realtà vicina o lontana? - Università degli Studi dell`Insubria
by user
Comments
Transcript
realtà vicina o lontana? - Università degli Studi dell`Insubria
MANAGER ALLO SPECCHIO FOCUS IL MOBBING: REALTÀ VICINA O LONTANA? di Paola Caiozzo D I FRONTE A UN FENOMENO CHE RAPPRESENTA UN RICCO SPACCATO DELLE DINAMICHE PSICO-SOCIALI NELL’ORGANIZZAZIONE, SI È PENSATO DI FARE DEL MOBBING L’OGGETTO DI TRATTAZIONE DI UN PERCORSO DI APPROFONDIMENTO. TALE PERCORSO, PARTITO CON L’INQUADRAMENTO SOCIO-ORGANIZZATIVO PROPOSTO DA ROBERTO VACCANI NEL NUMERO 6, DICEMBRE 2001 DELLA RIVISTA, CERCHERÀ DI COGLIERE LE DIVERSE “FACCE” CHE IL MOBBING PUÒ ASSUMERE ATTRAVERSO LO STUDIO DI TEMATICHE SPECIFICHE. L’ANALISI DELLA MATERIA È STATA, E SARÀ, SUPPORTATA E INTEGRATA DALLA COLLABORAZIONE DEL CENTRO PER LA PREVENZIONE, DIAGNOSI, CURA E RIABILITAZIONE DEL DISADATTAMENTO LAVORATIVO (CDL) DELLA CLINICA DEL LAVORO “LUIGI DEVOTO” DI MILANO CHE HA ORMAI ACCUMULATO UNA LUNGA ESPERIENZA NELLA RILEVAZIONE E NEL TRATTAMENTO DEL MOBBING. DETERMINANTE È STATO, IN TAL SENSO, IL CONTRIBUTO DEL PROF. RENATO GILIOLI E DELLA SUA ÉQUIPE PER LA DISPONIBILITÀ A OFFRIRE LA LORO ESPERIENZA E COMPETENZA NELL’INTENTO DI FORNIRE UN QUADRO QUANTO PIÙ COMPLETO E ATTUALE DEL FENOMENO. IN QUEST’OTTICA, L’ARTICOLO CHE SEGUE SI PROPONE DI DARE UN INQUADRAMENTO DEL TEMA PER CHIARIRNE ORIGINI, SIGNIFICATI, DIMENSIONI E CONTESTI SOCIALI E AZIENDALI DI SVILUPPO, NONCHÉ DI ACCENNARE ALLE POSSIBILI CONSEGUENZE PER GETTARE LE BASI DI UNA RIFLESSIONE SULLE POSSIBILI AZIONI DA INTRAPRENDERE PER CONTRASTARLO. NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management 37 FOCUS OIHCCEPS OLLA REGANAM Fra i diversi copioni sociali, brillanti o drammatici, che trovano il loro palcoscenico nelle organizzazioni, quello del mobbing sembra oggi avere assunto un ruolo di primo piano. Le motivazioni che sottendono tale protagonismo sono diverse, non tanto perché trattasi di un qualcosa di “nuovo”, ma perché oggi l’ampiezza, la diffusione e la specificità del caso hanno assunto dimensioni tali da diventare un fenomeno sociale sovranazionale che induce ripercussioni sulle diverse dimensioni dei sistemi paese, toccandone gli aspetti sanitari, legislativi, previdenziali, pensionistici, sindacali, economici ecc. È in tale scenario che si colloca la risoluzione A5-0283/2001 del Parlamento Europeo sul mobbing nel posto di lavoro del 20/9/2001. La risoluzione, tra le altre cose, richiede agli Stati membri: Ω di dedicare attenzione consapevole al fenomeno stimolando il confronto tra gli Stati per assumere le misure del caso, adeguando opportunamente gli strumenti assistenziali (in Germania è già in vigore il prepensionamento), giudiziari (in Svezia e Francia esiste il reato di mobbing) e legislativi. In tal senso, tra l’altro, il Parlamento prevede per l’ottobre 2002 o di emanare una direttiva specifica sull’argomento cui gli Stati membri dovranno adeguarsi, o di richiedere agli stati membri l’adeguamento normativo; Ω di studiare da vicino il fenomeno in relazione sia agli aspetti attinenti all’or- ganizzazione del lavoro dove il fenomeno si sviluppa, sia a quelli legati a fattori di età, genere, settore e tipo di professione dei soggetti che lo subiscono; Ω di imporre alle imprese, ai pubblici poteri e alle parti sociali l’attuazione di 1 politiche di prevenzione efficace. I numeri del mobbing Tra le motivazioni che hanno spinto l’UE ad assumere posizione ci sono i risultati di una ricerca della Fondazione di Dublino (European Foundation for the Impro- vement of Living and Working Conditions) pubblicati nel dicembre 2000. I dati della ricerca sono stati raccolti attraverso interviste su un campione di 21.500 lavoratori negli Stati membri. L’8% degli intervistati, che rappresentano statisticamente circa 12 milioni di persone, erano stati oggetto di mobbing sul 2 posto di lavoro negli ultimi dodici mesi. I dati nazionali dei diversi Stati membri sembrano confermare il dato globale, evidenziando la diffusione del fenomeno. Tuttavia, il peso da attribuire ai numeri riportati in tabella 1 deve tener conto del fatto che, nonostante oggi il fenomeno sia più approfondito e chiaro nei suoi contorni e specificità rispetto a qualche anno fa, i sistemi di osservazione e classificazione del mobbing, così come la terminologia di riferimento, sono disuguali sia tra i paesi, sia, talvolta, all’interno dello stesso paese. Gli aspetti della cultura di fondo del paese oggetto d’indagine, poi, influenzano significativamente l’atteggiamento nei confronti del problema. Per esempio, un comportamento considerato antisociale in un paese può essere tollerato in quanto inerente al lavoro in un altro. Gli aspetti legislativi che regolano i rapporti di lavoro, la struttura socio-economica, il livello di sensibilizzazione e di consapevolezza nell’opinione pubblica sono ulteriori elementi di differenziazione nell’approccio al problema da parte dei diversi paesi. In quest’ottica, la marcata differenza esistente tra l’Italia (4,2% di mobbing rilevato) e i paesi del Nord Europa (in media circa 15% di mobbing rilevato) non dovrebbe sorprendere. Essa è soggetta a tre tipi d’interpretazione, o meglio, concause che aiutano a spiegare il fenomeno. In prima istanza, la differenza potrebbe rappresentare un dato reale che sottolinea il gap temporale esistente tra le trasformazioni socio-economiche di quei Un comportamento considerato antisociale in un paese può essere tollerato in quanto inerente al lavoro in un altro 1. Relazione sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339 (INI)), Commissione per l’occupazione e gli affari sociali, relatore Jan Andersson, 16 luglio 2001. 2. