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realtà vicina o lontana? - Università degli Studi dell`Insubria

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realtà vicina o lontana? - Università degli Studi dell`Insubria
MANAGER ALLO SPECCHIO
FOCUS
IL MOBBING:
REALTÀ VICINA O LONTANA?
di Paola Caiozzo
D
I FRONTE A UN FENOMENO CHE RAPPRESENTA UN RICCO SPACCATO DELLE DINAMICHE
PSICO-SOCIALI NELL’ORGANIZZAZIONE, SI È PENSATO DI FARE DEL MOBBING L’OGGETTO
DI TRATTAZIONE DI UN PERCORSO DI APPROFONDIMENTO. TALE PERCORSO, PARTITO CON
L’INQUADRAMENTO SOCIO-ORGANIZZATIVO PROPOSTO DA ROBERTO VACCANI NEL NUMERO 6,
DICEMBRE 2001 DELLA RIVISTA, CERCHERÀ DI COGLIERE LE DIVERSE “FACCE” CHE IL MOBBING
PUÒ ASSUMERE ATTRAVERSO LO STUDIO DI TEMATICHE SPECIFICHE.
L’ANALISI DELLA MATERIA È STATA, E SARÀ, SUPPORTATA E INTEGRATA DALLA COLLABORAZIONE
DEL CENTRO PER LA PREVENZIONE, DIAGNOSI, CURA E RIABILITAZIONE DEL DISADATTAMENTO
LAVORATIVO (CDL) DELLA CLINICA DEL LAVORO “LUIGI DEVOTO” DI MILANO CHE HA ORMAI ACCUMULATO UNA LUNGA ESPERIENZA NELLA RILEVAZIONE E NEL TRATTAMENTO DEL MOBBING.
DETERMINANTE È STATO, IN TAL SENSO, IL CONTRIBUTO DEL PROF. RENATO GILIOLI E DELLA SUA
ÉQUIPE PER LA DISPONIBILITÀ A OFFRIRE LA LORO ESPERIENZA E COMPETENZA NELL’INTENTO DI
FORNIRE UN QUADRO QUANTO PIÙ COMPLETO E ATTUALE DEL FENOMENO.
IN QUEST’OTTICA, L’ARTICOLO CHE SEGUE SI PROPONE DI DARE UN INQUADRAMENTO DEL TEMA
PER CHIARIRNE ORIGINI, SIGNIFICATI, DIMENSIONI E CONTESTI SOCIALI E AZIENDALI DI SVILUPPO, NONCHÉ DI ACCENNARE ALLE POSSIBILI CONSEGUENZE PER GETTARE LE BASI DI UNA RIFLESSIONE SULLE POSSIBILI AZIONI DA INTRAPRENDERE PER CONTRASTARLO.
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Economia & Management
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FOCUS
OIHCCEPS OLLA REGANAM
Fra i diversi copioni sociali, brillanti o
drammatici, che trovano il loro palcoscenico nelle organizzazioni, quello del mobbing sembra oggi avere assunto un ruolo
di primo piano. Le motivazioni che sottendono tale protagonismo sono diverse,
non tanto perché trattasi di un qualcosa di
“nuovo”, ma perché oggi l’ampiezza, la diffusione e la specificità del caso hanno
assunto dimensioni tali da diventare un
fenomeno sociale sovranazionale che
induce ripercussioni sulle diverse dimensioni dei sistemi paese, toccandone gli
aspetti sanitari, legislativi, previdenziali,
pensionistici, sindacali, economici ecc. È
in tale scenario che si colloca la risoluzione A5-0283/2001 del Parlamento Europeo sul mobbing nel posto di lavoro del
20/9/2001.
La risoluzione, tra le altre cose,
richiede agli Stati membri:
Ω di dedicare attenzione consapevole al fenomeno stimolando il confronto tra gli Stati
per assumere le misure del
caso, adeguando opportunamente gli strumenti assistenziali (in Germania è già in vigore il prepensionamento), giudiziari (in Svezia e Francia esiste il reato di
mobbing) e legislativi. In tal senso, tra l’altro, il Parlamento prevede per l’ottobre
2002 o di emanare una direttiva specifica sull’argomento cui gli Stati membri
dovranno adeguarsi, o di richiedere agli
stati membri l’adeguamento normativo;
Ω di studiare da vicino il fenomeno in
relazione sia agli aspetti attinenti all’or-
ganizzazione del lavoro dove il fenomeno si sviluppa, sia a quelli legati a fattori
di età, genere, settore e tipo di professione dei soggetti che lo subiscono;
Ω di imporre alle imprese, ai pubblici
poteri e alle parti sociali l’attuazione di
1
politiche di prevenzione efficace.
I numeri del mobbing
Tra le motivazioni che hanno spinto l’UE
ad assumere posizione ci sono i risultati
di una ricerca della Fondazione di Dublino (European Foundation for the Impro-
vement of Living and Working Conditions) pubblicati nel dicembre 2000.
I dati della ricerca sono stati raccolti attraverso interviste su un campione di 21.500
lavoratori negli Stati membri.
L’8% degli intervistati, che rappresentano statisticamente circa 12 milioni di persone, erano stati oggetto di mobbing sul
2
posto di lavoro negli ultimi dodici mesi.
I dati nazionali dei diversi Stati membri
sembrano confermare il dato globale, evidenziando la diffusione del fenomeno.
Tuttavia, il peso da attribuire ai numeri
riportati in tabella 1 deve tener conto del
fatto che, nonostante oggi il fenomeno sia
più approfondito e chiaro nei suoi contorni e specificità rispetto a qualche anno
fa, i sistemi di osservazione e classificazione del mobbing, così come la terminologia di riferimento, sono disuguali sia tra i paesi, sia, talvolta,
all’interno dello stesso paese.
Gli aspetti della cultura di
fondo del paese oggetto d’indagine, poi, influenzano
significativamente l’atteggiamento nei confronti del problema. Per esempio, un comportamento considerato antisociale in un paese può essere tollerato in
quanto inerente al lavoro in un altro. Gli
aspetti legislativi che regolano i rapporti di lavoro, la struttura socio-economica, il livello di sensibilizzazione e di consapevolezza nell’opinione pubblica sono
ulteriori elementi di differenziazione
nell’approccio al problema da parte dei
diversi paesi.
In quest’ottica, la marcata differenza esistente tra l’Italia (4,2% di mobbing rilevato) e i paesi del Nord Europa (in media
circa 15% di mobbing rilevato) non
dovrebbe sorprendere. Essa è soggetta a
tre tipi d’interpretazione, o meglio, concause che aiutano a spiegare il fenomeno.
