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Memorie storiche di San Martino di Salto

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Memorie storiche di San Martino di Salto
Memorie storiche di San Martino di Salto
per cura di D. Secondo Lodi
Modena, 1908
All’Ill.mo e Rev.mo Mons. Giulio Marchese Campori che
delle presenti feste si degnò essere protettore e benefattore
in segno di viva gratitudine
S. Martino di Salto e sue vicende attraverso i secoli (Giuseppe Colò)
San Martino di Salto, sezione di Montese con 345 abitanti, è un paesetto situato sulla sponda destra
del rio di S. Martino, affluente dello Scoltenna, con esposizione a mezzogiorno. Comprende vari casolari sparsi qua e là, e gruppi di abitazioni. A nord-est di S. Martino, e non molto distante, è la frazione di Salto S.ª Maria, ed a sud-est, pure a breve distanza, sul dorso del monte giace Montese,
confinante colla provincia di Bologna. Ridente e fertilissimo è il paesaggio di S. Martino, coltivato
a prati, a campi, a vigneti e a boschi di quercie e castagni, esempio per tutti il bosco grosso nella
sponda opposta a S. Martino.
La storia civile di questo paese s’integra naturalmente con quella di Montese, come territorio dipendente ne’ secoli passati da quel castello; onde non meravigli se nel parlare dell’un paese si nomina
anche l’altro1.
Sulle origini di S. Martino nulla si può dire di positivo, se non ché in tempi remoti fece parte del
Comune di Salto, da cui poi si rese autonomo con propria reggenza amministrativa. Quel che è certo
si è che prima del secolo X Montese e luoghi vicini si governarono indipendentemente, quantunque
i monaci di Nonantola esercitassero qualche diritto sul territorio di Salto, ove nell’890 avevano ottenuto terre in donazione dal Re Berengario. Però, quanto allo spirituale di questi luoghi, come gli
altri del Frignano, erano soggetti al Vescovo di Modena e, quanto al temporale, all’Imperatore, il
quale vi teneva un deputato per il governo delle popolazioni.
Nell’XI secolo, e precisamente nel 1025, il Vescovo Ingone confermò la concessione fatta dal vescovo Varino nel 1016, che donò ai Monaci di S. Pietro di Modena la chiesa di S. Martino, e nel
1159 con diploma dell’Imperatore Federico I furono confermati a quel monastero i possedimenti
che erano in Plebe Salti. Tale donazione fu confermata ancora da Papa Urbano IV nel 1186, e da
Papa Celestino III nel 1196. D’allora, quella Chiesa rimase di pertinenza del monastero di S. Pietro,
fino verso il termine del secolo XVIII, quando fu soppresso il detto monastero, e da quell’epoca in
poi, è di libera collazione dell’Arcivescovo di Modena.
Nell’anno 1197 a’ 27 d’agosto, gli uomini di San Martino con quelli di Montese e degli altri luoghi
vicini, giurarono spontaneamente alleanza e fedeltà al comune di Modena, a patto di essere assistiti,
e con quel Comune si mantennero quasi sempre alleati fino al sopraggiungere degli Estensi; a’ quali
pure fecero atto di sudditanza. Durante il secolo XII erano intanto sorti i Capitani, i quali, fortificandosi nelle rocche e rafforzando le fazioni, furono causa di lotte frequenti che desolarono il Frignano ed estesero su di esso la giurisdizione del Comune di Modena. Una di queste guerre, sanguinosa quanto mai, fra frignanesi e modenesi, incominciò nel 1204 a motivo della rottura del patto
stretto dai terrazzani di Montese: i frignanesi sconfitti a Pavullo, dovettero patteggiare coi modenesi, e cedere loro Salto e Montespecchio, che nuovamente giurarono fedeltà al Comune di Modena.
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Per non affastellare di note questo articolo, avverto una volta per sempre che nel redigerlo mi sono servito delle seguenti fonti: Dizionario topografico istorico del Tiraboschi; Documenti dell’Archivio di Stato di Modena; Storia di
Montese del Giacobazzi m.s.; Vicende politiche e civili del Frignano di V. Santi.
1
La vicinanza di S. Martino, ed in generale di tutti i paesi posti sulla destra dello Scoltenna al bolognese, fece sì che quel territorio fu spesso soggetto ad invasioni nemiche con sempre gravissimi
danni. Fin dal 1228 quelle popolazioni furono avviluppate nella guerra dai bolognesi combattuta nel
Frignano, guerra che durata fino al 1242, devastò grandemente Montese e i luoghi limitrofi. In
quest’anno, ed anche nel 1276, gli uomini di Montese e S. Martino si ribellarono al Comune di Modena, e nel 1286 fecero atto di vassallaggio all’Abate di S. Pietro di Modena, promettendo di difenderlo contro tutti eccettuato l’Imperatore e quel Comune. Al cadere di questo secolo (1296) Montese fu di nuovo occupato dai bolognesi per la lotta fra Azzo III d’Este e gli esiliati modenesi, Lanfranco e Tobia Rangoni; finché il Pontefice Bonifazio VIII, eletto arbitro nella questione, stabilì che
il castello di Montese ed i forti di Salto, S. Martino ecc. fossero nuovamente consegnati a Modena.
Nel principio del secolo XIV, essendo il Frignano caduto in balia delle fazioni, i bolognesi occuparono i paesi sulla destra dello Scoltenna, compreso S. Martino. La sottomissione poi di Modena al
marchese Obizzo d’Este, avvenuta nel 1336, ridiede tranquillità al Frignano, che riconobbe a proprio signore l’Estense, unitamente al territorio di Montese.
La nobile famiglia di Montecuccolo che aveva ottenuto l’investitura di Montese fino dall’anno 1212
dall’Imperatore Ottone IV, ne ebbe la conferma nel 1369 da Carlo IV, il quale assegnò, a titolo di
feudo, a Matteo Baldassare Corsino ed a Frignano da Montecuccolo le terre di Montese, Salto e
Maserno. Pochi anni dopo Lancilotto da Montecuccolo cedé al Comune di Bologna il castello e la
rocca di Montese e la villa di S. Martino, la quale nel 1388 ritornò sotto gli Estensi.
Nel 1390 nuova invasione dei bolognesi per opera di Lancilotto, e nel 1433 Nicolò d’Este, ottenuta
dall’imperatore Sigismondo l’investitura del Frignano, concesse a Gaspare da Montecuccolo, fra le
altre terre, Ranocchio, Salto e S. Martino, e più tardi (1455) Montese, Montespecchio e Malavolta.
Nell’anno 1510, Modena fu occupata da Francesco Maria della Rovere, per ordine del Pontefice
Giulio II, in seguito alla lega di Cambrai, da lui stretta contro i Veneziani. Il Frignano in quell’occasione si tenne fedele al duca Alfonso I d’Este, eccetto le comunità di Montese, Salto, Riva, Ranocchio, S. Martino e Montespecchio, formanti la podesteria di Montese, le quali temendo per un
motivo o per l’altro le parti belligeranti, e stanche pure del governo dei Montecuccoli, scossero il
giogo e formarono una repubblica coll’aiuto e col consiglio dei più facoltosi cittadini. E’ questa certo una delle pagine più belle della storia di San Martino e del territorio di Montese tutto, ma è anche
ad un tempo ricca di severi ammaestramenti.
Proclamata l’indipendenza, fu stabilito che ogni Comune fosse diretto da un Sindaco da nominarsi
dal popolo, il qual Sindaco, unitamente a due Consoli, maneggiasse la pubblica azienda. Quanto
all’ordinamento ed amministrazione della giustizia, fu deliberato di applicare alla piccola repubblica
il disposto degli statuti del Frignano, e inoltre si ordinò che prima di istituire azioni civili, la parti
dovessero ricorrere ai propri parroci e notai per l’accomodamento. La repubblica si mantenne ben
ordinata fino al 1513, anno in cui cominciarono le discordie per l’elezione del nuovo Sindaco in alcuni Comuni, e perché tale ufficio da taluni si voleva fosse conferito a vita. Nel 1514 il governo si
cambiò in vera anarchia; le fazioni s’armarono l’una contro l’altra, e fu sparso anche sangue.
