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La misurazione di costrutti impliciti attraverso l`Implicit

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La misurazione di costrutti impliciti attraverso l`Implicit
La misurazione di costrutti
impliciti attraverso
l’Implicit Association Test
Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
Uno degli orientamenti più rilevanti nella psicologia sociale dell’ultimo
decennio è costituito indubbiamente
dal crescente sviluppo ed utilizzo di
strumenti impliciti di misura. Questo fenomeno nasce dall’esigenza
fondamentale, che caratterizza una
parte significativa della ricerca sociale, di far fronte a due problemi che
spesso si presentano nell’uso delle
tradizionali tecniche d’indagine, basate prevalentemente sulle interviste
e sui questionari. In primo luogo,
studiando tematiche «sensibili», si
pone la questione della desiderabilità delle risposte e delle conseguenti
distorsioni in ciò che le persone affermano esplicitamente; in secondo
luogo, esistono limiti nella capacità
introspettiva del rispondente, i quali fanno sì che anche il rispondente ben intenzionato
a collaborare con il ricercatore spesso non riesca a fornire un resoconto dettagliato e
veritiero dei contenuti cognitivi d’interesse.
Per quanto concerne la prima questione, attraverso le risposte ai tradizionali strumenti cartacei, le persone possono gestire in modo strategico il tipo di immagine di sé
che vogliono proporre (Crosby, Bromley e Saxe, 1980; Maass, Castelli e Arcuri, 2000).
Questo lavoro rappresenta una revisione critica
dell’Implicit Association Test (IAT), a sette anni
dalla prima presentazione di questo strumento
(Greenwald, McGhee e Schwartz, 1998). Nel
corso della trattazione, lo IAT viene proposto
nell’ambito degli strumenti di misurazione di associazioni implicite e ne vengono delineati i più
importanti vantaggi e le caratteristiche psicometriche. Vengono descritte le principali spiegazioni
formulate in letteratura relativamente ai meccanismi di funzionamento di questo strumento e
alla natura delle associazioni cognitive che esso
permette di indagare. Uno spazio speciale viene
dedicato alle indicazioni di variabilità contestuale negli indici IAT e viene discusso il significato
assunto da tale variabilità. Particolare attenzione
viene dedicata, infine, alle possibilità e ai limiti
di utilizzo dello IAT nella psicologia sociale applicata.
Per la corrispondenza: Cristina Zogmaister, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della
Socializzazione, via Venezia 8, 35131 Padova.
[email protected]
PSICOLOGIA SOCIALE
n. 1, gennaio-aprile 2006
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Un esempio paradigmatico di tale problema è quello della valutazione del pregiudizio
etnico/razziale. Se chiediamo ad uno studente, all’interno di un laboratorio di psicologia, cosa pensi di coloro che appartengono a gruppi etnici diversi dal suo, quasi certamente affermerà di avere degli atteggiamenti egalitari. Se però facciamo credere a questo studente che il ricercatore abbia accesso ai suoi veri atteggiamenti, egli confesserà
molto probabilmente un grado di pregiudizio significativamente superiore a quello che
ammetterebbe in condizioni normali (e.g. Sigall e Page, 1971). Ciò significa che, almeno
in certe situazioni, il resoconto che le persone forniscono dei propri atteggiamenti può
essere distorto e differente dalle loro vere cognizioni. Le distorsioni volontarie nelle
risposte e le strategie di auto-presentazione rappresentano, tuttavia, soltanto un aspetto
della questione e l’obiettivo delle misure implicite non è solo quello di aggirare le strategie di auto-presentazione.
La seconda esigenza che si pone nello studio delle cognizioni sociali, come già accennato, è di natura epistemologica: non sempre gli individui, effettuando accurati sforzi introspettivi, sono in grado di riportare gli effettivi contenuti delle loro rappresentazioni cognitive ed i loro atteggiamenti (Boca, 1996; Greenwald e Banaji, 1995). Ancora
una volta, la tematica dello studio del pregiudizio può essere considerata emblematica.
È constatazione comune di chi indaga gli atteggiamenti razziali che, se a una persona
viene fatto notare che ha espresso, in maniera involontaria, dei pregiudizi, spesso essa
manifesta sentimenti di colpa e vergogna, collegati al fatto che tale comportamento
viola i suoi standard morali (e.g. Monteith, 1993). Molto probabilmente, allora, c’è una
discrepanza tra i processi di natura spontanea che portano all’espressione di pregiudizio e le opinioni egalitarie cui le persone possono avere accesso consapevole; non si
spiegherebbe, altrimenti, perché il sentimento di colpa si manifesti solo in seguito ad un
intervento esterno che evidenzi la discriminazione presente nel comportamento dell’individuo. La ragione per cui le persone possono esprimere spontaneamente dei pregiudizi di cui non sono consapevoli e che non condividono è legata al fatto che pregiudizi e
stereotipi permeano la società, le interazioni quotidiane e i contenuti veicolati dai mass
media. Per questa ragione, secondo un influente modello proposto da Patricia Devine
(1989), questi contenuti lasciano una traccia nella mente dei membri della nostra cultura ed influiscono sui processi cognitivi in maniera automatica. Costituiscono cioè delle
cognizioni implicite, che non si sostituiscono, ma si affiancano alle opinioni e idee che le
persone detengono esplicitamente e consapevolmente. In molti casi le cognizioni implicite ed esplicite concorrono nell’influenzare il comportamento, tuttavia frequentemente
esse influiscono su aspetti diversi della condotta: pertanto è particolarmente interessante studiare entrambi questi livelli (Strack e Deutsch, 2004).
La presenza di cognizioni implicite, che si affiancano e convivono con quelle esplicite, non è prerogativa esclusiva della tematica del pregiudizio. Modelli relativi alla duplicità dei processi cognitivi sono stati proposti relativamente a diverse aree d’indagine
psico-sociale, per esempio gli atteggiamenti e l’autostima (Greenwald e Banaji, 1995),
e sono stati proposti relativamente a differenti aspetti dell’indagine psicologica, come
la memoria, la motivazione e la personalità (Wilson, Lindsay e Schooler, 2000). In tutti
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
questi casi, si ipotizza la presenza di una duplicità di cognizioni e si postula che, accanto
ai contenuti ai quali le persone hanno accesso volontario, ne esistano altri la cui modalità di elaborazione è invece spontanea: le persone, pur possedendo queste cognizioni,
non sempre ne sarebbero consapevoli.
A questo punto è evidente che una psicologia sociale che si accontenti di indagare
ciò che le persone sono disposte e sono in grado di raccontarci a proposito dei loro pensieri ed opinioni, può presentare soltanto una visione parziale della cognizione sociale.
L’esigenza di accedere anche alle cognizioni spontanee e inconsapevoli ha sollecitato la
creazione di nuove tecniche di misurazione, le cosiddette tecniche implicite. L’obiettivo
di queste ultime non è certamente quello di sostituire, ma senz’altro quello di affiancare
ed integrare le tecniche di indagine più tradizionali.
Ad oggi, è stata proposta in letteratura un’ampia varietà di procedure di tipo implicito. Le più consolidate sono la tecnica del priming affettivo (Fazio, Jackson, Dunton
e Williams, 1995) e del priming semantico (Wittenbrink, Judd e Park, 1997) mutuate
dalla psicologia cognitiva. Recentemente sono state sviluppate nuove tecniche quali
l’Extrinsic Affective Simon Task (EAST; De Houwer e Eelen, 1998) o l’Implicit Approach Avoidance Task (IAAT; Castelli, Zogmaister, Smith e Arcuri, 2004). La logica di tutte
queste misure si basa sull’inferenza di atteggiamenti e associazioni cognitive a partire
dalla rilevazione dei tempi di risposta dei partecipanti in compiti di categorizzazione
o di decisione lessicale. Queste tecniche permettono pertanto di trarre indicazioni sui
costrutti psicologici che interessano al ricercatore senza la necessità di ricorrere ai resoconti verbali del rispondente.
All’interno di questo panorama, l’Implicit Association Test (IAT; Greenwald, McGhee e Schwartz, 1998) si sta imponendo come uno degli strumenti più utilizzati. Le
ragioni di questo successo sono molte e verranno discusse in seguito, dopo aver presentato le caratteristiche generali di questo strumento.
1. L’Implicit Association Test
Lo IAT viene proposto come strumento per la misurazione della forza dei legami associativi tra concetti (e.g., donne-discipline umanistiche) o tra un concetto ed una valutazione generale (e.g., nordafricani-negativo). A tal fine, cinque compiti di categorizzazione vengono somministrati, in sequenza, al computer. Tre compiti sono preparatori
per le due fasi fondamentali di rilevazione, ciascuna delle quali consiste in un doppio
compito di categorizzazione.
