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la biostimolazione cutanea con plasma ricco di piastrine (prp)

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la biostimolazione cutanea con plasma ricco di piastrine (prp)
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LA BIOSTIMOLAZIONE CUTANEA CON PLASMA RICCO
DI PIASTRINE (PRP): GENERALITA’ E RIFLESSIONI SUL
MECCANISMO D’AZIONE
di Vincenzo Varlaro
Docente di Medicina Estetica nel Master Internazionale Biennale di II livello di Medicina Estetica e
Terapia Estetica dell'Università degli Studi di Camerino
La biostimolazione cutanea mediante Plasma Ricco di Piastrine (Platelet-Rich
Plasma o PRP) è, da qualche tempo, la terapia sulla cresta dell'onda in termini di
ringiovanimento cutaneo, di rigenerazione tissutale.
Le piastrine o trombociti (con il termine trombociti alcuni Autori preferiscono
indicare il corrispettivo delle piastrine nelle specie animali in cui esse sono provviste
di nucleo) sono elementi figurati (corpuscolati) del sangue (Fig. 1).
Figura 1 Piastrine (da Wikipedia)
Le piastrine sono specializzate nel realizzare l’emostasi e derivano dalla
frammentazione dei megacariociti, cellule del sangue prodotte a livello del midollo
osseo (Fig. 2).
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Figura 2 Processo di produzione delle piastrine (da Wikipedia)
Le piastrine sono presenti nel sangue circolante in numero di 150000–400000 per
mm³ di sangue e hanno una vita media di 5–9 giorni. Non essendo cellule, sono prive
di nucleo, ma possiedono granuli, molti organuli citoplasmatici e RNA. Si presentano
di forma tondeggiante o ovale con un diametro di 2-4µm. Al microscopio ottico
presentano due zone distinte: una centrale granulare (granomero) e una zona
periferica quasi ialina (ialomero). All’interno del citoplasma presentano actina sia in
forma polimerica (microfilamenti) complessata con la profilina, sia in forma
globulare. Nella piastrina sono rilevabili dei granuli:



Granuli α: poco opachi e molto numerosi, contenenti fattore quarto piastrinico,
la trombospondina e fattori di crescita;
Granuli densi (risultano maggiormente elettrondensi in microscopia
elettronica): serotonina, Ca2+, ADP e ATP;
Granuli lisosomiali: contengono idrolasi lisosomiali e perossisomi.
Per ottenere il PRP serve un prelievo di 20 ml di sangue venoso. Una volta prelevato
il sangue mediante un ago butterfly e una siringa da 20 ml, viene immediatamente
riversato in provette sterili contenenti Sodio Citrato al 3.8% (0.129 mol/l). Il rapporto
tra il volume del sangue e l’anticoagulante Sodio Citrato è di 9:1.
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Il Sodio Citrato al 3.8% viene utilizzato come chelante degli ioni calcio, in modo da
evitare la formazione del coagulo che sequestrerebbe le piastrine; insomma, il Sodio
Citrato al 3.8% esplica un’azione anticoagulante.
In assenza di Sodio Citrato, infatti, gli ioni calcio presenti nel sangue innescano la
trasformazione della protrombina in trombina, formando il coagulo.
Dopo avere riversato nelle provette contenente il Sodio Citrato al 3.8% il sangue
venoso prelevato, si passa alla disposizione delle provette stesse in una centrifuga da
laboratorio (Fig. 3).
Figura 3 Centrifuga da laboratorio
Esistono delle provette con un tappo di gel che consente, con la centrifugazione, di
separare la maggioranza della parte corpuscolata che si dispone in basso nella
provetta, dal plasma (con le piastrine, i linfociti, i monociti) che si dispone in alto.