L’anno seguente due dei pretendenti più accaniti nell’uscire da un loro congresso furono uccisi.
Questo fatto dié il crollo alla piccola repubblica, la quale ritornò sotto i Montecuccoli nel 1516. A
tale scopo una rappresentanza dei singoli Comuni si portò da Bersanino di Cesare da Montecuccoli,
offrendogli di governare la podesteria di Montese, a nome del duca Alfonso o di altro principe, sotto
diversi patti e condizioni, fra le quali fu messa la diminuzione delle imposte, ridotte da 40 soldi per
fumante, come erano prima della sommossa, a soldi 25 per il mantenimento del pretore e castellani.
Alla morte di Bersanino la podesteria di Montese fu divisa fra i suoi successori in modo che S. Martino con Montese, Salto, Ranocchio e Montespecchio, passarono sotto il governo di Cesare e Girolamo Montecuccoli.
Le lotte sorte dopo il 1530 fra l’antica e potente famiglia dei Tanari di Gaggio Montano bolognese,
e quella dei Montecuccoli, travagliarono e danneggiarono moltissimo i luoghi prossimi al bolognese, non escluso quindi Montese e S. Martino; finché il 24 febbraio 1538 Andrea Montecuccoli, aiutato anche da quelli di Salto, debellò definitivamente gli avversari. Montese, e con esso S. Martino,
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fu ancora turbato da banditi e malviventi dello Stato ponteficio sul principio della seconda metà del
secolo XVI, e alle funeste e vandaliche irruzioni non fu posto un freno se non in seguito alle rimostranze degli Estensi alla corte di Roma. Fatale fu pure la mossa d’armi nel 1613 per il passaggio
dell’esercito toscano, che andava in aiuto di Ferdinando Gonzaga contro Carlo Emanuele I di Savoja, inquantoché quelle milizie entrarono nella giurisdizione di Montese con immensa rovina di que’
terrazzani, che furono derubati, insultati, saccheggiati, ed ebbero persino incendiate le abitazioni.
Del resto non mancarono di frequente contese anche coi feudatari per i tributi che gravavano sul
popolo. Nell’anno seguente infatti si venne ad una transazione fra gli uomini di Salto ed i conti Girolamo e Francesco Montecuccoli, colla quale le varie prestazioni erano ridotte ad un tributo pecuniario di 200 soldi d’estimo; ma riuscendo forse troppo gravoso tale carico, il Comune supplicò di lì
a non molto per esserne liberato, ed accettò le condizioni poste dalla contessa Leonora Ariosti, vedova del conte Girolamo e tutrice dei figli Sigismondo, Guidinello, Alfonso, patti approvati dal duca nel 1626.
Niente altro di notevole politicamente troviamo nella storia di S. Martino, durante il secolo XVII, se
togli un movimento di truppe nel 1643 in occasione della Guerra di Castro, la protesta dei terrazzani
di Montese (1669) per non ritornare sotto il colonnello Ferrante Montecuccoli che accusavano
d’inabilità a governare, e il pagamento di 20 scudi di Modena che si assunse di fare S. Martino in
occasione della nascita del primogenito del duca Francesco III (1698).
Il feudo di Montese con S. Martino, anzi che a Ferrante, fu investito nel 1670 a Giovanni Francesco
Montecuccoli. Importantissima è invece la predicazione fatta da Paolo Segneri nel 1672, assieme al
padre Giovan Pietro Pinamonti, in occasione di Missioni nella podesteria di Montese, dal 27 maggio al 4 giugno, poiché ad ascoltare il celebre oratore intervenne non solo in massa la popolazione
del contado, ma altresì accorsero le persone più colte della pianura modenese.
Sulla fine del secolo XVII il feudo di Montese passò direttamente sotto l’Estense, e dal duca Rinaldo I fu dato nel 1720 al conte Benedetto Selvatico, a cui fu ritolto due anni dopo per scoperta infedeltà.
Francesco III poi, nel 1756, ne investì il marchese Cornelio Malaspina, morto il quale, il feudo passò a sua figlia marchesa Barbara, moglie del marchese della Rosa. Della signoria feudale – si legge
sull’Appennino Modenese – esercitata per lungo corso di anni dalla famiglia Montecuccoli in S.
Martino, rimane un benefico ricordo in un legato perpetuo fatto dal conte Don Ercole nel 1617 per il
mantenimento di una scuola semigratuita, la quale scuola anzi si rese subito floridissima, come pure
rimangono testimonianze in avanzi del palazzo ove quella nobile famiglia soleva recarsi a villeggiare.
Nel resto del secolo XVIII e nella prima metà del XIX, S. Martino e Montese seguirono le vicende
politiche generali del Frignano; ebbero i loro apostoli e martiri dell’indipendenza italiana, finché
nell’agosto del 1859, per mezzo del proprio deputato avv. Carlo Lucchi, dichiararono la volontà di
essere annessi col Frignano al regno d’Italia.
A rendere di tempo in tempo tristi le condizioni di S. Martino e Montese, oltre le scorrerie ed il funesto movimento di armi ed armati, dovuto sopratutto, come abbiamo visto, alla vicinanza del confine bolognese, non mancarono le naturali calamità. Nel 1025 grande penuria di viveri: nel 1159
continua la siccità per 11 mesi: nel 1399 fierissimo terremoto; forte carestia per la molta neve caduta nel 1443.
Poco danno invece arrecò la peste che infierì nel bolognese durante gli anni 1447-48. Ma crudelissima fu la carestia nel 1590-91, tanto che ridusse taluno a cibarsi persino di acini d’uve e di radici di
erbe e di piante. Nel 1630, mentre la storia dice che la peste uccise due terzi della popolazione, la
parrocchia di S. Martino non ebbe da lamentare alcuna vittima, come si tratterà in altro articolo, per
intercessione di Maria SS. della Neve. Così anche nel 1770 altro morbo infestò queste contrade, ma
anche in quest’epoca la nostra parrocchia fu illesa da detto morbo micidiale, sempre per grazia ricevuta dalla protezione della sacra Immagine. Le carestie infine degli anni 1846-48 prepararono il terreno all’invasione colerica del 1855, ed il territorio di Montese fu appunto uno dei luoghi più degli
altri attaccati dal male: la nostra parrocchia però ebbe da notare solo due vittime.
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Queste in riassunto, le vicende principali a traverso i secoli del paese di S. Martino, che si onora in
quest’anno 1908 celebrando feste tre volte centenarie da che è posta in sua chiesa un’immagine della Madonna della Neve, copia di quella venerata in Santa Maria Maggiore di Roma.
La chiesa di S. Martino di Salto (Venceslao Santi)
Come di molte altre della montagna modenese, così anche della chiesa di S. Martino di Salto sono
scarse ed oscure l’origine e le prime vicende. Per altro è certo che anticamente essa apparteneva al
vescovo di Modena Ingone, il quale, nel 1016, donò al Monastero di S. Pietro della medesima città,
oltre a parecchie altre, Ecclesiam unam quæ est fundata in loco Psaltu consacrata in honore S.
Martini; e tal donazione fu confermata dal vescovo Varino nel 1025, nel 1186 dal papa Urbano IV,
e nel 1196 da Celestino III. Onde è a credere che alla chiesa di S. Martino alludesse il diploma di
Federico I, là dove, confermando al Monastero di S. Pietro i suoi possedimenti, indica ancor quelli
in plebe Salti.
