le travi a metà ed innesti per le travi ed una giunzione alla sommità (fig. 38). Di conseguenza lo scheletro veniva assemblato 2 piani alla volta, unendo i nuovi pilastri alti due livelli ed i due piani di travi che collegavano i pilastri, a creare una “fila”. Quando tutti i giunti e gli innesti di una fila erano completi, venivano messi in posizione i pilastri della fila sovrastante, ricominciando l’operazione (fig. 38). I problemi con i quali dovettero confrontarsi gli ingegneri dello studio di Homer G. Balcom, responsabili della progettazione dell’ossatura in acciaio, erano risolvibili, anche se non del tutto fig. 38 ordinari. Lo scheletro doveva sopportare i carichi del peso proprio dell’edificio e dei suoi occupanti, resistere alla spinta laterale del vento e fornire dei punti di appoggio per i vari impianti tecnici. L’incremento di scala dell’edificio richiedeva una progettazione più attenta e precisa, ma non grandi cambiamenti negli obiettivi o nel processo. Il pilone di ormeggio, con il carico dovuto ai dirigibili (situazione peculiare dell’Empire State), non era una delle massime preoccupazioni del progetto strutturale, considerando il rapporto tra la dimensione del carico e quella dell’edificio. fig. 37 fig. 39 Il carico orizzontale di un dirigibile ancorato al pilone sarebbe stato infatti di 50 tonnellate, mentre il carico orizzontale del vento che soffiava sulla facciata nord dell’edificio avrebbe superato di molto le 2.000 tonnellate. Paragonata agli irrigidimenti necessari per mantenere l’edificio in verticale quando soggetto al carico del vento, la controventatura ulteriore richiesta dal pilone di ormeggio appariva quasi trascurabile. Una particolarità propria degli edifici di grande altezza si delineò durante i lavori di costruzione: la tendenza a risultare leggermente meno alti di quanto stimato dai costruttori. Un controllo eseguito da E. B. Lovell prima della costruzione sullo scheletro in acciaio, stabilì la quota delle basi dei pilastri sotto la linea di terra. Quando ogni fila di elementi in acciaio veniva collocata in posizione, la sua altezza era nota in anticipo, cosicché quando tutta l’ossatura in acciaio fu completata, la quota di ogni piano rispetto alla linea di terra sarebbe dovuta risultare calcolabile con una semplice operazione aritmetica. La meccanica, branca delle fisica che stabilisce i fondamenti teorici dell’ingegneria strutturale, chiarisce invece perché l’altezza dei vari piani era inferiore a quanto ci si attendeva: ogni cosa si muove quando è posta sotto carico. I pilastri d’acciaio, simbolo di solidità, si accorciano sotto sforzo e, con l’aumentare del carico, cresce anche lo “spanciamento” degli stessi. I pilastri in prima fila, misurati immediatamente dopo la loro collocazione in opera, sarebberoo risultati della stessa lunghezza che avevano originariamente in officina, ma man mano che i vari piani venivano costruiti, e che il “carico morto” si accumulava sotto forma di solai, pareti esterne, partizioni interne ed intonaci, divennero sempre più corti. Certo l’acciaio è particolarmente rigido ma l’effetto detto, per quanto minimo, diventa significativo in un edificio di 85 piani. I fratelli Starrett ed il loro socio Eken, notarono questo risultato mentre erano intenti a coordinare tutte le attività del cantiere. Nel Dicembre del 1930, molto probabilmente da parte dei subappaltatori che stavano completando le batterie di ascensori, fu 16 rilevato che l’84° piano era più basso di oltre 15 cm rispetto a quanto ci si aspettava. I dispositivi di sollevamento dovevano essere infatti calibrati su distanze precise, e dunque richiedevano controlli accurati. Le maestranze che lavoravano in altri settori, come i muratori che posavano i paramenti esterni in pietra calcarea, non si accorsero della discrepanza, poiché avevano a che fare ogni volta solo con frazioni dell’altezza di un piano. Una differenza di circa 0,02 cm per piano passa facilmente inosservata, mentre una di oltre 15 cm no. L’accorciamento dei pilastri richiese una nuova regolazione da parte dei controllori degli ascensori, ma non creò altri problemi o situazioni di pericolo. Questo è un chiaro indicatore del fatto che i grattacieli sono ben più di semplici coacervi di dati dimensionali, e che sono qualitativamente differenti dagli edifici ordinari. fig. 40 Durante le fasi di costruzione, o quando le partizioni interne ed i controsoffitti vengono rimossi per permettere le modifiche dei locatari, i solai sono interamente visibili. Nell’Empire State, dei solai spessi 10 cm, realizzati in c.l.s. additivato con ceneri di carbone ed armato con una rete di ferro (figg. 40, 41, 42 e 43), collegano tra loro le travi d’acciaio e coprono una luce di circa 2 mt. Il suddetto tipo di solai è stato tipico della prima metà del ‘900. La rete costituiva l’elemento chiave della funzionalità dei solai. fig. 41 fig. 43 fig. 42 La sommità delle travi d’acciaio si trova 5 cm più in basso rispetto alla superficie superiore dei solai. La rete di metallo poggia sulla faccia superiore delle travi e poi si incurva verso il basso (v. figg. 40 e 41), in modo che a metà strada tra una trave e quella successiva venga a trovarsi a meno di 2 cm dalla superficie inferiore dei solai. La rete forma una serie di robuste catenarie tese tra le travi ed è perciò in grado di reggere i carichi dei pavimenti come i cavi di un ponte sospeso. Lo stesso solaio è leggero e poco resistente; la robustezza del c.l.s. non è importante quando questo materiale si estende per soli 5 cm tra le maglie della rete. I solai in rete metallica incurvata sono resistenti, leggeri, ignifughi e, dal momento che utilizzano la cenere per supplire alla mancanza di volume, poco costosi. Venivano costruiti erigendo una cassaforma in legno attorno ed in mezzo alle travi, e gettando il c.l.s. (fig. 44). Prima di essere utilizzato nell’ Empire State , tale tipo di solaio aveva subìto perfezionamenti per oltre vent’anni. 17 fig. 44 L’influsso più significativo delle tecniche costruttive sulla progettazione architettonica si può riscontrare nelle facciate le quali, a differenza dei solai-tipo, vennero concepite e progettate in modo speciale, con una particolare attenzione alla velocità ed all’efficienza dell’assemblaggio. La necessità di costruire in tempi ristretti condizionò i dettagli delle stesse, nonché i sistemi utilizzati per la fabbricazione. L’esterno dell’Empire State Building è costituito da un curtain wall, isolato termicamente dal rivestimento non portante (fig. 45). A differenza delle pareti portanti dei primi grattacieli risalenti agli anni ’70 ed ’80 dell’800, i curtain wall, dovendo essere sorretti dall’ossatura in acciaio di ogni piano, non dovevano essere pesanti; ciò elimina qualsiasi carico significativo dovuto al peso della muratura. La resistenza alla spinta del vento è garantita dalle pareti, le quali trasmettono il carico allo scheletro d’acciaio. I curtain wall standard degli anni ’20 erano costituiti da una cortina muraria (in mattoni, terracotta o pietra squadrata) fissata ad una parete di mattoni ordinari e conformata solitamente come un piano verticale continuo con dei “fori” per le finestre. Non c’era alcuna distinzione tra la fascia di muratura superiore, le finestre inferiori (i “pannelli parapetto”) e le strisce verticali di muratura tra le finestre (i “pilastri”). Le finestre ed i parapetti erano irrigiditi dai pilastri in modo da impedire qualsiasi movimento in direzione perpendicolare al piano di facciata, mentre ciascuna sezione muraria scaricava il proprio peso in verticale, sull’ossatura d’acciaio del piano sottostante. Il curtain wall dell’Empire State è un sistema più evoluto, in cui la parete è suddivisa in elementi standard indipendenti e dotati ciascuno di una funzione ben precisa. fig. 45 I pilastri di separazione tra le finestre sono elementi continui di pietra calcarea (fig. 46), agganciati a murature di mattoni ordinari. I pannelli dei parapetti hanno una superficie esterna decorativa in alluminio (fig. 47) fissata su una muratura di mattoni ordinari (fig. 48), che si estende dalla struttura inferiore di ciascun piano fino alla base di ogni finestra (fig. 48). I telai delle finestre partono dalla sommità dei pannelli dei parapetti e raggiungono la superficie inferiore della struttura del piano sovrastante, mascherata a sua volta dall’estremità inferiore dei pannelli in alluminio. fig. 46 fig. 47 fig. 48 18 In corrispondenza dei giunti dei pilastri e delle linee di demarcazione delle finestre e dei parapetti, per rendere solidali tra loro i vari elementi e provvedere alla controventatura laterale delle finestre stesse, sono state montate delle fasce verticali in acciaio inossidabile (fig. 47) . Questo sistema costruttivo contribuì a rendere più veloce l’assemblaggio. I pilastri in pietra calcarea (fig. 46) costituiscono un numero elevatissimo di elementi identici, privi di collegamenti laterali: le fasce in acciaio inossidabile (fig. 47) mascherano i giunti tra i pilastri ed i pannelli dei parapetti, eliminando anche la necessità di qualsiasi collegamento laterale. I bordi laterali nascosti delle lastre di pietra non sono stati rifiniti in quanto non visibili; ciò consentì di risparmiare metà del lavoro di finitura. Il sistema impiegato per le chiusure verticali dell’Empire State Building permise di svincolare chiaramente la funzione di tamponamento verticale da quella, semistrutturale, di autoportanza e di resistenza al vento. Il sistema dei curtain wall appesi allo scheletro in acciaio era poco diffuso. Solitamente, all’epoca, i curtain wall erano sorretti da degli elementi angolari a sbalzo in acciaio che sporgevano dalle travi in corrispondenza degli spigoli dell’edificio e che permettevano di regolare la posizione della parete, ma richiedevano un gran numero di singoli giunti, sotto forma di mensole e di incastri sporgenti. Nell’Empire State invece, alle travi di bordo sono state affiancate delle travi supplementari esterne, facenti anch’esse parte dello scheletro in acciaio, che sorreggono direttamente i setti murari in cotto; ad esse sono inoltre fissati i pilastri ed i pannelli dei parapetti; ciò ha permesso l’eliminazione delle laboriose operazioni di regolazione delle mensole. La sequenza di montaggio delle pareti esterne non solo trasse vantaggio da tali innovazioni, ma trasferì la maggior parte del lavoro dalle impalcature esterne (tradizionalmente impiegate per costruire le facciate) all’interno dell’edificio. fig. 49 Le fasce di acciaio inossidabile vennero collocate 49 1 in opera per prime, fissandole allo scheletro d’acciaio. Quindi vennero posati in opera i pannelli di alluminio dei parapetti ed i paramenti di pietra calcarea (v. fig. 47); infine si procedette alla costruzione delle murature retrostanti in mattoni (v. fig. 48). Una volta installata la finestra sopra la muratura in mattoni, lo spazio interno risultava isolato dalle intemperie e si poteva dare inizio ai lavori di finitura interna. Tali innovazioni hanno dato all’edificio il suo aspetto caratteristico, con le lunghe fasce luccicanti di acciaio inossidabile che si contrappongono alla pietra calcarea di un grigio neutro, ed ai pannelli di alluminio di color grigio scuro. Esse inoltre permisero di rendere più rapido l’assemblaggio della struttura in acciaio poiché, una volta calcolato il peso dei materiali delle pareti, era possibile dimensionare le travi di bordo supplementari ed includerle nelle forniture di acciaio, eliminando ogni necessità di coordinare la produzione delle parti metalliche con l’esecuzione dei dettagli di facciata. 