La centrifugazione porta sotto il tappo di gel gli eritrociti, i neutrofili, gli eosinofili e
lascia sopra il tappo di gel il plasma con le piastrine, i linfociti, i monociti. La
centrifugazione dev'essere adeguata. Solo in determinate condizioni, infatti, si ottiene
la sedimentazione dei globuli rossi e dei globuli bianchi, ma non quella delle piastrine
che, così, rimangono in sospensione nel plasma. Centrifugazioni inadeguate
potrebbero portare a fare sedimentare anche le piastrine e a ottenere un Plasma
Povero di Piastrine (Platelet-Poor Plasma o PPP).
I tempi di centrifugazione consigliati in letteratura per la separazione delle piastrine
sono di 1500-1800 RCF (Relative Centrifugal Force) per 15-18 minuti, ma sono
sicuramente sufficienti dei tempi dimezzati (750-800 RCF per 7-9 minuti). Per
ottenere il numero di giri efficace si deve considerare il raggio della centrifuga. Un
semplice nomogramma correla i centimetri del raggio con i RCF da programmare.
Ultimata la centrifugazione, si ottiene il PRP (Fig. 4).
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Figura 4 Effetti della centrifugazione
Dopo la separazione realizzata con la centrifugazione, è bene rimescolare
delicatamente la provetta per omogeneizzare la concentrazione piastrinica in tutto il
volume plasmatico. Quindi, si aspira il PRP in una siringa.
Nel caso dell’uso delle provette con il gel, il plasma si aspira facilmente senza
problemi mentre mentre nel caso dell’uso di una provetta normale (senza gel) si deve
stare attenti a non aspirare la porzione leucocitaria: i granulociti possono liberare,
dopo l’attivazione, enzimi proteolitici, catepsine, mieloperossidasi e composti tossici
dell’ossigeno con possibili danni cutanei.
Le piastrine presenti nel plasma, per liberare i fattori di crescita devono essere
attivate altrimenti non si verifica la degranulazione.
La degranulazione piastrinica viene indotta dal calcio. E’ sufficiente il calcio presente
nei tessuti infiltrati per il verificarsi dell’attivazione piastrinica (via endogena) e della
liberazione da parte dei granuli  dei fattori piastrinici. In concreto si utilizza il PRP
ottenuto iniettandolo nei tessuti senza alcuna integrazione. E’, comunque, possibile
anche un’attivazione esogena delle piastrine: si aggiunge al PRP, in tal caso, del
Cloruro di Calcio 10 mEq/10 ml. L’attivatore esogeno deve essere aggiunto al PRP
prima della sua somministrazione nei tessuti: la degranulazione piastrinica è
immediata e segue l’aggiunta dell’attivatore, per cui si verifica nella siringa e così la
liberazione dei fattori di crescita piastrinici che per la loro breve emivita, devono
essere iniettati rapidamente nei tessuti. E’ bene attivare delle piccole quantità (1 ml)
di plasma per volta per avere a disposizione un tempo sufficiente prima
dell’inattivazione dei fattori di crescita. Per le iniezioni si utilizza un ago 30 G da 4
mm. E’ consigliabile ripetere il trattamento dopo 6-8 ore: è bene effettuare un primo
trattamento la mattina e un secondo trattamento il pomeriggio, a distanza di 6-8 ore,
per potenziare al massimo gli effetti del PRP.
I fattori di crescita piastrinici rilasciati con il primo trattamento inducono un
reclutamento dei recettori per i fattori di crescita piastrinici sulla membrana dei
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fibroblasti e di altre cellule per cui, con il secondo trattamento si amplifica la risposta
cellulare in virtù della maggiore espressione recettoriale.