Anticamente questa chiesa era beneficio semplice, come rilevasi dalla lunga ed aspra controversia
che nei primi anni del secolo XVII si agitò fra il rettore di essa D. Gian Maria Variselli da
Sant’Almaso, che appunto voleva restasse benefizio semplice, e gli uomini di S. Martino ed il conte
Orazio e fratelli Montecuccoli, i quali pretendevano farla chiesa curata.
Questi sporsero vivissime lagnanze al vescovo di Modena, dolendosi sopratutto che il Variselli si
mostrasse negligente nella cura delle anime e non attendesse “ad altro che a cumulare per sé stesso”, ed ottennero che al Variselli fosse vietata l’amministrazione dei sacramenti e che a loro venisse
accordato un cappellano. A queste imputazioni si aggiunse l’addebito di non aver voluto tenere il
Santissimo nella chiesa e di essersi opposto all’ammissione del predicatore ambulante.
Per queste accuse il Variselli, quantunque spalleggiato dall’abate di S. Pietro, venne nel 1605 rinchiuso e trattenuto prigione nelle carceri del vescovato di Modena; ma dopo poco tempo fu rimesso
in libertà e in possesso della sua chiesa coll’assoluzione dall’obbligo di mantenervi il Santissimo e
di accettarvi il predicatore ambulante.
Ciò nondimeno i Montecuccoli, e specialmente il conte Ercole, grande benefattore di questa chiesa,
non desistettero dal proposito di farla erigere in cura; ed i loro sforzi, che raggiunsero il maggior
grado di intensità nel 1617, furono coronati da esito felice poco dopo la morte del Variselli avvenuta nel 1622. Laonde solo da quell’epoca cominciarono ad amministrarsi in questa chiesa i Sacramenti – tranne il battesimo – e a darsi ivi sepoltura ai morti che prima venivano trasportati a Salto.
Il diritto di collazione, o meglio di presentazione, spettava all’abate di S. Pietro, il quale nel 1454 vi
destinò a reggerla il P. D. Giacomo dal Friule, nel 1475 un D. Giovanni dal Salto, cui fu dato per
successore D. Lorenzo da Bagnolo, poscia D. Cornelio da Lira. Nel 1506 questa chiesa fu conferita
a Don Antonio di Daniele Lotti di Salto, poi a D. Filippo fu Pellegrino da S. Martino, indi nel 1529
a Don Andrea del quondam Braccio del Salto, nel 1542 a Giovan Battista Mazzuccha chierico di
Modena e nel 1605 a D. Gian Maria Variselli. Dopo il rettorato di quest’ultimo, ad istanza dei conti
Orazio e Francesco Montecuccoli, la cura della chiesa di S. Martino fu affidata nel 1622 a Don Natale Nardi di Giuliano da Ranocchio, e poi successivamente, cominciando dal 1650, ai Padri D.
Giacomo Mazzi, D. Costanzo Corti, professo di S. Pietro, e D. Bartolomeo Magnani.
Monaci erano stati anche parecchi dei rettori sopra nominati; ma dopo il Corti, in virtù della bolla di
Innocenzo X colla quale si levavano i monaci dalle cure, la chiesa di S. Martino venne data ad ecclesiastici irregolari. Così nel 1656 era rettore D. Filippo Ricci, prete di Ranocchio, e nel 1661 D.
Gaspare Ricci nipote del precedente, il quale morì nonagenario nel 1716. Da quest’anno fino al
1770 fu parroco di S. Martino D. Gian Giacomo Bertolucci, sacerdote dello stesso luogo, dal 1770
al 1799 il Dott. D. Carlo Bertolucci, dal 1799 al 1849 D. Luigi Zaccaria, a cui successero nel 1849
D. Gian Battista Serafini, nel 1859 D. Francesco Piccinelli, nel 1885 D. Giacomo Monzali e nel
1897 D. Secondo Lodi, attuale rettore.
L’entrata annua di questa chiesa, il cui patrimonio era anticamente costituito da beni stabili accennati anche in documenti dei secoli XII e XIII, nel 1617 era calcolata in circa 75 ducatoni, ed i rettori
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pro tempore erano obbligati somministrare ogni anno al monastero di S. Pietro uno staro di castagne secche in riconoscimento del giuspatronato.
I Montecuccoli, che per molti anni ebbero la giurisdizione feudale di S. Martino e di molti altri luoghi circonvicini, furono larghi di beneficenza e di protezione a questa chiesa. Il conte D. Ercole
Montecuccoli in particolare, nel dicembre del 1615, vi fece costrurre a nuovo e dotò la cappella
maggiore nella quale venne apposta la seguente iscrizione: Ad honorem SS. Corporis Christi, Beatique Martini protectoris sacellum hoc Hercules Montecucculus erexit, agroque locupletavit cum onere, ut tabellæ Ioannis de Gellonis civis et notarii bononiensis decantant. Vos igitur rectores qui
sacellum hoc absque nulla impensa vestra ornatum invenietis, vosque adolescentes quibus perpetuæ eruditionis utilitas concessa est, memores estote orare pro anima benevoli benefactoris vestri.
Nella visita pastorale del 1609 è notato che la chiesa curata di S. Martino aveva tre altari; e in quella
del 1809 è detto che “l’Ancona dell’altar maggiore, esposta nel coro e rappresentante il titolare, si
giudica di buona mano”, ma si lamenta che “avesse assai sofferto per l’umidità”; e si aggiunge che
al suddetto altare “trovasi eretto un semplice beneficio, sotto il titolo di S. Leonardo, denominato la
Baldiola, perché in origine esisteva un oratorio omonimo della parocchia di Semelano, da dove era
stato trasferito nel 1750.
Nel 1760 il rettore D. Gian Giacomo Bertolucci, facendo considerare al vescovo di Modena come
entro i confini della parocchia di S. Martino vi fossero le case dette di Mucciano, di Francescone, di
Chiavacci, del Bosco e di Tacagnino, i cui abitanti, per essere lontani dalla parocchiale e da essa separati da torrenti non potevano, senza grave pericolo, massime d’inverno, usufruire, se infermi, dei
sacramenti, ottenne l’aggregazione della prima a Montespecchio e delle altre a Maserno, tranne che
per la comunione pasquale e pei matrimoni i quali dovevano continuarsi a celebrare nella parocchiale di S. Martino.
Questa parocchia si vanta, e ben a ragione, di aver dato i natali a un padre Bonaventura Biolchini,
morto missionario in Etiopia il 7 gennaio del 1677, e ad un abate Giuseppe Mazzetti geologo ed echinologo di chiara fama, mancato improvvisamente ai vivi il 21 dicembre del 1896.
Beata Vergine della Neve (don Augusto Banorri)
I – Dono della Sacra Imagine
Non si trovano memorie né scritte né tradizionali che attestino sotto qual titolo la Vergine santa fosse venerata in S. Martino, quando la cresciuta popolazione di questo territorio sentì il bisogno di una
chiesa propria, staccandosi in tal modo da Salto.
E’ certo però che fino dal secolo XV, vi fu in grande venerazione la B. V. del Rosario. Difatti sul
principio del seguente secolo vi troviamo già la Confraternita della Madonna del Rosario, benché
detta Confraternita non fosse poi canonicamente eretta che parecchio tempo dopo, cioè nel 1680.
Ciononostante nel 1608 il popolo di S. Martino accettò con grande giubilo il dono di un quadro rappresentante la B. V. della Neve, imagine che fu poi sempre tenuta in grande venerazione.
Ecco pertanto come avvenne il dono della predetta imagine.
