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VIII ”
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO PENALE I
LEZIONE VIII
“FORME DI MANIFESTAZIONE
DEL REATO”
PROF. SILVERIO SICA
Diritto Penale I
Lezione VIII
Indice
1 Introduzione ----------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Le circostanze --------------------------------------------------------------------------------------------- 4 2.1 Classificazione delle circostanze---------------------------------------------------------------------- 5 2.2 Le circostanze attenuanti generiche ------------------------------------------------------------------ 6 2.3 Regime giuridico delle circostanze ------------------------------------------------------------------- 7 3 Il tentativo ------------------------------------------------------------------------------------------------- 8 3.1 La struttura ----------------------------------------------------------------------------------------------- 9 3.2 Il tentativi nei singoli reati --------------------------------------------------------------------------- 11 3.3 Determinazione della pena -------------------------------------------------------------------------- 13 3.4 Desistenza volontaria e pentimento operoso ------------------------------------------------------ 13 3.5 Il reato impossibile ----------------------------------------------------------------------------------- 16 4 Concorso di persone ----------------------------------------------------------------------------------- 18 4.1 La realizzazione comune ----------------------------------------------------------------------------- 18 4.2 Applicazione della pena ------------------------------------------------------------------------------ 21 5 Concorso di reati --------------------------------------------------------------------------------------- 23 6 Il reato continuato -------------------------------------------------------------------------------------- 25 Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 27 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Penale I
Lezione VIII
1 Introduzione
Si chiamano forme di manifestazione del reato i diversi tipi di fattispecie, nei quali si
esplica, fondamentalmente, il medesimo significato criminoso.
Uno stesso reato può essere semplice (non accompagnato da circostanze aggravanti, né
attenuanti) o circostanziato; può essere consumato o tentato; può essere commesso da una sola
persona o commesso da più persone.
Perciò, in tema di forme di manifestazione del reato, gli argomenti da trattare sono: le
circostanze del reato, la consumazione, il tentativo, il concorso di persone nel reato.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione VIII
2 Le circostanze
Circostanziato è il reato che presenta la particolarità che va sotto il nome tecnico di
“circostanza”.
Ma in che cosa consiste?
Circostanza del reato è in genere ciò che sta intorno al reato (circum stat).
Implicando per sua indole l'idea dell'accessorietà, essa presuppone necessariamente il
principale, il quale è costituito da un reato perfetto nella sua struttura.
Si distingue per tal modo, come del resto abbiamo già notato, dagli elementi essenziali, che
sono indispensabili perché un reato esista.
Mentre la mancanza di un elemento essenziale fa sì che un fatto non possa considerarsi
reato, oppure trapassi da una ad un'altra figura criminosa, il difetto di una circostanza non influisce
sull'esistenza del reato o di un dato reato.
La circostanza può esserci o non esserci, senza che il reato nella sua forma normale venga
meno, e, perciò, ha carattere eventuale.
Ma ciò che caratterizza la circostanza in senso tecnico è il fatto che essa determina di regola
una maggiore o minore gravità del reato e in ogni caso una modificazione della pena.
Lo stesso fatto può essere considerato dalla legge come elemento costitutivo o come
circostanza di un dato reato.
Per stabilire, quindi, se si tratta dell'uno o dell'altra non bisogna guardare alla sua natura
intrinseca, ma alla funzione che ad esso è attribuita.
Quando il fatto serve a contraddistinguere un reato da un fatto lecito o da un altro reato, esso
è elemento costitutivo; allorché, invece, aggrava o attenua il reato, importando una variazione nella
pena edittale, è circostanza.
Ciò premesso, si desume da quanto detto che non possono in alcun modo considerarsi
circostanze le cause di giustificazione, di cui si è parlato in precedenza, malgrado il nostro codice le
chiami “circostanze di esclusione della pena”.
Esse, infatti, non hanno la funzione di aggravare o diminuire la pena, ma come si è visto,
eliminano nel fatto il carattere dell'antigiuridicità.
La presenza di una circostanza trasforma il reato semplice in reato circostanziato e il
rapporto che passa tra l'uno e l'altro è una relazione da genus a species.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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Nel reato circostanziato, quindi, debbono esistere tutti gli estremi del reato semplice: la
circostanza è sempre un plus.
Le circostanze possono precedere, accompagnare o seguire la condotta umana e l'evento.
Possono anche essere estranee all'esecuzione e consumazione del fatto criminoso e
consistere in avvenimenti diversi e successivi realizzati dallo stesso agente e talvolta da altre
persone.
Le circostanze di questa specie si dicono estrinseche.
Non tutte le circostanze possono coesistere tra loro, alcune di esse sono incompatibili con
altre.
2.1
Classificazione delle circostanze
Le circostanze si dividono in:
a) Aggravanti e attenuanti, secondo che importino un aumento o una diminuzione di pena;
l'aumento o la diminuzione della pena possono essere quantitativi o qualitativi.
Sono di tipo quantitativo, quando ad esempio alla pena inflitta per il reato semplice deve
aggiungersi, per effetto della circostanza, un quantum di pena della stessa specie ovvero la legge
prevede per il reato circostanziato un'autonoma cornice edittale di pena.
La modificazione di pena è di tipo qualitativo quando per effetto della circostanza cambia la
specie della pena.
b) Oggettive e soggettive: in base all'art 70 co. 1 n. 1 c.p., circostanze oggettive sono quelle
che “concernono la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità
dell'azione, la gravità dal danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali
dell'offeso.
Circostanze soggettive sono quelle che “concernono la intensità del dolo o il grado della
colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l'offeso,
ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole.