I fattori di crescita liberati dai granuli  delle piastrine sono:



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


il fattore di crescita PDGF (Platelet-Derived Growth Factor): è una citochina e
costituisce il principale mitogeno sierico per le cellule di origine mesenchimale
nell'uomo. La proteina biologicamente attiva è un dimero composto da due
polipeptidi collegati designati A e B. Il PDGF è coinvolto direttamente e
indirettamente in molti stati patologici: tumori, artriti, arteriosclerosi, sclerosi
del midollo osseo. Il PDGF viene codificato da un gene, il SIS, che altro non è
che un oncogene presente nel genoma umano. Esistono molte isoforme di
PGDF, tre di queste, rilasciate in forma attiva, sono costituite dagli omodimeri
AA o BB oppure dall'eterodimero AB. Altre due forme, CC e DD, sono
attivate mediante clivaggio proteolitico. Il PDGF presenta quelle caratteristiche
che sono proprie dei fattori di crescita: la chemiotatticità (richiama determinate
cellule a migrare verso determinati parti del tessuto), la capacità proliferativa
(è in grado di fare proliferare determinate cellule in determinate parti di un
tessuto). Inoltre, interviene nella stabilizzazione dei vasi sanguigni neoformati
reclutando fibre muscolari lisce.
il fattore di crescita insulino-simile.
il basic fibroblast growth factor (bFGF o FGF2).
il fattore di crescita dell'epidermide (Epidermal Growth Factor o EGF): è un
induttore della mitosi. Si lega al recettore EGFR.
il fattore di crescita dell'endotelio vascolare (VEGF): è implicato in processi
quali l’infiammazione, l’angiogenesi. Ne esistono diversi tipi: VEGF A, B, C,
D, E che si legano a recettori come VEGFR 1, VEGFR 2, VEGFR 3. Il VEGF
induce l’aumento della permeabilità dei capillari sanguigni, comportando la
formazione dell’edema.
il fattore di crescita trasformante-α (TGF-α): è implicato in quasi tutti i tumori.
Si lega allo stesso recettore dell'EGF ed esercita gli stessi effetti.
il fattore di crescita trasformante-β (TGF-β): è sintetizzato in due forme, una
latente e una attiva. La forma attiva, si lega prima al recettore 2 formando un
complesso stabile primario, il quale si lega al recettore1, formando il
complesso stabile secondario, il quale comporta la fosforilazione dei fattori di
trascrizione SMAD tra i quali: SMAD 2 e 3 che si legano, poi, al fattore di
trascrizione SMAD 4. Ne risulta un eterodimero che è capace di entrare
all'interno del nucleo e favorire o inibire l'attivazione genica. Il TGF-β,
determina l'aumento di concentrazione di fattori inibenti le CDK, comportando
il blocco del ciclo cellulare. Inoltre, interviene nella stabilizzazione dei vasi
sanguigni neoformati, reclutando proteine matricellari.
La funzione principale dei fattori di crescita è il controllo del ciclo cellulare:
determinano l'abbandono della fase di quiescenza cellulare (fase G0) e l’entrata nella
fase G1 (di crescita) (Fig. 5).
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Figura 5 Schema del ciclo cellulare (da Wikipedia)
Insomma, i fattori di crescita promuovono l’attività mitotica, la sopravvivenza
cellulare, la migrazione e il differenziamento cellulare.
Insieme alla proliferazione, promuovono il differenziamento e la maturazione
cellulare: una proliferazione cellulare senza differenziamento significherebbe
l'insorgenza di un tumore.
Il fattore EGF è un messaggero che induce le cellule a crescere, insomma stimola la
mitosi, la divisione cellulare. Agisce legandosi a un recettore specifico (EGFR)
presente sulla membrana cellulare (Fig. 6).
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Epidermal Growth Factor
EGFR
EGF
Extracellular
Domain
Transmembrane
Domain
TK
Intracellular
Domain
Figura 6
Il recettore EGFR è una proteina flessibile con molte parti mobili che comprende una
grande porzione extracellulare (dominio extracellulare), una porzione che attraversa
la membrana (dominio transmembrana), un dominio intracellulare con attività di
chinasi e una lunga coda flessibile (Fig. 7).
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Epidermal Growth Factor Receptor
EGFR
Extracellular
Domain
Transmembrane
Domain
TK
Intracellular
Domain
Figura 7 Struttura del recettore EGFR
La porzione rivolta verso l'esterno della cellula funziona come una sorta di antenna ed
è composta di quattro domini flessibili che riconoscono l'EGF.
