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Il reato di stalking e separazione tra i coniugi

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Il reato di stalking e separazione tra i coniugi
IL REATO DI STALKING
E
SEPARAZIONE TRA I CONIUGI
Riflessioni sulla natura e la genesi dei comportamenti delittuosi nelle
separazioni
MONZA, 18 gennaio 2010-01-08
TEATRO VILLORESI
Patrizia Gallucci
Giudice Tribunale Monza
PREMESSA
Due milioni 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori
(Stalking) dai partner al momento della separazione o dopo che si
erano lasciate, ben il 18,8% del totale. Tra le donne che hanno subito
stalking, il 68,5% dei partner ha cercato insistentemente di parlare con la
donna contro la sua volontà, il 61,8% ha chiesto ripetutamente
appuntamenti per incontrarla, il 57% l’ha aspettata fuori di casa o a scuola
o a lavoro, il 55,4% le ha inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere o
regali indesiderati, il 40,8% l’ha seguita o spiata e l’11% ha adottato altre
strategie.
Il 50% delle donne vittime di violenza fisica o sessuale da un partner
precedente, ha subito anche lo stalking, 937 mila donne.
Un milione 139 mila donne hanno invece subito solo lo stalking ma non
violenze fisiche o sessuali.1
Questi numeri, solo apparentemente aridi e noiosi, dicono invece quanto
vasto sia il problema dello stalking e quanto significativamente incida sulle
situazioni di separazione tra partner e, gioco forza, tra coniugi; da qui il
legame apparentemente inesistente tra il principale argomento oggi trattato
– l’addebito di responsabilità nella separazione – ed il reato di stalking e la
separazione.
LA DEFINIZIONE
Stalking è parola che deriva dal verbo inglese “to stalk” che significa “fare
la posta” (sottintendendosi alla preda); già l’utilizzo di questo termine
rinvia all’immagine di persecuzione ed evoca sensazioni di oppressione e
di angosciante limitazione della libertà di chi subisce questo vero e proprio
assedio da parte di altro soggetto che, in moltissimi casi è persona che con
la vittima ha intrattenuto relazioni affettive o vi è stata legata in matrimonio
e non accetta la fine del rapporto.
Nel 70-80% dei casi è un uomo, partner o ex partner della vittima a tenere
il comportamento assillante, anche se non mancano episodi che vedono
come protagoniste attive le donne.
1
Indagine Istat 2007 “La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia”. Anno
2006
LA NUOVA NORMA DELL’ART. 612 BIS C.P.
Vediamo ora cosa deve tecnicamente intendersi per “stalking” o, meglio,
quali comportamenti possano considerarsi regolati dalla norma di cui al
nuovo art. 612 bis c.p. che disciplina gli atti persecutori.
La norma recita: “ Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito
con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte
reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante
e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore
per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al
medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad
alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente
separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione
affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un
minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con
disabilità di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con
armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per l
proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il
fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con
disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché
quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere
d’ufficio”.
La norma è stata introdotta all’art. 612 bis c.p. dall’art. 7 comma 1 Decreto
Legge n. 11 del 2009; è un delitto doloso che è stato inserito tra quelli
contro la libertà morale.
La fattispecie ha ad oggetto le condotte reiterate di minaccia o molestia la
cui tipicità è caratterizzata proprio dalla loro reiterazione, così come
espressamente indicato dalla norma; si tratta dunque di un reato abituale
che nel corso della discussione del d.d.l. C1440, è stato definito reato
abituale proprio2la cui previsione ha inteso sanzionare condotte che in
precedenza sfuggivano alle norme incriminatrici vigenti.
Lo stalking, nella sua tipica accezione, è caratterizzato infatti da condotte
prive del requisito della violenza, e la fattispecie in esame consente ora di
colpire in modo adeguato atti di disturbo, di condizionamento, anche non
2
Intervento On. Giulia Bongiorno nel quale si è affermato che “lo stalking è un reato abituale proprio”
ossia un reato commesso dalla reiterazione di condotte che , prese singolarmente, sono penalmente
irrilevanti (cfr. resoconto della seduta del 29 gennaio 2009)
violenti ma che di frequente progrediscono fino a diventare gravissimi e
anche fortemente violenti, degenerando in fatti reato ben più severi; si può
dire che il reato così come definito dalla norma “fotografa quelle condotte
che precedono e in qualche modo annunciano (secondo l’esperienza) un
fatto di violenza, a differenza delle norme incriminatrici già presenti nel
nostro codice penale che sono applicabili solo quando la situazione è ormai
‘precipitata’3.