In prima istanza, la differenza potrebbe
rappresentare un dato reale che sottolinea il gap temporale esistente tra le trasformazioni socio-economiche di quei
Un comportamento
considerato antisociale in un
paese può essere tollerato
in quanto inerente al lavoro
in un altro
1. Relazione sul mobbing sul posto di lavoro
(2001/2339 (INI)), Commissione per
l’occupazione e gli affari sociali, relatore
Jan Andersson, 16 luglio 2001.
2. European Foundation for the Improvement
of Living and Working Conditions, “Second
European Survey on working conditions”, 1997,
Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
Comunità Europee.
3. European Foundation for the Improvement
of Living and Working Conditions, “Second
European Survey on working conditions”, 1997,
Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
Comunità Europee.
38
3
Tabella 1 Diffusione del mobbing nella UE
Paese
Percentuale di lavoratori
oggetto di mobbing
Gran Bretagna
16,3%
Svezia
10,2%
Francia
9,9%
Irlanda
9,4%
Germania
7,3%
Spagna
5,5%
Belgio
4,8%
Grecia
4,7%
Italia
4,2%
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Economia & Management
MANAGER ALLO SPECCHIO
paesi e quelle che stanno iniziando a
manifestarsi in Italia solo di recente. Se
così fosse, ci si potrebbe aspettare nel
nostro paese un significativo aumento
del fenomeno nel medio periodo.
Un’altra lettura della minore rilevanza
del fenomeno del mobbing in Italia
potrebbe essere spiegata in base a un dato
culturale. Potrebbe infatti esistere una
diversa sensibilità nell’ambito dei rapporti interpersonali su quali atteggiamenti e quali comportamenti possono
essere ritenuti accettabili e sopportabili
in termini di rispetto della dignità
umana, inducendo una diversa tolleranza allo stesso fenomeno.
Infine, dobbiamo considerare che in Italia il fenomeno ha assunto rilevanza solo
recentemente, per cui la scarsa diffusione e la mancanza di conoscenza del problema potrebbero avere inficiato la rilevazione. Il forte valore dei dati sopra
riportati, comunque, è rintracciabile più
che nel significato numerico, nel fatto di
aver posto in luce la punta di un iceberg
di cui si sta cercando di rintracciare le
dimensioni e la velocità d’impatto.
Il lessico del mobbing
L’espressione “mobbing” con cui sono
definite in Italia le molestie morali sul
luogo di lavoro è stata mutuata dalle ricerche e dalla letteratura internazionale d’origine scandinava e germanica. Il termi4
ne, coniato da Konrad Lorenz, deriva dall’etologia, dove è utilizzato per definire il
comportamento di accerchiamento di
uno stormo di uccelli verso un suo elemento che deve essere escluso. È stato
introdotto per la prima volta in ambito
5
lavorativo da Heinz Leymann per descrivere situazioni di violenze morali e psicologiche che possono verificarsi nell’ambito organizzativo e che conducono
all’esclusione o all’eliminazione del soggetto che le subisce. Lo stesso fenomeno
viene identificato con termini diversi a
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FOCUS
Box 1 Eterogeneità definitoria del mobbing
“Azioni comunicative negative, dirette contro un individuo (da una
sola a da molte persone) che occorre molto spesso e per un
lungo periodo di tempo, che caratterizzano la relazione persecutore/ vittima” (Leymann 1993).
“Azioni ripetute che portano a disagi mentali, a volte anche fisici, e
dirette verso una o più persone che, per qualche ragione, non
sono in grado di difendersi; questa la definizione generale di
violenza, ma la violenza sessuale consiste in un unico episodio,
mentre il bullying non è né un singolo episodio né un conflitto a breve termine tra individui con pari forze, che generalmente ripristina l’equilibrio al suo termine. Il bullying è
una forma di aggressione a lungo termine diretta verso una
persona che non è capace di difendersi, e che porta alla sua vittimizzazione. La vittima è esposta a un’escalation dell’aggressione che porta alla perdita della stima di sé e ad un crescente stress mentale” (Bjorkqvist, Osterman, Hielt-Back 1994).
“Il bullying si caratterizza per la violenza fisica, rara nel mobbing,
che prevede comportamenti più sofisticati. La differenza tra il
conflitto e il mobbing non consiste in chi fa che cosa, ma nella
frequenza e nella durata delle azioni negative. La definizione
scientifica è: interazione sociale in cui un individuo (raramente più di uno) è attaccato da uno o più altri (raramente più
di quattro) quotidianamente e per un periodo di alcuni mesi,
costringendo la persona in una posizione di impotenza e di
rischio potenziale di espulsione dal mondo del lavoro” (Leymann 1996).
“Mobbing come comportamento sociale negativo, una sottospecie di
stressor sociale sul lavoro. Gli stressors sociali sono relativi
alle relazioni sociali, ma il mobbing si differenzia perché
interviene solo in situazioni di diseguaglianza di potere e
occorre frequentemente e per un lungo periodo. Diversamente dagli altri tipi di stressors sociali, il mobbing è un conflitto protratto nel tempo la cui gravità aumenta progressivamente, esercitato verso una persona bersaglio” (Zapf 1999).
seconda del paese in cui si sono sviluppati gli studi e le ricerche e in dipendenza dai punti di vista con cui si è approcciato il problema. Così, in Gran Bretagna
viene definito bullying (Andrea Adams,
Tim Field), in Francia harcèlement moral
(Hirigoyen), negli USA work abuse (Judith
Yatt, Chauncey Hare), così come poi si
usano anche le parole harassement,
employee abuse, terrorismo psicologico, bossing, molestie morali, molestie sessuali, molestie psicologiche ecc. Talvolta i termini vengono usati come sinonimi, talvolta no. Per
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esempio, l’alternativa nell’uso della parola bullying o mobbing deriva dal background culturale e scientifico degli studiosi che hanno affrontato il problema: la
prima è stata adottata da un filone di ricerca che negli anni settanta iniziò ad
approfondire il fenomeno nei gruppi di
bambini e adolescenti nella scuola, mentre la seconda nasce in un filone di ricerca che analizzava lo stesso fenomeno tra
4. Cfr. Lorenz (1963).
5. Cfr. Leymann (1993).
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FOCUS
OIHCCEPS OLLA REGANAM
Germania: mobbing
Inghilterra: bullying, harassment
Spagna:
Francia:
acoso moral
harcèlement
MOBBING
Italia:
mobbing
Portogallo: assédio
Svezia:
mobbing
BULLYING
MOBBING
HARCÈLEMENT
ASSÉDIO
MOBBING
ACOSO
MORAL
Figura 1 Eterogeneità terminologica del mobbing
i lavoratori nel luogo di lavoro. Bullying,
inoltre, ha una connotazione di
molestia e maltrattamento sia fisico sia psicologico, mentre il
mobbing è caratterizzato da
molteplici e sofisticati comportamenti che raramente
hanno manifestazioni fisiche.