19 Impianti Come tutti gli edifici moderni, l’Empire State è molto più complicato di un semplice volume delimitato da pareti. All’interno dell’edificio infatti, corrono le canalizzazioni che portano l’energia elettrica alle prese utilizzate dagli affittuari ed alle apparecchiature incorporate nell’edificio, nonché le condutture per il vapore che alimenta i radiatori, i condotti che fanno affluire l’aria pulita negli ambienti dei grandi piani inferiori, e le tubature dei servizi igienici. Cinquantotto ascensori servono i vari piani e necessitano di sale macchine contenenti motori e controllori, situate su 7 differenti livelli. Gli ingegneri incaricati di progettare tutti questi impianti, si trovarono di fronte a problemi già noti, accresciuti però dalle dimensioni del progetto. Era necessario pompare l’acqua fino ai serbatoi collocati ai piani 20°, 30°, 45°, 63° ed 84°, progettare ascensori che tenessero conto del peso dei cavi nei vani, abbassare il voltaggio dell’energia elettrica proveniente dalle linee di conduzione primarie e suddividerla in maniera da poterla utilizzare a ciascun piano. Si doveva immettere, filtrare e distribuire l’aria attraverso i condotti di ventilazione senza creare un rumore eccessivo o correnti d’aria troppo forti. Nessuno di questi compiti era nuovo, ma era necessario adattare le soluzioni standard a delle situazioni straordinarie. Il progetto degli impianti elettrici fornisce un buon esempio degli effetti prodotti dal puro e semplice salto di scala sulla configurazione degli impianti. Vi era ben poca differenza tra i problemi generati dalla dimensione dell’opera e quelli relativi alla programmazione dei lavori. In un grattacielo di dimensioni inferiori, l’energia elettrica ad alto voltaggio fornita dalle linee primarie che corrono sotto le strade, viene ridotta ad un voltaggio intermedio al piano interrato e poi trasportata ai vari piani dell’edificio per mezzo di una colonna montante. Ad ogni piano, un secondo trasformatore alloggiato in una cabina elettrica in corrispondenza del montante, abbassa ulteriormente il voltaggio fino ai valori standard di 110/220 Volt, di cui beneficiano gli affittuari. Nel 1930 questo sistema era già stato ampiamente sperimentato, ed è ancora oggi in uso. Nell’Empire State, tuttavia, esso avrebbe richiesto montanti a voltaggio intermedio dalla sezione estremamente ampia ed obbligato a tracciare un grande numero di condutture dalle cabine elettriche alle varie zone dei singoli piani. Introducendo un paio di modifiche nel progetto, gli ingegneri impiantistici della Meyer Strong & Jones risolsero entrambi i problemi, considerando effettivamente l’edificio come una combinazione di più edifici. In primo luogo essi utilizzarono due montanti, collocati alle estremità opposte del nucleo degli ascensori, per ridurre il numero dei cavi di distribuzione all’interno di ciascun piano. In secondo luogo, impiegarono dei cavi ad alto voltaggio per raggiungere i trasformatori situati al 40° ed all’83° piano, che supportavano quelli presenti al 2° livello interrato. L’introduzione, anche ai piani superiori, di condutture ad alto voltaggio (che solitamente restavano confinate al piano interrato), permise di mantenere ad una dimensione accettabile la sezione dei montanti. La concomitanza di queste due scelte progettuali trasformò in effetti l’edificio in un aggregato di sei edifici più piccoli, affiancati a due a due e sovrapposti per tre volte. Ulteriori miglioramenti della pratica corrente ottennero l’effetto complessivo di rendere più rapida la posa degli impianti elettrici. Solitamente le condutture di distribuzione degli impianti a soffitto, correvano all’interno dei solai strutturali e si piegavano verso la superficie superiore del solaio quando incontravano una trave, e verso la superficie inferiore quando dovevano scavalcare un altro impianto. Nell’Empire State, le condutture hanno invece un percorso rettilineo, cosa che richiede l’utilizzo di scatole di giunzione più profonde dell’ordinario, in corrispondenza degli impianti ed all’intersezione tra le varie linee, ma elimina lo sforzo di piegare le condutture in modo che fuoriescano dal piano orizzontale. La creazione di condutture rettilinee rese più rapida anche la fase, solitamente più lenta, della posa delle linee elettriche ai vari piani, ossia l’introduzione dei cavi all’interno delle condutture, dato che qualsiasi curvatura subita da queste ultime avrebbe rallentato l’operazione e creato dei punti in cui il cavo stesso avrebbe rischiato di rimanere bloccato. Situazioni analoghe si riscontrarono durante l’installazione delle tubature, degli ascensori e delle apparecchiature per la ventilazione. In ogni caso, due questioni di primaria importanza preoccupavano i costruttori ed i progettisti: garantire che gli impianti funzionassero al meglio come negli edifici di minor altezza, e semplificare la prassi ordinaria per poter rispettare i tempi di cantiere programmati. La razionalizzazione della costruzione La logistica è sempre stato il fattore determinante per il successo di ogni progetto edilizio di grande respiro. Gli architetti possono impiegare anni ad elaborare particolari il più possibile perfetti, ma senza un piano di costruzione adeguato, i loro pur dettagliati studi si rivelano vani. Nell’Empire State, in cui i tempi erano molto compressi, risultava ancor più essenziale disporre di un piano di costruzione accurato. A differenza dei problemi concretamente definiti di fronte a cui si trovano i progettisti, i costruttori devono fare i conti, in genere, con fattori esterni che vanno al di là di ogni possibilità di controllo: la disponibilità dei materiali, le oscillazioni dei costi del lavoro e della manodopera ed, elemento più importante, il trasporto dei materiali. Movimentare i materiali fino alla posizione definitiva, rimuovere gli scarti di lavorazione e raggiungere le maestranze nel punto in cui operano, possono essere obiettivi difficili da conseguire 20 nell’organizzazione di un progetto a grande scala, in particolare quando l’accesso al cantiere è limitato. Un edificio in costruzione non ha ancora una dotazione completa di scale ed ascensori, di passaggi ben definiti e chiaramente delimitati, o anche semplicemente una porta d’ingresso. Problemi comuni alla costruzione di qualsiasi edificio, vengono ulteriormente amplificati dalla congestione tipica del centro di una città, e trovano dei corrispettivi persino nella storia: una delle leggi edilizie più antiche che si conosca è quella che vieta il passaggio quotidiano dei carri per il trasporto dei materiali da costruzione lungo le strade della Roma imperiale. La tecnologia moderna può aver migliorato l’efficienza dei trasporti e la velocità di costruzione, ma ha anche moltiplicato la quantità di materiali che devono essere trasportati nel cantiere di un edificio, nonché la complessità del lavoro da eseguire. Se la logistica era diventata la preoccupazione determinante nel corso della costruzione, era possibile costruire un’attività di successo provvedendo ad un’organizzazione migliore del cantiere. Se non appare esagerato affermare che ogni aspetto del processo di costruzione dell’Empire State era guidato dalla necessità di un sistema di trasporto efficiente, per comprenderne la ragione è necessario fare riferimento ai problemi che si presentavano ai costruttori, adottando il loro punto di vista. I documenti relativi all’ossatura in acciaio mostrano che il programma aveva un carattere di front-load, per usare il linguaggio della moderna gestione cantieristica: più della metà del lavoro doveva cioè essere svolto prima della metà del tempo previsto. Il ritmo delle fasi iniziali era perciò più importante di quello della fine, poiché il tempo perso a causa dei primi contrattempi non avrebbe potuto essere recuperato senza essere costretti ad aumentare in maniera sproporzionata la velocità di costruzione. Lo scheletro dell’Empire State è formato da circa 57.000 tonnellate di acciaio. La forma dell’edificio (fig. 50) e la sezione dei pilastri si adattavano reciprocamente in modo da velocizzare l’assemblaggio dell’ossatura. In conformità alla legge urbanistica di New York, l’edificio subisce vari arretramenti a partire dagli angoli del lotto, cosicché i piani inferiori hanno sostanzialmente una superficie molto più estesa rispetto a quelli superiori. Allo stesso tempo i pilastri dei piani inferiori sono molto più pesanti di quelli dei piani superiori. Queste due caratteristiche, combinate assieme, fanno sì che il peso dell’acciaio si concentri ai piani inferiori. I limiti temporali del piano per il montaggio dello scheletro d’acciaio erano la posa dei primi pilastri strutturali al 2° piano interrato (fig. 51), da effettuarsi il 7 Aprile 1930, ed il coronamento dell’ossatura principale dell’edificio, previsto per il 22 Settembre dello stesso anno (fig. 50). Il 9 Luglio, circa a metà del periodo di costruzione, le tonnellate di acciaio collocate in opera erano circa 30.000, cioè approssimativamente metà del totale. Metà dei componenti d’acciaio, tuttavia, portava lo scheletro soltanto al 19° piano. Il 1° Agosto erano state montate circa 46.000 tonnellate, ovvero l’80% dei componenti d’acciaio, e la sommità dello scheletro raggiungeva il 49° piano. Nelle costruzioni in acciaio, lo sforzo maggiore si concentra nell’esecuzione delle giunzioni. Il numero di giunti al 29° piano è lo stesso che al 69°, ma i pilastri dei piani inferiori sono più pesanti e, dunque, richiedono più lavoro per la movimentazione ed il posizionamento. Se il programma si fosse basato solo sul numero delle giunzioni da eseguire, ossia sulla quantità di chiodi da inserire, non avrebbe tenuto conto del fatto che per erigere i piani inferiori veniva richiesto uno sforzo maggiore. Se la costruzione dello scheletro in acciaio avesse subito dei ritardi seri rispetto al programma nella prima fase del lavoro, sarebbe stato quasi impossibile compensarli in seguito. Paul Starrett sapeva per esperienza che erigere 3 piani e mezzo di ossatura d’acciaio in una settimana costituiva un ritmo normale, un ritmo tuttavia troppo lento per il programma di edificazione dell’Empire State. Altri valori standard consueti per l’epoca erano 5 piani alla settimana per le murature in mattoni ordinari, e 3-4 piani alla settimana per i rivestimenti esterni in pietra, anch’essi troppo lenti per il progetto in questione. Tali valori standard rappresentavano la velocità alla quale il lavoro poteva essere eseguito tenendo conto di tutte le difficoltà legate alla movimentazione nelle aree esterne ed interne ai cantieri. Nel caso dell’Empire State Building, ciò che lascia impressionati è l’organizzazione del lavoro dei costruttori, grazie alla quale gli uomini ed i materiali erano presenti quando e dove servivano. 