La norma introdotta con l’art. 7 del decreto legge 11 del 2009, convertito
nella L.23 aprile 2009 n. 38, ha poi di fatto colmato anche una lacuna
dell’apparato sanzionatorio e degli strumenti di prevenzione (intesa in
senso lato) a tutela della vittima laddove le sanzioni previste per i reati di
molestie o minacce (nel primo caso addirittura oblazionabili) non potevano
certo contrastare efficacemente i comportamenti persecutori.
Ulteriore contributo all’effettività della tutela delle vittime, deve poi
ravvisarsi nell’aver previsto il massimo edittale della pena in quattro anni
di reclusione, soglia prevista dall’art. 280 c.p.p. per l’applicabilità della
custodia cautelare in carcere.
L’intervento normativo ha dunque reso maggiormente incisiva la tutela
sotto tutti i tre profili su ricordati.
Se ciò che contraddistingue le condotte di minaccia e molestia è loro
reiterazione e, se “lo stillicidio persecutorio rappresenta ‘l’in sé’
dell’incriminazione”4 è necessario, perché la fattispecie incriminatrice
possa dirsi integrata, che le “condotte reiterate” producano determinati
eventi; il reato di atti persecutori è dunque un reato di danno e non di
pericolo.
Sul punto vi è stata discussione nel corso dell’approvazione dell’originario
progetto di legge il testo configurava un reato di pericolo concreto
prevedendo la necessità solo di condotte concretamente idonee a
determinare lo stato d’ansia o di paura; tale formulazione ha suscitato in
parlamento il timore di un eccessiva avanzamento della soglia di penale
rilevanza con il rischio di punire fatti sostanzialmente inoffensivi.
Gli eventi contemplati dalla norma possono essere individuati in tre diverse
tipologie:
a) Cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima
b) Ingenerare nella stessa un fondato timore per la propria incolumità o per
quella di persone a lei vicine;
c) Costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
Il primo degli eventi indicati dalla norma è probabilmente quello che
presenta maggiori profili di problematicità in relazione al rispetto del
principio di determinatezza, in ossequio al quale le norme penali debbono
3
Il delitto di “atti persecutori” (il c.d. Stalking”) Alfio Valsecchi, articolo destinato al volume O. Mazza,
F. Viganò (a cura di), “Il pacchetto sicurezza” 2009, Torino, 2009
4
Renato Bricchetti e Luca Pistorelli “Entra nel codice la molestia reiterata” in Guida al Diritto, Il Sole 24
Ore n. 10, 7 marzo 2009
descrivere fatti suscettibili di essere accertati e provati sulla base di criteri
dettati dalla scienza e dall’esperienza. Se dunque si vuole interpretare la
norma nel rispetto di tale principio, se ne deve dedurre che il legislatore,
nel far riferimento al perdurante stato di ansia e di paura, abbia inteso
riferirsi ad uno stato patologico caratterizzato dallo stress e riconoscibile
come conseguenza delle condotte incriminate e che trova riscontro in
letteratura medica.
Deve quindi ritenersi esclusa come conseguenza rilevante del
comportamento persecutorio la paura intesa come momentanea impressione
determinata nel soggetto passivo dai comportamenti sanzionati.
Il ricorso ai termini perdurante e grave fa ritenere si sia voluto far
riferimento ad uno stato di turbamento psicologico che assume carattere
patologico e, come tale, oggettivo così come oggettiva deve essere la prova
dell’evento verificatosi.
Non ci si può nascondere la indubbia difficoltà di un simile accertamento
processuale.
Il riferimento che la norma fa poi al “perdurante” stato patologico indotto
nella vittima dal comportamento dello stalker, dimostra ancora che la
reiterazione degli atti persecutori deve necessariamente svolgersi in un
apprezzabile lasso temporale, caratteristica che si pone evidentemente con
elemento distintivo rispetto alle condotte che integrano altri reati e simili a
quelle punite dall’art. 612 bis.