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, “Second European Survey on working conditions”, 1997, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee. 3. European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, “Second European Survey on working conditions”, 1997, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee. 38 3 Tabella 1 Diffusione del mobbing nella UE Paese Percentuale di lavoratori oggetto di mobbing Gran Bretagna 16,3% Svezia 10,2% Francia 9,9% Irlanda 9,4% Germania 7,3% Spagna 5,5% Belgio 4,8% Grecia 4,7% Italia 4,2% NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management MANAGER ALLO SPECCHIO paesi e quelle che stanno iniziando a manifestarsi in Italia solo di recente. Se così fosse, ci si potrebbe aspettare nel nostro paese un significativo aumento del fenomeno nel medio periodo. Un’altra lettura della minore rilevanza del fenomeno del mobbing in Italia potrebbe essere spiegata in base a un dato culturale. Potrebbe infatti esistere una diversa sensibilità nell’ambito dei rapporti interpersonali su quali atteggiamenti e quali comportamenti possono essere ritenuti accettabili e sopportabili in termini di rispetto della dignità umana, inducendo una diversa tolleranza allo stesso fenomeno. Infine, dobbiamo considerare che in Italia il fenomeno ha assunto rilevanza solo recentemente, per cui la scarsa diffusione e la mancanza di conoscenza del problema potrebbero avere inficiato la rilevazione. Il forte valore dei dati sopra riportati, comunque, è rintracciabile più che nel significato numerico, nel fatto di aver posto in luce la punta di un iceberg di cui si sta cercando di rintracciare le dimensioni e la velocità d’impatto. Il lessico del mobbing L’espressione “mobbing” con cui sono definite in Italia le molestie morali sul luogo di lavoro è stata mutuata dalle ricerche e dalla letteratura internazionale d’origine scandinava e germanica. Il termi4 ne, coniato da Konrad Lorenz, deriva dall’etologia, dove è utilizzato per definire il comportamento di accerchiamento di uno stormo di uccelli verso un suo elemento che deve essere escluso. È stato introdotto per la prima volta in ambito 5 lavorativo da Heinz Leymann per descrivere situazioni di violenze morali e psicologiche che possono verificarsi nell’ambito organizzativo e che conducono all’esclusione o all’eliminazione del soggetto che le subisce. Lo stesso fenomeno viene identificato con termini diversi a NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 FOCUS Box 1 Eterogeneità definitoria del mobbing “Azioni comunicative negative, dirette contro un individuo (da una sola a da molte persone) che occorre molto spesso e per un lungo periodo di tempo, che caratterizzano la relazione persecutore/ vittima” (Leymann 1993). “Azioni ripetute che portano a disagi mentali, a volte anche fisici, e dirette verso una o più persone che, per qualche ragione, non sono in grado di difendersi; questa la definizione generale di violenza, ma la violenza sessuale consiste in un unico episodio, mentre il bullying non è né un singolo episodio né un conflitto a breve termine tra individui con pari forze, che generalmente ripristina l’equilibrio al suo termine. Il bullying è una forma di aggressione a lungo termine diretta verso una persona che non è capace di difendersi, e che porta alla sua vittimizzazione. La vittima è esposta a un’escalation dell’aggressione che porta alla perdita della stima di sé e ad un crescente stress mentale” (Bjorkqvist, Osterman, Hielt-Back 1994). “Il bullying si caratterizza per la violenza fisica, rara nel mobbing, che prevede comportamenti più sofisticati. La differenza tra il conflitto e il mobbing non consiste in chi fa che cosa, ma nella frequenza e nella durata delle azioni negative. La definizione scientifica è: interazione sociale in cui un individuo (raramente più di uno) è attaccato da uno o più altri (raramente più di quattro) quotidianamente e per un periodo di alcuni mesi, costringendo la persona in una posizione di impotenza e di rischio potenziale di espulsione dal mondo del lavoro” (Leymann 1996). “Mobbing come comportamento sociale negativo, una sottospecie di stressor sociale sul lavoro. Gli stressors sociali sono relativi alle relazioni sociali, ma il mobbing si differenzia perché interviene solo in situazioni di diseguaglianza di potere e occorre frequentemente e per un lungo periodo. Diversamente dagli altri tipi di stressors sociali, il mobbing è un conflitto protratto nel tempo la cui gravità aumenta progressivamente, esercitato verso una persona bersaglio” (Zapf 1999). seconda del paese in cui si sono sviluppati gli studi e le ricerche e in dipendenza dai punti di vista con cui si è approcciato il problema. Così, in Gran Bretagna viene definito bullying (Andrea Adams, Tim Field), in Francia harcèlement moral (Hirigoyen), negli USA work abuse (Judith Yatt, Chauncey Hare), così come poi si usano anche le parole harassement, employee abuse, terrorismo psicologico, bossing, molestie morali, molestie sessuali, molestie psicologiche ecc. Talvolta i termini vengono usati come sinonimi, talvolta no. Per Economia & Management esempio, l’alternativa nell’uso della parola bullying o mobbing deriva dal background culturale e scientifico degli studiosi che hanno affrontato il problema: la prima è stata adottata da un filone di ricerca che negli anni settanta iniziò ad approfondire il fenomeno nei gruppi di bambini e adolescenti nella scuola, mentre la seconda nasce in un filone di ricerca che analizzava lo stesso fenomeno tra 4. Cfr. Lorenz (1963). 5. Cfr. Leymann (1993). 39 FOCUS OIHCCEPS OLLA REGANAM Germania: mobbing Inghilterra: bullying, harassment Spagna: Francia: acoso moral harcèlement MOBBING Italia: mobbing Portogallo: assédio Svezia: mobbing BULLYING MOBBING HARCÈLEMENT ASSÉDIO MOBBING ACOSO MORAL Figura 1 Eterogeneità terminologica del mobbing i lavoratori nel luogo di lavoro. Bullying, inoltre, ha una connotazione di molestia e maltrattamento sia fisico sia psicologico, mentre il mobbing è caratterizzato da molteplici e sofisticati comportamenti che raramente hanno manifestazioni fisiche. E ancora, il termine bossing è spesso utilizzato come sinonimo di mobbing, pur rappresentando solo una parte del fenomeno, cioè quel tipo di mobbing che è generato e agito da un diretto superiore in gerarchia. Rientra quindi nella fattispecie del mobbing, ma ne rappresenta un aspetto parziale. L’eterogeneità dei termini è talvolta rappresentata anche nella eterogeneità delle definizioni che sono variamente presenti nella letteratura. Nel box 1 se ne sono citate alcune con l’intento di mostrare similitudini e differenze. Anche se le differenze semantiche nei termini utilizzati non sono sostanzialmente rilevanti, l’eterogeneità e la frammentazione di questi e le differenze definitorie non aiutano a inquadrare in modo definitivo il fenomeno e a renderlo