Una delle famiglie più antiche e forse la più distinta di S: Martino nel secolo XVI era quella de Orlandis. Discendente di questa famiglia fu un certo Giovanni, il quale – non si sa per quali ragioni –
nel 1608 aveva preso stabile dimora nella città di Roma. Mosso dall’amore che portava ai monti fra
i quali era nato e che conservavano i dolci ricordi della sua fanciullezza, e molto più dalla divozione
alla gran Madre di Dio, pensò di regalare alla chiesuola della sua terra natale un’Imagine della B. V.
della Neve, e all’uopo ordinò una copia di quella che si venera a Roma, in S. Maria Maggiore.
Il quadro dal lato artistico, non presenta certo un grande interessamento, benché mostri una mano
non del tutto ignara del buon gusto che ancora governava le belle arti. Certo è opera di uno dei molti
copiatori, che anche allora in Roma riproducevano a buon prezzo le opere dei grandi maestri.
Se si considera quanto viva fosse la fede e quanto profondamente radicato nel cuore delle popolazioni di montagna, in quell’epoca, il sentimento religioso, è facile imaginare l’entusiasmo del popolo di S. Martino la prima volta che vide esposta nella sua chiesetta la sacra Imagine, a cui dava
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un’aureola, dirò così, di maggiore santità il luogo di provenienza, Roma, che esercita sempre sulla
mente e sul cuore un fascino misterioso e sacro. Fu quello certo per loro un avvenimento di singolare importanza, avvenimento che dovette avere una ripercussione benefica anche nella loro condotta
morale, poiché è certo che l’uomo di fronte a un fatto che desti il suo entusiasmo religioso sente il
bisogno di diventare migliore.
E non solo quell’avvenimento avrà riempito di ammirazione e di gioia i buoni abitanti di S. Martino, ma anche le popolazioni limitrofe, poiché, date le condizioni locali, la gente sente vivo il bisogno di radunarsi, a quando a quando, insieme per scambiarsi le idee e anche per un po’ di sollievo, e
questo avviene nel giorno di festa, e specialmente in occasione di sagra. Se ciò accade regolarmente
ai giorni nostri, molto più si doveva verificare allora che il sentimento religioso era più vivo, e più
difficile trovare occasioni di distrazione.
Ritornando colla mente addietro fino a quell’anno 1608, mi pare di udire per l’aria un lieto suono di
campane, mentre dalle case esce la gente vestita a festa formando lungo il cammino come una devote processione. E nella chiesetta illuminata da cento lampade i cuori erompono in un canto di amore
a Maria!
II – Legati
Giovanni de Orlandis non solo regalò alla chiesa della sua terra natale l’Imagine della B. V. della
Neve, ma pensò ancora ad una dote per il decoro della cappella in cui si sarebbe venerato il quadro
da lui regalato. La qual dote consisteva in 255 lire modenesi, somma abbastanza considerevole se si
considera il valore della moneta a quell’epoca.
Il denaro fu versato nelle mani del M. R. D. Ercole dell’illustre famiglia dei Montecuccoli, allora
signori della terra o comunità di S. Martino, e gli fu concesso in pari tempo la facoltà di investire
detta somma in beni stabili.
In forza di questa facoltà, D. Ercole Montecuccoli comperò un castagneto posto in quel di Montese.
La rendita doveva essere consegnata al Massaro del Comune di S. Martino, ovvero al Priore della
Compagnia del Corpus Domini o del Rosario, il quale poi la doveva impiegare, come già si accennò, per il decoro della Cappella dedicata alla B. V. della Neve e anche della chiesa, specialmente
per l’occorrente in fatto di olio e cera. Ciò però il Massaro o Priore doveva fare col consenso del
“Signore temporale che dominerà loro” e del Rettore pro tempore.
Colla detta entrata si doveva inoltre pensare, in perpetuo, alla celebrazione di quattro messe all’anno
per l’anima del fondatore del legato e de’ suoi defunti. Si faceva poi carico agli amministratori di
conservare in buone condizioni il castagneto comperato, e di non alienarlo, sotto pena di un doppio
valore, se fosse manomesso per loro colpa.
Purtroppo anche riguardo a questo legato si verificò il mortalia facta peribunt, poiché coll’andare
del tempo andò disperso, ed ora pare faccia parte del benefizio parrochiale di Montese.
Fu forse fatta una permuta?
Don Francesco Piccinelli, che per più di venti anni resse con zelo la Parrocchia di S. Martino, fra i
legati della chiesa ne notò uno di cinque messe a carico del parroco pro tempore per il godimento di
un fondo o, meglio, pezza di terra campiva e vineata detta le Vignole, e scrisse che tale legato era
stato fondato da Giovanni Orlandi, quegli che donò il quadro della B. V. della Neve. A mio parere,
qui si tratta di un legato ben distinto dal primo. Difatti nel primo si parla di quattro messe annue, in
questo di cinque. Inoltre il prelodato D. F. Piccinelli nel medesimo elenco pose una nota nella quale
dice che il legato delle Vignole a carico del parroco pro tempore pare fosse fondato da un certo Filippo Orlandi.
Comunque, fino dal 1728 il legato della B. V. della Neve fondato da Giovanni de Orlandis restò insoluto, e ciò si deve attribuire, nell’ipotesi più benigna, alla negligenza degli amministratori.
Un altro legato, inerente all’altare della B. V. della Neve in S. Martino, fu fondato nel 1729 da D.
Giuliano Balestri di Salto, coll’obbligo all’investito di celebrare quindici messe, per l’anima del
fondatore, cioè una de requiem ogni mese e tre il 5 agosto, festa della B. V. della Neve.
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Ora di questo benefizio semplice è investito il M. R. D. Giulio Balestri, Rettore di Saliceto Buzzalino, e le predette quindici messe, con rescritto arcivescovile 18 luglio 1872, furono ridotte al numero
di dieci, e ciò fino a tanto che il benefizio sia reintegrato della perdita subita.
III – Il Voto
Correva l’anno 1630 e molte regioni d’Italia erano desolate dalla peste bubbonica, e non fu risparmiato lo stesso Frignano. Il popolo di S. Martino dietro la esortazione del parroco e del conte Orazio Montecuccoli, ricorse alla intercessione della B. V. della Neve, e nessuno fu colpito dal terribile
flagello. Perciò, grati a Maria per un sì speciale benefizio, il Massaro, i Consiglieri e tutti gli altri
uomini del Comune di S. Martino, il 15 agosto di detto anno si radunarono in Chiesa e alla presenza
del loro signore Orazio Montecuccoli fecero voto di rifare la chiesa insieme alla cappella della Madonna della Neve, promettendo ancora di avere in avvenire come festivo il 5 agosto facendo cantare
una messa e offrendo sei candelotti. Le quali promesse o per mano propria o di altra persona furono
sottoscritte da tutti i presenti.
Col tempo quel primo fervore andò diminuendo, e il voto cadde quasi in dimenticanza. Ma venne
l’epidemia del 1770 apportatrice di desolazione e di morte. Allora i Sanmartinesi si ricordarono del
voto dei loro antenati. Con grande soddisfazione di tutti venne da Monsignor Ettore Molza, Vescovo di Modena l’approvazione del voto fatto nel 1630, e per la seconda volta il popolo di S. Martino
non ebbe a provare i funesti effetti del micidiale flagello.
Venne il colera morbus del 1855, e due sole persone di S. Martino restarono vittime del crudele malore, benché molte ne morissero nelle parocchie limitrofe, e a Salto in modo speciale. Era allora
Rettore di S. Martino D. Battista Serafini, il quale si approfittò della circostanza per richiamare il
suo popolo all’osservanza delle promesse fatte a Maria dai loro avi. Il popolo non fu sordo alla voce
del proprio parroco, e così fu riprestinata la festa del 5 agosto, la quale si celebra anche presentemente ogni anno con solennità e divozione.
