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Gender diversity e corporate governance dopo la legge Golfo

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Gender diversity e corporate governance dopo la legge Golfo
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Il Diversity Management a cura di simona cuomo e adele mapelli
economia & management 6 - 2011
Gender diversity e
corporate
governance dopo la
legge Golfo-Mosca
Il focus si è spostato dal perché non ci sono donne
nei CdA al come portare le donne giuste nei CdA: occorre lavorare affinché le aziende italiane cerchino
nel consigliere di amministrazione competenze, qualità ed esperienza e affinché le donne eccellenti e preparate si rendano più visibili e raggiungibili.
rubrica
legge, un quinto dei posti dei board e dei
collegi sindacali sia riservato al genere
meno rappresentato. Al secondo e al terzo
rinnovo, invece, si sale a una quota pari a
un terzo dei membri dei CdA. La sanzione
per le società quotate inadempienti sarà un
richiamo della Consob con tempo quattro
mesi per adeguarsi. Al termine del periodo, qualora la società non avesse provveduto, è previsto un secondo richiamo della
Consob e una multa pecuniaria che arriva
fino a un milione di euro per i CdA. Se la
quota non sarà rispettata dopo altri tre
mesi il board o il collegio sindacale decadrà. L’entrata in vigore della legge avverrà
a dodici mesi dalla pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale, quindi la prossima tornata di assemblee della primavera 2012
non è interessata dalla novità normativa,
ma sarà già un’occasione per le aziende
per andare verso il cambiamento che porterà alla fine dei nove anni, termine della
legge, ad avere settecento donne in più nei
board rispetto ai numeri attuali e duecento
donne nei collegi sindacali.
L’iniziativa Ready-for-board Women ha cercato di la-
sui temi del merito, che deve essere la chiave di lettura di questa incredibile opportunità.
π Premessa
Simona Cuomo
[email protected]
Adele Mapelli
[email protected]
28 giugno 2011: a due anni dalla presentazione della prima proposta di legge a firma
Lella Golfo è giunto al punto d’arrivo l’iter
del DDL sull’introduzione delle quote di
genere nella composizione dei consigli di
amministrazione e dei collegi sindacali
delle società quotate e pubbliche. Il testo di
legge, modificato al Senato rispetto a quello approvato nel dicembre scorso alla Camera, prevede che, al primo rinnovo dopo
dodici mesi dall’entrata in vigore della
π Ma era proprio necessaria
una legge?
Difficile rispondere alla domanda. Sicuramente tutti, donne comprese, avrebbero
preferito non ricorrere a un intervento legislativo per ottenere una partecipazione
paritaria ai vertici delle società; ma, nonostante il tema sia diventato di grande attualità, con un fiorire di convegni, dibattiti, iniziative, la situazione sembra evolversi molto lentamente. Si è quindi reso necessario un provvedimento di rottura per
scardinare una situazione consolidata e
poco incline al cambiamento, un’azione
positiva, probabilmente temporanea, che
impone alle aziende di garantire una democrazia paritaria: “non si tratta di riservare spazi immeritati, ma di aprire il mercato a una competizione meno distorta”
(Casarico, Profeta 2010).
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vorare su entrambi i fronti, mantenendo alto il focus
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rubrica
Rispetto al 2009 l’analisi mostra una situazione non molto difforme: sono diminuite le società senza alcuna donna tra i
componenti degli organi sociali (dal
37,7% al 29,9%), insieme a quelle che
presentano tra il 10 e il 20% di donne sul
totale dei componenti della società (dal
21,7% al 18,6%); viceversa, sono aumentate quelle che presentano meno del 10%
di donne e tra il 20 e il 40% (dal 31,7% al
38,3%); solo una rimane la società con più
del 40% di componenti femminili.