A titolo d’esempio, supponiamo di voler studiare gli aspetti automatici dello stereotipo che associa le donne alla vita familiare e gli uomini alla carriera lavorativa. Potremo
operazionalizzare il nostro oggetto d’indagine nei termini delle associazioni automatiche tra le rappresentazioni cognitive dei concetti di «donne» e «famiglia» da una parte,
e «uomini» e «lavoro» dall’altra. A questo scopo, presentiamo ai partecipanti, sul monitor di un computer, uno dopo l’altro ed in ordine casuale, stimoli appartenenti a quattro
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
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categorie: i due concetti d’interesse (nomi di donne ed uomini) e le due polarità della
dimensione stereotipica (parole relative al lavoro e alla famiglia). Ogni volta che uno
stimolo comparirà sul monitor, il partecipante dovrà classificarlo. Per eseguire questo
compito di categorizzazione, vengono messi a disposizione solo due tasti di risposta. In
uno dei due compiti critici i partecipanti dovranno premere uno stesso tasto qualora
compaiano nomi di donne o parole legate alla famiglia e l’altro tasto nel caso di nomi di
uomini o parole legate al lavoro; nell’altro compito critico uno stesso tasto servirà per
rispondere a nomi di donne e parole relative al lavoro e l’altro per nomi di uomini e parole legate alla famiglia. I dati empirici – e frequentemente anche l’esperienza soggettiva
dei partecipanti – suggeriscono che uno dei due compiti sia più facile dell’altro. Per chi
adotta automaticamente uno stereotipo di genere sessuale tradizionale, il compito in cui
le donne e parole legate alla famiglia condividono la stessa modalità di risposta è il più
facile. Ciò significa che in questo compito i partecipanti rispondono più rapidamente
e con un grado di accuratezza più elevato (vale a dire, con un numero inferiore di errori). Greenwald e coll. (1998), a questo proposito, parlano di compito compatibile nei
casi in cui le due categorie che condividono uno stesso tasto di risposta sono associate
nelle rappresentazioni mentali dei rispondenti (nel nostro caso, secondo lo stereotipo
tradizionale, donne e famiglia). Si parla invece di compito incompatibile laddove le due
categorie che prevedono uno stesso tasto di risposta non siano tra loro associate (nel
nostro caso, donne e lavoro). Il ricercatore pertanto formula la sua ipotesi specifica sulla
compatibilità ed incompatibilità dei compiti, a partire dalle conoscenze e ipotesi generali che possiede a priori, relative alla natura delle associazioni presenti nella struttura
cognitiva del rispondente. Nell’esempio proposto relativamente agli stereotipi di genere
sessuale, il compito che associa le donne alla famiglia e gli uomini al lavoro può essere
ipotizzato come compatibile sulla base dello stereotipo di genere tradizionale.
Secondo la logica che abbiamo appena delineato, quanto più una persona considera
le distinzioni di genere sessuale in maniera tradizionale, tanto più sarà rapida ed accurata nel compito compatibile e lenta ed imprecisa nell’altro. Perciò è sufficiente calcolare
la differenza tra la velocità nell’uno e nell’altro compito per avere un’indicazione sulle
preferenze, vale a dire sugli stereotipi automatici, del rispondente. Un indicatore concettualmente equivalente può essere calcolato come differenza tra il numero d’errori
nell’uno e nell’altro compito. Prima dei compiti critici di doppia classificazione, vengono proposti dei compiti di classificazione semplice, i quali servono per l’apprendimento delle modalità di risposta. La prestazione in questi compiti non viene solitamente
analizzata. Per questa ragione, la procedura IAT è composta di cinque compiti, indicati
nella tabella 1. Chi è interessato a sperimentare in prima persona lo IAT, può visitare il
sito internet dedicato a questo strumento (http://implicit.harvard.edu) e rispondere ad
uno dei test dimostrativi presenti sul sito.
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
TAB. 1. I cinque compiti della procedura IAT.
Istruzioni
Primo compito: i rispondenti classificano
stimoli rappresentanti i due concetti.
Premere il tasto ‘a’ per i nomi
femminili, il tasto ‘l’ per i nomi
maschili.
Secondo compito: i rispondenti classificano stimoli rappresentanti la dimensione
di attributo.
Premere il tasto ‘a’ per le parole
legate alla famiglia, il tasto ‘l’
per le parole legate al lavoro.
Terzo compito: i rispondenti classificano
stimoli rappresentanti i due concetti e la
dimensione di attributo.
Premere il tasto ‘a’ per i nomi
femminili e le parole legate alla
famiglia, il tasto ‘l’ per i nomi
maschili e le parole legate al
lavoro.
Esempi di stimoli N. di prove
Elena
Giorgio
Anna
Stefano
FIGLI
CARRIERA
CASA
PROFESSIONE
20
20
Elena
FIGLI
Giorgio
CARRIERA
20 (riscaldamento)
+ 40
Quarto compito: i rispondenti classificano
Premere il tasto ‘a’ i nomi
stimoli rappresentanti i due concetti (l’asmaschili, il tasto ‘l’ per i nomi
sociazione con i tasti di risposta è opposta
femminili.
rispetto a quella del primo compito)
Elena
Giorgio
Anna
Stefano
20
Premere il tasto ‘a’ per i nomi
Quinto compito: i rispondenti classificano maschili e le parole legate alla
stimoli rappresentanti i due concetti e la
famiglia, il tasto ‘l’ per i nomi
dimensione di attributo.
femminili e le parole legate al
lavoro.
Anna
CASA
Giorgio
PROFESSIONE
20 (riscaldamento)
+ 40
2. I vantaggi dello IAT
Come già accennato, sono state proposte diverse misure, basate sui tempi di risposta,
per lo studio delle associazioni cognitive implicite (per una visione d’insieme si consiglia
Brauer, Wasel e Niedenthal, 2000), ma lo strumento presentato da Greenwald e coll.
(1998) possiede delle caratteristiche che lo rendono particolarmente utile per chi svolge
ricerca, sia in ambito sociale sia in altri settori della psicologia. Vediamo in modo analitico queste caratteristiche.
2.1. Flessibilità
Lo IAT si presta ad essere facilmente adattato a interessi di ricerca eterogenei. Inizialmente è stato sviluppato come strumento per la rilevazione delle valutazioni spontanee
nei confronti di gruppi sociali. Verificando ad esempio la facilità di associazione tra
stimoli che rimandano ad un gruppo sociale e stimoli con una chiara valenza negativa è possibile inferire il grado di pregiudizio del rispondente. Lasciando inalterata la
struttura generale dello strumento e modificando unicamente i gruppi da categorizzare è possibile adattare lo strumento allo studio dell’atteggiamento nei confronti di
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
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qualunque gruppo. Vi è un’ampia flessibilità anche nel tipo di stimoli utilizzabili quali
esemplari della categoria: infatti, possono essere presentati nomi propri di persona (e.g.,
Greenwald et al., 1998) o volti (e.g., Nosek, Greenwald e Banaji, 2005), o anche nomi
di città nel caso degli atteggiamenti nazionali (e.g., Zogmaister, Arcuri, Castelli e Smith,
2005; Zogmaister, Arcuri e Modena, in corso di stampa) e persino suoni (IAT sonoro;
Vande-Kamp, 2003). Lo IAT può inoltre essere utilizzato per indagare la forza di associazioni stereotipiche, che sono di tipo semantico e vanno al di là dell’aspetto puramente valutativo (e.g., Rudman, Ashmore e Gary, 2001). Inoltre, se una delle dimensioni di
categorizzazione rimanda alla distinzione tra il Sé e gli altri – ad esempio attraverso l’uso
di pronomi quali «Io» e «Essi» – lo strumento può essere applicato allo studio dell’autopercezione, sia in riferimento alle valutazioni (i.e., autostima; Aidman e Carrol, 2003;
Bosson, Swann e Pennebaker, 2000; Greenwald e Farnham, 2000; Zogmaister et al.,
2005b), sia alle caratteristiche attribuite al Sé (e.g., Asendorpf et al., 2002; Greenwald
e Farnham, 2000; Rudman, Greenwald e McGhee, 2001). In sintesi, a partire da una
stessa struttura di base risulta agevole indagare tematiche differenti quali il pregiudizio,
la strutturazione delle conoscenze in memoria, o l’auto-percezione.
La versatilità dello IAT è stata dimostrata anche attraverso lo sviluppo di una forma
alternativa dello strumento, che non richiede l’uso del computer (IAT cartaceo; Lowery,
Hardin e Sinclair, 2001; Teachman et al., 2003).
2.2. Sensibilità
Gli effetti che si ottengono dall’applicazione dello IAT sono generalmente d’ampiezza
molto elevata, rara nella psicologia sociale (e anche in quella cognitiva), superiore a
quella dei compiti di priming (cfr. Greenwald et al., 1998) e, soprattutto nei contesti in
cui vi siano problemi di desiderabilità sociale, anche a quella delle misure esplicite (i.e.,
questionari; cfr. Greenwald et al., 1998, Nosek, Banaji e Greenwald, 2002b). Nosek e
coll. (2002b), per esempio, hanno confrontato l’ampiezza dell’effetto (i.e., d di Cohen)
dello IAT e delle misure esplicite da loro utilizzate: per buona parte delle tematiche affrontate (pregiudizi razziali, ageism, stereotipi di genere, autostima, o atteggiamenti nei
confronti della matematica e delle arti) lo IAT si rivela una misura più sensibile rispetto
alle misure esplicite o, al limite, di eguale sensibilità. Come vedremo meglio nel seguito,
le manipolazioni sperimentali influenzano in modo rilevante i punteggi che si ottengono
attraverso lo IAT. Questo permette di studiare indirettamente – vale a dire senza ricorrere a domande esplicite – l’effetto delle manipolazioni sperimentali.