E’ tradizione concorde e costante fra gli abitanti di S. Martino che la loro parrocchia sia sempre stata preservata dal flagello della grandine mercé la protezione della Madonna della Neve. Solo il 10
agosto 1905 si ebbe una grandinata, ma anche allora il danno non fu molto, perché il frumento era
già stato raccolto; e gli altri prodotti non furono danneggiati totalmente.
Che ancor viva poi sia nel popolo di S. Martino la divozione alla B. V. della Neve, lo dice chiaramente lo slancio, con cui esso accettò la nobile proposta del suo zelante Rettore di celebrare con festa speciale la riccorrenza del terzo centenario della sua traslazione da Roma, e l’impegno che ognuno ha mostrato per la buona riuscita dell’indimenticabile solennità.
I Montecuccoli e S. Martino (don Enrico Zaccaria)
Le vicende e la storia della chiesa e parrocchia di S. Martino, massime nel tempo a cui si riferisce il
fatto oggi festeggiato, sono sì connesse coi Montecuccoli, che è pregio dell’opera dare qui alcuni
cenni su questa celebre famiglia.
Sino a tutto il secolo XV non pare che i Montecuccoli risiedessero mai stabilmente di qua dal Panaro, benché vi avessero, specie a S. Martino ed a Ranocchio, molti possessi e beni allodiali. Ma venuto a morte nel 1505 il famoso conte Cesare il vecchio, i tre principali suoi feudi, Montecuccolo,
Semese e Montese, andarono spartiti fra i tre figli Frignano, Lodovico e Baldassarre o Bersanino; il
quale ultimo s’ebbe Montese, comprendente l’attuale territorio di questo comune salvo i paesi oltre
Rivella cioè Semelano e Montalto. Però Bersanino, occupato del continuo di guerre e maneggi in
servigio del duca di Ferrara, non sembra che dimorasse fuorché raramente a Montese2, e morì a Ferrara nel 1538 lasciando fama di valente capitano e uomo politico, come attesta l’iscrizione apposta
sul suo sepolcro nella chiesa di S. Domenico riportata dal Guarini.
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A S. Martino v’è una casa antica detta Cà di Bersanino. Un tal nome è forse in relazione con quello del Montecuccoli?
Se sì, vorrebbe dire che Bersanino risiedé qualche poco anche a S. Martino.
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Morto lui, i suoi quattro figli superstiti3 Cesare, Girolamo, Alfonso e Camillo, si divisero il feudo di
Montese: a Cesare toccarono Ranocchio e S. Martino, a Girolamo Montese e Salto, a Camillo Monteforte e Malavolta, ad Alfonso Riva e Montespecchio. Ora lasciando da parte gli altri, seguiremo il
solo Cesare, il cui ramo fu quello che c’interessa e il solo dei Montecuccoli che sopravvisse, escluso
quello degli Erri, staccatisi dal ramo maestro sin dal secolo XIII. Di questo Cesare ci sarebbe da dire a lungo; ma per la tirannia dello spazio ci restringeremo a ricordare ch’egli risiedette da prima a
Montese ed a Gajato, che in sua giovinezza non si mostrò indegno del padre e della famiglia; e che
poi si stabilì a S. Martino, dove forse fu egli che costruì il Palazzo, splendida residenza tuttora esistente ma ruinosa e prossima alla totale scomparsa: talvolta dimorava anche alla Rocca di Ranocchio di cui non ci sono più che alcuni ruderi. Ma questo feudatario giunto ai 60 anni si pervertì in
guisa che l’Inquisizione di Modena gli formò contro un processo per opinioni epicuree e luterane e
per vita da libertino; e certo, pure ammettendo che negli atti di quel processo vi sia della esagerazione, ci resta però tanto da poter asserire ch’egli invecchiando era diventato un Don Giovanni e un
Don Rodrigo.
E invero egli giunse a cacciare la moglie Anna da Corte che visse da indi in poi a Ferrara, e il figlio
Francesco dimorò sempre con lei evitando di stare col padre. Bello poi che quando il vecchio Cesare dava di questi esempi, D. Ercole figlio di Francesco e nipote quindi di Cesare era già arciprete a
Maserno! Nell’archivio di S. Martino all’anno 1566 troviamo che D. Mazzucco, rettore di quella
chiesa, concesse in livello al conte Cesare una pezza di terra pel canone d’uno stajo di castagne.
Questi morì nel 1574, e fu sepolto nella chiesa di S. Martino senza che la famiglia si curasse di porre il più piccolo ricordo alla sua memoria che ad essa tornava forse disgustosa. Forse allora fu costrutto il sepolcro di famiglia sul cui coperchio leggonsi queste semplici parole ormai quasi logore:
Hoc. sep. Montc.
Ben diverso da lui si mostrò il conte Francesco che da Ferrara verso il 1580 passò e si fissò a Ranocchio, schivando la residenza di S. Martino, probabilmente perché divenutagli odiosa a causa del
padre. Nel 1588 si fece quivi un sepolcro di famiglia ricordato da una lapide che sussiste tuttavia
con iscrizione non del tutto decifrabile. Con testamento del 1592 dispose di parecchi legati a favore
della chiesa di Ranocchio e morì nel 1596. Nel presbitero di Ranocchio v’è una lapide un po’ corrosa ma ancor leggibile postagli dai suoi tre figli Ercole, Enea ed Orazio. Di questi, Enea, valente generale in Garfagnana, a Candia e in Fiandra, ottenne il feudo di Semese; e allora cominciò la fortuna
di questo ramo dei Montecuccoli che nel secolo seguente divenne il più ricco e potente di tutti: morì
a Ferrara nel 1614.
Orazio ebbe S. Martino, Ranocchio e Castellino delle Formiche. Ercole è il prete stato già parroco a
Maserno ed ora ridottosi nelle sue case a S. Martino. I conti D. Ercole ed Orazio furono fra i Montecuccoli i due più segnalati benefattori di S. Martino ove risiedettero fino alla morte. D. Ercole accrebbe il benefizio parrocchiale, come è accennato da una iscrizione apposta in una parete della
chiesa; inoltre fondò con intento cristiano e civile quella scuola di S. Martino che dal 1615 durò con
varia fortuna sino al 1885. Morì nel 1619, ma non si sa se fosse sepolto a San Martino od a Ranocchio. Il conte Orazio arricchì di reliquie la chiesa di S. Martino, cui nel 1623 provvide anche della
bella ancona del titolare, contribuì alla campana della scuola insieme col fratello D. Ercole, come
nel 1617 avea fusa a sue spese la campana di Ranocchio esistita fino ai nostri giorni. In fine nel
1629 eresse a sue spese un modesto campanile. Morì nel 1634 e fu sepolto a Ranocchio nella tomba
di famiglia, come risulta dai registri di San Martino. Non avendo egli lasciato che una figlia maritata a un Orsi di Bologna, il feudo di Ranocchio e S. Martino andò devoluto a Francesco, marchese di
Semese, e poi di Guiglia figlio del fratello Enea. Orazio fu l’ultimo Montecuccoli che risiedesse
abitualmente quassù. Fra il 1650 e il 1660 vi capitò e vi dimorò ad intervalli anche il marchese Giustiniano, figlio di Francesco, che poi vi morì nel 1663 a 35 anni, e fu sepolto anch’esso a S. Marti3
Tra i premorti, degno di speciale menzione è l’infelice conte Sebastiano che, stato prima investito del beneficio di Maserno, andato poi in Francia e stoltamente accusato di avere per istigazione di Carlo V avvelenato il Delfino figlio di
Francesco I, fu sottoposto ad orrenda tortura ed ucciso nel 1536. Questo Montecuccoli, per l’errore giudiziario di cui fu
vittima, è stato commiserato dagli storici: fra gli altri dal Voltaire e dal Lafarina.