L'art. 70 co. 2 c.p. precisa che “le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano
la imputabilità e la recidiva”.
c) Reali e personali, secondo che determinano una maggiore o minore gravità del reato o
che importano un inasprimento o un'attenuazione della pena nei confronti di un determinato reo;
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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Lezione VIII
d) Definite o indefinite, definite sono quelle i cui elementi costitutivi sono compiutamente
descritti dalla legge. Tra le circostanze comuni, si inquadrano nella categoria in esame sia le
aggravanti di cui all'art 61 c.p., sia le attenuanti di cui all'art 62 c.p.
Circostanze indefinite sono invece quelle la cui individuazione, in assenza di ogni
tipizzazione legislativa o comunque di una compiuta tipizzazione legislativa, è rimessa alla
discrezionalità del giudice.
e) Obbligatorie o discrezionali, si hanno le prime quando, corrispondendo la particolarità
della vicenda considerata ad una precisa descrizione normativa, il giudice è vincolato a tenerne
conto; le seconde quando il loro apprezzamento è rimesso al potere discrezionale del magistrato
f) Comuni e speciali, sono comuni (o generali) le circostanze che si possono verificare in un
numero indeterminato di reati; speciali quelle che la legge prevede per un singolo reato o per un
gruppo circoscritto di reati.
g) Ad effetto ordinario o ad effetto speciale, sono ad effetto speciale le circostanze che
importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo; ad effetto ordinario le
altre.
Dopo aver così riassunto le caratteristiche delle circostanze, è opportuno fare alcune
precisazioni.
2.2
Le circostanze attenuanti generiche
Le attenuanti generiche, già previste dal codice Zanardelli, non erano state contemplate dal
codice Rocco nella sua originaria formulazione.
Sono state reintrodotte dal D.L.L. 14 Dicembre 1944, n. 288, per consentire un migliore
adeguamento della pena al caso concreto.
Esse (art 62 bis) sono altre circostanze, non specificamente previste che possono essere
prese in considerazione dal giudice, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della
pena.
Alle circostanze attenuanti generiche si applicano tutte le regole che sono caratteristiche
delle circostanze attenuanti, con l'avvertenza che, qualora concorrano più situazioni, ognuna delle
quali potrebbe essere valutata come un'attenuante generica, esse sono considerate come una sola
circostanza, la quale può anche concorrere con una o più circostanze attenuanti comuni (art 62 bis).
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2.3
Lezione VIII
Regime giuridico delle circostanze
Salvo che la legge disponga altrimenti, in presenza di una circostanza aggravante la pena è
aumentata fino a un terzo; in presenza di una circostanza attenuante, la pena è diminuita in misura
non eccedente un terzo.
Vi sono limiti massimi e, inoltre, vi sono disposizioni in tema di ergastolo.
Fanno eccezione le circostanze a effetto speciale, per le quali l'aumento o la diminuzione di
pena può essere superiore a un terzo.
Le circostanze che attenuano la pena sono valutate a favore dell'agente, anche se da lui non
conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti.
Al contrario, le circostanze aggravanti sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui
conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se poi l'agente per errore ritiene che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non
sono valutate contro o a favore di lui.
Qualora concorrono circostanze aggravanti con circostanze attenuanti, il giudice deve
formulare un giudizio di prevalenza o di equivalenza, per applicare soltanto gli aumenti di pena
stabiliti per le circostanze aggravanti o soltanto le diminuzioni di pena stabilite per le circostanze
attenuanti oppure ancora applicare la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette
circostanze.
Per la competenza, non si tiene conto della recidiva e delle circostanze del reato, fatta
eccezione delle aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella
ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.
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Lezione VIII
3 Il tentativo
Bisogna distinguere tra realizzazione della fattispecie delittuosa prevista nella parte speciale
del codice penale e consumazione del reato.
La prima si verifica quando è adempiuto il minimum dei requisiti necessari indicati nella
fattispecie.
La consumazione, invece, indica il momento in cui la realizzazione stessa raggiunge, nel suo
contenuto concreto, la maggiore gravità.
Più precisamente, il reato è consumato quando il fatto concreto risponde esattamente e
compitamente al tipo astratto delineato dalla legge in una norma incriminatrice speciale.
Ad esempio, un reato di lesioni personali inferte mediante coltellate si “realizza” già con la
prima coltellata andata a segno, ma si “consuma” solo con l'ultima.
La consumazione si distingue pure dalla commissione, che è il momento in cui viene
completata la condotta esteriore richiesta per la sussistenza del reato.
Così, in un delitto di omicidio, si ha “commissione” nel momento in cui l'agente termina di
operare; si ha “consumazione” nel momento in cui la vittima muore.
Il momento commissivo può, in qualche situazione concreta, coincidere con il momento
consumativo.
Tali concetti sono importanti, nel momento in cui si è chiamati a stabilire ad esempio, il
locus commissi delicti, la competenza per territorio, la decorrenza del termine di prescrizione
ecc...(Pagliaro).
Alla consumazione si contrappone il tentativo, che è una realizzazione parziale della
fattispecie di un delitto doloso.
Secondo l'art 56 c.p.:”...chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere
un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica...”.
Da questa definizione emerge chiaramente la contrapposizione concettuale tra delitto tentato
e delitto consumato: nel delitto tentato l'azione non si compie o l'evento non si verifica.
L'autore di un delitto tentato ha voluto commettere un delitto (presupposto soggettivo) e,
altresì, ha posto in pericolo il protetto dalla legge penale (presupposto oggettivo).
In mancanza dell'uno o dell'altro presupposto, non può esservi punibilità.
Da questi due presupposti deriva la struttura del delitto tentato.
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Diritto Penale I
Lezione VIII
Il delitto tentato deve essere necessariamente commesso con dolo, e che possono essere
tentati solo i delitti, ossia le contravvenzioni sono configurabili nella forma tentata nei soli casi in
cui è la stessa norma incriminatrice a dare rilevanza al tentativo di realizzare una determinata
condotta.
Premesso ciò vediamo ora di analizzare la struttura del delitto tentato, ossia i presupposti
oggettivi e soggettivi.