E ancora, il termine bossing è
spesso utilizzato come sinonimo
di mobbing, pur rappresentando
solo una parte del fenomeno, cioè quel
tipo di mobbing che è generato e agito da
un diretto superiore in gerarchia. Rientra
quindi nella fattispecie del mobbing, ma
ne rappresenta un aspetto parziale. L’eterogeneità dei termini è talvolta rappresentata anche nella eterogeneità delle
definizioni che sono variamente presenti nella letteratura. Nel box 1 se ne sono
citate alcune con l’intento di mostrare
similitudini e differenze. Anche se le differenze semantiche nei termini utilizzati non sono sostanzialmente rilevanti, l’eterogeneità e la frammentazione di questi e le differenze definitorie non aiutano
a inquadrare in modo definitivo il fenomeno e a renderlo comparabile.
pre con intenzionalità lesiva, ripetuta in
modo iterativo, con modalità polimorfe;
l’azione persecutoria è intrapresa per un
periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno sei mesi sulla base dei
primi rilievi nordeuropei, ma con ampia
variabilità dipendente dalle modalità di
attuazione e dai tratti della personalità dei
soggetti, con finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto
di lavoro”. E ancora “… si distinguono:
Ω un mobbing strategico, che corrisponde a un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte della stessa
azienda e/o del management aziendale,
che, con tale azione premeditata e programmata, intende realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato lavoratore o il suo allontanamento dal lavoro;
Ω un mobbing emozionale, o
relazionale, strictu sensu, che
deriva invece da un’alterazione
delle relazioni interpersonali
(esaltazione ed esasperazione
dei comuni sentimenti di ciascun individuo di rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, paura
ecc.) sia di tipo gerarchico sia tra
colleghi;
Ω un mobbing senza intenzionalità
dichiarata, nel casi in cui non vi sia, da
parte del management aziendale, una precisa volontà strategica di eliminare o condizionare negativamente un determinato
lavoratore con azioni di violenza psicologica … In questo caso l’azienda è responsabile in quanto non in grado sia di individuare tempestivamente tale condizione
sia di arginare e sanare efficacemente. In
termini tecnici, in quest’ultimo caso, da
parte del management aziendale non vi è
6
dolo, ma colpa di omissione”.
Il mobbing
è caratterizzato da molteplici
e sofisticati comportamenti
che raramente hanno
manifestazioni fisiche
6. Documento di consenso (2001).
7. Cfr. Leymann (1993).
40
La definizione del mobbing
in Italia
L’Italia, in termini di ricerca e di approccio al mobbing, si rifà alla scuola scandinava adottandone terminologia e approccio metodologico di indagine.
Importante è oggi la definizione data al
fenomeno nel nostro paese, che scaturisce dalla condivisione delle esperienze e
degli approcci di istituzioni diverse.
Il frame comune e omogeneo di riferimento dice: “Il mobbing è comunemente definito come una forma di molestia o
violenza psicologica esercitata quasi semNO 3
Quale che sia la tipologia di mobbing, il
fenomeno è sempre connotato da una
serie di azioni che possono essere rag7
gruppate in cinque categorie:
Ω attacchi alla possibilità di comunicare
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(il capo e/o i colleghi limitano le possibilità di esprimersi della vittima, la si interrompe mentre parla ecc.);
Ω attacchi alle relazioni sociali (isolamento, interruzione delle comunicazioni, ci si comporta come se la vittima non
esistesse ecc.);
Ω attacchi all’immagine sociale (si sparla
alle spalle della vittima, la si ridicolizza,
la si sospetta di essere malata di mente
ecc.);
Ω attacchi alla qualità della situazione
professionale (non si affidano più alla vittima compiti da svolgere o gli si affidano
compiti senza senso, mansioni molto al
di sotto della sua qualificazione o molto
al di sopra per indurla in errore; le si cambia mansione continuamente ecc.);
Ω attacchi alla salute (si assegnano
compiti inadatti o dannosi alla salute, non si tiene conto del giudizio
e delle indicazioni del medico
competente ecc.).
più cause vicine e lontane, di concause e
dei legami tra queste, forse si potrà far
luce su quali sono:
Ω i fattori esogeni che giocano un ruolo
determinante nel predisporre le precondizioni di contesto economico e organizzativo affinché il mobbing possa attecchire;
Ω i fattori endogeni che intervengono
accelerando o intensificando il fenomeno una volta che questo è attecchito.
Per usare una metafora botanica, bisogna
contemporaneamente identificare quegli
elementi di microclima, di composizio-
FOCUS
storia della cultura occidentale si sia sviluppata una sensibilità consapevole su
quali atteggiamenti e/o comportamenti
possano essere ritenuti accettabili o sopportabili in termini di rispetto della
8
dignità umana. Questa consapevolezza
ha subito un’accelerazione a mano a
mano che il principio di mutuo riconoscimento come individui si confermava
come fattore essenziale per lo sviluppo
morale della società e come base per i
9, 10
futuri modelli di interazione sociale.
È attraverso il riconoscimento altrui,
infatti, che i soggetti si riconoscono come
persone e danno espressione sociale ai
propri bisogni soggettivi. Se questo
assunto è vero in tutte le dimensioni della
vita, risulta determinate nell’esperienza
lavorativa, che rappresenta la massima
11
sede dell’espressività individuale.
Una seconda tendenza in atto è
relativa a una maggiore pressione sui lavoratori dovuta alle
modifiche che le modalità di
lavoro stanno subendo negli
ultimi anni in ragione delle esigenze economiche di globalizzazione, produttività e flessibilità.
La prima, la globalizzazione, sposta la competizione a livello mondiale e spinge verso fenomeni di concentrazione e razionalizzazione della forza lavo12
ro. Tale fenomeno per il singolo può
significare che le condizioni del mondo
del lavoro, così come i cambiamenti che
lo riguardano, si svolgano totalmente al
di fuori della sua possibilità di controllo.