21 fig. 50 fig. 51 Il trasporto dei materiali Nell’Empire State, il trasporto orizzontale dei materiali fuori dal cantiere venne effettuato ricorrendo a mezzi tradizionali. Il trasporto orizzontale all’interno dell’edificio, invece, si avvalse di innovazioni tecnologiche tra le più avanzate. Il trasporto verticale era necessariamente più impegnativo che in molti altri cantieri, data la palese inadeguatezza dei metodi tradizionali, a causa della scala del nuovo edificio e della velocità prevista per la costruzione. All’interno dell’edificio venne installata una batteria di montacarichi per il sollevamento dei materiali (v. fig. 52), che scorrevano entro vani provvisori, in seguito chiusi, ricavati rimuovendo alcune porzioni della struttura permanente dei solai. Il particolare intervento effettuato sui solai per consentire il passaggio di vani all’interno dell’edificio, si rivelò di grande utilità, in quanto permetteva agli impianti di operare senza le strutture di sostegno laterali necessarie, invece, nel caso di vani provvisori esterni. Vennero impiegati sei montacarichi, due riservati al c.l.s. (v. fig. 52) e quattro ai materiali generici ed al sollevamento dei binari per la decauville che permetteva la movimentazione orizzontale dei materiali all’interno dell’edificio. Pur non impiegando tecnologie innovative, i montacarichi costituirono una risposta complessa e di grande interesse ad una semplice esigenza quale era quella di far pervenire i materiali agli operai. Man mano che il lavoro procedeva, i vani dei montacarichi venivano prolungati verso l’alto, seguendo lo sviluppo in altezza dell’edificio. Rispetto ai macchinari di sollevamento richiesti per il trasporto sicuro di passeggeri, quelli per i montacarichi (figg. 53 e 54) erano decisamente primitivi. I motori venivano scambiati tra loro di pari passo alla crescita in altezza dei vani: i motori di dimensioni maggiori vennero impiegati man mano che la lunghezza dei vani si avvicinava a quella massima di 82 piani. Un vano accessorio venne destinato inoltre allo smaltimento dei detriti prodotti durante la costruzione (figg. 55 e 56). La tecnica di smaltimento era simile a quella già impiegata nella demolizione del WaldorfAstoria, compreso il riempimento diretto degli autocarri parcheggiati al pian terreno. Nel nuovo edificio, tuttavia, lo scivolo era rivestito con una lastra d’acciaio sì da proteggere la pavimentazione circostante. fig. 53 fig. 55 22 fig. 52 fig. 54 fig. 56 Il metodo di consegna dei materiali in cantiere era quello consueto dell’epoca: i materiali venivano trasportati a New York su treni a lunga percorrenza e trasferiti poi dallo scalo merci al cantiere per mezzo di autocarri. La difficoltà del sistema consisteva nel fatto che la 5th Avenue si trovava al centro dell’isola di Manhattan, cosicché qualsiasi percorso seguito dai mezzi doveva attraversare forzatamente il traffico della Midtown. Il metodo più comune per evitare ritardi dovuti a questa circostanza era perciò (e rimane tuttora) quello di programmare le consegne nelle ore prossime all’alba, quando il traffico stradale è meno intenso. I fratelli Starrett ed il loro socio Eken ricorsero però ad un approccio più radicale: utilizzarono dei sistemi di trasporto innovativi e, contrariamente alla pratica comune, produssero il c.l.s. in loco (fig. 57), riuscendo in tal modo a rendere indipendente dal flusso delle consegne l’approvvigionamento dei materiali necessari al lavoro del cantiere. L’organizzazione e la movimentazione rapida all’interno del sito, compensavano la mancanza di spazi per lo stoccaggio dei materiali. Il piano di movimentazione dei materiali era suddiviso in tre sezioni: la movimentazione dei materiali alla rinfusa (come i mattoni o le condutture elettriche), quella dei materiali prefabbricati (come l’acciaio o la pietra calcarea) e quella del c.l.s. fig. 57 I materiali diversi dall’acciaio giungevano in cantiere su normali autocarri che entravano nell’edificio all’altezza della 33^ e della 34^ Strada. I mattoni ordinari, la sabbia, il cemento, il gesso e le scorie venivano riversati, attraverso aperture praticate al pian terreno, in tramogge situate al piano interrato. Quelle stesse tramogge venivano poi impiegate per la distribuzione. Sotto di esse venivano infatti spinti i vagoncini della decauville, che erano caricati e successivamente inviati ai macchinari per la preparazione del c.l.s. o al montacarichi corrispondente, per essere trasferiti al piano dove servivano. Materiali più fragili, come la pietra calcarea per i rivestimenti esterni (figg. 58 e 59), o i blocchi di terracotta usati per le partizioni interne (fig. 60), venivano scaricati dagli autocarri con dei sistemi tradizionali, cioè a mano o al più con delle piccole gru, impilati accanto ai binari della decauville e quindi caricati sui vagoncini a pianale i quali venivano poi spinti nei montacarichi. fig. 58 fig. 59 fig. 60 Nei giorni di punta si raggiungevano circa 500 carichi di ogni genere portati dagli autocarri, un numero di carichi elevatissimo da movimentare al pian terreno di un unico edificio. Il segreto di tale impresa consisteva però nell’elevata velocità con cui venivano scaricati gli autocarri che trasportavano i materiali all’ingrosso, che a sua volta dipendeva dalla velocità dei montacarichi e della decauville. Tra i vari materiali, il c.l.s. costituiva una categoria a parte. Una volta miscelato, infatti, la sua vita era molto breve, e per i solai dei vari piani ne occorrevano grandi quantità. Trattato come gli altri materiali forniti all’ingrosso, quali sabbia, scorie, cemento e tondini di rinforzo, il c.l.s. arrivava in cantiere alla rinfusa. Una volta che i suoi componenti (cemento, sabbia, inerti ed acqua) venivano miscelati, aveva inizio la reazione chimica che determinava la presa del cemento, e che non si arrestava fino a quando tutta la miscela non fosse completamente indurita. 23 Per eliminare eventuali ritardi generati dal trasporto all’esterno del cantiere, il c.l.s. per i solai dell’Empire State veniva confezionato in due impianti situati al piano interrato. I componenti, stoccati nei depositi, erano dosati a macchina, miscelati con acqua e poi versati in secchi trasportati ai vari piani da uno dei montacarichi specializzati. La capacità di ogni secchio corrispondeva quasi esattamente a 0,76 mc (la misura standard per il c.l.s. bagnato). Per i solai di un solo piano della torre, erano ncecessari più di 230 mc di c.l.s. fig. 61 La movimentazione orizzontale dei materiali all’interno del cantiere avveniva per mezzo di un’innovativa decauville (fig. 63). Il tracciato di questa “ferrovia”, che i costruttori definivano “industriale”, seguiva il perimetro di ogni nuovo piano (figg. 64-66; il tracciato della decauville è rappresentato dalla doppia linea), rendendo più spedito il trasferimento dei materiali dai montacarichi alle zone operative. fig. 62 fig. 64 fig. 63 I binari posati ai piani inferiori, dove veniva miscelato il c.l.s. e dove i carichi di altri materiali prelevati dagli autocarri venivano classificati e ripartiti in confezioni pronte all’uso, rimasero al loro posto per tutto il processo di costruzione. Nei vari piani per uffici, invece, i tracciati dei binari vennero lasciati in opera per tutto il tempo che serviva a completare l’involucro dell’edificio, quindi vennero rimossi per consentire la costruzione delle partizioni interne ed infine spostati fino al piano successivo e riutilizzati. Questo sistema di trasporto su rotaie, complicato e dispendioso, era stato concepito in modo da rispondere ad un programma di costruzione estremamente rapido ed alla superficie relativamente ampia dei vari piani; i livelli inferiori misuravano 60,35 x 129,54 mt, mentre i livelli della torre erano di 40,84 x 56,69 mt. Il sistema di trasporto su rotaie rappresentava la parte principale dell’organizzazione del movimento dei materiali. Per un uso il più possibile efficiente dei montacarichi, era necessario che i materiali ricevuti al termine della catena (ossia ai piani superiori) venissero scaricati dai montacarichi stessi e trasferiti al punto di posa in opera, nel più breve tempo possibile. 24 fig. 65 fig. 66 Il trasporto delle persone Gli ascensori permanenti vennero costruiti ed installati dalla Otis Elevator Company parallelamente al procedere dei lavori nell’edificio. Quando alcuni dei nuovi ascensori permanenti vennero completati e resi agibili (dotando le cabine di finiture provvisorie), furono utilizzati per servire i piani inferiori. Al termine del montaggio dello scheletro d’acciaio, erano presenti tre tipi di ascensori: quelli permanenti, utilizzati temporaneamente nella parte più bassa dell’edificio, quelli provvisori di recupero dall’hotel Waldorf-Astoria, che servivano i piani intermedi, e quelli a gabbia alla sommità della torre. L’intero sistema poteva essere considerato come un insieme di tre traiettorie che risalivano l’edificio: per primi furono installati gli ascensori a gabbia, che partivano dalla base ed alla fine arrivarono a servire tutto il tragitto fino all’ultimo livello; poi le cabine “recuperate”, che sostituirono le gabbie ai piani inferiori ma non coprirono mai l’intero percorso fino alla sommità; ed infine gli ascensori permanenti, che sostituirono le cabine di recupero ai piani inferiori arrivando fino a metà dell’edificio al termine della costruzione dello scheletro d’acciaio e prendendo servizio, infine, su tutto il percorso. L’esecuzione delle strutture in acciaio Le misure estreme prese per evitare qualsiasi ritardo nella costruzione dello scheletro d’acciaio, illustrano come solo un’attenta programmazione nell’esecuzione dei dettagli potesse rispondere efficacemente alla pressione esercitata dalle scadenze temporali. Invece di assegnare la commessa per la fabbricazione dell’acciaio esclusivamente al miglio offerente, la Starrett Brothers and Eken incaricò i due migliori offerenti più qualificati, suddividendo l’edificio in fasce orizzontali alla cui realizzazione provvedettero alternativamente l’American Bridge Company e la McClintic-Marshall Company. Quelle porzioni di edificio misuravano in altezza da 2 ad 8 piani, o più precisamente da 1 a 4 file di pilastri. Un’unica ditta, la Post & McCord, si occupò del montaggio dell’ossatura, dato che questa operazione ovviamente non poteva essere suddivisa. La ripartizione delle commesse per la produzione, diede a ciascuna delle due ditte più tempo per svolgere il lavoro, mentre la suddivisione degli incarichi per il montaggio dello scheletro avrebbe richiesto uno sforzo maggiore, a cominciare dal coordinamento delle gru e delle squadre addette alla chiodatura. Ogni componente di acciaio era progettato per occupare una posizione specifica; inoltre era definito dalla gru utilizzata (che permetteva di posizionarlo al piano al quale serviva), dalla fila orizzontale (che individuava il piano all’interno di una delle sezioni orizzontali, determinando quale produttore fosse responsabile del pezzo e quando questo fosse richiesto dal programma di produzione), e dal piano di destinazione. Prima della fase di produzione, i componenti strutturali in acciaio venivano rappresentati dettagliatamente nei disegni di officina che costituivano l’interpretazione, da parte del produttore, dei disegni degli ingegneri strutturali, alquanto più schematici. I disegni di officina si dividevano in due categorie: le tavole dei componenti, che mostravano la posizione esatta di ogni chiodo o bullone, e le tavole di montaggio (fig. 67), che mostravano il punto in cui ogni elemento doveva essere inserito, insieme con tutte le informazioni necessarie