3.1
La struttura
La struttura del delitto tentato, nel suo aspetto soggettivo, è costituita dallo stesso dolo che
occorre per il corrispondente delitto consumato.
Esso esige l'intenzione di commettere un reato, perché è essenziale all'idea del tentativo lo
sforzo diretto ad un risultato che costituisce il fine o uno dei fini dell'azione.
Tuttavia, non è possibile un tentativo con dolo eventuale, perché in tal caso gli atti non
possono dirsi “diretti a commettere un delitto”.
Se dal punto di vista soggettivo il reato tentato può considerarsi perfetto, nella sfera
oggettiva esso è incompleto, perché l'ipotesi delittuosa descritta dal legislatore nella norma è
realizzata solo in parte.
L'incompiutezza del fatto tipico può presentarsi in due forme.
Talvolta non è condotta a termina l'attività che era diretta a commettere il delitto, come nel
caso del ladro che, sorpreso mentre sta scassinando una porta, si dà alla fuga.
In altri casi l'agente ha bensì condotto a termine l'attività esecutiva, ma l'evento richiesto per
l'esistenza del reato non si è verificato.
Si pensi a colui che spara contro una persona un colpo di fucile che va a vuoto.
Nella prima ipotesi il tentativo è “incompiuto”, nella seconda è “compiuto”; e precisamente
a queste due forme di tentativo si riferisce il codice con l'espressione “se l'azione non si compie o
l'evento non si verifica”.
La punibilità del tentativo nel diritto positivo trae origine dalla disposizione contenuta
nell'art 56 c.p., la quale ha efficacia estensiva, nel senso che estende la proibizione dei fatti che sono
descritti nelle varie norme incriminatrici ai casi in cui l'agente non li realizza al completo, ma
compie atti idonei diretti inequivocabilmente a porli in essere.
La norma anzidetta crea nuovi obblighi, rendendo punibili azioni che altrimenti non
cadrebbero sotto le sanzioni della legge.
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Lezione VIII
Se non esistesse la norma in parola, infatti, colui che cerca di compiere un delitto e non vi
riesce, non sarebbe punibile, ostando il principio fondamentale sancito dall'art 1 del codice.
Dobbiamo ora chiederci, quand'è che una data condotta va considerata un delitto tentato?
Il nostro legislatore parte da un'idea di fondo, ossia che “non c'è reato senza offesa ai beni
giuridici”.
Pertanto, oltre all'intenzione di commettere un delitto e all'incompiutezza del fatto descritto
nella norma incriminatrice, per l'esistenza del tentativo occorrono due requisiti:
a) gli atti devono essere idonei a produrre l'evento del delitto consumato.
Questa idoneità deve essere valutata in concreto ed ex ante: vale a dire, l'atto è idoneo,
quando un osservatore avveduto, che si fosse trovato nella stessa situazione concreta in cui si è
trovato l'agente e, in più, avesse avuto le cognizioni particolari di quest'ultimo, avrebbe giudicato
possibile il verificarsi dell'evento.
Ad esempio, la condotta di chi spara ad un uomo che indossa un giubbino antiproiettile, sarà
da ritenersi idonea quando il giubbino non è visibile; al contrario la condotta sarà da ritenersi non
idonea quando il giubbino è perfettamente visibile a chiunque.
L'idoneità non si deve considerare soltanto lo instrumentum sceleris, ma l'attività spiegata
nel suo complesso e, perciò, oltre al mezzo, anche l'azione vera e propria, nonché le circostanze
nelle quali il soggetto ha operato.
L'idoneità o meno dell'azione non si può giudicare ex post, e cioè alla stregua di tutte le
circostanze realmente esistenti nel caso singolo: va, invece, giudicata ex ante.
Il magistrato, in altre parole, deve riportarsi al momento in cui l'azione è stata posta in
essere, ed esprimere il giudizio tenendo conto delle circostanze che in quel momento potevano
essere conosciute.
Egli riterrà idonea l'azione quando, sulla base di tali elementi, si presentava adeguata rispetto
al risultato a cui era diretta: la riterrà inidonea negli altri casi.
b) gli atti devono essere univoci, questo significa che l'osservatore immediato della
condotta, il quale sia dotato delle cognizioni di un uomo avveduto più le conoscenze eventualmente
proprie dell'agente, deve potere riconoscere negli atti compiuti, posti in rapporto con le circostanze
esteriori alle quali essi sono strettamente legati, un significato di realizzazione del volere criminoso.
E' importante notare che la univocità deve essere ricavata solo dalla condotta e dalle
circostanze che immediatamente la accompagnano, e non da altri elementi.
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Lezione VIII
Se Tizio compra un'arma, non potrà essere accusato di tentato omicidio, ma lo sarà se
dovesse puntare la stessa arma contro Mevio, in questo caso l'atto “del puntare” è un atto non
equivoco, dal qual si evince l'intento criminoso del soggetto agente.
Orbene, se l'univocità costituisce una nota oggettiva del comportamento del reo, il suo
significato non può essere che questo: l'azione in sé per quello che è e per il modo in cui è
compiuta, deve rilevare l'intenzione dell'agente.
Ciò vuol dire che l'azione, nel suo profilo obiettivo, ci deve dimostrare che il soggetto si è
accinto a commettere il delitto.
Insomma, per potersi parlare di univocità, è necessario che sia posta in essere un'azione che,
secondo l'id quod plerumque accidit, non viene compiuta se non per commettere quel dato fatto
criminoso.
Occorre aggiungere che un'azione non può considerarsi diretta in modo univoco a
commettere un determinato delitto, se non è pervenuta ad uno stadio tale da far ritenere
assolutamente improbabile che l'agente la interrompa, desistendo dal proposito criminoso.
In conseguenza, ove si riscontri un rilevante distacco temporale tra l'azione compiuta e la
fase terminale del piano criminoso, l'univocità di regola non sussiste.