2.3. Difficoltà di contraffazione delle risposte
Come accennato in precedenza, una delle ragioni per cui si ricorre a strumenti impliciti
di misura è quella di ottenere misurazioni non distorte da strategie di auto-presentazione. Recenti ricerche evidenziano che, quando il rispondente non conosca il funzio-
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
namento dello strumento, il controllo consapevole sulle risposte allo IAT è piuttosto
improbabile (Asendorpf et al., 2002; Banse, Seise e Zerbes, 2001; Egloff e Schmuckle,
2003; Kim, 2003; Steffens, 2004; si veda però il lavoro di Fiedler e Bluemke, in stampa,
per indicazioni sui possibili effetti legati all’esperienza).
3. Le caratteristiche psicometriche: affidabilità e validità dello IAT
Un elemento vincente dello IAT nel confronto con gli altri strumenti indiretti di rilevazione di costrutti cognitivi è costituito dalla bontà delle sue caratteristiche psicometriche.
3.1. Affidabilità
Prerequisito di ogni strumento di misura è l’affidabilità. La letteratura evidenzia una
soddisfacente consistenza interna dello IAT, calcolata attraverso il metodo della suddivisione a metà (split-half) e dell’alfa di Cronbach1, nettamente superiore a quella di
altri strumenti impliciti. Gran parte delle ricerche segnalano indici di consistenza interna intorno a .80 o superiori (Asendorpf et al., 2002; Banse et al., 2001; Bosson et al.,
2000; Cunningham, Preacher e Banaji, 2001; Egloff e Schmuckle, 2002; Greenwald e
Farnham, 2000; Greenwald e Nosek, 2001; Kuhnen et al, 2001; Steffens, 2004). I coefficienti di stabilità, calcolati con forme parallele o con il metodo del test-retest, sono,
nell’insieme, inferiori a quelli di consistenza interna, ma decisamente migliori di quelli
delle altre misure implicite, variando generalmente tra valori di r = .40 e r = .60 (cfr. Bosson et al., 2000; Dasgupta e Greenwald, 2001; Egloff e Schmuckle, 2002; Greenwald e
Farnham, 2000; Steffens, 2004).
3.2. Validità
3.2.1. Validità interna
È stata indagata l’influenza di diverse variabili procedurali sullo IAT. In particolare,
l’effetto IAT si rivela robusto di fronte a variazioni nella collocazione spaziale dei tasti di riposta (Greenwald et al., 1998), nell’intervallo tra le prove (tra 150 e 750 ms,
Greenwald et al., 1998, Nosek, Greenwald e Banaji, 2005; ma cfr. Mierke e Klauer,
2003), nel numero di stimoli utilizzati per rappresentare i concetti (variazioni tra 5 e
1
Nel calcolo dell’alfa di Cronbach, per ciascuno degli stimoli utilizzati nello IAT (vale a dire, per
ciascuna parola o immagine) viene calcolato un indice IAT separato, nello stesso modo in cui si calcola
l’indice IAT complessivo dello strumento. Successivamente, a partire da questi indici IAT basati sugli
item viene calcolata l’attendibilità inter-item secondo le modalità tradizionali.
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
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25 stimoli; Greenwald et al., 1998). Anche fattori quali la velocità generale di risposta
del partecipante (Nosek et al., 2005) o il modo in cui il ricercatore tratta i dati relativi
alle risposte sbagliate e la non-normalità della distribuzione (Nosek et al., 2005), non
sembrano influenzare in modo significativo la qualità della misurazione.
Una variabile procedurale che influenza sostanzialmente l’ampiezza dell’effetto IAT
è l’ordine di somministrazione dei compiti critici: l’effetto IAT è generalmente superiore quando il compito compatibile è somministrato prima di quello incompatibile.
L’effetto dell’ordine non è sempre significativo, ma spesso presente. Questo problema
di validità interna viene generalmente risolto attraverso il contro-bilanciamento dei due
compiti critici. In tal modo, alcuni partecipanti incontrano il compito compatibile nella
terza fase del test ed altri partecipanti lo incontrano invece nella quinta fase.
Due ulteriori moderatori dell’effetto IAT sono costituiti dalla familiarità e dalla
frequenza d’uso degli esemplari che rappresentano i concetti target. Ottaway, Hayden
e Oakes (2001) evidenziano una maggiore sensibilità dello IAT quando i concetti target sono rappresentati da esemplari molto familiari. Dasgupta, McGhee, Greenwald,
e Banaji (2000), inoltre, ottengono effetti IAT più ampi quando i concetti target sono
rappresentati da esemplari caratterizzati dallo stesso livello di familiarità, rispetto alla
situazione in cui il concetto più negativo è rappresentato da esemplari meno familiari2.
Altre possibili fonti di contaminazione sono legate alle caratteristiche dei rispondenti. La precedente esperienza con lo IAT tende a ridurre l’ampiezza dell’effetto (Nosek et
al., 2004); si sospetta inoltre che abilità cognitive generali, come la capacità di adattarsi
a nuovi compiti cognitivi, possano influenzare l’indice IAT (McFarland e Crouch, 2002;
Mierke e Klauer, 2003). In altre parole, vi sarebbero differenze individuali nelle abilità
di task-switching e queste potrebbero influenzare l’ampiezza dell’effetto IAT.
3.2.2. Validità in rapporto ad un criterio
Poehlman, Uhlmann, Greenwald e Banaji (2005) hanno recentemente condotto una
meta-analisi relativamente alla validità predittiva dello IAT, considerando più di sessanta studi diversi, che spaziavano in molti ambiti d’indagine, quali la psicologia del
consumatore, la psicologia clinica, la psicologia politica, lo studio della personalità e la
psicologia dei gruppi. I risultati di questa meta analisi, in termini generali evidenziano
che la misura IAT si dimostra un predittore significativo dei criteri presi in considerazione, attestandosi su livelli medio-bassi, leggermente inferiori a quelli osservati per
le misure di self-report. Mentre la capacità predittiva delle misure esplicite è tuttavia
influenzata negativamente dalle pressioni legate alla desiderabilità sociale, ciò non accade nel caso dello IAT. Considerando le tematiche fortemente influenzate da pressioni
legate alla desiderabilità sociale (come il pregiudizio), negli studi osservati da Poehlman
2
Stimoli caratterizzati da assoluta mancanza di familiarità, come ad esempio non parole, tuttavia,
non sembrano adatti ad essere utilizzati in uno IAT (cfr. Greenwald, 2004; Nosek et al., 2005).
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
e coll. (2005) lo IAT dimostra una capacità di previsione decisamente superiore rispetto
alle misure di self-report.
Un altro aspetto importante è costituito dalla controllabilità del criterio da parte del
rispondente: nella meta-analisi, l’efficacia predittiva delle misure IAT si dimostra piuttosto stabile, a prescindere dal fatto che il comportamento considerato come criterio sia
facile o difficile da controllare da parte del rispondente; le misure di self-report, invece,
si rivelano buoni predittori dei comportamenti più controllabili, ma la loro capacità
predittiva è significativamente peggiore di quella dello IAT quando si tratta di comportamenti meno controllabili, come il contatto oculare con un partner d’interazione e
l’ansia rivelata nel presentare un discorso stressante.
In sintesi, i dati empirici raccolti finora suggeriscono che lo IAT possa essere efficacemente utilizzato, in sostituzione o come complemento alle misure esplicite di self-report,
soprattutto nelle situazioni caratterizzate da forti pressioni legate alla desiderabilità sociale e quando si desideri prevedere i comportamenti meno soggetti al controllo volontario.
3.2.3. Validità di costrutto
3.2.3.1. Approccio per gruppi noti
Quest’approccio alla validazione, che consiste nell’indagare se i risultati ricavati attraverso l’uso di uno strumento di misurazione sono coerenti con differenze tra gruppi
note a priori al ricercatore, è stato ampiamente utilizzato nello studio della validità dello
IAT. Greenwald e coll. (1998), per esempio, somministrarono a partecipanti d’origine
coreana e giapponese uno IAT nel quale dovevano essere classificate parole positive e
negative e nomi coreani e giapponesi: i punteggi IAT mostrarono che, coerentemente con il noto fenomeno del favoritismo verso l’ingroup, i rispondenti preferivano il
rispettivo gruppo d’origine rispetto all’altro gruppo. Quest’effetto inoltre aumentava
con il crescere dell’identificazione con la cultura di provenienza. Banse e coll. (2001),
utilizzando uno IAT relativo agli atteggiamenti verso l’omosessualità, riscontrarono
nelle persone gay una preferenza per l’omosessualità e nelle persone eterosessuali una
preferenza per l’eterosessualità. Attraverso quest’approccio, è stata evidenziata la sensibilità dello IAT ad atteggiamenti e associazioni cognitive prevedibili sulla base di appartenenze di gruppo di varia natura. Per esempio sono state prese in considerazione
appartenenze nazionali (Kuhnen et al, 2001), religiose (Rudman, Greenwald, Mellott e
Schwartz, 1999), e cliniche (Teachman, Gregg e Woody, 2001).