per la corretta sequenza di assemblaggio. I piani di montaggio dell’Empire State erano complessi e comprendevano disegni che in genere non erano richiesti, come la tavola con il programma della costruzione approntata da Post & McCord (fig. 67), un buon esempio della complessità organizzativa richiesta dall’assemblaggio della struttura in acciaio. Quest’unica tavola traduce in uno schema grafico sei variabili organizzative indipendenti, oltre a diverse variabili dipendenti. fig. 67 25 Al centro del disegno si trova un diagramma dello scheletro dell’edificio, che mostra tutti i pilastri e le travi del fronte est. Le distanze tra i singoli solai (necessarie per le manovre delle gru) sono riportate al centro del prospetto, mentre sulla destra sono raffigurate due piante: una dei livelli che vanno dal pian terreno al 4°, l’altra dei piani dal 21° al 76°, in cui sono segnati i confini delle aree di sollevamento delle 9 gru (indicate con le lettere da A ad H e K) e la numerazione dei pilastri (da 1 a 220). Le 4 gru A, D, E ed H vennero utilizzate dai livelli interrati fino al 20° piano e poi smantellate. Subito a sinistra del prospetto dell’edificio si trova una serie di numeri che rappresenta il peso (in tonnellate) dell’acciaio di ogni fila. I valori decrescono gradualmente dalla base verso la sommità dell’edificio, anche in file “identiche”, a causa della diminuzione del peso dei pilastri. La fila più pesante è quella che comprende i 2 livelli sotto la quota del piano stradale. Sulla destra del prospetto è indicata la quota relativa al marciapiede, che si trova oltre 9 mt più in alto rispetto all’allineamento inferiore dei componenti d’acciaio. A sinistra dei tonnellaggi sono riportate tre serie di informazioni in rapporto tra loro: il produttore (A per American Bridge, M per McClintic-Marshall), il numero di piano (dove il valore 86 corrisponde alla copertura) ed il numero di fila orizzontale. Il numero di piano, da solo, sarebbe stato sufficiente a ricavare tutte le informazioni necessarie, ma la presenza di tutti e tre i dati riduceva la possibilità di errori. Infine, a sinistra dei dati relativi ai piani, si trova una serie di date distribuite per fila. Le date descritte come “obbligatorie” sono quelle che erano state stabilite per poter rispettare la scadenza di consegna dell’ossatura d’acciaio completa, cioè il 1° Ottobre 1930. Da sinistra a destra sono indicate, in sequenza: la data in cui l’ingegnere strutturale H. G. Balcom doveva rilasciare i dati di progetto per ciascuna fila (“INFO”) e quella in cui tali dati erano stati realmente ricevuti da Post & McCord; la data prevista per effettuare l’ordine dell’acciaio da parte di Post & McCord al rispettivo produttore (“ADV. BILLS”) e quella in cui l’acciaio era stato effettivamente ordinato; la data in cui i disegni di officina approvati dovevano essere inviati ai produttori (“DRWG”) e quella del loro reale invio; la data in cui l’acciaio prodotto doveva essere consegnato in cantiere (“DEL.”) e quella effettiva di arrivo dell’acciaio; la data prevista per la collocazione in opera dei componenti (“ERECT”) ed infine la data effettiva del loro posizionamento. Questa sequenza di operazioni rappresentava il cuore del processo di montaggio dello scheletro d’acciaio ma, se esaminata con attenzione, rivela una seconda grande innovazione della Starrett Brothers and Eken: il fast-tracking. Il tradizionale processo di progettazione e di costruzione prevedeva che il progetto strutturale venisse completato prima che il produttore approntasse i disegni di officina e che questi ultimi venissero terminati e rivisti prima della produzione stessa, la quale veniva poi completata almeno in gran parte in anticipo rispetto all’inizio della posa in opera dello scheletro in acciaio. Questa sequenza di operazioni non dà buoni risultati quando i tempi sono compressi, in quanto ogni fase dipende dal completamento della fase precedente. Il sistema che venne impiegato nell’Empire State, del tutto nuovo nel 1930 anche se non concepito originariamente per tale progetto, fu quello che in seguito venne definito processo di costruzione fast-track (termine nel quale rientrano molte varianti dello stesso concetto: iniziare la costruzione prima che il progetto sia terminato). Il programma che collegava tra loro tutte le fasi di produzione dello scheletro venne rappresentato da Balcom in un apposito diagramma (fig. 68). L’asse orizzontale del grafico mostra il passare del tempo, quello verticale il progredire in altezza dell’edificio. La 1^ spezzata con andamento diagonale rappresenta le date previste per il progetto; la 2^ rappresenta invece gli ordini alla fabbrica; la 3^ il completamento dei disegni di officina; la 4^ la consegna dell’acciaio in cantiere; la 5^ il montaggio dei componenti. Tracciando una linea verticale in corrispondenza di una data, si possono individuare le varie attività compiute a quella scadenza. Analogamente, tracciando una linea orizzontale, si potevano individuare le varie scadenze per ogni piano. Il grafico mostra chiaramente la capacità previsionale necessaria per fare in modo che il metodo del fasttracking avesse successo. Ciascun partecipante al processo doveva compiere diverse attività. La velocità del metodo detto, richiedeva che tutti si muovessero insieme per gradi. 26 fig 68 Note sulla costruzione dell’Empire State Building Il 23 Settembre 1929, un gruppo di cinque uomini visitò l’hotel Waldorf-Astoria a New York City, ormai deserto da sei mesi, e stese un rapporto preliminare con l’intenzione di dare immediatamente il via alle opere di demolizione che ebbero poi effettivamente inizio il giorno dopo. Ben 69.421 mc di materiali furono trasportati dal blocco dell’hotel fino al livello del marciapiede; l’acciaio calato fino al livello terreno pesava 12.097 tonnellate. Per le operazioni sotto il livello del suolo durante la demolizione e poi anche per la realizzazione delle prime opere dell’Empire State, venne utilizzata una gru Browning. Una volta completate le nuove fondazioni, la gru, non più necessaria, venne sollevata e trasferita all’esterno dello scavo di fondazione da una delle gru più grandi che di lì a poco sarebbero state utilizzate per il montaggio dello scheletro dell’Empire State. Per creare un letto di posa adeguato ai plinti in c.l.s. destinati a sorreggere i pilastri d’acciaio dell’Empire State Building, la demolizione continuò al di sotto del livello stradale con la rimozione dei solai dei piani interrati e dei pilastri, fino allo strato di roccia sottostante. Dalle murature e dalle fondazioni esistenti dell’hotel vennero asportati 6.301 carichi di detriti, equivalenti a 16.821 mc; le strutture in acciaio ed i rottami di ferro di vario genere, provenienti dalle pareti e dalle fondazioni, pesavano in totale 2.518 tonnellate. Scavi preliminari e dei pozzi per i plinti Gli scavi preliminari per l’Empire State Building (fig. 69) cominciarono il 22 Gennaio 1930 e vennero portati avanti simultaneamente alla demolizione delle murature e delle fondazioni preesistenti dell’hotel Waldorf-Astoria. L’opera venne interamente completata il 17 Marzo 1930. In totale furono scavati 6.882 mc di terra e 13.104 mc di roccia. Il terreno di fondazione di Manhattan, formato per la maggior parte da granito e scisti, è in grado di sopportare carichi estremamente elevati; il suo spessore è però molto variabile da zona a zona. Nell’area sulla quale avrebbe dovuto sorgere l’Empire State Building, raggiungeva i 21 mt di profondità, cosicché si dovette lasciare ai plinti in c.l.s. la funzione di trasmettere i carichi dalla base dei pilastri in acciaio al fondo roccioso. Molti dei pozzi nel perimetro della torre vennero scavati in una roccia rivelatasi tenera, cosicché fu necessario scendere di 9-12 mt sotto il 2° piano interrato prima di incontrare la roccia dura necessaria per superare il test e per poter iniziare il getto del c.l.s. Lo scavo dei pozzi per i plinti, iniziato il 12 Febbraio 1930, venne interamente terminato il 29 Marzo 1930; il materiale di scavo dei pozzi ammontava a 354 mc di terra ed a 3.817 mc di roccia. Il getto dei 2.863 mc di c.l.s., necessari per la realizzazione dei 210 plinti che avrebbero dovuto poi fare da base ai pilastri in acciaio, ebbe inizio immediatamente dopo il superamento, da parte dei pozzi, del test necessario per la durezza della roccia. fig. 69 fig. 70 La parte superiore di ogni plinto è rinforzata da telai di fondazione composti da travi in acciaio disposte ad angolo retto, che distribuiscono il carico concentrato dalla base dei pilastri a tutta la larghezza dei plinti (fig. 70). Montacarichi interni per materiali La scelta di un sistema di montacarichi interno è stata fatta prevalentemente in considerazione delle ampie superfici calpestabili dell’edificio. I piani inferiori dal 2° interrato al 4°, misurano approssimativamente ciascuno 130 x 60 mt. Questa superficie si riduce leggermente, a causa degli arretramenti, fino alla base della torre principale, al 29° piano; da questo punto fino all’85° piano, dove si trova la copertura principale, l’area di ciascun piano è di circa 56 x 41 mt. Tale configurazione ha dato la possibilità di sfruttare una serie di campate all’interno dell’edificio per ricavare delle aperture provvisorie per i vani di corsa, senza interferire 27 indebitamente con le opere di costruzione degli impianti. Per la costruzione dei montacarichi di acciaio, venne affrontato uno studio comparato dei costi, paragonando il sistema interno a quello esterno. Lo studio dimostrò in maniera convincente che con il sistema di montacarichi interno, che prevedeva di appendere le guide dei vani di corsa alla struttura in acciaio e di tamponare le luci di ciascun piano con schermi di protezione in rete d’acciaio, si sarebbe ottenuto un risparmio economico sostanziale. Con tale sistema si dovevano naturalmente includere nei costi, le spese accessorie per richiudere i solai in c.l.s., compresa la finitura in cemento e l’intonacatura, sì da tamponare le aperture provvisorie dopo lo smantellamento dei montacarichi. Tutte le lastre di pietra calcarea che formano il paramento dal 5° piano alla copertura dell’85° piano, sono state tagliate in formati che potessero essere facilmente sollevati all’interno dei montacarichi per i materiali. Si decise di trasportare praticamente tutti i materiali sui montacarichi, con l’eccezione, naturalmente, dei componenti dello scheletro d’acciaio e dei pochi grandi macchinari per il cui sollevamento fu necessario ricorrere alle gru a braccio d’acciaio. Dei pannelli in rete metallica pesante, realizzati nelle officine Long Island Wire, vennero collocati ad ogni piano su due lati di ciascun vano dei montacarichi per il trasporto di materiali, ed intorno alle aperture dei vani degli ascensori passeggeri e delle gabbie da miniera. Impianto di betonaggio Per il getto dei solai vennero utilizzate 2 betoniere standard per edilizia, su slitte, ciascuna fornita di un motore elettrico a corrente alternata “incassato”, contenente anche una tramoggia di caricamento ed un serbatoio di misurazione dell’acque, nonché 5 tramogge da terra, in acciaio, diversi dosatori dalla diversa capacità, ed alcune betoniere per cemento, utilizzate per il getto delle pareti del piano interrato e del solaio del pian terreno, in grado di supportare i