Egli, quindi, può avere grosse difficoltà
ad avvertire cosa stia accadendo, percependo le modifiche ambientali solo dopo
13
che esse si sono compiute.
Una maggiore pressione
sui lavoratori viene
esercitata dalle esigenze
di globalizzazione, produttività
e flessibilità
Le azioni delle cinque categorie si possono o meno presentare congiuntamente, ma quello che le contraddistingue nel
mobbing è la loro intensità crescente, la ripetitività, la frequenza e il
perdurare nel tempo.
Le motivazioni del mobbing
I diversi filoni di ricerca che in questi anni
hanno approfondito il fenomeno nelle
sue caratteristiche e manifestazioni
intrinseche hanno parallelamente cercato di rintracciare quali potessero essere i
fattori che in qualche modo lo influenzano in quanto cause dirette o indirette.
La complessità prevalente nel ragionare
sui modelli causali del mobbing consiste
nella difficoltà di rintracciare relazioni di
causa ed effetto tra uno o più fattori e l’innescarsi della patologia.
In un siffatto scenario, solo con un
approccio sistemico che tenga conto di
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ne del terreno e di composizione delle
acque che aiutano o stimolano in generale un parassita ad attaccare una pianta
per poi andare a porre in evidenza quali
specificità la pianta mette in atto per stimolare e sostenere la crescita di tale
parassita.
I fattori esogeni
Il punto di vista socio-economico
La letteratura, che segue un approccio
situazionale, evidenzia due tendenze che
concorrono a identificare i fattori dello
scenario socio-economico che può fare da
terreno di coltura per la crescita del mobbing. Una prima evidenzia come nella
Economia & Management
8. Cfr. Cassitto (2001, p. 14).
9. Cfr. Lowith (2000).
10. G.H. Mead (1934), Mind, Self and Society,
Chicago University Press, Chicago.
11. Cassitto (2001, p. 14).
12. Cfr. Duriex, Jourdain (1999).
13. Cassitto (2001, p. 14).
41
FOCUS
La ricerca di maggiore produttività, poi,
spinge le imprese verso risultati sempre
più sfidanti a parità di organici o talvolta
con una riduzione di organici. Quando,
però, l’aumento di produttività non è ottenuto attraverso una migliore organizzazione del lavoro o con il supporto della
tecnologia, possono nascere problemati14
che legate al “surmenage” lavorativo. Il
burn out, per esempio, cioè l’esaurimento di ogni energia, lo svuotamento psichico del soggetto sottoposto a iperlavoro, è considerato una conseguenza diretta della moltiplicazione di quegli ambienti di lavoro dove il culto dell’iperproduzione finisce per ghettizzare quanti non
15
si adeguano a questa ideologia.
La flessibilità, infine, richiede ai soggetti
una maggiore capacità di adattamento
per seguire le rinnovate esigenze produttive, di mercato ed economiche. Tale
elemento può indurre per il singolo una
visione del proprio lavoro caratterizzata
da instabilità permanente. Tramontando,
inoltre, l’idea di un lavoro che rimane stabile tutta la vita, di una carriera che si
svolge all’interno di una stessa azienda o
ente, può nascere la percezione di non
consolidare l’esperienza in termini di
competenze acquisite e di status sociale,
generando una maggiore insicurezza del
soggetto.
Dall’incontro di queste due opposte tendenze, cioè l’acquisita consapevolezza e
la necessità di riconoscimento del proprio valore e la depersonalizzazione dell’attuale mondo del lavoro ancora in trasformazione si è creato il terreno favorevole al nascere del mobbing.
Il punto di vista organizzativo
La ricerca che ha centrato l’attenzione sui
sistemi organizzativi, di matrice prevalentemente scandinava e inglese, ha cer14. Cfr. Gilioli, Gilioli (2000).
15. Ibidem.
16. Vaccani (2001).
17. www.mobbing3000.it
42
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cato di isolare quei componenti del sistema che avessero maggiore influenza nel
creare le condizioni favorevoli al mobbing.
In modo particolare Cummis (1989)
mette in luce la relazione tra determinati settings organizzativi e l’occorrenza del
bullying. Tale studio rappresenta la prima
evidenza empirica della stretta correlazione tra fattori organizzativi, intesi come
stressors organizzativi, e il bullying.
Nel riportare le principali conclusioni cui
i diversi filoni di ricerca sono oggi arrivati, bisogna tenere conto del contesto in
cui le ricerche sono state condotte e della
necessità di ampliare e approfondire una
tematica non ancora del tutto esplorata.
Nella presentazione dei fattori organizzativi identificati tra le cause che concorrono alla costruzione dei “set” in cui il
mobbing viene agito si farà riferimento
alle macroclassi di analisi organizzativa.
16
Esse sono riconducibili a:
Ω l’impianto organizzativo nei suoi
aspetti strutturali;
Ω i meccanismi operativi, cioè tutti quei
meccanismi ufficiali e formali che orientano i processi di lavoro, i processi di controllo delle risorse organizzative e i processi di verifica di risultati;
Ω i comportamenti organizzativi, cioè
tutti i fenomeni legati alla personalità
degli attori aziendali, alle relazioni interpersonali, alle dinamiche di gruppo, agli
stili di leadership, ai climi e alla cultura
organizzativa.
Non esiste una gerarchia tra queste
macroclassi né in termini di importanza
né di prevalenza, ma è la visione integrata
del ruolo giocato dai diversi fattori che
può aiutare a spiegare le diverse situazioni organizzative. Per quanto riguarda
la prima macroclasse – l’impianto organizzativo – tra i fattori predisponenti il
mobbing troviamo l’ambiguità di ruolo,
il conflitto di ruolo, il sottoutilizzo delle
abilità, il sovraccarico di lavoro e l’inadeguatezza delle risorse rispetto agli obiettivi (Einarsen 1994; Cummins 1989).
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Quanto ai meccanismi operativi, rileviamo l’assenza di partecipazione e di interazione tra i collaboratori e con i superiori, il mancato presidio delle modalità
di comunicazione interna (Einarsen
1994; Cummins 1989), l’inadeguato
livello di controllo del proprio lavoro e la
ridotta o nulla possibilità di crescita professionale e di carriera (Cooper 1989).
Circa i comportamenti organizzativi,
infine, troviamo la mancanza di partecipazione e di interazione tra i collaboratori e con i superiori in termini relazionali, il clima sociale, la sfida, il conflitto
e la cattiva leadership (Cooper 1989).