3.2.3.2. Correlazione con altri strumenti di misura
Correlazione con le misure esplicite. Generalmente, i costrutti impliciti vengono considerati come collegati, ma distinti, rispetto a quelli espliciti (Blair, 2002; Dovidio, Kawakami, Johnson, Johnson e Howard, 1997; Fazio et al., 1995; Greenwald e Banaji, 1995;
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
73
Wilson et al., 2000) ed inoltre le misure di self-report possono essere influenzate da
pressioni legate alla desiderabilità sociale (Blair, 2002; Fazio e Olson, 2003). Per queste
ragioni, dall’analisi della correlazione tra IAT e misure esplicite ci si aspetta un quadro
variegato, costituito da correlazioni moderate ma significative tra misure esplicite ed
IAT per tematiche non affette da problematiche di desiderabilità sociale e facilmente
accessibili all’introspezione (si veda Franco e Maass, 1999) e correlazioni più basse o
assenti nel caso di atteggiamenti sensibili, come quelli verso i gruppi etnici. Quindi, a
seconda dell’oggetto di indagine, ci si aspetta che vari significativamente l’entità della
correlazione. Gran parte delle ricerche sono coerenti con quest’ipotesi. In alcuni casi,
le correlazioni tra IAT e misure di self-report sono sostanziali e si attestano su valori intermedi secondo i parametri di Cohen (1988): ciò avviene per esempio in ricerche sugli
atteggiamenti verso i candidati politici (Nosek et al., 2002b), e sugli stereotipi che legano gli uomini, più delle donne, alle materie scientifiche (Nosek, Banaji e Greenwald,
2002a). In altri casi, le correlazioni sono basse e positive, per esempio nello studio dell’autostima (e.g., Bosson et al., 2000; Greenwald e Farnham, 2000) e dell’ansia (Egloff e
Schmukle, 2003): sappiamo che l’accesso introspettivo a costrutti come quello dell’autostima o altri aspetti del concetto di sé non sempre è facile ed inoltre la misurazione di
questi costrutti è spesso affetta da strategie d’auto-presentazione o auto-inganno; questo spiega la presenza di correlazioni più basse. Le correlazioni sono generalmente basse
anche negli studi su pregiudizi e stereotipi etnici verso gruppi «socialmente protetti»,
vale a dire gruppi nei confronti dei quali è normativamente inappropriato manifestare
pregiudizio (e.g., Greenwald et al., 1998; Ottaway et al., 2001).
Correlazione con altre misure implicite. Per quanto concerne il rapporto tra lo IAT ed altri strumenti impliciti di misura, intuitivamente ci si aspetterebbe di ottenere correlazioni piuttosto elevate. La ricerca, che si è focalizzata quasi esclusivamente sul legame tra
IAT e priming affettivo, indica invece che queste misure correlano solo sporadicamente
(Bosson et al., 2000; Marsh, Johnson e Scott-Sheldon 2001; Rudman e Kilianski, 2000).
A ben vedere, però, questi risultati non sono così strani e scoraggianti come potrebbero
sembrare. Infatti, una delle possibili ragioni di questa discrepanza è costituita dal fatto
che spesso le misure di priming hanno scarsa consistenza interna (Cunningham et al.,
2001). Un’altra ragione, a nostro avviso ancor più rilevante, delle basse correlazioni tra
IAT e priming valutativo, è costituita dal fatto che questi due strumenti sono, verosimilmente, misure di costrutti impliciti diversi: mentre lo IAT sembra più adatto a far
emergere le associazioni valutative con la categoria target, la misura di priming per sua
natura sembra maggiormente influenzata dalle risposte associative elicitate dagli specifici esemplari (Olson e Fazio, 2004).
Correlazione con misure fisiologiche. Siamo a conoscenza di due soli studi che hanno
affrontato questa tematica, condotti rispettivamente da Phelps e coll. (2000) e da Cunningham e coll. (2004). In entrambi gli studi è stata indagata la relazione tra la misura d’atteggiamento espresso dai partecipanti – tutti americani bianchi – verso persone
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
di colore attraverso una misura IAT e il grado di attivazione dell’amigdala (misurata
attraverso la risonanza magnetica funzionale), alla vista di volti di persone di colore.
L’amigdala è una struttura sub-corticale legata alle risposte emotive e alla valutazione di
stimoli sociali con contenuto emotivo. I risultati di queste ricerche evidenziarono che a
valori più elevati di pregiudizio nell’indice IAT corrispondeva una maggiore attivazione
dell’amigdala in risposta alla visione di persone nere. Questi risultati costituiscono un
importante segno del fatto che la misura IAT può essere considerata un indicatore di
reazioni emotive di natura spontanea e non controllata.
4. Che cosa viene misurato attraverso lo IAT?
Nonostante il crescere del numero di applicazioni di questo strumento e di ricerche dedicate all’analisi delle sue proprietà, non è ancora stata fatta completa luce sui processi
sottostanti al funzionamento dello IAT e vi sono alcune indicazioni del fatto che esso
potrebbe misurare anche aspetti diversi dalle associazioni intra-individuali.
Secondo Greenwald e coll. (1998), lo IAT misurerebbe la (differenza nella) forza
delle associazioni tra concetti e in questo modo permetterebbe di valutare un’ampia
varietà di costrutti e fenomeni, quali atteggiamenti, stereotipi, pregiudizi, concetto di
sé e livello di autostima. Come già visto, la logica sottostante è molto semplice: se due
concetti sono molto associati tra loro, dovrebbe essere più facile dare ad entrambi la
stessa risposta comportamentale, rispetto ad una situazione in cui si debba dare loro
due risposte diverse (Greenwald e Nosek, 2001).
4.1. L’atteggiamento verso le categorie o verso gli esemplari?
Le cose tuttavia non sono così semplici come potrebbero apparire. Una prima domanda
che è lecito porsi è se la misura dipenda dalle categorie proposte (per esempio, «insetti»
e «fiori») o dagli specifici stimoli da categorizzare (per esempio, un ciclamino oppure
un crisantemo). A questo proposito, la letteratura non dà indicazioni univoche. Lo IAT
sembra infatti essere influenzato in maniera preponderante dalle etichette utilizzate per
designare le categorie e solo in misura minore dagli specifici esemplari proposti (De
Houwer, 2001; Mitchell, Nosek e Banaji, 2003). L’importanza dell’etichetta utilizzata
viene evidenziata per esempio da due esperimenti di Mitchell e coll. (2003, esperimenti
1 e 3). In questi esperimenti, gli stessi stimoli (nomi di atleti neri giudicati positivamente
e nomi di politici bianchi giudicati negativamente) erano utilizzati in due diversi IAT.
In uno dei due IAT, ai partecipanti veniva chiesto di classificare gli stimoli sulla base
della loro professione (politici vs. atleti), nell’altro sulla base della loro appartenenza
razziale (bianchi vs. neri). I risultati di questi esperimenti mostrano che, nonostante gli
stimoli fossero gli stessi, quando ai partecipanti veniva chiesto di discriminare gli atleti
e i politici, essi manifestavano un atteggiamento implicito preferenziale verso gli atleti
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
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neri; quando al contrario dovevano discriminare i bianchi dai neri, preferivano implicitamente i politici bianchi rispetto agli atleti neri.
Altre ricerche mostrano però che lo IAT può essere sensibile anche agli esemplari
utilizzati, soprattutto quando questi sono cattivi rappresentanti delle categorie oggetto
d’indagine. In quest’ultimo caso, infatti, gli specifici esemplari scelti possono influenzare il significato attribuito dal rispondente alla categoria (Govan e Williams, 2004;
Steffens e Plewe, 2001). Per esempio, Govan e Williams (2004) somministrarono ai
loro soggetti uno IAT volto a misurare la preferenza per i fiori o gli insetti; tuttavia gli
esemplari presentati avevano valenza opposta alla rispettiva categoria: gli insetti erano
tutti connotati positivamente (es. farfalla), mentre i fiori erano connotati negativamente (es. edera velenosa). I risultati di Govan e Williams indicano chiaramente che, in
questa condizione, gli indici IAT evidenziavano una preferenza per gli insetti rispetto
ai fiori (si veda anche Bluemke e Friese, in stampa; Mitchell et al., 2003, esp. 2). Alla
luce di questi risultati, ci sembra che le regole più importanti per la scelta degli stimoli
per costruire uno IAT siano due. La prima regola è quella di scegliere rappresentanti
centrali di ciascuna delle categorie; a questo proposito, vogliamo ricordare che lo IAT
sembra funzionare bene anche quando vengano scelti pochi esemplari per ogni categoria (perfino con due esemplari per categoria, cfr. Nosek et al., 2004): è meglio perciò
scegliere pochi esemplari, che siano buoni rappresentanti della rispettiva categoria,
piuttosto che molti esemplari di natura ambigua. La seconda regola è quella di stare
molto attenti a non creare confusione tra le specifiche associazioni che sono oggetto
dell’indagine ed altre possibili associazioni tra le categorie. Se per esempio si desidera
costruire uno IAT per l’indagine dell’atteggiamento verso le due categorie «Bianchi»
e «Neri», le parole scelte per rappresentare l’attributo (i.e., parole «positive» e «negative») non dovranno essere legate in maniera stereotipica ai due gruppi dei Bianchi
e dei Neri (e.g. la parola positiva «atletico» e la parola negativa «povero» sarebbero
entrambe inadeguate).