macchinari per i solai in c.l.s. dei piani più ampi. fig. 71 fig. 72 Una piccola betoniera portatile ribaltabile alimentata a benzina (fig. 71), venne utilizzata per il getto di rivestimento antincendio dei pilastri dei 2 piani interrati e del pian terreno (fig. 72). Per mescolare la malta per le opere in pietra, per i mattoni, per la terracotta e per le opere miste di ripresa in c.l.s., vennero utilizzate 2 specifiche betoniere per c.ls., tipo a rimorchio. Sistema di carrelli sospesi su monorotaia Per poter scaricare le pietre dagli autocarri all’interno dell’edificio, vennero posati 4 tratti di monorotaia sospesa con trave a I da 4,6 mt da 19 kg/mt, installati nei punti più convenienti; insieme a queste monorotaie erano in funzione anche 4 argani elettrici (a corrente alternata da 220 Volt, trifasi a 60 cicli) da 4 tonnellate. Praticamente tutti i paramenti di pietra calcarea sono stati scaricati con questo sistema e trasportati su vagoncini a pianale fino ai montacarichi interni per poter poi essere trasferiti e distribuiti ai vari piani. Macchine per la posa delle pietre Per posare le pietre a tutti i piani che sovrastano l’arretramento del 5° piano, sono stati impiegati 30 argani dalla capacità di 540 kg, con tamburi da 10,16 x 40,64 cm. Tutte le pietre sono state trasportate in quota dai montacarichi interni per i materiali, a parte un certo numero di grandi lastre per la sommità dell’edificio, che è stato necessario sollevare al livello della copertura dell’85° piano con le stesse gru a braccio utilizzate per la costruzione dello scheletro in acciaio. In corrispondenza dell’arretramento del 5° piano vennero collocate 10 28 gru a braccio montante fisso da 11 mt, della capacità di 3 tonnellate, per calare le lastre di pietra che sono servite a rivestire i piani dal 1° al 4°. Gru in acciaio a braccio tirantato Per non interferire con l’azione delle gru a braccio utilizzate dalla Post & McCord per la costruzione dello scheletro, in corrispondenza dell’arretramento del 5° piano lungo la 34^ Strada, all’estremità nordovest dell’edificio, venne posizionata una gru d’acciaio a braccio tirantato da 15 tonnellate, azionata da un argano a doppio tamburo. In corrispondenza dell’arretramento del 24° piano, all’angolo sud-est tra la 5th Avenue e la 33^ Strada, venne approntata inoltre una gru a tiranti da 10 tonnellate (fig. 73), azionata da un argano a doppio tamburo. Nelle prime fasi del cantiere, quando si doveva cercare di interferire il minimo possibile con le gru per il montaggio dello scheletro, queste gru a braccio hanno sollevato una quantità notevole di legname per le casseforme dei solai in c.l.s., oltre a tutti i macchinari le cui dimensioni superavano quelle dei montacarichi per materiali. fig. 73 Ascensori provvisori Per assolvere al servizio passeggeri durante le fasi di cantiere, si decise di installare un sistema di ascensori provvisori, indipendente da quello degli ascensori permanenti. L’ossatura in acciaio venne allora progettata in modo da prevedere, ad ogni piano, 2 aperture tra loro indipendenti per i vani corsa degli ascensori a gabbia da miniera, opportunamente rinforzate e delimitate (fig. 74), ed altre 2 aperture indipendenti per i vani degli ascensori A.B. S e e . (queste ultime erano presenti a tutti i piani dal terreno all’84°; fig. 75). fig. 74 fig. 75 Le gabbie passeggeri erano costruite per sostenere un carico di 1.575 kg, ed erano chiuse su tre lati con lamiere d’acciaio, mentre il lato principale era chiuso a metà con elementi dello stesso materiale. La porta di ogni cabina era costituita in modo tale che quando non era tenuta ferma dai chiavistelli, si apriva, azionando un dispositivo di interruzione del circuito. Le gabbie avevano delle protezioni sulla superficie superiore ed erano fornite di bloccaggi di sicurezza che entravano in azione in caso di rottura del cavo principale. La gabbia era provvista anche di un ammortizzatore di colpi applicato ai giunti di sollevamento. Abbinati a questi 2 ascensori passeggeri a gabbia, erano in funzione 2 argani elettrici speciali a tamburo singolo, ciascuno con una portata di 1890 kg a trazione singola e con velocità della fune di 91 mt/min. I due motori elettrici vennero installati al 1° piano. Dispositivi di interruzione nella cabina e sui cancelli evitavano che le cabine venissero azionate dai motoristi prima che gli ascensoristi fossero pronti, i cancelli chiusi ed ogni 29 situazione di pericolo esclusa. Una squadra apposita era costantemente al lavoro per prolungare il vano di corsa di tale impianto man mano che il montaggio dello scheletro d’acciaio avanzava. Lo stesso tipo di vano e di sistema costruttivo venne sfruttato, insieme agli stessi ascensori a gabbia da miniera, per i montacarichi destinati ai materiali. Ogniqualvolta fu necessario estendere la corsa degli ascensori, il lavoro veniva svolto di notte, senza essere costretti ad interrompere il servizio la mattina seguente. Ascensori passeggeri provvisori A.B. See e cabine Otis Quasi cinque anni prima della demolizione, nell’hotel Waldorf-Astoria erano stati installati 4 nuovi ascensori A.B. See. Data l’eccellenza delle condizioni di quegli impianti, il general contractor decise di conservare in deposito le unità necessarie e di reinstallarle per un utilizzo provvisorio durante l’attività di cantiere (fig. 75). Non appena le condizioni lo resero possibile, si iniziò ad installare 2 di quegli ascensori tra il pian terreno ed il 29° piano. Sfruttando gli stessi vani, il lavoro proseguì con la messa in funzione delle altre 2 unità tra il 33° ed il 63° piano. La corsa delle 2 cabine a gabbia da miniera fu traslata a diverse altezze a seconda del momento, e nelle fasi finali serviva i piani tra il 63° ed il 77°. La Otis Elevator Company fu in grado di convertire ad un utilizzo temporaneo dapprima 2 cabine permanenti, in funzione dal 2° piano interrato al 24° piano e, successivamente, altre 2 cabine permanenti dal pian terreno al 42° piano. Scarico e distribuzione dei materiali Tutti i materiali, eccetto l’acciaio per le strutture, sono stati ricevuti e scaricati al pian terreno dell’edificio. Una volta gettato il solaio in c.l.s. in corrispondenza della strada principale, è stato posato un rivestimento in legno di abete spesso 15,24 cm per proteggere le aree utilizzate come corsie d’accesso e come siti di stoccaggio dei materiali attorno ai montacarichi. Le corsie erano larghe circa 7,60 mt e si sviluppavano lungo i quattro fronti del pian terreno. Gli autocarri potevano percorrere tutti e quattro i lati e disponevano di un ampio spazio per passare affiancati. Nei pressi di ciascun montacarichi destinato ai materiali si trovavano vaste aree per lo scaricamento e lo stoccaggio temporaneo dei materiali prima del loro avviamento ai piani superiori. In qualsiasi momento, quattro varchi lungo la 34^ Strada e tre lungo la 33^ garantivano un numero di entrate e di uscite sufficiente ad evitare ingorghi di autocarri all’interno dell’edificio. Movimentazione dei mattoni ordinari Il sistema di ricevimento e di distribuzione dei mattoni ordinari nell’edificio fu assolutamente innovativo per un cantiere di quel genere. Considerando l’altezza dell’edificio e l’enorme quantitativo (10 milioni) di mattoni ordinari necessari quasi unicamente per rinforzare il paramento esterno in pietra calcarea e le finiture in metallo, il problema era quello di attrezzarsi per portare a destinazione i mattoni cercando di tenere il passo con la posa delle pietre e di dare attuazione ad un programma che prevedeva di tamponare almeno un piano al giorno. Per un certo periodo il ritmo è stato di quasi un piano e mezzo al giorno. I mattoni non venivano toccati da mano umana dal momento in cui lasciavano la fornace fino a quando i muratori li prendevano per posarli sul letto di malta. Al piano interrato vennero allestite due tramogge per i mattoni, ciascuna con una capacità di circa 20.000 pezzi. Nel pavimento del pian terreno vennero praticate delle aperture in comunicazione diretta con le tramogge (fig. 76). Gli autocarri che raggiungevano il pian terreno, riversavano i mattoni nelle aperture, le quali erano opportunamente posizionate vicino ai varchi d’ingresso dell’edificio. Attraverso uno stretto foro, ogni tramoggia faceva scivolare i mattoni nei vagoncini Koppel a bilico, ognuno dei quali aveva una capacità di 400 mattoni ordinari (fig. 76). I vagoncini carichi venivano spinti lungo i binari della decauville al 1° piano interrato (fig. 77) e fatti ruotare per mezzo di piattaforme girevoli fino a raggiungere i montacarichi per i materiali. Una volta arrivati al piano di destinazione, i vagoncini venivano spinti fuori dai montacarichi e fig. 77 fatti scorrere lungo i binari fino al punto in cui i fig. 76 mattoni servivano ai muratori per realizzare le controparti per il paramento esterno di pietra calcarea e per le finiture di metallo. 30 Il programma di produzione richiedeva di fornire almeno 100.000 mattoni ogni otto ore, per depositare in anticipo una quantità di mattoni sufficiente a permettere ai muratori di murare almeno un piano al giorno. I mattoni si trovavano già impilati sul posto almeno nei 3 piani successivi a quello in cui stavano lavorando i muratori. Rispetto al vecchio sistema, per il quale sarebbero stati necessari ben 54 uomini per ogni giornata di otto ore, con il sistema detto furono necessari invece solo 5 uomini alla base e 4 alla sommità, per un totale di 18 uomini per otto ore ciascuno per i due montacarichi. Movimentazione dei materiali per il c.l.s. I due impianti principali di betonaggio per il c.l.s. vennero posizionati al 2° piano interrato. Le materie prime venivano introdotte in essi a partire da due serbatoi di miscela posti al 1° piano interrato. I serbatoi erano suddivisi ciascuno in due scomparti ed erano costruiti in modo da poter contenere, approssimativamente, 9 mc di sabbia in uno scomparto, e circa 23 mc di scorie o di pietrisco (a seconda dell’aggregato richiesto) nell’altro. Aperture praticate nel pavimento del pian terreno, opportunamente protette da griglie, permettevano di riversare i materiali scaricati dagli autocarri nei rispettivi serbatoi. Il cemento, sotto forma di sacchi, veniva scaricato dagli autocarri fermi al pian terreno, e depositato di fianco all’imbocco dei due serbatoi; poi veniva immesso all’interno di aperture praticate nel pavimento e fatto scivolare su piani inclinati; successivamente i sacchi venivano impilati in modo da trovarsi a portata di mano degli addetti, che avevano il compito di aprirli e di riversare il cemento negli impianti di betonaggio. Rotoli di rete metallica, ancoraggi per le travi, ganci e rinforzi utilizzati per armare i solai in c.l.s. venivano trasferiti ai piani superiori sulle piattaforme dei montacarichi per materiali. Il legname per i solai era sollevato dalla strada, caricato su un ascensore dalle gru a braccio in acciaio che si trovavano alla sommità, e poi calato verso il basso attraverso i telai d’acciaio e posizionato al piano dove serviva. Le casseforme in disarmo venivano sollevate attraverso aperture provvisorie praticate nei solai, da argani leggeri a tamburo singolo da 25 HP. Movimentazione della terracotta, delle mattonelle e dei mattoni da rivestimento Le mattonelle di terracotta di varie misure ed i mattoni da rivestimento, venivano scaricati