Seconda tipologia di evento individuata dalla norma è il fondato timore per
la propria incolumità o per quella di persone vicine (prossimi congiunti o
persone legate da vincoli sentimentali).
L’aggettivo fondato utilizzato dal legislatore sembra un forte richiamo al
giudice affinché accerti la necessaria oggettività del timore suscitato nella
vittima per limitare la possibile espansione del campo di applicazione della
norma ma, a ben vedere, si può correre il rischio di interpretare tale
espressione come la necessità di una valutazione di idoneità della condotta
ad indurre il timore, ex ante, rispetto alla persona normale, mentre ciò è
certamente in contrasto con la definizione di reato di danno.
Per quanto riguarda la qualità di prossimo congiunto si deve far riferimento
all’art. 307, comma 4 c.p., che definisce tale l’ascendente, il discendente, il
coniuge, il fratello e la sorella, l’affine nello stesso grado, salvo che il
coniuge sia deceduto e non vi sia prole.
Nessuna definizione viene fornita invece per la persona legata alla vittima
da “relazione affettiva”, concetto per cui si dovrà far ricorso alle regole di
comune esperienza con l’evidente rischio che l’interprete dilati o
circoscriva troppo la cerchia dei soggetti per la cui incolumità può
“legalmente” temere la vittima.
Terza tipologia di eventi prevista dalla norma è costituita dalla alterazione
delle abitudini di vita; inizialmente vi era nella norma un riferimento anche
alle scelte di vita, riferimento poi eliminato per la scarsa determinatezza di
un concetto che si proietta nel futuro e che soggetto alle soggettive
convinzioni dell’individuo che opera la scelta. Si è invece fatto ricorso al
concetto di abitudine di vita che può essere più facilmente oggettivizzato,
potendosi dar prova concreta e riscontrabile della abitudini precedenti
all’azione di stalking e delle limitazioni e cambiamenti imposti dal
comportamento delittuoso.
Il reato è plurioffensivo nel senso che, pur essendo stato introdotto nella
sezione terza, titolo dodicesimo del codice penale, che è riservata ai delitti
contro la libertà morale, contempla anche la lesione di altri beni, quali, ad
esempio, l’incolumità individuale, proprio in relazione allo stato d’ansia
grave e perdurante che si è detto doversi connotare come stato patologico.
Il legislatore ah inoltre introdotto una clausola espressa di sussidiarietà
laddove recita “salvo che il fatto non costituisca più grave reato” ma la
caratteristica di questo reato, che si può concretizzare in una serie diversa
di condotte, può far sì che il reato più grave realizzato, si sovrapponga e
porevalga solo una una parte della condotta e, pertanto, in tal caso non può
escludersi il concorso tra gli atti persecutori ed il reato più grave.
PROCEDIBILITÀ
L’articolo 612 bis c.p. prevede per gli atti persecutori la procedibilità a
querela, ad eccezione dei casi in cui la vittima sia un minore o un disabile o
quando il fatto sia connesso con altro procedibile d’ufficio.
Il termine per la presentazione della querela è stato fissato (come per le
violenze sessuali) in sei mesi; resta tuttavia il dubbio sulla possibilità di
determinare in fatto la decorrenza di tale termine, atteso che è di difficile
identificazione il momento in cui la vittima viene a conoscenza della
persecuzione.
Qualche riflessione merita forse la scelta del legislatore di prevedere la
querela come rimettibile, atteso che, da un lato si potrà avere il caso di un
soggetto sottoposto a misura cautelare in carcere nei confronti del quale il
magistrato potrebbe non poter più procedere a seguito di una remissione di
querela, così lasciando nella mani della persona offesa un potere che non ha
riscontro nell’ordinamento penale (se si eccettua l’allontanamento dalla
casa coniugale nel reato ex art. 570 c.p.). si aggiunga poi che una querela
rimettibile, nel reato in esame, espone indubbiamente la vittima a possibili
pressioni per indurla o costringerla a ritirare la querela stessa.