4.2. Associazioni individuali o extraindividuali?
Un aspetto critico, messo in luce da Karpinski e Hilton (2001) e da Olson e Fazio
(2004) riguarda la natura delle associazioni elicitate nella procedura IAT. Questi autori
mettono in dubbio il fatto che alla base di queste associazioni ci siano gli stessi elementi
che compongono gli atteggiamenti spontanei degli individui. Essi propongono la spiegazione alternativa secondo cui l’effetto IAT potrebbe esprimere associazioni ambientali (Karpinski e Hilton, 2001) o extrapersonali (Olson e Fazio, 2004), presenti nella
memoria delle persone a causa dell’esposizione a modelli culturali. Tali associazioni,
pur essendo presenti in memoria e pur influenzando l’indice IAT, secondo questi autori
non entrerebbero necessariamente a far parte degli atteggiamenti personali degli individui. Per esempio, seguendo il loro ragionamento, una donna che cresce in una cultura
maschilista può sviluppare delle associazioni automatiche tra la categoria delle donne e
la caratteristica di sottomissione, senza necessariamente condividere questo stereotipo
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
nemmeno nei suoi atteggiamenti spontanei ed automatici. D’altro canto, Lowery e coll.
(2001), hanno sottolineato in maniera convincente la difficoltà di distinguere le associazioni culturali dalle associazioni spontanee personali. È pacifico che le persone non
esistono nel vuoto culturale e perciò gli atteggiamenti e le opinioni sono forgiati dalla
cultura d’appartenenza, ma ciò che Karpinski e Hilton (2001) e Olson e Fazio (2004)
suggeriscono è che nelle reazioni al paradigma IAT entrino in gioco delle associazioni
che non fanno parte del patrimonio cognitivo – esplicito o implicito – delle persone:
associazioni che sono nella nostra mente in seguito all’esposizione culturale ma non
incidono sui nostri atteggiamenti, espliciti o impliciti che siano. A nostro avviso, se da
un lato non è possibile escludere a priori la possibilità che l’indice IAT sia influenzato
culturalmente da associazioni di questa natura, tuttavia esiste oramai un nutrito insieme
di indicazioni positive circa la sua validità predittiva che, nel loro insieme, indicano che,
almeno in una sua parte significativa, l’indice IAT rappresenta associazioni che fanno
parte degli atteggiamenti individuali del rispondente.
5. Quali sono i processi di funzionamento dello IAT?
Sicuramente, alla base dell’effetto IAT non c’è un semplice fenomeno di diffusione dell’attivazione in una rete semantica (Collins e Loftus, 1975; Collins e Quillian, 1969). In
primo luogo, gli specifici stimoli, come abbiamo appena visto, sembrano essere meno
importanti delle etichette delle categorie; inoltre, la composizione degli stimoli nel compito compatibile e nel compito incompatibile è la stessa: la diffusione dell’attivazione
legata agli stimoli dovrebbe portare ad uno stesso effetto in entrambe le condizioni. Allo
stato attuale, tuttavia, una spiegazione univoca dell’effetto IAT non esiste e sono stati
proposti diversi modelli in grado di rendere conto, probabilmente in maniera complementare, di questo fenomeno.
5.1. Il modello della compatibilità stimolo-risposta
Un meccanismo che potrebbe essere alla base del funzionamento dello IAT è costituito
dalla compatibilità stimolo-risposta (De Houwer, 2001). Questo modello si basa sull’idea che i due tasti di risposta, precedentemente neutri, sulla base dell’assegnazione
a ciascuno di essi di una polarità dell’attributo, acquisiscano uno specifico significato.
Per esempio, nello IAT delineato nella precedente tabella 1, il tasto ‘a’ assumerebbe una
valenza positiva in seguito all’assegnazione alla polarità positiva dell’attributo. Nel compito compatibile, la valenza acquisita da ciascuno dei tasti di risposta sarebbe coerente
con l’atteggiamento spontaneo del rispondente verso la categoria target a cui reagire
con il rispettivo tasto. Nel compito incompatibile, ciascuno dei concetti sarebbe caratterizzato, al contrario, da atteggiamenti di polarità opposta al significato del tasto: per
esempio il tasto che ha acquisito un significato negativo dovrebbe essere utilizzato per
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
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reagire ad una categoria, come quella dei fiori, valutata positivamente. Nel momento
in cui il rispondente deve categorizzare un esemplare appartenente ad una delle due
categorie concetto (es. una margherita da categorizzare come fiore), la classificazione
di tale stimolo relativamente alla dimensione di attributo verrebbe elicitata in maniera
automatica e faciliterebbe l’emissione della risposta corretta nel compito compatibile,
mentre la contrasterebbe nel compito incompatibile.
5.2. Il modello delle differenze nei criteri di risposta
Un altro modello esplicativo dell’effetto IAT, basato su differenze nel criterio di risposta utilizzato nel compito compatibile e in quello incompatibile, è stato proposto da
Brendl, Markman e Messner (2001). Secondo questi autori i rispondenti adatterebbero
sistematicamente il criterio di risposta – vale a dire il grado di elaborazione dello stimolo
precedente alla risposta comportamentale – secondo la difficoltà percepita del compito:
intuendo la maggiore difficoltà, i partecipanti risponderebbero in maniera più cauta e
perciò più lentamente nel compito incompatibile, rispetto a quello compatibile.
5.3. Il modello del cambiamento di compito
Una spiegazione dell’effetto IAT è basata sul concetto di cambiamento di compito
(task-set switching; Mierke e Klauer, 2003). Una strategia che i partecipanti possono
utilizzare, quando affrontano il compito «compatibile» dello IAT, è quella di riassumere ciascuna doppia-categorizzazione in una categoria sovra-ordinata. Per esempio,
assumendo che i fiori siano considerati in maniera positiva e gli insetti in maniera
negativa, il rispondente può svolgere correttamente il terzo compito dello IAT delineato nella precedente tab. 1 semplificando la strategia di risposta come segue: «Se
compare qualcosa di positivo premi ‘a’ e se compare qualcosa di negativo premi ‘l’».
Seguendo le istruzioni originarie, i partecipanti dovrebbero cambiare la modalità di
classificazione secondo la natura dello stimolo (classificandolo secondo la differenziazione fiore-insetto oppure secondo la dimensione positivo-negativo secondo i casi).
Modificando la strategia di risposta, invece, viene effettuata una categorizzazione
semplice, evitando i costi legati al continuo passaggio dall’una all’altra dimensione
di classificazione: il processo di risposta è semplificato, le risposte sono più rapide e
corrette. Nella condizione incompatibile, le risposte non possono essere derivate da
una dimensione comune ad entrambe le categorie: per esempio nel quinto compito
delineato in tabella 1 le informazioni legate alla valenza della parola devono essere
ignorate di fronte agli esemplari di fiori ed insetti, ma prese in considerazione di fronte a parole che non siano fiori o insetti. Sulla base di questo ragionamento e se davvero
i partecipanti operano la semplificazione descritta, l’effetto IAT può riflettere i costi
generali di passaggio da un compito di categorizzazione all’altro nella condizione IAT
incompatibile.
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
Questa spiegazione non mette in discussione la validità interna dello IAT come
misura della preferenza relativa per un concetto oppure un altro, ma pone in dubbio
l’assunto che l’ampiezza dell’effetto IAT sia legato in maniera monotonica alla forza
dell’associazione. In altre parole, se l’effetto IAT è legato al costo del passaggio da una
dimensione all’altra della categorizzazione e se ci sono differenze di tipo cognitivo tra le
persone nella facilità di passaggio da un compito all’altro, allora la direzione dell’effetto
non sarà influenzata da queste differenze cognitive, ma la sua ampiezza sì. Perciò l’ampiezza dell’effetto non sarà predittiva di differenze individuali nel costrutto misurato.
5.4. Il modello figura-sfondo
Un’ultima proposta esplicativa dell’effetto IAT è nota come modello figura-sfondo
(Rothermund e Wentura, 2001, 2004). Questo modello parte dall’osservazione che il
rispondente può semplificare un compito di categorizzazione (semplice) focalizzandosi
sulla categoria saliente, riducendo in questo modo il compito ad una ricerca unipolare.
Per esempio, per discriminare i nomi femminili da quelli maschili nel primo compito
dello IAT delineato in tabella 1, è sufficiente focalizzarsi sui nomi femminili, premendo il tasto ‘a’ ogni volta che sul monitor compare un esemplare di questi ultimi ed
il tasto ‘l’ ogni volta che compare un altro tipo di stimolo. In questo modo verrebbe
prodotta un’asimmetria tra il concetto «donne» che assumerebbe il ruolo di «figura»,
e il concetto «uomini», che assumerebbe il ruolo di «sfondo». Un’analoga asimmetria
potrebbe essere prodotta per le dimensioni di attributo, assegnando per esempio alla
polarità rappresentante la famiglia la dimensione di attributo sullo sfondo di esemplari
che rappresentano il lavoro. Ciò comporterebbe una facilitazione nel compito di doppia
classificazione in cui i due elementi scelti come figura (cioè donne e famiglia) venissero
a condividere il tasto di risposta, mentre tale semplificazione non sarebbe possibile nel
compito in cui alle due categorie con il ruolo di «figura» vengono assegnati tasti diversi (quinto compito nella tabella 1). L’aspetto critico di questo modello interpretativo
dell’effetto IAT è costituito dal fatto che la salienza percettiva degli stimoli, che ne
determinerebbe il ruolo relativo di «figura» oppure «sfondo», potrebbe essere causata
da aspetti estranei alle associazioni alle quali il ricercatore è interessato. Sulla base delle
limitate evidenze empiriche a nostra disposizione (Rothermund e Wentura, 2001, 2004;
Greenwald, Nosek, Banaji e Klauer, in stampa) non è possibile escludere che eventuali asimmetrie di salienza influenzino lo IAT. Tuttavia le numerose evidenze empiriche
relative alla validità di un’interpretazione dell’indice IAT in termini di associazioni differenziali tra concetti, a cui abbiamo brevemente accennato nella sezione dedicata alla
validità dello IAT, portano a concludere che l’effetto IAT non può basarsi solamente né
in misura preponderante su asimmetrie di salienza. L’effetto figura-sfondo, pertanto, a
nostro avviso può giocare al più un ruolo secondario.