Nella classe “impianto organizzativo”,
uno dei fattori che è stato approfondito
come stressor organizzativo è il conflitto
di ruolo, che risulta provocare rabbia e
ostilità latente e fungerebbe da antecedente del mobbing. I risultati sono in
linea con l’ipotesi revisionata della frustrazione-aggressione (Berkowitz 1989),
dove viene ipotizzata una relazione diretta tra stressors organizzativi e reazione
aggressiva.
L’approccio interazionista o di interazione sociale (Felson 1992) fornisce un
modello alternativo all’aggressività.
Secondo Felson esisterebbe una relazione inversa tra stressors organizzativi come
il conflitto di ruolo e l’aggressività che si
esplicherebbe attraverso gli effetti sul
comportamento della vittima. Un lavoratore stressato può percepire in modo
distorto le aspettative sul suo comportamento, disturbare gli altri lavoratori, violare le norme sociali, lavorare in maniera meno competente e provocare così reazioni aggressive negli altri. Questo
modello causale vede il mobbing partire
dalla vittima che induce l’aggressore a
17
mettere in atto mobbing.
Tra i comportamenti organizzativi, poi, il
tema della leadership rimanda necessariamente alla “cultura organizzativa”.
Risulta evidente che là dove vige una cultura che permette e ricompensa la vessazione, una cultura che si esplica in una
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leadership autoritaria, gerarchica e rigida, il mobbing sarà fisiologico ed endemico di quella organizzazione. Secondo
Brodsky (1976), episodi di mobbing possono verificarsi solo là dove l’aggressore
percepisca l’appoggio, quanto meno
implicito, dei superiori. Se tale percezione viene a mancare, il rischio che l’aggressore diventi egli stesso vittima di
attacchi da parte dei suoi superiori diventa alto. Questo porta a riflettere sul concetto di tolleranza organizzativa e di cul18
tura organizzativa.
I fattori endogeni
Tratti di personalità
La ricerca sul ruolo giocato dai tratti di
personalità nel fenomeno mobbing
segue un approccio disposizionale.
Adduce, cioè, come causa principale dell’innescarsi del fenomeno i
fattori di personalità. Nata nell’ambito dello studio del bullying tra gli adolescenti, è stata
poi riportata nei contesti lavorativi e sugli adulti (Olweus
1990).
In quest’ottica, è possibile tracciare un profilo tipico della vittima
come ansiosa, insicura di sé, cauta e
sensibile, che vede indebolire la propria
autostima come conseguenza del bullying. Nel contesto lavorativo, la vittima
viene descritta come coscienziosa, con
una visione irrealistica di sé e della situazione che vive (Brodsky 1976, in Einarsen et al. 1994).
Tuttavia, Bjorkqvist et al. (1994) ritengono che non ci siano prove empiriche sufficienti a tracciare un profilo tipico della
vittima, ma che chiunque si trovi in una
posizione di minore potere possa diventarlo. È quindi necessario che ci siano
posizioni di asimmetria di potere o di
ruolo affinché il fenomeno si sviluppi.
Viceversa anche essere un bullo è un tratto stabile di personalità: il tipico profilo
del bullo vede una persona aggressiva,
sicura di sé, incapace di empatia, che
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prova piacere nel vedere la sofferenza
della sua vittima, che non ha acquisito il
valore del rispetto degli altri e le competenze sociali adatte a sviluppare una civile interazione sociale (Bjorkqvist et al.
1994).
Secondo questo modello causale, il mobbing avrebbe inizio a partire dal tormentatore. Altri autori ritengono che sia
la personalità della vittima a indurre nell’altro la reazione aggressiva (Berkowitz,
Einarsen 1998a, 1999b; Zapf 1999).
In alcuni testi viene dato molto rilievo alla
responsabilità dell’insorgere del mobbing alle caratteristiche di personalità sia
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nale. Tuttavia, questa posizione viene
sostenuta anche da molti psicologi clini19
ci (Zapf 1999).
Le ricerche scientifiche, basate su studi
empirici più approfonditi (quelle sopra
riportate), dimostrano come siano invece
determinanti più i fattori situazionali che
le caratteristiche di personalità della vittima; queste possono entrare in gioco solo
in fasi successive, allorquando il mobbing
si è già innescato, e fungere magari da
giustificazioni retroattive (Leymann
1996; Gilioli 2000; Hirigoyen 2000).
La situazione Italiana
In una cultura che
ricompensa la vessazione,
con leadership gerarchica
e rigida, il mobbing
sarà fisiologico
della vittima sia dell’aggressore e vengono ampiamente descritti i profili del tipico mobber e del tipico mobbizzato
(Adams 1992a, 1992b; Brodsky 1976).
Molte delle ricerche in tale filone sono il
frutto di indagini a carattere popolare,
basate prevalentemente sulla raccolta
delle esperienze dirette di lavoratori coinvolti in simili situazioni. È già stata
discussa la tendenza psicologica delle
persone ad attribuire la causa del proprio
vissuto a fattori di personalità, secondo il
meccanismo dell’errore fondamentale di
attribuzione. Non deve stupire, quindi, se
in questi ambiti si è arrivati automaticamente a conclusioni di tipo disposizio-
Economia & Management
In Italia, l’attenzione al fenomeno del
mobbing ha iniziato a crescere da qualche anno e il proliferare di convegni, workshop e pubblicazioni
sulla materia può essere un
indicatore della tendenza in
atto. Tuttavia, l’argomento è
ancora accolto con diffidenza
e talvolta pregiudizio in molti
ambienti.
Tale posizione è da attribuirsi a
diversi fattori, tra i quali ricordiamo:
Ω la non comprensione della “novità”
e lo stupore rispetto all’enfasi attribuita a
un qualcosa che è sempre esistito,
confondendo spesso le tensioni conflittuali con le situazioni di mobbing;
Ω la poca chiarezza del fenomeno che,
se appare già definito nei sintomi e nelle
conseguenze che produce, non è ancora
altrettanto chiaro nell’identificazione
delle cause e concause che direttamente
o indirettamente lo hanno generato;
Ω la distanza tra i “luoghi” in cui le
problematiche vengono trattate (ambiti medici) e il “luogo” in cui le problematiche si sono manifestate (ambito
lavorativo).