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no. Da indi in poi fino al 1750 i Montecuccoli mantenevano qui un fattore che amministrava i loro
beni allodiali di S. Martino e di Ranocchio; finché l’anno 1750 il marchese Giuseppe dié il Palazzo
e tutti gli allodiali di S. Martino e di Ranocchio in livello all’alfiere G. B. Guidotti di Montalto i cui
discendenti vi stettero per 130 anni.
Tuttavia i Montecuccoli-Laderchi4 non dimenticarono totalmente S. Martino; e, fra l’altre cose, nel
1855 il marchese Raimondo, morto nel 1873, ultimo del ramo primogenito, fece fare del suo l’attuale campana mezzana di S. Martino in sostituzione dell’antica, fusa nel 1617 da Ercole ed Orazio
in servizio della scuola. Ciò è ricordato dalla iscrizione annessavi che costituisce l’ultimo ricordo
dei Montecuccoli in S. Martino. I Montecuccoli-Laderchi di Vienna portano anche ora il titolo di
conti di Ranocchio, Cassellano e San Martino.
La scuola di S. Martino (Venceslao Santi)
La signoria feudale della celebre famiglia Montecuccoli sopra S. Martino di Salto è strettamente legata ad un istituto che per parecchi anni è stato fonte di molti vantaggi intellettuali e morali agli abitanti dei paesi che ora costituiscono il comune di Montese. L’istituto cui alludo è la scuola di S.
Martino.
D. Ercole Montecuccoli conte di S. Martino, che per alcuni anni fu arciprete di Maserno, dopo aver
con rogito del 6 febbraio 1616 ceduto al conte Francesco, suo nipote ex fratre, certi beni pel valore
di modenesi lire 21350 coll’obbligo al cessionario di erigere in S. Martino un edificio per le scuole,
“animadvertens quam paucos esse in partibus istis montanorum qui, licet perspicacissimi ingenii, in
literis proficiant, et quidem culpa et defectu principaliter præceptorum, qui literas cum doctrina christiana fideliter et debitis modis profiteantur et doceant”, con testamento rogato il 10 luglio del
1617 da Pietro Ricci fece obbligo al suddetto suo erede conte Francesco Montecuccoli “statim ac
missus fuerit in tenutam ac corporalem possessionem bonorum de Bontemptis, propriis sumptibus
construi, seu erigi domum unam, seu scholam, amplam et capacem, amplasve et capaces in curia
Sancti Martini in loco ab eodem Ill.° testatore designando ubi stare habeant, et continuo in perpetuum habitare duo præceptores probi viri moribus et virtutibus, ac integritate vitæ, sive modo laici
sint sive religiosi, et ibi coniunctim, sive divisim literas grammaticales docere quoscumque ad eos
accedentes, et, ut dicitur, insegnare di leggere, scrivere e far conti, et insieme anche se potrà, di sonare e di cantare, et dippiù leggere pubblicamente et palam la sacra scrittura con li principj di logica
et della scienza legale, et altre scienze ancora alli scolari che ce andaranno, nel modo infrascritto;
cioè a 10 a gratis et amore, 6 dei quali siano della terra di Ranocchio e 4 della terra di S. Martino, da
eleggersi, deputarsi et approbarsi per il padrone che sarà pro tempore di d.e terre; et agli altri per
mercede onesta et conveniente. Quorum præceptorum idoneitas, et sufficentia semper approbetur ab
infrascriptis eius heredibus ac successoribus ita et taliter ut si minus idonei reperiantur possint ab
eisdem repelli, reici, seu admoveri, et in eorum loca alii aptiores, seu idoniores subrogari. Et i quali
maestri dippiù abbino anche da insegnare pubblicamente due volte o una almeno la settimana e tutti
li giorni di festa la dottrina cristiana nella chiesa di S. Martino a ora competente a tutti quelli grandi
e piccoli, maschi e femmine, che v’andranno, et in specie alli fanciulli e fanciulle con quella fede,
integrità et amore che si conviene a buoni cristiani”.
Per volontà del testatore il conte Francesco doveva inoltre provvedere tutta la mobilia necessaria
all’arredamento della casa e della scuola ed egli e i suoi successori dare “cui quidem domui, scholisve, seu præceptoribus ante dictis, in perpetuum, quotannis” 200 ducatoni da lire 4 di moneta di
Bologna “ut deserviant eis pro alimentis, salariis, ac aliis sumptibus necessariis”.
Queste prime disposizioni fondamentali riguardanti la scuola di S. Martino furono nello stesso secolo XVII ampliate e notevolmente modificate. Il suddetto conte Ercole infatti con suo codicillo del 3
febbraio 1619 portò il numero degli scolari gratuiti da 18 a 28, stabilendo che 4 fossero di S. Martino, 4 di Ranocchio, 4 di Montespecchio, 4 di Riva, 4 di Monteforte, 4 di Montese e 4 di Salto, fa4
Questo ramo dei Montecuccoli prese il titolo di Laderchi nel 1618 quando Francesco marchese di Semese sposò Sigismonda figlia di G. B. Laderchi ministro del Duca.
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cendo alla predetta scuola un’altro assegnamento di scudi 2000. Morto nel 1619 D. Ercole, il suo
erede conte Francesco, che nel 1630 ebbe anche la giurisdizione di Guiglia col titolo marchionale,
ottenne da mons. Alessandro Rangoni vescovo di Modena di poter erogare parte delle suddette rendite a beneficio anche dei sudditi delle giurisdizioni di Guiglia e di Montetortore, ingiungendo al
proprio erede universale march. Gio. Battista Montecuccoli Laderchi di dare e lasciare alla scuola di
S. Martino tanti beni da costituire un frutto annuale di scudi 200 da lire 5,3 di Modena; il qual frutto
e i redditi lasciati dal co: Ercole alla scuola medesima dovevano essere erogati a stipendiare prima i
maestri di S. Martino, poi quelli di Guiglia e di Montetortore. Passati alcuni anni il marchese Francesco, tormentato nella coscienza dal dubbio che le innovazioni da lui introdotte nella scuola di S.
Martino col testamento del 1637 e la erezione da lui fatta in Guiglia di una casa d’istruzione e di
educazione avessero distratto parte delle rendite spettanti a quella scuola, con rogito del 2 aprile
1645 prescrisse allo stesso erede ed a tutti i suoi successori, nel feudo di S. Martino e nel godimento
degli allodiali, di supplire con questi a quanto potesse mancare alla scuola di S. Martino per insufficienza di redditi dei predetti beni.
Cionondimeno, cominciando dal secolo XVIII il patrimonio di questa scuola andò molto diminuendo; così che, non si sa in quale epoca, ma certo anche nel 1794, i maestri di essa, da due che erano
dapprincipio, furono ridotti ad uno solo stipendiato con modenesi lire 600. Quando poi, dopo la
morte del marchese Raimondo, avvenuta in Milano nel 1873, si determinò la rovina finanziaria della famiglia Montecuccoli-Laderchi, anche la scuola di S. Martino ne seguì la deplorevole sorte. Onde a stento il comune di Montese poté salvare una piccola parte della dote di essa, che ora è destinata a contribuire allo stipendio di una maestra elementare per le frazioni di S. Martino e di Salto.
Della fondazione di questa Scuola, un tempo floridissima, rimane memoria nella seguente iscrizione
che si legge nella cappella maggiore della chiesa di S. Martino a cornu evangelii:
D. O. M.
Hercules Montecuccolus comes et sacerdos prudenter et pie animadvertens iuvenes puerosque præceptoribus destitutos sæpissime a virtutibus ad vitia deflectere, testamento suo mandavit ut viri
doctrina et probitate conspicui perpetuo eligantur, qui honorificis beneficiis et præmiis a se propositis ac relictis ad iuvenes puerosque non solum ad humanas scientias sed ad Christi fidem spectantibus precipue erudiendos debeant accersiri, ut testantur tabellæ Joannis de Gellonis notarii bononiensis.