Nel complesso nessuno dei modelli proposti, nemmeno il più radicale modello figura-sfondo, mina alla base la validità dello IAT. Infatti, a prescindere dallo specifico
meccanismo che provoca le differenze di prestazione nel compito compatibile e in quel-
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
79
lo incompatibile, vale a dire il fatto che si tratti di attivazione di risposte compatibili vs.
incompatibili (De Houwer, 2001), cambiamenti nel criterio di risposta (Brendl et al.,
2001), cambiamento di compito (Mierke e Klauer, 2003) o asimmetrie figura-sfondo
(Rothermund e Wentura, 2001, 2003), il candidato più probabile ad innescare questo
meccanismo è costituito dalle differenze nei legami associativi dei concetti presentati
(Gawronski, 2002).
6. Alcuni esempi di applicazione dello IAT
Uno strumento versatile, che permette l’indagine di associazioni spontanee tra concetti
e ha un grado di sensibilità tale da prospettare un utilizzo come indicatore di differenze
individuali, ha un vastissimo ambito di applicazione potenziale. Se a ciò si aggiunge la
presunta incontrollabilità dei processi alla base dell’indice IAT (Asendorpf et al., 2002;
Banse et al., 2001; Egloff e Schmuckle, 2002; Kim, 2003; Steffens, 2004, ma cfr. Fiedler
e Bluemke, 2005) le ragioni dell’enorme interesse suscitato da questo strumento sono
chiare. Lo IAT è stato infatti utilizzato sinora in ambiti molto differenti tra di loro, principalmente quelli caratterizzati da problemi di misurazione, legati alla desiderabilità
sociale delle risposte o a strategie di auto-presentazione, e quelli in cui la dissociazione
tra cognizione implicita ed esplicita è particolarmente elevata.
6.1. La misurazione di stereotipi e pregiudizi
Coerentemente con quanto sopra, la ricerca su stereotipi e pregiudizi è l’ambito nel
quale il successo dello IAT è stato sinora massimo. Come già discusso in apertura di
questo lavoro, ciò che le persone pensano dei diversi gruppi e categorie sociali, infatti,
è difficile da indagare attraverso le tradizionali scale di self-report. La ricerca, pertanto,
si avvale in misura crescente degli strumenti impliciti per esplorare i processi cognitivi
automatici che si sospettano responsabili della discriminazione e lo IAT si è dimostrato
un valido strumento in quest’ambito. McConnell e Leibold (2001), per esempio, hanno
somministrato ai partecipanti al loro esperimento, tutti bianchi, lo IAT per indagare
i loro atteggiamenti impliciti verso i Neri. Successivamente, hanno osservato il comportamento messo in atto da queste persone nell’interazione con una persona nera,
riscontrando che la misura implicita di atteggiamento permetteva la previsione del pregiudizio espresso dai partecipanti nei comportamenti spontanei, a riprova della validità
del punteggio IAT come indicatore di atteggiamenti spontanei.
Lo IAT si è sinora dimostrato di grande utilità per l’indagine degli atteggiamenti
razziali, etnici e nazionali (e.g., Dasgupta et al., 2000; Gawronski, 2002; Greenwald et
al., 1998; Kuhnen et al., 2001; McConnell e Leibold, 2001; Nosek et al., 2004; Ottaway
et al., 2001; Rudman et al., 1999; Zogmaister et al., 2005a; Zogmaister et al., in stampa),
degli atteggiamenti verso l’omosessualità (Banse et al. 2001; Nosek et al., 2004), di quelli
80
Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
legati all’appartenenza religiosa (Rudman et al., 1999) e al genere sessuale (Skowronski
e Lawrence, 2001), alla classe d’età (Hummert et al., 2002; Nosek et al., 2004; Rudman
et al., 1999), nonché per lo studio dell’attribuzione differenziale di emozioni intergruppi primarie e secondarie (Paladino et al., 2002), per lo studio degli stereotipi (e.g., Nosek et al., 2004) e dell’auto-stereotipo (Nosek, Banaji e Greenwald, 2002). Questi studi,
nel complesso, hanno evidenziato la facilità con cui emerge il pregiudizio implicito,
anche per tematiche nei confronti delle quali la sua espressione esplicita è sanzionata
normativamente.
6.2. L’indagine dell’autostima e di altri costrutti di personalità
Quest’ambito d’indagine è caratterizzato da problemi analoghi a quelli che si incontrano nello studio di pregiudizi e stereotipi. La ricerca empirica sull’autostima e sulle
differenze di personalità è dominata dall’uso di misure di self-report. Sebbene le valutazioni esplicite di personalità si rivelino sostanzialmente valide per i tratti osservabili
(Funder, 1999), esse si basano su auto-descrizioni che il rispondente fornisce volontariamente: pertanto contengono informazioni valide solo nella misura in cui riguardano
parti del concetto di sé accessibili all’introspezione e che il rispondente è disposto a
rivelare (Asendorpf et al., 2002). Di conseguenza, esse soffrono di distorsioni legate
alla desiderabilità sociale, sia nella forma di tendenze all’auto-inganno, sia di tendenze
all’auto-presentazione positiva (Paulhus, 1998).
Uno studio emblematico delle potenzialità dello IAT in quest’ambito d’indagine è
stato condotto da Asendorpf e coll. (2002), relativamente al costrutto di timidezza ed in
particolare all’immagine che le persone hanno di sé relativamente a questo tratto. Il costrutto di timidezza è particolarmente interessante perché da un lato è caratterizzato da
chiari indicatori comportamentali e pertanto le persone dovrebbero avere un sufficiente
accesso introspettivo ad esso; d’altro lato la timidezza è valutata in maniera moderatamente negativa nelle culture occidentali e perciò la sua espressione esplicita può essere
distorta da strategie di auto-presentazione. Asendorpf e coll. (2002) costruirono una
situazione sperimentale tale da elicitare un elevato grado di timidezza. Il comportamento dei partecipanti veniva video-registrato e successivamente valutato relativamente ad
alcuni indicatori di timidezza controllati (durata dell’eloquio, movimenti corporei illustratori) e spontanei (tensione corporea, movimenti auto-manipolatori). I partecipanti
rispondevano inoltre a un questionario sulla loro timidezza e ad uno IAT che misurava
l’associazione tra il concetto di sé e la timidezza. I risultati di questo lavoro indicano una
chiara dissociazione tra IAT e indicatori spontanei di timidezza da una parte, misure di
auto-resoconto e indicatori controllati di timidezza dall’altra. Lo IAT si rivelava, infatti,
un buon predittore della timidezza manifestata attraverso i comportamenti spontanei
mentre la misura di self-report non permetteva la previsione di questi comportamenti;
risultato diametralmente opposto emergeva per i comportamenti controllati rivelatori
di timidezza (cfr. Steffens, 2004, per risultati simili in un’applicazione dello IAT per la
misurazione del concetto di coscienziosità).
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
81
Un recente lavoro (Zogmaister et al., 2005b) evidenzia l’utilità dello IAT nell’indagine di un costrutto, quello di autostima, la cui misurazione non è caratterizzata solo da
pressioni legate alla desiderabilità sociale, ma anche da difficoltà introspettive associate
a strategie di auto-inganno, mirate al mantenimento del benessere psicologico. Tale
ricerca è stata stimolata dall’apparente incoerenza tra i modelli teorici che considerano
la capacità di reagire all’insuccesso senza farsi condizionare eccessivamente come indicatrice di una robusta autostima (cfr. McFarlin e Blascovich, 1981; Lobel e Teiber,
1994) e i risultati di molte ricerche condotte attraverso la tecnica del questionario, che
mostrano invece le difficoltà nella reazione all’insuccesso incontrate da persone caratterizzate da elevati punteggi d’autostima. Quest’incoerenza aveva condotto a ipotizzare
la differenziazione tra elevati punteggi nei questionari d’autostima che dipendono da
un’elevata autostima «vera» e elevati punteggi ai quali è sottesa un’autostima «difensiva», che è sì elevata, ma a causa di strategie di auto-presentazione (Lobel e Teiber,
1994). Zogmaister e coll. (2005) hanno indagato se lo IAT potesse costituire un valido
indicatore di autostima «genuina»: se così fosse stato, chi si fosse caratterizzato con alti
punteggi di autostima nello IAT avrebbe dovuto essere in grado di far fronte con sicurezza all’insuccesso. Coerentemente con quest’ipotesi, dai risultati della ricerca emerse
che il grado d’autostima implicita precedentemente espresso dai partecipanti permetteva la previsione della reazione dei partecipanti al fallimento, mentre il punteggio che
derivava dalle risposte ad un questionario d’autostima non permetteva tale previsione.