18. www.mobbing3000.it
19. www.mobbing3000.it
43
FOCUS
OIHCCEPS OLLA REGANAM
Tuttavia, anche la situazione italiana non
differisce da quella europea e il fenomeno in questi anni è in “apparente” crescita: apparente perché è difficile stimare se la crescita rappresenti un dato reale
o semplicemente l’indicatore di un fenomeno sommerso che fino ad oggi non
aveva legittimità di apparire.
Un primo riferimento sul fenomeno è l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la
Sicurezza del Lavoro (ISPESL), che nel
1999 ha istituito, presso il laboratorio di
Psicologia e Sociologia del Lavoro in
Roma, un centro di ascolto con larga
utenza nazionale. Il Centro, divenuto di
fatto un osservatorio in grado di monitorare l’andamento del fenomeno, alla fine
dello scorso anno annoverava una casistica di 2209 soggetti.
Pur mancando ampie e strutturate rilevazioni quantitative, il contributo più
significativo per dare una fotografia del
fenomeno è tuttavia quello che si può
ottenere dall’analisi dei dati raccolti dal
1996 a oggi dall’altro ente di riferimento sul fenomeno del mobbing in Italia, il
Centro per la Prevenzione, Diagnosi,
Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo dell’Azienda ospedaliera
Istituti Clinici di Perfezionamento, Clinica del Lavoro “L. Devoto” (box 1).
Tale centro rappresenta il riferimento storico italiano per il mobbing, ed è anche
un caso unico nel panorama europeo per
Figura 2 Ricoveri. Fonte: Centro per la
Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione
del Disadattamento Lavorativo (CDL) della
Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano
R I C O V E R I
I N
P R O V E N I E N Z A
Privato
56%
Pubblico
44%
G E N E R E
femminile
53%
maschile
47%
aver strutturato una ricerca, una raccolta
e una valutazione di dati clinici legati al
mobbing. Come precedentemente accennato, la raccolta dei dati è iniziata nell’aprile del 1996 e al 31/12/2001 sono stati
esaminati 2236 casi (figura 2).
È immediatamente visibile il tasso di
incremento della domanda di ricoveri
correlati con episodi di mobbing che ha
visto un aumento, tra il 1998 e il 2001,
del 349%.
La riduzione del tasso di crescita tra il
2000 e il 2001 non è indicativa di una
riduzione delle richieste, ma è spiegata
dalla difficoltà del centro di far fronte alle
domande. Nell’ultimo anno, infatti, i
D A Y
H O S P I T A L
800
700
600
668
707
2000
2001
500
483
400
300
200
100
0
44
246
132
1997
1998
1999
NO 3
Figura 3-4 Provenienza, Genere
Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi,
Cura e Riabilitazione del Disadattamento
Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro
“Luigi Devoto” di Milano
tempi di attesa si sono allungati fino a
quattro e cinque mesi dalla richiesta
d’aiuto. Tale dato preoccupa l’équipe del
centro che, oltre a cercare di lavorare sul
dimensionamento interno, ha iniziato
una serie di collaborazioni con altri centri presenti sul territorio nazionale per
formare nuove équipe e duplicare l’esperienza che il centro in questi anni ha accumulato. L’obiettivo è sviluppare competenze diffuse sul territorio nazionale.
È da citare, a questo proposito, l’istituzione di strutture, per esempio, presso
l’Istituto di Medicina del Lavoro, II Università di Napoli, presso il Distretto 44
della ASL Napoli 1, presso la ASL di Roma
RME e recentemente presso l’Istituto di
Medicina del Lavoro dell’Università di
Pisa e la ASL di Pescara.
Tutte le domande che arrivano al Centro
sono legate a disagi (problemi di adattamento) nati nel contesto lavorativo. Tra
queste, il 35% riguarda casi classificabili
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MANAGER ALLO SPECCHIO
come a elevata probabilità di mobbing; il
30%, casi con media probabilità di mobbing e il restante 25%, casi estranei al mobbing. Le percentuali non hanno bisogno
di commenti ulteriori. Più del 50% della
popolazione che arriva al centro è già in
terapia con psicofarmaci: dato considerato, dal punto di vista clinico, allarmante.
Da un esame a campione della popolazione si evince che la provenienza delle
domande è da imputarsi per il 56% al settore privato e per il 44% al settore pubblico (figura 3).
La provenienza geografica dei casi è per
il 50% lombarda, mentre il restante 50%
è suddiviso su tutta Italia. Questo dato è
ovviamente influenzato dalla posizione e
reputazione del centro.
La composizione del campione è equilibrata tra uomini e donne, con un leggera prevalenza delle donne (figura 4), dato
che si discosta dalle rilevazioni degli altri
Stati europei, che vedono una prevalenza netta di donne rispetto agli uomini.
Riguardo all’età, la scolarità e le mansioni
ricoperte si evince che sono più colpite le
classi di età medio-alte – il 46% del camE T À
M A N S I O N I
Dirigente
10,00%
Libero professionista
1,34%
Operaio
5,33%
Insegnante
4,67%
Quadro
21,33%
Impiegato
57,33%
pione è nella fascia tra i 45 e i 54 anni (figura 5) – e che vi è una prevalenza di titoli
di studio medio-alti (persone in possesso
di diploma 33%, di laurea 55%, figura 6).
Le più recenti rilevazioni del centro, tuttavia, sembrano indicare anche un
aumento delle componenti meno scolarizzate. Quest’ultimo dato può essere correlato alla rilevazione sulle mansioni
ricoperte dalle persone che compongono
Figura 5-6 Età, Scolarità in anni di studio
Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi,
Cura e Riabilitazione del Disadattamento
Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro
“Luigi Devoto” di Milano
I N
A N N I
55+
5%
23-34
12%
45-54
47%
35-44
36%
S C O L A R I T À
I N
A N N I
D I
S T U D I O
Meno di 8
12%
Oltre 14
55%
NO 3
MAGGIO - GIUGNO 2002
FOCUS
Tra 9 e 13
33%
Economia & Management
Figura 7 Mansioni
Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi,
Cura e Riabilitazione del Disadattamento
Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro
“Luigi Devoto” di Milano
il campione (figura 7). Risulta prevalente la presenza di impiegati, per il 57,3%,
e quella dei quadri per un 21,3%, ma
appare comunque significativa la presenza di un 10% di dirigenti.
Gli operai sono chiaramente sottorappresentati. La loro scarsa presenza andrebbe
discussa a fondo.
Un’ultima rilevazione appare particolarmente interessante: quella della durata
della situazione di mobbing che le persone hanno subito (figura 8).