a mano dagli autocarri al pian terreno, impilati lungo i binari della decauville e quindi caricati rapidamente sui vagoncini a pianale. I vagoncini venivano poi spinti fino ai montacarichi ed avviati ai piani superiori dove avveniva la distribuzione con l’ausilio della decauville. Un vagoncino a pianale conteneva 75 mattonelle per tramezzi da 15,24 cm e fino a 175 mattonelle da 5,08 cm. Le mattonelle per i tramezzi ed i mattoni da rivestimento si trovavano già impilati in anticipo ai 3 piani successivi a quello nel quale i muratori stavano posando in opera il materiale. Scarico e sollevamento della pietra calcarea per i paramenti esterni Al trasporto della pietra calcarea vennero assegnati due montacarichi per materiali, più un altro richiesto in seguito. Tutte le lastre di pietra impiegate dall’arretramento del 5° piano alla copertura dell’84°, erano di dimensioni tali da poter essere caricate rapidamente sui vagoncini a pianale e trasferite ai montacarichi per materiali. Le pietre scaricate dagli autocarri all’interno dell’edificio venivano prelevate dal sistema di carrelli sospesi su monorotaia, disposte sui vagoncini a pianale poi spinti nei montacarichi per i materiali, e depositate ai piani superiori nei punti in cui servivano. Il materiale veniva depositato in anticipo ai 3 piani successivi a quello cui stavano lavorando i posatori. Tutte le lastre di pietra calcarea per la parte inferiore dell’edificio, fino al 4° piano compreso, sono state sollevate da gru a braccio a montante fisso, posizionate in corrispondenza degli arretramenti del 5° piano. Lungo i fronti dell’edificio sono stati posati circa 5.615 mc di pietra calcarea. Protezione dal fuoco: scatole per gli avvisi d’incendio Man mano che l’edificio saliva, ad ogni piano dal 2° interrato al 4° compreso, ed ogni 2 piani dal 5° all’84° compreso, veniva installata una scatola per gli avvisi d’incendio. Tirando una maniglia nella scatola, un segnale d’allarme sarebbe stato inoltrato all’ufficio centrale della National District Telegraph Company, e da lì immediatamente alle sedi dei vigili del fuoco. Almeno una volta a sera una chiave speciale veniva inserita in ogni scatola, per mandare un segnale all’ufficio centrale per indicare che il circuito era perfettamente funzionante e che non si era quindi interrotto durante la giornata. 31 Impianto per la fornitura provvisoria d’acqua per usi vari e per la protezione dal fuoco Colonne montanti provvisorie e tubazioni per le acque reflue Operando in sincronia rispetto al montaggio dello scheletro in acciaio, venne installata una colonna montante da 7,62 cm dal 2° piano interrato al 29° piano, ed una da 10,16 cm dal 2° piano interrato all’84° piano. Ad ogni piano entrambe le colonne erano provviste di due collegamenti a valvola, mentre ad ogni altro piano era installato un collegamento a valvola su montante, al quale, in caso di emergenza, poteva essere agganciato un manicotto antincendio. Per ogni montante venne allestita una tubazione provvisoria da 10,16 cm per lo smaltimento delle acque reflue, collegata ad una condotta fognaria al piano interrato. In corrispondenza di ciascuna colonna montante di ogni piano venne posizionato un elemento cilindrico a tenuta stagna, ed una derivazione da 2 pollici collegava ogni cilindro alla tubazione di deflusso delle acque reflue, per neutralizzare eventuali traboccamenti. Utilizzo di due serbatoi provvisori in legno Un serbatoio provvisorio per l’acqua da 15.140 L in legno di cipresso (fig. 78),venne allestito in un primo tempo al 20° piano; una volta che l’ossatura d’acciaio raggiunse un’altezza sufficiente da consentirlo, il serbatoio venne rimosso e collocato al 41° piano, dove rimase per tutta la durata dei lavori. Il secondo serbatoio, analogo al primo, venne installato invece in un primo momento al 62° piano, per essere poi successivamente trasferito all’84° piano, per tutta la durata del cantiere. fig. 78 Sistema di pompaggio per la distribuzione provvisoria dell’acqua Al 1° piano interrato vennero installate quattro pompe da 15 HP, ciascuna della misura di 10,16 x 7,62 cm, per pompare l’acqua attraverso le colonne montanti e riempire il serbatoio che era stato collocato prima al 20° piano e poi al 41°. Alla base ed alla sommità del serbatoio vennero installate delle tubazioni di collegamento, provviste di valvole e di opportuni dispositivi di controllo, per poter utilizzare la colonna da 10,16 cm per il riempimento del serbatoio e per far defluire verso il basso l’acqua del serbatoio stesso. Un interruttore automatico a galleggiante collocato sul serbatoio al 41° piano, inviava un segnale sonoro per indicare all’addetto, che si trovava nella sala di pompaggio al 1° piano interrato, quando fosse necessario azionare le pompe per riempire il serbatoio fino al livello opportuno. Al 40° piano vennero installate tre pompe, delle quali una, la più grande, venne utilizzata per sollevare l’acqua da quel serbatoio fino a quello del 62° piano, ed in seguito a quello dell’84° piano. All’83° piano venne installata invece una pompa delle dimensioni di 7,63 x 5,08 cm e da 10 HP, al fine di sollevare l’acqua dal serbatoio dell’84° piano fino alla sommità del pilone di ormeggio, attraverso una colonna montante provvisoria. A partire da questa, che forniva l’acqua per gli usi di cantiere e permetteva anche l’innesto di un apposito manicotto in caso di emergenza incendi, ad ogni livello del pilone di ormeggio vennero realizzate delle tubazioni di collegamento provviste di valvola. Interruttori automatici a galleggiante installati alla sommità dei serbatoi, segnalavano alla sala di pompaggio quando l’acqua era giunta al livello oltre il quale tutte le pompe dovevano essere azionate per riempire nuovamente il serbatoio fino alla sua capacità operativa. 32 Principale tubazione verticale permanente collegata all’impianto idraulico provvisorio La tubazione verticale n. 1, del diametro di 20,32 cm, si estende dalle condotte di collegamento ad Y al livello stradale, fino all’82° piano. Per rendere disponibile immediatamente ed in qualsiasi momento una quantità d’acqua sufficiente a domare un incendio senza dover attendere l’arrivo delle autopompe della città ad il loro allacciamento alle condotte stradali ad Y per alimentare la tubazione verticale n. 1, quest’ultima venne collegata all’impianto provvisorio di distribuzione dell’acqua. Aprendo una valvola speciale al 40° piano ed azionando la grande pompa da 10,16 cm a 100 HP che si trovava allo stesso livello, questa tubazione si riempiva immediatamente ed era pronta per l’uso, con una valvola di presa e 61 mt di manicotto antincendio per piano. Altre cinque tubazioni verticali da 20,32 cm, che vengono mantenute asciutte, si estendono dalle condotte ad Y delle tre strade, fino al 19° piano, e sono sempre predisposte per consentire l’aggancio delle autopompe cittadine. I quattro battistrada Considerando il fattore velocità, è interessante analizzare i progressi dei quattro settori del cantiere che hanno aperto la strada e fissato il ritmo per le altre attività successive. Queste quattro attività-guida sono state, in ordine di sequenza: 1. Montaggio dello scheletro in acciaio; Una descrizione dettagliata della costruzione della struttura in acciaio venne redatta dalla Post & McCord e stampata sull’Engineering News Record del 21 Agosto 1930. 2. Getto dei solai in c.l.s.; 3. Rivestimento esterno in metallo e parapetti in alluminio (compresi i serramenti in metallo); 4. Paramento in pietra calcarea (rivestimento esterno e paramento in pietra calcarea spalleggiati da una controparte di mattoni ordinari); Scheletro d’acciaio Lo scheletro d’acciaio per gli 85 piani dell’edificio ha raggiunto l’altezza massima il 19 Settembre 1930, ed è stato portato a termine il 22 Settembre, con ben 12 giorni di anticipo rispetto al programma. Costruzione dei solai in c.l.s. I solai degli 85 piani, compresa la copertura principale all’85° piano, sono stati ultimati il 6 Ottobre 1930, con 4 giorni di anticipo rispetto al programma. Rivestimento esterno in metallo e parapetti in alluminio fuso Quest’operazione, svolta per tutti gli 85 piani, è stata ultimata il 17 Ottobre 1930, con ben 35 giorni di anticipo rispetto al programma. Paramento in pietra calcarea (compresa la controparete in mattoni ordinari) Gli 85 piani sono stati completamente tamponati il 13 Novembre 1930, con un anticipo di 17 giorni sulla data di completamento programmata. Il successo legato alla capacità di montare tutte le chiusure verticali dell’edificio prima dell’arrivo della cattiva stagione, permise di anticipare di un mese la data finale del completamento, portandola al 1° Marzo 1931. Solai in c.l.s. I solai sono stati realizzati in c.l.s. di scoria da 10,16 cm (proporzione 1:2:5), e rinforzati con delle armature zincate saldate 7,62 x 40,64 cm – 15,24 x 25,4 cm. Nei solai sono state impiegate oltre 47.400 mc di c.l.s. L’armatura in rete di metallo si estende su una superficie complessiva di 269.410 mq. Lungo le superfici inferiori delle travi maestre e secondarie, per un totale di 213.360 mt, sono disposti degli ancoraggi di rinforzo. Le casseforme per la realizzazione dei solai hanno coperto un’area totale di 176.510 mq. Le casseforme per la realizzazione dei fianchi e delle superfici inferiori delle travi maestre e secondarie, invece, hanno coperto un’area totale di 206.703 mq. 33 Protezioni ignifughe in c.l.s. dei pilastri Intorno ai pilastri del 2° piano interrato, così come anche intorno ai pilastri perimetrali che fiancheggiano la linea di demarcazione della proprietà verso ovest, venne gettato un rivestimento ignifugo in c.l.s. di pietrisco, con uno spessore di 10,16 cm e di 5,08 cm per quelli interni. Per tutti gli altri pilastri perimetrali del piano interrato e per tutti quelli che passano per il pian terreno, si ricorse ad un rivestimento ignifugo in c.l.s. di scoria, con uno spessore di 10,16 cm per i pilastri perimetrali e di 5,08 cm per quelli interni. L’esecuzione dell’opera a regola d’arte richiese l’utilizzo di 11.613 mq di casseforme per i pilastri, di 11.148 mq di maglia di filo di ferro per l’armatura delle colonne, e di 1.529 mc di c.l.s. fig. 79 Controventature ignifughe in acciaio A partire dal 2° piano interrato fino alla copertura dell’85° piano, tutta la torre principale è attraversata da controventature speciali a rinforzo della struttura in acciaio, rivestite di tela metallica Clinton, sulla quale è stato applicato uno strato ignifugo di cemento dello spessore di 5,08 cm. Questa operazione comportò il rivestimento di una superficie di 8.454 mq con rete di filo metallico Clinton e strato ignifugo in cemento. Tutte le opere in cemento (ad eccezione del massetto e della finitura del pavimento) sono state eseguite dai costruttori. Parapetti e finiture esterne in metallo Sui fronti dell’edificio sono state utilizzate oltre 300 tonnellate di acciaio al cromo-nichel, più conosciuto come 18-8, per i rivestimenti ed i montanti delle finestre e le velette ornamentali delle stesse. Sempre lungo i fronti dell’edificio, inoltre, sono state utilizzate quasi 300 tonnellate di parapetti in alluminio fuso. L’acciaio anticorrosione al cromo-nichel, contiene il 17-20% di cromo, il 7-10% di nichel, meno dello 0,2% di carbonio, meno dello 0,5% di manganese, oltre lo 0,5% di silicio ed un massimo