AGGRAVANTI
L’art. 612 bis prevede delle aggravanti ad effetto comune, con l’aumento i
un terzo della pena nel caso in cui il soggetto agente sia il coniuge
legalmente separato o divorziato della persona offesa o sia stato legato alla
stessa da relazione affettiva; la equivocità di questa locuzione è di tutta
evidenza, poiché in essa possono farsi rientrare svariati tipi di rapporti
anche se, il diretto accostamento tra questo rapporto e quello di coniugio
sembra rimandare a una relazione di carattere sentimentale, sia essa
contraddistinta dalla convivenza more uxorio o meno.
È escluso dalla previsione dell’aggravante il coniuge separato solo di fatto,
con una scelta da molti ritenuta incomprensibile; deve invece ritenersi, a
mio avviso non priva di logica, tale scelta del legislatore in considerazione
che, in costanza di matrimonio e senza che vi sia stata una formalizzazione
della separazione di fatto, i comportamenti persecutori possono essere
sanzionati attraverso l’applicazione dell’art. 572 c.p. che disciplina i
maltrattamenti in famiglia
Ulteriore aggravante, questa ad effetto speciale, è prevista nel caso in cui
vittima degli atti persecutori sia persona minore, una donna in stato di
gravidanza o una persona disabile o, ancora, se il fatto è commesso da
persona armata o travisata, perché l’aggravante possa ritenersi applicabile
tuttavia, si dovrà dimostrare che l’agente aveva consapevolezza della
condizione soggettiva della vittima o la ignori colpevolmente
È stata altresì introdotta un’aggravante per l’omicidio, qualora esso sia
commesso dall’autore del delitto di cui all’art. 612 bis c.p..
LE MISURE A TUTELA DELLA VITTIMA
L’istanza di ammonimento
Finché non sia stata proposta la querela, la vittima può rivolgersi
all’autorità di pubblica sicurezza con un esposto nel quale chiede
l’adozione, da parte del Questore di un provvedimento formale di
ammonimento nei confronti dell’autore della condotta art. 8 D.L. 11/2009.
Il Questore, che si può anche avvalere di poteri istruttori (p.e. ha la facoltà
di ascoltare le persone informate sui fatti), se ritiene fondata l’esposto,
ammonisce oralmente il soggetto invitandolo a tenere una condotta
“conforme a legge”, locuzione con la quale si intende che il Questore invita
il soggetto ad interrompere qualunque interferenza nella vita della vittima.
Dell’ammonimento deve essere redatto un processo verbale una copia del
quale viene rilasciata all’istante ed una all’ammonito. Il Questore può
altresì adottare ulteriori provvedimenti preventivi in materia di armi e
munizioni.
L’istituto dell’ammonimento deve ritenersi una misura di prevenzione ed è
adottabile fin quando non venga sporta querela, evitando così l’interferenza
tra procedimento penale ed amministrativo.
Nell’esposto la vittima si limiterà ad esporre dei fatti che saranno valutati e
non una notizia di reato, così che può ritenersi una forma di tutela
anticipata ad un momento in cui le condotte non siano giunte a quella fase
di reiterazione che consenta con certezza di individuarle come atti
persecutori.
Lo stesso articolo 8 configura una ulteriore aggravante ad effetto comune
nel caso in cui il reato sia commesso da soggetto già ammonito e deve
ritenersi – anche se la norma non lo chiarisce -, che l’ammonimento debba
essere avvenuto per comportamenti nei confronti della medesima p.o. in
questo caso il reato sarà anche procedibile d’ufficio.
Il divieto di avvicinamento
Questa misura è stata prevista dall’art. 9 co. 1 lett. a) del D.L. 11/2009 è
stata collocata nell’art. 282 ter del c.p.p. ed è stata adottata in vista di una
repressione degli atti persecutori (anche se non in via esclusiva).
La norma prevede che il giudice possa prescrivere all’indiziato di non
avvicinarsi alla p.o. o a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla
stessa e, in caso di ulteriori esigenze di tutela la stessa prescrizione può
essere estesa ai prossimi congiunti della p.o. o a persone con essa
conviventi o a lei legate da relazione affettiva.
Può eventualmente essere disposto anche un divieto di comunicare con
qualsiasi mezzo con le suddette persone o previste delle modalità o imposte
delle limitazioni qualora la frequentazione dei luoghi sia necessaria p.e. per
ragioni di lavoro.