Le percentuali sulle classi di durata assumono un particolare significato se comparate con le rilevazioni di altri paesi europei. Sembra che gli italiani tollerino più a
lungo la situazione. Le spiegazioni potrebbero essere molteplici e andare da un’interpretazione culturale a interpretazioni
legate al funzionamento del mercato del
lavoro italiano, ma non esistono allo stato
attuale dati che consentano un approfondimento scientifico. Tuttavia, dal punto di
vista clinico questo dato assume un significato importante perché la persistenza in
uno stato di disagio provoca nel tempo un
peggioramento della sintomatologia e del
quadro clinico generale.
Il quadro offerto dai dati raccolti dal Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e
Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo dell’Azienda Ospedaliera Istituti
Clinici di Perfezionamento, Clinica del
45
FOCUS
OIHCCEPS OLLA REGANAM
D U R A T A
D E L
M O B B I N G
45%
40%
41,0%
35%
30%
25%
20%
27,0%
21,7%
15%
10%
10,3%
5%
0
meno di 1 anno
tra 2 e 4 anni
Lavoro “L. Devoto” sembrano confermare i risultati di una ricerca svolta del 1998
da Harald Ege e pubblicata nel testo I
numeri del mobbing.
Anche in quella ricerca, condotta su 301
casi, risulta un equilibrio tra le differenze di genere (uomini 48% e donne
51%) e la fascia di età colpita (il 47%
tra 41 e 50 anni). Trova altresì conferma il dato sulla scolarità e
sulle mansioni, anche se con
un leggero aumento del numero dei dirigenti (17%).
La provenienza tra il settore
pubblico e quello privato risulta invertita rispetto ai dati della
Clinica del Lavoro, evidenziando
una maggiore presenza nella pubblica amministrazione rispetto al privato.
Tuttavia, nella ricerca di Ege si hanno
informazioni di maggiore dettaglio rispetto ai due settori. Si evince così dall’analisi dei dati che nel settore privato il
fenomeno è presente nelle aziende di
grandi dimensioni con un alto numero
di dipendenti e scarse possibilità di conoscere a fondo sia tutti i colleghi sia l’or20
ganizzazione stessa (box 2).
tra 5 e 9 anni
oltre 9 anni
Figura 8 Durata del mobbing
Fonte: Centro per la Prevenzione, Diagnosi,
Cura e Riabilitazione del Disadattamento
Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro
“Luigi Devoto” di Milano
tanti dell’organizzazione in un clima di
difesa e allerta continue, distogliendo le
energie dal lavoro per indirizzarle verso
la sopravvivenza.
Le recenti posizioni delle teorie di management vedono nella valorizzazione del
capitale umano (asset intangibile), nella
capitalizzazione degli apprendimenti
organizzativi e nell’attenzione alle persone e alle loro potenzialità, la possibilità di
costruire future identità aziendali, con i
23
conseguenti vantaggi competitivi. Il
mobbing lede i presupposti di tali logiche uccidendo la diffusione di creatività,
di comunicazione e di condivisione.
Oltre ai malfunzionamenti immediati
sopra citati, ci sono “effetti collaterali” non
meno importanti. I danni d’immagine,
per esempio, nel momento in cui, come
spesso accade, vengono divulgate
notizie su atti discriminatori perpetrati ai danni dei dipendenti;
o anche i costi legali e sociali
che l’azienda si trova ad affrontare quando i conflitti scaturiscono in cause di lavoro.
Di sicuro è particolarmente difficile quantificare i costi che l’azienda sostiene a causa del mobbing, tuttavia Luigi Canali, segretario
della FPS CISL Regione Lazio, ha provato a definire in termini monetari il costo
che il mobbing fa ricadere sulla società e
sulle imprese. Fa notare l’autore che
secondo una valutazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il costo
totale annuo della violenza psicologica in
un’azienda di mille dipendenti si aggira
24
intorno ai 155.000 euro.
Secondo uno studio della Health & Safety
Executive Britannica (1998) “il cattivo
rapporto tra lavoratore e ambiente” incide negativamente nel Regno Unito per
Chi viene colpito
lavora poco e male, si assenta
spesso, diventa un “peso”
per l’organizzazione
E… il mondo aziendale?
Una sana concorrenza e una buona tensione produttiva sono due elementi che
esercitano sulle aziende una doppia tensione: da un lato, producono uno stimolo
all’efficienza, cioè a produrre ed erogare
46
beni e servizi minimizzando l’utilizzo
delle risorse organizzative; dall’altro, uno
stimolo all’efficacia che aiuta a bilanciare
il dimensionamento delle risorse in
modo coerente per non perdere di qua21
lità. Sono, quindi, alcuni degli ingredienti fondamentali per il successo dell’impresa.
Il mobbing, invece, è una perversione
patologica che manda in cortocircuito il
sistema: chi viene colpito lavora poco e
male, si assenta spesso, diventa un “peso”
22
per l’organizzazione. Inoltre, spegne
ogni forma di collaborazione, riduce lo
scambio di informazioni, annienta lo spirito del gruppo, fa “vivere” tutti gli abiNO 3
20. Cfr. Ege (1998, p. 28).
21. Vaccani (2001).
22. Gilioli, Gilioli (2000).
23. Cfr. Del Mare (1998).
24. Cfr. Saolini 2001.
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MANAGER ALLO SPECCHIO
Box 1 Il CDL
Il Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione del Disadattamento Lavorativo (CDL)
della Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano è stato istituito nell’aprile 1996 (delibera
degli Istituti Clinici di Perfezionamento, n.
430, 12 aprile 1996) al fine di svolgere attività
clinico-diagnostica e preventivo-riabilitativa
su pazienti con sospetto di malattia legata a condizioni di stress e di disagio lavorativo.
Il CDL è un centro interdisciplinare costituito da
medici del lavoro, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti e tecnici di psicodiagnostica. Gli
accertamenti consistono in una serie di valutazioni di medicina del lavoro, psicologiche e
psichiatriche secondo un protocollo valutativo appositamente sviluppato. Responsabile del
CDL è il dottor Renato Gilioli, neuropsichiatra esperto di problematiche inerenti il rapporto tra condizioni di lavoro e salute neuropsichica. I pazienti sono inviati con larghissima prevalenza dal medico di famiglia e ricoverati in Day Hospital per due, tre giornate di
degenza, a titolo totalmente gratuito per gli
utenti, per un sospetto di stress occupazionale.