comparabile. pre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo, con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno sei mesi sulla base dei primi rilievi nordeuropei, ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità dei soggetti, con finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto di lavoro”. E ancora “… si distinguono: Ω un mobbing strategico, che corrisponde a un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte della stessa azienda e/o del management aziendale, che, con tale azione premeditata e programmata, intende realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato lavoratore o il suo allontanamento dal lavoro; Ω un mobbing emozionale, o relazionale, strictu sensu, che deriva invece da un’alterazione delle relazioni interpersonali (esaltazione ed esasperazione dei comuni sentimenti di ciascun individuo di rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, paura ecc.) sia di tipo gerarchico sia tra colleghi; Ω un mobbing senza intenzionalità dichiarata, nel casi in cui non vi sia, da parte del management aziendale, una precisa volontà strategica di eliminare o condizionare negativamente un determinato lavoratore con azioni di violenza psicologica … In questo caso l’azienda è responsabile in quanto non in grado sia di individuare tempestivamente tale condizione sia di arginare e sanare efficacemente. In termini tecnici, in quest’ultimo caso, da parte del management aziendale non vi è 6 dolo, ma colpa di omissione”. Il mobbing è caratterizzato da molteplici e sofisticati comportamenti che raramente hanno manifestazioni fisiche 6. Documento di consenso (2001). 7. Cfr. Leymann (1993). 40 La definizione del mobbing in Italia L’Italia, in termini di ricerca e di approccio al mobbing, si rifà alla scuola scandinava adottandone terminologia e approccio metodologico di indagine. Importante è oggi la definizione data al fenomeno nel nostro paese, che scaturisce dalla condivisione delle esperienze e degli approcci di istituzioni diverse. Il frame comune e omogeneo di riferimento dice: “Il mobbing è comunemente definito come una forma di molestia o violenza psicologica esercitata quasi semNO 3 Quale che sia la tipologia di mobbing, il fenomeno è sempre connotato da una serie di azioni che possono essere rag7 gruppate in cinque categorie: Ω attacchi alla possibilità di comunicare MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management MANAGER ALLO SPECCHIO (il capo e/o i colleghi limitano le possibilità di esprimersi della vittima, la si interrompe mentre parla ecc.); Ω attacchi alle relazioni sociali (isolamento, interruzione delle comunicazioni, ci si comporta come se la vittima non esistesse ecc.); Ω attacchi all’immagine sociale (si sparla alle spalle della vittima, la si ridicolizza, la si sospetta di essere malata di mente ecc.); Ω attacchi alla qualità della situazione professionale (non si affidano più alla vittima compiti da svolgere o gli si affidano compiti senza senso, mansioni molto al di sotto della sua qualificazione o molto al di sopra per indurla in errore; le si cambia mansione continuamente ecc.); Ω attacchi alla salute (si assegnano compiti inadatti o dannosi alla salute, non si tiene conto del giudizio e delle indicazioni del medico competente ecc.). più cause vicine e lontane, di concause e dei legami tra queste, forse si potrà far luce su quali sono: Ω i fattori esogeni che giocano un ruolo determinante nel predisporre le precondizioni di contesto economico e organizzativo affinché il mobbing possa attecchire; Ω i fattori endogeni che intervengono accelerando o intensificando il fenomeno una volta che questo è attecchito. Per usare una metafora botanica, bisogna contemporaneamente identificare quegli elementi di microclima, di composizio- FOCUS storia della cultura occidentale si sia sviluppata una sensibilità consapevole su quali atteggiamenti e/o comportamenti possano essere ritenuti accettabili o sopportabili in termini di rispetto della 8 dignità umana. Questa consapevolezza ha subito un’accelerazione a mano a mano che il principio di mutuo riconoscimento come individui si confermava come fattore essenziale per lo sviluppo morale della società e come base per i 9, 10 futuri modelli di interazione sociale. È attraverso il riconoscimento altrui, infatti, che i soggetti si riconoscono come persone e danno espressione sociale ai propri bisogni soggettivi. Se questo assunto è vero in tutte le dimensioni della vita, risulta determinate nell’esperienza lavorativa, che rappresenta la massima 11 sede dell’espressività individuale. Una seconda tendenza in atto è relativa a una maggiore pressione sui lavoratori dovuta alle modifiche che le modalità di lavoro stanno subendo negli ultimi anni in ragione delle esigenze economiche di globalizzazione, produttività e flessibilità. La prima, la globalizzazione, sposta la competizione a livello mondiale e spinge verso fenomeni di concentrazione e razionalizzazione della forza lavo12 ro. Tale fenomeno per il singolo può significare che le condizioni del mondo del lavoro, così come i cambiamenti che lo riguardano, si svolgano totalmente al di fuori della sua possibilità di controllo. Egli, quindi, può avere grosse difficoltà ad avvertire cosa stia accadendo, percependo le modifiche ambientali solo dopo 13 che esse si sono compiute. Una maggiore pressione sui lavoratori viene esercitata dalle esigenze di globalizzazione, produttività e flessibilità Le azioni delle cinque categorie si possono o meno presentare congiuntamente, ma quello che le contraddistingue nel mobbing è la loro intensità crescente, la ripetitività, la frequenza e il perdurare nel tempo. Le motivazioni del mobbing I diversi filoni di ricerca che in questi anni hanno approfondito il fenomeno nelle sue caratteristiche e manifestazioni intrinseche hanno parallelamente cercato di rintracciare quali potessero essere i fattori che in qualche modo lo influenzano in quanto cause dirette o indirette. La complessità prevalente nel ragionare sui modelli causali del mobbing consiste nella difficoltà di rintracciare relazioni di causa ed effetto tra uno o più fattori e l’innescarsi della patologia. In un siffatto scenario, solo con un approccio sistemico che tenga conto di NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 ne del terreno e di composizione delle acque che aiutano o stimolano in generale un parassita ad attaccare una pianta per poi andare a porre in evidenza quali specificità la pianta mette in atto per stimolare e sostenere la crescita di tale parassita. I fattori esogeni Il punto di vista socio-economico La letteratura, che segue un approccio situazionale, evidenzia due tendenze che concorrono a identificare i fattori dello scenario socio-economico che può fare da terreno di coltura per la crescita del mobbing. Una prima evidenzia come nella Economia & Management 8. Cfr. Cassitto (2001, p. 14). 