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IL CONTINUO GETTO DI RIFIUTI NEL CORTILE DEL VICINO

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IL CONTINUO GETTO DI RIFIUTI NEL CORTILE DEL VICINO
Di Avv. Rosa Bertuzzi
STALKING CONDOMINIALE : IL CONTINUO GETTO DI RIFIUTI NEL
CORTILE DEL VICINO CAUSA LO STATO D’ANSIA – REATO Vorrei pubblicare un curioso quesito che mi è stato posto da una forza di
polizia. Lo riporto per intero.
Quesito : Sono un agente di Polizia Locale, ed ho avuto la segnalazione
relativa ad un vicino di casa che continua a gettare rifiuti, in particolare
escrementi rinchiusi in borsine di plastica, nel cortile del vicino, nonché
fratello dell’autore. Dopo aver fatto il primo sopralluogo ho avuto la
certezza di tali azioni, tramite la testimonianza di diversi altri vicini di casa.
Che reato commette l’autore ?
Risposta : Il vicino di casa commette il reato di ATTI PERSECUTORI, di cui
all’art. 612 bis del codice penale. La norma punisce chi, con condotte
reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurare e
grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per
l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata al
medesimo da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad
alterare le proprie abitudini di vita . La fattispecie è delittuosa, ma è
perseguibile a querela di parte, con un termine di sei mesi. Il procedimento
è d’ufficio se il danno è causato nei confronti di un minore o di un disabile,
o quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere
d’ufficio. Il fatto illustrato, pertanto, induce l’autore a ritenersi responsabile
del reato di cui all’art. 612 bis del C.P. , ma sono necessari gli atti tipici del
codice di procedura penale, al fine di portare dinanzi al giudice i mezzi di
ricerca della prova . La presentazione della querela o la C.N.R. sono i primi
atti utili, corredati delle sommarie/spontanee dichiarazioni, con la prova
che l’autore insozzava l’abitazione e il cortile di proprietà del fratello,
gettandovi rifiuti meglio specificati, con la prova che in tal modo si creava
un perdurare e grave stato di ansia e il fondato pericolo per l’incolumità, al
punto che il soggetto passivo … spiegare bene, ad esempio si trasferiva
altrove in alcuni periodi. Sul punto si è anche pronunciata la Corte di
Cassazione, con sentenza n. 39933 del 26 settembre 2013, e con sentenza
n. 20985 del 25 maggio 2011.
La locuzione condotte reiterate sta a significare che si è in presenza di un
reato complesso, la cui condotta criminosa, è, nel caso di specie, integrata
da atti per sé costitutivi di condotte di minaccia o molestia.
Il carattere decisivo della condotta criminosa consiste nella ripetizione di
atti qualificati persecutori, in quanto il loro insieme cagiona l’evento
ulteriore assorbente del reato sopra indicato.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, nelle due sentenze sopra richiamate,
si deve intendere che la minaccia rivolta nei confronti di una sola persona
può coinvolgerne altre o, in ogni caso, costituire molestia, come nella
ipotesi di chi minacci “d’abitudine ogni persona ", con atti svariati, che
comunque si identificano all’interno della norma punitiva.
In base al “pensiero” della Corte è “ineludibile l’implicazione che l’offesa
arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi di per
sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere”. E “se la condotta è
reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso
luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionalmente
destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto
genera all’evidenza turbamento in entrambe”.
Secondo quanto precisato nelle sentenze di cui sopra deve essere presa in
considerazione anche l’ansia nonché il turbamento che una condotta
persecutoria può generare nei confronti dei singoli condomini anche non
direttamente oggetto degli stessi atti persecutori.
Ai fini di una condanna, quindi, è sufficiente che qualcuno ponga in essere
atti persecutori in modo da cagionare un perdurante stato di paura o,
comunque, un fondato timore di pericolo per l’incolumità propria o di
persone prossime, o ancora la costrizione al cambiamento delle proprie
abitudini di vita.
Il condominio quale locus commissi delicti
Si coglie l’occasione per fare presente ai lettori della rivista un problema
che potrebbe capitare in merito alle c.d. lamentele tra condomini, spesso
oggetto di segnalazioni alla Polizia Locale : REATO DI STALKING
CONDOMINIALE . Oggi il condominio diventa spesso luogo fisico nel
quale, da semplici dissidi e contrasti, si entra nell’area del penalmente
rilevante quando vengano lesi o messi in pericolo beni giuridici tutelati da
specifiche fattispecie incriminatrici. Si può trattare di condotte istantanee,
come nel caso di ingiurie, se la convivenza tra condomini scatena un
conflitto verbale nel quale si proferiscono espressioni offensive della
reputazione, salvo che le stesse siano scriminate dalla presenza di una
causa di giustificazione. Anche l’amministratore di condominio è spesso
vittima di condotte ingiuriose o diffamatorie dei condomini proferite o nel
corso dell’assemblea o in scritti affissi nelle aree condominiali o indirizzati
direttamente all’amministratore. Tuttavia anche l’amministratore di
condominio può incorrere nel delitto di diffamazione nei confronti dei
condomini nella sua attività di gestione condominiale. Talvolta le molestie
condominiali possono inquadrarsi nel paradigma normativo dell’art. 674
c.p. che punisce il getto pericoloso di cose, atte a offendere o imbrattare o
molestare persone. La Suprema Corte, oltre alle sentenze sopra
richiamate, ha confermato la condanna del reato di cui agli artt. 81 cpv e
674 c.p. per avere l’agente arrecato molestie ad una condomina in quanto,
abitante nello stesso stabile, aveva gettato nel piano sottostante ove si
trovava l'appartamento di quest’ultima, rifiuti, quali cenere e cicche di
sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina. Andando alle
condotte che si avvicinano al delitto di atti persecutori, talvolta viene
contestato ai condomini il reato contravvenzionale continuato di molestie
continuate ex artt. 81 e 660 c.p., per petulanza, in danno dei vicini. Per
citare uno degli ultimi casi portati dinanzi ai giudici di legittimità una
coppia di coniugi, a causa di precedenti dissapori con il sottostante
titolare di un panificio avevano posto in essere atti di disturbo e molestia
alle normali attività del negozio, versando grandi quantità di acqua dal
piano soprastante proprio davanti all’entrata del panificio, spesso proprio
quando giungevano clienti. Inoltre avevano costretto il negoziante a subire
altre molestie, quali il getto di foglie, rami e altri materiali di scarto sempre
dal piano superiore occupato dalla famiglia degli imputati, in prossimità
dell’entrata del panificio, così da diminuirne l’immagine, il decoro e
l’igiene. La Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna per il
delitto di cui all’art. 660 c.p. statuendo che la decisione impugnata «ha
anche dato atto, in modo adeguato, dei tratti caratteristici della condotta
petulante, evidenziandone la sussistenza nel caso in esame. Quando gli
episodi di molestia sono plurimi, con l’obbligo di provarne in sede di CNR
da parte della Polizia Locale, qualora intervenga, sussiste dell’istituto della
continuazione. A parere della scrivente, quando possibile, poiché tali reati
sono quasi tutti perseguibili a querela di parte, sarà l’operatore di Polizia a
valutare eventuali interventi/sopralluoghi sul posto.
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