Le diagnosi più comuni, nei casi in cui si riconosca un
ruolo delle condizioni di lavoro, sono di
Disturbo dell’Adattamento (DDA) e di Disturbo
Post Traumatico da Stress (DPTS). I due quadri
clinici hanno una sintomatologia simile, ma
con gravità differenziate a carico della sfera
emozionale (ansia, depressione, irritabilità),
spesso con associati sintomi psicosomatici (cefalea, gastralgie, vertigini ecc.), disturbi alimentari, del comportamento e della sfera sessuale.
Il DPTS, infatti, configura una patologia che
FOCUS
può lasciare esiti permanenti, fino ad arrivare
a situazioni in cui la persona appare paralizzata come soggetto vivente. Schematizzando, 1/3
della casistica osservata si conclude con diagnosi di disturbi fittizi e psichiatrici comuni,
che nulla hanno a che fare con patologia lavorativa. Un altro terzo riconosce, con un elevato grado di compatibilità, nelle condizioni di
lavoro il più importante fattore causale (DDA
e DPTS), mentre nel restante terzo il disturbo
è inserito in un contesto di lavoro in cui il
ruolo causale è possibile, anche se non provato.
Per stabilire la compatibilità tra situazioni di
lavoro e conseguenze sulla salute, si impiegano
i comuni criteri di adeguatezza della causa lesiva, esclusione di altri fattori e di compatibilità
clinica e cronologica.
Data la delicatezza della diagnosi e la difficoltà di
verifica dei dati anamnestici, è necessario
disporre di elementi sicuri circa l’attendibilità
della persona e della storia lavorativa. A questo fine vengono effettuati due diversi colloqui, da parte di un neuropsichiatra e di uno psicologo, ottenendo così, oltre a una conferma o
meno dei dati e dell’attendibilità complessiva
della persona, anche altri elementi importanti
circa lo stile di vita, le relazioni familiari e
sociali, tutti dati assai rilevanti ai fini delle
conclusioni eziologiche. Inoltre, ove possibile,
sono raccolti dati desunti da documenti prodotti o testimonianze dirette o indirette. Infine, con la somministrazione di una complessa
batteria di test psicodiagnostici, sono verificati gli aspetti cognitivi, l’equilibrio socio-emotivo e il profilo di personalità, così da ottenere un quadro complessivo del paziente. Questi
elementi concorrono ulteriormente a verificare l’attendibilità della persona.
Box 2 L’aspetto metodologico della ricerca
La ricerca di Ege è stata condotta su un campione di
301 persone che avevano subito il mobbing provenienti da tutte le regioni italiane.
Come metodologia è stato utilizzato un questionario,
chiamato LIPT (Leymann Inventory of Psychological Terrorism, 1997), approntato da Leymann,
che ancora oggi rappresenta lo strumento più
popolare e diffuso per la ricerca sul mobbing. Il
questionario è stato modificato per approntarlo alla specificità culturale italiana, pur rimanendo fedele nell’impostazione all’originale.
NO 3
MAGGIO - GIUGNO 2002
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Il questionario ha raccolto i dati, in forma anonima,
su cinque aree di interesse:
Ω informazioni generali sul luogo di lavoro;
Ω informazioni generali sulla persona intervistata;
Ω informazioni specifiche sulle diverse azioni
di mobbing subite;
Ω le circostanze del mobbing (chi è il mobber,
da quanto tempo subisce attacchi ecc.);
Ω le conseguenze riportate a livello di salute
psicofisica.
47
FOCUS
80 milioni di giorni lavorativi e 2 miliardi di sterline l’anno. Secondo altre fonti,
in Germania il danno annuo causato è
25
valutato in 220 milioni di marchi.
La reazione aziendale, non solo italia26
na, di fronte al panorama fin qui descritto appare ancora non delineata. Da
un lato, sembra non esserci consapevolezza della gravità del fenomeno o vi è la
tendenza ad allontanarlo considerandolo
27
un fastidio o una nuova seccatura, dall’altro, alcune aziende già hanno cominciato ad attrezzarsi per prevenire e gestire la “patologia”, come per esempio IBM,
Hewlett-Packard e Volkswagen.
Quest’ultima, per esempio, ha sottoscritto un accordo con il sindacato finalizzato
a combattere il mobbing: all’interno dell’azienda è stato creato un ruolo organizzativo, terzo rispetto all’azienda, che è il
referente al quale possono rivolgersi i lavoratori che ritengono di essere stati colpiti.
A tale ruolo è stata attribuita la discrezionalità di intervenire sul fenomeno
attraverso diverse leve. La Direzione può
OIHCCEPS OLLA REGANAM
arrivare, nei casi più gravi, fino al licenziamento dei persecutori.
Le motivazioni che spingono un’azienda
ad attrezzarsi per prevenire o gestire il
fenomeno non sono da cercarsi in un
atteggiamento di buonismo nei confronti dei dipendenti, ma derivano da due
ragioni fondamentali. La prima ha radici profonde nel codice etico della cultura
organizzativa. In questo caso, intervenire è prima di tutto una priorità etica di
gestione del business e degli uomini. La
seconda ha radici nella consapevolezza
dei “costi”, non certo solo economici, che
la pratica del mobbing comporta.
In tutti i fenomeni psico-sociali, infatti,
quando la manifestazione di un non funzionamento si palesa in modo evidente è
già troppo tardi: i costi e i tempi di recupero sono elevati.
Recuperare una risorsa “vessata” dal
mobbing o il clima di un gruppo, ricostruire la fiducia tra le persone e l’organizzazione, riportare l’attenzione energetica delle persone sul lavoro e sugli
obiettivi è impresa lunga e complessa.
Appare più facile, allora, dotarsi di strumenti di ascolto dei “segnali deboli” per
lavorare sulla prevenzione. In tutte le
situazioni complesse, infatti, una consapevole diagnosi precoce consente spesso
di salvare il sistema.
Questo presuppone, da un lato, di disporre di griglie di lettura del contesto organizzativo per intervenire nel minimizzare o contenere quei fattori che predispongono e facilitano lo sviluppo della
patologia, e, dall’altro, di essere a conoscenza dei meccanismi, dei copioni di
comportamento degli interpreti e delle
dinamiche involutive che contraddistinguono il fenomeno. Competenze, entrambe, da considerarsi oggetto dei futuri approfondimenti alla ricerca di risposte
in questo nostro appuntamento sulla faccia intangibile del mestiere di manager.
25. Ibidem.
26. Gilioli, Gilioli (2000, p. 26).
27. Ibidem.
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