3.2
Il tentativi nei singoli reati
Dal momento che il tentativo è esecuzione parziale della condotta criminosa, la sua
configurabilità presuppone che l'iter crimini sia frazionabile.
Il giudizio di frazionabilità deve essere effettuato in concreto, cioè in rapporto alle concrete
modalità di esecuzione di ciascun reato.
Reati che normalmente sono unisussistenti (composti, cioè, di un solo atto, come il reato di
ingiuria o di minaccia) e perciò incompatibili con il tentativo possono, in casi particolari, essere
composti di più arti e perciò lasciare spazio alla configurabilità di un delitto tentato.
Questa regola vale anche per i delitti di omissione propria (ricordiamo che questi reati, come
già precedentemente abbiamo visto, sono caratterizzati dal fatto che è la stessa norma che individua
la condotta da tenere, ossia incrimina direttamente l'omettere qualcosa), dove il tentativo si potrà
configurare, quando il soggetto abbia commesso alcuni atti, diretti in modo non equivoco a rendere
impossibile l'adempimento del comando, senza tuttavia che l'impossibilità stessa si sia ancora
verificata.
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Lezione VIII
Tale soluzione però non pare essere condivisa dalla giurisprudenza prevalente e secondo una
parte della dottrina, che considerano impossibile l'applicazione del dettato normativo ex art 56 c.p.
per i reati omissivi propri.
Elemento caratteristico dei reati omissivi propri è sempre il mancato compimento di
un'azione entro un termine, che la legge fissa talora in modo puntuale: ne consegue che prima della
scadenza del termine non vi sarebbe spazio per alcuna responsabilità penale, perché nessun obbligo
è stato ancora violato, mentre una volta scaduto il termine il reato omissivo sarebbe consumato.
Di diversa opinione è la tesi prima analizzata, ossia quella che considera configurabile il
tentativo anche per i reati omissivi propri, che considera possibile il configurarsi del tentativo tutte
le volte che un soggetto si ponga volutamente nell'impossibilità di compiere l'azione doverosa.
La tesi non pare convincere: all'impossibilità di adempiere segue necessariamente il mancato
compimento dell'azione doverosa, e quindi la consumazione del reato omissivo.
Nel caso di omissione impropria (nei quali al “cagionare” l'evento viene equiparato, a norma
dell'art 40 cpv, il “non impedirlo”), il tentativo è sempre possibile.
Nei reati sottoposti a condizione il tentativo si può avere solo quando la struttura del reato è
tale, che la condizione si possa verificare anche se non si realizza l'evento del reato.
Ad esempio non è punibile un tentativo di istigazione al suicidio, perché, se non è riuscita
l'istigazione, l'eventuale suicidio non ha alcun rapporto con l'azione dell'istigare.
Quanto ai delitti di pericolo, spesso si nega la configurabilità del tentativo, argomentando
che non può aversi il pericolo di un pericolo.
Ma, in realtà, il pericolo è un concetto graduabile: sicché il tentativo sarà ammissibile dove
il pericolo capace di costituire la consumazione sia più intenso di quello capace di costituire il
tentativo.
Il tentativo non è possibile nei delitti di attentato e in quelli a consumazione anticipata.
Infatti, si tratta di forme di tentativo soggette dalla legge al regime proprio del delitto
consumato.
Infine, il tentativo di contravvenzione non è punibile, perché la legge non lo prevede.
Infatti, l'art 56 c.p. menziona soltanto gli “atti diretti a commettere un delitto”.
Ovviamente, il tentativo non può aversi nei delitti colposi e nei delitti preterintenzionale, dal
momento che in entrambi i casi l'evento non è voluto dall'agente.
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3.3
Lezione VIII
Determinazione della pena
Rispetto al corrispondente delitto consumato, il tentativo rappresenta un titolo autonomo di
reato, e non una circostanza attenuante.
Ne deriva una serie di conseguenze, la prima delle quali riguarda il procedimento per la
determinazione della pena.
Ad eccezione delle ipotesi in cui per il delitto consumato sia prevista la pena dell'ergastolo,
all'autore di un delitto tentato si applica “la pena stabilita per il delitto diminuita da un terzo a due
terzi...”.
Trattandosi di una figura autonoma di reato, il tentativo ha una propria cornice edittale di
pena, che il giudice deve individuare preliminarmente rispetto alla commisurazione della pena, da
operarsi poi all'interno di quella cornice: in particolare, la pena per il delitto tentato spazierà da un
minimo pari alla pena minima prevista per il delitto consumato diminuita di due terzi e un massimo
pari alla pena massima prevista per il delitto consumato diminuita di un terzo.
A partire delle pene previste per il delitto consumato, si deve cioè operare la diminuzione
massima sulla pena minima e la diminuzione minima sulla pena massima.
Ad esempio, se per il delitto consumato la legge commina la reclusione da uno a tre anni, la
corrispondente ipotesi di tentativo sarà punita con la reclusione da quattro mesi (un anno meno due
terzi) a due anni (tre anni meno un terzo).
Va inoltre sottolineato che la diminuzione di pena per il tentativo andrà operata sempre, non
trovando applicazione il giudizio di comparazione delle circostanze ex art 69 c.p.; solo le
circostanze attenuanti in caso di concorso con circostanze aggravanti devono, infatti, essere
bilanciate con queste ultime.
3.4
Desistenza volontaria e pentimento operoso
Può accadere che durante l'esecuzione del reato, e prima che questo sia consumato, il reo
receda dal suo proposito criminoso, interrompendo l'azione o impedendo il verificarsi dell'evento.
Il terzo e il quarto comma dell'art 56 c.p. stabiliscono:”...se il colpevole volontariamente
desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano
per sé un reato diverso.
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Diritto Penale I
Lezione VIII
Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato,
diminuita da un terzo alla metà”.
Queste due situazioni di fatto sono indicate dalla dottrina come “desistenza volontaria” e
“pentimento operoso”.