1615 Xris
Le Confraternite di S. Martino (Y. Z.)
Nell’archivio parrocchiale di S. Martino trovasi un documento il quale attesta l’erezione della confraternita del SS. Sacramento. E’ una petizione che gli uomini et comune di S. Martino presentarono
a monsignor Pellegrino Bertacchi vescovo di Modena affinché si degnasse far loro grazia di fondare
detta compagnia, attestando che per l’addietro, quantunque essa non fosse eretta legittimamente, pure era in vita: che nella loro chiesa si trovava quanto si ricerca all’uopo; e si dichiaravano prontissimi a provvedere quanto mancasse e fosse ordinato.
E’ credibile che la devozione al SS. Sacramento fosse molto viva in questa parrocchia, poiché il
conte D. Ercole Montecuccoli, già Arciprete di Maserno, con rogito del Dott. Pietro Ricci di Montecuccolo in data 10 luglio 1607, lasciò alla chiesa una possessione per decorare, ornare e mantenere convenientemente la cappella maggiore, ove si conserva il SS. Sacramento; del qual rogito, una
copia è inserita a capo d’un libro esistente in quest’archivio dove sono notate altresì le spese e le entrate di quella compagnia l’anno 1630.
Una lapide posta a cornu epistolæ del coro della chiesa ricorda tal donazione, e comincia con le parole: Ad honorem SS. Corporis Christi etc.. Non si sa per altro spiegare come detta lapide porti la
data del 1615 a rogito di Giovanni Gelloni notaro bolognese, mentre il sopradetto rogito Ricci segna
una data anteriore.
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Lo spirito religioso di cui erano animati gli abitanti di S. Martino in quell’epoca, fece sorgere l’accennata questione tra loro ed il rettore D. Variselli che voleva la chiesa rimanesse benefizio semplice come pel passato, mentre i parrocchiani, con a capo Orazio e fratelli Montecuccoli, pretendevano
farla curata. E fra tante querele sporte contro di lui al vescovo di Modena vi fu, come abbiamo veduto, quella ancora che il Variselli era avarissimo e non voleva conservare il Sacramento, per risparmiare i denari dell’olio della lampada.
In conclusione, gli abitanti di S. Martino volevano che la loro chiesa fosse parrocchia, per esercitarvi funzioni religiose con pompa e dar sfogo alla loro pietà e devozione verso il SS. Sacramento, ed a
tal uopo desideravano fosse fondata la detta confraternita.
In calce alla detta supplica si trova il rescritto col quale vien eretta e fondata la confraternita del SS.
Sacramento in questa chiesa con tutte le indulgenze e privilegi concessi dai Sommi Pontefici, in data 4 novembre 1623.
La nobile famiglia Montecuccoli fondò ancora un altro legato nel 1653 coll’obbligo di somministrare un mezzo peso d’olio d’olivo per far ardere la lampada al SS. Sacramento.
Tal legato non essendo stato assicurato da nessuna ipoteca, resta ora un voto che i possessori odierni
delle terre appartenenti un giorno ai Montecuccoli dovrebbero soddisfare.
Di alcune feste e funzioni speciali (**)
Da tempo immemorabile si celebrava solennemente in S. Martino la festa del Corpus-Domini. Alle
ore 11 la messa ultima era cantata in terzo, poscia si faceva la processione coll’intervento dei confratelli del SS. Sacramento e del clero.
Grande è sempre stato il concorso dei fedeli a tale manifestazione di fede, come risulta dalla tradizione. Era costume seguire ogni tre anni un itinerario diverso. Un anno la processione s’avviava al
palazzo Montecuccoli, nella cui corte, dove veniva eretto un altarino, s’impartiva la benedizione, e
poscia tornava alla chiesa, terminando la funzione con una seconda benedizione al popolo. Il susseguente anno, la processione si fermava nella corte della famiglia Bertolucci, e l’altro in quello della
scuola, e così rotativamente tenendo sempre nella funzione l’ordine medesimo.
E’ da notarsi che ogni qualvolta la processione si fermava nella suddetta corte per impartirvi la benedizione col SS., il proprietario invitava il clero, i campanari e gli inservienti a pranzo in casa sua;
i quali così andavano il primo anno dai Montecuccoli, il secondo dai Bertolucci, il terzo dal maestro
di scuola.
In un documento di questa chiesa in data 1793 è notato che il giovedì grasso si esponeva il SS. Sacramento e per tutto il giorno veniva adorato dai fedeli, e dopo i santi vespri s’impartiva la benedizione ai fedeli col medesimo.
Ma essendo sorta in parrocchia la costumanza di tripudiare nei tre ultimi giorni di carnevale con
maschere, balli e divertimenti chiassosi, pensò in buona fede l’umile e santo rettore D. Francesco
Piccinelli di non far festa il giovedì grasso, ma bensì di celebrare un triduo nei tre ultimi giorni di
carnevale, con esposizione del SS. predica e benedizione, giudicando che il popolo impegnato così
in opere di pietà, si fosse astenuto dai divertimenti profani. Ma fu deluso nella sua aspettativa: i bagordi, invece di cessare, crescevano, specialmente nell’ultimo giorno, per il maggior concorso di
popolo alle funzioni; ed i divertimenti si protraevano sino verso mezzo giorno del dì delle Ceneri.
Ora però, durante il detto triduo, non si è disturbati; i giovani si divertono, ma onestamente e lecitamente senza profanare i giorni dedicati ad onorare e venerare il SS. Sacramento.
Nello stesso archivio esiste una bolla in carta pecora, in data 11 aprile 1680, la quale manifesta
l’erezione canonica della confraternita del SS. Rosario nella chiesa di S. Martino di Salto. In detta
bolla si concede al parroco pro tempore il privilegio di inscrivervi confratelli e consorelle, e di benedire corone e medaglie. Allora la chiesa di S. Martino era provvista d’una immagine rappresentante la Madonna del Rosario; ma essendovi l’obbligo, che intorno ad essa si dovessero far dipingere i 15 misteri mancanti, il rettore Dott. D. Carlo Bertolucci, dopo supplica inviata al cardinale maestro dell’ordine domenicano, ne ottenne la dispensa in data 2 novembre 1776.
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Sotto il parrocchiato di D. Battista Serafini fecesi acquisto d’una statua della Madonna del Rosario,
che resta chiusa in una nicchia in sagrestia, mediante vetro e tenda.
La votiva festa solenne si celebra con pompa la prima domenica d’ottobre, e viene appellata la sagra
della parrocchia, concorrendovi moltissimo popolo dalle ville vicine.
I parrocchiani, devoti verso la SS. Vergine, cercano di far riuscire detta funzione molto decorosa,
coll’intervento di banda musicale alla processione, collo sparo di mortaletti e col suono del tradizionale tamburo.
Erezione del sacro fonte (**)
Nel libro primo dei battezzati di questa parrocchiale, sotto la data 22 novembre 1765, è segnata la
prima partita di battesimo amministrato in questa chiesa. Niuna meraviglia che sia in data così recente: per l’addietro, non eravi eretto il sacro fonte, ed i parrocchiani erano costretti per far battezzare i loro figliuoli rivolgersi alla parrocchiale di Salto o ad altra vicina.
Essendo necessaria tale erezione, il rettore Gian Giacomo Bertolucci fece preghiera a Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Conte Giuseppe Maria Fogliani Vescovo di Modena per ottenere la facoltà di poter far erigere nella sua chiesa il detto sacro fonte.
E notisi che trovandosi questa chiesa in allora immediatamente soggetta al monastero di S. Pietro di
Modena, fu d’uopo ottenerne il permesso opportuno dal Padre Adeodato Fossa.