Un’analisi ancora più in dettaglio è stata
condotta osservando la presenza femminile all’interno prima degli organi di gestione (consigli di amministrazione, con-
Se guardiamo ai dati relativi alla governance, al management aziendale e alla
loro evoluzione storica, emerge che i cambiamenti avvenuti sono stati molto lenti e
non hanno portato a un equilibrio nella
rappresentanza di genere nelle posizioni
di decision maker. La forza lavoro è sempre più caratterizzata da donne, ma la loro
ascesa ai vertici aziendali è ancora difficile. Un dato per tutti: su 4.301 componenti degli organi sociali (CdA, consigli di
sorveglianza, consigli di gestione e collegi
sindacali) delle società quotate in Borsa
Italia nel 2011, le donne sono 317, vale a
dire il 7,4%, percentuale in linea con il
trend degli ultimi due anni.
figura 1
componenti degli organi sociali delle società quotate
al 1° gennaio 2011, per genere
UOMINI:
Nel 2009: 4.088 (93,1%)
Nel 2010: 4.014 (92,4%)
Oggi: 3.984 (92,6%)
TOTALE COMPONENTI
ORGANI SOCIALI:
a. Organi di gestione
b. Organi di controllo
c. Direzione generale
Nel 2009: 4.395
Nel 2010: 4.346
Oggi: 4.301
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tabella 1
DONNE:
Nel 2009: 307 (6,9%)
Nel 2010: 332 (7,6%)
Oggi: 317 (7,4%)
presenza di donne negli organi sociali delle società quotate
al 1° gennaio 2011
Presenza femminile
N. società 2009
N. società oggi
% società 2009
% società oggi
Nessuna donna
106
82
37.7
29,9
< del 10% di donne
89
105
31,7
38,3
10%-20% di donne
61
51
21,7
18,6
20%-30% di donne
20
29
7,1
10,6
30%-40% di donne
4
6
1.4
2,2
> del 40% di donne
1
1
0,4
0,4
TOTALE
281
274
100,0
100,0
fonte: dati consob, rielaborati dall’osservatorio diversity management della sda bocconi
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1. EPWN è un’associazione internazionale fondata nel 1996 con
l’obiettivo di promuovere la crescita professionale delle donne lungo
tutte le fasi della carriera, promuovere percorsi professionali innovativi, incoraggiare le aziende
a riconoscere la necessità di approcci al management differenti,
aumentare la visibilità delle
donne nell’ambito economico.
tabella 2
rubrica
presenza di donne nei cda, cdg e cds delle società quotate
al 1° gennaio 2011
Presenza femminile
N. società oggi
% società oggi
Nessuna donna
135
49%
1 donna
98
36%
2 donne
35
13%
3 o più donne
6
2%
TOTALE
274
100%
fonte: dati consob, rielaborati dall’osservatorio diversity management della sda bocconi
tabella 3
presenza di donne nei collegi sindacali delle società quotate
al 1° gennaio 2011
Presenza femminile
N. società oggi
% società oggi
Nessuna donna
154
59%
1 donna
81
31%
2 donne
24
9%
3 o più donne
3
1%
TOTALE
263
100%
fonte: dati consob, rielaborati dall’osservatorio diversity management della sda bocconi
Quote di genere al 30% nei CdA
entro il 2015: il guanto di sfida
è stato lanciato dal commissario
europeo alla Giustizia V. Reding
CdS; ancora più marcata è l’assenza delle
donne nei collegi sindacali: ben 154, su
un totale di 263 aziende, sono quelli tutti
al maschile.
π Cosa accade nel resto d’Europa?
Il rapporto biennale “Board Women Monitor” (2010), stilato dall’European Professional Women’s Network (EPWN)1 in collaborazione con la società di head hunting Russell Reynolds Associates, prende in esame
le 334 maggiori società in Europa e mostra
come la percentuale di donne nei CdA
delle società europee sia passata dall’8,5%
del 2006 al 9,7% del 2008 e all’11,7% nel
2010. Ma l’Unione Europea chiede il 30%
di quote di genere nei consigli di amministrazione entro il 2015: il guanto di sfida è
stato lanciato dal commissario europeo alla
Giustizia Viviane Reding, che ha proposto
alle società quotate e a partecipazione pubblica di impegnarsi ad aumentare la presenza femminile nei CdA del 30% entro il
2015 e del 40% entro il 2020.