9. Cfr. Lowith (2000). 10. G.H. Mead (1934), Mind, Self and Society, Chicago University Press, Chicago. 11. Cassitto (2001, p. 14). 12. Cfr. Duriex, Jourdain (1999). 13. Cassitto (2001, p. 14). 41 FOCUS La ricerca di maggiore produttività, poi, spinge le imprese verso risultati sempre più sfidanti a parità di organici o talvolta con una riduzione di organici. Quando, però, l’aumento di produttività non è ottenuto attraverso una migliore organizzazione del lavoro o con il supporto della tecnologia, possono nascere problemati14 che legate al “surmenage” lavorativo. Il burn out, per esempio, cioè l’esaurimento di ogni energia, lo svuotamento psichico del soggetto sottoposto a iperlavoro, è considerato una conseguenza diretta della moltiplicazione di quegli ambienti di lavoro dove il culto dell’iperproduzione finisce per ghettizzare quanti non 15 si adeguano a questa ideologia. La flessibilità, infine, richiede ai soggetti una maggiore capacità di adattamento per seguire le rinnovate esigenze produttive, di mercato ed economiche. Tale elemento può indurre per il singolo una visione del proprio lavoro caratterizzata da instabilità permanente. Tramontando, inoltre, l’idea di un lavoro che rimane stabile tutta la vita, di una carriera che si svolge all’interno di una stessa azienda o ente, può nascere la percezione di non consolidare l’esperienza in termini di competenze acquisite e di status sociale, generando una maggiore insicurezza del soggetto. Dall’incontro di queste due opposte tendenze, cioè l’acquisita consapevolezza e la necessità di riconoscimento del proprio valore e la depersonalizzazione dell’attuale mondo del lavoro ancora in trasformazione si è creato il terreno favorevole al nascere del mobbing. Il punto di vista organizzativo La ricerca che ha centrato l’attenzione sui sistemi organizzativi, di matrice prevalentemente scandinava e inglese, ha cer14. Cfr. Gilioli, Gilioli (2000). 15. Ibidem. 16. Vaccani (2001). 17. www.mobbing3000.it 42 OIHCCEPS OLLA REGANAM cato di isolare quei componenti del sistema che avessero maggiore influenza nel creare le condizioni favorevoli al mobbing. In modo particolare Cummis (1989) mette in luce la relazione tra determinati settings organizzativi e l’occorrenza del bullying. Tale studio rappresenta la prima evidenza empirica della stretta correlazione tra fattori organizzativi, intesi come stressors organizzativi, e il bullying. Nel riportare le principali conclusioni cui i diversi filoni di ricerca sono oggi arrivati, bisogna tenere conto del contesto in cui le ricerche sono state condotte e della necessità di ampliare e approfondire una tematica non ancora del tutto esplorata. Nella presentazione dei fattori organizzativi identificati tra le cause che concorrono alla costruzione dei “set” in cui il mobbing viene agito si farà riferimento alle macroclassi di analisi organizzativa. 16 Esse sono riconducibili a: Ω l’impianto organizzativo nei suoi aspetti strutturali; Ω i meccanismi operativi, cioè tutti quei meccanismi ufficiali e formali che orientano i processi di lavoro, i processi di controllo delle risorse organizzative e i processi di verifica di risultati; Ω i comportamenti organizzativi, cioè tutti i fenomeni legati alla personalità degli attori aziendali, alle relazioni interpersonali, alle dinamiche di gruppo, agli stili di leadership, ai climi e alla cultura organizzativa. Non esiste una gerarchia tra queste macroclassi né in termini di importanza né di prevalenza, ma è la visione integrata del ruolo giocato dai diversi fattori che può aiutare a spiegare le diverse situazioni organizzative. Per quanto riguarda la prima macroclasse – l’impianto organizzativo – tra i fattori predisponenti il mobbing troviamo l’ambiguità di ruolo, il conflitto di ruolo, il sottoutilizzo delle abilità, il sovraccarico di lavoro e l’inadeguatezza delle risorse rispetto agli obiettivi (Einarsen 1994; Cummins 1989). NO 3 Quanto ai meccanismi operativi, rileviamo l’assenza di partecipazione e di interazione tra i collaboratori e con i superiori, il mancato presidio delle modalità di comunicazione interna (Einarsen 1994; Cummins 1989), l’inadeguato livello di controllo del proprio lavoro e la ridotta o nulla possibilità di crescita professionale e di carriera (Cooper 1989). Circa i comportamenti organizzativi, infine, troviamo la mancanza di partecipazione e di interazione tra i collaboratori e con i superiori in termini relazionali, il clima sociale, la sfida, il conflitto e la cattiva leadership (Cooper 1989). Nella classe “impianto organizzativo”, uno dei fattori che è stato approfondito come stressor organizzativo è il conflitto di ruolo, che risulta provocare rabbia e ostilità latente e fungerebbe da antecedente del mobbing. I risultati sono in linea con l’ipotesi revisionata della frustrazione-aggressione (Berkowitz 1989), dove viene ipotizzata una relazione diretta tra stressors organizzativi e reazione aggressiva. L’approccio interazionista o di interazione sociale (Felson 1992) fornisce un modello alternativo all’aggressività. Secondo Felson esisterebbe una relazione inversa tra stressors organizzativi come il conflitto di ruolo e l’aggressività che si esplicherebbe attraverso gli effetti sul comportamento della vittima. Un lavoratore stressato può percepire in modo distorto le aspettative sul suo comportamento, disturbare gli altri lavoratori, violare le norme sociali, lavorare in maniera meno competente e provocare così reazioni aggressive negli altri. Questo modello causale vede il mobbing partire dalla vittima che induce l’aggressore a 17 mettere in atto mobbing. Tra i comportamenti organizzativi, poi, il tema della leadership rimanda necessariamente alla “cultura