Quando la porzione esterna dell'EGFR non sta legando l'EGF, si ripiega su se stessa
mentre quando si lega all'EGF, si apre e si lega a una seconda copia dello stesso
recettore formando un dimero che fa legare tra loro due copie del dominio chinasi
all'interno della cellula.
Poiché i dominio chinasi sono vicini uno all'altro, possono fosforilare
vicendevolmente alcune tirosine nelle code lunghe e flessibili del recettore. Le code
fosforilate stimolano le proteine di segnalazione all'interno della cellula.
L’EGF e il recettore EGFR fanno parte di una grande famiglia di proteine che
controllano la crescita e lo sviluppo delle cellule.
In tale famiglia si riconoscono almeno 7 proteine messaggero simili come il fattore di
crescita trasformante  e l'anfiregulina e 4 recettori chiamati collettivamente ErbB o
recettori HER.
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Questi messaggeri e recettori possono mescolarsi e accoppiarsi. Un messaggero può
attivare recettori diversi e messaggeri diversi possono legare recettori identici oppure
diversi.
In questo modo il sistema, pur disponendo di un numero limitato di messaggeri e di
recettori, può mandare un gran numero di segnali diversi. E' come se un singolo
segnale venisse captato da antenne diverse disposte su cellule diverse e come se
segnali diversi potessero essere captati da un solo tipo di antenna o da antenne
diverse. Un sistema semplice che permette soluzioni complesse atte a soddisfare tutte
le esigenze metaboliche delle cellule.
Dopo che il recettore EGFR è stato attivato da un messaggero (EGF o TGF ) e che
ha trasmesso il segnale all'interno della cellula, bisogna provvedere a spegnerlo
altrimenti continuerà a mandare quel segnale in modo incontrollato e con
conseguenze catastrofiche per la cellula che potrebbe essere prodotta indifferenziata
(malattia tumorale).
Un enzima apposito realizza questa operazione staccando i gruppi fosfato che sono
stati aggiunti alle code flessibili del recettore per attivarlo: la proteina tirosina
fosfatasi 1B (PDB 1ptu).
Insomma, il segnale portato dall'EGF può essere pericoloso se usato in modo
improprio. Molte forme di cancro sono relazionate a un eccesso di effetti dell'EGF:
aumento della produzione di EGF oppure over-espressione del suo recettore (EGFR).
Il recettore EGFR lega oltre l'EGF, anche il fattore di crescita trasformante α (TGFα).
Il legame con queste molecole porta all'attivazione del recettore che omodimerizza
con un altro recettore EGFR o eterodimerizza con altre proteine della famiglia dei
recettori per il fattore di crescita epiteliale come HER2/c-neu (ErbB-2), Her 3 (ErbB3) e Her 4 (ErbB-4).
La omo-eterodimerizzazione porta all'avvicinamento dei domini citoplasmatici dei
suddetti recettori.
Tali domini possiedono un'attività tirosin chinasica che determina la fosforilazione
vicendevole della tirosina (Fig. 8).
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EGF, TGF)
EGFR
Receptor
dimerization
Extracellular
domain
Cell membrane
Cytoplasm
Tyrosine
kinase
domain
C-terminus
domain
ATP
ATP
P
P
P
P
P
P
P
P
Tyrosine kinase
domain
activation
Phosphorylation of
substrate tyrosines
Signal transduction
Figura 8 Struttura e meccanismo d’attivazione del recettore EGFR
La tirosina fosforilata innesca il reclutamento di tutta una serie di proteine (SOS) in
grado di attivare la proteina Ras.
La proteina Ras è una delle principali proteine attivate dal legame dell'EGFR con il
suo ligando; in seguito alla sua attivazione, la proteina Ras diventa più affine per il
GTP, perdendo la capacità di legare il GDP. Questa modifica è rapidamente
reversibile in quanto la proteina Ras, legandosi con la proteina GAP, diviene in grado
di idrolizzare il GTP in GDP, perdendo nuovamente la sua attività. Per queste
ragioni, l'attività della proteina Ras viene definita pulsatoria.