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sigli di gestione e consigli di sorveglianza)
e poi all’interno dei collegi sindacali. Su
274, 135 sono le società in cui non è presente neanche una donna nei CdA, CdG e
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Esperienze quindi molto diverse caratterizzano oggi i paesi europei, tutte però caratterizzate da un unico obiettivo: incrementare la presenza femminile nei luoghi di potere. La legge Golfo-Mosca, dunque, riporta il paese al passo con quanto
sta avvenendo nel resto d’Europa.
In Norvegia le quote di genere sono già
legge dal 2006 e due anni dopo l’obiettivo
del 40% era già stato raggiunto. Nel 2007
è stata la volta della Spagna, che ha fissato
il target del 40% per il 2015, mentre in
gennaio il parlamento francese, con il supporto anche della Confindustria locale, ha
votato a favore della nuova norma che obbliga le società quotate a raggiungere dal
12% attuale il 20% entro il 2014 e il 40%
entro inizio 2017. In Finlandia la svolta è
arrivata il 1° gennaio 2010, quando è entrato in vigore il nuovo codice di corporate governance che prevede almeno una donna
in ogni CdA, mentre le aziende statali
hanno avuto l’obbligo della rappresentanza al 40% nel triennio 2004-2007.
In Germania le società del Dax30 hanno
l’obiettivo di raggiungere entro il 2013 il
30%, stessa soglia cui dovrebbero arrivare
“volontariamente” tutte le società tedesche quotate entro il 2018 per evitare
un’imposizione per legge. In UK il consulente del governo Lord Davies of Abersoch ha suggerito che le società del
FTSE100 arrivino al 25% di presenze
femminili nei board entro il 2015.
figura 2
π Perché ci sono poche donne
nei board?
Un tema che viene affrontato in molte recenti ricerche che si occupano di determinare quali variabili influenzano l’efficacia
di un board è l’analisi della presenza (o,
meglio, assenza) di consiglieri donne
(Farrell, Hersch 2005). Differenti sono le
motivazioni portate dagli studi: una di
queste è da rintracciare nel fenomeno dell’interlocking, vale a dire nel rapporto che
lega due aziende quando un amministratore fa parte del consiglio di amministrazione di entrambe. Drago, Polo e Santella
(2007) mostrano come nel periodo 19982006 la grande maggioranza delle società italiane quotate sia stata collegata in
un’unica rete attraverso una piccola minoranza di amministratori. Un gruppo
la presenza femminile nei board in dieci paesi europei
50%
45%
40%
44,2%
37,9%
35%
30%
26,9%
28,2%
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25%
20%
15%
13,5%
11,9%
11,5%
10%
7,6%
11%
6,6%
10,2%
6%
8,8%
6,6%
7,8% 8,5%
5%
0%
3,9%
2,1%
Norvegia Svezia
2008
Regno
Unito
Francia
Spagna
Grecia
2010
fonte: european pwn board women monitor 2008, 2010
44
Svizzera Germania
3,4%
0,8%
Italia Portogallo
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molto stabile nel tempo e con componenti spesso appartenenti alle stesse famiglie.
Sembra dunque esistere un gruppo ristretto di “Lord” che ricoprono le cariche
di presidente o amministratore delegato,
che tendono a ricoprire tale categoria a
La grande maggioranza delle
società italiane quotate
è collegata in un’unica rete
attraverso una piccola
minoranza di amministratori
vita e ad a essere sostituiti dai propri figli.
La presenza di un “old boy network” (Leighton , Thain 1993) è quindi una delle caratteristiche che genera all’interno del
consiglio un meccanismo di cooptazione
e di dipendenza dei consiglieri dallo stesso network. A questo si aggiunge che i
processi di selezione dei board avvengono
in modo del tutto informale senza regole
codificate, e senza soprattutto far riferimento ai sistemi di competenze necessarie a garantire un buon livello di funzionamento del board in funzione delle strategie dell’impresa, del mercato di riferimento, del ciclo di vita dell’impresa e del
mercato medesimo. Il consiglio di amministrazione, per tutte queste motivazioni,
mostra una struttura assimilabile a un
club, in cui si entra solo se si appartiene a
una stretta cerchia di “Lord”, di “old boy
network” appunto.