Il punteggio IAT si rivelava cioè come una migliore misura dell’autostima «genuina»
(Lobel e Teiber, 1994) dei partecipanti, rispetto alla misura esplicita di self-report.
La misurazione di costrutti di personalità difficilmente accessibili all’introspezione
o distorti da strategie di auto-inganno rende lo IAT uno strumento particolarmente
interessante per contesti di counselling o psicoterapia, dove ci sia l’esigenza di accedere
ad aspetti del concetto di sé difficili da esplorare introspettivamente.
6.3. Associazioni cognitive disfunzionali
L’indagine di associazioni cognitive disfunzionali, come per esempio credenze o strutture cognitive irrazionali, che potrebbero giocare un ruolo centrale nella psicopatologia, è un settore nel quale lo IAT ha potenzialità importanti. Per esempio, Gray e coll.
(2003) hanno somministrato uno IAT che misurava associazioni automatiche relative
alla violenza a persone diagnosticate come psicopatiche e non psicopatiche, che avevano oppure non avevano commesso omicidi in precedenza, riscontrando nelle persone
psicopatiche che avevano commesso omicidi delle associazioni cognitive automatiche
relative alla violenza anormali, rispetto a quelle degli altri rispondenti. Queste associazioni anormali, secondo gli autori, potrebbero essere alla base delle loro azioni.
I ricercatori con orientamento clinico hanno iniziato ad indirizzarsi verso compiti
impliciti, tra cui lo IAT, per studiare diverse forme di psicopatologia tra cui l’ansia sociale (e.g., de Jong, 2002), le fobie (de Jong, van den Hout, Rietbroek e Huijding, 2003;
Teachman et al., 2001), la depressione (Cai, 2003; Gemar, Segal, Sagrati e Kennedy,
82
Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
2001). Lo IAT è stato inoltre utilizzato per esplorare costrutti cognitivo-motivazionali legati a comportamenti potenzialmente dannosi come l’abuso di sostanze alcoliche
(Jajodia e Earleywine, 2003; Palfai e Ostafin, 2003; Wiers, van Woerden, Smulders e de
Jong, 2002), il fumo di sigarette (Sherman et al., 2003; Swanson, Rudman e Greenwald,
2001), o l’eccessivo consumo di cibi grassi da parte di persone sofferenti di obesità
(Roefs e Jansen, 2002).
6.4. Atteggiamenti impliciti verso prodotti di consumo
Rispetto agli ambiti d’indagine descritti in precedenza, come il pregiudizio o la personalità, la psicologia del consumatore è verosimilmente meno soggetta a distorsioni legate a
strategie di auto-presentazione ed auto-inganno. L’utilità di misure implicite d’indagine,
in questo caso, dipende innanzitutto dal fatto che le scelte di consumo non sono sempre
consce e razionali. Soprattutto quando sono coinvolti beni di scarso valore unitario, le
emozioni e motivazioni inconsce hanno un ruolo fondamentale nella scelta di consumo
(cfr. per esempio Maison, Greenwald, e Bruin 2001; Shapiro e Krishnan, 2001). Per
questo motivo le misure di self-report, tipicamente usate nelle ricerche di marketing e
negli studi sull’impatto delle campagne pubblicitarie, spesso si rivelano indicatori insoddisfacenti dell’immagine che i consumatori hanno di una marca e delle loro percezioni sui prodotti. Sebbene l’applicazione dello IAT in questo settore sia agli esordi,
alcune ricerche (Brunel, Tietje e Greenwald, 2004; Maison et al., 2001) suggeriscono
che lo IAT possa essere usato proficuamente anche in questo settore, poiché i punteggi
di preferenza spontanea espressi in questa misura sono coerenti con i comportamenti di
consumo dei rispondenti.
6.5. Atteggiamenti impliciti verso candidati politici
Un altro ambito nel quale, per diverse ragioni, è ipotizzabile che i comportamenti delle
persone non siano influenzati soltanto dagli atteggiamenti espliciti e razionali, è costituito dalle scelte di voto. Quella di voto è una scelta complessa, a volte caratterizzata dal
compromesso tra una serie di opzioni, nessuna delle quali completamente soddisfacente. Coloro che si occupano professionalmente della previsione dei risultati elettorali si
trovano spesso di fronte ad un’ampia percentuale di persone «incerte», che non vogliono o non sono in grado di sbilanciarsi esprimendo una preferenza per un candidato o
per uno schieramento politico. Alcuni recenti risultati di Galdi, Castelli e Arcuri (2005)
suggeriscono che, nonostante quest’indecisione nelle loro risposte esplicite, molte persone «incerte» stiano già maturando a livello implicito una chiara preferenza. Questi autori, infatti, hanno somministrato una misurazione IAT di preferenza per due candidati
politici ad un campione di «incerti» alcune settimane prima delle elezioni, riscontrando
che lo strumento aveva una capacità predittiva elevata relativamente all’effettiva scelta
di voto che tali persone avrebbero successivamente operato. È evidente l’importanza di
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
83
questo risultato, che propone lo IAT come valido strumento per aumentare la capacità
predittiva dei sondaggi pre elettorali (si veda anche Arcuri, Galdi e Castelli, 2005; Nosek et al., 2002b).
7. Variazioni contestuali
Oltre ad essere uno strumento per la rilevazione di differenze inter-individuali, lo IAT
si è dimostrato sensibile anche alle variazioni nei contesti di misurazione e pertanto
a manipolazioni sperimentali. Questa duplice funzione di rilevazione sia di aspetti e
disposizioni stabili, sia di variazioni contestuali, non deve stupire. Buona parte dei
costrutti psicologici e delle risposte fisiologiche è infatti caratterizzata sia da porzioni
largamente stabili che di una componente ad alta variabilità. Ad esempio, le persone
sono generalmente caratterizzate da un livello di pressione sanguigna di fondo, ma
eventi esterni o pensieri personali possono bruscamente farla aumentare o diminuire.
Analogamente, in riferimento allo IAT, possiamo postulare nelle associazioni tra concetti una determinata forza di base, che può essere modificata temporaneamente da
manipolazioni sperimentali, attivando selettivamente alcune associazioni a discapito
di altre, o addirittura creando nuove associazioni fin lì inesistenti (Castelli et al., 2004;
Foroni e Mayr, 2005).
La forza di un’associazione tra concetti può variare a seconda dell’importanza dell’oggetto in questione in un dato momento. I risultati di una ricerca condotta da Seibt,
Neumann e Deutsch (2002) hanno evidenziato variazioni nell’indice IAT di atteggiamento verso il cibo a seconda del tempo trascorso dall’ultima volta che i soggetti avevano mangiato: gli atteggiamenti verso il cibo erano tanto migliori quanto maggiore era il
tempo trascorso e perciò il livello di fame dei partecipanti. Stati di bisogno individuale
modificano pertanto la valutazione associata agli stimoli che possono soddisfare tale
bisogno e lo IAT è in grado di rilevare queste fluttuazioni nella valutazione. In maniera
analoga, Sherman e i suoi collaboratori (Sherman et al., 2003) hanno dimostrato che
soggetti fumatori in uno stato di deprivazione da nicotina mostravano allo IAT un accentuato atteggiamento positivo verso il fumo.
Oltre a questi effetti, riconducibili a differenti stati psicofisiologici, anche le esperienze vissute immediatamente prima della somministrazione dello IAT possono influenzare in misura significativa i punteggi al test. La ricerca ha evidenziato che, se
prima del test vengono presentati (Dasgupta e Greenwald, 2001; Karpinski e Hilton,
2001; Kuhnen et al., 2001) o fatti immaginare al rispondente (Blair, Ma e Lenton, 2001)
degli esemplari tali da attivare uno specifico elemento della rappresentazione cognitiva
oggetto d’indagine, ciò influenza la natura e pertanto la forza delle associazioni indagate. Anche le caratteristiche dello sperimentatore (Lowery et al., 2001; Richieson e
Ambady, 2003), la presenza fisica di coetanei (Castelli e Tomelleri, 2005), e l’attivazione
di altri contenuti rilevanti per le associazioni indagate (Zogmaister et al., 2005a) possono incidere sulle associazioni espresse nello IAT. Dasgupta e Greenwald (2001), per
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
esempio, hanno evidenziato che dopo aver incontrato una donna con caratteristiche
contro-stereotipiche le persone esprimevano attraverso lo IAT una minore associazione
tra la figura femminile e attributi stereotipici. Analogamente, Zogmaister e coll. (2005a)
hanno riscontrato che l’attivazione implicita di norme sociali di eguaglianza o lealtà influenzava in modo coerente il grado di pregiudizio implicito espresso dai rispondenti.
Anche lo specifico ruolo del rispondente nel contesto è in grado di modificare le associazioni indagate attraverso lo IAT. Questo aspetto viene evidenziato da uno studio di
Haines (2000) che, dopo aver riscontrato un’associazione implicita tra uomini (vs. donne) e potere e che gli uomini, più delle donne, associano il concetto di potere al Sé, ha
trovato che anche le donne, se poste in una situazione di potere (attraverso una manipolazione situazionale costituita da un gioco di simulazione) associavano il Sé al concetto
di forza. Lo IAT può quindi venire utilizzato per verificare le modificazioni nell’immagine personale in funzione delle situazioni. Un’interessante applicazione è stata realizzata nell’ambito dello studio dei comportamenti aggressivi. Coerentemente con l’idea,
sostanzialmente condivisa tra gli scienziati sociali, che l’esposizione a contenuti violenti
aumenti l’aggressività e le aggressioni (e.g., Anderson e Bushman, 2002) e che tale effetto possa essere mediato da meccanismi di natura automatica, Uhlman e Swanson (2004)
in un interessante studio trovano che il fatto di giocare con un videogioco violento in
laboratorio aumentava il grado in cui le persone associavano se stesse all’aggressività.