Nel breve periodo di attivazione, la proteina Ras è in grado di attivare la via delle
Map-chinasi che porta alla differenziazione e alla proliferazione cellulare.
La proteina Ras attiva la serina/treonina chinasi Raf che, a sua volta, attiva le
MAPKK 1 e 2 e le MAPKERK 1 e 2. La conseguenza è l’espressione di varie proteine
nucleari (Ciclina D1, Ciclina E,….).
Le Cicline sono una famiglia di proteine che interessano la progressione del ciclo
cellulare.
Una ciclina forma complessi con l’enzima CDK (Chinasi ciclina-dipendente)
attivandone la funzione chinasica.
Le cicline sono così chiamate perché la loro concentrazione varia durante il ciclo
cellulare (Fig. 9).
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Figura 9 Concentrazione delle varie cicline durante le fasi del ciclo cellulare (da Wikipedia)
La produzione e la degradazione delle cicline è necessaria per favorire la
progressione dei differenti stadi del ciclo. Quando la concentrazione di ciclina è bassa
essa si stacca dalla CDK facendo sì che la conformazione della proteina renda non
funzionale il sito attivo.
La Ciclina D legata alle CDK4 e 6, durante la fase G1, attivata dal segnale di un
fattore di crescita via Ras, fosforila, nel nucleo, Rb che inibiva il fattore di
trascrizione E2F, rendendo libero quest'ultimo. In questo modo E2F può dare inizio a
una serie di trascrizioni (e poi traduzioni) che producono proteine necessarie alla
progressione da G1 a S.
Anche la Ciclina E, attraverso il legame con CDK2, partecipa alla fosforilazione di
Rb. In modi paralleli agisce la Ciclina A, unita a CDK2, per far procedere la fase S
che a sua volta, induce la produzione di Ciclina B. La Ciclina B è la cosiddetta
ciclina mitotica. Infatti, la concentrazione di Ciclina B (che lega CDK1) e
l’attivazione del complesso CDK1-ciclina B, aumentano a partire dalla fine della fase
S e per tutta la fase G2, fino all’inizio della mitosi (fase M), quando cala
drasticamente a causa della degradazione della ciclina. Il complesso formato dalla
CDK e dalla Ciclina B è chiamato Mitosis Promoting Factor (MPF) ovvero fattore
che promuove la mitosi.
La gran parte delle cicline vengono riconosciute da una CDK. Tuttavia, ci sono anche
cicline cosiddette orfane che non vengono riconosciute da una CDK: la Ciclina F è
una ciclina orfana che è, comunque, essenziale al passaggio da G2 a M.
Tutte le cicline sono degradate dai proteosomi grazie al processo ubiquitinazione.
L'omo-eterodimerizzazione di EGFR non comporta soltanto l'attivazione di Ras
tramite le proteine SOS, ma anche l'innesco della via di PI3K, il cui principale
bersaglio è la AKT (serina/treonina chinasi) che attivata, è in grado di inibire
fortemente l'apoptosi cellulare.
Un'ulteriore capacità del recettore EGFR è quella di attivare alcune proteine della
famiglia STAT che prendono parte all'innesco della proliferazione cellulare
promuovendo la c-Myctrascrizione di proteine come c-Myc: tale prodotto genico di
Myc agisce da protoncogene; la sua iperespressione o la sua mutazione in senso
attivante può trasformare Myc in un oncogene. In molte neoplasie maligne si
riscontra una versione mutata di Myc che porta il gene a essere perennemente
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espresso. Questo evento molecolare porta all'espressione disordinata di molti geni,
alcuni dei quali sono coinvolti nella proliferazione cellulare e portano all'insorgenza
del cancro (Fig. 10).