È chiaro quindi che le azioni di chi abita
il club esprimano la sommatoria delle relazioni del gruppo, che evidentemente
non intravede un vantaggio a estendere
l’accesso a un ampio ventaglio di persone,
tra cui le donne. Una recente ricerca
rubrica
(Burke, Mattis 2000) sottolinea che CEO
e Board Chairman sono fondamentali per
la nomina di donne, ma di pari importanza è il network di contatti informali. L’importanza del network che genera cooptazione è condizione necessaria per accedere ai board; ma nel network si entra solo
se si è in quel sistema di relazioni, e quindi si innesta un circolo vizioso di protezione reciproca di una cerchia ristretta.
Ulteriori ragioni sono state individuate
per spiegare l’esiguità del numero di consigliere donne (Burke 1994): la difficoltà
nel trovare donne qualificate e una certa
riluttanza nello scegliere le donne senza
un’antecedente esperienza nei board.
La prima motivazione è riconducibile alla
struttura del mercato del lavoro, dove permane nelle posizioni di top management
una bassa presenza femminile (11%): e,
dal momento che il ruolo di Director sia
executive (o interno alla società) sia non
executive (o esterno) è uno dei requisiti
fondamentali per essere nominati CEO
e/o per accedere ai board, questa strada
sembra più difficilmente praticabile per le
donne.
Il tema della qualificazione, invece, non è
riconducibile a evidenze empiriche concrete né esistono studi che sottolineino
quali sono gli aspetti per definire cosa si
intende per qualificazione quando si fa riferimento a un board member. Quindi si
tratta, nell’opinione di chi scrive, di un
condizionamento legato agli stereotipi
che nascono da un sistema di interazioni
ristretto, così come si configura attualmente il board.
π Perché aumentare la presenza
femminile nei board?
La questione gender equality non è solo
etica e morale: la diversity genera valore
così come è stato dimostrato dagli studi
che correlano la presenza femminile sul
mercato del lavoro e il PIL (Ferrera 2007;
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rubrica
Casarico, Profeta 2010), gli studi che correlano la diversità nella forza lavoro e i risultati dell’impresa (Osservatorio sul Diversity Management 2010) e gli studi che
correlano la presenza femminile nel CdA
e la performance dell’impresa (Smith et
al. 2005; Catalyst 2007; Adams, Ferreira
2008; Campbell et al. 2008; McKinsey &
Company 2010).
Gli elementi più spesso evidenziati come
rilevanti nel determinare il legame tra
presenza femminile nei CdA e performance dell’impresa sono riconducibili ad
aree di eccellenza dello stile di direzione
femminile: l’attenzione alle persone, la
gestione delle relazioni con gli interlocutori sia interni sia esterni, la prevenzione
e la gestione dei conflitti, la condivisione
delle decisioni, la minor propensione al
rischio (McKinsey & Company 2008).
Queste considerazioni si inseriscono nel
filone di ipotesi che giustificano, al di là
del genere, una correlazione positiva tra
performance e composizione eterogenea
(genere, età e formazione degli amministratori) del CdA. Un CdA eterogeneo
prende in considerazione un maggior numero di prospettive nell’affrontare una
decisione, anche se la tendenza a considerare più punti di vista in fase decisionale
potrebbe portare a un eccessivo rallentamento del processo di scelta, o ad un’eccessiva conflittualità. L’eterogeneità sembra essere associata a un aumento della
creatività e dell’innovazione del board,
aspetti che possono influenzare positivamente l’immagine dell’impresa e rappresentare uno stimolo alla competizione positiva tra i lavoratori all’interno dell’azienda. L’eterogeneità testimonia nei fatti la
possibilità di raggiungere i vertici aziendali indipendentemente dal genere o da
altre caratteristiche personali.
I dati mostrano che consigli eterogenei
assicurerebbero infine un maggiore confronto, nonché l’introduzione e il coinvol-
46
gimento di attitudini e di sensibilità diverse, che possono portare all’attenzione del
CdA questioni che altrimenti non sarebbero dibattute.