L’incidente probatorio
È stata estesa con il D.L. 11/2009 anche alle vittime del reato di atti
persecutori e di maltrattamenti in famiglia siano anche minori che abbiano
compiuto i sedici anni e ai maggiorenni, evitando così di far rivivere il
trauma in sede dibattimentale. È prevista anche l’adozione da parte del
giudice dell’incidente probatorio, nel caso nell’atto da assumere siano
coinvolti minori o maggiorenni infermi di mente, di ogni misura che
ritenga idonea (scelta di luogo, tempo e modalità particolari di assunzione
della testimonianza).
Modalità di escussione protette (vetro a specchio e impianto citofonico) per
le vittime del reato sono previste anche in dibattimento, nel caso ne venga
fatta richiesta dagli stessi testimoni o dal loro difensore.
LO STALKER E LA SUA VITTIMA
Vediamo ora di delineare la figura dello stalker e la tipologia delle vittime
ed i rapporti che li legano.
Lo stalking non è fenomeno omogeneo ed è per questo che non è possibile
tracciare un vero e proprio identikit dello Stalker e solo la pratica ci rivela
via via i tratti distintivi di tali autori.
Studi statistici condotti in Germania hanno mostrato come nell’80% dei
casi vittime di stalking sono le donne e, di converso, gli stalker
appartengono per lo più al sesso maschile.
Ancora studi tedeschi ma anche britannici e statunitensi concordano
nell’attribuire a partner sentimentali o ad ex partner della vittima una larga
quota (circa la metà) dei casi di stalking, un 30% è costituito da amici,
vicini o conoscenti della vittima ed un altro 13 % circa da colleghi di
lavoro; solo una percentuale del 10% è costituito da estranei (come p.e. nel
caso del VIP stalking5.
Ciò dimostra quanto frequente possa essere l’instaurarsi di un crescendo di
atti persecutori nei confronti del coniuge che magari ha chiesto la
separazione e quanta attenzione meritino le situazioni in cui non vi sia una
separazione consensuale o, comunque in qualche modo accettata, poiché si
tratta di situazioni certamente a rischio, tanto più che spesso la presenza di
figli minori rende le mogli separate (che abbiamo visto costituiscono la
maggioranza delle vittime) fortemente ricattabili attraverso le minacce che,
direttamente o indirettamente coinvolgono i figli.
In altri casi il comportamento persecutorio si presenta quasi come una
inevitabile prosecuzione di un comportamento vessatorio e di reiterati
maltrattamenti già attuati prima della separazione e che, con essa, si
intensificano in una pericolosa escalation che non di rado può mettere in
serio pericolo anche la vita della vittima.
IL COMPORTAMENTO DELLO STALKER
Le condotte che possono qualificarsi come assillanti o persecutorie sono le
più diverse e tra queste rientrano sorvegliare, aspettare, inseguire,
raccogliere informazioni sulla vittima e sui suoi movimenti, le intrusioni,
gli appostamenti sotto casa o nel luogo di lavoro, i pedinamenti, i tentativi
(anche indiretti) di comunicazione e di contatto ad esempio con lettere,
telefonate, e-mail, chat-lines (c.d. cyberstalking), sms, graffiti o murales,
lasciare messaggi a casa, in ufficio o sull’auto, inviare fiori o regali, fare
visite a sorpresa, incontrare “casualmente” la vittima nei luoghi dalla stessa
abitualmente frequentati, rubare e leggere la corrispondenza della vittima,
ordinare merci e servizi a nome della vittima, diffondere dichiarazioni
diffamatorie e oltraggiose a carico della vittima minacciare di usare
violenza contro la vittima, i suoi familiari, altre persone o contro animali
5
In Diritto penale e processo 7/2009 p. 820
cari alla vittima, infiltrarsi negli spazi abitativi della vittima, danneggiare,
imbrattare o distruggere la proprietà della vittima.
In genere la persecuzione è il risultato della combinazione di vari
comportamenti che non di rado si inseriscono in un programma il cui fine
ultimo è quello di preparare una aggressione sessuale6.
Combattere tempestivamente ed efficacemente lo stalking e, in particolare,
riuscire a fermare lo stalker, assume dunque una indubbio effetto
preventivo di reati ben più gravi degli atti persecutori.
6
Manuela Gagliega, Lo Stalking: dalla molestia agli atti persecutori. Altalex n. 2612 del 7/9/2009
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