La desistenza si ha quando l'agente, dopo aver iniziato l'esecuzione del delitto, muta
proposito e interrompe la sua attività criminosa.
Ad esempio: un soggetto che ha progettato un veneficio a piccole dosi desiste dal suo
proposito dopo aver somministrato alla vittima solo la prima dose.
Se questa, da sola, non è idonea a cagionare la morte, il soggetto non sarà punibile per
omicidio tentato.
Sarà punibile per lesione personale consumata o tentata, se la singola dose ha cagionato una
lesione personale o era idonea a cagionarla.
Non risponderà di alcunché, se la dose singola non era idonea neppure a produrre una
lesione personale.
Il pentimento operoso, invece, si verifica allorché il colpevole ha condotto a termine l'attività
esecutiva e, desiderando, per riflessioni o fatti sopravvenuti, evitare il verificarsi dell'evento, agisce
per impedirlo, come nel caso di colui che, dopo aver gettato un individuo nel fiume, lo salvi.
Le due ipotesi, come appare evidente, sono in correlazione coi due stadi che possono
presentarsi nel tentativo: durante la fase del tentativo “incompiuto” l'abbandono del proposito
criminoso si manifesta nella forma di desistenza; nella fase del tentativo “compiuto”, e cioè quando
l'attività esecutiva è esaurita, ma l'evento non si è ancora verificato, la semplice inattività non può
bastare: occorre che l'agente si renda attivo allo scopo di impedire che le forze della natura, da lui
messe in moto o utilizzate, determinino il risultato.
Da quanto si è detto si desume che la desistenza ha carattere negativo, consistendo nel
semplice non condurre a termine l'attività prestabilita; il recesso attivo, invece, ha carattere positivo,
in quanto esige la messa in opera di una nuova attività.
Nei reati commissivi, la desistenza volontaria si ha con il puro e semplice interrompere
dell'azione.
Nei reati omissivi, al contrario, occorre che il soggetto intraprenda l'attività comandata.
Nel concorso di persone, la desistenza di un compartecipe gli può giovare solo se, per le
circostanze concrete, ne viene impedita l'intera realizzazione del reato, o almeno siano bloccate le
conseguenze degli atti in precedenza compiuti dallo stesso soggetto, in modo che essi divengano del
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Lezione VIII
tutto irrilevanti rispetto all'evento realizzato dagli altri partecipi; gli altri compartecipi non lo
possono invocare a proprio favore.
Tanto la desistenza volontaria, quanto il pentimento operoso, devono avere l contrassegno
della “volontarietà”.
Questo requisito, secondo la interpretazione più diffusa, non comporta di necessità un
motivo positivamente valutabile.
La desistenza è volontaria quando si possa dire che l'agente ha ragionato in questi
termini:”potrei continuare, ma non voglio”.
La volontarietà della desistenza presuppone dunque la soggettiva convinzione dell'agente di
poter completare l'attività esecutiva iniziata.
Volontarietà ai fini della desistenza del tentativo non significa invece necessità di un
pentimento e nemmeno necessità di un abbandono definitivo del proposito criminoso.
Inversamente la desistenza non è volontaria quando l'agente ha detto a se stesso:” vorrei
continuare, ma non posso”.
Così non è volontario il comportamento indotto da cause esterne, come la resistenza della
vittima, l'avvicinarsi di persone o di cani, la rilevata insufficienza dei mezzi usati.
La desistenza volontaria comporta la impunità del colpevole.
Dal punto di vista dogmatico, essa è una causa di risoluzione del reato, nel senso che fa
venire meno ex tunc la illiceità penale di atti che già avevano tutti i contrassegni per essere puniti
come tentativo.
Il recesso attivo, al contrario, nel nostro codice ha un trattamento diverso, che non si
giustifica facilmente: esso importa solo una diminuzione (da un terzo alla metà) della pena stabilità
per il reato tentato.
Una notevole deroga a tale principio è stata tuttavia introdotta nell'ordinamento dall'art 5
della L. 6 Febbraio 1980 n. 15 (la c.d. legge sui “pentiti”) che, prevedendo il recesso da delitti
commessi per finalità di terrorismo e di eversione, stabilisce la non punibilità di chi volontariamente
impedisca l'evento e fornisca elementi di prova determinanti per la esatta ricostruzione del fatto e
per la individuazione di eventuali concorrenti.
Col pentimento operoso non va confuso il ravvedimento post delictum.
Anche dopo la consumazione del reato l'opera attiva che il colpevole svolga per eliminare o
attenuarne gli effetti dannosi o pericolosi può produrre conseguenze giuridiche.
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Oltre all'ipotesi considerata nel n. 6 dell'art 62 c.p., il ravvedimento post delictum costituisce
un'attenuante speciale per alcuni reati.
3.5
Il reato impossibile
allorché manca il requisito dell'idoneità dell'azione, si ha quella figura giuridica che il nostro
codice, con espressione assai discutibile, denomina “reato impossibile”.
La dottrina tradizionale, invece, parla di “tentativo inidoneo”.
All'ipotesi in parola si riferisce l'art 49 comma 2 c.p.:”...la punibilità è ...esclusa quando, per
la inidoneità dell'azione o per la inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o
pericolo...”.
Come risulta dal testo di questa disposizione, oltre al caso dell'inidoneità dell'azione, che or
ora abbiamo cercato di chiarire, il reato impossibile si verifica nell'ipotesi in cui manchi l'oggetto
dell'azione medesima, e cioè l'oggetto materiale del reato.
Secondo l'opinione tradizionale, il reato impossibile è l'aspetto negativo del delitto tentato,
in quanto esprime la mancanza dei requisiti necessari a configurarlo.
Infatti, l'art 56 c.p., nell'incriminare il delitto tentato, richiede “atti idonei, diretti in modo
non equivoco a commettere un delitto”.
La inidoneità dell'azione è la mancanza del requisito della idoneità degli atti.