Sempre in tale prospettiva, i recenti dati
sui fallimenti confermano come di fronte
Di fronte alla crisi, le aziende
con una presenza di donne
nel CdA hanno resistito meglio
di quelle in cui il board
era completamente maschile
alla crisi, che ha generato una netta impennata delle insolvenze, le aziende con
una presenza di donne nel CdA abbiano
resistito meglio di quelle in cui il board
era completamente maschile (Cerved
Group 2010).
π La legge c’è. Cosa fare ora?
Il progetto Ready-for-board Women
(a cura di Monica Pesce, presidente
di PWA Milan)
Quando, nel 2008, abbiamo cominciato a
progettare l’iniziativa Ready-for-board
Women in collaborazione con l’Osservatorio Diversity Management della SDA
Bocconi l’idea di una legge sulle quote di
genere era quanto di più irraggiungibile e
remoto si potesse immaginare.
Il progetto nasce con l’obiettivo di scardinare una delle più radicate convinzioni che
giustificano la mancanza di donne nei consigli di amministrazione: non ci sono abbastanza donne qualificate per entrare in
un consiglio. Lo scopo pertanto è scovare le
tante donne eccellenti ma poco visibili che
potrebbero contribuire e apportare valore
ai nostri consigli di amministrazione.
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Essendo tutto il progetto costruito attorno
ai concetti di merito ed eccellenza, abbiamo
coinvolto i principali executive searcher
operanti sul mercato italiano (Eric Salmon
& Partners, Heidrick & Struggles, Key2people and Korn Ferry International per
la prima edizione e Spencer Stuart e
Key2people per la seconda) e insieme a
loro abbiamo definito il profilo ideale (e
gender neutral) del consigliere di amministrazione, che è stato quindi utilizzato
per lo screening delle candidature. I profili sono stati raccolti attraverso i database
degli executive searcher, le segnalazioni
di molti vicini alla nostra iniziativa, il contributo di importanti associazioni quali
AIFI, Bocconi Alumni Association, Federmanager, Manageritalia e Valore D e le
tante autocandidature.
La prima edizione, presentata nel 2009,
ha proposto 72 profili di donne eccellenti
e qualificate; la seconda edizione ci ha
consentito di incrementare il numero a
165 e oggi cominciamo a lavorare per la
realizzazione della terza edizione, prevista per i primi mesi del 2013. Oggi la
legge è stata approvata, le aziende italiane
e le donne si trovano di fronte a un bivio:
da un lato la strada tradizionale delle relazioni e delle lobby, in cui a prevalere sono
logiche di mantenimento del controllo e
la ricerca del consigliere “comodo e accomodante”, dall’altro la strada più complicata della ricerca del profilo giusto, che ri-
rubrica
chiede investimento di tempo e risorse.
L’iniziativa Ready-for-board Women in
questo contesto si mette al servizio delle
aziende, dando visibilità alle molte donne
eccellenti che potrebbero efficacemente
entrare a far parte di un board. Ovviamente una lista non è risolutiva e sicuramente il coinvolgimento all’interno di un consiglio è fondato non solo sulla qualità del
profilo e delle esperienze ma anche sulla
conoscenza diretta e personale del candidato, tuttavia rappresenta uno strumento
che quantomeno permette alle aziende di
identificare le potenziali candidate da
contattare e incontrare. A questo aggiungiamo gli eventi che con regolarità vengono organizzati in collaborazione con l’Osservatorio Diversity Management della
SDA Bocconi e che offrono la possibilità
di incontrare queste donne eccellenti.
Oggi il focus si è spostato dal perché (non
ci sono donne nei CdA) al come portare le
donne giuste nei CdA: occorre dunque lavorare affinché le aziende italiane cerchino nel consigliere di amministrazione
competenze, qualità ed esperienza e affinché le donne eccellenti e preparate si rendano più visibili e raggiungibili. La nostra
iniziativa ha cercato di lavorare su entrambi i fronti, mantenendo alto il focus
sui temi del merito, che a nostro avviso
deve essere la chiave di lettura di questa
incredibile opportunità rappresentata
dalla legge sulle quote di genere. π
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rubrica
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