In data 2 ottobre 1765 il supplicante D. Gian Giacomo Bertolucci rettore di S. Martino di Salto fu
benignamente graziato della suaccennata facoltà come dal rescritto che segue: “Attesa la relazione
del Vic. For. di Maserno Arciprete di Salto, da cui risulta che la Chiesa Parrocchiale di S. Martino
di Salto è sempre stata in piena libertà di far battezzare li suoi parrocchiani ora in una, ed or in altra
delle Par.li circonvicine; concediamo perciò al Supp.lte di poter eriggere nella di lui Chiesa il Fonte
Battesimale ed in essa amministrare il S.to Battesimo a’ suoi parrocchiani; con questo però che in
tale erezione e conservazione del detto Fonte Battesimale, s’osservi puntualmente ed esattamente
quanto viene prescritto dalle costituzioni canoniche e sinodali su di tal particolare e non altrimenti...
In fede. Data in Modena dalla Cancell. Vesc.le
L. † S. Ignazio Ponziani Vic. Gen.le”.
In forza della accordata facoltà tosto si eresse il sacro fonte e si cominciò ad amministrare in questa
chiesa il sacramento del Santo Battesimo, prendendo provvisionalmente l’acqua benedetta e gli Olii
SS. dal fonte di Maserno.
Da altro documento di questa chiesa, dell’anno 1793, risulta che al Rettore di S. Martino, spetta per
diritto l’uffizio di suddiacono alla rinnovazione del sacro fonte battesimale nel sabbato santo alla
chiesa plebanale.
Sul finire del secolo XVII fu posto in contestazione chi dei parroci della congregazione di Maserno
dovesse tenere il suddetto uffizio.
Da una lettera del vescovo di Modena in data 3 aprile 1800, diretta all’Arciprete di Salto, Vicario
Foraneo di Maserno, si rileva, che il presule modenese gli avea scritto altra volta, ordinando che
sentisse le ragioni hinc inde per determinare ciò che credesse opportuno. Ma essendogli pervenute
rimostranze del Priore di Montespecchio e di altri parroci di questa congregazione, il vescovo ordinava, senza pregiudizio delle ragioni competenti a chiunque... nel petitorio, di mantenere nel possesso quel parroco che è stato l’ultimo ad esercitare l’uffizio suddetto: tale essendo la massima di
legge ricevuta ed osservata in tutti i tribunali. Così anche ora nel sabato santo, per la rinnovazione
del Sacro Fonte, il Rettore di S. Martino di Salto ha l’onore o l’onere di esercitare il detto uffizio di
suddiacono.
Campanile e campane (don Augusto Banorri)
Nel 1629 il conte Orazio Montecuccoli, signore di S. Martino, fece erigere a sue spese un modesto
campanile, o, meglio, cornacchia sopra il muro della casa canonicale dalla parte di settentrione. In
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un inventario fatto nel 1775 si legge che il suddetto campanile minacciava rovina, e che portava due
campane di piccola mole.
L’anno in cui prese possesso della chiesa di San Martino il R. D. Secondo Lodi, si trovò in una cornice posta sopra un finestrino del campanile la data 1776. Non si sapeva da prima che cosa volesse
significare. In seguito si pensò che potesse essere la data dell’anno in cui si innalzò il campanile
quadrilatero, e la congettura era conforme a verità.
Difatti, in un inventario del 1797 si legge che vi è il campanile con due campane ed orologio. Dunque, se nel 1775 il campanile di un muro solo era cadente, e se nel 1797 si ha il campanile con campane ed orologio, è naturale la conclusione che la data incisa sulla detta cornice (1776) sia la data
dell’epoca in cui fu inalzato il campanile di forma quadrilatera, che misurava m. 10,70.
Nel 1904 si pose mano ai lavori di innalzamento secondo il disegno dell’architetto Carlo Mazzetti
nativo di S. Martino. Il disegno Mazzetti porterebbe anche la guglia in rame, e così il campanile
raggiungerebbe l’altezza di m. 23,35, ma per ristrettezza di mezzi si sono dovuti sospendere i lavori.
L’illustre famiglia Montecuccoli nel 1617 fece fare una campana per uso sacro e anche per chiamare i ragazzi alla scuola, fondata in S. Martino da detta famiglia.
Questa campana fu rifusa e aumentata di peso nel 1854, concorrendo alla spesa il conte Raimondo
Montecuccoli, morto tempo fa a Milano. Nel medesimo anno furono pure fuse due altre campane, e
fortunatamente il terzo riuscì bene intonato e squillante.
Conclusione (X. Y.)
L’aurora del 31 maggio sorgerà a segnare una delle più belle pagine nella storia religiosa di S. Martino di Salto. Premesso un corso di Missioni che verranno impartite dai R. R. padri dell’Incontro, in
detto giorno sarà commemorato il 3° centenario della traslazione dell’immagine di Maria SS. della
Neve dalla città di Roma. La faustissima ricorrenza verrà resa più solenne dagli addobbi della chiesa, dalle musiche, dallo sparo di petardi, dai fuochi artificiali e dall’illuminazione generale della
parrocchia, ma sopratutto dalla Messa Pontificale di S. E. Rev. Mons. Natale Bruni nostro Arcivescovo. Clero e popolo danno fin d’ora sicuro assegnamento di emulare nei trasporti della gioia e
dell’esultanza, nelle dimostrazioni di fede e di pietà i loro gloriosi antenati, allorché dalla eterna città fu portata in mezzo a loro la venerata immagine copia di quella che illustra la Basilica Liberiana.
Sia lode a Dio che su queste pendici mantiene sempre viva ed operosa la fede degli avi e la devozione a Maria SS. la quale maternamente sparse sempre e continuerà a diffondere le sue benedizioni
sopra quella parrocchia.
In occasione del III centenario della Madonna della Neve
che si celebra nella Chiesa di S. Martino di Salto
(P. G. Balestri)
O S. Martino, di pampinei tralci
lieto, che il sole, in una vampa d’oro,
da l’alto avvolge del suo ardente bacio
fecondatore,
io ti ricordo, quando, fanciulletto,
a l’aura mite del fiorito aprile,
correva, ansando, il prato di fiorella
sparso di fiori!
E mi rammento quando, in su la sera,
gradito annunzio di futura festa,
dal campanile si spandea pe’ colli
suono di gloria.
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E ricordo la chiesa biancheggiante;
e, sotto, le macerie della torre,
misero avanzo de la dominanza
de’ Montecuccoli!
Or qual richiamo o glorioso evento,
per ripidi sentieri, oggi ne mena
di popoli fiumana a le tue belle
piagge feconde?

Son del Frignano forte gl’indomiti
figli, che il bronzeo volto ricurvano
a la dolce figlia di Iesse,
in uno slancio d’amore e fede.
Essi deposta la scorza ruvida,
qual nube candida, la prece innalzano,
menando in trionfo Maria
su per la bianca vivente strada.
Devotamente le turbe passano,
e gli stendardi al sol dispiegano,
mentre cantano le fanciulle
a l’aure, lieti canti a Maria.
Ella passando, piena di gloria,
da l’alto trono sorride e sfolgora,
in mezzo ad un nimbo di luce
e a una corona di rose e fiori.
Il piè superbo piegate, o popoli:
Fulgente e bella passa la Vergine
che sparge all’intorno le grazie,
siccome foglie di rose bianche.
Le canne ferree intanto scoppiano;
su per la costa sempre rintronano,
e suonano a gloria le squille
dal campanile rinnovellato!
Salve, o divina speme de’ secoli!
Finché le stelle nel ciel rifulgono,
o fin che avran cuore i mortali,
saliranno al tuo trono le preci!
I Montecuccoli di Montese - Percorso storico
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