L'azione è inidonea, quando, secondo le conoscenze dell'uomo normale, più quelle che
eventualmente avesse il soggetto attivo, il verificarsi dell'evento era da considerarsi, nel caso
concreto, impossibile già ad un giudizio ex ante.
La ipotesi di reato impossibile per inesistenza dell'oggetto è sostanzialmente diversa dalla
ipotesi per inidoneità dell'azione.
L'oggetto è inesistente tutte le volte che, secondo una valutazione ex post, esso in realtà
mancava (anche se questa mancanza, non essendo riconoscibile ex ante, non si può convertire nella
inidoneità dell'azione).
Perché si abbia il reato impossibile per inesistenza dell'oggetto, occorre la perfetta
individuazione dell'oggetto stesso.
Per ciò, non vi può essere reato impossibile quando l'oggetto materiale dell'azione non è
determinato.
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Nei casi di reato impossibile, se il fatto effettivamente commesso integra un reato diverso, il
soggetto sarà punibile per quest'ultimo.
L'ultimo comma dell'art 49 c.p. stabilisce che:”...il giudice può ordinare che l'imputato
prosciolto sia sottoposto a misure di sicurezza...”.
Insieme con le ipotesi di cui all'art 115, secondo e quarto comma, il reato impossibile
costituisce un caso eccezionale (c.d. quasi reato) in cui è applicabile una misura di sicurezza per un
fatto non punibile già in astratto.
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4 Concorso di persone
La realizzazione del reato può avvenire ad opera di una sola persona o di più persone.
Nel secondo caso si ha quella che i pratici medievali chiamavano societas sceleri e che ora,
generalmente denominata compartecipazione al reato o compartecipazione criminosa, è designata
dal nostro codice con l'espressione concorso di persone nel reato.
L'art 110 c.p. stabilisce:”...quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di
essere soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti...”.
Le norme del nostro codice non precisano quali requisiti abbia il concorso di persone.
In prima approssimazione, può dirsi che si ha concorso di persone nel reato, quando una
persona si avvale, per proiettare la propria volontà criminosa nel mondo esterno, di una
realizzazione comune alla condotta di un'altra persona o di più altre persone.
Allorché nel reato si verifica una molteplicità di compartecipi o soci, bisogna anzitutto
disttinguere due ipotesi.
Esistono non pochi reati che per la loro intrinseca natura non possono essere commessi se
non da due o più persone.
In tali situazioni la pluralità di agenti è indispensabile per l'esistenza del reato; si pensi ad
esempio all'incesto, al duello, alla rissa e così via.
Questi tipi di reato, che richiedono necessariamente la condotta di più persone, sono solo
un'eccezione, dal momento che ci sono numerosi reati ove la condotta può essere realizzata
indifferentemente da una o più persone.
Nella prima ipotesi si ha quella specie di concorso che comunemente è denominato
“necessario”; nella seconda si verifica il così detto concorso “eventuale”, chiamato anche
“contingente”.
4.1
La realizzazione comune
Il presupposto necessario, perché si possa verificare un concorso di persone, è una
realizzazione comune, la quale costituisca la proiezione esteriore del volere di ciascuno dei
concorrenti.
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Essa deve corrispondere, nel suo complesso, a quella realizzazione che sarebbe richiesta per
la condotta del singolo che volesse commettere lo stesso reato.
Tra l'altro, è necessario nei confronti dell'evento un nesso causale non diverso da quello che
sarebbe richiesto se il fatto fosse stato commesso da una sola persona.
Questa realizzazione comune può essere posta materialmente per intero da uno solo dei
compartecipi, che allora viene indicato come “autore”, oppure si può ripartire in varia misura tra i
diversi concorrenti.
Se la realizzazione comune manca, le condotte dei singoli compartecipi non costituiscono
reato.
A questo punto, l'art 115 comma 1 c.p. stabilisce:”salvo che la legge disponga altrimenti,
qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia
commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell'accordo...”.
La realizzazione comune deve essere fatta propria da ciascun compartecipe.
Ciò avviene in presenza di due requisiti: l'uno subiettivo, l'altro obiettivo.
Il requisito subiettivo consiste nella consapevolezza di avvalersi della realizzazione
comune.
Questa consapevolezza deve essere presente non solo nei reati dolosi, ma anche nei reati
colposi e nei reati attribuiti a titolo di responsabilità da rischio totalmente illecito.
Il concorso di persone nei delitti colposi è indicato dalla legge come “cooperazione nel
delitto colposo”.
Se manca il requisito della consapevolezza di avvalersi della realizzazione comune, non si
avrà concorso di persone, ma concorso indipendente di cause umane: a ciascuno dei soggetti
potrà essere attribuito solo quanto da lui è stato causato.
Il requisito obiettivo perché la realizzazione comune sia fatta propria da ciascun soggetto
non consiste necessariamente in apporto causale condizionalistico.
L'apporto del compartecipe può consistere non solo nell'avere condizionato (cioè reso
possibile) il verificarsi dell'evento, ma anche nell'averlo facilitato, cioè nell'averlo reso più
probabile, più immediato o più grave.
Se non fosse così, si creerebbero gravi lacune di tutela; per esempio, non sarebbe punibile il
“palo”.
L'art 114 c.p. riconosce che l'opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel
reato può avere avuto “minima importanza” nella preparazione o nella esecuzione del reato: ora,
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una condotta indispensabile per la produzione dell'evento (quale sarebbe la condotta in funzione di
condicio sine qua non) non può essere considerata di minima importanza.
Nel loro complesso, le condotte dei compartecipi dovranno essere causali (in senso
condizionalistico) nei confronti dell'evento; ma è erroneo richiedere daccapo lo stesso requisito a
livello di ciascuno dei concorrenti.
Se non sussistono i requisiti obiettivi minimi del concorso, l'adesione morale al fatto
delittuoso sarà soltanto una connivenza non punibile.