di 0,025% di zolfo e fosforo. Questa lega è a struttura austenitica, cioè con tutto il carbonio in soluzione, condizione che le permette di resistere all’ossidazione in atmosfera umida e persino nell’aria salmastra. Parti dell’edificio in cui è stato utilizzato il metallo Le leserne verticali in acciaio lucidato hanno origine al 5° piano e si sviluppano per tutta l’altezza dell’edificio, terminando alla sommità in grandi raggiere al di sopra delle finestre. L’acciaio è stato utilizzato anche nel pilone di ormeggio, per un totale di 25 tonnellate. Le finestre sono disposte a gruppi di 2 o 3, separati da pilastri in pietra calcarea. Ai lati di ciascun gruppo di finestre si trovano dei rivestimenti decorativi in acciaio al cromo-nichel, larghi 25,4 cm, mentre le finestre che fanno parte dello stesso gruppo sono separate da montanti della stessa lega, larghi 55,88 cm. La superficie piana di entrambi questi elementi di metallo è interrotta da spigoli verticali sagomati con cura per ottenere gli effetti di luce ed ombra desiderati; le linee di tali spigoli si estendono verticalmente per tutti gli 85 piani oltre il 4°, interrotte solo dagli arretramenti. Le fasce scure verticali delle finestre mantengono la loro continuità grazie ai parapetti in alluminio fuso, il cui colore grigio scuro di fonde con il nero delle aperture sovrastanti. Rivestimenti e montanti sono composti da elementi di misura 45,72 cm, anche se per funzioni di rinforzo sono stati approntati degli stock da 40,64 e da 55,88 cm. La fabbricazione comprendeva un intervento limitato di punzonatura degli angoli delle lamine, di piegatura o formatura, di saldatura a punti e continua, e di lucidatura dei punti saldati. Ogni componente di metallo è rinforzato con profilati ad U, posizionati ad intervalli di circa 6° cm. I profilati di rinforzo ad U, i nastri di ancoraggio, le fasce di collegamento o di rinforzo posteriore e gli angolari in acciaio lunghi 30,48 cm, due al termine di ogni sezione, sono saldati elettricamente a punti alle parti in cromo-nichel. 34 Tecnica di fissaggio alla struttura Il rivestimento è assicurato all’ossatura d’acciaio dell’edificio ai vari piani, con dischi di metallo e profilati. Un ulteriore sistema di fissaggio tra un piano e l’altro è costituito da una serie di ancoraggi a nastro annegati nella muratura di mattoni ed imbullonati ai profilati di rinforzo ad U; per il fissaggio sono stati utilizzati da 1,27 cm e da 1,9 cm di diametro. Le varie parti aderiscono l’una all’altra grazie ad un giunto a sovrapposizione inserito ad ogni piano, che contrasta i movimenti di contrazione e di dilatazione del metallo. Il giunto a sovrapposizione è fissato ad ogni giunto, con un ancoraggio ad incastro continuo per rendere la connessione resistente alle intemperie. Movimentazione ed invio al cantiere Nella movimentazione dei componenti dopo il completamento delle operazioni di lucidatura finale, si dovette impiegare una cura particolare al fine di non danneggiare in alcun modo le superfici lucidate. Per la spedizione delle parti completate a New York, si utilizzarono degli imballaggi di cartone. Per evitare che gli imballaggi, una volta impilati, si ammassassero in quantità eccessiva fino a costituire un peso morto sul fondo del vagone e per prevenire qualsiasi scivolamento, vennero realizzati dei telai in legno ai quali i cartoni vennero appoggiati a gruppi. Quei gruppi di cartoni poterono così essere poi scaricati intatti dai vagoni e collocati sugli autocarri per il trasporto all’edificio. Paramento in pietra calcarea Per il trattamento finale degli esterni dell’Empire State Building sono stati necessari 5.615 mc di pietra calcarea. Il paramento in pietra di questo edificio (figg. 80-82) ha un notevole peso dovuto ad un maggior pregio ornamentale, data la presenza di stipiti profondi tutti 33,02 cm e pesanti archi e montanti intorno alle finestre. fig. 80 fig. 81 fig. 82 A causa dell’impiego molto esteso di rivestimenti e di parapetti in metallo, il paramento in pietra presenta delle forme molto semplificate. Praticamente l’80% del rivestimento lapideo è costituito da pilastri formati da tre conci profondi 10,16 cm e da uno profondo il doppio, con un pilastro per piano. La pietra grezza venne venduta dalla Indiana Linestone Company di Bedford, Indiana; i registri mostrano che vennero consegnati 5.814 mc di lastre e blocchi segati che richiesero l’impiego di 369 carri ferroviari per il trasporto ai vari impianti. Ciò significa meno del 4% di scarti. Per completare il prima possibile il taglio delle pietre, la Indiana Linestone Company tagliò la pietra direttamente nelle proprie officine, ricavandone formati speciali in modo che le lastre arrivassero agli sbozzatori già in misure adatte a realizzare i due pezzi per ciascuno dei pilastri maggiori. Le pietre vennero posate dal general contractor. L’operazione, iniziata il 5 Giugno del 1930 in corrispondenza dell’arretramento del 5° piano, venne ultimata il 13 Novembre dello stesso anno, per una durata totale di 113 giorni lavorativi. 35 Metodi di scarico e di sollevamento delle pietre I metodi utilizzati per lo scarico e la distribuzione delle lastre di pietra calcarea per il paramento esterno rappresentarono una vera innovazione in questo campo, e senza dubbio sono stati in larga misura responsabili della soddisfacente velocità con cui si svolsero le operazioni di posa. Tutte le pietre sono state scaricate dagli autocarri all’interno dell’edificio al pian terreno, con l’ausilio di un sistema di carrelli sospesi su monorotaia. Le lastre, collocate su dei vagoncini a pianale, vennero poi spinte all’interno dei montacarichi per materiali, trasportate al livello richiesto e distribuite su tutto il piano per mezzo della decauville fino al punto in cui dovevano essere applicate. Per pochi elementi di dimensioni maggiori si rese necessario, per poter effettuare la posa, il sollevamento fino all’84° piano, tramite una gru a braccio d’acciaio. Tutte le lastre di pietra calcarea per la fascia inferiore dell’edificio fino al 4° piano compreso, sono state sollevate per mezzo di gru a braccio a montante fisso, posizionate in corrispondenza dell’arretramento del 5° piano, e calate da lì fino all’area di posa con gru a braccio a montante fisso Sasgen. Giunti Cowing per lo scarico delle spinte Insieme al paramento in pietra sono stati impiegati dei giunti Cowing per scaricare le spinte. Questo tipo di giunto venne ideato e perfezionato per ovviare al grave problema della rottura e della scheggiatura dei blocchi di rivestimento. Il giunto consiste in un elemento di lamiera di piombo ondulata racchiuso in un involucro sottile di piombo, di spessore pari a quello di un giunto orizzontale tra due lastre. Solitamente ne veniva applicato uno per piano, perpendicolarmente ai montanti ed ai pilastri intermedi, al posto di un giunto di malta. Quando viene utilizzato in questo modo, il giunto suddivide in parti indipendenti la facciata e previene la rottura o la scheggiatura dei blocchi lapidei del paramento dovute alle seguenti cause: ritiro dell’acciaio prodotto da variazioni stagionali di temperatura, compressione dell’acciaio dovuta al peso dell’edificio e del suo carico accidentale, variazioni improvvise di temperatura che fanno dilatare o contrarre il rivestimento dell’edificio senza raggiungere i pilastri interni, spinte del vento, vibrazioni ed assestamenti. Man mano che gli edifici sono aumentati in altezza e le parti della muratura in ampiezza, la disposizione di giunti di natura semiplastica è diventata sempre più importante. Impianto elettrico permanente La capacità di trasformazione totale dell’Empire State Building è sufficiente ad accendere 156.000 lampadine da 50 Watt. Ci sono molte città di piccole dimensioni il cui fabbisogno di energia elettrica potrebbe facilmente essere soddisfatto dagli impianti presenti in tale edificio. Data la grande superficie di ciascun piano della torre, si dovettero predisporre due vani per i montanti (l’Empire State è stato il primo edificio in cui è stato necessario agire in questo modo). Le dimensioni complessive dell’edificio richiesero tre cabine di trasformazione, con linee di alimentazione ad alta tensione dirette ai trasformatori; cinque batterie di trasformatori al 2° piano interrato, quattro batterie al 40° piano ed altre quattro all’83° piano. Per inserire le scatole di derivazione sui pilastri venne sviluppato un sistema di fissaggio con delle sottili fasce di ferro strette attorno ai pilastri stessi, sì che le scatole potessero essere montate sulle fasce ed opportunamente distanziate. Di conseguenza, quando i pilastri vennero rivestiti di muratura, le scatole si trovavano già nella posizione corretta, e non si dovette quindi rompere la muratura per inserire i tubi di protezione. Una squadra fu adibita alla costruzione ed all’installazione delle scatole dette, con gli innesti pronti per accogliere i tubi di protezione poi installati successivamente da un’altra squadra prima della posa in opera delle mattonelle del rivestimento. Per le prese a soffitto vennero utilizzate delle scatole profonde 10,16 cm, con i fori vicino alla sommità, in quanto tutte le travi maestre e secondarie che attraversavano l’edificio erano ribassate sotto il livello del solaio strutturale, sì che la faccia superiore delle stesse si trovasse 5 cm più in basso rispetto alla superficie del solaio. Tutte le linee di distribuzione provenienti dai quadri di controllo sono state quindi installate contemporaneamente, passando sopra le travi, senza improvvise deviazioni dal piano. Riuscendo ad incorporarle nel getto del solaio, si ottenne un’installazione più rapida delle stesse, nonché una posa più rapida dei cavi, data l’assenza di piegature. I vari tipi di scatole (per i quadri di controllo, di supporto per i cavi, a T e scatole ad M) vennero collocate in anticipo di un piano rispetto al c.l.s., su montanti angolari di ferro da 5,08 cm. In questo modo, quando le squadre arrivavano ai vari piani per installare i tubi di protezione, ogni cosa era già predisposta per effettuare un lavoro rapido e completo di innesto dei tubi fino all’interno dei quadri, senza la necessità di ricorrere a delle demolizioni. I cavi vennero consegnati in tratti pronti per il taglio e contrassegnati in modo da poter essere posati al piano di destinazione in anticipo rispetto all’intervento delle squadre addette al tiraggio. Per velocizzare la posa dei cavi venne appesa una ruota da 60 cm al soffitto, e passato il cavo avvolto su di essa nel tubo di protezione, con un argano motorizzato all’altra estremità per facilitare il tiraggio. 