Figura 10 Effetti dell'EGF (da Wikipedia), modificato
Quindi, l’utilizzo del PRP ha come obiettivo il favorire la liberazione da parte delle
piastrine di fattori di crescita, ottimizzare la risposta recettoriale cellulare,
incrementare l’attività mitotica cellulare: fibroblasti, cellule dello strato basale
dell’epidermide, condrociti.
Nel PRP non è presente soltanto il PDGF, ma anche altri fattori di crescita come
l’EGF.
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Dell’EGF e del suo recettore EGFR se ne occupa da diversi anni la ricerca in tema di
terapia del cancro allo scopo di individuare una terapia intelligente dei tumori (Fig.
11).
Figura 11
Accanto alla terapia non intelligente del cancro, come quella che prevede la
chemioterapia che non fa differenza tra i vari metabolismi cellulari, si sta, infatti,
sviluppando la terapia intelligente, quella che agisce selettivamente su specifici
metabolismi cellulari.
Un nuovo esercito di farmaci ha iniziato la lotta al cancro: gli Umab e gli Inib.
Gli Umab sono anticorpi monoclonali (Monoclonal Antibodies) che si legano ai
recettori per i fattori di crescita o comunque, a una molecola di segnale extracellulare.
Gli Inib sono molecole che si legano e inibiscono la tirosina chinasi intracellulare
(Tyrosine Kinase Inhibitors) (Fig. 12).
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Epidermal Growth Factor Receptor
Extracellular
Domain
Umab
Inib
TK
Intracellular
Domain
Figura 12
L’obiettivo degli Umab e degli Inib è quello di bloccare il segnale dell’EGF ed è per
tale ragione che risultano efficaci per il trattamento del cancro.
L'anticorpo monoclonale cetuximab si lega al dominio extracellulare del recettore
EGFR (PDB 1yy9) che, quindi, non può dare dimeri e non può indurre il segnale di
crescita all'interno della cellula. Il cetuximab e il panitumumab vengono utilizzati per
la cura del cancro del colon.
Il lapatinib si lega al dominio chinasi del recettore bloccando, così, il processo di
segnalazione all'interno della cellula (PDB 1xkk). E’ una molecola simile all'ATP
usato dal recettore e, quindi, si lega fortemente nel sito attivo del recettore EGFR, al
posto dell'ATP. Il lapatinib, il gefitinib, l’erlotinib vengono utilizzati per la terapia
del cancro del polmone.
Il fattore di crescita epidermico (EGF), agendo sul recettore EGFR (una glicoproteina
che attraversa la membrana cellulare) attiva la proteina KRAS: un mediatore cardine
per la trasmissione degli stimoli che favoriscono lo sviluppo del cancro.
Mutazioni che portano alla sovra espressione o alla iper-attività dell’EGFR sono state
associate a un numero consistente di tipi di tumori: cancro al polmone, cancro colonretto, glioblastoma multiforme.
Inoltre, mutazioni, amplificazioni o disregolazioni dell’EGFR o di proteine correlate
sono implicate in circa il 30% di tutti i tumori epiteliali.
In un recente lavoro pubblicato su Science Signaling, è stato dimostrato che l’EGF è
in grado di ridurre il numero di 23 microRNA e che tale evento molecolare ha un
significato inquietante perché significa togliere il freno alla produzione di vari fattori
oncogeni.
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La controprova è venuta dall’analisi di cellule tumorali provenienti da neoplasie della
mammella e del cervello caratterizzate da un’eccessiva attività del recettore per il
fattore di crescita epiteliale (EGFR) o di HER2 che gli è strettamente apparentato: in
entrambi i casi la quantità dei 23 microRNA è risultata ridotta.
Insomma, il binomio fattori di crescita/cancro è una realtà da non trascurare.
Sarebbe opportuno, a mio avviso, escludere dal trattamento mediante PRP quei
pazienti con una storia personale o familiare per tumori maligni e preliminarmente
sottoporre il paziente ad accertamenti che escludano la presenza di neoplasie e lesioni
precancerose.
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