Più precisamente, diventa errato applicare ad ogni condotta il principio della condicio sine
qua nono, tale principio va applicato all'intero iter criminoso, altrimenti alcune condotte potrebbero
andare esenti da sanzioni.
Il concorso di persone vede coinvolte più persone, ossia ci sono più persone che agiscono
per la realizzazione del medesimo evento.
A tal'uopo, fermo il principio che ogni individuo che concorre alla commissione di un reato
ne è autore e tale è considerato dal diritto vigente, è opportuno, specie ai fini dell'accertamento del
grado della responsabilità, anzitutto distinguere l'autore in senso stretto dal semplice partecipe.
Non si deve dire che è autore colui che realizza l'azione tipica, ma bisogna dire che è autore
chi compi un'azione che, riguardata da sola, è conforme a quella descritta nel modello astratto del
reato,
partecipe, in conseguenza, è l'individuo che pone in essere un'azione che di per sé sola non
realizza la fattispecie criminosa.
Mentre, è coautore il concorrente che, insieme con altri, esegue in tutto o in parte l'azione
tipica.
La partecipazione può essere sia materiale che morale; si ha concorso materiale quando una
condotta atipica è stata condizione necessaria per l'esecuzione del fatto concreto penalmente
rilevante da parte di altri.
Mentre si avrà concorso morale quando un soggetto attraverso consigli, minacce, doni
ecc..., fa nascere in altri il proposito di commettere il fatto che poi viene commesso ovvero rafforza
un proposito criminoso già esistente, ma non ancora consolidato.
Fatte queste premesse, notiamo che nel sistema del nostro diritto positivo quattro sono gli
elementi indispensabili per l'esistenza del concorso criminoso:
a) una pluralità di agenti, a tal uopo si rimanda a quanto è stato ampliamente detto poc'anzi;
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b) realizzazione dell'elemento oggettivo di un reato da parte di taluno dei concorrenti:
affinché vi sia il concorso delittuoso, occorre che almeno uno dei soggetti, e precisamente l'autore
stricto sensu, abbia realizzato il fatto materialmente che è descritto nella norma incriminatrice.
c) contributo causale alla verificazione del fatto: tale requisito prevede che il soggetto abbia
recato un contributo causale al verificarsi del fatto criminoso.
In conseguenza colui che esplica un'azione priva di ogni efficacia rispetto al fatto medesimo
non può considerarsi concorrente.
La necessità che il soggetto rechi un contributo causale alla realizzazione del fatto criminoso
ha per conseguenza che non costituisce compartecipazione l'opera prestata posteriormente alla
consumazione del reato, a meno che l'opera medesima non sia stata promessa in antecedenza e ciò
abbia suscitato o rafforzato il proposito di delinquerq.
d) volontà di cooperare nel reato: il requisito psichico del concorso delittuoso consiste nella
volntà di cooperare al fatto che costituisce il reato.
Esso implica due elementi: 1) in primo luogo, la conoscenza o la rappresentazione delle
azioni che altre persone hanno esplicato, esplicano o esplicheranno per la realizzazione del fatto che
si ha di mira; 2) in secondo luogo, la volontà di contribuire col proprio operato al verificarsi del
fatto medesimo.
Se i vari soggetti operano l'uno all'insaputa dell'altro, le rispettive azioni difettano di ogni
legame: sono del tutto indipendenti, e perciò non possono dar vita a quel complesso unitario che è
nell'essenza dell'istituto di cui ci stiamo occupando.
Oltre all'elemento conoscitivo, ora indicato, occorre la volontà di contribuire col proprio
operato alla realizzazione del fatto.
Tale volontà è indispensabile, perché altrimenti mancherebbe quella convergenza ad un
unico risultato, che consente di considerare comune a tutti i compartecipi e propria di ciascuno di
essi l'attività che ha dato origine al reato.
4.2 Applicazione della pena
L'art 116 c.p. dispone che:”...qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da
taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od
omissione.
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Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il
reato meno grave...”.
Questa è una disposizione di rigore, perché chiama il partecipe a rispondere per rischio
totalmente illecito (dipendente dall'affidarsi ad altri per realizzare un piano criminoso) di reati
dolosi commessi da altri.
Come in tutti i casi di responsabilità da rischio totalmente illecito, occorre la prevedibilità
dell'evento in concreto, e non nella semplice configurazione astratta.
Il compartecipe risponde del reato diverso non solo quando quest'ultimo sia stato commesso
al posto di quello concordato, ma anche quando esso sia stato commesso oltre il reato concordato.
Infine, la legge prevede regole particolari sulla comunicabilità, da un compartecipe all'altro,
delle circostanze aggravanti e attenuanti e delle cause di esclusione del reato.
Tutte le circostanze che aggravano o diminuiscono la pena sono valutate in capo a tutti i
concorrenti.
Fanno eccezione le circostanze previste dall'art 118 c.p., ossia inerenti l'intensità del dolo,
concernenti i motivi a delinquere ecc...
Per concludere l'art 119 c.p. stabilisce:”...le circostanze soggettive le quali escludono la pena
per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si
riferiscono.
Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono
concorsi nel reato...”.
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5 Concorso di reati
Si ha il concorso di reati quando un individuo viola più volte la legge penale e, perciò deve
rispondere di più reati.
Il concorso può essere materiale o formale: nel primo i vari reati sono posti in essere con una
pluralità di azioni od omissioni; nel secondo vengono realizzati con una sola azione od omissione.
Prima di andare oltre, è bene ripetere il concetto di “un'unica azione” in modo da meglio
comprendere il concetto di “molteplicità di azioni”.
L'azione deve considerarsi unica allorché gli atti determinati da un solo scopo e si svolgono
in un unico contesto, vale a dire, si susseguono in modo continuativo.