organizzativa”. Risulta evidente che là dove vige una cultura che permette e ricompensa la vessazione, una cultura che si esplica in una MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management MANAGER ALLO SPECCHIO leadership autoritaria, gerarchica e rigida, il mobbing sarà fisiologico ed endemico di quella organizzazione. Secondo Brodsky (1976), episodi di mobbing possono verificarsi solo là dove l’aggressore percepisca l’appoggio, quanto meno implicito, dei superiori. Se tale percezione viene a mancare, il rischio che l’aggressore diventi egli stesso vittima di attacchi da parte dei suoi superiori diventa alto. Questo porta a riflettere sul concetto di tolleranza organizzativa e di cul18 tura organizzativa. I fattori endogeni Tratti di personalità La ricerca sul ruolo giocato dai tratti di personalità nel fenomeno mobbing segue un approccio disposizionale. Adduce, cioè, come causa principale dell’innescarsi del fenomeno i fattori di personalità. Nata nell’ambito dello studio del bullying tra gli adolescenti, è stata poi riportata nei contesti lavorativi e sugli adulti (Olweus 1990). In quest’ottica, è possibile tracciare un profilo tipico della vittima come ansiosa, insicura di sé, cauta e sensibile, che vede indebolire la propria autostima come conseguenza del bullying. Nel contesto lavorativo, la vittima viene descritta come coscienziosa, con una visione irrealistica di sé e della situazione che vive (Brodsky 1976, in Einarsen et al. 1994). Tuttavia, Bjorkqvist et al. (1994) ritengono che non ci siano prove empiriche sufficienti a tracciare un profilo tipico della vittima, ma che chiunque si trovi in una posizione di minore potere possa diventarlo. È quindi necessario che ci siano posizioni di asimmetria di potere o di ruolo affinché il fenomeno si sviluppi. Viceversa anche essere un bullo è un tratto stabile di personalità: il tipico profilo del bullo vede una persona aggressiva, sicura di sé, incapace di empatia, che NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 prova piacere nel vedere la sofferenza della sua vittima, che non ha acquisito il valore del rispetto degli altri e le competenze sociali adatte a sviluppare una civile interazione sociale (Bjorkqvist et al. 1994). Secondo questo modello causale, il mobbing avrebbe inizio a partire dal tormentatore. Altri autori ritengono che sia la personalità della vittima a indurre nell’altro la reazione aggressiva (Berkowitz, Einarsen 1998a, 1999b; Zapf 1999). In alcuni testi viene dato molto rilievo alla responsabilità dell’insorgere del mobbing alle caratteristiche di personalità sia FOCUS nale. Tuttavia, questa posizione viene sostenuta anche da molti psicologi clini19 ci (Zapf 1999). Le ricerche scientifiche, basate su studi empirici più approfonditi (quelle sopra riportate), dimostrano come siano invece determinanti più i fattori situazionali che le caratteristiche di personalità della vittima; queste possono entrare in gioco solo in fasi successive, allorquando il mobbing si è già innescato, e fungere magari da giustificazioni retroattive (Leymann 1996; Gilioli 2000; Hirigoyen 2000). La situazione Italiana In una cultura che ricompensa la vessazione, con leadership gerarchica e rigida, il mobbing sarà fisiologico della vittima sia dell’aggressore e vengono ampiamente descritti i profili del tipico mobber e del tipico mobbizzato (Adams 1992a, 1992b; Brodsky 1976). Molte delle ricerche in tale filone sono il frutto di indagini a carattere popolare, basate prevalentemente sulla raccolta delle esperienze dirette di lavoratori coinvolti in simili situazioni. È già stata discussa la tendenza psicologica delle persone ad attribuire la causa del proprio vissuto a fattori di personalità, secondo il meccanismo dell’errore fondamentale di attribuzione. Non deve stupire, quindi, se in questi ambiti si è arrivati automaticamente a conclusioni di tipo disposizio- Economia & Management In Italia, l’attenzione al fenomeno del mobbing ha iniziato a crescere da qualche anno e il proliferare di convegni, workshop e pubblicazioni sulla materia può essere un indicatore della tendenza in atto. Tuttavia, l’argomento è ancora accolto con diffidenza e talvolta pregiudizio in molti ambienti. Tale posizione è da attribuirsi a diversi fattori, tra i quali ricordiamo: Ω la non comprensione della “novità” e lo stupore rispetto all’enfasi attribuita a un qualcosa che è sempre esistito, confondendo spesso le tensioni conflittuali con le situazioni di mobbing; Ω la poca chiarezza del fenomeno che, se appare già definito nei sintomi e nelle conseguenze che produce, non è ancora altrettanto chiaro nell’identificazione delle cause e concause che direttamente o indirettamente lo hanno generato; Ω la distanza tra i “luoghi” in cui le problematiche vengono trattate (ambiti medici) e il “luogo” in cui le problematiche si sono manifestate (ambito lavorativo). 18. www.mobbing3000.it 19. www.mobbing3000.it 43 FOCUS OIHCCEPS OLLA REGANAM Tuttavia, anche la situazione italiana non differisce da quella europea e il fenomeno in questi anni è in “apparente” crescita: apparente perché è difficile stimare se la crescita rappresenti un dato reale o semplicemente l’indicatore di un fenomeno sommerso che fino ad oggi non aveva legittimità di apparire. Un primo riferimento sul fenomeno è l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL), che nel 1999 ha istituito, presso il laboratorio di Psicologia e Sociologia del Lavoro in Roma, un centro di ascolto con larga utenza nazionale. Il Centro, divenuto di fatto un osservatorio in grado di monitorare l’andamento del fenomeno, alla fine dello scorso anno annoverava una casistica di 2209 soggetti. Pur mancando ampie e strutturate rilevazioni quantitative, il contributo più significativo per dare una fotografia del fenomeno è tuttavia quello che si può ottenere dall’analisi dei dati raccolti dal 1996 a oggi dall’altro ente di riferimento sul fenomeno del mobbing in Italia, il Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo dell’Azienda ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, Clinica del Lavoro “L. Devoto” (box 1). Tale centro rappresenta il riferimento storico italiano per il mobbing, ed è anche un caso unico nel panorama europeo per Figura 2 Ricoveri. Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano R I C O V E R I I N P R O V E N I E N Z A Privato 56% Pubblico 44% G E N E R E femminile 53% maschile 47% aver strutturato una ricerca, una raccolta e una valutazione di dati clinici legati al mobbing. Come precedentemente accennato, la raccolta dei dati è iniziata nell’aprile del 1996 e al 31/12/2001 sono stati esaminati 2236 casi (figura 2). È immediatamente visibile il tasso di incremento della domanda di ricoveri correlati con episodi di mobbing che ha visto un aumento, tra il 1998 e il 2001, del 349%. La riduzione del tasso di crescita tra il 2000 e il 2001 non è indicativa di una riduzione delle richieste, ma è spiegata dalla difficoltà del centro di far fronte alle domande. Nell’ultimo anno, infatti, i D A Y H O S P I T A L 800 700 600 668 707 2000 2001 500 483 400 300 200 100 0 44 246 132 1997 1998 1999 NO 3 Figura 3-4 Provenienza, Genere Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano tempi di attesa si sono allungati fino a quattro e cinque mesi dalla richiesta d’aiuto. Tale dato preoccupa l’équipe del centro che, oltre a cercare di lavorare sul dimensionamento interno, ha iniziato una serie di collaborazioni con altri centri presenti sul territorio nazionale per formare nuove équipe e duplicare l’esperienza che il centro in questi anni ha accumulato. L’obiettivo è sviluppare competenze diffuse sul territorio nazionale. È da citare, a questo proposito, l’istituzione di strutture, per esempio, presso l’Istituto di Medicina del Lavoro, II Università di Napoli, presso il Distretto 44 della ASL Napoli 1, presso la ASL di Roma RME e recentemente presso l’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Pisa e la ASL di Pescara. Tutte le domande che arrivano al Centro sono legate a disagi (problemi di adattamento) nati nel contesto lavorativo. Tra queste, il 35% riguarda casi classificabili MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management MANAGER ALLO SPECCHIO come a elevata probabilità di mobbing; il 30%, casi con media probabilità di mobbing e il restante 25%, casi estranei al mobbing. Le percentuali non hanno bisogno di commenti ulteriori. Più del 50% della popolazione che arriva al centro è già in terapia con psicofarmaci: dato considerato, dal punto di vista clinico, allarmante. Da un esame a campione della popolazione si evince che la provenienza delle domande è da imputarsi per il 56% al settore privato e per il 44% al settore pubblico (figura 3). La provenienza geografica dei casi è per il 50% lombarda, mentre il restante 50% è suddiviso su tutta Italia. Questo dato è ovviamente influenzato dalla posizione e reputazione del centro. La composizione del campione è equilibrata tra uomini e donne, con un leggera prevalenza delle donne (figura 4), dato che si discosta dalle rilevazioni degli altri Stati europei, che vedono una prevalenza netta di donne rispetto agli uomini. Riguardo all’età, la scolarità e le mansioni ricoperte si evince che sono più colpite le classi di età medio-alte – il 46% del camE T À M A N S I O N I Dirigente 10,00% Libero professionista 1,34% Operaio 5,33% Insegnante 4,67% Quadro 21,33% Impiegato 57,33% pione è nella fascia tra i 45 e i 54 anni (figura 5) – e che vi è una prevalenza di titoli di studio medio-alti (persone in possesso di diploma 33%, di laurea 55%, figura 6). Le più recenti rilevazioni del centro, tuttavia, sembrano indicare anche un aumento delle componenti meno scolarizzate. Quest’ultimo dato può essere correlato alla rilevazione sulle mansioni ricoperte dalle persone che compongono Figura 5-6 Età, Scolarità in anni di studio Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano I N A N N I 55+ 5% 23-34 12% 45-54 47% 35-44 36% S C O L A R I T À I N A N N I D I S T U D I O Meno di 8 12% Oltre 14 55% NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 FOCUS Tra 9 e 13 33% Economia & Management Figura 7 Mansioni Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano il campione (figura 7). Risulta prevalente la presenza di impiegati, per il 57,3%, e quella dei quadri per un 21,3%, ma appare comunque significativa la presenza di un 10% di dirigenti. Gli operai sono chiaramente sottorappresentati. La loro scarsa presenza andrebbe discussa a fondo. Un’ultima rilevazione appare particolarmente interessante: quella della durata della situazione di mobbing che le persone hanno subito (figura 8). Le percentuali sulle classi di durata assumono un particolare significato se comparate con le rilevazioni di altri paesi europei. Sembra che gli italiani tollerino più a lungo la situazione. Le spiegazioni potrebbero essere molteplici e andare da un’interpretazione culturale a interpretazioni legate al funzionamento del mercato del lavoro italiano, ma non esistono allo stato attuale dati che consentano un approfondimento scientifico. Tuttavia, dal punto di vista clinico questo dato assume un significato importante perché la persistenza in uno stato di disagio provoca nel tempo un peggioramento della sintomatologia e del quadro clinico generale. Il quadro offerto dai dati raccolti dal Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo dell’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, Clinica del 45 FOCUS OIHCCEPS OLLA REGANAM D U R A T A D E L M O B B I N G 45% 40% 41,0% 35% 30% 25% 20% 27,0% 21,7% 15% 10% 10,3% 5% 0 meno di 1 anno tra 2 e 4 anni Lavoro “L. Devoto” sembrano confermare i risultati di una ricerca svolta del 1998 da Harald Ege e pubblicata nel testo I numeri del mobbing. Anche in quella ricerca, condotta su 301 casi, risulta un equilibrio tra le differenze di genere (uomini 48% e donne 51%) e la fascia di età colpita (il 47% tra 41 e 50 anni). Trova altresì conferma il dato sulla scolarità e sulle mansioni, anche se con un leggero aumento del numero dei dirigenti (17%). La provenienza tra il settore pubblico e quello privato risulta invertita rispetto ai dati della Clinica del Lavoro, evidenziando una maggiore presenza nella pubblica amministrazione rispetto al privato. Tuttavia, nella ricerca di Ege si hanno informazioni di maggiore dettaglio rispetto ai due settori. Si evince così dall’analisi dei dati che nel settore privato il fenomeno è presente nelle aziende di grandi dimensioni con un alto numero di dipendenti e scarse possibilità di conoscere a fondo sia tutti