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PRIMA DELLA RISERVA: ATTIVITA` UMANE IN PALUDE

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PRIMA DELLA RISERVA: ATTIVITA` UMANE IN PALUDE
PRIMA DELLA RISERVA: ATTIVITA’ UMANE IN PALUDE BRABBIA
Escavazione della torba
Veniva praticata prevalentemente in modo
manuale mediante l’utilizzo di un attrezzo
particolare, detto “luscèr”, costruito da una
pertica di legno, lunga anche fino a 3 m, che
si innestava in una gabbia metallica aperta sul
lato anteriore e recante all’estremità inferiore
una specie di vomere.
Usata come una vanga permetteva
l’estrazione di un lungo parallelepipedo di
torba, successivamente tagliato in 3-4
mattonelle che venivano dapprima essiccate
al sole e in seguito immagazzinate in apposite
cascine o accatastate nei “met”, cumuli
piramidali coperti da cannucce.
Estrazione della torba col luchèr
La torba veniva scavata dopo aver asportato il terriccio superficiale e collocato un asse di legno su cui salivano i
“turbatt” per poter far forza senza sprofondare nel terreno morbido. Un “turbatt” lavorava 8-10 ore al giorno
estraendo anche 70-80 quintali di torba, questa veniva venduta, in grosse quantità, al cotonificio Borghi posto nel
comune di Varano Borghi, a numerosi stabilimenti di Gallarate, Legnano, Castellanza e anche fino a Milano. Questo
tipo di estrazione manuale venne praticato sino ai primi del ‘900 in maniera intensiva e successivamente, a fasi
alterne e per un uso più domestico, sino al 1950 circa.
In anni più recenti, fino alla costituzione della Riserva, la torba venne scavata con mezzi meccanici dall’azienda
“Agricola Paludi” che rivendeva il “terriccio nero” ad aziende florovivaistiche. I segni di questa più recente
escavazione sono ben visibili tutt’oggi nei “chiari” (stagni di origine artificiale) dell’area sud della Riserva
caratterizzati da margini scoscesi e profondità maggiori degli stagni i più antica escavazione.
Fare la “lisca”
Col termine “lisca” si indicavano genericamente alcune specie di
Ciperacee, il Giunco e la Typha.
Andare a “far la lisca” significava semplicemente andar a tagliare
queste specie.
Esse venivano tagliate nei mesi estivi ed utilizzate a vari scopi,
come legacci o impagliature di vario genere (in particolare la lisca
dei prati - Scirpus sylvaticus e la carice maggiore – Carex elata),
cestini e panieri (in particolare il Giunco comune – Juncus effusus),
materiale da imballaggio (alcune specie di carici).
In inverno invece veniva tagliata la cannuccia di palude
(Phragmites australis) per realizzare stuoie e piccole coperture.
L’altra pianta preziosa per i locali era lo sfagno, muschio ormai
rarissimo, che una volta seccato veniva utilizzato come “paglietta”
da imballaggio. Molto di questo sfagno finì così nelle confezioni
delle ceramiche di Laveno.
Raccolta dello sfagno
La coltivazione di ninfee e Fior di Loto
La coltivazione di ninfee veniva attuata
dall’azienda florovivaistica “Vanetti” di
Inarzo nell’omonimo stagno.
Accanto alle ninfee bianche si trovano
ancora oggi negli stagni della Palude delle
varietà ornamentali dalle corolle soffuse di
rosa.
Il Fior di loto, pianta esotica proveniente
dall’Asia, veniva coltivato sia negli stagni di
Inarzo (da parte della famiglia Daverio),
dando luogo alla raccolta di 50-60.000 fiori
tra luglio ed agosto, sia nell’area della
azienda “Agricola Paludi” (in comune di
Casale Litta).
Fior di loto
Mentre il Fior di loto negli stagni di Inarzo, dopo un periodo di grande fertilità (1940-1976), è praticamente
scomparso a causa del progressivo inquinamento delle acque, nell’area dell’Agricola Paludi si è invece riprodotto a
dismisura venendo a ricoprire la quasi totalità della superficie di acqua libera.
Le conseguenti problematiche di carattere ecologico hanno indotto la Provincia di Varese ad effettuare interventi di
contenimento sia nel territorio della Palude sia nei vicini laghi di Comabbio e Varese.
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