Nella precedente sezione abbiamo esaminato alcune potenziali applicazioni dello
IAT. Data la sua generale sensibilità a manipolazioni sperimentali, ulteriori utilizzi sono
ipotizzabili per la verifica dell’efficacia di interventi di cambiamento. A questo proposito, Rudman e coll. (2001a) hanno applicato lo IAT per rilevare gli effetti di seminari
finalizzati alla riduzione del pregiudizio, riscontrando che la partecipazione a questi
interventi provocava significative diminuzioni nel pregiudizio spontaneo. Questa stessa
logica può essere estesa alla verifica dell’efficacia di ogni intervento di prevenzione (Sebaste e Castelli, 2005), così come di veri e propri trattamenti clinici quali ad esempio
terapie di de-sensibilizzazione con pazienti fobici (Teachman e Woody, 2003).
Nel complesso, questi risultati indicano che la misura IAT può catturare, oltre agli
atteggiamenti stabili delle persone, anche quelle variazioni contestuali che sono legate
al modo in cui la rappresentazione viene costruita nel momento in cui il partecipante
esegue il compito. Le associazioni che vengono misurate attraverso lo IAT non sono
entità statiche ma dinamiche, basate su rappresentazioni costruite di volta in volta sulla
base del contesto.
In un’ottica connessionista (e.g., Smith, 1996), questi risultati possono essere facilmente inquadrati concettualizzando le rappresentazioni come «stati» anziché come
entità statiche. Secondo questa prospettiva, per esempio, uno stereotipo è un pattern
d’attivazione in una rete che soddisfa costrizioni parallele imposte dai pesi delle connessioni (che rappresentano l’apprendimento a lungo termine) e dagli input attuali (che
rappresentano la situazione immediata). Se pensiamo all’atteggiamento non come ad
una valutazione che viene recuperata dalla memoria, bensì come ad una configurazione
che viene ricostruita con i parametri di un particolare contesto, allora ne viene eviden-
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
85
ziata la natura dinamica e variabile, sensibile al contesto. In sintesi possiamo concludere
che lo IAT rispecchia verosimilmente l’atteggiamento spontaneo di un individuo verso
un determinato oggetto in uno specifico contesto.
8. In conclusione
Alla luce di quanto sinora detto, sono evidenti le ragioni dell’interesse suscitato dallo
IAT in moltissimi ricercatori. Le ricerche sin qui condotte lo prospettano come uno
strumento attendibile e valido, versatile ma anche enigmatico per quanto concerne i
meccanismi di funzionamento. Sebbene il fascino dello IAT sia in parte attribuibile proprio a questo cocktail di potenza ed ambiguità, è auspicabile che ricerche future facciano luce sulle modalità del suo funzionamento. Ciò permetterà di dissipare alcune ombre
che attualmente rendono problematico il suo utilizzo in molti settori applicativi.
Allo stato attuale, infatti, lo IAT ha grosse potenzialità nell’ambito della ricerca
socio-cognitiva. Grazie all’elevata sensibilità alle manipolazioni sperimentali si presta,
meglio di altri strumenti, all’indagine della cognizione implicita e del modo in cui
quest’ultima si differenzia dalla cognizione esplicita. Esso è particolarmente indicato
per l’indagine di quelle manipolazioni e quelle sottili variazioni nel contesto sociale
che, pur non avendo un’influenza diretta sugli atteggiamenti consapevoli ed espliciti
delle persone, possono influenzare comportamenti ed atteggiamenti spontanei. Sensibilità ed attendibilità elevate lo rendono inoltre lo strumento principe per l’indagine delle differenze individuali nella cognizione implicita. Dati questi presupposti
non stupisce che, come abbiamo visto in una precedente sezione, dall’ambito iniziale
dell’indagine del pregiudizio, l’uso di questo strumento si sia espanso alla ricerca in
settori differenti.
Diverso e più complesso, come già accennato, è il quadro relativo alle potenzialità
applicative dello IAT. I segni di interesse per un suo utilizzo pratico si fanno sempre più
evidenti e provengono da aree differenti. Due settori tradizionalmente interessati alla
misurazione degli atteggiamenti con scopi di previsione del comportamento, vale a dire
la psicologia della politica e le ricerche sugli atteggiamenti dei consumatori, sono verosimilmente le più promettenti per ciò che concerne il futuro prossimo. Le più recenti teorie socio psicologiche relative ai processi di presa di decisione evidenziano, infatti, che
nell’elaborazione delle decisioni i processi operanti al di fuori del controllo consapevole
possono giocare un ruolo cruciale (e.g. Slovic, Finucane, Peter e MacGregor, 2002) e
tale importanza è stata evidenziata sia nel contesto della scelta d’acquisto (e.g. Shapiro e
Krishnan, 2002) sia della scelta di voto (e.g. Galdi et al., 2005). La buona capacità predittiva dello IAT in questi settori, come abbiamo visto in precedenza, è stata sottolineata
da alcuni lavori recenti (Arcuri et al., 2005; Galdi et al., 2005) e lo IAT potrebbe proficuamente affiancare i tradizionali strumenti di rilevazione degli atteggiamenti politici e
degli atteggiamenti che sono alla base delle scelte di consumo, per accrescere la nostra
capacità di previsione del comportamento.
86
Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
Molti cominciano ad ipotizzare un’applicazione pratica dello IAT in altri settori,
maggiormente focalizzati sulle differenze interindividuali e sulla comprensione approfondita di ciò che contraddistingue il singolo individuo e meno interessati alla previsione
del comportamento dei gruppi di persone. Un esempio paradigmatico è costituito dall’ambito clinico, dove l’indagine di caratteristiche di personalità e associazioni cognitive
non funzionali potrebbe essere utilizzata con scopi di diagnosi e di counselling. Nonostante le prime ricerche condotte in tale settore siano promettenti (De Houwer, 2002),
un’applicazione pratica dello IAT per questo tipo di finalità è decisamente prematura.
A prescindere dall’ovvio invito, valido del resto per ogni strumento diagnostico, a non
confondere delle buone caratteristiche psicometriche con una validità assoluta dello
strumento e a non dimenticare che il rischio di errore è sempre presente, a nostro avviso
le limitazioni principali all’applicazione pratica dello IAT in questo settore sono due. La
prima è la già sottolineata incertezza sulle modalità di funzionamento dello strumento e
perciò sull’esatto significato e sulle implicazioni dei punteggi IAT. La seconda e altrettanto importante limitazione è la necessità di un’intensa preliminare ricerca scientifica
(per ora scarsa) sull’uso di questo strumento in campo clinico, prima di passare alle
applicazioni pratiche.
Un problema a sé è costituito dall’uso dello IAT nel settore della selezione del
personale. Molto spesso, in quest’ambito, per avere informazioni sulle caratteristiche
di personalità di un individuo ci si affida a misure di self-report, sebbene le limitazioni
di questi strumenti siano ben note agli addetti ai lavori. Lo IAT, non richiedendo un
accesso introspettivo alle cognizioni rilevanti ed essendo poco suscettibile alle strategie
di auto-presentazione (cfr. Asendorpf et al., 2002), sembrerebbe uno strumento particolarmente adeguato a questo tipo di applicazione. Tuttavia, come sottolineano Fiedler e Bluemke (in corso di stampa), un uso allargato di questo strumento nei contesti
di selezione del personale provocherebbe una diffusione delle conoscenze relative al
suo funzionamento, con il rischio di un apprendimento delle strategie necessarie a distorcere i risultati nella direzione desiderata. Come già sottolineato, sono perciò molto
auspicabili degli studi volti a indagare fino a quale punto lo strumento sia immune o al
contrario influenzato dalle strategie di distorsione volontaria e quali indicatori possano
essere eventualmente utilizzati per individuare i punteggi contraffatti da tali strategie di
distorsione.
In sintesi, crediamo che lo IAT possa essere proposto come valido strumento di
ricerca per l’indagine di associazioni cognitive implicite. Crediamo che esso abbia le
potenzialità per un’applicazione pratica in ambiti d’indagine degli atteggiamenti impliciti per scopi di previsione del comportamento, come può essere quello della previsione
delle scelte di voto o di acquisto. Sono invece necessarie ed altamente auspicabili ricerche rivolte a verificarne l’utilità in altri settori applicativi. Dovrebbe essere chiaro che
queste conclusioni e soprattutto le limitazioni relative al suo utilizzo pratico non sono
incise sulla pietra. Si sta assistendo a un’esplosione di ricerca sullo IAT, che si auspica
contribuirà a chiarire i punti di forza ed i limiti dello strumento. Perciò, il suggerimento
per il lettore è di restare al passo con questi sviluppi!
La misurazione dei costrutti impliciti attraverso lo IAT
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Cristina Zogmaister e Luigi Castelli
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