Due, quindi, sono le note che caratterizzano l'unicità dell'azione: a)il legame finalistico, il
quale rappresenta il cemento che unisce in tutto i vari atti; b) la contestualità, e cioè il loro
susseguirsi ininterrotto, senza che fra essi intercorra un apprezzabile lasso di tempo.
Acquisito che ci si trova di fronte, nel caso concreto, non ad un unico reato, bensì ad una
pluralità di reati, bisogna distinguere a seconda che i reati siano stati commessi “con una sola azione
od omissione” (ex art 81 c.p.) ovvero con più azioni od omissioni (art 71 ss c.p.): nel primo caso si
parla di concorso formale di reati, nel secondo caso di concorso materiale di reati.
Si tratta di una distinzione alla quale la legge ricollega importanti conseguenze sul piano del
trattamento sanzionatorio.
Più mite è il trattamento riservato al concorso formale di reati, per il quale il nostro
ordinamento adotta attualmente il c.d. cumulo giuridico delle pene e in particolare prevede che si
applichi la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata sino al triplo (art 81 co.
1).
Più severo è invece il trattamento sanzionatorio del concorso materiale di reati: secondo lo
schema del cumulo materiale delle pene, di regola si applicano le pene previste per ogni singolo
reato sommate l'una all'altra.
La commissione di più reati “con una sola azione od omissione” integra, in base all'art 81
co. 1 c.p., un concorso formale di reati.
Il concorso formale di reati è omogeneo se quell'unica azione viola più volte, la stessa
norma incriminatrice, è eterogeneo se quell'unica azione viola due o più norme incriminatrici.
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E sappiamo che un'unica azione può constare, oltre che di un unico atto, anche di una
pluralità di atti: in questo caso ciò che consente di parlare di un'unica azione è l'unicità del contesto
spazio-temporale in cui vengono compiuti.
Per stabilire se ci si trovi in presenza di un concorso formale omogeneo, e non di un unico
reato, il criterio fondamentale è quello della molteplicità delle offese al bene giuridico tutelato.
Si verifica il concorso formale omogeneo quando un soggetto con il lancio di una bomba
ferisce più persone.
Ciò che caratterizza il concorso formale eterogeneo di reati è un'unica azione con la quale un
soggetto esegue due o più distinte figure di reato.
Si ha violazione di più norme con un'unica azione quando ad esempio un soggetto commette
una violenza sessuale ai danni della figlia; in questo modo l'agente risponderà sia di violenza
sessuale che di incesto.
Il concorso formale di reati è sottoposto ad un trattamento più mite di quello riservato al
concorso materiale: il giudice deve operare il cumulo giuridico delle pene, individuando il più grave
fra i reati in concorso e applicando la pena che infliggerebbe per questo reato aumentata fino al
triplo.
La minor severità del cumulo giuridico rispetto al cumulo materiale delle pene, previsto per
il concorso materiale di reati, è sancita dallo stesso art 81 c.p., che al comma 3 stabilisce che “nei
casi preveduti da questo articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a
norma degli articoli precedenti”, cioè alla pena che sarebbe applicabile in base al cumulo materiale.
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6 Il reato continuato
Si ha continuazione di reati ex art 81 cpv c.p., quando taluno, “con più azioni od omissioni,
esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della
stessa o più diverse disposizioni di legge”.
Si ha ad esempio un reato continuato quando, Tizio per pagare un debito di gioco, commette
un furto e una rapina.
In questa disposizione, la dizione “più azioni od omissioni” indica una pluralità di condotte
illecite e, pertanto, una pluralità di reati.
Ne segue pure che più violazioni della legge penale, se commesse con un unico processo
esecutivo e in esecuzione del medesimo disegno criminoso, rientrano al tempo stesso sotto il
paradigma del concorso formale e della continuazione di reati.
Il disegno criminoso consiste in un programma di azione concepito non più tardi della
realizzazione del primo reato e comprensivo di tutte le violazioni.
Quanto al regime penale, concorso formale e continuazione di reati sono considerati meno
gravi del corrispondente concorso materiale di reati.
Perciò, il regime penale non è quello del cumulo materiale delle pene: si applica, invece, la
pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentandola fino al triplo (questo tipo di
regime penale è quello poc'anzi visto, ossia il c.d. cumulo giuridico, che si applica in caso di
concorso formale di reato), senza mai superare la pena che sarebbe inflitta con il sistema della
somma delle pene (ossia del cumulo materiale).
Preme precisare che la differenza tra il reato continuato ed il concorso materiale di reato, è la
presenza nel primo istituto e l'assenza nel secondo istituto del disegno criminoso; e proprio la
presenza di tale disegno ad avviso del legislatore, si dovrebbe ravvisare un minore allarme sociale
ed una minore capacità delinquenziale dell'agente, al punto da applicare un regime sanzionatorio
più lieve.
Per determinare quale sia la più grave delle violazioni commesse, bisognerà guardare a
quella per il quale il giudice infliggerebbe in concreto la pena più grave.
Il regime del cumulo giuridico non è applicabile tutte le volte che la sua adozione
comporterebbe un peggioramento del trattamento penale del reo.
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Perché il giudice possa applicare il regime del cumulo giuridico, è necessario che egli sia a
conoscenza di tutte le violazioni.
Questo è possibile in due casi: se si procede congiuntamente per tutti i reati; se per qualcuno
dei reati vi è già una sentenza passata in giudicato.
Non è necessario che il giudicato si sia formato sul reato più grave, posto che non si viola il
giudicato se ci si limita ad applicare il regime del cumulo giuridico, senza alterare il giudizio su
numero e gravità dei reati singoli.
Infine, l'art 671 c.p.p. consente l'applicazione del regime anche in sede esecutiva.
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Bibliografia
La lezione è stata redatta facendo riferimento ai seguenti Autori:
- F. Antolisei;
- E. Dolcini;
- L. Giordano;
- G. Marinucci;
- A. Pagliaro;
-P. Scognamiglio;
- G. Visone;
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