i colleghi sia l’or20 ganizzazione stessa (box 2). tra 5 e 9 anni oltre 9 anni Figura 8 Durata del mobbing Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano tanti dell’organizzazione in un clima di difesa e allerta continue, distogliendo le energie dal lavoro per indirizzarle verso la sopravvivenza. Le recenti posizioni delle teorie di management vedono nella valorizzazione del capitale umano (asset intangibile), nella capitalizzazione degli apprendimenti organizzativi e nell’attenzione alle persone e alle loro potenzialità, la possibilità di costruire future identità aziendali, con i 23 conseguenti vantaggi competitivi. Il mobbing lede i presupposti di tali logiche uccidendo la diffusione di creatività, di comunicazione e di condivisione. Oltre ai malfunzionamenti immediati sopra citati, ci sono “effetti collaterali” non meno importanti. I danni d’immagine, per esempio, nel momento in cui, come spesso accade, vengono divulgate notizie su atti discriminatori perpetrati ai danni dei dipendenti; o anche i costi legali e sociali che l’azienda si trova ad affrontare quando i conflitti scaturiscono in cause di lavoro. Di sicuro è particolarmente difficile quantificare i costi che l’azienda sostiene a causa del mobbing, tuttavia Luigi Canali, segretario della FPS CISL Regione Lazio, ha provato a definire in termini monetari il costo che il mobbing fa ricadere sulla società e sulle imprese. Fa notare l’autore che secondo una valutazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il costo totale annuo della violenza psicologica in un’azienda di mille dipendenti si aggira 24 intorno ai 155.000 euro. Secondo uno studio della Health & Safety Executive Britannica (1998) “il cattivo rapporto tra lavoratore e ambiente” incide negativamente nel Regno Unito per Chi viene colpito lavora poco e male, si assenta spesso, diventa un “peso” per l’organizzazione E… il mondo aziendale? Una sana concorrenza e una buona tensione produttiva sono due elementi che esercitano sulle aziende una doppia tensione: da un lato, producono uno stimolo all’efficienza, cioè a produrre ed erogare 46 beni e servizi minimizzando l’utilizzo delle risorse organizzative; dall’altro, uno stimolo all’efficacia che aiuta a bilanciare il dimensionamento delle risorse in modo coerente per non perdere di qua21 lità. Sono, quindi, alcuni degli ingredienti fondamentali per il successo dell’impresa. Il mobbing, invece, è una perversione patologica che manda in cortocircuito il sistema: chi viene colpito lavora poco e male, si assenta spesso, diventa un “peso” 22 per l’organizzazione. Inoltre, spegne ogni forma di collaborazione, riduce lo scambio di informazioni, annienta lo spirito del gruppo, fa “vivere” tutti gli abiNO 3 20. Cfr. Ege (1998, p. 28). 21. Vaccani (2001). 22. Gilioli, Gilioli (2000). 23. Cfr. Del Mare (1998). 24. Cfr. Saolini 2001. MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management MANAGER ALLO SPECCHIO Box 1 Il CDL Il Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano è stato istituito nell’aprile 1996 (delibera degli Istituti Clinici di Perfezionamento, n. 430, 12 aprile 1996) al fine di svolgere attività clinico-diagnostica e preventivo-riabilitativa su pazienti con sospetto di malattia legata a condizioni di stress e di disagio lavorativo. Il CDL è un centro interdisciplinare costituito da medici del lavoro, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti e tecnici di psicodiagnostica. Gli accertamenti consistono in una serie di valutazioni di medicina del lavoro, psicologiche e psichiatriche secondo un protocollo valutativo appositamente sviluppato. Responsabile del CDL è il dottor Renato Gilioli, neuropsichiatra esperto di problematiche inerenti il rapporto tra condizioni di lavoro e salute neuropsichica. I pazienti sono inviati con larghissima prevalenza dal medico di famiglia e ricoverati in Day Hospital per due, tre giornate di degenza, a titolo totalmente gratuito per gli utenti, per un sospetto di stress occupazionale. Le diagnosi più comuni, nei casi in cui si riconosca un ruolo delle condizioni di lavoro, sono di Disturbo dell’Adattamento (DDA) e di Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS). I due quadri clinici hanno una sintomatologia simile, ma con gravità differenziate a carico della sfera emozionale (ansia, depressione, irritabilità), spesso con associati sintomi psicosomatici (cefalea, gastralgie, vertigini ecc.), disturbi alimentari, del comportamento e della sfera sessuale. Il DPTS, infatti, configura una patologia che FOCUS può lasciare esiti permanenti, fino ad arrivare a situazioni in cui la persona appare paralizzata come soggetto vivente. Schematizzando, 1/3 della casistica osservata si conclude con diagnosi di disturbi fittizi e psichiatrici comuni, che nulla hanno a che fare con patologia lavorativa. Un altro terzo riconosce, con un elevato grado di compatibilità, nelle condizioni di lavoro il più importante fattore causale (DDA e DPTS), mentre nel restante terzo il disturbo è inserito in un contesto di lavoro in cui il ruolo causale è possibile, anche se non provato. Per stabilire la compatibilità tra situazioni di lavoro e conseguenze sulla salute, si impiegano i comuni criteri di adeguatezza della causa lesiva, esclusione di altri fattori e di compatibilità clinica e cronologica. Data la delicatezza della diagnosi e la difficoltà di verifica dei dati anamnestici, è necessario disporre di elementi sicuri circa l’attendibilità della persona e della storia lavorativa. A questo fine vengono effettuati due diversi colloqui, da parte di un neuropsichiatra e di uno psicologo, ottenendo così, oltre a una conferma o meno dei dati e dell’attendibilità complessiva della persona, anche altri elementi importanti circa lo stile di vita, le relazioni familiari e sociali, tutti dati assai rilevanti ai fini delle conclusioni eziologiche. Inoltre, ove possibile, sono raccolti dati desunti da documenti prodotti o testimonianze dirette o indirette. Infine, con la somministrazione di una complessa batteria di test psicodiagnostici, sono verificati gli aspetti cognitivi, l’equilibrio socio-emotivo e il profilo di personalità, così da ottenere un quadro complessivo del paziente. Questi elementi concorrono ulteriormente a verificare l’attendibilità della