36 Relativamente alla posa del sistema di canalizzazioni sotto il pavimento per i vari tipi di linee di segnali, anziché posare il solito strato di protezione, gli addetti al getto del c.l.s. predisposero delle tracce nella superficie superiore dei solai lungo il percorso delle canalizzazioni, prima della posa di queste ultime, e lisciato le relative superfici. Dopo la presa del primo getto, le scatole di derivazione e le canalizzazioni vennero posate in corrispondenza delle tracce lisciate. Per tenere in posizione le canalizzazioni venne ideato un ancoraggio metallico poi inchiodato al c.l.s. con chiodi da 2,54 cm. Impianto idraulico Nella parte superiore dell’edificio sono stati installati 82 km di tubazioni idrauliche. In qualsiasi istante è possibile disporre di una riserva di 340.650 L d’acqua per usi domestici ed antincendio, sebbene ogni impianto ed ogni tratto di tubazioni possa essere rifornito d’acqua senza ricorrere ai serbatoi. Sono stati installati impianti sanitari in porcellana dura per un totale di 2.500 unità. Il sistema antincendio vede, a disposizione di un utilizzo immediato, 13 km di manicotti antincendio in tela di lino della migliore qualità. Il sistema di smaltimento delle acque meteoriche provenienti dalle coperture è separato ed indipendente dall’impianto idraulico. L’acqua piovana proveniente da alcune parti dell’edificio, scorre attraverso una serie di tubazioni lunghe 800 mt prima confluire nella rete fognaria pubblica. Il sistema di smaltimento delle acque reflue trasporta l’acqua di alcuni impianti sanitari per una distanza di 405 mt prima di riversarla nella rete fognaria pubblica. L’acqua erogata nella sezione superiore dell’edificio viene pompata da un serbatoio aperto situato al piano interrato, fino ad un’altezza di 335 mt, verticalmente ed in un solo tratto. Il sistema di aspirazione era il più grande al mondo nel suo genere. Sono presenti due sistemi separati; uno dal piano più basso fino al 29° compreso, l’altro dal 30° piano fino ad un’altezza di 381 mt dal suolo. A causa dell’altezza dell’edificio, le acque reflue degli impianti sanitari del pian terreno e dei piani sottostanti scorrono in un sistema separato che scarica in un estrattore da cui le acque vengono immesse a forza nella rete fognaria pubblica. Per l’acqua fredda e quella calda vi son sei impianti separati. Il gas per l’illuminazione scorre all’interno di tubazioni fino ad un’altezza di 335 mt sul livello del suolo. Riscaldamento e ventilazione Per le condutture del riscaldamento ad alta e media pressione sono stati impiegat circa 87 km di tubazioni in ottone, acciaio e ferro saldato. Per l’impianto di ventilazione sono stati impiegati circa 1.035.000 kg di ferro galvanizzato e nero e di rame. Per il riscaldamento dell’edificio sono stati installati 6.700 radiatori, per una superficie radiante totale di 22.946 mq. Per il riscaldamento diretto dell’edificio, i radiatori richiedono tra i 40,5 milioni ed i 45 milioni di kg di vapore per stagione. Le ventole di immissione e di estrazione dell’aria esaurita trattengono circa 32.560 mc di aria fresca ed esausta al minuto. Controsoffitti ed intonaci Per le opere di controsoffittatura e di intonacatura sono state impiegate: • 10.000 tonnellate di intonaco (di cemento e per finitura); • 12.000 tonnellate di sabbia; • 200 tonnellate di reti in metallo; • 300 tonnellate di ferri Chanel e Furing (circa 305.000 mt); • 50 tonnellate di materiali per cornici angolari (circa 129 km); Il numero totale di metri quadrati di superficie intonacata può essere considerato equivalente ad una fascia di marciapiede larga 0,91 cm e lunga 379,79 km, cioè dall’Empire State Building al Campidoglio di Washington D.C. Piastrelle e mosaici Mosaici Le superfici a mosaico dei corridoi misurano circa 23.225 mq ed hanno richiesto l’utilizzo di circa 76,2 km di strisce di ottone per i giunti di dilatazione. Il peso di questi elementi di ottone equivale a 45 tonnellate. I materiali impiegati per il mosaico sono stati circa 955 mc di sabbia, circa 12.500 sacchi di cemento e 15.000 37 scaglie di marmo (di tipo “Botticino”, importato dall’Italia; “Belga nero”, importato dal Belgio; “Cardiff Verde”, dal Maryland, USA). Piastrelle Le piastrellature dei pavimenti e delle pareti dei locali per i servizi igienici comprendono le seguenti superfici e tipologie di piastrelle: • 3.252 mq di pavimento alternato bianco e nero; • 790 mq di pavimento ad esagoni bianchi; • 5.110 mq di parete smaltata bianca (15,24 x 7,52 cm); • 914 mt di modanature concave, con parte inferiore tonda e parte superiore con base smaltata nera; • 1.372 mt di modanature concave, con parte inferiore tonda e parte superiore con base smaltata bianca; Marmi per interni Per gli interni sono stati impiegati, in totale, 30.480 mq di marmo, per un peso totale di circa 2297 tonnellate. Marmi per interni – pian terreno Per il pian terreno dell’edificio sono stati impiegati dei marmi provenienti dalle migliori cave d’Europa. Le pareti di tutti gli atri d’ingresso, dei corridoi e degli atri degli ascensori, hanno una campitura di fondo in marmo belga nero. Sopra questa base, tutte le lesene, le cornici delle porte ed i riquadri, sono in Est Rellante e marmo rosa “Formosa” della Germania. Questi marmi sono stati utilizzati anche per le scale che collegano il pian terreno al 1° piano e per quelle tra il pian terreno ed il 1° piano interrato, con le pedate in marmo travertino italiano. I pavimenti di tutti gli ingressi, degli atri e dei corridoi, sono rivestiti in marmo belga blu per le bordature, ed in marmo rosso italiano di Levanto. Per le campiture è stato utilizzato invece il marmo francese Bois Jourdan. Riepilogando, i marmi utilizzati al pian terreno consistono in due colori dalla Germania, due dal Belgio, due dall’Italia ed uno dalla Francia. Un posto speciale tra le opere eseguite in marmo, merita il pannello ornamentale che accoglie i visitatori che varcano l’ingresso sulla 5th Avenue. Vi sono inserti di marmo bordati da strisce di bronzo che rappresentano mappe di New York e dei territori adiacenti, con un indicatore che registra la direzione del vento alla sommità dell’edificio, 381,61 mt sopra il livello a cui si trova il visitatore. Coperture Le opere di copertura hanno visto l’impiego dei seguenti materiali: • 1.100 rotoli di carta catramata a strato singolo (37 mq per rotolo); • 500 barili di pece; • 7.172 mq di isolante in sughero da 2,54 cm; • 1.600 sacchi di cemento; • 199 mc di sabbia; Per le solette dei marciapiedi e per i pavimenti del locale dei serbatoi, invece, sono stati impiegati i seguenti materiali: • 400 rotoli di carta catramata; • 200 barili di pece; Per il pavimento in cemento finito sono stati impiegati, infine: • 20.000 rotoli di carta Tomahawk pesante; • 100 fusti di asfalto; • 3.785 L di nafta; Serramenti in metallo 38 La quantità di serramenti in metallo a ghigliottina impiegati in tutti gli 85 livelli, ad eccezione del pian terreno e del 1° piano, ammonta a 6.305 unità. Per la produzione di tali finestre sono state utilizzate: • 600 tonnellate di acciaio; • 39.624 mt di catenelle per telai scorrevoli; • 5.400 kg di bronzo (impiegati per la produzione della materia prima per i serramenti); Per trasportare tutti i ferramenti dall’impianto di produzione di Baltimora a New York, furono necessari novanta vagoni ferroviari. Protezione dall’umidità Ai mattoni ordinari della controparete di rinforzo per i paramenti in pietra calcarea ed i rivestimenti in metallo è stato applicato un composto plastico impermeabilizzante prima della stesura dell’intonaco. L’unica eccezione a tale procedura riguarda le nicchie dei radiatori, dove al posto della sostanza detta, è stata utilizzata una vernice impermeabilizzante. Sono stati impiegati 1.096 barili di mastice, col quale è stata coperta una superficie di 61.314 mq. Impermeabilizzazioni esterne Le opere di impermeabilizzazione intorno ai telai dei serramenti ed ai parapetti in alluminio fuso e tra il rivestimento in cromo-nichel ed i paramenti in pietra dei fronti esterni dell’edificio, sono state effettuate con l’impiego di 35 tonnellate di mastice Pecora. Indice 39 Localizzazione geografica dell’edificio………………………………………………………….………………p. 2 EMPIRE STATE BUILDING...………………………………………………………………………….……….pp. 3-5 Cuspidi di carta…………………………….…………………………………………………………………….pp. 6-9 Progettazione in team……………….……………………………………………………………………..….pp. 9-12 Lo spettacolo messo in scena dal costruttore; La conquista dei record………….....................pp. 12-14 La struttura: scheletro, solai e facciate……………………………………………………………..…....pp. 14-19 Impianti……………………………………………………………………………………………………....………p. 20 La razionalizzazione della costruzione………………………………………………….………….....…pp. 20-21 Il trasporto dei materiali…………………………………………………………………………..….……..pp. 22-24 Il trasporto delle persone…………………………………………………………………………...….…...……p. 25 L’esecuzione delle strutture in acciaio………………………………………………………………......pp. 25-26 Note sulla costruzione dell’Empire State Building; Scavi preliminari e dei pozzi per i plinti……...p. 27 Montacarichi interni per materiali……………………………….....................................................….pp. 27-28 Impianto di betonaggio…………………………...…………………………………………………...………....p. 28 Sistema di carrelli sospesi su monorotaia…………………………………...........................................…p. 28 Macchine per la posa delle pietre……………………………………………………………………...….pp. 28-29 Gru in acciaio a braccio tirantato………………………………………………………………………….……p. 29 Ascensori provvisori…………………………………………………………………………………...…....pp. 29-30 Ascensori passeggeri provvisori A.B. See e cabine Otis……………………………………………..……p. 30 Scarico e distribuzione dei materiali…………………………………………………………………………...p. 30 Movimentazione dei mattoni ordinari………………………………………………………….………….pp. 30-31 Movimentazione dei materiali per il c.l.s.................................................................................................p. 31 Movimentazione della terracotta, delle mattonelle e dei mattoni ordinari…………….........................p. 31 Scarico e sollevamento della pietra calcarea per i paramenti esterni…….……………………...….…..p. 31 Protezione dal fuoco: scatole per gli avvisi d’incendio…………………………………………………….p. 31 Colonne montanti provvisorie e tubazioni per le acque reflue……………………………………………p. 32 Utilizzo di due serbatoi provvisori in legno………………………………………...............................……p. 32 Sistema di pompaggio per la distribuzione provvisoria dell’acqua…………...............................…….p. 32 Principale tubazione verticale permanente collegata all’impianto idraulico provvisorio...................p. 33 I quattro battistrada…………………………………………………………………………………………….….p. 33 Solai in c.l.s.………………………………………………………………………………………………………...p. 33 Protezioni ignifughe in c.l.s. dei pilastri…………………………………………..……………………….…..p. 34 Controventature ignifughe in acciaio………………………………………………………………….…….…p. 34 Parapetti e finiture esterne in metallo………………………………………………………………………….p. 34 Parti dell’edificio in cui è stato utilizzato il metallo………………………………………………………….p. 34 Tecnica di fissaggio alla struttura………………………………………………….…………………………..p. 35 Movimentazione ed invio al cantiere……………………………………………………...............................p. 35 Paramento in pietra calcarea…………………………………………………………...............................…..p. 35 Metodi di scarico e di sollevamento delle pietre…………………………………………………….……….p. 36 Giunti Cowing per lo scarico delle spinte……………………………….…………………………………….p. 36 Impianto elettrico permanente……………………………………………………………………………..pp. 36-37 Impianto idraulico………………………………………………………………………….................................p. 37 Riscaldamento e ventilazione…………………………………………………………………………....……...p. 37 Controsoffitti ed intonaci…………………………………………………………………………………………p. 37 Piastrelle e mosaici…………………………………………………………………………………………..pp. 37-38 Coperture………………………………………………………………………………………………………..…..p. 38 Serramenti in metallo………………………………………………………………......................................…p. 39 Protezione dall’umidità; Impermeabilizzazioni esterne ………………………………………....………..p. 39 . 40 41