persona. Box 2 L’aspetto metodologico della ricerca La ricerca di Ege è stata condotta su un campione di 301 persone che avevano subito il mobbing provenienti da tutte le regioni italiane. Come metodologia è stato utilizzato un questionario, chiamato LIPT (Leymann Inventory of Psychological Terrorism, 1997), approntato da Leymann, che ancora oggi rappresenta lo strumento più popolare e diffuso per la ricerca sul mobbing. Il questionario è stato modificato per approntarlo alla specificità culturale italiana, pur rimanendo fedele nell’impostazione all’originale. NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management Il questionario ha raccolto i dati, in forma anonima, su cinque aree di interesse: Ω informazioni generali sul luogo di lavoro; Ω informazioni generali sulla persona intervistata; Ω informazioni specifiche sulle diverse azioni di mobbing subite; Ω le circostanze del mobbing (chi è il mobber, da quanto tempo subisce attacchi ecc.); Ω le conseguenze riportate a livello di salute psicofisica. 47 FOCUS 80 milioni di giorni lavorativi e 2 miliardi di sterline l’anno. Secondo altre fonti, in Germania il danno annuo causato è 25 valutato in 220 milioni di marchi. La reazione aziendale, non solo italia26 na, di fronte al panorama fin qui descritto appare ancora non delineata. Da un lato, sembra non esserci consapevolezza della gravità del fenomeno o vi è la tendenza ad allontanarlo considerandolo 27 un fastidio o una nuova seccatura, dall’altro, alcune aziende già hanno cominciato ad attrezzarsi per prevenire e gestire la “patologia”, come per esempio IBM, Hewlett-Packard e Volkswagen. Quest’ultima, per esempio, ha sottoscritto un accordo con il sindacato finalizzato a combattere il mobbing: all’interno dell’azienda è stato creato un ruolo organizzativo, terzo rispetto all’azienda, che è il referente al quale possono rivolgersi i lavoratori che ritengono di essere stati colpiti. A tale ruolo è stata attribuita la discrezionalità di intervenire sul fenomeno attraverso diverse leve. La Direzione può OIHCCEPS OLLA REGANAM arrivare, nei casi più gravi, fino al licenziamento dei persecutori. Le motivazioni che spingono un’azienda ad attrezzarsi per prevenire o gestire il fenomeno non sono da cercarsi in un atteggiamento di buonismo nei confronti dei dipendenti, ma derivano da due ragioni fondamentali. La prima ha radici profonde nel codice etico della cultura organizzativa. In questo caso, intervenire è prima di tutto una priorità etica di gestione del business e degli uomini. La seconda ha radici nella consapevolezza dei “costi”, non certo solo economici, che la pratica del mobbing comporta. In tutti i fenomeni psico-sociali, infatti, quando la manifestazione di un non funzionamento si palesa in modo evidente è già troppo tardi: i costi e i tempi di recupero sono elevati. Recuperare una risorsa “vessata” dal mobbing o il clima di un gruppo, ricostruire la fiducia tra le persone e l’organizzazione, riportare l’attenzione energetica delle persone sul lavoro e sugli obiettivi è impresa lunga e complessa. Appare più facile, allora, dotarsi di strumenti di ascolto dei “segnali deboli” per lavorare sulla prevenzione. In tutte le situazioni complesse, infatti, una consapevole diagnosi precoce consente spesso di salvare il sistema. Questo presuppone, da un lato, di disporre di griglie di lettura del contesto organizzativo per intervenire nel minimizzare o contenere quei fattori che predispongono e facilitano lo sviluppo della patologia, e, dall’altro, di essere a conoscenza dei meccanismi, dei copioni di comportamento degli interpreti e delle dinamiche involutive che contraddistinguono il fenomeno. Competenze, entrambe, da considerarsi oggetto dei futuri approfondimenti alla ricerca di risposte in questo nostro appuntamento sulla faccia intangibile del mestiere di manager. 25. Ibidem. 26. Gilioli, Gilioli (2000, p. 26). 27. Ibidem. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Ascenzi G.L., Bergaglio (2000), Il mobbing, Giappichelli, Torino. Brinkmann R. (1995), Mobbing, Bulling, Bossing, Sauer-Verlag. Brunstein I. (1999), L’homme à l’échine pliée, Declée de Brouwer. Casilli A. (2000), Stop mobbing, Ed. Derive Approdi. Cassitto M.G. (2001), “Molestie morali nei luoghi di lavoro: nuovi aspetti di un vecchio fenomeno”, La Medicina del Lavoro, Rivista bimestrale di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, vol. 92, n. 1, p. 14. Davenport N., Schwartz R., Pursell Elliot G. (1999), Mobbing, Emotional Abuse in the American Workplace, Civil Society. de Geus A. (1999), L’azienda del futuro, Franco Angeli, Milano. Del Mare G. (1998), Il benessere del lavoro, Sperling & Kupfer, Milano. Documento di consenso (2001), La medicina del Lavoro, Rivista Bimestrale di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, vol. 92, n. 1. Duriex A., Jourdain S. (1999), L’enterprise barbare, Albin Michel. Ege H. (1996), Mobbing, Pitagora, Bologna. Ege H. (1997), Il mobbing in Italia, Pitagora, Bologna. Ege H. (1998), I numeri del mobbing, Pitagora, Bologna. Ege H., Lancioni M. (1998), Stress e mobbing, Pitagora, Bologna. 48 Gilioli A., Gilioli R. (2000), Cattivi capi, cattivi colleghi, Mondadori, Milano. Hirigoyen M.F. (2000), Molestie morali, Einaudi, Torino. Kakabadse A. (1998), Essence of Leadership, Thomson Business Press. Kratz H.-J. (1998), Mobbing, Uebereuter. Lazzari C. (1997), Vincere le ingiustizie sul lavoro, Pitagora, Bologna. Leymann H. (1993), Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz und wie man sich dagegenwehren kann, Reinbek Rowolht. Leymann H. (1996), “Mobbing and victimization at work”, European Journal of Work and Organizational Psycology, n. 5. Lorenz K. (1963), Das sognante Boese. Zur Naturgeschichte der Aggression, Wien. Lowith K. (2000), Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino. Menelao A., Della Porta M., Rindonone G. (2001), Mobbing: la faccia impresentabile del mondo del lavoro, Franco Angeli, Milano. Monasteri et al. (2000), Mobbing. Vessazioni sul lavoro, Giuffrè, Milano. Saolini P. (2001), Mobbing, i costi umani dell’impresa, Edizioni Lavoro. Spaltro E. (1996), Il buon lavoro, Edizioni Lavoro. Vaccani R. (2001), “Il mobbing, vocabolo nuovo semantica antica”, Economia & Management, 6. NO 3 MAGGIO - GIUGNO 2002 Economia & Management